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[Light Paladin; Racconti] Senza titolo 001.


Light Paladin~

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Milano, 7 ottobre 1942.


 


Ho paura. La mano stretta a quella di mio padre, gli occhi chiusi, il corpo tutto un brivido. E' buio, nella stanza. Sento lamenti e pianti. Non i miei. Il vestito della domenica è sporco. La parete su cui poggia la mia schiena è ruvida.


Credo che davanti a me ci sia la porta. E' da lì che sento provenire dei passi. Dei passi e delle risate.


Come avevo previsto, la porta si apre. La donna che vi era appoggiata cade. Non avranno pietà  né per lei né per il bambino che porta in grembo. Un signore, apparentemente colto, apparentemente distinto, in uniforme verde scuro la prende. Un uomo, probabilmente suo fratello, data l'eccessiva somiglianza dei tratti somatici, la fissa. La fissa in modo disperato, sta per piangere, lo sento, sta per urlare contro quell'uomo in uniforme che la sta trascinando via, sta per dirgli di lasciarla stare e di non provare neanche a toccarla, ma non lo fa. Non potrebbe mai farlo. Non se tiene alla sua vita.


Là , dove ci porteranno tra poche settimane, che però sembrano solo attimi, non c'è posto per i deboli, per coloro che intralciano “Il Sistemaâ€, per coloro che si oppongono. Per questo il tizio in uniforme ha trascinato via la donna che gli occupava il passo, e per lo stesso motivo il presunto fratello non ha mosso un dito.


Sento degli spari, ma nessun lamento. Il gemito proviene, invece, dal fratello -ormai è chiaro che è suo fratello- della donna. Un gemito sommesso, ma pur sempre un gemito.


Sono certa che la morte di quella donna e del suo bambino non servirà  a salvare neanche una delle centinaia di persone rinchiuse nella piccolissima stanza. Neanche me.


Il carnefice, quello vestito di verde, rientra, l'uniforme bagnata da schizzi di sangue. Al suo seguito ce ne sono altri, di uomini in uniforme, forse una dozzina. Mi sembra di vedere anche una donna. Si mettono ai lati della stanza, e poi si avvicinano, costringendoci ad uscire.


Siamo un blocco unico.


Nel lungo corridoio, piastrellato di bianco, vedo ancora il sangue, rosso, quasi porpureo, della donna. Sento incespicare. E' sicuramente il fratello. Si fermerà  dove le chiazze hanno impregnato, ormai per sempre, le mattonelle candide, non riuscirà  a trattenere le lacrime e lo uccideranno.


Non voglio sentire altri spari, quindi aumento il passo. Mi accosto quasi al cane che traina questo gregge di pecore, ma senza avvicinarmi: per quanto un cane possa sembrare mansueto, può sempre azzannarti e staccarti un braccio, se ne è capace. E io credo che questo cane ne sia capace, capacissimo. Lo vedo girarsi, di circa quarantacinque gradi. Mi fissa, coi suoi gelidi occhi verdi. Fa anche una specie di sorriso, da me concepito come ghigno.


Dopo circa cinque minuti arriviamo alla stazione. Il treno è già  lì che ci aspetta: grigio, piccolissimi vagoni. Emana un olezzo terribile. Odora di lacrime, di tristezza, di pianti, di addii, di parole non dette, di fatti non compiuti, di rimorsi. Odora di morte.


Gli uomini e la donna in uniforme ci fanno andare avanti. Formano come una linea dritta, sguardi puntati in alto, chissà  verso dove, corpi rigidi, fucili alla mano. Non devo averli notati solo io, perchè non sono la sola a voler montare sul treno. Lo vedo, negli occhi di tutti: di mia madre, che cerca di rassicurarmi con la sue carezze, di mio padre, irrigidito e freddo, del mio fratellino, che non ha ancora capito cosa stia succedendo, di tutti questi altri poveracci che questi bastardi hanno raccolto. Meglio montare sul treno, che almeno significa qualche ora in più da spendere e una fievolissima speranza di vita, che essere freddati, sul momento, da questi uomini.


Noto che l'uomo che mi aveva fissato confabula con gli altri. Ciò mi preoccupa, e non poco, ma cerco di non darlo a vedere.


BAM!


Lo sento, chiaro, distinto, vicino. Lo sparo. Colpisce un uomo alto, sulla mezza età , pelato, baffi spioventi e occhialetti. Non lo conoscevo. Si porta una mano al petto e cade a terra in un livido lago di sangue.


BAM!


Un altro, questa volta più lontano. Colpisce una donna non altissima, capelli lunghi, neri corvini, raccolti in una lunghissima coda di cavallo. Mia madre. Questa la conoscevo. Mi guarda, mi sorride, cade come un peso morto, cosa che era diventata, obiettivamente. Forse, nella sua testa, si aspettava di essere ricambiata, di ricevere un altro sorriso. No, non potevo. Mi metto a piangere, cercando lo sguardo fiero, forte, di papà . Non lo trovo. Magari è stato ucciso mentre ero troppo presa dal piangere mamma.


-Chele, Chele!-. Il mio fratellino. So già  cosa farà . No, non deve farlo, non può farlo. Sto per urlargli di fermarsi, di lasciare perdere. Troppo tardi. Si mette davanti al gruppo di persone mezze morte e mezze piangenti e mi cerca. Mi trova, sorride, fa per farsi spazio tra la gente, per abbracciarmi quando BAM!, cade anche lui, morto.


Piango ancora di più, e nel frattempo BAM!,BAM! e BAM!. Non me ne accorgo neanche e resto da sola.


Apro le braccia, fisso l'uomo che mi aveva guardata e gli faccio un cenno con la testa. “Forza, spara!â€. Non spara. Si avvicina, e mi chiede come mi chiamo.


-Rachele.-. Fare resistenza non ha senso.


Non mi ha neanche ascoltata. Era intento a tirarsi giù i pantaloni e le mutande, a prendermi violentemente e a farmi mettere in ginocchio. Da quel che potevo vedere, uccidere lo eccitava. Chiudo gli occhi, non posso vedere.


Evidentemente quella donna mi ha salvata.


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Bravissimo!!! Andava già  molto bene prima, ma ora che hai corretto anche le parti che ti ho suggerito è perfetto. Se proprio devo essere pignolo avrei aggiunto una virgola tra "in uniforme verde scuro" e "la prende". 


Comunque, nulla da togliere agli altri, ma il tuo testo è tra i più corretti (se non il più corretto) che ho visto qui, su PM. E tra l'altro la trama prende molto e trasmette tanto. Complimenti!!!!! ^^


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Molto originale e incisivo. Trasmette bene l'angoscia che pervade il racconto.


Una sola cosa però, evita le onomatopee il più possibile. Non sono molto piacevoli da leggere in un racconto.


Se vedi bene il racconto, puoi capire che quei BAM posso essere omessi, magari sostituendoli con delle frasi che rievochino l'immediatezza improvvisa dello sparo :D


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Molto originale e incisivo. Trasmette bene l'angoscia che pervade il racconto.

Una sola cosa però, evita le onomatopee il più possibile. Non sono molto piacevoli da leggere in un racconto.

Se vedi bene il racconto, puoi capire che quei BAM posso essere omessi, magari sostituendoli con delle frasi che rievochino l'immediatezza improvvisa dello sparo :D

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