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[Zoster] Belligeranza [Parte 0 - X]


Zoster

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Belligeranza

 
 

“E’ davvero sicura della sua scelta? Non pensa che tenersi tutto dentro possa portarla ad un esaurimento? Rifletta attentamente. Vuole veramente questo?”

 

In una cupa stanza, dall'arredamento rigido e ordinato, senza alcun oggetto fuori posto, completa di tutto quello che si possa chiedere; una silenziosa ragazza è psicoanalizzata.

 

“La prego, Eleanor. Non ha detto una parola. Non le voglio fare del male”.

 

La ragazza, una spettinata bionda dai capelli corti, è seduta rigidamente su un ceruleo divano vittoriano. Ha una seduta innaturale, pare ancorata ad un punto fisso dello spazio. L’unica parte libera da quel soggiogo  sono i suoi occhi, due Illumise non più capaci di brillare. Ronzano per tutta la stanza poggiandosi sulla mobilia ed evitano con maestria lo sguardo del suo eloquente interlocutore. Le sue parole non la raggiungono minimamente.

 

“La paura è umana, Eleanor”.

 

Il dottore, una distinta figura vestita di tenebre da capo a piedi, con corti capelli atti a non coprire il mite viso, osserva con estremo rigore ogni reazione di Eleanor. Dal respiro al battere delle ciglia, ogni singolo movimento è catalogato nella sua piccola agenda.

 

“Sono qui per aiutarla”.

 

Mostrando il primo segno d’interesse, Eleanor porta la traballante attenzione sui tranquilli occhi blu che la osservano dall’inizio della seduta.

 

“Eleanor? Vuole dire qualcosa?”

 

Tra quei due sguardi, uno diligente e pieno d’interesse, l’altro vuoto e senza vita; sguardi diversi, ma accomunati da quel sacro silenzio, scatta qualcosa, l’equilibrio della seduta è spezzato. Eleanor con un rapido gesto della mano sinistra afferra fermamente la lampada che poco prima aveva adocchiato e, facendo forza sul piede destro, si scaraventa contro il nero dottore cercando di colpire il suo volto. Non sarebbe sopravvissuto ad un colpo del genere.

 

Con un’estrema leggiadria e velocità, pari a quelle di un Ninjask il dottore si defila dalla sedia, quasi come se non  fosse mai stato seduto, e stritola la mano della ragazza, facendo cadere la lampada e provocandole un forte dolore al polso.

 

“Sedatela”.

 

Dal nulla, affilati spilli lanciati da trasparenti ombre, colpiscono la ragazza. L’analista allenta delicatamente la presa adagiando la ragazza a terra.

In un attimo, come un fulmine a ciel sereno, la stanza si riempie di agenti e paramedici. Ognuno di loro esegue il proprio compito. La ragazza viene trasportata via e lo studio inizia a scomparire pezzo dopo pezzo.

 

“Due inservienti uccisi, cinque agenti feriti e tre dottori in riabilitazione per “merito” di quella ragazza. Odio il mio lavoro… ”

 

L’arrendevole voce si fa strada tra la zelante folla, gli operatori si scansano al suo passaggio.  La nera figura si lascia scappare un smorfia divertita che deforma il pacato volto. L’uniforme gli sta peggio di quanto immaginasse. Fatica a riconoscerlo con quel grigio camice ripieno di orli bianchi che sfiora il pavimento, ma è lui. Il suo tratto distintivo, una vetusta tabella elettronica placcata di platino incollata alla mano sinistra, rimuove ogni dubbio.

 

“Allestire questa stanza è stato uno sperpero di energie”.

 

“Non del tutto: c’incontriamo nuovamente. Ne è passato di tempo” prova ad accennare un sorriso, ma desiste. Passerebbe inosservato. La sua attenzione è assorbita dalla tavoletta.

 

“Mai abbastanza” continua ad armeggiare.

 

“Buon giorno anche a te, Notum”.

 

L’ultimo agente rimasto rimuove con celerità alcuni aghi dal muro e abbandona la stanza. E’ rimasto solo il nero figurino, una bianca stanza e un manichino color cenere.

 

“Allora?” L’agente nero muta il tono di voce in uno più rigido e duro. I bonari sorrisi lasciano spazio a fronti aggrottate e labbra socchiuse.

 

 “Non saranno contenti”.

 

“Quando mai lo sono stati?”

 

”Ha fallito perfino la tua seduta, Alexander. Sei stato un errore, di nuovo. Non saresti dovuto venire”. Le parole fluiscono rapide e taglienti e, una dopo l’altra, feriscono con ferocia.  Alexander conosce quelle fredde lame, le ha assaporate più volte, ed è sempre sopravvissuto.

Socchiude gli occhi e si lascia trafiggere.

 

“Tutti i metodi usati sinora sono risultati fallimentari”. 

 

“Con questo? Esistono molte altre strade da percorrere”.

 

“Strade di cui tu non fai parte. E ora, se mi permetti, sono arrivate delle nuove reclute a cui devo fare da balia. Qualcuno deve pur lavorare qui”.

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In una taciturna e assolata pianura, frastagliata a brevi tratti da levigate e verdeggianti colline, un inesperto manipolo di reclute aspetta ordinatamente l’arrivo della loro guida.

 

“Alla buon’ora”.

 

Cullata dal vento e dallo stormire di arbusti vestiti di fiori viola dai lunghi stami, una grigia ombra si avvicina al gruppo. Il suo passo è incerto, le suole degli scarponi aderiscono malamente all'erba coperta di rugiada. Si ferma davanti a loro.

 

 “Maledetta erba. Questo mi rammenta perché non ho Pokémon di tale tipo”.

 

Notum  frega con fervore gli scarponi su un tronco d’albero rinsecchito ai piedi del gruppo. I cadetti lo osservano interdetti.

 

“Veloci. Codice di assegnazione e base di origine”.

 

I cadetti assumono la posizione di riverenza imparata all’accademia e pronunciano all’unisono la risposta. “ 862-RS, Castore Veltro”.

 

 “Perfetto. Siete voi” sospira sollevato. Dava per scontato che il loro arrivo fosse un altro errore. Dopo il riavvio del sistema operativo diffida di ogni nuovo carico, o gruppo di persone, che arriva.

 

“Perdoni l’attesa Signore. Gli elicotteri hanno-”. Notum appoggia delicatamente il palmo della mano destra sopra le labbra dell’agente. La cadetta si ammutolisce e guarda pietrificata la bianca mano.

 

“Un ritardo rimane un ritardo ma, per quello che mi riguarda, non è mai accaduto. Respirate”.

 

La mano si desta dalla sottile bocca restituendo l’uso della parola.

 

 “E non chiamatemi signore. Potete chiamarmi Notum”.

 

Gli agenti strabuzzano gli occhi per l’inaspettata cordialità, si aspettavano ben altra accoglienza. Il grigio osserva con attenzione lo stupore nei loro volti. Riesce quasi a tastare con il palmo della mano la concava superficie levigata attorno ad ognuno di loro: una piccola e sottile cupola bianca, liscia e senza crepe, pronta a rompersi da un momento all’altro.

 

“Seguitemi”.

 

I cadetti si radunano ordinatamente davanti a Notum che, dopo avere martoriato per un’ultima volta il tronco, indica una meta e invita i cadetti a seguirlo.

Dopo un lungo tragitto tra colline minate di pozzanghere d’acqua stagnante e cespugli troppo cresciuti il gruppo si ritrova davanti a un macigno tondeggiante. Notum ringrazia il cielo per la professionalità dei cadetti, non ha neppure dovuto ignorarli.

 

“Siamo arrivati”.

 

Notum alza la testa scocciato .

 

“Quanto sono lenti…”

 

I cadetti guardano stupiti la nuova inverosimile scena: sta salutando il cielo. La gelida mano tesa verso l’altro raschia rabbiosamente la volta azzurra, prima avanti e poi indietro, come un onda che erode con pazienza la spiaggia.

Non riescono a comprendere il motivo di tale gesto.

 

“Scusi signor Notum, non vorremmo disturbarla in… qualsiasi cosa stia facendo ma-”

 

La domanda idiota che tanto aspettava è arrivata.

 

“Quando si arriva?”

 

Notum si ferma; smette di sventolare la mano, afferra la sua fidata tavoletta elettronica e, con fare divertito, l’accende.

 

“Arrivare?” Ma noi siamo già arrivati”.

 

Il paesaggio circostante cambia colore. Il cielo, gli alberi e la terra sotto i lori piedi iniziano a sfumare. I colori si ingrigiscono e si confondono tra loro, lo spettro visibile muta in un omogeneo bianco accecante. I cadetti si coprono d’istinto gli occhi e impugnano le armi allarmati. Notum li ammonisce e sogghigna.

 

L’area si trasforma nuovamente. La bianca coperta che li avvolge si frantuma; microscopici barlumi si sollevano dalla morbida superfice e si dissolvono nell’aria, rivelando un nuovo strato. Le sterminate vallate verdi e il cielo sono sostituiti da una cilindrica stanza ricoperta da mastodontici specchi e panelli neri di metallo dalla forma ovale. Bisbigli di sbigottimento si alzano tra la folla.

 

”Prima di pronunciare inutili frasi di stupore, lasciate che vi dica una cosa: no. Non ho la men che minima voglia di spiegarvi cosa è successo. Se proprio volete sapere come funziona, c’è un bellissimo tabellone elettronico esplicitavo fatto da qualche ingegnere con troppo tempo libero. Leggetevelo” una porta automatica, incastonata in uno specchio alle spalle di Notum, si apre placidamente emettendo bianchi sbuffi .

 

“Signori”. Voltandosi e aprendo le mani con falsa enfasi, Notum presenta l’inizio della loro carriera.

 

“Vi do il benvenuto nello Specchio. Una delle Case più importanti sotto il controllo della Rossa”.

 

Un profondo abisso senza fine si sporge timidamente dalla porta, i cadetti si avvicinano alle recinzioni di sicurezza per guardare meglio la dormiente bocca nera.  Inquietanti ugole di vetro imbrigliate in sinuose e ondeggianti gabbie dalle sbarre nere affollano la gola. Il palato, invece, è rivestito da schermi perennemente accesi e specchi; i pavimenti adiacenti sospesi nel vuoto sono  calpestati da un incessante via vai di agenti di basso e alto rango. Il tutto è illuminato da un lontano sole, nascosto oltre un ovale cupola che, proprio come una museruola, lo protegge dalla famelica bocca.

 

“Come scusi?”

 

Un intrepido cadetto dall’aria sbarazzina, non stupito come gli altri, esordisce prepotentemente.

 

 “Oh, ti riferisci al nomignolo “rossa”? Non farci caso, non è ufficiale”.

 

“Mi riferisco a “importanti”, ho sentito parlare di basi molto più maestose di questa...”

 

Smettendo momentaneamente di fissare la tavoletta, Notum adocchia il cadetto con sufficienza.

 

“Oh, capisco. Se non è di tuo gradimento posso sempre trovarti un posto migliore. Provenite da una regione fredda, giusto? Dovrei avere qualcosa più consono per te… ah! Trovato”  Notum mostra al cadetto la tavoletta con in sovrappressione l’immagine di una miniera. “Dimmi, ti piace il clima rigido? E per rigido, non intendo freddo”.

 

L’agente fa prontamente un passo indietro.

 

“Qualche altra domanda?”

 

Il silenzio unisono dei cadetti fa sorridere con lieve soddisfazione Notum.

 

“Se non c’è altro… Potete proseguire per il portone alla vostra destra. Là troverete una vera guida”.

 

“Mi scusi...”

 

Una timida recluta compie un tremante un passo in avanti. Si posiziona davanti a Notum.

 

“Sì?”

 

“Di cosa… si occupa di preciso in questa base? Non ci hanno riferito niente” Notum fissa i timidi occhi della ragazza. E' indeciso su come rispondere; nessuno aveva mai trovato il coraggio di fare quella domanda.

 

“...Credimi, se lo sapessi non sarei qui”.

 

Il grigio camice si allontana, accompagnato nuovamente dal brusio con cui era arrivato.

 

“Ah. Prima di andarmene voglio darvi un consiglio: se doveste sentire imprecare, vedere del fumo verde o adocchiare una persona vestita in modo discutibile ma, soprattutto, se tenete anche leggermente alla vostra vita, allontanatevi il prima possibile. Capirete”.

 

Distanziato finalmente dal gruppo, Notum si dirige verso un trasparente ascensore e, chiudendo gli occhi, si avvia verso il secondo problema della giornata.

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“Quanta inettitudine in un solo essere!”

 

“Detto da te è un complimento”.

 

Tra fastidiose esalazioni di fumo e agguerriti lanci di coltelli, una sala riunioni piange l’ordine e la disciplina persa.

 

“Giuridicamente parlando il tuo grado è inferiore al mio”.

 

“Se continui, sei un uomo morto. Giuridicamente parlando, s’intende” un argentea donna sbraita e osserva con ira l'immenso tavolo bianco, è quasi decisa a lanciarlo in aria; peccato sia ancorato terra causa precedenti voli.

 

“Andiamo Serafina! Stai scaldando una poltrona! Questa base non è neppure tua! ”

 

“Ma la comando!”

 

“Confermo”.

 

Un nuovo membro si unisce divertito alla conversazione. Colli ornati di sobrie collane o cravatte dai colori spenti si girano verso l’ingresso per osservare il nuovo contendente.

 

“Perdonate l’attesa” Notum si avvicina con disinvoltura al tavolo e, noncuranti di essere sotto il fuoco incrociato di una nuova disputa, si siede al suo posto. I presenti guardano con disprezzo l’ultimo arrivato, se fosse in orario avrebbero evitato di sorbirsi nuovamente quel triste teatrino.

 

“La base è sotto il controllo di Serafina fino a nuovo ordine. Queste sono le Disposizioni. I Reggenti e…”  Notum osserva dall'alto verso il basso l’abbigliamento di Serafina. “Santissimo  Arceus. Come ti sei conciata? Potevi metterti qualcosa di un po’ più corto già che c’eri”.

 

“Ti prego, non tirare nuovamente in ballo il codice d’abbigliamento. Non lo reggerei” Serafina stringe con vigore il  bianco scialle adagiato al collo. In caso di necessità potrebbe essere un’ottima alternativa alla sua fidata arma per fare fuori Notum.

 

“Notum, che sorpresa. Ti credevo morto”. Dall'altro capo del tavolo, diametralmente opposto a Notum, una scheletrica voce spezza l’imbarazzante discussione.

 

“E’ un piacere anche per me, Dimitri. Oggi è il giorno delle nuove reclute, rammenti?”

 

Dimitri annuisce indifferente mentre aggiusta con minuzia il fazzoletto nel suo taschino. “Ah già, è vero. Dimentico sempre il tuo lavoro da balia”.

 

“Sempre meglio di firmare cartacce standosene seduti”.

 

Risate derisione, tra cui quelle di Serafina, risuonano come gesso sulla lavagna nelle orecchie di Dimitri.

 

 “Pensavo di essere qui per parlare dei rapporti. Se invece preferite proferire del mio lavoro, levo subito il disturbo” aggiusta nuovamente il fazzoletto.

 

“Assolutamente, Dimitri. Non vorrei mai privarmi della tua utilissima presenza”. Notum sfila un paio di occhiali da una custodia di pelle sul tavolo e gli indossa, poi batte le mani. I convocati smettono di mormorare tra loro e posano ordinatamente documenti freschi di stampa sopra il tavolo.  

 

"Volete parlare dei rapporti? Bene. Sono con me".

 

Cliccando un tasto della sua fedele tavoletta, Notum accende degli schermi. All’interno di quelle fini finestre nere si materializzano una serie di dati e cifre interminabili, il resoconto delle varie sezioni e una sgomentata ragazza in posizione fetale.  

 

“Signori. Vi presento il soggetto 42.2, sempre che non la conosciate”. La telecamera ingrandisce Il tetro e sgomentato viso della ragazza. I presenti guardano il bianco volto indifferenti. Osservano il sudore, le tracce di sangue rinsecchito e le profonde occhiaie senza battere ciglio.

 

 “Quella psicopatica...” Le verdi nuvole di fumo esalate dall'appuntito bocchino di Serafina iniziano a ghermire  la stanza. “Quanta eleganza… La ragazza è l’argomento principale della  riunione. L’ultimo tentativo da noi fatto per ottenere qualche informazione è fallito. Dobbiamo trovare una soluzione al più presto, le pressioni sulla riuscita del nostro compito sono aumentate e… perché devo fare io questo inutile discorso motivazionale? Non mi pagano abbastanza…”

 

“L’arcicoso ha fallito?” una divertita risata fatta di fumo e denti si forma sulla bocca di Serafina.

 

“Arcincaricato, Serafina. Si dice Arcincaricato. E sì, ha fallito. Alexander non ha reso onore alla sua fama”.

 

“Dov’è adesso quel damerino?”

“Non mi è dato saperlo”.

 

“Sì certo”.

 

“Perdonami?”

 

“Non prendiamoci in giro. Tu sai sempre tutto. Probabilmente conosci perfino la marca di biancheria intima che indosso”.

 

“Non è un’ardua sfida, lo vedo da qua”.

 

“Spiritoso”.

 

“E poi non è vero, non so tutto. Rammenti?”  trafiggendo le nuvole di fumo con la sola vista, Notum scambia uno sguardo d’intesa con Serafina.

 

“He he… E’ vero”. I riflessi argentei provocati dai movimenti di Serafina illuminano la stanza.

 

“Possiamo andare avanti? I vostri puerili segreti non ci interessano. Come se non sapessimo di chi state parlando”Dimitri sciocca le dita ripetutamente e Invita i due a sbrigarsi.

 

“Sei invidioso amore?”

 

“Invidioso di avere segreti con te? Oh, no grazie”.

 

 “Ho una gran voglia di soffocarti, sai?”

 

“Non ne avrai bisogno, i tuoi gas tossici ti precederanno”.

 

“Non in mia presenza” una voce congela la stanza e provoca una nuova danza di colli.

 

“Non alzatevi, non c’è bisogno”

 

Un’alta austera figura, decorata da medaglie alate e stemmi ovali dai colori neri e argentei, attira l’attenzione su di se.

 

“Tu… qui? E’ successo qualcosa? Notum viene percorso da una scossa.  Il corpo, incurvato malamente sulla tavoletta elettronica, si contorce in una nuova forma altrettanto scomoda protesa verso il nuovo arrivato.

 

“La tua sfrontatezza mi stupisce sempre, Notum”. Il tono della voce risuona volutamente sgradevole. Notum si trattiene dal digrignare i denti.

 

“Indovina perché sono qui?”

 

“Il piano C?”.

 

“Bingo”. Una smorfia sovrasta il medagliato.

 

“Volevo informarvi dell’arrivo di un altro controllore".

 

“Un altro? Quanto sono noiosi! E’ il quinto questo mese!” Serafina sbuffa.

 

 “Sesto, per l’esattezza, mia signora. Lo sa quanto sono previdenti, no? Questo è quanto. Se ora volete scusarmi…”

 

Dopo avere salutato svogliatamente i presenti, si avvia  verso un ascensore. Notum rimane a guardare l’imponente figura dissiparsi. Non si stupirebbe se tornasse improvvisamente indietro per riferire qualcosa che aveva <erroneamente> dimenticato di dire prima.

 

 Serafina e Dimitri si scambiarono flemmatici sguardi.

 

“Bene.  Se non ci sono altre interruzioni arriverei al dunque: domani sarà sottoposta a una nuova serie di trattamenti sperimentali”.

 

“Hanno accordato il permesso di usarli?” Pronuncia serio Dimitri.

 

“Sì. Ieri è arrivato il permesso. Possiamo procedere al…”

 

“Tutto qui?” Serafina interrompe bruscamente Notum e, stringendo lo scialle, aspetta la risposta ai suoi dubbi.

 

“Sì, tutto qui”.

 

“Fatemi capire. Ho dovuto fare un’ora di viaggio, subirmi le lamentele dei soliti e, ultimo ma non per importanza, mi sono dovuta sorbire voi due tutto questo tempo… per questa idiozia?”

 

“Sì”.

 

 “Si ammazzi! Non-è-più-di-mia-competenza. E’ tanto difficile da capire? Tra l’altro, non avevo ordinato di affibbiare le riunioni di questo tipo, ovvero inutili, a Notum?

 

“Hey!”

 

“La gente deve smetterla di considerare il mio ruolo una pura formalità. Sono il maledettissimo capo in carica! E non azzardarti a parlarmi di gerarchia Dimitri, altrimenti ti mando a pulire i cessi. Poi voglio vedere chi è sopra chi!”

 

Sventolando furentemente il suo scialle ed emettendo furiose vampate verdi, Serafina sradica la sedia dal pavimento e, dopo avere emesso un urlo udibile in tutto l’abisso, la scaglia con immensa soddisfazione sul tavolo. Rompendolo.

 

“Arrangiatevi!”

 

Girandosi goffamente sui suoi alti tacchi, si allontana dalle macerie. Dimitri tocca esterrefatto il tavolo.

 

“Siamo sicuri che non abbia ricominciato a impasticcarsi?” Notum Sorride.

 

“Magari. Si stenderebbe un po’ i nervi".

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E’ in ritardo, non ha rispettato la promessa.

 

Ha preparato tutto con estrema cura. L’ ombrosa sala da pranzo è illuminata dalle finestre abitualmente chiuse, il tè è servito in un prezioso servizio di porcellane ornate d’oro e i pasticcini sono stati appena prelevati dal pasticcere di fiducia. Il tutto rigorosamente fatto da lei, considerando l’assenza dei camerieri. Ha ordinato al personale di non tornare prima delle diciotto. Non l’avrebbe condiviso con nessuno.

 

Sono passati mesi dal loro ultimo incontro. Suo padre è una persona di rilievo nel suo campo, almeno crede. Non ha mai veramente compreso quale sia la sua professione. “ Un luminare nel suo campo!” le ripetevano morbosamente gli amici di famiglia senza entrare nei dettagli.  A volte lo immagina come un ricercatore che inventa macchine mirabolanti, altre volte come un archeologo che studia rovine antiche e altre volte ancora come dottore che trova nuove cure. Pur non sapendo di cosa tratta il suo misterioso lavoro sa dove lo svolgeva: molto lontano da lei. Tralasciando qualche sporadica telefonata, è assente dalla sua vita; ma non può fargliela pesare quella sua mancanza, conosce bene i sacrifici e le difficoltà da lui affrontate per mantenerla quand’era solo una neonata. Non gli avrebbe mai fatto pesare un “dettaglio” del genere, l’unica cosa che le importava in quel momento era il suo arrivo. Deve arrivare, ha aspettato troppo.

 

Osserva l’orologio, è preoccupata. Il terrore che possa non arrivare, come già accaduto più volte, si fa strada tra i suoi pensieri, insieme alla rabbia. Una cigolio le fa saltare il cuore alla gola, il terrore lascia spazio alla gioia. Alice si gira.

 

“Tranquilla, non sono tuo padre”.

 

Poche parole pronunciate da un’elegante voce femminile spezzano l’enfasi. Le due verdi ninfee poste al posto degli occhi perdono la propria verve. Non è suo padre.

 

“Spero di non disturbare”.

 

Si siede con grazia nel posto riservato al padre.

 

“Posso favorire?”                                                   

                

La donna indica con disinvoltura la tazza di tè . Alice annuisce terrorizzata, non riesce a capire cosa sta succedendo ma, soprattutto, si domanda chi è quella donna. E’ ipotizzata dal suo aspetto. E’ distinta, il suo portamento le incute sicurezza e devozione, emana potere e potenza. I capelli legati dietro la testa esaltano ogni sfumatura del suo aspetto, sia negativa che positiva: i suoi lineamenti rigidi e delicati sembravano disegnati da un egocentrico pittore; nonostante la maturità evidenziata da alcune rughe, è maestosa, la sua bellezza potrebbe fare impallidire donne molto più giovani di lei. Il tutto enfatizzato dal suo curioso abbigliamento, nel quale spiccavano: una corvina mantella ornata da decori spiraliformi color magenta e un paio di guanti guarniti da scanalature a forma di rovi.

 

“Ti starai domandando il perché della mia presenza”.

 

Alice guardò terrorizzata il sorseggiare della donna. La semplicità di quel gesto la disarma.

 

“Ah, dimenticavo. Non sai parlare”. Stringe i denti. La gelida figura la sta inquietando di più ogni minuto che passa.

 

“Un rarissimo caso di mutismo a quanto mi è stato riferito. Colpa di un Trauma infantile”. Una ferita  si riapre silenziosamente. Abbassa gli occhi sulla tazzina.

 

“E no,  tuo padre non verrà”.

 

Alice la guarda per la prima volta negli occhi. Marroni iridi grandi come scudi parano il suo affronto.

 

“Non sono un mostro, credimi. Cos'è questo?”

 

La donna afferra un libro ornato da un fiocco appoggiato lì vicino. E’ un racconto scritto da lei. Studia letteratura da parecchi anni, il suo più grande sogno è diventare una famosa scrittrice. Quello che la donna impugna è l’ultimo manoscritto da lei elaborato.

 

“Ammirevole. Trovi nella scrittura una liberazione? Oppure è solo uno sfizio per compensare, beh, lo sai” accarezza con falso riguardo la copertina del libro. Percorre con l’indice il bluastro titolo, quasi lo volesse riscrivere. Potrebbe giurare di sentire il suo tocco .

 

“Libertà e caos… non si può averne uno senza l’alto. Non trovi?”  si alza dalla sedia.

 

“Sono qui per te, Alice. Forse tu non sai… bene contro bene, male contro male".

 

Il cuore della ragazza batte all'impazzata. Non riesce a comprendere cosa stia dicendo quella donna. Tiene le mani ancorate al tavolo.

 

“Se tuo padre non è qui in questo momento, è per colpa di una guerra a cui lui ha dato inizio. Per poi scomparire” sorride.“E tu, mia cara, stai per diventare un pretesto.”

 

Estrae un acuminata lama bianca fine come un filo da un fodero oculatamente nascosto e, scattando in avanti con une elegante e letale movimento, lacera le mani della ragazza. lo sguardo di Alice si congela. La ragazza si guarda tremante i piccoli fiumi rossi sgorganti dai suoi polsi, mentre i bianchi arti ancora vitali si depositano sul tavolo. Non vuole crederci.

 

“Alice...”

 

La ragazza si getta dalla sedia, cadendo nella sua pozza di sangue.

 

“Non puoi scappare”  la dama indica il teatro rosso ai suoi piedi.

 

“Guardati… Cosa sei adesso?”

 

Tremante, la ragazza cerca di alzarsi usando i gomiti come appoggio ma non ci riesce, le gambe non rispondono. I suoi capelli sono pregni di sangue e il suo piccolo viso è macchiato da fluide chiazze rosse.

 

“Non odiarmi. Ho solamente eseguito un copione scritto da qualcuno, come questo” afferra nuovamente il libro.

 

“Questo è solo un mero sfizio di una vita di crucci. Lascia che ti liberi”.

 

Lanciando il libro in aria e brandendo nuovamente l’affilata lama, taglia il capitello del libro, lasciando volare a terra le pagine, che si tuffano lentamente nel lago di sangue.

 

Alice è pietrificata, vede nell’aria il suo duro lavoro tuffarsi dentro la rossa pozzanghera. La donna fa segno di raccoglierle.

 

Restia, in un primo momento, Alice abbassa tremante lo sguardo sui fogli e, con gli occhi e il naso gocciolanti, si scaglia verso le pagine.

 

La giovane si dimena cercando di salvarle ma i suoi tentativi sono inutili, non riesce ad afferrarle.

 

Stramazza stremata e inizia a piangere.

 

“Tesoro…”

 

Chinandosi flessuosamente sul ginocchio destro incurante del sangue, afferra i capelli della ragazza, alzando il viso dalla pozza.

 

“Benvenuta tra noi”. La ragazza non alza lo sguardo, chiude gli occhi e si lascia cadere dalle mani della donna come un oggetto.

 

Si alza silenziosamente dalla pozza sbattendo i pantaloni e si dirige verso il grande portone d’entrata. Là, tre  sottoposti attendono il suo arrivo.

 

“E’ svenuta, sbrigatevi prima che muoia dissanguata. Non mi serve morta”, pronuncia senza frenare la sua camminata. Due dei tre agenti si dirigono verso la cucina senza proferire parola.

 

“Mia signora”.

 

La voce del terzo agente rimasto immobile blocca la camminata della dama.

 

“Sì?”


“Hanno autorizzato il trattamento”.

 

Chinando leggermente il capo all’indietro in segno d’interesse, la donna sorride.

 

“Credo sia arrivato il momento di fare una visita a casa”.

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