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[yugen_roku] Furari


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Furari 
 

 





 
 
« Avvicinati, figliolo » il Maestro è in ginocchio davanti al piccolo altare dedicato a Landorus, col capo chino e le mani giunte in preghiera; la sua lunga veste viola sfiora l’erba, ancora umida della rugiada del mattino. Nonostante mi dia le spalle so che ha gli occhi chiusi, assorto com’è nella meditazione, e le rughe gli solcano la fronte conferendogli un che di austero. All'invito, avanzo con calma e mi siedo alla sua sinistra, appena dietro di lui in segno di rispetto. Intravedo, illuminato dai primi raggi dell'alba, il suo profilo spigoloso e severo, che sovrasta una lunga barba candida.
« Cosa ti turba? »
Tra le fronde degli alberi spira una leggera brezza, che si va a confondere col canto delle cascate lontane.         
« Io… » mi schiarisco la gola, secca per il tumulto interiore che mi attanaglia il petto. « Sono appena tornato dal mio viaggio, Maestro. »
Solleva leggermente il capo, con gli occhi ancora chiusi, e le sue labbra si increspano in un impercettibile sorriso. « Ebbene? Hai trovato quello che stavi cercando? »
« Non ne sono sicuro. »
Per la prima volta da anni, ho paura. So che non dovrei averne, so che questo dovrebbe essere il momento più importante della mia vita, quello che tanto a lungo ho atteso da bambino. Il momento in cui finalmente avrei assolto al mio destino. Ma adesso l’esitazione e l’incertezza sono più prepotenti del previsto, mi scorrono in ogni vena e penetrano fino al mio cuore.
È passato esattamente un anno da quando sono partito per la regione di Unima, allontanandomi dalla mia casa e da tutto ciò che conoscevo. “Intraprenderai un cammino difficile” dissero i Maestri, dopo avermi affidato il mio primo Pokémon. “Imparerai a conoscere l’animo degli uomini, a rispettare tutto ciò che è vivo, a crescere assieme ai compagni che incontrerai nel corso del tuo viaggio. Solo così scoprirai se il futuro che ti attende è fra noi, come membro dell’Ordine, o aldilà, oltre le cascate, nel vasto Mondo che ancora non ti è stato rivelato.”
Dal canto mio, all’epoca non avevo dubbi. Nei miei tredici anni di vita non avevo fatto altro che sognare il giorno in cui finalmente mi sarei unito ai Maestri, quegli uomini che erano stati tutto per me e che mi avevano cresciuto dal momento stesso in cui mi avevano trovato, infante, abbandonato davanti al Tempio Abbondanza. Da loro avevo imparato il rispetto per la natura e per le tradizioni, a meditare sui grandi misteri della vita e a ricercare il bene in ogni sfaccettatura del creato, in armonia con i Pokémon. Mi insegnarono a pregare Landorus, colui che aveva regalato fertilità e prosperità alla nostra terra, permettendo ad umani e Pokémon di vivere senza affanni.
Ma nel corso di quest’anno tante mie certezze sono vacillate. Ero partito sicuro di saper già tutto della vita, soltanto per scoprire che il viaggio che doveva essere la conferma di quel che avevo deciso non  ha fatto altro che confondermi e istigarmi dubbi.
Ho conosciuto tante persone, affrontato battaglie, visitato città. I miei occhi si sono riempiti di meraviglia, i miei piedi sembravano non voler fermarsi mai, proseguendo imperterriti nella scoperta del mondo passo dopo passo. Il mio Snivy ed io siamo divenuti forti, uniti da un legame profondo e sincero: col tempo e con fatica nuovi compagni si sono aggiunti al nostro team, e adesso lui è un fiero Serperior, mentre io non so più chi sono.
Il brivido che ho provato nelle lotte, il desiderio d’imparare, di diventare più forte, l’entusiasmo nel visitare nuove terre e scoprire nuovi Pokémon… Sono pronto a rinunciarvi, per divenire un Maestro? Quali sono i  valori che sceglierò di perseguire?
« È da me che stai cercando risposte, Gon? » il Maestro si è accorto del mio turbamento; la sua voce è calma, il suo volto sereno, in netto contrasto con l’agitazione che ho in corpo.
Sento i capelli rosso vermiglio che poco a poco si inumidiscono a contatto con la mia fronte imperlata dal sudore. Il sole si sta levando nel cielo.
« Ecco, vede… Io desideravo moltissimo unirmi all’Ordine… Fin da piccolo… Qui sono cresciuto… E… »
« Gon » m’interrompe in tono pacato. « Gon, tu sei un ragazzo meraviglioso, ma hai ancora tanto da imparare. »
« No! » senza accorgermene mi alzo in piedi, sgranando gli occhi con disappunto, intuendo dove quel discorso voglia andare a parare. Ormai supero notevolmente in altezza l’altare dedicato a Landorus. « Non sono più un bambino! Sono cresciuto tanto nell’ultimo anno! Sono pronto a prendere una decisione! »
Per la prima volta questa mattina il Maestro socchiude le palpebre e alza il capo verso di me, distogliendosi dalla posizione di preghiera. Sento il respiro affannoso e il cuore pulsarmi con forza nelle orecchie, suggestionato dal suo sguardo penetrante. Anche il vento tace, adesso, e non un respiro rompe il silenzio carico di tensione.
Poi il mio Maestro fa una cosa che non mi sarei mai aspettato: inizia a ridacchiare. Io, ancora preso dal tumulto emotivo, rimango immobile e allibito.
« La giovinezza… » sospira poi guardando il cielo, rivolto a un interlocutore immaginario che condivida la sua ilarità. « Quale meraviglioso mare in tempesta: non si può sperar nella quiete che subito ricominciano i travagli, e la ricerca del porto si perde nel desiderio d’imparare a governare la barca. »
Come spesso mi capitava da piccolo, le parole dell’anziano mi lasciano confuso e mi fanno sentire ingenuo.
« Non è come crede… »
« Sai, ragazzo mio » continua lui con calma, senza darmi il tempo di spiegare. « Quando avevo la tua età, andai nella terra dei padri a ricercar saggezza. »
« Intende Sinnoh? » il mio respiro torna regolare, il Maestro annuisce e fa segno di sedermi accanto a lui. Obbedisco, con qualche esitazione.
« E non solo Sinnoh. Visitai le lontane regioni di Kanto, e di Johto, anche. »
« Come sono? » chiedo, curioso, senza capire dove voglia arrivare con quel discorso.
« Ognuna diversa, a modo suo, ma al tempo stesso tutte unite dalla stessa anima che sento pulsare di vita qui a Unima, e che intreccia i fili del destino del creato. »
« E i Pokémon? »
« Oh, di Pokémon ve ne sono tra i più svariati: alcuni amichevoli, altri ostili. Come da noi, si legano agli uomini, aiutandoli e combattendo per loro. Laggiù si compiono studi per molti aspetti più approfonditi sulla loro natura e sul loro comportamento; se le nostre società comunicassero di più non ho dubbi che avremmo molto da imparare a vicenda. »
Oltre le colline d’erba alta le cascate s’infrangono scroscianti nel fiume. Stormi di Cottonee e di Petitil si destano fra gli alberi, rumoreggiando nella quiete dell’alba estiva. Percepisco la Poké Ball di Serperior, legata alla cinta della mia veste azzurra simile a quella del Maestro, fremere impaziente alla prospettiva della caccia.  Anche gli altri Maestri ormai si sono svegliati, sono usciti nei campi per dare inizio al lavoro e alla meditazione, seguiti dagli adepti più giovani di cui prima facevo parte. Molto presto tutti si accorgeranno del mio ritorno.
Il tempo sta per tornare a scorrere, e io devo prendere una decisione.
« Cosa devo fare? » chiedo ancora più incerto di prima all’anziano saggio che non accenna a volermi dar risposte.
« Ragazzo mio, questa domanda devi farla a te stesso. Tu sei il solo padrone di te e del tuo destino. » Spaesato, il mio sguardo cerca il suo in una muta e disperata richiesta d’aiuto: in vita mia mai mi sono sentito tanto piccolo e impreparato. Ancora una volta, il mio Maestro mi dà risposte a modo suo. « Sai perché ogni giorno il nostro Ordine prega e ringrazia Landorus, Gon? »
Certo che lo so, è una delle prime cose che mi sono state insegnate da bambino. Lo so, eppure intuisco che dietro a questa domanda si cela più di quel che sembra. « Perché Landorus ha reso fertili le nostre terre, portando abbondanza e prosperità, e ha permesso così la vita di umani e Pokémon. »
« Certamente » il Maestro si alza. Il suo volto solcato dalle rughe, incorniciato da pochi capelli bianchi e dalla lunga barba, risplende contro il sole, e la sua figura alta e affaticata dagli anni si staglia con rinnovata imponenza nell’armonia dell’altura nascosta dalle cascate. « Quello che dici è vero. Ma ti sei mai chiesto perché tutto ciò sia così importante? »
Ancora seduto tra l’erba, lo guardo ammirato come un infante, trepidante dell’emozione che precede l’ignoto. So che non devo interromperlo, l’ho imparato in anni e anni di ascolto.
« È importante perché è quel che rende liberi gli uomini e i Pokémon. Landorus ci ha regalato la vita e la possibilità di viverla nel modo che preferiamo, nel rispetto degli altri e con la possibilità di inseguire i sogni e trovare la nostra strada. Ognuno di noi ha un posto a questo mondo, Gon. Il tuo può essere qui, come essere altrove. Non sentirti mai obbligato da nessuno a far scelte che non siano tue. Medita attentamente su chi sei, senza fretta, prendendoti tutto il tempo che riterrai necessario per trovare una risposta. »
Il mio cuore ferma la sua corsa, l’aria torna a riempirmi i polmoni. L’intricata matassa di pensieri che mi affollavano la mente pare sbrogliarsi e farsi più chiara. Finalmente, capisco: capisco di non aver ancora capito niente.
Eppure, va bene così.
Mi tiro in piedi anch’io e seguo in silenzio il Maestro per la valle soleggiata, stando attenti a non incrociare altri membri dell’Ordine o qualche giovane adepto, diretti alle cascate dalle quali son giunto nelle prime ore dell’alba. Non servono parole: entrambi sappiamo che non c’è bisogno di aggiungere altro.
Un lampo di luce rossa all’altezza della mia cintura precede un maestoso Pokémon verde e bianco simile ad un serpente, che si affianca a me nel cammino con espressione fiera.
« Serr ». Serperior ama fare di testa sua, la sua impulsività ci ha spesso messo nei guai durante il nostro viaggio. Ma la preoccupazione per il baccano si acquieta vedendo che nessuno è stato attirato dall’evocazione del Pokémon.
« Tipetto caparbio » commenta il Maestro con un sorriso, appena giungiamo alle cascate. Tengo pronta la Poké Ball di Azumarill, con gli occhi e le orecchie piene del violento infrangersi dell’acqua sulle rocce del fiume sottostante.
« Stiamo lavorando sull’educazione. »
« Serr. »
Il Maestro mi lascia con un ultimo benevolo sguardo, carico di speranze ed affetto. « Sono fiero dell’uomo che stai diventando. Adesso vai, senza voltarti, trova la tua strada e non aver paura di essere meno di ciò che pensi di poter essere. »
Annuisco con lo sguardo lontano. Forse un giorno capirò fino in fondo l’importanza di ciò che intende dire.
Guadando a ritroso le cascate e il fiume che mi separano dalla terra in cui sono cresciuto, con i capelli e la veste bagnati dagli schizzi sollevati da Azumarill, ho la mente piena dei miei ricordi di bambino e il cuore già colmo delle avventure che mi attendono.
Non ho avuto risposte, anzi, forse ho più domande di prima. Chissà se il Maestro ha ragione. Allontanandomi da qui scoprirò qual è il mio posto nel mondo? O mi perderò nel tumulto della vita? Farò mai ritorno?
Comunque andrà, non ho più paura, adesso.  
  
          
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