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[Vulpah] Stranger in Moscow - rincorrere un fantasma venuto da Ovest


Vulpah

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Sto perdendo colpi-


Questa cosa fa schifo.


Stranger in Moscow - Rincorrere un fantasma venuto da Ovest


"How does it feel?


(How does it feel)


How does it feel?


How does it feel?


When you're alone, and you're cold inside?


- Perché non posso uscire?-


- Ma lo sai Michael, è inutile che te lo dico. Quelli sono in grado di fare qualsiasi cosa-


- Prima di tutto, chiamali come vogliono essere chiamati. Loro sono i miei fans, sono il mio amore e mi aspettano lì. Perché non posso prendermi tutto quell'amore? Cosa c'è di male? E poi non vedi che sta piovendo? Loro sono qua sotto, senza ombrelli. Potrebbero ammalarsi, ma a loro non importa. Sono qui, e vogliono amore. Io ho bisogno del loro amore-


Dopo quella parola, il silenzio. Uno sguardo nero, intenso e pieno di sofferenza, cercò di sfidare un paio di occhi vitrei, fermi e convinti nella loro sicurezza. Un ostacolo troppo difficile da superare, e lo sapeva. Ma non aveva importanza. Nonostante tutto, cercava disperatamente un contatto, un patetico scambio di emozioni… sembrava così disperato che si sarebbe accontentato di qualsiasi cenno di interesse da parte sua. Voleva capire ciò che non poteva comprendere.


Sua madre gli diceva sempre che dietro lo sguardo si nasconde la sofferenza di un essere umano, e aveva ragione.


Anche la persona più felice nasconde qualcosa dietro l'ombra dei suoi occhi, qualcosa che cerca di dimenticare per paura di incontrare i fantasmi della sua vita. Ecco perché quando parlava con una persona cercava di guardarla sempre negli occhi: voleva cogliere ogni sua sfaccettatura nei minimi particolari. Distruggere la maschera che sfoggiavano davanti agli altri per nascondere i difetti che tanto temevano.


Eppure, strano a dirsi, era lui che fuggiva dietro la sua timidezza e il suo sorriso dolce per nascondersi, nella speranza di trovare quello che aveva sempre voluto: l'amore. Un diritto sacrosanto per tutti i bambini, tranne che per lui.


No, perché a 5 anni era già  Michael Jackson: il ragazzino con la band, quello si esibiva nei club dei neri prima delle spogliarelliste, di sera. Quando i bambini dormivano. Fino a quando non iniziò a registrare album insieme ai suoi fratelli, credeva di essere un bambino anche lui. 


E invece no: lui era solo un adulto cresciuto troppo in fretta, rinchiuso in un corpo di appena 5 anni. 


Aveva l'impressione che gli stessero privando l'amore che non aveva potuto godere da piccolo. 


Continuava a guardare la sua guardia del corpo. Le braccia sul petto, la sua ombra da dietro si erigeva imponente sulla porta della sua camera d'albergo. Più grande di lui, più alta. Un altro ostacolo impossibile da valicare, avvolto nella penombra della notte . Chissà  cosa a stava pensando, dietro a quegli occhiali da sole e quell'espressione apparentemente insofferente. Magari alla sua famiglia, ai suoi bambini. 


Sospirò, rassegnato. Fece spallucce e provò a sorridere. Si sistemò la sciarpa nera, nascose il naso per sfuggire alla morsa del freddo pungente di Mosca e infilò le mani nelle tasche della giacca di velluto. Nonostante la temperatura esterna fosse di poco superiore allo zero, l'albergo sembrava il più inospitale di tutti quelli in cui aveva soggiornato: era privo di emozioni, privo d'amore. 


E se quel freddo che sentiva era la sua solitudine?


No, non aveva tempo per pensare quanto era solo: lo era e basta. Solo sul palcoscenico poteva sfogarsi con il pubblico, qualora fosse felice o triste. Lì ogni sua emozione sembrava amplificarsi: spesso quando cantava She Is Out Of My Life, si sedeva sul palco, nascondeva il microfono dietro la schiena e piangeva in silenzio, anche se i suoi fan riuscivano a capirlo. Ma loro aspettavano, urlando a gran voce il suo nome. Era impossibile riuscire a nasconderlo, si accorgevano di ogni cosa. 


Diede una pacca sulla spalla della sua guardia del corpo, un gesto che lui interpretò come un invito a spostarsi. Stava per farlo, ma Michael lo fermò. Scosse la testa.


- Brandy, aspetta. Hai ragione- mormorò a voce bassa, per non farlo suonare come un rimprovero  -Allora, facciamo così: io resto in camera finché la situazione non migliora, così possiamo andare a quel ricevimento con il presidente. Tu adesso va a dormire, tra un paio di minuti dovrebbe venire Randy. Gestirà  lui la situazione-


Sembrò sollevato. Sorrise e se ne andò, dopo aver alzato la mano in alto come cenno di ringraziamento. Evidentemente era così contento che non riusciva a trovare le parole: Brandy di solito non parlava mai, se non quando era strettamente necessario. I rimorsi e i rimpianti se li teneva dentro, si consumava nel suo dolore. Teneva alla sua famiglia. In un certo senso, era come lui.


"Il mondo è piccolo: esiste una persona con i tuoi stessi problemi, e spesso è molto più vicina di quanto credi" pensò lui. Gli scappò un altro sorriso, questa volta sincero.


- Salutami Jane appena la chiami, e anche il piccolo, mi raccomando. Non dimenticarti di Dan, ti prego.- disse Michael prima che questi chiudesse la porta dietro le sue spalle. Le sue parole si dissolsero in quel tonfo sordo. 


***


Strinse i pugni velocemente, che le vene marcavano come il delta di un fiume in piena: la speranza che Brandy si sarebbe ricordato di quella promessa era scomparsa con lui. Ci teneva, ma si stava solo illudendo di avere ancora degli amici. Ormai dopo quel giorno era rimasto solo come un agnello immolato al volere dei media. Nessuna delle persone vicine a lui poteva considerarsi suo amico. Avrebbe voluto dei veri amici. Non riusciva a fidarsi neanche delle persone che fino a pochi anni fa, lo avevano sostenuto. Era così difficile entrare nei confini di una finta normalità : viveva nelle menzogne degli altri, viveva circondato da un gruppo di persone pronte ad aiutarlo solo per i loro interessi, perché poi magari avrebbero potuto rilasciare un' intervista con false dichiarazioni sul suo conto solo per guadagnare sulla sua sofferenza. 


Perché non potevano lasciarlo in pace?


Le braccia tremavano: era consapevole della sua debolezza. Era un essere inutile. Allungò un braccio verso di lui, tentando di catturare la sua attenzione, ma invano.


- Brandy! Prima che loro mi umiliassero in quel modo mi facevi sempre giocare con Dan! Lui diceva che era felice, perché allora hai smesso di portarlo con te?- cercò di trattenere le lacrime, la voce rotta dal pianto -… hai forse paura di me?-.


Nessuna risposta, dopotutto se l'aspettava. Chi avrebbe mai voluto rispondere ad un uomo che è inciampato nel suo glorioso percorso, caduto improvvisamente dalle grazie del suo pubblico?


Ora come ora, il corridoio del quarto piano non era mai stato così silenzioso. 


Da quando era arrivato non si poteva dormire in pace nemmeno per un attimo: c'era sempre un viavai affannato di gente che lo chiamava, che agitava confusamente le braccia per richiamare la sua attenzione. Il trambusto generale era uno stress capace di allontanare ogni pensiero, brutto o bello che fosse. Adesso in quel silenzio era solo con le sue paranoie. 


Le luci lunatiche delle lampadine si spegnevano e si accedevano senza che nessuno toccasse l'interruttore: sembrava avessero una vita propria.


Stava forse diventando pazzo?


Quel pensiero, lo stesso che lo tormentava da giorni, era l'unico che adesso lo accompagnava nei suoi passi apparentemente calmi e controllati, mentre la porta si chiudeva violentemente dietro le sue spalle. 


Si lasciò cadere sul letto, distese le braccia per occupare il maggior spazio possibile. Un sospiro a pieni polmoni per trattenere le lacrime. Volle coprirsi il volto con le mani per nascondere un pianto silenzioso, che non avrebbe dovuto sentire nessuno. 


Non aveva fatto nulla di male per meritarsi l'esilio dal resto del mondo.


Non stava diventando pazzo. Non stava diventando pazzo. Non stava diventando pazzo.


Erano solo futili scuse.


La sua unica colpa era quella di essere stato gettato nella fossa dei media, senza potersi riscattare per rialzarsi dalla sua caduta. Perché dopo che l'avevano etichettato come un pedofilo psicopatico ci credevano tutti, anche chi fino a qualche mese fa era suo amico.


"Perché se esce su un giornale, allora gli altri pensano che sia la verità "  mormorò lui tra sé e sé, senza preoccuparsi che qualcuno lo stesse sentendo.


L'unico rumore in quella stanza era quello del suo respiro, a tratti affannoso. Scostò dietro l'orecchio un ciuffo nero finito sul suo occhio. Un sospiro, questa volta più lento e controllato.


Il soffitto era d'un bianco pallido che si imbruniva al limitare dei quattro angoli della stanza per l'eccessiva umidità , che appesantiva ulteriormente l'aria di quella stanza. Era vuoto, insulso, inutile come la sua vita. 


Gettò un occhiata distratta al busto accanto all'armadio, dove di solito metteva l'abito che doveva indossare per i brani di apertura del concerto del giorno dopo. Era nuovamente spoglio, forse per sempre. 


Allungò la mano verso il comodino e prese il New York Times di oggi, che Randy gli aveva portato questa mattina. Sperava ancora che avessero tolto la sua faccia da quello schifo di giornale. 


Appena se lo portò davanti al viso, vide un titolo che non avrebbe mai voluto vedere. Specie in prima pagina, e in grassetto. Saltava subito all'occhio. Il titolo non era dei migliori: sembrava quasi che in questo periodo i giornali affrontavano sempre e solo quell'argomento per accaparrarsi più lettori.


"Michael Jackson reagisce alle accuse di pedofilia con gli antidolorifici. Il suo dottore: ha solo tre mesi di vita"


***


Dannazione, tutte balle. 


Voleva piangere, urlare, voleva gridare a tutto il mondo quanto gli altri fossero ingiusti con lui, ma non poteva farlo. 


Quelle penne avvelenate avrebbero potuto nascondere delle cimici sotto al suo letto, magari per trovare un fondamento di verità  nelle loro menzogne. Potevano essere dovunque e da nessuna parte, potevano fare qualsiasi cosa per trovare un pretesto per scrivere un articolo appetibile. 


Avevano sempre pensato ai loro interessi, ai loro soldi, la loro droga.


Diede un pugno al comodino di legno con tutta la rabbia che aveva represso in questi mesi, da quando era iniziato il processo più ridicolo di questo mondo. 


La lampada per un istante barcollò. Stava quasi per cadere, ma il paralume si bloccò tra il muro e il bordo del mobile.


 Lui non si arrabbiava mai. Fa male arrabbiarsi, si passa dalla parte del torto.


Odiava il dolore della solitudine, cercava di lenirlo in tutti i modi possibili. Più i giorni passavano, più cresceva in lui un fantasma che non l'avrebbe mai lasciato in pace. Barcollò per un istante, ma riuscì a recuperare l'equilibrio tenendo i talloni saldamente piantati a terra. Ormai avevano eretto un muro: da una parte Wacko Jacko, il pazzoide, il personaggio che i mass media avevano creato per screditarlo. L'uomo che gli altri pensavano che lui fosse, l'uomo che non era mai stato.


Ogni tanto quel secondo Michael bussava alla sua porta, e la paura tornava a scorrere nelle vene. Era un personaggio che conviveva in lui, incontrollabile. Pane per i denti dei giornalisti affamati di notizie inesistenti.


Dall'altra parte, il resto del mondo. Era diventato un giocattolo manovrato da altre mani, ma non le sue. E faceva male. 


E il vero Michael Jackson, quello che la gente non ha mai potuto conoscere perché seppellito brutalmente dai giornali era lì, sull'orlo del muro. Era l'ago della bilancia, in bilico tra la pazzia e l'ignoto. Era caduto sui suoi stessi errori, e ancora aspettava il giorno in cui si sarebbe rialzato. Eppure, dentro quel tunnel buio la luce sembrava solo una stupida illusione.


Prese il giornale e lo strappò in due, un urlo soffocato dai singhiozzi fece tremare le finestre da sotto le tende satinate.


Quanti ne avrebbe dovuto distruggere per cancellare dalla mente di ogni singolo individuo quelle menzogne?


Ormai il mondo intero era costruito su un giogo di bugie che fuggiva dalla realtà  senza affrontarla. 


Aprì il primo cassetto, la mano tremava in modo convulso, forse per il nervosismo. Le lacrime gli rigavano il viso, scendevano fino ad arrivare sotto al mento. Sembrava quasi bruciassero del dolore che aveva dovuto sopportare, a partire dall'infanzia.


Prese il barattolo di Lorazepam, un sorriso sofferente gli dipinse il volto, quasi come se fosse sollevato. 


Erano rimaste una dozzina di pasticche: gli sarebbero bastate per quella settimana. 


Quello era il suo modo di affrontare i fantasmi della vita, nonostante gli altri gli avessero ribadito più volte che era un fuggitivo.


Anche se avessero avuto ragione non avrebbero capito il motivo. 


Stappò il barattolo della sua felicità . Buffo pensare che tutto l'amore di cui aveva bisogno entrava a fatica in quel contenitore di vetro.


E invece era vero. Triste, ma tremendamente vero.


Il brusio della pioggia sembrava farsi man mano più frequente, crescendo d'intensità . L'infrangersi di ogni singola goccia sui vetri della finestra veniva scandito dal ticchettio dell'orologio a pendolo accanto allo specchio. 


Erano mesi che non si specchiava, che non incrociava il suo sguardo. Sapeva che avrebbe visto riflesso il suo volto provato; gli occhi spenti, sull'orlo del pianto; il fantasma di se stesso in preda alla disperazione; la sua maschera sorridente, che era riuscito a nasconderlo dalla solitudine della sua vita. In un certo senso, aveva paura di se stesso. Le grida dei fan che prima si accanivano sotto l'entrata dell'albergo per vederlo uscire, si erano spente. Forse se ne erano andati. Michael non poté che biasimarli: se non lanciava dalla finestra qualche bigliettino o qualche cuscino per le sue ammiratrici lui non si divertiva, e nemmeno loro. Tra poco anche lui si sarebbe stato abbandonato dalle uniche persone che gli dimostravano amore.


La cosa più brutta era doversi tenere tutto dentro, abbandonarsi alla fama delle luci della ribalta, dimenticarsi il resto.


Mise la mano nel barattolo di vetro con una calma invidiabile, studiata nei minimi particolari.


La battaglia finale per il suo cervello: aveva superato il limite della tolleranza.


Una pillola bianca lo separava dalla felicità , davanti ai suoi occhi la speranza di iniziare una vita senza sentirsi solo.


Adesso o mai più.


 


Non riuscì a ricordare esattamente cosa fosse successo dopo, a meno che fosse successo realmente qualcosa. Aveva i suoi dubbi. Prima di aprire un occhio per riuscire a prendere coscienza dello spazio che lo circondava, c'era solo il buio, il nulla. Sperava solo di essere ancora nella sua camera. Vivo magari, oppure morto. 


Se si fosse trovato davanti un foglio su cui segnare con una crocetta l'esito del suo destino, non avrebbe esitato e avrebbe scelto la seconda opzione. Meglio morire per ricevere la gloria, piuttosto che vivere portandosi dietro una croce che l'avrebbe seguito fino alla fine dei suoi giorni.


La schiena contro lo specchio, quasi come se volesse fuggire dalla sua immagine riflessa che ripeteva i suoi sbagli, tutte le sue fragilità .


Nascose la testa tra le ginocchia per sprofondare nella sua vergogna, silenziosamente.


Si stava distruggendo da solo per lasciare incombere su di lui il fantasma della sua vita, convinto che non sarebbe mai riuscito a riscattarsi da quella situazione, a gettare la sua maschera.


Aspettava ancora il giorno in cui avrebbe ritrovato quella felicità  persa per strada, che forse sarebbe stata in grado di cancellare il suo dolore.


E piangeva Michael, piangeva lacrime amare senza farsi sentire da nessuno, perché lui non poteva mostrare agli altri le sue debolezze.


Prese il taccuino accanto a lui e iniziò a sfogliarlo velocemente, nella speranza di incontrare un foglio vuoto per scrivere di getto alcune strofe, forse di una canzone. Non voleva tenersi tutto dentro, aveva l'impellente bisogno di esprimersi. Dopo averlo trovato, un sospiro di sollievo. Scarabocchiava delle frasi con la mano tremante, furiosa, ottenendo una grafia pari a quella dei medici.


Macchiava quel foglio bianco con i suoi pensieri insulsi, spesso confusi. Lo macchiava delle sue emozioni, delle sue paure.


Perché, ora come ora, era solo uno straniero a Mosca.


Una persona che voleva semplicemente essere lasciata in pace dal resto del mondo.


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Bello, ben scritto. :)

Ci sono alcuni errori nella parte iniziale, aggiustabili con una rilettura.

Eppure, nonostante sia scritto molto bene, non è riuscito a trasmettermi le emozioni che mi aspettavo.

Paradossalmente la prima parte, anche se vi erano degli errori, è quella che mi ha dato di più.

Originale l'idea, comunque. ;)

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Bello, ben scritto. :)

Ci sono alcuni errori nella parte iniziale, aggiustabili con una rilettura.

Eppure, nonostante sia scritto molto bene, non è riuscito a trasmettermi le emozioni che mi aspettavo.

Paradossalmente la prima parte, anche se vi erano degli errori, è quella che mi ha dato di più.

Originale l'idea, comunque. ;)

Dicevo, era questo che non mi convinceva :1

Boh, non lo so davvero..

Che potrei fare?

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Credo che sostanzialmente tu abbia descritto le sue emozioni mantenendo uno stereotipo.

L'hai etichettato ed hai pensato a cosa potesse provare.

Ritengo che il problema sia proprio quello.

Hai pensato cosa avrebbe pensato e non cosa avresti pensato tu.

Vedi, noi siamo scrittori e, quando scriviamo, mettiamo noi stessi nero su bianco.

Prova a inserire un po' di te stessa.

Spero di essere riuscito a spiegarmi. ;)

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È giusto dedicarsi a lavori più difficili, ci aiutano a crescere.

Per la tua ff, le darò una letta nei prossimi giorni e ti farò sapere.

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Ho trovato la prima parte un po' confusionaria, all'inizio non riuscivo bene a capire chi fosse il soggetto (probabilmente sono solo troppo stanco da avere un cervello funzionante per quel minimo che fa :sweat: ).


Oltre a quotare quante scritto da zeb aggiungerei che ogni tanto sarebbe meglio aggiungere qualche elemento che renda maggiore la presenza della funzione dilatatoria. Serve soprattutto quando si trattano tematiche molto forti e comunque importanti a livello umano. Ad esempio un piccolo annedoto felice o una descrizione per rilassare la lettura. I testi dove prevale maggiormente la sola depressione e infelicità  sono difficili da leggere fino alla fine, e ancor più da leggere ;)


 


Comunque, un consiglio: rimpiccolisci un pochino le dimensioni dei caratteri. Prima scrivevi tutto minuscolo, ora grande :P


 


Noto solo adesso che mi sono completamente dimenticato di commentare la ff. Appena possibile, almeno spero, rimedierò.


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Ho trovato la prima parte un po' confusionaria, all'inizio non riuscivo bene a capire chi fosse il soggetto (probabilmente sono solo troppo stanco da avere un cervello funzionante per quel minimo che fa :sweat: ).

Oltre a quotare quante scritto da zeb aggiungerei che ogni tanto sarebbe meglio aggiungere qualche elemento che renda maggiore la presenza della funzione dilatatoria. Serve soprattutto quando si trattano tematiche molto forti e comunque importanti a livello umano. Ad esempio un piccolo annedoto felice o una descrizione per rilassare la lettura. I testi dove prevale maggiormente la sola depressione e infelicità  sono difficili da leggere fino alla fine, e ancor più da leggere ;)

 

Comunque, un consiglio: rimpiccolisci un pochino le dimensioni dei caratteri. Prima scrivevi tutto minuscolo, ora grande :P

 

Noto solo adesso che mi sono completamente dimenticato di commentare la ff. Appena possibile, almeno spero, rimedierò.

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Ok ragazzi... sono molto contenta delle critiche perché ovviamente non si può campare solo di complimenti. Sono del parere che le tematiche dure se si ha un briciolo di sensibilità  si possono trattare. Però dico, il massimo sarebbe viverle in prima persona. Nella mia ff è decisamente così, quindi credo di essermela cavata meglio. Infatti lì ho inconsapevolmente messo un annedoto decisamente ironico

(Master sa, le nonne :"D)

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Ok ragazzi... sono molto contenta delle critiche perché ovviamente non si può campare solo di complimenti. Sono del parere che le tematiche dure se si ha un briciolo di sensibilità  si possono trattare. Però dico, il massimo sarebbe viverle in prima persona. Nella mia ff è decisamente così, quindi credo di essermela cavata meglio. Infatti lì ho inconsapevolmente messo un annedoto decisamente ironico

(Master sa, le nonne :"D)

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