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[Mispon] Pokémon Rewrite: R&V - Preludio al Contatto


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Gasp. Facciamo questa pazzia.

Questa è una fanfiction che iniziai a scrivere un sacco di tempo fa e che non riuscì mai a pubblicare per un motivo o per l'altro. L'ho scritta, cestinata, riscritta da capo, ricestinata nuovamente ed ora eccomi qua. Per adesso sono riuscito a fare un prologo circa-quasi-decente-ma-anche-no, ma chi mi conosce sa perfettamente che non può aspettarsi una cadenza regolare dei capitoli. Va beh, cominciamo con quello che che mi piace chiamare "Progetto vi faccio venire la depressione".

 

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Pokémon Rewrite: Rosso e Verde - Preludio al Contatto

 

 

Capitolo 0 - Preludio

 

-> Fascicolo N°.015111 del 27 febbraio 1996. Stato: Archiviato

-> Invio

   

"Il nostro mondo è abitato da creature straordinarie, tutte diverse tra loro per aspetto e poteri. Vivono negli habitat più disparati: dalle impervie montagne innevate ai bui fondali oceanici, dalle foreste più selvagge alle grandi metropoli industrializzate. Si dice che alcune di esse riescano a sopravvivere addirittura nelle caldere laviche o nell'immenso spazio aperto. Pokémon: è così che comunemente chiamiamo questi esseri misteriosi e allo stesso tempo affascinanti. Non abbiamo una vera e propria definizione del termine “pokémon”; questa vastissima categoria comprende infatti una moltitudine di esseri viventi (e non) quanto mai incomparabili tra loro. Una cosa tuttavia è certa: è nell'indole di ogni pokémon il desiderio irrefrenabile di lottare contro i propri simili. Si tratta di un vero e proprio istinto innato che ognuno di essi è portato a seguire fin dai primi mesi di vita. Con il tempo alcuni esseri umani hanno instaurato legami di profonda amicizia con i pokémon. Da qui alla situazione odierna il passo è davvero breve: gli uomini iniziarono ad allevare i loro bizzarri compagni e a farli combattere l'un l'altro in competizioni amichevoli, fino a che non si delineò la figura - poi divenuta una vera e propria professione - dell'allenatore. Con gli anni vennero istituite intere organizzazioni, come la Lega Pokémon, volte a testare l'abilità di un allenatore e della sua squadra di pokémon. L'avanzare del progresso tecnologico favorì in modo incredibile questo fenomeno: è oramai passato quasi un secolo da quando fu sviluppato il primo modello di Pokéball, un prodigio della scienza moderna in grado di convertire la struttura molecolare di una qualsiasi creatura in energia e di immagazzinarla in una piccola sfera metallica. Siamo addirittura riusciti a trascrivere in dati informatici le tracce genetiche che codificano per l’esecuzione di un attacco in combattimento. Sembra incredibile da credere ma nonostante questi enormi passi in avanti lo studio dei pokémon da un punto di vista biologico è prossimo allo zero. Tutte le creature attualmente note sono raggruppate da tempo in quindici Tipi specifici, ma queste categorie hanno una validità molto dibattuta se si pensa che gli studi genetici in merito sono pochissimi e poco controllati. Inoltre sono state registrate innumerevoli anomalie nelle relazioni tra i Tipi stessi: sapevate ad esempio che mosse come Raffica o Morso - nonostante siano considerate di tipo Normale - riescono a colpire i pokémon di tipo Spettro normalmente immuni ad esse? O che ancora pokémon come Clefable presentino un’elevata resistenza alle mosse Lotta nonostante siano considerati di tipo Normale? In realtà anche queste informazioni che vi ho appena dato sono lacunose e incerte, ancora prive di una vera e propria base scientifica. Ma ciò su cui mi voglio maggiormente soffermare è l’assenza di nozioni di anatomia, di fisiologia, di etologia, di sistematica. Non disponiamo nemmeno di una teoria evolutiva pertinente. Questo almeno… fino ad oggi. Signore e signori, illustri colleghi, sono onorato di presentarvi ufficialmente il frutto degli studi di una vita: il Pokédex Model-01. Il Pokédex è un’enciclopedia multimediale portatile che si rifà direttamente a tutte le nostre ricerche in campo biologico e fornisce in tempo reale informazioni su uno qualsiasi dei centocinquanta pokémon catalogati nella regione di Kanto. Attualmente quelli che vedete sono modelli sperimentali denominati HANDY505-A e HANDY505-B che verranno testati sul campo da una coppia di allenatori scelti. Alcune influenti aziende hanno già in programma una produzione in serie. Stiamo inoltre lavorando all’ampliamento del database del Pokédex in modo che sia usufruibile a livello mondiale e per ogni specie di pokémon esistente. Dite addio per sempre ai tempi durante i quali l’ignoranza regnava sovrana, accogliete a braccia aperte la nuova era del sapere alla portata di chiunque lo desideri. Crediamo nel Progetto Pokédex, rivoluzioniamo il modo di concepire i pokémon e il nostro stesso mondo!”

 

Il Professor Okido ripose il microfono sull’asta e diede una dimostrazione pratica delle funzionalità del Pokédex. Utilizzando come cavia un pokémon giallo simile a un topo di nome Pikachu, prese il marchingegno e premette vari pulsanti come un forsennato. Non appena l’apparecchio elencò con una stridula voce metallica tutte le caratteristiche di quella creatura, dalle abitudini alimentari alle potenzialità in combattimento, l’anziano personaggio sorrise e si cimentò in un goffo inchino. Tutto era andato per il meglio; un’ondata di applausi fragorosi partì dalla larga platea. Era il delirio: scienziati occhialuti si commuovevano compiaciuti, pezzi grossi della Silph SpA ballavano di gioia pensando ai guadagni incredibili che la nuova invenzione del dottore avrebbe procurato loro, scettici si strappavano i capelli e si mordevano la lingua per non imprecare. Erano tutti talmente entusiasti che non ebbero neanche nulla da ridire su come Okido avesse letto platealmente l’intero discorso da un foglietto di carta stropicciato che si era incollato alla manica del camice. Il Salone Conferenze del Centro di Ricerca di Tokyo non era più stato così chiassoso da quando vennero messe a punto le prime Pokéball.

Avvenne proprio in quel clima allegro e festoso. Dapprima le splendide luci del salone si spensero di colpo; il grosso lampadario ottocentesco che pendeva dal soffitto assunse un aspetto lugubre e terrificante. Il Prof. Okido e alcuni suoi colleghi cercarono in tutti i modi di ristabilire la calma tra i presenti: in fondo era solo un cortocircuito, niente di troppo diverso dall’ordinario. Dopo alcuni minuti un gas denso e scuro iniziò a penetrare dai condotti di areazione collegati al tetto. Il panico si tramutò in angoscia quando gli ospiti potettero constatare come gli ingressi erano appena stati sigillati dall’esterno. Non c’erano vie di fuga: le finestre erano costruite con vetro infrangibile per questioni di sicurezza, il soffitto era troppo alto perché si potesse sperare di raggiungere la sommità dell’edificio. Quel giorno persero la vita centosettantadue persone tra ricercatori, ospiti e personale; tra di essi vi era anche il Professor Yukinari Okido. Non vi fu un solo sopravvissuto e le uniche fonti certe sull’accaduto giunsero alle forze dell’ordine tramite un filmato girato da un telefono cellulare. L’autopsia rivelò che le vittime avevano inalato una potente tossina secreta dagli Weezing, pokémon di tipo Veleno vagamente simili ad una conformazione rocciosa violacea e in grado di fluttuare grazie alle sostanze poco dense presenti al loro interno. Stando alla squadra che si occupò di esaminare la scena fu possibile determinare che un numero non meglio definito di uomini fece irruzione nella struttura dopo aver fatto saltare in aria l’ingresso secondario: tutti i prodotti presentati alla conferenza, compresi i due modelli sperimentali di Pokédex, furono trafugati. Ad oggi il caso è stato dichiarato definitivamente archiviato e non è stato possibile risalire ad alcun colpevole.

   

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Capitolo 1 - Svegliarsi

 

Okido si svegliò prestissimo, alle 5:30 di mattina, come del resto faceva ogni giorno. Il suo piccolo appartamento era un vero disastro: polveroso e umido, con il pavimento ricoperto di vestiti sporchi, avanzi di chissà quale malsano cibo precotto e ciotole per pokémon semivuote; il letto non veniva rifatto da settimane. Ma in fondo cosa poteva importargliene? Non trascorreva se non poche ore in quella topaia e sicuramente non la sentiva come casa propria. Inoltre di certo nessuno avrebbe mai visto quel disordine apocalittico. Al contrario di come ci si potrebbe aspettare, però, Okido teneva molto al suo aspetto fisico: i pochi indumenti che indossava regolarmente erano gli abiti da lavoro, riposti con cura nell’unico armadio sulla parete di fondo. Si lavò con calma, pettinando attentamente i crespi capelli castani. Fatta colazione e dato da mangiare ad Eevee prese alcuni fogli e li ripose in una valigetta grigia; quindi uscì. Abitava al secondo piano di un palazzo nel centro di Yamabuki, a pochi passi dalla Sede Centrale della Polizia di Kanto dove lavorava. Giunto all’altissimo grattacielo di vetro poté constatare come fosse il primo del Dipartimento Anti-Criminalità Organizzata ad arrivare. Erano le 6:20: tutto come al solito. Si sedette alla sua postazione, una scrivania sorprendentemente ordinata, e iniziò a lavorare su alcuni documenti che aveva ricevuto la sera prima. Erano pile e pile di faccende legali e burocratiche da districare, un compito che avrebbe richiesto ore ed ore di ricerche e di procedimenti meccanici. Non succedeva mai niente e Okido non poteva essere più felice. Pian piano arrivarono tutti gli altri membri della sezione: dapprima l’anziano Commissario Po con la sua tipica cravatta sgargiante e i suoi baffi chilometrici. Tra lui ed Okido non c’era un vero rapporto confidenziale; anzi: non c’era proprio un rapporto! Si parlavano solo di rado e solo in ambito lavorativo. Tuttavia il ragazzo provava un certo rispetto per quel vecchio omone possente. Qualche minuto dopo fu la volta di Doiru. Quel quattrocchi strampalato non gli era mai piaciuto: sosteneva di poter individuare un assassino soltanto osservando la scena del crimine per pochi secondi. Peccato che non lo avesse mai dimostrato (e che al dipartimento di rado si aveva a che fare con omicidi di quel tipo). Okido provava antipatia per chiunque non prendesse seriamente il proprio compito. Dopo l’arrivo di molte persone che non conosceva e non gli interessava conoscere, si presentò Christie con la sua solita ora di ritardo. Era una ragazza dai capelli corti e biondi, piuttosto bassa e originaria di una qualche regione dell’occidente di cui Okido non ricordava mai il nome (“Valar, Gatar,… qualcosa del genere. Non mi intendo di geografia, io.”). Essendo piuttosto taciturna era la persona, lì dentro, che il ragazzo era più propenso a sopportare. La giornata passò lenta. Il locale era silenzioso, privo di qualsivoglia interazione tra i suoi ospiti. Ogni tanto Doiru blaterava di “essere il migliore” e di “aver capito tutto”; era in quei momenti che Okido avrebbe voluto distruggere l’intero commissariato. Verso mezzogiorno giunse un rapporto che svelava alcuni dettagli sui collegamenti finanziari tra il Centro di Ricerca dell’Isola Guren e una piccola agenzia mineraria militante. Okido aveva per primo intuito che la quantità di fossili venduti al centro negli ultimi mesi era piuttosto sospetta; effettivamente si era scoperto che l’impresa da cui furono comprati i reperti non possedeva alcuna licenza idonea. Per forza di cose i malfattori li avevano estratti illegalmente dal Monte Otsukimi - unico giacimento fossilifero della regione - e sarebbero tornati lì a breve. La polizia avrebbe semplicemente potuto presidiare la zona e arrestare i colpevoli, ma per questioni burocratiche l’operazione avrebbe tardato di mesi. Bisognava prima dimostrare che l’agenzia fosse in malafede! Nonostante adorasse i tecnicismi, Okido riteneva che la tendenza a rallentare la giustizia a causa delle situazioni formali fosse disgustosa. Pensandoci sussurrò anche un “che schifo”, prontamente udito da quell’idiota di Doiru che lo guardò storto. Verso le dieci di sera tutti erano già rincasati, tranne Okido e il Commissario Po. Il giovane stava rimettendo a posto gli ultimi documenti e archiviando alcuni file. Fu in quel momento che notò qualcosa di molto strano: dal Database Centrale (che egli gestiva direttamente assieme ad altri tre individui al di fuori della sezione) era assente il file relativo all’Attentato di Tokyo. Essendo imparentato con una delle vittime quel fascicolo era sempre in primo piano. Si assicurò di essere connesso con il suo profilo e non riscontrò problemi: stavo accedendo proprio in qualità di Shigeru Okido. La cosa lo turbò parecchio e, non ottenendo risposte dall’ignaro commissario, se ne andò con l’amaro in bocca.

Tolse gli abiti da lavoro e si sdraiò sul letto sfatto. Eevee aveva già mangiato: oramai quel bizzarro incrocio tra un gatto e una volpe aveva imparato ad aprire da solo le scatolette di croccantini, non potendosi fidare dello sbadato padrone. Quella notte l’agente ebbe modo di riflettere su alcune cose. Mentre stava tornando nel suo squallido appartamento vide una bambina giocare con un Vulpix per strada. “È bello che, nonostante tutto, ci siano ancora persone che interagiscono con i pokémon nella vita di tutti i giorni”, si disse tra sé e sé, “Sette anni fa… l’attentato nel quale perse la vita mio nonno fu solo l’inizio di una serie di eventi catastrofici per la nostra società. Il Progetto Pokédex fallì miseramente e i dati inerenti alle ricerche del vecchio andarono perduti; chi ha rubato il due modelli a Tokyo aveva programmato tutto nei minimi dettagli e riuscì a impossessarsi anche delle copie presenti nel laboratorio a Masara. Da allora l’economia iniziò ad essere sempre più riluttante ad accogliere nuove idee di carattere scientifico. In fondo la Silph aveva investito un patrimonio per finanziare il progetto del nonno. La stessa produzione di Pokéball si arrestò in diverse regioni. Di conseguenza le persone hanno cominciato a disinteressarsi ai pokémon considerandoli sempre più vicini a semplici animali domestici. Nonostante istituzioni come la Lega Pokémon siano ancora in piedi si trovano in un periodo di crisi profonda. Sono addirittura sorte comunità di soli umani all’interno della Nazione. Si potrebbe quasi dire che quello stupido di mio nonno con il suo progetto del cazzo abbia portato il nostro mondo alla rovina. Già… era proprio uno stupido. Non mi interessa affatto che sia morto: figuriamoci se ho il tempo di traviarmi per queste cose. Ammetto che all’epoca, quando ero solo un ragazzino, ero piuttosto entusiasta di essere stato scelto come uno dei due beta-tester per il Pokédex. Mi piacevano le lotte tra pokémon, ero abbastanza portato. Mi chiedo cosa stia facendo Red adesso. Cioè, Satoshi (devo smetterla di usare quel soprannome ridicolo). Ma oltre tutto ciò e nonostante non mi importi nulla di lui, c’è qualcosa che non mi torna affatto. Quella strage fu troppo perfetta. Come hanno fatto i colpevoli a sigillare le porte, a introdurre gas tossici dal tetto, a causare un cortocircuito dell’edificio dall’esterno e a piombare dall’entrata secondaria senza essere colti in flagrante? Non ha nessun senso a meno che non si prenda in considerazione l’ipotesi di un complice interno. Ma quel filmato prelevato dal cellulare di una delle vittime è eloquente. Se solo non fosse per quello… E poi cosa diamine è successo oggi al fascicolo? C’è stata una violazione del sistema? Ma no, cosa dico?! Gli altri collaboratori avranno semplicemente trasferito il file ad un altro archivio in quanto il caso è stato archiviato da tempo. Sarà sicuramente così. Accidenti: sto parlando da solo da un bel po’, eh Eevee? Beh, alla fine sono solo chiacchiere futili. Di quel vecchio non mi interessa neppure quindi perché dovrei rimuginarci tanto? Ora voglio solo essere il migliore nel mio lavoro. Buonanotte!”

 

Okido si svegliò svegliò alle 5:30 di mattina, puntuale come sempre. Si lavò e come di suo solito stette una buona decina di minuti a pettinarsi in modo minuzioso. Gettò il “pigiama” sul cumulo di vestiti sporchi e indossò con garbo gli abiti da lavoro. Diede da mangiare ad Eevee, prese l’occorrente per la giornata e piombò fuori. “Oggi sarà una splendida giornata” - si diceva - “Ho delle divertentissime pratiche da archiviare, spinosissime come piace a me!” Proprio mentre mormorava quest’ultima frase entrò nella sala del dipartimento e notò con grandissima sorpresa che non era arrivato per primo: Po e Christie erano già lì che lo guardavano in maniera insolita. “Ma come?! Sono solo le 6:20! Christie, lei non è mai qui prima delle 7:45!” Disse Okido in modo seccato. La donna però non rispose e lasciò parlare il commissario.

“Agente Okido, dobbiamo comunicarle un risvolto degli ultimi minuti inerente a un caso molto particolare.” Quell’uomo riusciva ad emanare solennità dicendo le cose più banali.

“Ma certo, di cosa si tratta?” Disse un po’ intimorito.

“Okido, lei non ha acceso la televisione questa mattina. Non è così?”

“Esattamente. Ma come fa a saperlo?” Non ce l’aveva neanche una televisione.

“C’è stato un annuncio in diretta nazionale. Non autorizzato.”

“Sono riusciti a violare il sistema di sicurezza della Nazione? Ma quanto sono messi male a NTV?” Rispose in modo spavaldo. Stava morendo dentro quando si rese conto che l’aveva detto sul serio.

“La prego di essere serio, agente Okido! È stato un attacco terroristico in piena regola.”

“Va bene, mi scusi. Ma io cosa c’entro in tutto ciò? Non dovrei solo operare sul campo burocratico?”

Il confronto fra i due fu interrotto: “N-Non si tratta del suo lavoro…”

Era incredibile. Christie gli aveva rivolto la parola! Quella Christie! La cosa si faceva sempre più bizzarra e criptica e Okido iniziava a irritarsi seriamente: “D’accordo. Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?!”

Il commissario riprese: “Agente Okido. Visto che non sembra propenso a collaborare glielo dirò in maniera concisa. L’Attentato di Tokyo di sette anni fa è stato appena rivendicato in diretta nazionale da un’organizzazione malavitosa che si è identificata come Team Rocket. Ci tenevamo a constatare che la notizia le giungesse il prima possibile.”

Le pupille del giovane si dilatarono a dismisura. La sua mano destra cominciò a tremare evidenziando un lieve disturbo psicosomatico. Gli succedeva quando era particolarmente sotto stress. Ci furono alcuni minuti di silenzio durante i quali Christie raggiunse il culmine dell’imbarazzo.

“Vada avanti” disse in modo pacato Okido “C’è dell’altro, giusto? O non sareste qui.”

“Sì, è così. Due giorni fa tutti i file inerenti all’attentato sono andati cancellati. In tutto il mondo non vi è più alcuna prova dell’accaduto. Anche le banche dati più segrete e inaccessibili della capitale Tokyo sono state violate facilmente. Ci aveva già fatto caso ieri, non è vero?” Okido annuì senza dir nulla. “E non si tratta solo dei file: giornali, fotografie, registrazioni, qualsiasi cosa che possa anche solo vagamente ricondurre agli avvenimenti di sette anni fa si è dileguata nel nulla nell’arco di poche ore. Questo vuol dire che anche catturando i colpevoli non ci sarebbero prove sufficienti per incriminarli. E non è tutto: ricorda l’agenzia priva di licenza che commerciava fossili con il Centro di Ricerca dell’Isola Guren? Il Team Rocket ha confermato il collegamento anche con essa e questa notte tutti i membri dell’agenzia sono stati trovati morti avvelenati nei loro appartamenti. Ma la cosa più assurda è che anche i documenti relativi a questo caso sono andati completamente perduti. Il rapporto che ieri abbiamo avuto tra le mani non esiste più. Non sappiamo come questo Team Rocket sia riuscito a compiere una simile impresa così poco tempo ed eludendo qualsiasi misura di sicurezza. È un’impresa che sembra trascendere le normali facoltà di giudizio umane.”

Okido batté un pugno contro la parete della sala: “Si può sapere cosa c’entro io in tutto questo?! Non mi interessa del Team Rocket. Non mi interessa dei fascicoli che scompaiono. Non mi interessa di mio nonno! Io sono soltanto quello che archivia le pratiche. Quindi che cosa volete da me!? Cosa?!” Nella sua mente stava urlando fragorosamente quelle parole, ma in realtà non emise che un rantolo incomprensibile. Il tremolio alla mano si era accentuato. Stava piangendo, ma aveva abbassato lo sguardo per non farlo notare.

Il commissario continuò impassibile: “Per vie legali non potremmo fare nulla. Abbiamo le mani legate su tutti i fronti. Per organizzare un processo plausibile ci vorrebbero anni e nel frattempo ai vertici del Team Rocket, ammesso che questo sia il suo vero nome, tutti sarebbero fuggiti al di fuori della Nazione o avrebbero cambiato identità. Sappia che se deciderà di indagare in qualità di privato giustificherò la sua assenza in ufficio. Non c’è altro. Ora ho alcune faccende importanti da sbrigare.” Così l’uomo se ne andò, in maniera del tutto pacata e come se nulla fosse successo, seguito da una Christie attonita e spaventata. Okido si inginocchiò.

Quel giorno rincasò molto presto; non l’aveva mai fatto prima di allora. Restò alcune ore a riflettere. I suoi pensieri confluirono in un ghigno che poteva esprimere un unico concetto: “Nonno, io ti odio. Ma risolverò questo caso. Altrimenti le cose a lavoro si complicheranno. E io esisto solo per il mio lavoro.” Sapeva benissimo di mentire a se stesso.

 

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Capitolo 2 - Acqua rossa

 

Il sole sorse sereno sulla cittadina di Nibi. Un tempo il luogo era poco più che un minuscolo villaggio di poche decine di abitanti a nord-ovest di Kanto ma in seguito alla rivoluzione urbanistica si trasformò in un centro mediamente popoloso. Addirittura la Lega Pokémon, l’associazione che riunisce i più forti allenatori della regione, istituì una Palestra nella città. Seppur la Lega - come qualsiasi tipo di istituzione inerente ai pokémon - fosse in un periodo di crisi profonda, gli abitanti di Nibi nutrivano un certo rispetto per il capopalestra Takeshi. Era un ragazzo alto dai capelli castani che apparivano però quasi sbiaditi, come consumati; i suoi occhi dal taglio incredibilmente netto e le sue forme spigolose gli conferivano un’aria piuttosto matura per la sua età. Si vociferava che la sua famiglia fosse sempre stata assente e che da bambino si fosse dovuto occupare da solo dei nove fratelli minori. Per questo col tempo il suo cuore si indurì sempre di più ed egli finì per rifiutare ogni contatto umano: usciva solo di rado dalla Palestra, ma accettava di buon grado quei rari sfidanti che miravano a sconfiggerlo. Pensandoci era proprio una persona adatta per rappresentare il Tipo Roccia.

Quel giorno Takeshi si svegliò piuttosto tardi (in fondo non aveva nulla da fare). La mattina precedente il Team Rocket aveva fatto la sua apparizione e sembrava aver gettato i media nel caos più totale. Lui però non si preoccupava più di tanto; ciò che succedeva nel mondo esterno gli interessava relativamente. Tutto ciò di cui aveva bisogno era procurarsi cibo e acqua, che si faceva recapitare direttamente in Palestra. Oramai aveva arredato anche una stanza all’interno dell’edificio stesso in modo che non dovesse percorrere quel fastidioso tratto di strada fino a casa. Verso mezzogiorno cominciò a buttar giù qualche riga del suo diario: “Le giornate sono tutte uguali”, scriveva, “Non riesco più a trovare stimoli. Sono tre mesi che non prendo parte a una lotta seria. Potrei pensare di lasciare la carica di capopalestra… ma dove andrei? Questa è la mia casa, il luogo ideale per non vedere altre persone se non sfidanti potenzialmente interessanti. È una noia mortale. La mia indifferenza per questo mondo continua a crescere attimo dopo attimo. In realtà…” Ripose la penna: non aveva più voglia di scrivere. Passò alcune ore disteso a terra senza fare assolutamente nulla; lo sforzo più significativo che aveva compiuto era stata l’osservazione minuziosa della muffa sul soffitto. A pranzo mangiò degli avanzi di alcuni giorni prima, delle vere e proprie porcherie: gallette di riso scadute e durissima carne di Tauros di infima qualità. Dopo il pasto si concesse un “meritato riposo” e si addormentò per alcune ore. Quella era la sua routine quotidiana: Takeshi si svegliava, pranzava, constatava quanto fosse noncurante degli altri e si addormentava. Ma quel preciso giorno le cose andarono in maniera significativamente diversa.

Verso le nove di sera fu svegliato da un allarme assordante: uno sfidante! Gli venne da sorridere in modo spontaneo: “Non potevo chiedere di meglio!” In un secondo momento gli venne da pensare come fosse piuttosto strano che qualcuno si presentasse in Palestra a quell’ora. Ma al giovane bastava scacciare la noia e avrebbe accettato una sfida anche a notte fonda.

Pochi minuti più tardi brillarono abbaglianti le luci del campo di battaglia. Un’arena rettangolare terrosa e con varie rocce sparse era sovrastata da un alto soffitto. Ai lati minori opposti i due contendenti si osservavano. L’avversario di Takeshi era poco più che un ragazzino (o in ogni caso era piuttosto basso); portava una giacca di color rosso acceso e un cappellino con visiera che gli oscurava parzialmente il volto.

“Mi hanno appena informato che hai deciso di affrontare una lotta in singolo sei contro sei nonostante tu sia solo un principiante. Per chi non ha ancora battuto nessuna Palestra esistono delle agevolazioni, sei sicuro di non volerne usufruire?” Chiese il capopalestra, che reputava la cosa molto stimolante. Il rivale annuì senza proferir parola. La battaglia poteva cominciare. All’unisono le Pokéball vennero lanciate e da raggi luminosi si materializzarono due esseri maestosi: da un lato il pokémon di Takeshi, Golem, un ammasso di minerali compatti dai quali era possibile distinguere arti e testa rettiliani; dall’altro quello dello sfidante, Blastoise, una possente tartaruga bipede munita di due cannoni che sporgevano dal carapace; essendo di Tipo Acqua era avvantaggiato su tutti i pokémon Roccia del capopalestra. Al comando di Takeshi il pokémon “megatone” (così erano soprannominati i Golem) batté rumorosamente le zampe al suolo generando un piccolo terremoto che spaccò il terreno dell’arena e alzò un cumulo di polvere. Approfittando del pulviscolo Golem si lanciò sulla sagoma sfocata di Blastoise ad una velocità inaspettata, colpendone il torace con un pugno: era la mossa Sbigoattacco. Una volta a contatto con il pokémon d’Acqua, il bizzarro essere espulse con un’energia inaudita alcuni componenti del suo corpo trafiggendo il nemico con pietre taglienti. Ma in tutto questo Blastoise non arretrò di un centimetro. Takeshi era esterrefatto: com’era possibile? Quel colosso era stato colpito in pieno per ben tre volte! Lo sfidante, che era rimasto in silenzio ad osservare, schioccò le dita. Ciò che succedette in seguito fu sconcertante: la tartaruga emise un ruggito frastornante e in una frazione di secondo puntò una delle sue armi contro Golem, sparando un getto d’acqua ad alta pressione che fece esplodere il guscio pietroso del bersaglio. Ciò che rimase fu una creature inerte, visibilmente poco adatta al combattimento e che a stento si reggeva in piedi: era il nucleo organico del megatone. Blastoise afferrò con le sue fauci quell’ammasso di carne informe e lo dilaniò di due. Takeshi rimase paralizzato per tutta la scena. Uno dei suoi pokémon era appena stato divorato, ed egli non aveva mosso un dito. Per la prima volta dopo tanto tempo provò un’emozione: era paura? No, forse soltanto disprezzo per tanta violenza. Tutto ciò era semplicemente assurdo: in una competizione ufficiale i pokémon non dovevano subire che lievi ferite. Avrebbe dovuto ritirare Golem quanto prima ma il tutto era stato troppo fulmineo, oltre i suoi tempi di reazione. Tornò in sé alcuni attimi più tardi e tutto ciò che riuscì a dire fu: “Ragazzino, la lotta è sospesa. Dichiaro la mia vittoria in funzione dell’infrazione del regolamento da te commessa.” L’avversario schioccò nuovamente le dita. Blastoise stavolta puntò un cannone contro il capopalestra e un getto dalla forza incredibile gli sfiorò i capelli. Takeshi comprese di essere di fronte a un folle; la prima cosa che gli venne in mente fu di scappare, ma si rese conto che l’uscita secondaria era stata appena distrutta dalla stessa Idropompa che un attimo prima aveva rischiato di staccargli la testa. L’unica alternativa che gli restava era la lotta. Non si trattava più di un incontro leale, quindi sfoderò contemporaneamente tutti e cinque i pokémon che aveva a disposizione. Ecco quindi che un unico Blastoise si trovò faccia a faccia contro un Omastar, grosso ammonite preistorico dalle zanne affilatissime; un Kabutops, anch’esso creatura ancestrale, bipede e munita di due grosse lame al posto degli arti superiori; un Aerodactyl, ferocissimo volatile rettiliano estinto in natura; un Rhydon, rinoceronte ricoperto da un’armatura rocciosa durissima e munito di un corno in grado di perforare qualsiasi cosa; e per finire un Onix, il pokémon di punta della squadra, un serpente di pietra la cui lunghezza massima sfiorava i nove metri. Così schierato Takeshi era sicuro di vincere anche contro un avversario di tanto superiore alla norma. Il suo unico timore era che anche lo sfidante adottasse la sua stessa strategia e facesse scendere in campo altrettanti pokémon inarrestabili. Ma seguitò un unico secco schiocco di dita. Era più pronunciato dei precedenti.

Blastoise fece un piccolo balzo e rivolse verso il basso i suoi cannoni. Sfruttando il contraccolpo dei getti sul terreno schizzò verso l’alto e riuscì ad ancorarsi ad una trave del soffitto. Aerodactyl spiccò il volo, mentre Onix riuscì a raggiungerlo estendendo il suo lungo corpo. Ma bastò un attimo perché la tartaruga si gettasse in groppa alla mastodontica serpe. Non potendo quest’ultima raggiungere il proprio dorso senza un sostegno attorno al quale attorcigliarsi, Blastoise ebbe il tempo di sparare un raggio d’acqua ghiacciata trafiggendo il petto della viverna volante, che cadde al suolo. Eliminato Aerodactyl gli bastò bombardare i tre pokémon terrestri dall’alto con altrettanti colpi per metterli fuori gioco. Infine salì sulla testa di Onix e iniziò a colpirla violentemente con le zampe, fino a spaccarla in due. Blastoise divorò i pochi componenti organici del pokémon causandogli una rapida morte cerebrale. Non gli restò che finire Kabutops, Omastar e Rhydon, già allo stremo dopo quel singolo attacco.

La battaglia si era conclusa e lo sfidante avanzò trionfante. Blastoise puntò nuovamente le sue armi contro un Takeshi incredulo e scoraggiato. Un solo pokémon aveva demolito la sua squadra in una manciata di secondi. Ora aveva un cannone che mirava diritto alla sua fronte. Adesso sì: quella era senz’altro paura.

Ma com’era accaduta una cosa del genere? Gli sembrava totalmente surreale. Gli balenò l’idea che fosse tutto soltanto un sogno; ma certo: era così! Evidentemente aveva mangiato pesante la sera prima e ora aveva i sensi di colpa. Si sarebbe svegliato di lì a poco, no? Eppure quel Blastoise era ancora lì.

In un tentativo disperato e con le lacrime agli occhi iniziò ad urlare. Si inginocchiò, digrignò i denti e sbatté i pugni a terra. Alzò della polvere e la inalò per errore. Iniziò a tossire ed imprecare. Batté di nuovo i pugni a terra e stavolta si ruppe le ossa della mano, sbatté contro una roccia e iniziò a sanguinare. Blastoise era ancora lì.

“Chi cavolo sei? Chi? Avanti rispondi!” Oramai piangeva a dirotto, ma lo sfidante non ebbe una minima reazione. “Voglio delle risposte! Non può finire tutto così! Devi dirmi cosa sta succedendo! Ti prego… Dimmi qualcosa. Parla!” Ottenne solo il silenzio. Blastoise era ancora lì.

“È questo che mi merito quindi? È… perché mi sono convinto di odiare le persone? Perché ho nutrito questo sentimento di indifferenza verso il mondo che ora deve capitarmi tutto ciò? Ma io… non voglio che accada nulla. Io stavo bene!” Aveva iniziato a delirare. “Mi piace la mia vita. È calma… tranquilla. Ho tutto ciò di cui ho bisogno. Perché vuoi sottrarmi a questa situazione di felicità? Perché non può essere tutto come ho deciso?! Sai, io ho provato ad avere contatti con delle persone in passato. Ma nessuno è riuscito a darmi quella serenità che scaturisce dalla solitudine. Dimmi, è forse sbagliato?” Blastoise era ancora lì.

“Ma in fondo, non è quello che ho sempre voluto?  Sì! Io voglio stare lontano da tutti e da tutto. Vi odio, mi fate tutti ribrezzo. Non avete alcuna utilità! Siete tutti uguali ai miei genitori: l’ho sempre saputo. Anche tu, che credi di essere così forte. Sei soltanto un illuso. Un povero illuso. Soltanto io sono degno di esistere. Ma non merito questo mondo disgustoso. Esatto: grazie, per avere esaudito il mio desiderio” Takeshi iniziò a ridere di gusto. Ma stava ancora piangendo. Sentì il corpo venire trapassato, le ossa rompersi, il cuore fermarsi. Blastoise scomparve e lui cadde sorridendo. Non sorrideva da anni.

 

Lo sfidante si avvicinò al cadavere di Takeshi. Anche lui stava piangendo, sotto la visiera che gli oscurava lo sguardo. Con la mano sinistra fece un gesto che sembrava emulare una croce; con la destra, schioccò le dita: Blastoise neutralizzò in un attimo le cinque telecamere dell’edificio. Il misterioso ragazzo fece rientrare il mostro nella Pokéball e prese una bomboletta spray rossa. Al centro dell’arena il messaggio era chiaro:

 

TR

 

Il giorno seguente tutti al Dipartimento Anti-Criminalità Organizzata di Yamabuki discutevano sull’identità del misterioso assassino. Il Commissario Po manteneva la sua aria severa, ma lasciava trasparire per la prima volta una leggera inquietudine. Sapeva benissimo che non potevano agire fino a che non si sarebbe appurato il collegamento del caso con la recente comparsa del Team Rocket, anche se quanto ritrovato in Palestra lasciava spazio a poche interpretazioni. Questo voleva dire che qualora quel killer fosse divenuto seriale non si sarebbero mobilitati prima del secondo o terzo omicidio. Doiru invece sparava teorie a caso provando ad affermare che dietro l'accaduto ci fosse nientemeno che il Governo della Nazione, ovviamente condendo il tutto con dei “sono il migliore” e “mi ci è voluto un attimo per capirlo”. Christie era silenziosa come al solito, ma dovette vomitare un paio di volte dopo aver visionato le immagini della scena del crimine. Tuttavia tra quella schiera di agenti assorti nel caso e nelle loro faccende Okido era assente: oramai era in viaggio da due giorni.

 

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Capitolo 3 - Il cammino dei bambini

 

“27 febbraio 1996: durante un convegno scientifico al Centro di Ricerca di Tokyo perdono la vita centosettantadue persone. Le vittime inalano un gas tossico introdotto tramite il condotto di areazione principale, mentre le uscite vengono sigillate dall’esterno. Non vi sono sopravvissuti e le uniche informazioni sull’accaduto sono ricavate tramite il telefono cellulare di un malcapitato. Tutte le telecamere di sicurezza vengono messe fuori uso da un cortocircuito che interessa il solo edificio. È stato possibile determinare che un numero non precisato di uomini abbia fatto irruzione in un secondo momento facendo saltare in aria l’ingresso secondario e trafugando dell’importante materiale di ricerca. L’avvenimento, ricordato come Attentato di Tokyo, non fu inizialmente rivendicato. Ad oggi è impossibile determinare alcune dinamiche dell’accaduto, come i metodi che i criminali hanno usato per eludere la sorveglianza o per sigillare indisturbati gli ingressi.”

“14 novembre 2003: 5:50 di mattina; viene trasmesso un messaggio non autorizzato in diretta nazionale. L’Attentato di Tokyo di sette anni prima viene rivendicato da un gruppo terroristico chiamato Team Rocket. Durante la diretta l’organizzazione conferma anche il proprio legame con un traffico illegale di reperti fossili ad opera di un’agenzia militante che operava sul Monte Otsukimi. Poco dopo i documenti relativi all’attentato scompaiono dai database di tutto il mondo; la stessa sorte è riservata ai fascicoli inerenti al caso del contrabbando di fossili. Inoltre, i presunti membri dell’associazione militante decedono nei loro appartamenti in seguito all’assunzione di sostanze velenose. Questo parallelismo permette di poter affermare senza ombra di dubbio che le due vicende siano collegate e che la rivendicazione di entrambi i reati non costituisce una falsa pista. La Nazione ha deciso di non divulgare nulla in merito alla scomparsa dei file e all’attacco dei database mondiali, anche in funzione dell’assenza di prove a sostegno del fatto. Ho deciso di tenere questo diario per avere le idee più chiare durante le indagini da privato e per avere almeno un documento tangibile che riporti gli avvenimenti in maniera fedele.”

Era mattina presto e Okido stava scrivendo queste pagine su un mezzo pubblico. Per la prima volta dal momento della sua assunzione non si era presentato in ufficio! Aveva deciso di andare a controllare di persona la situazione al Monte Otsukimi. In realtà non si aspettava grandi risultati: dal momento che i trafficanti di fossili erano stati eliminati era probabile che quello del contrabbando fosse soltanto un modo per dare credibilità alla rivendicazione. Era piuttosto inverosimile invece che il Team Rocket utilizzasse il giro come fonte di guadagno: un’organizzazione tanto potente da mandare in crisi il sistema di sicurezza mondiale e capace di far volatilizzare come per magia milioni di fonti cartacee non punta di certo a trarre qualche misero profitto dal mercato nero - considerando anche la rarità della merce! In ogni caso Okido si era deciso a dare un’occhiata: avrebbe magari incontrato qualche testimone (“non potendo più contare su documenti e cronaca, la memoria umana è l’unica fonte sulla quale affidarsi”, pensava). Per giungere al monte da Yamabuki era prima necessaria una sosta nella città di Hanada a nord, per poi deviare verso ovest e giungere alla catena montuosa che separa la metropoli da Nibi. Nonostante il tragitto fosse breve, la strada percorsa era piuttosto tortuosa e l’arrivo a Hanada era previsto per non prima di un’ora. Nell’attesa a Okido balenò alla mente qualcosa di buffo: si ricordò di quella volta che andò in gita a Johto con la classe della Scuola dell’Obbligo. All’ora avrà avuto dieci o undici anni e non aveva memorie nitide di quel giorno; tuttavia ricordava perfettamente che per scacciare l’immensa noia che provavano durante il viaggio in treno lui e l’amico Red (il cui vero nome era Satoshi, ma tutti utilizzavano quel soprannome per riferirsi a lui) si erano divertiti a inventare una storia con ognuno dei passeggeri del loro vagone. All’epoca Red era un gran chiacchierone e adorava perdersi nelle sue bizzarre fantasie: i due bambini così fecero comparire su quel treno un coraggioso e astuto agente segreto con un grosso cappello a cilindro e un innato senso della giustizia; si trovava lì con il suo fidato assistente, un omaccione paffuto e tutt’altro che sveglio che probabilmente aveva solo una gran voglia di addentare un panino, ed era diretto in una città lontana allo scopo di ottenere dati riservatissimi da qualche uomo particolarmente potente. Non sapeva però che un altro passeggero, un’anziana ed elegante signora vestita di rosa, era in realtà una spia nemica pronta comunicare le informazioni a un’organizzazione malvagia! A quel punto… com’è che continuava la storia? Okido non lo ricordava, ma gli venne istintivamente da sorridere. Chissà come mai si era messo a pensare all’infanzia proprio ora che aveva deciso di mettersi in viaggio!

Perdendosi in quei pensieri non si era neanche accorto di essere già arrivato a Hanada: il tempo era letteralmente volato. Si trattava di una serena cittadina percorsa da un bellissimo e limpido fiume di cui gli abitanti andavano particolarmente orgogliosi. Nonostante fosse un centro mediamente popolato non si sentiva parlare molto del posto. L’ultimo avvenimento degno di nota si verificò alcuni anni prima, quando un’immensa fonte di energia venne rilevata in una grotta vicina; non fu mai determinata la causa di quel picco e ancora oggi quell’evento resta avvolto nel mistero. La cultura popolare però ricorda Hanada per un altro motivo: la capopalestra della città, Kasumi, era infatti un’abilissima nuotatrice. In poco tempo aveva polverizzato ogni record in cinque specialità differenti ed era riuscita addirittura ad ottenere un permesso per competere nei tornei maschili (vincendo ogni singola volta). Di lì a poco avrebbe dovuto partecipare ai campionati mondiali dei “400 metri misti” e i riflettori del mondo sportivo erano puntati su di lei.

Okido decise di fare un giro per alcuni quartieri di Hanada prima di incamminarsi verso il Monte Otsukimi. La sua intenzione era quella di partire nel primo pomeriggio, ma fu inaspettatamente rallentato: pochi minuti dopo aver messo piede in città si sentì chiamare da una voce impastata e fastidiosa. Si voltò e notò un uomo dalla stazza enorme, all’incirca della sua età. Aveva occhi minuscoli e dei capelli neri tirati all’indietro che emanavano un’aria sudaticcia. Il collo era sommerso dagli strati di grasso che quello strano soggetto aveva accumulato.  “Shigeru! Vecchio amico, da quanto tempo!” Disse l’uomo in tono amichevole. Okido non ricordava neanche chi fosse, ma stava male al solo pensiero di dover conversare con un altro essere umano al di fuori delle questioni lavorative (”una perdita di tempo”, si era sempre detto). Inoltre detestava chi si prendeva la confidenza di chiamarlo per nome; “Shigeru” non lo metteva affatto a suo agio. Dopo alcuni attimi di silenzio la cosa iniziò a farsi imbarazzante e fu costretto a replicare: “Ehm… buongiorno. Perdonami ma al momento ho molti pensieri per la testa e mi sfugge il tuo nome. Quando ci siamo visti?” Sì, non sembrava esageratamente sgarbato.

Il grosso omone cominciò a ridere di gusto: “Ma come, Shigeru? O forse preferisci che ti chiami Green? Sono Rikakei! Rikakei Otoko!”

Okido si illuminò, ma adesso era furioso per quello stupido soprannome. Lo odiava, era iniziato come un gioco tra ragazzini e nel giro di poco tutti quanti i suoi conoscenti cominciarono a chiamarlo Green. Cercò di calmarsi e rispose: “Ma certo, Otoko! Eravamo in classe insieme durante gli anni della Scuola dell’Obbligo, giusto?”

“Esattamente! Non ci vediamo da così tanto. Dimmi, sei ancora bravo nelle lotte tra pokémon come un tempo?” Sembrava entusiasta di rivedere una persona con la quale non aveva praticamente nessun rapporto. Okido non lo capiva per niente.

“No, ho smesso anni fa. Ho ancora alcuni pokémon con me ma li utilizzo soltanto in caso di autodifesa. Faccio parte del Dipartimento Anti-Criminalità Organizzata e potrebbero servire; ma per il resto sono stufo di lottare.” Lo disse con un tono piuttosto malinconico. Non era da lui.

“Non avresti mai parlato così quando ci frequentavamo! E Red invece come sta?”

Okido preferì sorvolare sul fatto che non si erano mai frequentati. Tutta quella confidenza lo stava facendo implodere d’ira; cercò comunque di mantenere il suo solito tono distaccato: “Intendi Satoshi? Non lo vedo da un po’ in realtà. Ma sai perfettamente cosa successe quella volta, quando… beh, quando smise di parlare.”

“Capisco, allora farò meglio a non tornare sull’argomento. Piuttosto: cosa ci fa un poliziotto in questo posto? Qui non succede mai niente degno di nota.”

Ovviamente Okido non poteva specificare che stava investigando in qualità di privato né che cercava di arrivare al Team Rocket; per questo si limitò a dire: “Devo condurre alcune indagini presso il Monte Otsukimi. Contrabbando di fossili, roba piuttosto noiosa.” Sperava con tutto il cuore che quell’insolito personaggio replicasse con un saluto e che ognuno proseguisse per la propria strada. Ottenne esattamente l’effetto opposto: “Ahahahahahah! Incredibile! Assurdo! Strabiliante! Beh Green, sappi che questo è il tuo giorno fortunato. Si dà il caso che io sia uno dei paleontologi più illustri della regione e che proprio domani debba condurre alcune ricerche sul Monte Otsukimi. Non posso di cerco permettere che tocchino i miei preziosi reperti. E chi meglio di me potrebbe aiutarti in un compito simile? Mi ci vedo bene sai? Il colto e bellissimo assistente dell’Agente Green! Ma sì, è deciso: stasera vieni a dormire da me e domani mattina ci incammineremo verso il monte!” Aveva fatto tutto da solo. Okido aveva letteralmente voglia di morire. Il solo pensiero di passare un secondo di più con quell’individuo gli faceva venire la nausea. Tuttavia la sua parte razionale prevalse: se Otoko era un ricercatore come diceva, si sarebbe potuto trovare presso il giacimento fossilifero più volte e - per quanto sembrasse stupido fino al midollo - potrebbe essere stato testimone dei malaffari dell’agenzia. Inoltre avrebbe potuto dargli qualche informazione sulla dinamica degli scavi illegali. Per finire, affiancato da un ricercatore aveva un alibi inattaccabile nel caso qualcuno gli chiedesse perché un agente di polizia stesse indagando senza un mandato o un’autorizzazione di alcun tipo. Con immenso dolore e quasi piangendo, soffocando un urlo in un sospiro, rispose: “Va bene. Credo che possa essere funzionale alle indagini. Ma non chiamarmi Green.” Otoko sorrise compiaciuto: “Bene Green, seguimi: prima svolgiamo alcune faccende e poi ti porto alla mia umile dimora.”

Il paleontologo viveva in un trilocale piuttosto squallido nella periferia di Hanada. L’illuminazione era pressoché nulla e senza un orologio era impossibile determinare anche approssimativamente l’orario lì dentro. Vi erano vari fogli sparsi ovunque che trattavano di questioni anatomiche degli organismi preistorici. In una teca piena d’acqua vi era un bizzarro organismo blu all’interno di una conchiglia. “Cos’è questo coso?” chiese incuriosito Okido. “Quello è un Omanyte, un pokémon estinto che un giorno evolverà in Omastar. L’altro invece è Kabuto, anche lui organismo preistorico e riportato in vita grazie al potere della scienza; evolverà in Kabutops.” Disse Otoko cercando di emulare - con pessimi risultati - il tono dei presentatori dei documentari naturalistici che chiunque ha visto per sbaglio almeno una volta nella vita. “Aspetta… l’altro?” Okido non fece neanche in tempo a formulare la domanda che avvertì un dolore lancinante alla gamba: un piccolo pokémon piatto dal dorso marrone gli stava mordicchiando la caviglia. Con un calcio scaraventò la creatura contro il muro e questa tornò nell’acquario assieme al cugino. “È un tenerone, non trovi?” Aggiunse ingenuamente il ricercatore. Okido preferì non rispondere.

Quella sera mangiarono alcuni avanzi e della carne di pessima qualità. Tutti prodotti a cui Okido era abituato. Nonostante non sopportasse per niente la persona che aveva di fronte trovava confortante l’idea che ci fossero altri nella sua stessa condizione. Tendeva sempre a nascondere il suo collasso, ma la sua disordinatissima stanza rispecchiava perfettamente il caos che da alcuni anni aveva in testa. E la casa di Otoko gli ricordava irrimediabilmente la sua. Gli venne da pensare che forse oltre quel sorriso ingenuo e quell’atteggiamento da sempliciotto i due non fossero poi così diversi; semplicemente tendevano a nascondere i propri problemi in maniera differente. La notte passò tranquilla; il padrone di casa dormì nel suo grosso e comodo letto mentre Okido fu relegato al divano in salotto (che era anche la cucina e la camera da pranzo).

La mattina seguente l’agente era già sveglio dalle cinque: evidentemente la concezione di “mattina” che Otoko aveva era diversa dalla sua, visto che dovette farlo alzare a suon di Kabuto. Verso le sette i due ultimarono i preparativi e presero un autobus che li avrebbe condotti direttamente alle pendici del Monte Otsukimi. Era passata circa mezz’ora dalla partenza quando Okido ricevette un aggiornamento dal dipartimento di polizia tramite il telefono del lavoro. Sobbalzò in un primo momento, ma poi si rese conto che finalmente aveva una pista e non poté che ritenersi avvantaggiato dalla notizia: sembrava che il capopalestra Takeshi di Nibi fosse stato assassinato la sera prima da un misterioso sfidante ricollegabile al Team Rocket. Cinque delle sei telecamere della Palestra erano state neutralizzate; l’unica intatta era posta in modo da non riprendere mai in volto l’assassino. Tuttavia video e audio erano stati perfettamente conservati e Okido poté esaminare l’accaduto dal telefono stesso. Guardata la registrazione gli si gelò il sangue; non per la brutalità estrema della scena, ma perché aveva notato un particolare che lo fece arrivare ad una conclusione per lui ripugnante. Sussurrò qualcosa come: “L’omicida non ha detto una parola. Non sarà… Che diamine stai combinando, idiota?” Poi impallidì una seconda volta. Dal fondo dell’autobus udì una voce femminile, anziana ma ferma: “Arcanine, attacca con Lanciafiamme!”

 

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Capitolo 4 - Quel fulmine che squarciò il mare

 

Kasumi si svegliò all’alba. Viveva in una grande villa a nord di Hanada che aveva fatto edificare personalmente; il patrimonio accumulato dalla ragazza in pochi anni era immenso: tra il ruolo di capopalestra della città e le varie competizioni nazionali di nuoto era diventata un’autorità conosciuta in tutto il mondo. Aveva esordito a soli quattordici anni in una gara regionale di 200 metri stile libero femminile, riuscendo non solo a classificarsi in prima posizione ma addirittura a doppiare il record dell’associazione sportiva di cui faceva parte. La sua notorietà si consolidò quando - surclassando ogni primato di tutte le specialità femminili - ottenne un permesso speciale per partecipare agli eventi maschili. Da allora non perse una singola gara e di ciò andava particolarmente orgogliosa.

Quella mattina Kasumi bevve soltanto una tazza di caffè, all’interno del quale disciolse alcune pasticche bianche. Aveva instaurato un regime alimentare ferreo in funzione dell’evento che si sarebbe tenuto di lì a pochi mesi: i campionati mondali di 400 metri misti. Per prepararsi al meglio si allenava ogni giorno per dieci ore consecutive nella Palestra di Hanada, che aveva la doppia funzione di piscina olimpionica (Kasumi era infatti specializzata nell’utilizzo di pokémon di Tipo Acqua). Nonostante non avesse mai perso alcun confronto era piuttosto in ansia per quella che sarebbe stata l’occasione definitiva per consolidare la propria supremazia. Nell’ultimo periodo soffriva infatti di forti mal di testa e sbalzi d’umore che avrebbero potuto compromettere la sua performance!

Subito dopo la “colazione” la ragazza fece visita alla sua Stanza dei Trofei: ben trecentoquarantadue riconoscimenti custoditi gelosamente in delle teche infrangibili. Kasumi ricordava ogni singola coppa vinta e la posizione di ciascuna di esse all’interno della sala. Il numero esorbitante di vittorie l’aveva costretta a dover ampliare il locale più e più volte e stava già programmando di sfondare la parete di destra per permettere la collocazione di un altro centinaio di trofei. Ogni giorno l’atleta si fermava dieci minuti a contemplare i suoi successi, sorridendo compiaciuta.

La ragazza si diresse in Palestra alle sette di mattina e lì aveva intenzione di restare fino a sera inoltrata, presa dalle sue esercitazioni. In effetti era piuttosto raro che uno sfidante si presentasse in Palestra di quei tempi; il disinteresse per le lotte tra pokémon si era consolidato a tal punto che oramai gli incontri ufficiali non venivano neanche più trasmessi dagli emittenti televisivi! Tuttavia il rigido piano di allenamento di Kasumi fu bruscamente interrotto, quel giorno, verso le otto di sera. Si presentò in Palestra un ragazzino piuttosto basso, con una giacca rossa e un cappellino con visiera che gli gettava una lieve penombra sul volto. Lo sfidante non disse una parola: fece segno alla capopalestra, che in quel momento si trovava sul lato della piscina opposto all’entrata, di volere uno scontro sei contro sei. Kasumi si vide costretta ad accettare - in fondo era il suo compito e se si fosse sottratta avrebbe sicuramente perso l’occasione di visitare la piscina ogni giorno. “Benvenuto alla Palestra di Hanada. Da quanto ho capito desideri uno scontro a piena potenza. Ne sei sicuro? Perché non mi dici quante medaglie hai?” Esordì. Il ragazzino scosse lentamente la testa. Alla capopalestra parve un atteggiamento piuttosto strano, ma cercò di non dar troppo peso alla cosa. Voleva chiudere la sfida in fretta. “D’accordo allora! Sarà una sfida sei contro sei! Cominciamo!”

Kasumi schierò il suo Seaking, un grande pesce dalle squame prevalentemente rosse e un duro corno sul cranio. L’avversario invece scelse un Raichu, la forma evoluta di Pikachu, un grosso topo in grado di generare potenti scosse elettriche. Il pokémon dello sfidante doveva affidarsi unicamente alla stabilità di alcune piattaforme che - galleggiando a pelo d’acqua - davano l’opportunità di lottare anche alle creature terrestri. La prima mossa fu della capopalestra: ordinò a Seaking di avvicinarsi al nemico muovendo l’acqua della piscina sfruttando la mossa Cascata e poi di attaccare con la potente tecnica Megacorno. Raichu fu colpito, ma sembrò reggere bene il colpo e scattò fulmineo su una piattaforma vicina. “Che te ne pare? Megacorno è un attacco pressoché sconosciuto ai più, è stato riconosciuto ufficialmente soltanto da un paio d’anni. Ma io lo padroneggio da ben più tempo; in questo modo i miei avversari fanno sempre fatica a prevedere le mie mosse… e a quanto pare tu non sei da meno!” tuonò spavalda Kasumi. Lo sfidante non sembrava accennare ad alcuna reazione.

I Seaking non sono pokémon particolarmente veloci, ma in quell’ambiente Kasumi era in netto vantaggio: ad un secondo ordine dell’allenatrice il pokémon iniziò a girare rapidamente attorno all’avversario con il tentativo di eludere le sue difese e trovare un punto cieco, per poi gettarsi su di esso con un balzo e finirlo con Megacorno. In quell’istante lo sfidante schioccò le dita tre volte: Raichu afferrò con la sua lunga coda il corno del pesce in una frazione di secondo e iniziò a produrre un quantitativo di energia elettrica incredibile. Le scintille della mossa Fulmine erano addirittura visibili ad occhio nudo per quanto fossero potenti! Seaking si contorse su se stesso, emanando dei versi disumani. Kasumi era intenzionata a tutti i costi a ritirare il pokémon prima che subisse troppi danni, ma per qualche ragione la sua Pokéball non rispondeva ai comandi. Dopo qualche secondo le si palesò davanti uno spettacolo raccapricciante: le squame del pesce saltarono in aria mostrando gli strati muscolari interni; gli occhi gli uscirono dalle orbite e si carbonizzarono poco dopo. Il suo Seaking si estinse, esplodendo in una massa informe di organi interni e tessuto sanguigno. La ragazza non riuscì a reggere il colpo e iniziò a vomitare sconcertata. Lo sfidante schioccò due volte le dita e Raichu gettò la coda in acqua; generando nuovamente potenti scosse elettriche, sfruttò l’arena come un vero e proprio superconduttore: chiunque avesse sfiorato quella piscina sarebbe morto sul colpo fulminato! Dopo alcuni minuti Kasumi, ancora terrorizzata per quanto accaduto, dichiarò conclusa la lotta a causa di una gravissima infrazione del regolamento. Lo sfidante non disse ancora nulla; si limitò a battere un piede a terra. A quel comando Raichu scattò ad una velocità impressionante verso la capopalestra. Dapprima colpì con una mossa elettrica le cinque Pokéball rimanenti, mandandole in cortocircuito temporaneo. Successivamente alzò la coda e, in un battito di ciglia, trafisse la spalla sinistra della ragazza. Ci furono alcuni attimi di silenzio tombale. Ad un certo punto Kasumi iniziò ad urlare per il dolore con le lacrime agli occhi. Il ragazzino iniziò ad avvicinarsi alla capopalestra, proseguendo con passo lento sul bordo perimetrale della piscina. Quando fu a non più di un metro di distanza la ragazza chiese, singhiozzando e strillando allo stesso tempo: “Chi sei?! S-sei stato tu ad uccidere Takeshi?!” Nessuna risposta. Continuò: “Perché stai facendo tutto questo? Che cosa abbiamo fatto per meritarci qualcosa di così orribile?” Ancora silenzio. “Ti prego. Ti prego… non farmi del male. N-non voglio morire. Non posso morire adesso. Ti prego!!” Lo sfidante era ormai accanto a lei. Le stringeva la spalla, ancora infilzata dalla coda di Raichu, che iniziava a perdere una quantità di sangue preoccupante. Kasumi guardò per la prima volta il suo volto. Gli occhi in particolare, sempre oscurati da quel cappello, la colpirono. A un primo impatto sembravano quelli di una persona disperata: anch’egli stava piangendo, e non di certo di dolore! Ebbe l’impressione che stesse soffrendo per tutto il male che stava causando. Ma osservandoli meglio quegli occhi erano in realtà vuoti. Negli anfratti più profondi dell’animo di quella persona regnava il distacco, una condizione disumana che gli conferiva un’aria estranea a questo mondo. Sembrava un essere maledetto, morto da tempo, totalmente deteriorato nel suo io più intimo. Tutte queste sensazioni vennero trasmesse a Kasumi in pochi istanti, come se fossero state effettivamente inviate da qualcuno; qualcuno che stava gridando aiuto con tutta la forza rimastogli.

Il ragazzino alzò la mano: si stava preparando per schioccare le dita un’ultima volta. Fu però inaspettatamente interrotto da una voce maschile: “Tutto ciò è davvero molto interessante. Maledettamente interessante, oserei dire!” Dall’ingresso principale era entrato un uomo alto, vestito in abiti neri ed eleganti e con una costosa bombetta sul capo e che correggeva la sua postura con uno sfarzoso bastone in legno pregiato con rifiniture dorate. Il viso allungato, il naso aquilino e la carnagione violacea comunicavano un’indole astuta e meschina. “Scusate per l’interruzione. Mi presento: il mio nome è Fronesis. Sono un investigatore privato.” Udite quelle parole lo sfidante si mise sulla difensiva: battendo due volte il piede a terra, fece estrarre a Raichu la coda dalla spalla della capopalestra e utilizzò la mossa Fulmine per mettere fuori gioco le telecamere dell’edificio. Fronesis sorrise guardandolo quasi con una certa pena: “Non c’è bisogno di essere tanto irruenti. Perché non provi a rilassarti un po’?” Il ragazzino abbassò ancora più del solito la visiera del cappello, ma non disse nulla. Il detective continuò: “Cosa c’è, hai perso la lingua? O sei solo molto preoccupato? Ti stai forse chiedendo quale sia stato il tuo errore? Come io sia riuscito a intercettarti in tempo? Eppure ti eri assicurato di sigillare magneticamente la porta!” Iniziò a ridere in modo bonario (era piuttosto fuori luogo). “D’accordo. Che ne dici di una scommessa? Voglio lottare contro la tua squadra di pokémon. Nel caso dovessi vincere non solo ti rivelerò come mi sia stato piuttosto semplice trovarti, ma ti lascerò anche andare! In caso contrario però ti metterò fuori gioco per un po’ e ti consegnerò alle forze dell’ordine. Sai, c’è una bella taglia sulla tua testa dopo quello scherzetto alla Palestra di Nibi! Allora, accetti?” Lo sfidante continuò a tacere come aveva sempre fatto. “Non ti fidi eh? In questo caso mi trovo costretto ad aumentare la posta in palio. Guarda: queste sono le mie sei Pokéball. Puoi prenderle!” Le gettò con forza dall’altro lato della piscina “Io combatterò a mani nude. Ti alletta l’idea?”

Lo sfidante - o per meglio dire l’assassino - fu piuttosto colpito da quel gesto nonostante non lo diede a vedere in alcun modo. C’era qualcosa che non gli tornava, ma in quel momento non poteva che stare al gioco e approfittare del primo attimo buono per darsi alla fuga. Era relativamente sicuro di non essere stato visto in faccia, quindi uccidere quel pazzoide non era strettamente necessario. “Oh, giusto. Quasi dimenticavo una cosa: sappi… che vincerò questa battaglia!” Disse sicuro l’oppositore. In quel momento il ragazzino notò quanto fosse sinistra e penetrante la sua voce. C’era qualcosa di inquietante in lui. Schioccò le dita in maniera più lieve rispetto al solito e in un baleno Raichu balzò da una piattaforma all’altra per poi gettarsi alle gambe dell’uomo: era Attacco Rapido. Egli però fece un rapidissimo salto laterale ed evitò il colpo diretto: i suoi tempi di reazione erano fuori dal comune. Il pokémon, infuriato per essere finito con la testa sul pavimento, iniziò a generare potenti scariche ad alta tensione; normalmente avrebbe gravemente ferito chiunque gli si fosse avvicinato! Tuttavia Fronesis avanzò con passo fermo verso la creatura senza fare il minimo sforzo. Prima che il topo elettrico potesse fare alcunché l’investigatore prese con forza la sua coda e la sollevò da terra, poi sorrise compiaciuto. Raichu iniziò a dimenarsi sentendo i propri muscoli atrofizzarsi, poi cadde al suolo rigido e inerte facendo cessare le scosse. L’assassino restò fermo per tutta la scena, poi richiamò la creatura esausta nella sua Pokéball. “È stato piuttosto semplice!” constatò Fronesis “Mi è bastato osservare lo scontro di poco fa contro quel Seaking. Raichu utilizza la sua coda per scaricare la tensione elettrica nel terreno o in un conduttore che poggia su di esso - come l’acqua della piscina o un corpo umano. Se la coda rimane sospesa in aria c’è il rischio che vada in cortocircuito, così com’è successo. Probabilmente non sarebbe bastato così poco in condizioni normali, ma quest’esemplare è più potente di qualsiasi cosa abbia mai visto: e proprio per la sua forza eccessiva mi è stato così semplice metterlo al tappeto! Generando scariche elettriche di tale portata il tuo Raichu deve effettuare la messa a terra costantemente!” Dall’altro lato della struttura il ragazzino continuava a non proferir parola, ma adesso era visibilmente turbato: era sull’attenti, probabilmente intento a ponderare con attenzione le sue prossime mosse. “Ti chiedi perché non abbia riportato ferite? È più banale di quanto pensi! Sapevo di trovarti qui e dal momento che hai utilizzato un pokémon d’Acqua o comunque in grado di sferrare una mossa di quel tipo alla Palestra di Nibi - come rivelato dall’autopsia del cadavere di Takeshi - ho ritenuto che ci fossero alte probabilità che avresti optato per un pokémon di Tipo avvantaggiato per fronteggiare Kasumi. E come sai bene il Tipo Elettro è l’unico adeguato assieme all’Erba. In altre parole c’erano il 50% di possibilità che ti presentassi qui con un pokémon in grado di generare scariche. Di conseguenza non ho fatto altro che conciarmi per l’occasione: tutto il mio vestiario, dai guanti al copricapo, è costituito unicamente da gomma ultra-isolante! Adesso, che ne dici di procedere nel nostro combattimento?” Per circa trenta secondi nessuno dei due disse nulla. Fronesis, evidentemente divertito, osservò: “No? Non vuoi più lottare? Ma come, ti arrendi così? Guarda che potrei offendermi! Aspetta… non dirmi che…” Scoppiò in un’altra risata, ancor più fuori luogo della precedente “Ho capito! Non ci posso credere, che magra figura! E io che credevo che potessi essere interessante! Tu non puoi più lottare, non è così? Tutti i tuoi pokémon evidentemente hanno una stazza troppo grande per sfruttare le piattaforme di questo edificio senza che qualcuno le allarghi meccanicamente come avviene per gli sfidanti regolari e anche il bordo-vasca è troppo sottile. Secondo la mia ipotesi dovresti avere almeno un pokémon d’Acqua, ma ti sei neutralizzato da solo: la piscina esaurirà del tutto l’energia elettrica generata da Raichu tra minimo quaranta minuti! Saresti tentato di venire verso di me e attaccarmi con uno dei tuoi pokémon in modo da sfondare l’ingresso principale, ma hai paura di farlo: hai osservato i miei riflessi all’opera contro l’Attacco Rapido della tua bestia e adesso temi di non essere abbastanza agile. Se è davvero così, sei soltanto uno stupido sprovveduto!” L’omicida adesso era con le spalle al muro; iniziava a tremare e a battere velocemente il piede destro a terra. Fronesis fece un grande balzo in avanti e atterrò su una delle piattaforme galleggianti. Proseguendo in questo modo fu in pochissimo tempo dall’altro lato della piscina, faccia a faccia con il ragazzo: adesso sì, che l’aveva visto in volto! “Direi proprio di aver vinto. Ora, se non ti spiace, preferirei che facessi un riposino: ti ho preso!” Così dicendo alzava il pugno nel tentativo di colpirlo in testa e tramortirlo. Ma proprio in quel momento l’avversario prese una Pokéball dalla tasca e fece materializzare tra lui e l’investigatore un possente drago alato con la coda avvolta dalle fiamme! Fronesis indietreggiò leggermente mentre la possente creatura sfondava il soffitto con un getto di fuoco fuoriuscito dalle sue fauci. Il dragone volò via con in groppa il suo allenatore.

                                    

Alcuni minuti dopo, nei cieli presso Hanada

S.: “Il bersaglio non è stato neutralizzato. Sono stato intercettato. In ogni caso, la missione è andata a buon fine.” -> Invio.

W.: “Sei stato visto in faccia?” -> Invio

S.: “Temo di sì. Invierò i dati sull’intruso al quartier generale il prima possibile.” -> Invio

W.: “D’accordo, per adesso dirigiti Kuchiba come stabilito.” -> Invio

S.: “Ricevuto! Chiudo.” -> Invio

 

 

Fronesis, ancora nella Palestra di Hanada, si esibì in una terza grassa risata: “Meraviglioso! Adesso tutto inizia a quadrarmi! Devo ammettere di averti sottovalutato: non avevo pensato ad una simile evenienza. Eppure era ovvio che avessi ancora un pokémon a disposizione, che ti avrebbe permesso la fuga. Semplicemente non volevi usarlo se non al momento opportuno, in quanto se lo avessi messo fuori gioco saresti stato spacciato. Così hai sfoderato quel Charizard solo una volta avvicinatomi a te. Mi hai fatto credere di aver vinto e in tal modo ho abbassato la guardia. Ma non è certo questo giochetto da due soldi ad avermi sorpreso: no! Tu non hai obbedito a quella cosa! Questo non solo spiega il tuo mutismo ma mi permette anche di ipotizzare il tuo movente. Preparati, misterioso individuo: avrò la mia vendetta. Non posso permettermi di perdere neanche contro un mio simile. La prossima volta sarò ben più prudente.” A quelle parole si introdusse una voce fragile e spenta: “M-m-mi aiuti, la prego!” Era Kasumi, rimasta per tutto il tempo sul lato opposto all’entrata, accasciata a terra, con le lacrime agli occhi e la spalla ferita. Oramai aveva perso molto sangue e iniziava a sentire il corpo venir meno. Con le ultime forze tentava di sopravvivere: “Chiami aiuto!” Fronesis la guardò severo: gli era scemato ogni entusiasmo. Si accovacciò accanto la ragazza e cominciò a parlarle lentamente: “Signorina Kasumi, dico bene? Sa, vorrei tanto venirle incontro. Io sono un suo grandissimo ammiratore! Ho seguito ogni suo evento. Potrei affermare che per me è proprio un onore incontrarla. Però… oh, che cosa abbiamo qui?” Indicò un filamento dei muscoli della spalla ferita, oramai fuoriuscito per quanto il taglio fosse profondo “Ma guardi… il muscolo non è affatto rigido. Lei è rilassatissima, eppure non mi sembra che i nervi siano stati sfiorati. Questo mi porta a credere che lei stia assumendo sostanze che stimolano l’attività muscolare quando posta sotto sforzo e che la riducono quando non richiesto. Ma come? La grande Kasumi, atleta prodigio, ha vinto tutti quei premi tramite sporchi sotterfugi? Questo è un peccato gravissimo!” Si fermò per un attimo, poi riprese con la stessa lentezza: “Il suo alito ha un odore familiare. Le assume attraverso il caffè, non è così? Devo dire che lei non riesce proprio ad accontentarsi. È come una belva che ha un unico pensiero per la testa: deve mangiare, mangiare sempre di più. Lei si nutre con la fama e con i trofei che accumula giorno dopo giorno ed è disposta a tutto pur di raggiungere il suo scopo. La invidio parecchio! Adoro le persone come lei, così determinate. Ma ho idea che se un fattaccio del genere si venisse a sapere la sua reputazione precipiterebbe. Noi non vogliamo che accada ciò, dico bene? Allora senta cosa le propongo: lei adesso morirà qui e io scriverò la sigla “TR” con il suo sangue proprio vicino al suo corpo senz’anima. In questo modo la polizia sarà consapevole che quel ragazzo è il responsabile della sua morte e inizieranno a cercarlo in qualità di assassino seriale. Non appena lo troveranno io potrò vendicarmi della sconfitta subita oggi e lei, mia cara Kasumi, sarà stata utile alla causa. Sarà una martire! Non è fantastico? Oh ma, se rifiuta posso sempre chiamare aiuto. No? Perfetto: allora vado, mia cara Kasumi. Ho alcune informazioni da riferire a un amico.” Era morta dissanguata mentre parlava, circa a metà del discorso.

 

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Capitolo 5 - Temperanza

 

Il treno era incredibilmente silenzioso. Il viaggio a Johto era giunto al termine e tutti i bambini erano crollati in un sonno profondo dopo qualche minuto dalla partenza. Anche la maestra in realtà non dava l’impressione di essere sull’attenti. Gli unici due pasticcioni che tenevano ancora gli occhi aperti erano Red e Green. “Mi sto annoiando a morte!” disse il primo “Ehi Green, giochiamo?”

“E a cosa vorresti giocare qui? Non c’è proprio niente da fare. Al massimo possiamo gettare qualcosa sulla testa della maestra e incolpare Otoko.”

“Non mi pare un buon piano. Che ne dici di questo invece?” Red indicò due passeggeri seduti poco più avanti “Secondo te chi potrebbero essere?”

“Sono soltanto due signori…” Green non aveva di certo un’immaginazione irrefrenabile.

“Non ti stai impegnando per niente! Va bene, inizio io: quello alto sta chiaramente nascondendo qualcosa. Potrebbe essere un agente di polizia in missione per qualch…”

“Agente segreto” lo interruppe l’amico “Gli agenti segreti sono molto più fighi dei poliziotti. E poi ha un grosso cappello a cilindro, tipico degli investigatori eccentrici.”

“Ma… non ha nessun cappello a cilindro!”   

“E allora? Usa l’immaginazione, Red!”

“Mi stai prendendo in giro?”

“Sì. Ora continuo io: lui è qui perché ha ricevuto delle informazioni segretissimissime dai suoi superiori. Si sta recando in un luogo remoto per scambiare queste sue conoscenze con un uomo misterioso. Chissà, magari quest’individuo potrebbe essere d’aiuto all’intera umanità grazie ai suoi segreti. In fondo il nostro agente è davvero una persona giusta e leale.”

“Non si potrebbe dire lo stesso del suo paffuto assistente, sedutogli accanto. Ho come l’impressione che stiano facendo squadra solo per una fortuita coincidenza. Non vedi come sta morendo dalla voglia di addentare un panino al prosciutto?”

“E che mi dici invece della donna in rosa seduta dietro?”

“Oh, brutta storia! È un’anziana signora che ha un ruolo molto importante in un’organizzazione malvagia. Vuole liberarsi del nostro agente per evitare che raggiunga il suo scopo.”

“Ma come fa a sapere che 007 si trova qui? Non sarà stato abbastanza attento a nascondere le sue tracce?”

“Ma cosa dici, Green? Non capisci? La pista su cui stava indagando era soltanto un diversivo! L’organizzazione malvagia lo ha condotto su questo autobus di proposito per osservarlo da vicino e stroncare la sua voglia di giustizia sul nascere!”

“Cosa stai dicendo, Red? Siamo su un treno!”

“E allora? Usa l’immaginazione, Green! Gli autobus sono molto più fighi.” Il bambino fece la linguaccia ed entrambi scoppiarono a ridere.

“Coraggio, lascio finire te, Red: sei sicuramente più bravo a dire stupidaggini.”

“Non offendere il mio estro artistico. D’accordo: l’anziana signora in rosa attacca all’improvviso, sfoderando un Arcanine. L’enorme segugio sputafuoco sfascia il mezzo in corsa con un potente Lanciafiamme. Non sembrano esserci feriti e l’agente riesce a evitare l’attacco con agilità. Decide allora di lottare anche lui (nonostante non lo facesse da tempo) e manda in campo un Sandslash: il riccio di tipo Terra è avvantaggiato sul nemico di Fuoco. Si susseguono scoppi ed esplosioni incandescenti da un lato, terremoti e piogge di detriti dall’altra. Sandslash sembra avere la meglio, ma la donna non fa una piega: si dimostra sicura di sé, tiene sempre lo sguardo sul giovane avversario. Improvvisamente inizia ad avanzare a passi lenti e ponderati verso il pokémon Terra e - con un gesto fulmineo - lo colpisce con il suo bastone da passeggio, che si rivela una potente arma estensibile. Sia l’allenatore che il suo pokémon abbassano la guardia e Arcanine, ferito, ne approfitta per indietreggiare: al comando della padrona afferra tra le sue fauci l’ingenuo assistente, rimasto accasciato a terra dopo il primo attacco, e gli spezza la spina dorsale. In quel momento di disperazione giungono varie pattuglie di polizia attirate dalle forti esplosioni, accompagnate dalle grida di dolore dell’uomo: sono i rinforzi del nostro agente, che soccorrono i due malcapitati. La donna è costretta a fuggire, ma non prima di augurarsi una rivincita! L’assistente ha riportato ferite gravissime e il suo superiore si sente a pezzi; nonostante non l’avesse mai sopportato, soltanto adesso iniziava a capire che non era pronto a vedere altre persone andarsene per sempre.”

“Sei il solito esagerato… E a me Sandslash non sembra un riccio.”

 

Okido non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Assieme a Otoko era stato scortato fino alla vicina città di Nibi dopo quel tragico episodio della mattina precedente. Egli era stato molto fortunato, non avendo riportato ferite gravi; lo stesso non si poteva dire per il suo compagno: quell’Arcanine lo aveva letteralmente spezzato in due. Ora si trovava ricoverato nell’ospedale locale, ancora incosciente. I medici erano sicuri che ce l’avrebbe fatta, ma era probabile che alcune sue funzioni motorie sarebbero state gravemente compromesse. Okido non riusciva a capire perché si sentisse così a pezzi. Non aveva mai dimostrato di provare affetto o anche soltanto simpatia per quella persona; eppure adesso aveva soltanto una gran voglia di piangere. Non era riuscito a fare niente per aiutarlo: il suo Sandslash aveva combattuto bene, ma senza le direttive di un bravo allenatore anche il pokémon più forte ha vita breve in un combattimento così cruento. Oramai si era dimenticato come si lottasse davvero. In realtà, con lui un po’ tutto il mondo l’aveva fatto. Tutti tranne Red, gli venne da pensare. Okido in quel momento si trovava nella stessa città nella quale due giorni prima si era consumato il brutale omicidio del capopalestra Takeshi. Inoltre aveva appena ricevuto la notizia che il giorno precedente, proprio mentre era impegnato a combattere contro quella donna, la capopalestra di Hanada era stata trovata morta nella sua struttura secondo le stesse modalità del primo caso. Stavolta, tuttavia, non erano state lasciate telecamere intatte. Il dubbio atroce che il colpevole di questa serie di omicidi disumani fosse il suo amico d’infanzia lo aveva attanagliato sin da quando era sull’autobus: quel pazzo era sparito dalla circolazione anni prima, nessuno sapeva dove si trovasse in quel momento; ma soprattutto l’assassino non aveva detto una parola, così come Red era sfociato in un inquietante mutismo dopo quel giorno. Certo, poteva essere una coincidenza: magari il colpevole era semplicemente muto dalla nascita, oppure era stato in silenzio per non lasciare tracce neanche sul suo timbro vocale. Però c’era qualcosa che non gli tornava, una sensazione orrenda che gli dilaniava lo stomaco.

“Sei molto pensieroso!” Disse un uomo vestito di nero seduto in sala con Okido, quasi in penombra “Che cosa fai qui in ospedale a quest’ora del mattino?”

“Una persona che conosco è stata ricoverata ieri. Non conoscono la gravità delle sue ferite.”

“Capisco. Brutta faccenda. Ti va di dirmi cos’è successo?”

“Scusi, ma lei chi sarebbe?” Okido non era certo il tipo da mettersi a chiacchierare con un perfetto sconosciuto.

“Oh, che sbadato! Il mio nome è Apollo Loxias e sono il fondatore di questo posto.” Okido sobbalzò dall’imbarazzo.

“M-Mi scusi infinitamente, signore. Non volevo affatto risultare scortese.”

Apollo sorrise. Ora che si era avvicinato erano ben visibili i suoi insoliti capelli turchesi.

Okido continuò: “Ieri mattina siamo stati attaccati da una donna e dal suo Arcanine, mentre stavamo viaggiando in autobus. Era incredibilmente forte: stavolta potevamo seriamente rimanerci secchi.”

“Mh… cosa ricordi di questa donna? Per caso ti ha detto il suo nome?”

“Nulla del genere. Era vestita di rosa e aveva un lungo bastone bianco che ha usato come arma; da quanto ho osservato è probabile che quell’oggetto abbia un meccanismo di molle all’interno che gli permette di allungarlo a piacimento. Ma ciò che mi ha colpito di più è stato il suo atteggiamento durante lo scontro: sicurissima di sé, non un passo falso, non una mossa fuori posto. Era così equilibrata… non so come spiegarlo in realtà. Era…”

“Era la perfetta rappresentazione della temperanza umana.” completò Apollo. “Ma ora dimmi una cosa. Hai detto che siete stati attaccati su un mezzo pubblico, giusto? E cosa ne è stato degli altri passeggeri?”

“Non c’era nessun altro a bordo. L’autista sta bene, fortunatamente: quando la donna ha attaccato il suo Arcanine ha fatto esplodere solo la parte inferiore del veicolo.”

“Che fortunate coincidenze!” A Okido parve di notare un lieve sorriso sul volto dell’uomo. “Grazie per esserti aperto, ragazzo mio. Adesso mi tocca scappare: ti lascio ai tuoi pensieri!” E dicendo ciò si allontanò dalla sala.

Quell’incontro era stato stranamente piacevole. Apollo gli era sembrato proprio una brava persona - e Okido raramente emetteva giudizi di questo tipo. Adesso però doveva interrogarsi sul da farsi. Il suo tentativo di visitare il Monte Otsukimi si era rivelato un fallimento. La spiegazione più logica era che quella donna appartenesse al Team Rocket e che la faccenda dell’estrazione di fossili fosse un’operazione minore utilizzata al doppio scopo di ricavare denaro e di diversivo da usare contro i curiosi. Aveva sottovalutato la situazione: un’organizzazione in grado di violare i sistemi di archiviazione dati di tutto il mondo non si sarebbe di certo lasciata sfuggire i suoi movimenti. Ma come? Come erano riusciti ad intercettarlo così in fretta? C’era sempre qualcosa di strano. Quella maledetta sensazione. Inoltre, ora come ora poteva davvero sperare di sconfiggere il Team Rocket? Si era dimostrato totalmente impotente davanti quel singolo avversario. Doveva diventare più forte! Sì, era questa la strada giusta: “Devo tornare a Yamabuki. Lì devo vedere quella persona, ma sarà meglio non far sapere niente al dipartimento; nel giro di un mese riuscirò a diventare un allenatore degno di questo nome. Satoshi: se hai intenzione di continuare con la tua strage insensata, allora sappi che sarai costretto a rallentare. Ci sono soltanto altri sei capipalestra e presto le tue mosse diverranno facilmente prevedibili. Da Yamabuki posso facilmente raggiungere Kuchiba e Tamamushi, oltre che Shion. Devo soltanto sperare che durante il mio allenamento tu vada abbastanza lento da lasciare scoperta una delle due città, o abbastanza veloce da permettermi di capire precisamente quale sarà il tuo prossimo obbiettivo. E quando ti catturerò mi spiegherai ogni cosa. Otoko: mi dispiace di non essere riuscito a fare nulla per te. Mi sono rivelato proprio un pessimo compagno di viaggio. Ma sappi che la farò pagare a quel demone incarnato! Nulla sarà vano: aspetta solo un altro po’.”

 

Dipartimento Anti-Criminalità Organizzata di Yamabuki

“S-Signore. Come dobbiamo comportarci?” Christie sembrava particolarmente volenterosa in quei giorni. Di certo non era mai riuscita a parlare tanto.

“Come ho già detto, abbiamo le mani legate fino a quando i poteri forti non constateranno lo status di omicida seriale.” Il Commissario Po era alterato per quella faccenda. Ma ovviamente non lo dava a vedere.

“Ma stiamo scherzando? Siamo già al secondo caso di assassinio di capopalestra in due giorni! Si tratta chiaramente di una cospirazione del governo architettata per insabbiare l’orrenda politica internazionale degli ultimi anni!”

“Doiru, sta zitto.” Il commissario non sembrava in vena di idiozie quel giorno.

In quel momento un uomo entrò nella sala: “Posso suggerirvi io che cosa fare? Buongiorno, mi presento: mi chiamo Fronesis, sono un investigatore privato.” Detto ciò, sorrise in modo quasi spasmodico.

 

Luogo imprecisato

“Mia eccellentissima carità.”

“Vedo che sei tornata tutta intera. Dimmi, com’è andata la tua prima mansione?”

“Purtroppo ci sono stati degli imprevisti. Colui che è noto con il nome di Shigeru Okido non ha riportato ferite fatali.”

“Capisco. Ma non è questo l’importante, non devi preoccuparti. Ciò che conta è che tu abbia accumulato esperienza. Credimi quando ti dico che se lo avessimo voluto quel giovane non sarebbe neppure mai venuto al mondo.”

“Sì, mia eccellentissima carità. Attendo ulteriori istruzioni.”

“Va pure, Sofrosine. Ben presto avrai altri incarichi molto importanti da portare a compimento.”

Detto ciò la donna si esibì in un inchino e uscì dalla buia sala.

“Imprevisti. Che ingenua. Mi chiedo se il Messaggio non abbia interferito anche su questo amaro insuccesso. Ma presto tutto finirà.”

 

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Capitolo 6 - Le radici di un conflitto

 

“Takeshi è stato ucciso il 15 novembre. Il giorno dopo anche Kasumi è stata ritrovata priva di vita. Oggi è il 20, è passato molto più di quanto mi sarei aspettato. Mi chiedo che cosa tu abbia combinato in questi quattro giorni. Forse qualcosa non è andato per il verso giusto? Eh, brutto bastard0?”

L’uomo era seduto a terra con le gambe incrociate. Aveva una corporatura robusta, sembrava tenersi molto in forma per uno della sua età. Il portamento militare, i capelli biondi squadrati, lo sguardo fermo e penetrante non lasciavano spazio a interpretazioni: il suo spirito era quello di un soldato temprato dalla guerra. Dall’altro lato dell’arena il ragazzino con la visiera abbassata lo fissava con attenzione. Stava studiando la situazione in attesa di fare la sua mossa.

“Non preoccuparti. Qui ci siamo solo io e te. Dopo aver saputo quello che hai fatto non avrei mai potuto mettere in pericolo i miei uomini come se nulla fosse successo. Ma non credere di ritrovarti di fronte a uno sprovveduto: giocherò tutte le carte che ho in mano per schiacciarti. Ti farò provare un dolore mille volte superiore a quello che hai provocato ai miei compagni.”

Non ottenne risposta. L’intruso si guardava attorno, probabilmente alla ricerca delle telecamere di sicurezza. “Se non hai intenzione di dire nulla allora lascia che sia io ad avere l’onore di fare la prima mossa. Tu lo sai già ma il mio codice morale mi impone di presentarmi: io sono Mathias Surge, capopalestra di Kuchiba specializzato nel Tipo Elettro.” E così dicendo premette il pulsante di un telecomando che estrasse dalla tasca dei pantaloni.

Di colpo dal pavimento fuoriuscirono numerosi cilindri. Il ragazzo indietreggiò rapidissimo: erano dei generatori di corrente ad alta tensione ed egli si trovava proprio nel bel mezzo dei flussi. Un passo falso e sarebbe morto folgorato in pochi istanti. Surge si alzò ed estrasse numerose Pokéball da uno scompartimento che si apriva dalla parete di fondo della Palestra. Dai dispositivi fuoriuscirono decine di pokémon della stessa specie: erano delle sfere metalliche in grado di levitare, con un grande occhio al centro e due calamite collegate al corpo principale; alcune di esse erano organizzate in gruppi da tre. Si trattava di Magnemite e Magneton. I pokémon si disposero in cerchio attorno l’assassino, legandosi tra loro sfruttando la forza attrattiva delle calamite, e iniziarono a ruotare a gran velocità. Avevano generato una vera e propria tempesta magnetica: le orecchie del ragazzo iniziavano a fischiare, quell’attacco gli stava causando un fortissimo mal di testa. La distanza tra i generatori era troppo breve perché potesse schierare un pokémon di grandi dimensioni senza che questo venisse danneggiato dai flussi e lo sciame di Magnemite riduceva ulteriormente lo spazio di manovra. Se voleva uscire da quella situazione doveva pensare a una strategia. I generatori erano quindici, disposti su tre file parallele; se il pavimento fosse stato un piano cartesiano, la corrente avrebbe percorso un tragitto che collegava i cilindri sull’asse verticale e su quello orizzontale. Non li collegava sulla diagonale, o sarebbe stato già colpito in pieno, ne sembrava estendersi al di sopra dei cilindri in quanto non interferiva con i Magnemite. Si delineavano così otto “caselle” approssimativamente quadrate separate le une dalle altre da intensi flussi di corrente. Egli si trovava nella casella di fronte al capopalestra, ma nella fila più distante.

MRJVlCE

Ragionando sulla disposizione di quella trappola mortale al ragazzo balenò in testa un’idea.

Lanciò una Pokéball verso l’alto, al di sopra della schiera di nemici: a mezz’aria si materializzò Raichu. In quell’istante pokémon e allenatore incrociarono i propri sguardi. Non c’era bisogno di parole, la bestia intese subito la strategia del suo compagno osservando la posizione delle sue mani. Invece di toccare il suolo il topo elettrico utilizzò la coda per aggrapparsi ad un Magnemite. Gettandosi in avanti, riuscì a portare il pokémon calamita al di fuori dello sciame principale e atterrò a qualche metro di distanza dal suo allenatore. Adesso Raichu e Magnemite si trovavano in una “casella” della trappola differente da quella iniziale, si erano spostati in avanti a sinistra. Surge osservò la posizione del mostro avversario e si preparò al contrattacco. Si diresse di nuovo verso la parete di fondo per scegliere la sua prossima arma. Quando si voltò, però, l’assassino era di fronte a lui. Tirò un pugno sorprendentemente potente per un ragazzino e il capopalestra cadde al suolo, di fianco. Il tonfo ruppe in mille pezzi il telecomando con cui prima erano stati attivati i flussi, che si dissolsero.

Ancora un po’ intontito Surge si rialzò. Il ragazzo aveva adesso indietreggiato, recuperato la Pokéball di Raichu e ritirato il suo compagno. Lo sciame di Magnemite e Magneton era già stato messo fuori gioco. Inizialmente il capopalestra non aveva realizzato: era stato tutto incredibilmente veloce, non aveva avuto il tempo di riflettere. Ma per uno specialista del Tipo Elettro non era così difficile capire le dinamiche dell’accaduto: “Un condensatore, eh?”, fece rivolgendosi al ragazzo. Aveva ragione: la coda di Raichu e la calamita di Magnemite si erano inserite nel flusso di corrente e avevano funto da armature di un condensatore. La cosa era possibile perché entrambi erano pokémon elettrici. Il condensatore è un elemento circuitale che permette il passaggio di corrente e che tuttavia costituisce quello che in gergo viene chiamato “aperto”. Se la corrente che circola supera la capacità portante del condensatore, lo spazio vuoto tra le armature interrompe il flusso e genera un cortocircuito. Sfruttando questo principio era quindi possibile disattivare in una sola mossa ben cinque generatori, quelli disposti in serie su una riga. La sequenza minima di mosse da compiere, perciò, era la seguente: generare un condensatore per disattivare la seconda riga, avanzare nella seconda casella, generare un condensatore per disattivare la terza riga (questo avrebbe riattivato la seconda, quindi i movimenti dell’allenatore e di Raichu dovevano essere perfettamente sincronizzati), avanzare. Questo era l’unico modo per sconfiggere la trappola e quel ragazzo era riuscito a capirlo in pochi secondi.

“Sei stato impressionante”, affermò Surge (lo pensava davvero), “Ma la vera battaglia inizia adesso, bastard0.” Il capopalestra schierò all’unisono quattro pokémon: Magnezone, un ammasso metallico simile a un disco volante generatosi dalla fusione dei tre corpi che formano un Magneton; Electabuzz ed Electivire, due enormi scimmioni in grado di generare corrente ad alto voltaggio; Jolteon, evoluzione di Eevee di Tipo Elettro dalla pelliccia altamente ionizzata. Quella squadra aveva il potenziale bellico di dieci plotoni. Alcuni di quei pokémon non erano nemmeno originari della regione: Surge aveva girato il mondo con quei suoi fedeli alleati. L’assassino, come di suo solito, schierò un singolo pokémon: era Venusaur, un mastodontico rettile quadrupede sul cui dorso cresceva un bellissimo fiore dalle tinte rosacee. Poteva sembrare una mossa sciocca, ma aveva senso nell’ottica di chi si crede di molto superiore all’avversario: se avesse mandato sei pokémon contemporaneamente la situazione sarebbe stata caotica e difficile da prevedere. In questo modo i pokémon nemici avevano soltanto due possibilità: attaccare Venusaur o scagliarsi contro il suo allenatore. Per prevenire il secondo scenario Venusaur, rispondendo ad uno schiocco di dita del compagno, creò una barriera di resistenti radici che fuoriuscirono dal terreno racchiudendo l’allenatore in una sorta di bozzolo: un uso inconsueto della mossa Radicalbero. Da uno spiraglio frontale l’assassino poteva osservare e dirigere lo scontro. A schierarsi in prima linea furono Electabuzz ed Electivire. Nonostante fossero di Tipo Elettro conoscevano le mosse Fuocopugno e Gelopugno (Tipo Fuoco e Ghiaccio), entrambe devastanti per un Tipo Erba come Venusaur. Sulle retrovie Jolteon attaccava sparando i suoi rigidissimi peli ionizzati sul nemico: colpiva così con la mossa Missispillo senza esporsi a inutili rischi. Magnezone levitava al di sopra dell’arena grazie ai suoi campi magnetici; attendeva il momento giusto per colpire il bozzolo di radici. La battaglia entrò in fase di stallo per alcuni minuti: Venusaur riusciva a colpire i due oppositori più vicini sfruttando radici e le due grosse liane che gli sporgevano dalla base del fiore, ma allo stesso tempo aveva incassato numerosi pugni. Mentre Electabuzz sembrava iniziare a cedere, il più robusto Electivire sembrava essersi appena riscaldato.

La situazione ebbe una svolta quando Venusaur, utilizzando le sue liane, deviò i proiettili di Jolteon verso l’alto creando una breccia nel soffitto. Il sole del tardo pomeriggio filtrò nell’arena: era un enorme vantaggio per il rettile! Utilizzando la mossa Sintesi il fiore che aveva sulla schiena poteva infatti convertire in energia la luce solare. Sarebbe stato più efficacie nelle ore più calde della giornata, ma quella tecnica bastava per rendere Venusaur praticamente imbattibile. Surge se ne accorse molto presto: in men che non si dica una radice colpì duramente Electivire e mise definitivamente fuori gioco il suo compagno, che il capopalestra riuscì fortunatamente a ritirare in tempo. Ma l’uomo non si perse d’animo. Aveva avuto un’idea: “C’è uno spiraglio. Ma non esiste vittoria senza sacrificio.”

A un suo ordine Jolteon scattò in avanti e si diresse con Electivire verso il nemico. Dovevano avvicinarsi il più possibile per poi rilasciare un grandissimo quantitativo di scariche elettriche. Mosse come Tuono o Sprizzalampo sarebbero state sufficienti. Venusaur non indietreggiò e anzi si preparò a ricevere il colpo. Delle radici fuoriuscirono dal terreno. Entrambe le parti colpirono il bersaglio. Ma se Venusaur non sembrava che aver riportato lievi ferite, la spalla della scimmia elettrica era stata interamente trafitta mentre Jolteon giaceva al suolo. Aveva vinto. Si preparava a utilizzare nuovamente Sintesi. Ma un brivido percorse i muscoli della bestia: faceva fatica a muoversi. Surge dall’altro lato dell’arena sorrise trionfante mentre ritirava nelle proprie Pokéball i due compagni esausti: “Il tuo pokémon è stato paralizzato. E non solo: il tempo che impieghi per curarti con la luce solare, quello che intercorre tra una fuoriuscita delle radici e l’altra, tutto quanto volge a mio favore. Sarai troppo lento per fare qualsiasi cosa. Magnezone, adesso!” Il pokémon calamita aveva avuto tutto il tempo di raggiungere il bozzolo che proteggeva l’assassino. Con Venusaur intento a recuperare era assolutamente indifeso. Quello di Electivire e Jolteon era stato un diversivo suicida. Era finita: Magnezone canalizzò un raggio di energia luminosa e lo sparò sull’involucro di radici, che esplose in mille pezzi.

Fu solo dopo alcuni istanti che il capopalestra se ne accorse: quell’involucro era vuoto. L’assassino era dietro di lui. Per tutta la durata dell’incontro le radici di Venusaur avevano scavato le fondamenta della Palestra. Dal bozzolo avevano creato un tunnel che aveva permesso all’allenatore di muoversi indisturbato per poi risalire e coglierlo alle spalle. Non avrebbe mai potuto accorgersene: l’avversario era stato silenzioso come sempre, non era strano che non avesse detto una parola. Improvvisamente iniziò a sentire freddo. Aveva una lama conficcata nel petto.

 

 

Sembrava un giorno come tanti altri. Alla base erano tutti quanti indaffarati nelle proprie faccende. Le nuove reclute si stavano adattando a quell’ambiente caotico. Alcuni soldati giocavano d’azzardo all’insaputa dei superiori, molti dormivano, i più volenterosi si allenavano e davano una mano nella manutenzione della struttura. Due giorni prima erano arrivati dei rifornimenti alimentari dall’entroterra e tutti erano più sereni del solito. Verso le tre giunse la notizia: un aereo americano era stato intercettato presso lo stretto di Bering; i prigionieri - tre soldati semplici e il pilota - sarebbero stati portati alla base a momenti. Ad arrivare però fu soltanto uno: i soldati si erano suicidati lungo il tragitto per non rivelare informazioni al nemico. Il pilota, un ragazzo alto e magro dai capelli dorati, fu accolto dalle truppe giapponesi con insulti e sputi. Venne condotto in una cella nei sotterranei della fortezza. Trascorse molti giorni senza che nessuno gli rivolgesse la parola e dovette andare avanti con un misero pasto al giorno. Ebbe una paura indescrivibile. Temeva di essere dimenticato lì. Ma ancor di più temeva le torture che avrebbero potuto infliggergli i giapponesi. Aveva deciso che qualsiasi cosa gli avessero chiesto avrebbe risposto. Onore? A che serve l’onore da morti? Ma poi si chiedeva: che cosa avrebbe detto se gli avessero chiesto qualcosa di cui non era a conoscenza? Gli avrebbero creduto? E se invece per sicurezza avessero provato a torturarlo? Vomitava al solo pensiero. Egli era solo un giovane pilota: non era così che avrebbe voluto trascorrere la sua vita. Fino a pochi anni fa gli era ancora concesso di fare tutto quello che voleva. Dove erano finiti quei giorni in cui poteva permettersi di festeggiare tutta la notte con i suoi amici accompagnato da un bel boccale di birra? Avrebbe voluto trascorrere un’esistenza semplice come quella, senza pretese o ambizioni, e invece adesso si trovava coinvolto in questo eterno conflitto. La birra in quei momenti gli mancava davvero tantissimo.

Non seppe dire da quanto era dentro quando lo vennero a trovare per la prima volta in cella. Settimane? Mesi? Il tempo lì dentro non aveva significato. Ma ad un certo punto arrivò. Era un ragazzo giovane e in forma. I capelli mossi che facevano filtrare la luce solare dall’esterno della cella gli conferivano un aspetto etereo. Ma ciò che più colpì il prigioniero furono i suoi occhi. Profondi, freddi, indecifrabili, era possibile cogliere al loro interno infinite sfumature di colore. Era ipnotizzato: sarebbe potuto restare a fissare quegli occhi in eterno. “Alzati! Abbiamo delle domande da farti.” Anche la sua voce era singolare. Sembrava toccare frequenze diverse da quelle dei normali esseri umani. Una sensazione difficile da esprimere a parole.

Il pilota si affrettò a seguire quell’uomo. Aveva a malapena la forza di reggersi in piedi ma in quel momento non ci fece caso. Fu attirato come un magnete dal carisma di quella persona. Quando arrivò nella sala dell’interrogatorio tornò in sé: a dirigere la serie di domande era un altro soldato, un anziano signore che dava tutta l’aria di non essere granché sveglio. Il ragazzo dagli occhi ipnotici aveva il fianco appoggiato a una parete e seguì tutto con grande attenzione. In meno di un’ora il vecchio terminò il suo lavoro e rispedì il prigioniero in cella: non era emerso nulla di interessante. Si trattava soltanto di un gruppo di sprovveduti che si era convinto di poter attraversare la frontiera in volo per fare colpo sull’esercito. Eppure chiunque sa che le temperature sono troppo basse in quel punto per una traversata del genere. Riassaporata la libertà per così poco, il pilota doveva ora tornare in quella buia topaia per chissà quanto altro ancora. E se fosse rimasto lì per sempre? Tremava. Ma il suo soggiorno da quel momento sarebbe stato molto più piacevole.

Pochi minuti dopo il suo rientro una voce lo chiamò: il ragazzo di prima era tornato. “Allora, ti va di ricominciare? Perdona quel vecchio rimbambito per aver gestito così male l’interrogatorio. Deve essere sfinito da così tanti anni di servizio.”

“Che cosa vuole? Ho già detto tutto quello che sapevo.” Il prigioniero era consapevole che, a prescindere dall’impressione che quel ragazzo gli aveva fatto, stava pur sempre conversando con un giapponese. Non era nella posizione di poter rispondere a tono ma era almeno necessario sondare le intenzioni del nemico.

“Hai solo risposto a tutto quello che ti hanno chiesto. Come ti chiami?” Nel mentre si accendeva una sigaretta.

“Surge. Mathias Surge. È così importante?” Non capiva che cosa quel personaggio stesse davvero cercando.

“Certo che è importante. I nomi rivelano molto delle persone. Il tuo ad esempio vuol dire “dono della divinità”. Lo sapevi?”

“No. In realtà no.” Non aveva mai pensato al significato del suo nome.

“È un bel nome: dovresti andare fiero del significato che porta. Nei nomi sono contenute le aspettative che le nostre famiglie ripongono in noi. Per questo dobbiamo impegnarci affinché i loro significati si concretizzino nelle nostre vite.”

“Lei come si chiama?”

“Aka. Furiko Aka. E puoi darmi del tu.” Sorrise. Il suo volto non si limitava a ispirare fiducia. Era come se conoscesse quel ragazzo da una vita. Avrebbe potuto confessargli i suoi segreti più intimi senza sentirsi a disagio.

“E che cosa vuol dire, il tuo nome?” Ci fu una pausa.

“Nulla. Purtroppo non vuol dire nulla. Solo una serie di caratteri privi di significato. Evidentemente la mia famiglia non ha mai riposto nessuna speranza in me. Per questo ti dico di andare fiero del tuo. Sembri molto giovane. Quanti anni hai?”

“20. Sono dovuto entrare nell’esercito due anni fa.”
“Tu pensa! Abbiamo la stessa età. La guerra deve essere stata davvero dura. Io sono arrivato alla fortezza solo da qualche mese. Ho trascorso quasi due anni nei territori interni, dove i disordini sono più rari e facili da sedare.” Gli porse una sigaretta. Mathias, un po’ imbarazzato temendo di essere scortese, accettò.

“Siete stati voi giapponesi a iniziare tutto. La vostra mania di dominio ci ha portati alla rovina. Avete ucciso, derubato, bombardato. Mia madre è stata uccisa da un soldato della tua nazione. Dimmi: come faccio a soddisfare le aspettative che aveva riposto in me se lei è morta?” Si era aperto. Tutto ciò che pensava di quel conflitto era uscito fuori. Furiko sorrise ancora.

“Credi che siano stati i giapponesi a far scoppiare la guerra? Dimmi una cosa: quando sei arrivato alla base hai avuto modo di dare un’occhiata alla gente che abita in questa fortezza. Chi hai visto? Gente arrabbiata, gente stanca, gente onesta e gente terribile; sono sicuro che te ne avranno dette di ogni tipo. Ma per caso hai visto anche gente soddisfatta della guerra? Credi davvero che anche solo un soldato nell’intera nazione non speri che quella di domani sia l’ultima battaglia? A causare la guerra non sono stati né i giapponesi né gli americani, bensì il Giappone e l’America. Forze superiori e interessi volatili che possono essere compresi soltanto dalle persone che realmente hanno il potere di decidere le sorti di questo mondo. Noi tutti viviamo nel sogno di gloria di quelle persone. L’unica cosa che possiamo fare è adeguarci. Tuttavia questo non vuol dire annullare il proprio codice morale ed essere in balia delle circostanze. Al contrario la virtù è l’affermazione dei propri valori in contesti avversi. In altre parole, io credo che anche in periodo di guerra, in una fortezza nemica, un americano e un giapponese debbano poter discutere senza che la dignità di nessuno venga schiacciata dall’altro.” Mathias era stato muto per tutto il tempo. L’eloquenza di quel ragazzo era fuori dal comune. Come riusciva ad apparire così puro in mezzo a tanto orrore? Per la prima volta nella sua vita stava invidiando una persona. Aveva deciso che voleva essere come quel soldato giapponese.

Furiko continuò: “Toglimi una curiosità. Come speravate di fare? Ad attraversare lo stretto con quell’aeroplano, intendo. Non credo che foste davvero così sprovveduti.”

“Io sono un pilota e un meccanico. Avevo scoperto che sfruttando l’energia elettrica prodotta da alcuni pokémon è possibile evitare che il motore si spezzi a causa del freddo. Il mio fidato Raichu, però, è morto durante il tragitto. Non è stato abbastanza forte.”

“Interessante. Ma non dirlo in giro: una fonte energia del genere facilmente può essere utilizzata come arma.” Ci fu un breve momento di silenzio. L’aria si fece leggermente pesante: “E perché non ti sei suicidato?” A Mathias raggelò il sangue. Il modo in cui aveva detto una cosa tanto pesante, così naturalmente, aveva dell’inquietante. “I tuoi compagni hanno deciso di porre fine alle loro vite. Perché tu non hai fatto lo stesso? Detto in altro modo: cos’è che ti spinge a vivere?”

Mathias non sapeva cosa rispondere. Aveva deciso di vivere semplicemente perché era un codardo. Non aveva mai pensato che ci dovesse essere un motivo per vivere. Si vive e basta, no? O forse quella era la scusa che si raccontava per non aver mai avuto uno scopo? Adesso per la prima volta, però, un obiettivo ce l’aveva: doveva diventare come lui. Ovviamente il ragazzo non disse nulla di tutto ciò.

“E tu invece? Che cosa ti spinge ad andare avanti?”
“Anche la mia famiglia è morta sotto i bombardamenti. Ma nella mia regione, a Kanto, in una piccola cittadina di campagna, c’è una persona che mi sta aspettando. Quando tutto questo sarà finito mi piacerebbe vivere tranquillo con lei. Ora però devo pensare al mio ruolo qui: non esiste vittoria senza sacrificio; e a tal proposito devo salutarti. Verrò a trovarti ogni giorno, fino a quando non sarai fuori di lì. A domani!”

 

La guerra terminò tre mesi dopo. Con un trattato di pace l’Unione Americana Settentrionale cedeva la propria sovranità alla Repubblica Nazionale del Giappone. Le politiche di integrazione volute dal governo della RNG permisero a centinaia di soldati americani di arruolarsi nell’esercito nazionale. Mathias Surge scalò in pochissimo tempo le gerarchie militari, divenendo Luogotenente. Mantenne aperti i rapporti con Furiko, che intanto si era sposato e aveva abbandonato la carriera militare. In seguito all’ondata pacifista degli anni ’90 e allo sfoltimento dell’organico militare anche Mathias appese il fucile al chiodo e aprì la sua Palestra a Kuchiba, nel Kanto.

 

 

Il primo incontro con Furiko gli passò davanti in pochi attimi. Sentiva l’anima lentamente fuoriuscire dal corpo: “La verità è che da quando sei morto non ho più nessun motivo per vivere. Ma ora che è qui vicino a me, ora che ha affondato una lama nelle mie carni, ora che riesco a guardarlo negli occhi ne sono sicuro: questo è il demone che ti ha ucciso. Non è vero, Furiko?”. Con le sue ultime forze Surge si rivolse al ragazzo urlando: “Stai sottovalutando la forza di un soldato, bastard0! Il codice è “Stretto di Bering”!” A quelle parole dalle pareti fuoriuscirono centinaia di grosse sfere bianche e rosse. Sembravano delle Pokéball, ma erano troppo grandi. Erano Electrode: un pokémon elettrico utilizzato in guerra per la sua potenza esplosiva. L’intero edificio saltò in aria.

 

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Nota: perdonate il font diverso dal solito, per motivi ignoti ho avuto problemi a pubblicare questo capitolo senza che esplodesse il forum

 

Capitolo 7 - Fondamenta

 

Il corpo di Otoko giaceva tra le fauci della bestia di fuoco. Apparentemente privo di vita, continuava a sanguinare. La cassa toracica era fracassata. Il predatore aveva la bava alla bocca. In quel momento nella mente di Okido non c’era spazio per ragionamenti, calcoli, considerazioni. Era paralizzato dal terrore e non riusciva a pensare ad altro che a una cosa: sto per morire. La bestia si voltò verso di lui; dilaniò il corpo del compagno e ne ingoiò le estremità inferiori. Poi parlò: “È il tuo turno. Ma ho una proposta: la tua testa per la vita del tuo amico.” A mente fredda Okido avrebbe sicuramente accettato. Ora invece aveva soltanto voglia di correre; ma le gambe non rispondevano ai suoi comandi, come fossero congelate. Se non le avesse viste si sarebbe addirittura chiesto se in quel momento ce le avesse avute, le gambe. Alle sue spalle il respiro freddo della donna in rosa impattava sul suo collo facendolo rabbrividire fin dentro le ossa. “Sei solo un vigliacco che si crede forte”, diceva. Di colpo l’Arcanine si trasformò: assunse forma umana. Era diventato suo nonno: “Ha ragione. Fin da quando eri bambino sei sempre stato un vigliacco. Non hai salvato il tuo compagno perché non sei in grado di fare nulla. Non a caso io sono morto. Sono morto e tu non hai fatto niente per impedirlo. Perché tu per primo sei incapace di vivere.” A quelle parole la donna morse la spalla del giovane. Ebbe l’impressione che con quel morso avesse frantumato il suo intero scheletro. Poi, tutto sudato, si svegliò.

Erano le 5:35 di mattina. Cinque minuti in più del solito. Okido pensò che forse il sogno era avvenuto in quei cinque minuti. Ricordava di aver letto da qualche parte che i sogni hanno luogo solo nelle ultime fasi del sonno, anche se non avrebbe saputo dire se fosse vero o meno. In ogni caso era in ritardo per l’allenamento.
Il giorno prima aveva deciso di lasciare l’ospedale di Nibi e fare ritorno a Yamabuki, decretando il definitivo fallimento dell’indagine sul contrabbando di fossili. Era arrivato in città verso le nove di sera. Dell’attacco di due giorni prima conservava solo una lieve ferita sul volto. Otoko invece non si era svegliato. I medici nella tarda mattinata gli avevano confermato che la sua vita non era a rischio, ma lo stato comatoso sarebbe potuto durare per un po’ e c’erano buone probabilità che non sarebbe mai più tornato a camminare. Okido si era reso conto di essere troppo debole; anche volendo non avrebbe potuto fare nulla. Per questo aveva deciso di recarsi al Dojo Lotta di Yamabuki. Si trattava della vecchia Palestra della città, attiva fino a nove anni prima quando il capopalestra Nobuhiko decise di dedicarsi interamente all’addestramento di allenatori in erba.  Era da lui che Okido aveva imparato in tenera età i rudimenti della lotta. Adesso, arrugginito come aveva capito di essere, doveva ripartire da zero. E doveva sbrigarsi: in due giorni due capipalestra su otto erano stati uccisi. I casi erano destinati a rallentare, altrimenti le mosse dell’assassino sarebbero divenute troppo prevedibili; anche nel migliore dei casi, però, entro un mese quella strage insensata avrebbe raggiunto il suo climax. Okido decise che nelle condizioni in cui si ritrovava doveva scommettere proprio sul migliore dei casi: si sarebbe allenato al Dojo per un mese, si sarebbe tenuto aggiornato tramite il Dipartimento e avrebbe intercettato il killer all’ultima Palestra rimasta. Questo significava non fare nulla per prevenire l’omicidio di altre cinque persone, lo sapeva bene: ma doveva venire a patti con la realtà. Senza un allenamento intensivo sarebbe stato ucciso prima ancora di provarci nuovamente.
Quando si era presentato da Nobuhiko l’uomo, ormai anziano, aveva accettato di buon grado la proposta di Okido. Ricordava ancora quel bambino così talentuoso che a soli undici anni riusciva già a elaborare le strategie più disparate. Ritrovare quello stesso ragazzino ormai ventenne gli aveva scaldato il cuore: non avrebbe mai potuto rifiutare. Per massimizzare le ore di allenamento Okido aveva deciso di dormire al Dojo; l’edificio - a quel tempo deserto - aveva il pavimento in legno, il soffitto basso e non disponeva di veri e propri letti: due coperte stese a terra e un cuscino erano sufficienti. Per qualche motivo il ragazzo trovava quell’ambiente accogliente, così antiquato e minimalista.
Una decina di minuti dopo essersi svegliato, fatta rapidamente colazione con quello che gli era stato offerto, Okido era pronto. Aveva fatto uscire fuori dalle Pokéball la sua squadra: Pidgeot, Alakazam, Exeggutor, Ninetales, Sandslash, Cloyster. In realtà non erano propriamente pokémon suoi: non essendo un allenatore gli erano stati forniti dal Dipartimento in caso di necessità. Era un miracolo che il Commissario Po gli avesse concesso di portarli con sé (ma del resto anche il fatto che gli avesse permesso di indagare come privato era quanto mai anomalo). Quanto a Eevee, invece, si trattava di un suo vecchio compagno. Ma preferiva i croccantini alle battaglie e per questo già prima di lasciare il Dipartimento aveva ritenuto opportuno affidarlo a sua sorella, che viveva a Masara.
“Ricominceremo dalle basi” esordì Nobuhiko. “Sai dirmi quanti e quali sono i fattori che determinano l’esito di una battaglia?”
Okido rifletté per alcuni secondi. “Una squadra allenata e una buona conoscenza delle dinamiche del combattimento.” Gli sembrò una risposta pertinente.
“È corretto in parte. Alla base di una lotta ci sono cinque componenti: preparazione fisica, conoscenza, prontezza mentale, strategia, fortuna. In un mese possiamo lavorare sulle prime tre. Vorrei tuttavia rendere chiara una cosa: quando ti sei recato da me ho percepito che il tuo obiettivo non è semplicemente quello di diventare un bravo allenatore. Ho capito che ti sei gettato in qualcosa di molto pericoloso. Non hai bisogno che ti faccia la predica e dai tuoi occhi colgo una forte determinazione. Ma sappi che se vuoi davvero che ti addestri a dover migliorare non sarà soltanto la tua squadra. Dobbiamo lavorare innanzitutto su te stesso.” Okido annuì deciso.
“Perfetto. Per prima cosa tempreremo il tuo corpo.” Nobuhiko porse all’allievo uno straccio, un secchio e quattro tra bracciali e cavigliere in ferro. “Indossa questi e inizia a lavare il pavimento.”
“C-che cosa?” Aveva capito, ma non riusciva a credere che stesse succedendo sul serio. Poi gli arrivò una sberla in testa così forte da stenderlo al suolo.
“Non discutere gli ordini del tuo maestro. Quando avrai finito torna da me.” Si sedette al centro della stanza e tirò fuori da chissà dove una rivista di enigmistica.
Non avendo altra scelta Okido assecondò la richiesta e indossò i bracciali. Poi le sue braccia piombarono verso il basso. “Quanto diamine pesano questi affari?”
“Quindici chili ciascuno. Dovrai tenerli per tutto il giorno. Aumenteremo progressivamente il peso. Lo stesso vale per le gambe.”
Affranto, il giovane sventurato mise le cavigliere, afferrò lo straccio e iniziò a pulire. Circa quattro ore dopo aveva finito. Sentiva i suoi muscoli implodere per la fatica.
“Bene, hai completato il tutto prima di quanto avessi previsto. Da domani integreremo i pesi con alcuni esercizi per gli addominali e trazioni alla sbarra, ma per oggi va bene così. Ovviamente dovrai tenere i carichi fino a quando non andrai a dormire. Adesso lavoriamo sulla teoria.” Gli porse un vecchio libro impolverato dalla copertina rossa. “Rudimenti delle battaglie pokémon e introduzione alla Lega di Kanto”. Okido riuscì ad afferrarlo a fatica.
Il maestro tuonò: “Apri il libro e leggi ad alta voce il primo capitolo.”
Okido annuì, quindi iniziò:

“1. Il sistema dei Tipi
I Tipi sono un sistema di classificazione che consente di stabilire correttamente le relazioni di forza che intercorrono tra i vari pokémon. A un pokémon può essere attribuito un unico Tipo o una coppia di Tipi. A ogni mossa utilizzata dal pokémon può essere attribuito uno e un solo Tipo. Un pokémon può apprendere una mossa del Tipo diverso dal proprio. Tuttavia, le mosse dello stesso Tipo dell’utilizzatore risultano più potenti. In base alla relazione tra i vari Tipi, una mossa che colpisce un obiettivo può comportarsi in sei modi differenti:
  • La mossa non ha effetto contro almeno uno dei Tipi dell’avversario: il pokémon non subisce danni.
  • La mossa non è molto efficace contro entrambi i Tipi del bersaglio: il pokémon subisce ¼ dei danni.
  • La mossa non è molto efficace contro uno e un solo Tipo del bersaglio e non ha relazione con il secondo, o non è molto efficacie contro l’unico Tipo del bersaglio: il pokémon subisce ½ dei danni.
  • La mossa non ha relazione con entrambi o con l’unico Tipo del bersaglio, o non è molto efficacie contro un Tipo del bersaglio ma super-efficace sull’altro: il pokémon subisce il normale ammontare di danni previsto.
  • La mossa è super-efficacie contro uno e un solo Tipo del bersaglio e non ha relazione con il secondo, o è super-efficacie contro l’unico Tipo del bersaglio: il pokémon subisce il doppio dei danni.
  • La mossa è super-efficace contro entrambi i Tipi del bersaglio: il pokémon subisce il quadruplo dei danni.
I Tipi attualmente in uso sono quindici. Di questi, otto sono classificati come Fisici mentre sette come Speciali. Ai Tipi Fisici appartengono mosse che prevedono il contatto diretto, mentre le mosse dei Tipi Speciali consistono nell’utilizzo di peculiari forme di energia.
Di seguito è riportato uno schema volto ad illustrare le relazioni tra i vari Tipi, aggiornato alle scoperte più recenti.
 
Contro un bersaglio appartenente a un Tipo Fisico.
Bersaglio ->
Mossa |
Normale Lotta Volante Veleno Terra Roccia Coleottero Spettro
Normale 1x 1x 1x 1x 1x ½x 1x 0x
Lotta 2x 1x ½x ½x 1x 2x ½x 0x
Volante 1x 2x 1x 1x 1x ½x 2x 1x
Veleno 1x 1x 1x ½x ½x ½x 2x ½x
Terra 1x 1x 0x 2x 1x 2x ½x 1x
Roccia 1x ½x 2x 1x ½x 1x 2x 1x
Coleottero 1x ½x ½x 2x 1x 1x 1x ½x
Spettro 0x 1x 1x 1x 1x 1x 1x 2x
Fuoco 1x 1x 1x 1x 1x ½x 2x 1x
Acqua 1x 1x 1x 1x 2x 2x 1x 1x
Erba 1x 1x ½x ½x 2x 2x ½x 1x
Elettro 1x 1x 2x 1x 0x 1x 1x 1x
Psico 1x 2x 1x 2x 1x 1x 1x 1x
Ghiaccio 1x 1x 2x 1x 2x 1x 1x 1x
Drago 1x 1x 1x 1x 1x 1x 1x 1x
 
Contro un bersaglio appartenente a un Tipo Speciale.
Bersaglio ->
Mossa |
Fuoco Acqua Erba Elettro Psico Ghiaccio Drago
Normale 1x 1x 1x 1x 1x 1x 1x
Lotta 1x 1x 1x 1x ½x 2x 1x
Volante 1x 1x 2x ½x 1x 1x 1x
Veleno 1x 1x 2x 1x 1x 1x 1x
Terra 2x 1x ½x 2x 1x 1x 1x
Roccia 2x 1x 1x 1x 1x 2x 1x
Coleottero ½x 1x 2x 1x 2x 1x 1x
Spettro 1x 1x 1x 1x 0x 1x 1x
Fuoco ½x ½x 2x 1x 1x 2x ½x
Acqua 2x ½x ½x 1x 1x 1x ½x
Erba ½x 2x ½x 1x 1x 1x ½x
Elettro 1x 2x ½x ½x 1x 1x ½x
Psico 1x 1x 1x 1x ½x 1x 1x
Ghiaccio 1x ½x 2x 1x 1x ½x 2x
Drago 1x 1x 1x 1x 1x 1x 2x
 
Okido lesse con attenzione le tabelle. Suo nonno una volta gli aveva detto che alcuni valori tradizionalmente utilizzati erano probabilmente errati, ma la ricerca non venne mai portata a termine dopo la sua morte. Il libro era datato, ma tutto sommato non ci sarebbero stati problemi così grossi.
Quando ebbe finito si rivolse al maestro: “A grandi linee ricordo ancora questi abbinamenti, li avevo studiati molto bene quando ero piccolo. Non credo ci siano problemi sotto questo punto di vista.”
“Perfetto. Allora rileggi tutto per mille volte. Poi ripeti per altre mille volte a libro chiuso.”
“C-che cosa?” Era di nuovo incredulo. E un’altra volta si beccò una sberla in testa.
“Non discutere gli ordini del tuo maestro.” Aveva il potenziale di diventare una frase ricorrente. “Di questo passo avrai da fare fino al tardo pomeriggio. Dopo potrai mangiare qualcosa. L’alimentazione è importante per un corpo in forma.” Detto questo mise dei tappi per le orecchie e tornò a risolvere cruciverba.
 
Erano le 17:30 quando poté addentare un po’ di carne, seduto a gambe incrociate sul tatami della sala dove prima si era allenato. Era incredibilmente tenera, niente a che vedere con quei mattoni delle costole di Tauros che era abituato a mangiare a casa. Si chiese di che pokémon fosse, ma per educazione preferì rimanere in silenzio. Aveva la gola secca e lo stomaco in pena: quel pasto era anelato al punto che non sentiva neanche più il peso dei bracciali.
A Nobuhiko bastava invece del misoshiru. In realtà aveva un odore particolare; come se al dashi invece del miso fosse stato aggiunto qualche cereale più forte, anche se Okido non sapeva distinguere quale. Al contrario di quanto si potrebbe credere gli era sempre piaciuto cucinare e aveva un palato molto raffinato. A causa del troppo lavoro, però, non aveva mai coltivato questa passione e si ritrovava fin troppo spesso a mangiare scadente cibo precotto.
“Perché non inviti i tuoi pokémon a mangiare con noi?” Chiese severo il vecchio. “Se lo meritano: mentre ti allenavi li ho lasciati liberi di lottare nel cortile sul retro. Anche loro sono molto determinati.”
“Capisco…” Okido abbassò lo sguardo, come imbarazzato per non averci pensato prima.
“Questo è un tuo enorme limite, Shigeru.” Prima di allora non l’aveva mai chiamato per nome, se non quando era molto piccolo. In genere era una cosa che lo infastidiva ma in quel caso gli era sembrato addirittura naturale. “Tu non hai nessun legame con i tuoi pokémon. Probabilmente non conosci neanche le loro abitudini alimentari, per questo non ci avevi pensato. Li lasci sempre nelle Pokéball, dove il loro metabolismo è pressoché bloccato, e te ne lavi le mani. Ahimè, è un problema comune ai giorni nostri! Dovremo lavorare molto sotto questo punto di vista.” Nobuhiko posò la ciotola che prima ospitava il misoshiru. Poi continuò: “Sandslash si nutre prevalentemente di piccoli mammiferi e ha bisogno di pochissimi liquidi; Pidgeot predilige insetti e pesci; Ninetales e Alakazam sono onnivori: non si fanno problemi a divorare di tutto; Cloyster filtra plancton e altre minuscole sostanze nutritive, basta immergerlo in acqua e versare del mangime apposito - non preoccuparti per lui, nel cortile abbiamo un laghetto; Exeggutor può nutrirsi assorbendo la luce solare ma non disdegna alimenti di origine vegetale. Fortunatamente per te nella stanza in fondo c’è un sacco di cibo per pokémon. E adesso vai, prima che muoiano di fame! Quando avrai finito potrai toglierti i pesi e andare a riposare. Domani sarà una giornata ancora più lunga.”
Okido si alzò a fatica e, recuperato il cibo, si recò in cortile. Lì Alakazam era intento a meditare seduto su una gamba sola in cima a un grosso masso. Il giallo umanoide dalla testa volpina notò subito il suo allenatore e lo accolse con un viso lieto. Si avvicinò e accettò della frutta: sembrava una creatura con cui si poteva instaurare un rapporto sereno. Okido non aveva mai fatto caso a quale fosse l’indole dei suoi pokémon; li aveva tirati fuori soltanto nelle situazioni più disperate e li aveva sempre visti come un mezzo. Si chiedeva, allora, come mai quell’Alakazam sembrasse tanto amichevole.
Ninetales e Sandslash si allenavano poco distanti, provando alcune tecniche l’uno sull’altro. Per i pokémon è un atteggiamento normale e difficilmente rischiano di ferirsi a vicenda. La volpe a nove code si avvicinò a Okido e strusciò il pelo contro le sue gambe; emise un rumore vagamente simile a delle fusa prima di addentare a tradimento alcune bacche che il ragazzo aveva messo nella tasca della felpa. Fu in quel momento che si rese conto per la prima volta di non aver indossato i suoi consueti abiti da lavoro da quando era partito. Si disse che sarebbe stato il caso di comprare qualcosa di quantomeno presentabile. In ogni caso, quella bestiaccia avrebbe anche potuto chiedere invece di architettare quel sotterfugio! Sandslash intanto teneva gli occhi bassi. Okido credette di capire: “Ehi, non è che ti senti in colpa per aver perso l’altra volta, vero?” Il pangolino spinato accennò un timido assenso con la testa. L’allenatore sorrise: “La responsabilità è anche e soprattutto la mia. Ti prometto che la prossima volta vinceremo.” Se la sua biologia glielo avesse permesso, probabilmente Sandslash sarebbe arrossito. Afferrò con i suoi lunghi artigli alcuni bocconcini di carne e tornò a combattere contro Ninetales.
Exeggutor era immobile vicino il laghetto. Il solo fatto che potesse esistere una piccola palma con due piedi da rettile e tre teste a forma di noce di cocco faceva capire a Okido quanto fosse strano il mondo in cui viveva. Avvicinatosi alla “pianta” il ragazzo gli porse una mela. Il pokémon la afferrò con i denti. Poi la gettò a terra. “Non hai fame?” Exeggutor fece di sì con la testa centrale. Okido provò a ridargli la mela. Questi l’afferrò tra i denti e poi la gettò. La testa di sinistra si cimentò in quella che sembrava una risata bonaria. “Ho la sensazione che tu mi stia prendendo in giro. Beh, te la lascio lì a terra nel caso cambiassi idea.”
Non appena l’allenatore si voltò, Exeggutor aveva mangiato la mela. Fece finta di non accorgersene e si rivolse verso il piccolo specchio d’acqua. Lì Cloyster era immerso per metà, intento a scrutare con fare minaccioso una foglia che si era posata sull’acqua. Il pokémon simile a un’ostrica violacea rivolse il corno verso il vegetale. Si fiondò verso la preda indifesa ma calcolò male le distanze e andò a sbattere contro un masso. Poi si chiuse nella conchiglia, offeso. “Che tipo… ti verso del mangime per quando esci.”
A quanto sembrava la squadra di Okido era composta da personalità piuttosto eccentriche. Tutto sommato però riteneva fosse possibile lavorare insieme. Fu allora che Pidgeot gli si fiondò addosso. L’enorme volatile affondò gli artigli sulla schiena e lo beccò in testa. Poi si appostò sul ramo di un albero fissandolo furioso. Aveva un verme in bocca, probabilmente un Weedle. Il messaggio era chiaro: “Riesco a mangiare da solo, non ti avvicinare.”  Okido stava leggermente sanguinando dalla spalla destra. L’attacco del pokémon non aveva l’obiettivo di ferirlo gravemente: era un avvertimento. “Questo potrebbe essere un problema”, pensò. Di colpo fu pervaso da una stanchezza soffocante. I pesi iniziavano a essere insostenibili e non si era riposato per un minuto. Decise che per quel giorno poteva bastare. I pokémon potevano scorrazzare ancora un po’, avrebbe detto al maestro di farli ritornare nelle Pokéball sul tardi; nel lasciare il cortile lanciò uno sguardo alla sua squadra: anche se non andava d’accordo con Pidgeot doveva riconoscere che era proprio un bel gruppo. Forse con loro non si sarebbe più sentito così solo.
 
Non appena si sdraiò sulle coperte gli passò la voglia di dormire. Il corpo umano era davvero strano a volte. Adesso milioni di pensieri gli passavano per la testa. Provò a gettare un occhio sul suo diario. Fortunatamente niente era stato manomesso. Sotto il 14 novembre, giorno in cui il Team Rocket si era rivelato al mondo, aggiunse:
“15 novembre: Assassinio di Takeshi”
“16 novembre: Assassinio di Kasumi; Attacco della donna sull’autobus”
Quel giorno era il 18. L’assassino non si era fatto vedere nelle ultime quarantott’ore. Come aveva ipotizzato stava rallentando. La mente gli ritornò all’incontro con Apollo la mattina precedente: prima di lasciare l’ospedale aveva chiesto a un’infermiera di porgere i suoi saluti all’uomo che gli si era presentato come il fondatore della struttura. Eppure costui era morto da un pezzo e non si chiamava Apollo. Con chi aveva parlato allora? Non si capacitava di come fosse stato raggirato facilmente. Gli era sembrata una persona così gentile. Era un membro del Team Rocket? Ma allora a che scopo cercare di ottenere delle informazioni da lui? Se la donna che lo aveva attaccato apparteneva al Team Rocket sarebbe bastato che i due si tenessero in contatto. Aspetta… “se”?
In quel momento Okido si illuminò. Un vortice di idee e collegamenti gli fluì nel cervello senza che neanche se ne rendesse conto. Come diamine aveva fatto a non pensarci? Le forze criminali in gioco erano due: la prima di Apollo, la seconda della donna! Erano evidentemente in cattivi rapporti se cercavano di rubarsi le informazioni a vicenda. Adesso che l’aveva capito tutto iniziava a quadrare: gli omicidi dei capipalestra e le rivendicazioni del Team Rocket erano due cose totalmente distinte. I primi erano utilizzati dalla seconda organizzazione per far uscire allo scoperto il Team Rocket: ecco il significato delle scritte “TR” sui luoghi del delitto! Questo risolveva un particolare che non gli era mai stato chiaro: sia nell’attentato di sette anni fa che nell’episodio della falsa agenzia di vendita dei fossili le vittime erano state soffocate dal veleno. I capipalestra invece erano morti riportando ferite in combattimento. I metodi erano sempre stati totalmente diversi! Ora le cose da capire erano tre: quale fosse il reale obiettivo di entrambe le organizzazioni e che mezzi utilizzassero; a quale fazione appartenessero rispettivamente la donna e Apollo; perché quello che credeva essere il suo amico di infanzia era in contatto con la criminalità organizzata. Pensando a tutto questo Okido piombò in un sonno profondo.
 
Dipartimento Anti-Criminalità Organizzata di Yamabuki, un giorno prima
“Ed è per questa discrepanza tra il modus operandi dei colpevoli che dobbiamo necessariamente supporre che i nemici sulla scacchiera siano due. Il Team Rocket è dietro le rivendicazioni, il Team X è il mandante degli omicidi. Gli omicidi hanno lo scopo di far uscire allo scoperto il Team Rcoket. Per questo le due organizzazioni devono necessariamente essere in contrasto.” Concluse Fronesis.
“Sarà sicuramente una visione che terremo in considerazione. La ringraziamo per la collaborazione.” Disse il Commissario Po con quel suo atteggiamento imperscrutabile. “Tuttavia entrando in questa stanza ci ha anticipato che si è fatto un’idea di come dovremmo gestire la situazione. Prego, ce la esponga.”
“Le rendo infinitamente grazie per l’opportunità, commissario. L’obiettivo è fermare il killer. Quando lo arresteremo otterremo informazioni sia su X che sui Rocket. I vostri problemi maggiori al momento sono due: non avete l’autorizzazione per indagare e disponete di pochi uomini. La prima questione è facilmente risolvibile: si dia il caso che io conosca molte persone ai piani alti. Credo che nessuno avrà nulla da obiettare se mi permetterò di accelerare un po’ la macchina burocratica di questa nazione.”
Doiru si fece avanti: “Eccome se c’è qualcuno! Se dici di essere così vicino al sistema non possiamo fidarci di te. Qui è in atto qualche complotto, te lo si legge in fac…”
“Doiru, ho detto di stare zitto.” Il commissario lo riprendeva in maniera più severa del solito in quel periodo. “Siamo disposti ad accettare, purché ci assicuri che l’intera procedura verrà svolta nel totale rispetto della legalità.”
“Naturalmente, non deve preoccuparsi di questo. Per quanto riguarda il secondo problema, invece, ho paura che dovremmo venire a patti con la dura realtà. Con il capitale umano a vostra disposizione possiamo creare un minimo di quattro gruppi. Non siate così folli da credere di poter agire da soli: l’avversario è estremamente forte! I capipalestra rimasti sono ancora sei: questo vuol dire che dovremmo attendere che altri due omicidi vengano portati a termine.”
“Crede non sia possibile scortare da subito quattro capipalestra?” Lo stesso Po non sembrava convinto della sua proposta.
“Non avrebbe senso. L’assassino se ne accorgerebbe e punterebbe su quelli rimasti scoperti. Inoltre non credo che esistano gli estremi legali per una cosa del genere. Come se non bastasse, anche io necessito di un po’ di tempo per farvi ottenere l’autorizzazione: probabilmente per quando saremo pronti il killer avrà già soddisfatto le nostre condizioni. Or dunque, commissario: spero che questa nostra alleanza sia suggellata senza ulteriori indugi.” Sorrise.
Po rimase in silenzio per alcuni istanti, intento a riflettere. Poi porse la mano a Fronesis: “Lo spero anch’io. Non mi piace l’idea di non fare nulla per salvare qualcuno. Ma è un sacrificio che siamo costretti a compiere. Definiremo i dettagli del piano operativo nella giornata di oggi: spero che lei voglia prendere parte alle operazioni di persona.”
Fronesis si inchinò: “Onorato.”
Dopo qualche minuto la folla che si era accalcata attorno l’investigatore e il commissario si diradò e ognuno tornò alle proprie mansioni. Fronesis approfittò del distributore di caffè presente nell’ufficio. Mentre beveva appoggiato a una parete gli si avvicinò Christie, la quale era stata come di consueto in silenzio per tutta la discussione di poco prima. L’uomo le lanciò un’occhiata: “Signorina…”
“M-m-m-m-mi scusi.” Aveva balbettato più del solito ed era diventata rossa come un peperone. Parlare con quell’uomo la metteva a disagio più di quanto non facessero le altre persone, per qualche motivo. “È che v-volevo dirle una cosa. C-circa le indagini, ecco. Ma è una cosa molto stupida, non so se sia il caso. Io non sono molto intelligente…”
“La prego, mi dica pure. Anche il più piccolo particolare può risultare decisivo.” La esortò con il suo consueto ampio sorriso.
“V-vede. Ho pensato che tutta questa faccenda è un po’ strana. M-mi sembra un po’ assurdo che un’organizzazione criminale riveli la sua esistenza così in grande stile e poi, provocata da una rivale come ha detto lei, non si faccia sentire per smentire di centrare qualcosa con quegli omicidi. Q-quello che voglio dire è che se il Team Rocket è così potente allora dovrebbe poter gestire la situazione molto facilmente. Ep-eppure gli omicidi stanno continuando. Allora ho pensato: se le organizzazioni sono due non potrebbero essere anche tre? C’è X, c’è il Team Rocket e c’è il vero colpevole degli attentati. C-cioè… il Team Rocket visto così sarebbe soltanto un fantoccio di questa terza organizzazione “Y” e in realtà non sarebbe così potente. P-per questo non interviene. Il T-team Rocket potrebbe fungere proprio da specchietto per le allodole per il Team X… M-ma ora che lo dico suona ancora più stupido. Mi scusi, si dimentich…”
Christie fu costretta a fermarsi con il cuore in gola. Fronesis la fissava con gli occhi spalancati. Le pupille erano dilatate, erano visibili i capillari del bulbo oculare. Aveva la bava alla bocca. Era uno sguardo che comunicava voglia di uccidere. Durò poco più di un secondo. Poi tornò il solito Fronesis di sempre, con il suo atteggiamento confidente e il suo tono pacato: “È una teoria interessante. Se emergeranno nuovi indizi a sostegno le daremo sicuramente credito. Lei non è affatto stupida, mi creda. Dovrebbe avere un po’ più di fiducia in se stessa.”
Prima che potesse finire, però, Christie si era allontanata spaventata. Fronesis si incupì. “Ragazzina di merda”, aggiunse mormorando. Poi sputò nel bicchiere.
 

Il secondo giorno di allenamento fu incredibilmente duro. I muscoli di Okido erano a pezzi e sopportare nuovamente i pesi si stava dimostrando più arduo del previsto. Dopo aver pulito il pavimento, Nobuhiko lo introdusse a una sala con varie attrezzature da palestra. Provò a fare qualche trazione e degli addominali, con scarsi risultati. Il maestro lo rassicurò: “È già un miracolo che tu sia in piedi dopo quello che hai fatto ieri. Hai del potenziale! Quando avrai terminato qui raggiungimi per la lezione teorica.”
Era primo pomeriggio quando Okido afferrò il libro e lesse ad alta voce:
 
“2. Le statistiche
Il potenziale in combattimento di un pokémon è determinato da cinque statistiche principali:
  • Punti Salute [PS]: l’energia vitale del pokémon. Più sono alti più danni esso può ricevere.
  • Attacco: la capacità del pokémon di arrecare danno Fisico.
  • Difesa: la capacità del pokémon di subire danno Fisico.
  • Speciali: la capacità del pokémon di manipolare l’energia Speciale, sia in attacco che in difesa.
  • Velocità: la velocità del pokémon di sferrare un attacco. Soprattutto per le mosse Speciali, non corrisponde necessariamente alla mobilità del pokémon.
Le statistiche sono influenzate da diversi fattori secondo le seguenti formule:
PS = {[(B + VI) x 2 + (√ES : 4)] x Lv} : 100 + Lv + 10
Altra statistica = {[(B + VI) x 2 + (√ES : 4)] x Lv} : 100 + 5 
Dove:
  • Statistiche base : sono dei valori che dipendono dalla specie del pokémon e ne indicano il potenziale generale nelle varie statistiche. Non possono variare se non con l’evoluzione.
  • Livello [Lv]: è un valore che determina lo stato di forma del pokémon. Aumenta con l’allenamento e in genere viene quantificato su una scala da 1 a 100. Può salire utilizzando specifici integratori. Raggiunto un certo livello determinate specie di pokémon possono andare incontro a evoluzione cambiando aspetto, statistiche base ed eventualmente Tipo.
  • Esperienza statistica [ES]: è un valore che determina l’esperienza del pokémon. Aumenta con l’accumulo di varie battaglie ed è direttamente influenzato dall’avversario che si sconfigge. In genere viene quantificato su una scala da 0 a 65535 per ogni statistica. Può salire utilizzando specifici integratori.
  • Valori individuali [VI]: sono dei valori che dipendono dal singolo individuo e ne indicano il potenziale genetico innato. In genere vengono quantificati su una scala da 0 a 15 per ogni statistica. Non possono variare.  

Durante la lotta è inoltre necessario tenere conto altri fattori:

  • La Precisione è la capacità del pokémon di mandare a segno un attacco.
  • L’Elusione è la capacità del pokémon di schivare un attacco. Alcune mosse sono in grado di modificare temporaneamente le statistiche, comprese Precisione e Elusione.  

 

Okido sfogliò rapidamente il libro fino ad arrivare al catalogo dei pokémon. Era piuttosto rudimentale, di anni luce inferiore al Pokédex che aveva messo a punto suo nonno, ma era utile per avere una prima idea sulle statistiche base dei pokémon (ovviamente erano elencati solo i 148 pokémon ammessi alla Lega di Kanto). Si accorse che Sandslash aveva un totale di statistiche inferiore rispetto ad Arcanine; il primo aveva un Attacco alto e degli Speciali molto bassi, mentre il secondo sia Difesa che Speciali intermedi: era molto più bilanciato. Quando aveva affrontato quella donna aveva tenuto conto soltanto del vantaggio di Tipo (Terra batte Fuoco), ma adesso si era reso conto che vi erano numerosi altri fattori da prendere in considerazione.
“Mi sarà utile. Ma non devo imparare anche le formule, vero?”
“Certo che sì. Inizia a ripetere per duemila volte.”
“C-che cosa?” Neanche il tempo di dirlo che si beccò una sberla in fronte.
“Non discutere gli ordini del tuo maestro.”
 
Finito di pranzare era già a metà giornata, ma era stato leggermente più veloce del giorno prima. Nobuhiko posò la sua rivista soddisfatto per aver risolto un enigma di difficoltà elevata: “Oggi ci dedicheremo a rafforzare il legame con la tua squadra. I tuoi pokémon sono già ben allenati e continuano a rafforzarsi combattendo tra loro la mattina. Tuttavia se non riuscirete a instaurare un rapporto di fiducia reciproca non andrete da nessuna parte. Scegli due pokémon: proseguiremo a rotazione per tre giorni prima di ricominciare il ciclo.”
Okido decise che per iniziare sarebbe stato meglio utilizzare pokémon non troppo problematici. Dal momento che sembravano inseparabili tirò fuori dalle Pokéball Sandslash e Ninetales.
“Per prima cosa dimmi che cosa sai su questi due.”
“Sissignore! Sandslash è un pokémon di Tipo Terra; eccelle in Attacco e in Difesa, ha PS e Velocità mediocri e pessimi Speciali. Ninetales è un pokémon di Tipo Fuoco; è forte in Speciali e Velocità, mentre le altre statistiche sono nella norma.”
“Eccellente. Ma la teoria da sola non ti basterà.” Porse alle due creature alcuni semi. Improvvisamente emisero dei versi minacciosi e si misero sulla difensiva. “Ho appena dato ai tuoi pokémon dei Semetenebra. Derivano da una pianta esotica, molti non ne hanno mai sentito parlare, ma nel monastero dove mi allenai da giovane erano una componente indispensabile dell’allenamento tradizionale: la loro vista sarà offuscata per dieci minuti.” Nobuhiko fece scendere in campo un Mankey e un Machop. “Se non sconfiggerai questi qui per allora raddoppierò il peso di bracciali e cavigliere.”
Okido rabbrividì al solo pensiero. Doveva pensare in fretta. Sulla carta i suoi pokémon erano di gran lunga superiori. Gli avversari erano di Tipo Lotta e, trattandosi di forme ancora non evolute, avevano statistiche piuttosto basse. Nonostante ciò avevano entrambi un buon Attacco che al buio sarebbe potuto risultare fatale. Che cosa avrebbe dovuto fare? Ordinare a Sandslash di attaccare con Terremoto? Sarebbe stato un colpo sicuro ma avrebbe danneggiato anche il compagno, che avrebbe subito moltissimi danni a causa dello svantaggio di Tipo. Sferrare Lanciafiamme con Ninetales? Ma come avrebbe dovuto indirizzarlo verso il nemico? Forse la cosa migliore era concentrarsi sulla difesa. Dove avrebbero attaccato? Sul pokémon Fuoco ovviamente, non avendo esso una Difesa così alta.
“Tieniti pronto ad indietreggiare, Ninetales!” Preventivò Okido. In effetti gli avversari avanzarono verso la volpe. Mankey le lanciò un pugno frontale che fu prontamente schivato, ma il suo piccolo compagno umanoide era già piombato alle sue spalle e mise a segno il colpo. I due poi si ritirarono nelle retrovie. “Diavolo”, rifletté l’allenatore, “di questo passo il tempo scadrà. Cercare di schivare gli attacchi non può funzionare se i miei pokémon non vedono i nemici. Un momento: vedere?”
A Okido balenò in mente un piano: iniziò a correre verso il centro del campo di battaglia e arrivò a pochi passi dai nemici. Con l’incredulità di Nobuhiko l’allenatore tirò fuori dalla tasca due bacche e le spappolò sulla testa dei nemici. Poi batté in ritirata più velocemente che poteva. Un po’ affannato si rivolse ai suoi pokémon sorridendo: “Adesso colpiteli”. Machop si riprese subito, mentre il primate ci mise alcuni secondi per comprendere quello che era successo per divenire furioso subito dopo. La rabbia durò però ben poco: gli artigli di Sandslash e il soffio infuocato di Ninetales li misero al tappeto in un battito di ciglia.
Erano stati in grado di seguire l’odore emanato dalle bacche. La vista non è l’unico senso che permette di raccogliere informazioni sulla posizione dell’avversario: Okido lo aveva capito ripensando a quando Ninetales gli aveva sottratto la bacca dalla tasca il giorno prima; dal momento che non poteva averla vista doveva aver utilizzato l’olfatto!
Il maestro controllò: “Sette minuti. Congratulazioni. Ma non credi di esserti esposto un po’ troppo con quella mossa?”
“Certamente è stato un azzardo. Ma come ha già intuito la ragione per cui sono qui mi condurrà a situazioni pericolose. A differenza delle lotte normali anche l’allenatore deve essere pronto a rischiare.”
“Capisco. Però adesso dimmi una cosa: come mai avevi delle bacche in tasca?”
“Subito dopo l’allenamento volevo mangiare qualcosa con la mia squadra. Non si sa mai che mi affezioni realmente a loro.” Entrambi sorrisero mentre Sandslash e Ninetales, recuperata la vista, rivolsero fieri e trionfanti lo sguardo verso il loro allenatore.
 
Il terzo giorno procedette senza troppi intoppi. In mattinata Okido riuscì anche a eseguire alcune trazioni: di quel passo avrebbe dovuto aumentare il peso delle zavorre entro una settimana. Poi fu la volta del consueto capitolo:


“3. Le mosse e il danno
Per mossa si intende ogni azione specifica utilizzata da un pokémon in lotta. Ogni mossa appartiene a uno e un solo Tipo. Le mosse sono più potenti se condividono il Tipo con l’utilizzatore [fenomeno dello STAB]. Una mossa può essere:

  • Fisica, se infligge danno e appartiene a un Tipo Fisico.
  • Speciale, se infligge danno e appartiene a un Tipo Speciale.
  • Di Stato, se non infligge danno. Possono modificare temporaneamente le statistiche dell’utilizzatore o del bersaglio, infliggere condizioni di stato o avere altri effetti specifici.  

Le mosse hanno tre caratteristiche fondamentali:

  • Punti Potenza [PP]: il numero delle volte che la mossa può essere utilizzata in battaglia. Possono essere aumentati tramite specifici integratori.
  • Potenza [P]: l’entità della mossa in sé, sulla quale poi influiscono le statistiche offensive dell’utilizzatore e difensive del bersaglio.
  • Precisione: la precisione della mossa in sé, sulla quale poi influisce la precisione dell’utilizzatore.  

Una mossa può essere appresa da un pokémon aumentando di livello o tramite specifici strumenti detti Macchine Tecniche e Macchine Nascoste.
Nelle competizioni ufficiali è consentito l’utilizzo di sole quattro mosse per pokémon, che è anche il numero più comune di mosse che apprendono gli esemplari in natura. Nelle competizioni ufficiali sono ammesse soltanto le 165 mosse previste dal regolamento della Lega di Kanto.
 
Il danno è il quantitativo di Punti Salute sottratti all’avversario con una mossa. È calcolato tramite la seguente formula:
Danno = {[(2 x Lv x 1/5 +2) x P x A/D] : 50 + 2} x M 
Dove A e D stanno per l’attacco dell’utilizzatore e la difesa del bersaglio (considerati Fisici o Speciali a seconda dei casi) e M è un fattore modificatore costituito dal prodotto delle seguenti variabili:

  • L’efficacia del Tipo [x¼, x½, x1, x2, x4]
  • Lo STAB [x1.5 se presente, altrimenti x1]
  • La casualità [compreso tra x217/255 e x255/255]

L’offensiva A inoltre può essere raddoppiata se si colpisce un punto nevralgico del nemico [Brutto colpo].


Seguiva un lungo elenco delle mosse ammesse a Kanto, ma Okido decise che memorizzarle sarebbe stato superfluo: come per i pokémon, i suoi avversari non si sarebbero certo attenuti al regolamento ufficiale!
Ormai divenuto un esperto nel sopportare le lunghe sessioni di ripetizione, si apprestò a rileggere il passo duemila volte.
Nel pomeriggio fece uscire dalle loro sfere Alakazam e Cloyster. Nobuhiko tirò fuori un telecomando (probabilmente dallo stesso posto dove teneva i cruciverba… mistero!) e si aprì sul pavimento una vasca che permise al bivalve di sguazzare senza preoccuparsi della disidratazione. Okido recitò: “Alakazam è di Tipo Psico; è uno dei pokémon con Speciali e Velocità più alti dell’intera regione, tuttavia è scarso nelle statistiche Fisiche. Cloyster è un pokémon di Tipo Acqua/Ghiaccio con una Difesa altissima ma bassi PS, mentre le altre statistiche restano superiori alla media.”
Il maestro annuì, poi si incamminò verso l’uscita della stanza: “Ci vediamo tra una decina di minuti. Rompere le pareti è vietato!” E così di dileguò, chiudendo la porta a chiave.
Dopo pochi istanti Okido capì a cosa si stesse riferendo: dalla pozza di Cloyster cominciò a fuoriuscire un getto d’acqua velocissimo. Prima che potesse accorgersene era zuppo fin sopra le caviglie. “Di questo passo annegherò!” Il pokémon acquatico non sembrava, naturalmente, preoccuparsi della cosa. Anche Alakazam, che invece motivi di essere intimorito ne aveva eccome, si sforzò di mantenere la calma.
E adesso? Se avesse potuto ordinare ai suoi pokémon di sfondare il muro sarebbe stato molto più semplice. Era forse possibile rompere il tubo di immissione dell’acqua? Ordinò ad Alakazam colpire con Psicoraggio, ma il getto non accennava a fermarsi. Cloyster provò allora a ostruire il passaggio congelando l’area in prossimità del tubo con Geloraggio, ma anche questo tentativo fu vano: la pressione dell’acqua era troppo forte e la barriera cedette quasi all’istante. Intanto l’acqua era arrivata al bacino. Magari era possibile utilizzare i poteri psichici del pokémon volpino? La mossa Psichico conferiva alla creatura poteri telecinetici di tutto rispetto: con espressione risoluta Alakazam provò a dirigere l’acqua lontano dall’allenatore in modo che occupasse il resto della stanza. Inizialmente sembrava funzionare ma ben presto si palesò il limite di questa strategia: una volta che Psichico ha individuato un bersaglio non può più cambiarlo; questo voleva dire che se Alakazam manipolava un determinata massa d’acqua, quella che sarebbe fuoriuscita in seguito non poteva essere spostata. “Non posso utilizzare Psichico più volte, in media è una mossa con circa 10 Punti Potenza. Qualche minuto e sarei a secco. Devo inventarmi qualcos’altro!”
L’acqua, cessato lo Psichico, raggiungeva ora il gomito. Sembrava avanzare sempre più velocemente. Okido non ebbe il tempo di riflettere che se la ritrovò alle spalle. Poi fu costretto a staccare i piedi dal pavimento e iniziare a galleggiare. Alzò gli occhi: l’edificio era basso, entro due minuti sarebbe stato sommerso. Ma fu proprio nel rivolgere gli occhi al soffitto che trovò la chiave per uscire da quella situazione: c’era una piccola grata, probabilmente un condotto di areazione. Era troppo piccola perché potesse infilarvisi, ma poteva utilizzarla a suo favore. Ordinò nuovamente ad Alakazam di creare uno spazio asciutto (oramai era quasi impossibile, l’acqua era troppa perché potesse essere spostata). Poi si rivolse a Cloyster: “Ora devi utilizzare Geloraggio. Ma non su un obiettivo specifico: devi creare una struttura di ghiaccio. Segui il mio dito e cerca di fidarti di me.”
Poco dopo Nobuhiko entrò nella stanza, incontrando lo sguardo soddisfatto dell’allievo. Si trovò di fronte un condotto di ghiaccio che collegava il tubo dell’acqua alla grata. Il ponte era costantemente modellato da Psichico: a tratti Alakazam lo faceva salire dolcemente e a tratti scendere rapidamente, in modo che l’acqua raccolta ottenesse la spinta necessaria per raggiungere il soffitto e immettersi oltre la grata. Alla base vi era una sorta di recipiente ghiacciato che raccoglieva il fluido, che poi veniva spinto nel circuito vero e proprio innalzando la base del contenitore come fosse una molla. La cosa fondamentale è che a essere manipolato era il ghiaccio, che restava sempre nella stessa quantità, e non l’acqua che invece continuava a fuoriuscire. In questo modo era necessario utilizzare soltanto un Punto Potenza!
“Davvero eccellente. Non mi aspettavo che riuscissi a creare una cosa del genere! Una persona normale avrebbe temporeggiato con Psichico il più possibile fino al mio arrivo.”
“Ho pensato che questo allenamento servisse proprio a farmi capire che devo gestire con attenzione le mie mosse. Anche il pokémon più forte risulta inutile se non può attaccare. Però adesso perché non spegne il getto? Non so quanto reggerà tutto questo!”
Nobuhiko fece finta di avere tutto sotto controllo anche se si era palesemente scordato di quel dettaglio.
 
Quarto giorno: Okido iniziava ad abituarsi a quella sua nuova routine. I muscoli gli facevano ancora male ma i pesi non opprimevano più come all’inizio. Fece addominali, piegamenti, qualche trazione. La lezione teorica di quel giorno sarebbe stata l’ultima, nei giorni successivi si sarebbe focalizzato sull’allenamento fisico:


“4. I problemi di stato
Alcune mosse di Stato e gli effetti secondari di alcune mosse offensive possono infliggere all’avversario un problema di stato. I principali sono: 

  • Avvelenamento: chi lo subisce perde progressivamente Punti Salute. Si parla di Iper-Avvelenamento qualora il danno cresca esponenzialmente nel tempo. I pokémon di Tipo Veleno non possono essere avvelenati.
  • Congelamento: chi lo subisce è impossibilitato ad attaccare. I pokémon di Tipo Ghiaccio non possono essere congelati.
  • Paralisi: chi la subisce potrebbe non riuscire ad attaccare. La sua Velocità diminuisce del 75%.
  • Scottatura: chi la subisce perde progressivamente Punti Salute. Il suo Attacco si dimezza.
  • Sonno: chi lo subisce è impossibilitato ad attaccare.  

In genere queste condizioni permangono anche al di fuori della lotta. Esistono altri problemi di stato che sono invece più volatili e circoscritti quindi alla battaglia. I principali sono:

  • Confusione: chi la subisce risulta disorientato e potrebbe ferirsi da solo nell’intento di sferrare una mossa.
  • Tentennamento: chi lo subisce potrebbe non riuscire a muoversi per breve periodo.
  • Imprigionamento: chi lo subisce è intrappolato dalla mossa dell’avversario; ha quindi mobilità ridotta e non può battere in ritirata.
  • Parassiseme: è una mossa di Tipo Erba che sottrare gradualmente Punti Salute all’avversario per poi assorbirli e recuperare energia.


Ripeté per duemila volte. “E questo è tutto. Immagazzinare così tante informazioni è stato a dir poco tedioso, mi è sembrato di ritornare a scuola! Se un giorno dovessi scrivere la storia della mia vita eviterei senz’altro di riportare questa parte. O forse no, credo sarebbe necessario.”
Durante il pranzo il maestro gli chiese se aveva sentito quello che era successo la sera prima a Surge. Annuì. Certo che lo aveva sentito, diamine! Era proprio il motivo per cui si stava allenando tanto! Sperava con tutto se stesso che gli omicidi sarebbero rallentati ancora ma aveva un timore indescrivibile di non fare in tempo. Nobuhiko finì in fretta il misoshiru: “A volte sono proprio contento di non essere più un capopalestra!” Aggiunse ridendo.
 
Prima di iniziare l’addestramento pomeridiano Okido fece uscire Exeggutor. “Tipo Erba/Pisco. Ha ottimi Speciali e una bassa Velocità.”
“Perfetto. E Pidgeot?”
“Beh, è un pokémon Normale/Volante con ottimi valori in Velocità e Attacco, mentre le altre statistiche sono nella media. Direi che si tratta di un pokémon piuttosto bilanciato, soprattutto per le lott…” Si beccò una sberla in testa.
“Intendevo dire che devi tirarlo fuori dalla Pokéball.”
“Certo…”, fece Okido un po’ riluttante. “Suppongo che non dovrà inventarsi nulla di troppo complicato per la sessione di oggi.”
Non appena Pidgeot fu libero di distanziò da Okido e si mise in guardia. Sbattendo velocemente le ali creò una raffica di vento diretta verso l’allenatore. Fu allora che Exeggutor si frappose tra i due incassando il colpo.
“D’accordo. Se è la lotta che vuoi ti accontenterò!” Okido ordinò a Exeggutor di utilizzare Attacco Pioggia (che, a discapito del nome, consiste nel lancio di semi di cocco). Il grosso rapace si destreggiò abilmente tra la raffica di proiettili uscendone praticamente illeso e si fiondò sull’avversario colpendolo con le ali.
Okido sapeva benissimo di trovarsi in svantaggio. Le mosse Volante di Pidgeot infliggevano moltissimi danni al suo pokémon Erba, anche considerando la sua Difesa non eccellente e l’elevato Attacco del nemico. Non poteva vincere continuando semplicemente ad attaccare.
Pidgeot indietreggiò e fissò l’avversario con sdegno. Sembrava voler dire: “Perché diamine stai combattendo al suo fianco?” Dal canto suo Exeggutor rispose con un espressione da sbruffone; probabilmente lo stava facendo soltanto perché lo trovava divertente.
L’uccello di arrestò per alcuni istanti. Okido capì: “Guarda che conosco le tue mosse, stupido. Stai preparando un Aeroattacco.”
Ci aveva preso: Aeroattacco è una mossa di Tipo Volante estremamente potente, ma richiede del tempo per attivarsi. Durante quel periodo l’utilizzatore resta scoperto e il nemico può facilmente mettere a segno un attacco. Pidgeot però sapeva che Exeggutor non aveva mosse che potevano sconfiggerlo in un solo colpo.
L’allenatore accennò un sorriso: “Non ho idea del perché ti comporti così, ma sei proprio un ingenuo. Exeggutor, utilizza Ipnosi!” A quel comando gli occhi del pokémon palma (di tutte le teste!) cominciarono a roteare in maniera anomala puntando sul pennuto. La vista di Pidgeot cominciò ad appannarsi. Si fece sempre meno nitida finché esso non abbassò definitivamente la palpebre e cadde al suolo. Era nello stato di Sonno! Non avrebbe potuto attaccare per un bel po’. A quel punto Exeggutor avrebbe potuto finirlo ma Okido decise che poteva bastare: ritirò entrambi nelle loro Pokéball.
Nobuhiko, che aveva osservato l’intero combattimento senza dir nulla, si avvicinò all’allievo e gli diede una pacca sulla testa. Stavolta si trattava di un segno di affetto ma gli fece comunque male.
“Hai gestito la situazione molto bene. Che cos’ha il tuo pokémon?”
“Non ne ho idea.” Rispose sconsolato. “Credo che semplicemente gli stia antipatico.”
“Forse ha soltanto visto giorni più felici. In questo non posso aiutarti ma sono sicuro che troverete il modo di andare d’accordo. In ogni caso sono soddisfatto di come hai utilizzato i problemi di stato a tuo favore. Cerca di tenere sempre a mente quello che hai imparato in questi giorni! Ora va pure a riposare, sarai a pezzi.”
 
I giorni successivi trascorsero in fretta. Okido si rafforzò progressivamente nel corpo e nella mente. Ogni giorno si allenava in palestra, ripeteva alcune nozioni di teoria e si dedicava all’addestramento dei pokémon. Il legame con la sua squadra cresceva sempre di più. Anche se Pidgeot continuava a non ubbidire ai suoi ordini, non lo aveva più attaccato da quando era stato sconfitto in battaglia. Gli esercizi in palestra risultavano più semplici e dopo una settimana anche il peso delle zavorre era aumentato. Da quindici a venti chili e poi da venti a trenta. Oramai Okido viveva sorreggendo costantemente centoventi chili tra braccia e gambe. A metà del mese aveva saputo della capopalestra Erika, ma gli omicidi sembravano rallentare sempre di più. Allo scoccare del trentesimo giorno non si erano registrati altri casi.
Proprio quella mattina, nel recarsi in palestra per equipaggiare i pesi, Okido fu fermato dal maestro: “Oggi non prenderli. Sei maturato abbastanza: se riuscirai a sconfiggermi in una lotta non avrò più nulla da insegnarti.”
 

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Nota: contiene temi leggermente espliciti e tratta tematiche delicate.

 

Capitolo 8 - Rosa bruciata

 

Fronesis salì le scale senza fretta. Aggiustò la bombetta, diede una sistemata al nodo della sua rossa cravatta e procedette a piccoli passi. Il suono del suo bastone si mescolava a quello dei passi: qualcuno avrebbe potuto pensare che si trattasse di una creatura con tre gambe.
“Corridoio B, Stanza 21. Eccoci qui.” Bussò. Nessuna risposta.
Avvicinando la mano alla maniglia della porta la sua espressione seria si tramutò in un falso sorriso amichevole. Sul letto d’ospedale, collegato ad alcuni macchinari, un uomo grande e grosso giaceva in uno stato di semi-incoscienza. 
“Buongiorno, signor Surge.” Disse, alzando il cappello.
Dall’altro lato l’uomo masticò alcune sillabe a fatica: “Ch… se…” La mascherina che gli copriva la bocca ovattava molto il suono ma era evidente che faceva anche fatica a respirare. La sera prima la sua Palestra a Kuchiba era saltata in aria ed egli era rimasto coinvolto gravemente nell’esplosione. Quando la polizia poche ore più tardi trovò il corpo, fu portato d’urgenza all’ospedale cittadino. Aveva perso tutti e quattro gli arti, un occhio e l’intero setto nasale. I suoi capelli dorati erano ridotti in cenere e la pelle aveva assunto un colore bluastro, lasciando scoperti i muscoli in molti punti. Ma era sopravvissuto.
“Mi perdoni per l’intrusione. Il mio nome è Tatsuya Hishida e faccio parte dell’Interpol.” Mostrò un distintivo. “Stiamo indagando circa l’incidente di ieri sera. Mi rendo conto che la sua situazione è quanto mai spiacevole e non è nostra intenzione disturbarla più di tanto. Ho assicurato al personale che quest’incontro non durerà più di qualche minuto.” Surge provò ad annuire.
“Veniamo subito al dunque: il suo caso è palesemente riconducibile agli altri due omicidi di queste settimane, non c’è bisogno che glielo dica. Lei però è l’unico a essere ancora vivo. Vorremmo sapere tutto quello che riesce a ricordare dell’assassino.”
Surge chiuse l’occhio che gli rimaneva. Attimi di silenzio rotti soltanto dal segnale acustico che evidenziava il battito cardiaco del capopalestra. Bip. Bip. Bip. Poi provò ad articolare: “Fu…” Tossì.
“Non si sforzi. Abbiamo tutto il tempo del mondo.” Il segnale acustico accelerò. Bip. Bip. Bip. Bip.
“Fu… ri… ko.”
“Furiko? Cos’è Furiko? Coraggio.” Sempre più veloce. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.
“Va… Ma.. sa… ra.” Tossì ancora, stavolta più a lungo. 
Fronesis accennò un sorriso. Gli si illuminarono brevemente gli occhi. Bip bip bip bip bip bip bip.
“Pa… la… c… Ha… na… ko.” 
Bip. Seguì un suono acuto, prolungato. Fronesis si alzò e si avviò verso l’uscita: “Lavorare con lei è stato un vero piacere! Sogni d’oro.”
Le infermiere si accorsero della tragedia dopo pochi minuti. Nell’ospedale si diffuse il caos: medici che andavano avanti e indietro per i corridoi, la sala di rianimazione gremita per ore. Non ci fu nulla da fare: Surge era morto, il suo cuore era andato in pezzi. Com’era possibile? Fino a pochi istanti prima era stabile! Era entrato qualcuno? Eppure tutte le visite erano state categoricamente negate.
Anche cercando, però, non avrebbero trovato nulla. Fronesis se n’era andato come era venuto: senza lasciare tracce. Si allontanò fulmineo dall’ospedale e iniziò a passeggiare per i viali della città portuale come se nulla fosse successo. Se non fosse  stato per il rudere della Palestra sarebbe stato un posto come gli altri. Un cantiere in costruzione, il palazzo della prefettura, le navi che attraccavano. Si sedette su una panchina e osservò alcuni Pidgey che beccavano del mangime sparso per la strada. Probabilmente venivano dai percorsi a nord o a ovest, sono pokémon che non di rado si spostano nei centri abitati per mangiare. Gli venne quasi voglia di portarne uno con sé. Mentre rifletteva una voce anziana lo sorprese alle spalle: “Tatsuya Hishida dell’Interpol, eh? Ma a chi vuoi darla a bere?”
Dopo un istante di sbigottimento recuperò il sangue freddo: “Pistis, maledetto vecchiaccio! Ti ho detto milioni di volte di non apparire così all’improvviso.”
“Ti dà fastidio perché non riesci a prevedermi?” Rise di gusto.
“Perché mi stavi tenendo d’occhio?” Fece visibilmente seccato.
“Riteniamo che dovresti agire con maggior cautela. Ti sei fatto vedere in volto da quell’esaltato della guerra, l’ho dovuto far fuori. La poca prudenza che adotti non si addice al tuo nome.”
“Beh, neanche la poca fede che riponi in me si addice al tuo.”
Pistis lo guardò severo: “Non giocare con la semantica. Sei perfettamente consapevole della differenza tra fiducia e Fede.”
“Sì, sì, come vuoi. Ora perché non mi dici qualcosa di più interessante?” Si esibì in un ghigno colmo di malizia. “Come hai ucciso questa volta?”
“Sei proprio un edonista sopra le righe, tu. Gli ho semplicemente stritolato il cuore dall’interno.”
“Delizioso!”
“Cosa farai adesso?”
“Prima di tornare dai miei amici poliziotti ho un viaggetto da fare. Ma se stavi ascoltando questo lo sai già. Furiko. Va a Masara. Parla con Hanako. Era più o meno così, no?”
 
Il ragazzo dal berretto rosso stava correndo nel bosco. 
D’un tratto si sentì afferrare la caviglia: una radice lo stava trascinando verso il suolo. Prontamente si voltò e riuscì a liberarsi maneggiando la lama di un coltello. La fitta vegetazione non gli aveva permesso di notarlo prima: era circondato da ogni lato dai pokémon ostili. Prima che i nemici potessero sferrare un altro attacco egli tirò fuori dalla Pokéball il suo Charizard e schioccò le dita. Il dragone delimitò un cerchio attorno al suo allenatore utilizzando la coda fiammeggiante: nessuno ora poteva avvicinarsi senza ustionarsi.
A giudicare dall’ambiente e dalla mossa che avevano utilizzato in precedenza, dovevano essere dei Tipi Erba: procedeva tutto come previsto. Alcune radici provarono a passare al di sotto del cerchio di fuoco ma si carbonizzarono quasi all’istante. Il ragazzo, invece, non sembrava avvertire il calore più di tanto.
Charizard spiegò le ali e si erse in volo. Gli alberi erano così numerosi che non poteva stimare quanti fossero i nemici. Alcuni Bellsprout erano usciti allo scoperto. Quegli stupidi pokémon pianta si gettavano tra le fiamme senza esitare un istante e il loro esilissimo fusto si sgretolava prima ancora che se ne rendessero conto. Evidentemente avevano avuto l’ordine di scagliarsi sul nemico e la loro consapevolezza del mondo era troppo bassa perché potessero capire che si stavano suicidando in massa.
Più prudenti erano gli Oddish: una ventina di loro si erano posizionati a distanza con il bulbo immerso nel terreno e soltanto le foglie in superficie. Da queste rilasciavano polveri di varia natura, da paralizzanti a sonniferi passando per veleni. Charizard si spostò a favore di vento in modo da non essere contagiato; virò rapido alle spalle di quelle fastidiose mandragore semoventi e le mise fuori gioco con il suo alito di fuoco. Poi recuperò il suo allenatore.
Il ragazzo continuò ad avanzare nella boscaglia. Molti Bellsprout e Oddish provarono a sbarrargli la strada, più e più volte. Era evidente che non fossero pokémon selvatici. Per controllare lanciò una Pokéball vuota su uno degli avversari. Come pensava, l’oggetto non funzionò: catturare il pokémon di un altro allenatore è impossibile. Dopo dieci minuti che vagava senza sosta aveva carbonizzato più di un centinaio di creature. Cominciava a essere più semplice individuarli; aveva iniziato a far caso ai rumori del bosco. Foglie spezzate, fruscii tra i rami, strani spostamenti d’aria: ogni cosa gli indicava la presenza di un elemento ostile.
Dopo l’ennesima orda di Bellsprout l’allenatore deviò dal sentiero principale. Imboccò una deviazione a destra praticamente invisibile: le foglie avevano coperto quasi interamente il percorso e soltanto la posizione degli alberi indicava che un tempo quella zona era stata adibita al passaggio umano.
Nel praticare quel sentiero il ragazzo rischiò più volte di precipitare: il terreno era colmo di profondi fossi nascosti dal fogliame. Quando si accorse per la prima volta del pericolo ritrasse il piede appena in tempo e la buca rivelò la sua vera natura: sul fondo brulicavano colonie di Paras. Come se non fosse bastato i funghi che crescevano su quegli insetti rilasciavano spore paralizzanti. Delle vere e proprie trappole degne del miglior cacciatore. Il ragazzo decise di ricorrere nuovamente a Charizard: schioccando le dita gli ordinò di soffiare un’estesa fiammata su tutto il sentiero. Molti alberi bruciarono e un principio di incendio iniziava a prendere forma, ma ancor più importante il fuoco penetrò all’interno dei fossi uccidendo i Paras. 
Con la strada spianata i due proseguirono. L’allenatore avrebbe preferito salire in groppa al rettile volante ed evitare così di fronteggiare altre insidie ma lo spazio di manovra nel bosco era troppo ridotto. Avrebbe dovuto ergersi al di sopra degli alberi ma così facendo avrebbe con ogni probabilità perso l’orientamento. Dopo alcuni minuti di cammino la vegetazione cominciò a diradarsi. Le fronde lasciarono il posto ad un’ampia radura. E al centro di essa un piccola baita in legno. Non aveva dubbi: lì attorno c’erano almeno nove nemici.
Charizard si mise in guardia. Improvvisamente il dragone fu colpito: un proiettile dalla sinistra. Scomparve tra le fronde alle loro spalle. Silenzio. Un altro proiettile, stavolta da destra. Cosa diamine erano? E da dove arrivavano? Dal bosco che avevano già percorso, probabilmente, visto che nascondersi in quello spazio pianeggiante era impossibile. L’allenatore si voltò e tenne gli occhi spalancati. Terzo proiettile: eccolo! Schiocco di dita più forte dei precedenti, il rettile si voltò e bloccò il colpo tra le fauci. Un Weepinbell. Cosa? Stavano sparando delle piante carnivore?! Charizard triturò il malcapitato senza pensarci due volte. 
Con un cenno il ragazzo ordinò al pokémon di seguirlo. Dovevano inoltrarsi di nuovo nella boscaglia per identificare il nemico. Pochi passi nel bosco e delle polveri si diffusero nell’aria. L’allenatore si tappò il naso, il drago sbatté le ali. Erano più concentrate delle precedenti ed emanavano un odore molto più forte. Il ragazzo cercò di seguire la scia dove si faceva più fitta, restando in apnea: gli bastarono pochi istanti per trovarne la fonte ma gli sembrò un tempo interminabile. I responsabili erano un gruppo di Gloom posizionati dietro grossi massi muschiati. Le piante maleodoranti furono bruciate da Charizard con un solo colpo.
Chi possedeva questi pokémon era uno stratega di tutto rispetto: aveva schierato in prima linea i più deboli, disseminato il percorso di trappole e adesso le truppe migliori attaccavano a distanza, celandosi alla vista. Tuttavia commise un errore fatale: un altro Weepinbell colpì Charizard per poi dileguarsi. Ora che si trovavano in territorio nemico non c’erano più dubbi, la posizione degli alberi indicava soltanto una possibile traiettoria del proiettile. A quella velocità il pokémon non poteva certamente curvare! Il ragazzo riuscì a intuirla in una frazione di secondo e indicò la strada al drago. A sinistra, oltre un gruppo di pioppi, poi diritto; si apriva un varco oltre alcune piante frondose fino a una grossa quercia. Lì quattro avversari li attendevano.
Un Ivysaur, un Parasect e un Victreebel facevano la guardia a un Tangela. Quest’ultimo aveva le elastiche liane del suo corpo attorcigliate ai rami del grande albero a formare una sorta di fionda. Ecco come facevano a sparare i Weepinbell!
L’allenatore capì di avere la situazione in pugno. Adesso che aveva individuato i nemici la battaglia si era conclusa. Sì, perché Victreebel poteva anche avere un Attacco e degli Speciali altissimi, Parasect e Ivysaur potevano provare a causare problemi di stato all’infinito e Tangela a sparare quanti pokémon aveva a disposizione. Ma il suo Charizard, così come qualsiasi altro suo compagno, era semplicemente troppo forte per poter perdere. Così era scritto. Così disse lo schiocco di dita.
Come prevedibile quando Charizard si fiondò all’attacco fu Victreebel a farsi avanti, avendo il potenziale offensivo maggiore, mentre gli altri tre diffondevano polveri e preparavano le munizioni. L’enorme pianta carnivora provò a gettarsi sul nemico con l’intento di ingerirlo. La sua grossa bocca poteva contenere creature ben più grandi del suo intero corpo e i succhi gastrici avrebbero fatto il resto. Ma Victreebel era lento: il rettile di fuoco schivò senza errore ogni suo assalto e al contempo respinse il pulviscolo generando raffiche con le ali; sembrava stesse giocando con una preda già morta.
Passarono circa quaranta secondi quando decise che era ora di farla finita. Schivò un Weepinbell, virò su Parasect e conficcò gli artigli nell’imponente fungo che gli cresceva sul dorso. Quell’attacco generò un considerevole rilascio di spore che oltre Charizard colpirono anche Ivysaur. Quell’attacco generò un gran rilascio di spore che oltre Charizard colpirono anche Ivysaur. Entrambi non risentirono direttamente degli effetti della nube di polveri, ma mentre il drago la allontanò da sé con un battito d'ali la minuta lucertola dal bocciolo rosato ci si ritrovò in mezzo e la sua visuale si ridusse considerevolmente. Fu colpito e messo fuori gioco dalla morsa del pokémon avversario prima che potesse rendersene conto.
Victreebel azzardò un ultimo disperato tentativo convogliando nelle sue foglie l’energia solare assorbita: si preparava a un Solarraggio. Ma in contemporanea Charizard diede sfogo a tutta la sua potenza sopita. La fiamma della coda arse più vigorosamente, il calore che stava per fuoriuscire dalla bocca generava piccole perturbazioni nell’aria. Solarraggio è un attacco che richiede del tempo per essere sferrato, al contrario il drago colpì velocissimo. La mossa Incendio fu così devastante che la grande quercia scomparve in un battito di ciglia, polverizzata. E con essa i suoi quattro guardiani.
Charizard rientrò nella sua Pokéball e l’allenatore si diresse nuovamente alla radura. Non avvertiva più alcuna presenza ostile. Ciottoli e pietrisco evidenziavano un piccolo sentiero che conduceva alla baita. La porta in legno non era chiusa a chiave, non aveva neppure una serratura.  La aprì delicatamente, lama alla mano. Un breve corridoio, affiancato a sinistra da una rampa di scale, conduceva a un salotto. Fiori e rampicanti in ogni angolo, un tavolino apparecchiato per due, un lavabo, una vecchia dispensa, un divano rosa. E sul divano un’esile dama dai capelli corvini riposava senza curarsi dell’intruso. Di fianco al divano un’enorme pianta rossa. Soltanto i petali erano alti circa un metro. Aveva un odore pungente. O forse era dolce? Il ragazzo non lo ricordava. Le sue palpebre si fecero pesanti. Un sonnifero. Era caduto in trappola come uno stupido. Vide l’ombra offuscata della ragazza venire verso di lui. Il ricordo dei giorni passati in sua compagnia afferrò il suo animo con una morsa chiamata “malinconia”. Poi il buio.

 

Quando rinvenne era sdraiato sul divano rosa. La ragazza, seduta al tavolino, beveva una tisana alle erbe.
“Finalmente ti sei svegliato. Hai dormito per quattro ore. Non credevo che il Sonnifero di Vileplume fosse così potente, io non lo sento neppure.”
L’allenatore controllò la cinta. Poi gettò un’occhiata fulminea all’interlocutrice.
“Non preoccuparti. I tuoi pokémon sono al sicuro. Volevo soltanto assicurarmi che una volta rinvenuto non mi assalissi senza motivo.”
Provò ad alzarsi. Le gambe però erano ancora addormentate.
“La smetti o no di dimenarti? Sei proprio un bambino che non sa accettare la sconfitta. Ecco, tieni.”
Gli porse una tazza di quello che sembrava tè verde. Con lo sguardo rivolto verso il basso, quasi riluttante, il ragazzo accettò.
“Guarda che puoi anche dire qualcosa se vuoi. Non succederà nulla.”
Fece scendere la bevanda tutta d’un sorso, abbassò la testa e si voltò dall’altro lato del divano, affondando la testa nel cuscino.
“Che scemo… Senti, com’è che mi hai trovata? Il Bosco di Tokiwa non è esattamente a due passi dalla mia Palestra a Tamamushi.”
“Ci sono stato, a Tamamushi, ma non c’eri. Quando giocavamo a nascondino da piccoli questo era il tuo posto preferito, sapevo che eri qui. Ci venivi sempre anche se gli adulti ci dicevano di non allontanarci così tanto. Il vecchio sentiero oramai non lo usa più nessuno, è tutto coperto di foglie.”
“Maledetto scemo, se proprio vuoi parlare almeno togli la testa dal cuscino. Così non si capisce niente!” In realtà era felice che avesse finalmente aperto bocca, anche se non lo dava a vedere.
Ci furono alcuni istanti di vuoto. Non era un silenzio imbarazzante, piuttosto una pausa naturale per il discorso che stavano per iniziare.
“Erika…” Il suo tono si fece più basso. Come se volesse dirle con tutto il cuore qualcosa e allo stesso tempo desiderasse soffocare nella vergogna quelle parole.
“Sì?” Chiese lei.
“Quando sono stato a Tamamushi ho ucciso un uomo.” Spinse forte la testa sul cuscino.
Gli occhi di Erika persero vita. L’iride argentea e la pupilla si mescolarono in uno sguardo assente.
“Solo uno, Sato? Hai ucciso soltanto un uomo? Chi è stato a uccidere Takeshi? E Kasumi? E Surge? Li conoscevo tutti e tre, sai?” Il ragazzo continuava a tenere la testa bassa. 
“Avevano tutti delle persone care. Takeshi si occupava da solo di nove fratelli più piccoli. Il più giovane ha quattro anni. La madre morì di parto e il padre scappò alla sua nascita. Takeshi era capopalestra soltanto perché doveva trovare il modo di sfamare la sua famiglia. Lo sapevi, Sato?” Silenzio.
“Kasumi ha tre sorelle. Sono una più in gamba dell’altra. Lei si impegnava sempre così tanto per raggiungerle, credeva di essere la più debole del gruppo. Quando capì che nel nuoto poteva davvero diventare qualcuno, quando vinse sua la prima gara, era al settimo cielo. E le sue sorelle erano così fiere di lei. Adesso che lei non c’è più come faranno a essere fiere della loro sorellina. Eh, Sato?” Silenzio.
“E quel vecchio rimbambito di un tenente? Così pieno di sé, con quell’aria da uomo vissuto. Tu sai meglio di me che cos’ha dovuto passare.” La voce di Erika iniziò a tremare leggermente. “Che cosa dovrebbe pensare Hanako? Eh, Sato?! Come dovrebbe sentirsi tua…”
“Non è la stessa cosa.” La interruppe Sato, sollevando la testa. 
Lei iniziò a urlare: “Come cazzo fa a non essere la stessa cosa, idiota?! Tu ti rendi conto di quello che stai…”
“Ho ucciso quell’uomo perché ha detto delle cose orribili su di te.”
Erika sussultò. Le mancò il fiato per un momento. “Cosa stai…”
“Ero a Tamamushi perché ti stavo cercando. Quando mi hanno detto che per ragioni di sicurezza avevi lasciato la Palestra sono andato in città a cercare informazioni. Dopo un po’ che vagabondavo sono entrato in un bar. Lì c’era un uomo di mezza età, basso, grasso. Fece il tuo nome. Mi avvicinai, gli chiesi se sapeva qualcosa di te. Glielo scrissi su un foglio in realtà, lo sai che parlo solo con te. Conoscendola starà facendo divertire qualche riccastro, mi ha detto. Lei fa così. Una piccola mancia dopo una lotta in Palestra e te la porti a letto. In città lo sanno tutti. Anche io me la sono fatta un paio di volte. Che gran bei tempi. Ho aspettato che uscisse e gli ho staccato la testa. Non potevo sopportare che venissero dette queste bugie sul tuo conto.”
Il ragazzo si prese uno schiaffo in faccia, gli si gonfiò la guancia sinistra. Erika scosse la testa. Aveva le lacrime agli occhi: “Sei proprio stupido. Sei il più grande stupido del mondo.”
“Lo so che non avrei dovuto ammazzarlo, ma…”
“Ha detto la verità.” Lo disse di getto. Stava singhiozzando come non faceva da tempo. Forse da sempre.
Sato rimase senza parole. “Ma…”
“È così e basta! Non sono più quella bambina innocente di qualche anno fa. E anche tu non sei più quel bambino. Hai ucciso delle persone e dei pokémon. Anche i miei. E adesso vorresti farmi credere che tieni ancora a me?! Ti odio! Ti odio! Ti odio!”
Sato non disse nulla per un po’. Adesso però aveva lo sguardo rivolto verso di lei. Al suo viso tondo. Ai suoi occhi argentati arrossati dalle lacrime. Al suo corpo snello. A quel corpo che aveva venduto. Perché? Che cosa l’aveva spinta a fare una cosa simile? Lei che da piccola era così orgogliosa, che elaborava le strategie più disparate per non passare mai in svantaggio. Quel lato di lei non era scomparso, l’aveva visto chiaramente nel bosco. Allora che cos’era successo?
“Senti Sato.” Si era ripresa in parte dal pianto. “Io ho deluso te e tu hai deluso me. Perché non te ne vai e non facciamo finta di nulla? Se mi vuoi morta per qualche motivo sparirò dalla circolazione, resterò qui. Non ho molto altro da fare. Io non chiamerò la polizia. D’accordo?”
Il ragazzo si alzò dal divano. Le gambe erano ancora deboli ma riusciva a reggersi in piedi. Avrebbe potuto incamminarsi verso la porta e sparire per sempre. Invece si avvicinò a lei. E la abbracciò. La strinse forte tra le sue braccia. Erika in un primo momento si irrigidì. Poi portò le mani al viso di lui. Si guardarono negli occhi, sfiorarono i loro nasi, avvicinarono le labbra. Erano due persone piene di macchie, piene di peccati. Eppure fu un bacio innocente.
A piccoli passi, tentennando dalla timidezza, si accompagnarono vicendevolmente fino al piano di sopra tenendosi per mano. Si spogliarono poco per volta, tra un tremito e l’altro. Quando Sato si scoprì la ragazza sobbalzò: “Che cos’hai fatto?”
Le gambe del giovane erano quasi del tutto prive di pelle. Una grossa cicatrice gli cingeva l’intero bacino, come se il suo corpo fosse stato spezzato in due parti e poi ricucito.
“Quando…” Sato incrociò le braccia al petto come per ripararsi dal freddo e abbassò lo sguardo. “Quando la Palestra di Surge è esplosa io ero dentro. Ci ho messo un po’ per rigenerarmi. Lo so che è disgustoso.”
Erika chiuse gli occhi. Stavolta fu lei ad abbracciarlo. I corpi spogli dei due ragazzi si sovrapposero l’uno sull’altro. Per quanto potessero essere freddi combattenti o abili strateghi adesso non erano che giovani deboli e indifesi. Unirono i loro corpi e i loro spiriti danzando al lume di una lanterna, nella vecchia baita del bosco.

 

Il giorno seguente si svegliarono all’unisono, lei nelle braccia di lui. Distante, il canto degli uccelli mattinieri assumeva la forma di una melodia che rievocava ricordi lontani.
Erika si rannicchiò portando le ginocchia al volto, volgendo la schiena al ragazzo: “Dovremmo parlarne.”
Sato le accarezzò i capelli con il viso. Avevano un buon odore. Un fiore che non conosceva. “Lo so.”
“Prima tu.” Lo disse con una voce infantile. Ma non era un capriccio. Aveva paura di affrontare quella realtà.
Il ragazzo annuì. “Sono un sicario. Non so molto degli scopi della persona per cui lavoro adesso. Potrei dire che lo sto facendo per soldi. Uccidi tutti i capipalestra e ti renderò ricco. Ma sarebbe una menzogna bella e buona. Certo, mi pagano bene, ma non è quello il vero motivo.” Prese fiato. Finalmente decise di sciogliere quel nodo che si portava da anni in gola. “Questa è la mia punizione. Per quello che ho fatto dieci anni fa. Perché trovai gusto nel fare quella cosa. Ho continuato a uccidere perché so che prima o poi qualcuno mi fermerà. Presto o tardi mi faranno provare il dolore che merito.”
Erika, ancora rivolta dal lato opposto, si morse il labbro e iniziò a piangere: “C-che scemo. Noi due siamo proprio uguali. Due stupidi.” Sato le toccò spalle. Lei si voltò. Il sorriso del giovane la esortava a continuare. Non preoccuparti. Proprio io non potrei mai giudicarti, le diceva quello sguardo.
Sospirò: “Anche io non lo faccio per soldi. Non soltanto almeno, da quando la Lega ha così pochi sfidanti i nostri stipendi sono andati sempre più calando. Anche per me questa è un punizione.” Si fermò. Forse si aspettava una risposta, un dubbio, un timore. Il ragazzo però decise di ascoltare senza aggiungere nulla.
“Successe quando sparisti, sei anni anni fa. Tu forse non lo sai ma attorno quella data anche mio padre se ne andò e io mi trasferii con mia madre a Tamamushi. Avevo quindici anni. A quindici anni mio padre mi violentò e poi scappò senza dirmi nulla.” Disse l’ultima frase tutta d’un fiato, mescolando le ultime parole alle lacrime.
La voce si fece acuta e tremolante. Urlava di angoscia: “La cosa più terribile è che mi piacque. Capisci, Sato? Capisci che persona sono!? Mi ha violentato e io ho provato piacere per quell’atto orribile. Io merito di essere trattata come un pezzo di carne senz’anima da vendere al miglior offerente. Perché non mi uccidi, Sato? Tra tutti proprio io non merito di essere salvata! Uccidimi, ti prego!”
“No.” Rispose calmo. “Non è stata colpa tua.”
“Non è vero. Puoi dire quello che vuoi ma non cambierà la rea…”
“Anche se fosse non mi interesserebbe.”
Erika rimase spiazzata. “M-ma…”
“Non mi interessa quanto ti reputi orribile. Io sarò sempre peggio di te. Quindi continuerai a piacermi. Non puoi farci nulla.”
Le mani tremanti di lei afferrarono quelle di lui. “Grazie” disse con il viso ancora grondante di lacrime.

 

Si vestirono e scesero al piano di sotto. Erika preparò una tisana che servì con alcuni biscotti.
“Sato…” Esordì un po’ esitante.
“Dimmi.” Addentò un biscotto e bevve un sorso.
“Perché non scappiamo?”
Al giovane allenatore andò di traverso la colazione. “C-che cosa?”
“Andiamocene via di qui. Scappiamo in qualche regione lontana. Usciamo fuori dalla Nazione se necessario. Al diavolo le nostre punizioni. Io mi farò carico della tua e tu della mia. Possiamo vivere lasciandoci tutto alle spalle!”
I due si fissarono per un intero minuto senza proferir parola. Poi Sato ruppe la quiete: “Perché no?”
Si misero a ridere. Poi il loro sangue gelò. Si accorsero dell’uomo alla finestra.


“Dimmi, Satoshi. Quale pegno pagherai per questo tradimento?”
La fine del sogno.


 

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Capitolo 9 [1/2] - Il lottatore, lo scienziato e la strega

 

Gli sguardi di allievo e maestro si incrociarono un istante prima della battaglia.

“Anche se questo è un allenamento non ci andrò leggero. Stiamo per simulare uno scontro all’ultimo sangue, quindi non cadere nell’errore di credere che segua le regole delle lotte ufficiali.” A Nobuhiko non servì pronunciare queste parole. Okido ne era ben consapevole: anche se non gli aveva mai rivelato il motivo della sua visita il padrone del Dojo aveva da subito afferrato che era coinvolto in qualcosa di molto pericoloso, o almeno così gli era sembrato. Quello sguardo non fece che confermare la sua supposizione.

Le Pokéball si aprirono all’unisono. Ai lati opposti dell’arena si ersero Exeggutor e Machoke.

Okido processò in pochi secondi: “Come mi aspettavo è un Tipo Lotta. Quasi tutti i capipalestra sono specializzati in un singolo Tipo. A giudicare dai Mankey e dai Machop che ho visto durante l’allenamento il maestro un tempo presidiava una Palestra Lotta. In questo caso Exeggutor è un’ottima scelta per iniziare.

A un comando di Nobuhiko Machoke scattò verso il nemico e tese i muscoli del braccio puntando al tronco del pokémon palma. Quest’ultimo indietreggiò accusando solo parzialmente il colpo.

Capisco: ha utilizzato Colpokarate.” Okido fissò il suo avversario in lontananza. “Mi prendi in giro vecchio? Hai detto che avresti fatto sul serio! Come la maggior parte dei pokémon Lotta Machoke ha un buon Attacco, ma Speciali piuttosto bassi. Utilizzando Exeggutor mi sono garantito due vantaggi reali e uno fittizio. Per prima cosa, le statistiche sono a mio favore: Exeggutor è un attaccante speciale e dispone di una Difesa solida.

In contemporanea al flusso di coscienza dell’allenatore la battaglia reale proseguiva. Machoke provava ripetutamente a sfondare con Colpokarate mentre Exeggutor si limitava a schivare. Nonostante fossero entrambi pokémon piuttosto lenti il primo si ritrovava in leggero svantaggio e questo dava a Okido una maggiore finestra temporale per riflettere.

In secondo luogo sono avvantaggiato difensivamente nella compatibilità tra Tipi: le mosse Lotta sono poco efficaci sul Tipo Psico. Per questo hai pensato bene di iniziare con Colpokarate, che è una mossa di Tipo Normale (anche se sembra aver avuto anche meno effetto di quanto avessi previsto). E poi c’è il vantaggio apparente… ora devo solo…”

Proprio mentre cercava di concludere quest’ultimo calcolo osservò concretizzarsi l’occasione propizia. Avendo fallito nel mettere a segno un attacco Machoke indietreggiò. Il suo piede sinistro atterrò ad alcuni metri dal nemico. Di colpo sentì stringersi la caviglia: un rovo di piccole piante gli si arrampicò lungo la gamba in un battito di ciglia. Il bestione che fino a poco prima attaccava senza sosta adesso sembrò svuotarsi di ogni forza.

“Parassiseme. Me lo hai fatto ripetere così tante volte che non potevo non usarlo! Mi donerai un po’ di energia ogni secondo che passa, così da recuperare tutti i danni subiti finora. Ma se non dovesse essere abbastanza: Megassorbimento!”

Le foglie di Exeggutor si rivolsero verso Machoke e iniziarono a drenare energia vitale a distanza dal corpo del pokémon sottraendone un numero considerevole di Punti Salute. Il pokémon Lotta provò arrabbiato a scagliarsi contro l’avversario. Ogni colpo subito era però compensato dal Parassiseme: non passò neanche un minuto che Machoke crollò a terra.

Nobuhiko sembrò divertito. “Molto bravo! La strategia che hai utilizzato è stata interessante!”

“Ma allora l’avevi capito? Non ha senso se non fai sul serio!”
“Ti sbagli. Ci sono arrivato troppo tardi, quando ho visto il Megassorbimento. Hai bluffato, non è così?”

Okido sorrise: “Esatto. Chiunque in una battaglia come questa penserebbe che Exeggutor sia avvantaggiato non solo dal punto di vista difensivo ma anche offensivo: le mosse Psico sono superefficaci contro i Tipi Lotta. Ne eri consapevole ed è per questo che Machoke non è mai riuscito a infierire. Dopo ogni attacco che mettevi a segno indietreggiavi invece che colpire in serie perché sapevi fin troppo bene che una mossa Psico a distanza ravvicinata sarebbe risultata fatale. Quando hai visto l’ultimo attacco hai capito: le mosse del mio Exeggutor sono Attacco Pioggia, Ipnosi, Parassiseme e Megassorbimento. In questi giorni ho provato in tutti i modi a insegnargli una mossa Psico offensiva ma a quanto pare il mio pokémon non ne vuole proprio sapere.”

“E quindi hai deciso di utilizzare la cosa a tuo favore: la mia titubanza causata dallo svantaggio di Tipo mi ha portato alla sconfitta. Mentre Machoke batteva in ritirata Exeggutor si muoveva per l’arena lasciando cadere dei Parassiseme. Hai semplicemente aspettato che il mio pokémon ne calpestasse uno perché si attivasse e consumasse le sue energie. Davvero ben fatto…” Prese una seconda Pokéball: “Ma non credere che il resto sarà così semplice!” Così dicendo mise in campo un Primeape.

 

Mentre Okido e Nobuhiko proseguivano la loro sfida una pattuglia di poliziotti giunse di fronte all’imponente torre sul lato occidentale della città di Shion.

“Che diamine si fa ora?”

“E che cosa vorresti fare, aspettare che arrivino quelli da Yamabuki?”

“B-beh…”

L’altro lo guardò seccato: “Ascolta, bello. Quel tipo lì è stato rapito. È un ostaggio dell’organizzazione criminale più imprevedibile e probabilmente più potente dell’intera regione. Per quando arriveranno quelli del dipartimento centrale il nostro uomo è bello che morto. Intesi?”

“Credo di sì… Ma a dirla tutta, questo posto mi mette i brividi!”

“Per l’amor di tutto ciò che è sacro, ma sei serio? Senti, non ho la più pallida idea del perché portare un ostaggio in un postaccio del genere. Ma è soltanto un cimitero, intesi? La gente viene qui tutti i giorni, non c’è nulla da temere! Preoccupati delle pallottole che potrebbero arrivarti in faccia piuttosto.”
“Ora sì che sono a mio agio. La ringrazio, signor Handsome.”

“Oh, Shinichi, quando si tratta di rassicurare la gente sono sempre il migliore!”

Handsome si voltò verso una delle due automobili di pattuglia, ignorando l’espressione seccata del ragazzo.

“Noi andiamo dentro. Saremo in due come ci hanno chiesto. Se vogliono davvero soltanto uno scambio di informazioni non sarà così pericoloso. Nel caso succeda qualcosa ti avviseremo. Non fare nulla di avventato, agente Junsar.”

La donna al volante annuì con un’espressione preoccupata. “Speriamo bene...

I due poliziotti erano già entrati da alcuni minuti quando un ometto mingherlino si avvicinò a Junsar ansimando: “È… inc…redibile! È davvero incredibile!” La donna ebbe un attimo di sbigottimento. Si sollevò solo una volta riconosciuto il ragazzo.

 

Primeape continuava a muoversi morbosamente per l’arena senza distogliere lo sguardo dal nemico, in attesa del comando del suo allenatore.

“Adesso le cose inizieranno a farsi serie, non montarti la testa soltanto perché sei riuscito a sconfiggere Machoke!” Nobuhiko ordinò al suo pokémon di usare Stridio.

Il grosso primate emise un grido acuto e stridulo che colse di sorpresa Exeggutor. Anche a Okido, nonostante fosse a debita distanza, iniziarono a fischiare leggermente le orecchie. Dapprima ebbe l’impulso di chiudersele con le mani ma fu attento a non estrarre il polso destro dalla tasca dei pantaloni.

Con questa mossa la concentrazione di Exeggutor è calata, la sua Difesa non reggerà. C’è anche da considerare che Primeape è forte fisicamente e molto veloce. Il maestro non cascherà di nuovo nella trappola del Parassiseme, probabilmente non indietreggerà e utilizzerà una mossa in grado di colpire a ripetizione. Non posso rischiare di utilizzare Ipnosi a distanza, mancando l’obiettivo scoprirei troppo il fianco. Devo aspettare che si avvicini. Questo scontro si concluderà alla prima mossa.

Primeape assunse una posizione offensiva. Nobuhiko gli ordinò di utilizzare Colpo Basso.

Okido sobbalzò: “C-che cosa? Una mossa Lotta? Che senso ha adesso? Con Machoke ha adottato una strategia totalmente diversa! È così sicuro della nostra differenza di forza?

Nella confusione dei suoi pensieri urlò al suo pokémon di colpire con Attacco Pioggia. Ma Primeape, lanciatosi in avanti, deviò traiettoria ad alcuni metri dal pokémon palma. Scattò sulla destra e poi di nuovo avanti, lasciandosi l’avversario alle spalle. Stava puntando a Okido: Il suo colpo si fermò a pochi centimetri da quello dell’allenatore.

Attonito, con le mani in tasca, Okido cercò di capire quello che stava succedendo: “Che cosa… cosa stai facendo?”

“Non era chiaro fin dall’inizio?” Rispose severo Nobuhiko: “Questa non è una lotta ufficiale. Nel mondo reale la cosa più logica da fare è mettere fuori gioco l’allenatore. Non puoi basarti soltanto su calcoli e statistiche! La prima cosa da tenere in considerazione è la propria incolumità!”

“M-ma…”

“Niente “ma”! Non discutere gli ordini del tuo maestro! Adesso ascoltami. In un contesto reale avresti già perso. Posso suggerire a Primeape di utilizzare Energy Conc. in qualsiasi momento. Quella mossa aumenta enormemente il suo potenziale offensivo ma lo fa andare su tutte le furie. I Primeape sono tipi irascibili: ti farebbe a pezzi prima che riusciresti a proferir parola. A quel punto neanche io potrei fermalo.”

Okido abbassò lo sguardo dalla vergogna: “Capisco… questa non è una lotta normale. Posso fare fare quello che voglio.” Sogghignò, e con la mano sinistra frappose una Pokéball tra lui e Primeape.

Cloyster si materializzò e in una frazione di secondo chiuse la sua conchiglia intrappolando l’arto superiore della scimmia. Questa andò su tutte le furie e, senza neanche aspettare l’indicazione dell’allenatore, sferrò un Colpo Basso sul pokémon bivalve. Questi allentò la presa e perse i sensi. Il solo svantaggio del Tipo Ghiaccio era bastato per metterlo al tappeto.

In contemporanea però Okido si era allontanato dirigendosi verso Exeggutor. Adesso Primeape non poteva che attaccare direttamente. Tese i muscoli delle gambe per effettuare un gran balzo in avanti e estrasse gli artigli. Come previsto aveva intenzione di utilizzare Sfuriate, una mossa in grado di colpire rapidamente in serie. Era il momento di provare Ipnosi.

Primeape avanzava. Sempre più vicino. Oramai era a pochi metri. Se Ipnosi mancava il bersaglio era finita. Sempre più vicino. ”Soltanto un altro po’.” Eccolo! Il momento giusto! All’ordine di Okido gli occhi di Exeggutor incontrarono quelli di Primeape. Il contatto visivo era stato effettuato: la mossa era andata a segno!

Eppure Primeape non si fermò. Non apparve neanche minimamente assonnato quando affondò gli artigli nel fusto di Exeggutor più e più volte senza che questi potesse far nulla per contrattaccare. La furia del pokémon si ripercosse tutta in quella serie di violenti attacchi. Exeggutor cadde sconfitto.

“C-cosa diavolo è successo?” Okido rimase impalato con la mano destra in tasca di fronte a Primeape, che però essendosi sfogato non sembrava intenzionato ad attaccarlo di sua iniziativa.

Nobuhiko sbuffò: “Te la sei cavata prima, con Cloyster, ma hai sbagliato nel puntare tutto su una sola strategia. Questo non c’è scritto sui libri: il mio Primeape quando si arrabbia non riesce ad addormentarsi. Per questo Ipnosi non ha avuto alcun effetto.”

Okido era ancora sbigottito, parlava lentamente: “Oh, capisco. Che disastro, ho perso due pokémon in un due mosse. Ma come mi sarei dovuto comportare in questa situazione?”

“Credo che quella dell’insonnia sia una caratteristica comune anche ad altri esemplari. Ovviamente questo non potevi saperlo dal momento che non hai esperienza. Ed è per questo che devi sempre avere un piano di riserva: non puntare mai su una singola strada o non sarai in grado di fronteggiare gli imprevisti. Su, ora torna alla tua postazione e continuiamo. Io ho ancora cinque pokémon mentre a te ne restano quattro: sono in vantaggio!”

 

Junsar andava avanti e indietro per la strada vicino l’ingresso della Torre Pokémon, mordendosi nervosamente le labbra e arrovellando le dita nei suoi capelli turchese.

“Trenta minuti” Pensava. “Sono già passati trenta minuti e quei due non sono ancora tornati. Neanche un messaggio.” Asciugò una goccia di sudore che gli era arrivata sulla guancia. “Ma appena tornano li arresto. Non possono farmi preoccupare così tanto.”

Si rivolse al ragazzo che l’aveva raggiunta prima, il quale era seduto a gambe incrociate intento a digitare caratteri davanti un computer portatile: “Ehi, come sta andando?”

“Ho finito il modeling del campione raccolto. Ancora qualche minuto e sarò in grado di leggere l’intera sorgente. A quel punto, tolto di mezzo l’encryption e lo shuffling, scriverò un software che permetterà di leggere l’anomalia e lo configurerò sull’apposita interfaccia grafica che ho progettato. Il supporto me lo ha prestato un mio amico della Silph. Probabilmente serviranno un po’ di correzioni perché sia operativa ma in un quarto d’ora dovrei aver finito.”

La donna lo guardò interdetta. Dopo alcuni secondi replicò: “Non ho capito una sola parola. E i termini in inglese a caso sono l’ultimo dei problemi.”

L’altro sbuffò. “Sto costruendo una maschera che mi permetterà interpretare quelle onde strane.”

“E non potevi dirlo subito?!” Tuonò con voce isterica.

“Ma l’ho fatto!”

“Sì, come vuoi…” Junsar incrociò le dita nervosamente. “Senti Sonezaki, tu ti sei fatto qualche idea?”

“Per prima cosa chiamami Masaki, detesto queste formalità da vecchi matusalemme giapponesi.” Inserì ed estrasse alla velocità della luce una dozzina di chiavette USB. “A tal proposito, posso chiamarti Jenny?”

“Neanche tra un milione di anni.” Disse concisa con fare sarcastico.

“Uff. Secondo: sono spaesato tanto quanto te. Le onde che ho registrato sono così forti che per alcuni istanti hanno mandato in tilt alcuni apparecchi che stavo utilizzando alla Centrale Elettrica (e pensare che ero lì proprio per la manutenzione di quei macchinari…). E la centrale è a una ventina di chilometri da Shion, sul Percorso 10! Non mi sorprenderebbe se l’interferenza fosse stata avvertita fino a Hanada.”

“E queste onde che cosa potrebbero essere?”

“Beh, è quello che sto cercando di scoprire. Non sembrano aver creato danni permanenti ai dispositivi elettronici quindi non credo si tratti di un qualche tipo di attacco informatico. Ora il campo sembra essersi stabilizzato ma dalla torre sto registrando ancora un segnale piuttosto debole. Ma la cosa strana è che non sembrano onde di natura elettromagnetica. Vedi, approssimando molto il campo generato ha linee che entrano ed escono nello stesso punto, in prossimità dell’ultimo piano dell’edificio. Quindi si tratta di un monopolo. Eppure se provo a inviare un segnale in quella direzione questo subisce una lievissima induzione elettromagnetica. Se ne deduce che si tratta di un qualcosa di analogo a un campo magnetico. Ma se è vero quello che abbiamo detto prima allora siamo di fronte a un monopolo magnetico, il che non ha senso. Questo vuol dire che se andassi a sezionare quel punto da cui si origina il campo potrei ottenere due calamite che si attraggono da entrambi i poli. Fisicamente non dovrebbe esistere nulla del genere, è quasi come se si trattasse di un fenomeno paranormale!”

Aveva detto tutto d’un fiato, scordandosi addirittura di quello a cui stava lavorando. Junsar si era fermata a “attacco informatico”. Cercò con tutte le sue forze di non essere scortese: “Senti Masaki, sono sicura che tutto questo per te è molto interessante. Ma io volevo sapere qualcosa di molto più semplice. I miei colleghi sono lì dentro da quaranta minuti ormai e mi chiedevo se queste onde potessero avere a che fare con il Team Rocket e se fossero potenzialmente pericolose.” Sorrise sperando che il ragazzo non si gettasse in un altro spiegone di fisica teorica.

“Il Team Rocket, dici?” Tornò a concentrarsi sullo schermo, come se quell’argomento non gli interessasse. “Sinceramente non credo. So che sono stati visti fare irruzione qua dentro con il vecchio Fuji imbavagliato e che vi hanno contattato per trattare, non metto in dubbio che abbiano commesso un atto criminale. Ma faccio sempre più fatica a credere che siano un problema così serio.”

“Che intendi dire?” Fece Junsar interrogativa.

“Sai, circa una settimana fa a Hanada abbiamo preso un tizio che diceva di far parte del Team Rocket. In effetti aveva una divisa simile a quelle che si sono viste in tv, di ottima fattura. Si era posizionato sul Ponte Pepita, sul Percorso 24 a nord di Hanada, a due passi da casa mia. Stava combinando un gran baccano cercando di reclutare nuovi membri in cambio di oggetti di valore. L’hanno sbattuto in cella.”

“Non capisco bene dove vuoi arrivare.”

“Non ti sembra strano? Di volta in volta la portata delle loro azioni cambia, quasi come se ci trovassimo di fronte a due organismi diversi. Da un lato dei tizi che contrabbandano fossili, svendono un po’ d’oro in cambio di personale e rapiscono i vecchi. Dall’altro persone capaci di riscrivere la storia in una notte e di generare una cosa a metà tra un monopolo magnetico a stringhe di Dirac e un Ghost di Faddeev-Popov.”

“Sorvolando sull’ultima cosa che hai detto devo ammettere che non hai tutti i torti.” Junsar si morse di nuovo le labbra, ma stavolta per riflettere più che per il nervosismo. “Perché mai un’organizzazione così potente si cimenta in questi crimini da quattro soldi? Masaki, tu per caso ti sei fatto un’idea della faccenda dell’Attentato di Tokyo?”

“Puoi scommetterci.” Accennò un sorriso. “Ma prima vorrei parlarne con i miei colleghi del Database Centrale. Mi chiedo che stia facendo Shigeru adesso.” Alcune luci si accesero sull’apparecchio che aveva in mano. “Oh, ho finito: agente Junsar, ti presento il prodigio che ci permetterà di risolvere questo mistero. In onore di Faddeev e Popov credo che la chiamerò Spettrosonda!”

 

Primeape infine cadde a terra. Anche se non aveva subito molti danni contro Cloyster e Exeggutor era molto stanco a causa della sfuriata. Il Ninetales di Okido aveva gestito la situazione confondendo l’avversario con Stordiraggio per poi inferire con Lanciafiamme. La Confusione, a differenza del Sonno, si era rivelata un’ottima strategia contro un avversario irruento come Primeape.

“Bene, vedo che siamo di nuovo pari!” Rise Nobuhiko. “E vedo anche che hai iniziato a partecipare attivamente allo scontro. Ti sposti sempre alle spalle di Ninetales per evitare di essere un bersaglio facile. Ottimo davvero. Ora vediamo come ti comporti con questo.”

Dalla Pokéball dell’uomo fuoriuscì un Poliwrath.

Accidenti. Tipo Acqua/Lotta. Per Ninetales e Sandslash è pessimo. Volevo utilizzarlo come asso nella manica ma qui mi vedo costretto…” Con la mano sinistra Okido prese una Pokéball e ritirò Ninetales sostituendolo in fretta con Alakazam, mentre la mano destra rimaneva in tasca.

Bene. Questo è il pokémon più forte che ho da usare contro di te. Nonostante abbia una Difesa molto bassa ha Speciali e Velocità così alte che posso chiudere lo scontro senza neanche subire danni!

“Un cambio, eh? Beh, credo farò lo stesso!” Nobuhiko ritirò Poliwrath e schierò Machamp.

Okido si mise in guardia. “Che senso ha questo cambio? Non ha guadagnato nessun reale vantaggio. Machamp è anche un pokémon piuttosto lento. Mi ha soltanto mostrato una carta in più nella sua mano. Ma non può certo essere così ingenuo.

Il flusso di pensieri di Okido fu interrotto: “So a cosa stai pensando, ma no.” Il ragazzo ora era ancora più confuso. “Non c’è nessuna strategia sofisticata stavolta. Sono solo sicuro al 100% di sconfiggerti.”

Quelle parole risuonarono nella testa del giovane come un insensato sfoggio di sicurezza. Lo fecero andare nel pallone per un istante. Era forse una provocazione? Un bluff non era così impensabile dopo tutto, anche lui aveva fatto una cosa del genere con Exeggutor.

Sul volto di Nobuhiko apparve una smorfia di sincero divertimento: “Tu pensi davvero tanto. Machamp, è tutto tuo!”

Il colosso dalle quattro braccia ruggì. Batté tre pugni al suolo. Di colpo le tegole di legno dell’arena vennero ridotte in polvere e così le fondamenta in cemento. Il terriccio che si nascondeva al di sotto dell’edificio venne sparato verso l’alto a gran velocità e Alakazam venne colpito in pieno. La mossa Terremoto, di Tipo Terra, aveva una potenza devastante.

Il pokémon Psico resistette a malapena. Okido nella foga del momento gli ordinò di utilizzare Ripresa. Con quella mossa poteva utilizzare i suoi poteri psichici per recuperare energia, ma questo procedimento richiedeva molto tempo. Machamp avrebbe potuto colpire di nuovo con Terremoto e si sarebbe create una situazione di stallo fino a quando i PP di una delle due mosse non sarebbero esauriti.

Sì, riflettendoci meglio è una cosa sensata da fare. Ripresa ha 16 PP. Nel peggiore dei casi anche Terremoto ha lo stesso numero. E visto che Machamp è riuscito ad attaccare per primo sarà anche il primo a rimanere a secco. Sarà costretto ad avvicinarsi e allora userò Psichico a colpo sicuro. È una questione di Punti Potenza proprio come quella volta durante l’allenamento. Devo soltanto non sperare in un Brutto colpo. È rischioso ma non posso fare altro adesso.

Machamp sbatté nuovamente i pugni a terra e colpì Alakazam, che si riprese. Una, due, tre, quattro volte. Il gioco sembrava funzionare. Dopo la sesta Ripresa però lo scenario cambiò.

“D’accordo, può bastare. Machamp, finiscilo!” A quel comando il pokémon lottatore avanzò verso il nemico con passo pesante e con le braccia sinistre tese all’indietro come a caricare un attacco.

Ha capito cosa stavo cercando di fare e ha accorciato i tempi. Beh, era prevedibile. Ma non appena sarà sufficientemente vicino lo finirò.

I due pokémon si trovavano a pochi metri di distanza quando i Machamp divennero cinque.

Okido venne colto totalmente alla sprovvista. Spalancò gli occhi per esserne sicuro. Sì, c’erano proprio cinque Machamp: era Doppioteam, una mossa che permette di creare copie illusorie di sé stessi. Nella confusione più totale l’allenatore ordinò di colpire con Psichico. Alakazam diresse i suoi poteri verso la figura più vicina ma questa si dissolse nell’aria. Fu il pokémon volpino a essere colpito al fianco da un potente attacco di Machamp. Fu scaraventato sulla parete laterale della stanza.

Mentre le tre copie rimanenti si dissolvevano e Machamp controllava le articolazioni della spalla, Alakazam si rimise in piedi a fatica. Okido provò un misto di sollievo nel vedere che non era stato sconfitto e di sconforto di fronte alla potenza di quel mostro.

Nobuhiko avvertì: “Ti sei fatto di nuovo cogliere di sorpresa da un fattore imprevisto. Sappi che non avrai tempo di utilizzare di nuovo Ripresa.”

Machamp infatti era balzato in avanti e adesso mostrava i pugni a pochi centimetri dall’avversario stremato. “Mi spiace ragazzo, non c’è più niente da fare ormai…”

Mentre Machamp preparava il colpo i pensieri di Okido scorrevano rapidissimi: “Ha già iniziato l’attacco. Non avrò tempo per utilizzare Ripresa. Che cosa posso fare? Deve esserci qualcosa! Un secondo e sarà tutto finito. Non posso perdere il mio pokémon più forte così. Ma non c’è davvero nulla! Pensa, idiota! Pensa! Forse…” Neanche il tempo di formulare correttamente l’ultima frase nella sua mente che urlò a squarciagola di usare Psichico.

Alakazam attivò i suoi poteri nel momento esatto in cui Machamp gli colpì il cranio con i quattro arti superiori. L’impatto alzò una nuvola di polvere. Attimi di incertezza. Quando la nube si diradò i due allenatori poterono constatare come entrambi i loro pokémon fossero crollati al suolo.

Okido strinse il pugno sinistro, mentre il destro rimaneva in tasca. Era una sconfitta sotto tutti i punti di vista.

“Nell’ultima fase ti sei comportato bene. Hai capito che in quella condizione il pareggio era la tua unica possibilità.” Nobuhiko ritirò il compagno sconfitto nella Pokéball. “Hai notato che Machamp si stava controllando la spalla dopo il primo attacco. Hai intuito che quella era la mossa Sottomissione: un attacco così potente che danneggia parzialmente anche l’utilizzatore. Quindi hai aspettato che anche l’ultima mossa colpisse Alakazam prima di utilizzare Psichico: in questo modo hai sommato ai danni della tua mossa anche quelli del contraccolpo di Sottomissione e Machamp ha esaurito le energie. Tuttavia…” Mise di nuovo in campo Poliwrath. “Senza Alakazam sei in netto svantaggio, non è vero?”

 

“… e chiarito anche questo aspetto dell’overcounting negli integrali sui cammini di Feynman possiamo iniziare a parlare di violazione della relazione spin-statistica e della successiva quantificazione della lagrangiana del campo ghost.”

“Dì la verità, lo stai facendo apposta. Vuoi farmi sentire una stupida.”

“Sai Junsar, se mi permettessi di chiamarti Jenny potrei liberarti da quest’agonia.”
“Sono spiacente, ma declino. Signor Sonezaki.” Scandì per bene ogni singola sillaba. Si-gnor So-ne-za-ki.

“Ehi, ti ho detto che non devi chiamarmi così!” Mise il broncio, incrociò le braccia e si voltò.

Junsar sogghignò. “Che bambino che sei, Signor Sonezaki!” Proprio mentre lo diceva si sentì tirare la caviglia. Guardando verso il basso notò che una piccola creaturina marrone con un teschio in testa le stava rosicchiando il pantalone.

Emise un gridolino acuto: “Che diavolo è questa cosa?!” Scosse la gamba e la creatura venne scaraventata in aria per poi atterrare di pancia. Iniziò a piangere.

“Oh no! Che cos’ho fatto?!” Gesticolò nevroticamente con le dita in preda al panico.

Masaki si voltò: “Accidenti Junsar, non farti venire attacchi d’ansia quando faccio finta di essere arrabbiato.” Si avvicinò al piccolo e lo accarezzò sotto il collo. Quello si calmò. “Visto, è solo un Cubone.”

“Cubone?” La donna inclinò il capo. Non sapeva praticamente nulla di pokémon.

“Sono pokémon di Tipo Terra. Quello che indossa in testa deve essere il teschio della madre defunta.”

“M-ma è terribile!” Portò le mani alla bocca.

Masaki sembrava perplesso. “Perché è terribile? Piuttosto direi che è normale. La maggior parte delle Marowak muore di parto.”

“Diamine, sei la persona più insensibile che io conosca! E comunque: che cosa voleva prima dalla mia gamba?”

“Sinceramente non lo so. Magari stava solo cercando de…”

Si fermò.

“Che ti prende, Signor Sonezaki? Il fatto di non sapere qualcosa ti ha appena sconvolto?”

Junsar lo aveva detto con leggerezza, assecondando con il tono ironico della conversazione. Si rese conto solo in un secondo momento che qualcosa non andava.

Masaki tese la mano nella direzione della donna. Indicò un punto alle sue spalle. Tremava. Tremava e aveva un’espressione allibita sul volto. Le pupille gli si dilatarono. Respirava in maniera irregolare.

Non le fu neanche necessario voltarsi che Junsar capì. Ebbe un brivido lungo la schiena. Forte stretta al petto. Come se un enorme macigno stesse per schiacciarla rompendole tutte le ossa.

Una mano sopraggiunse dall’oscurità alle sue spalle. Le accarezzò il volto. Era fredda e bianca. Ebbe come il sentore che attaccato a quella mano non ci fosse nulla. Era un’appendice sospesa nel vuoto.

Non era così. Attaccato alla mano c’era il braccio di Handsome, il quale ansimava con uno sguardo assente stampato sul volto. Quando Junsar trovò il coraggio di voltarsi osservò allibita le chiazze rosse di sangue sull’impermeabile beige dell’uomo. Con lui non c’era nessun altro.

“Shinichi è morto.”

 

Il pokémon pangolino conficcò gli artigli nel terreno per creare attrito e attutire il colpo. Stordito e stremato, si rialzò a fatica.

Due minuti. In due minuti quel Poliwrath ha sbaragliato Ninetales e portato allo stremo Sandslash. Ma in fondo dovevo aspettarmelo: ho faticato a sconfiggere dei Tipi Lotta con dei Tipi Psico. Ora che la compatibilità è a mio sfavore non ho nessuna speranza. Se non altro sembra aver esaurito le mosse Acqua.

Poliwrath caricò incrociando le braccia. Okido ora conosceva bene quella posizione: era Sottomissione. L’aveva già usata due volte. Tra i danni subiti in precedenza e i vari contraccolpi probabilmente sarebbe crollato di lì a poco. Eppure a Nobuhiko restavano ancora due pokémon mentre dall’altro lato c’era soltanto Pidgeot.

Effettivamente il grosso anfibio, incassato un Lacerazione, finì Sandslash con Sottomissione decretando un altro pareggio.

Nobuhiko ritirò il suo pokémon e, in tono solenne, annunciò: “È stata una lotta intensa. Tra alti e bassi ti sei comportato bene, ma devi imparare a rischiare. Ora facciamola finita.” Schierò i suoi ultimi due pokémon, Hitmonlee e Hitmonchan, in contemporanea.

Okido aveva lo sguardo rivolto verso il basso e la mano destra, infilata in tasca, aveva cominciato a tremare leggermente come succede quando accumula molto stress.

Parlò sottovoce rivolgendosi alla Pokéball che stringeva nella mano sinistra: “Ehi, bello. Che ne dici se collaboriamo per questa volta?”

Pidgeot si materializzò sul campo di battaglia. Il rapace dispiegò le ali e si rivolse contro il suo allenatore con fare aggressivo. Okido si mise sulla difensiva. Il pokémon cominciò a caricare un Aeroattacco.

Fu allora che venne violentemente colpito sul fianco. Hitmonchan aveva concentrato tutta la sua forza in quel Gelopugno, una mossa Ghiaccio devastante su un Tipo Volante come Pidgeot.

Mentre l’uccello era ancora a mezz’aria per il colpo subito Hitmonlee fece un grande balzo e le sue gambe elastiche si allungarono a dismisura. Rimbalzando contro il terreno assestarono un potente Calciosalto contro il ventre del nemico. Neanche il tempo di reagire che Hitmonchan aveva sfregato i suoi guantoni preparando un Tuonopugno.

Okido si rassegnò e prese la Pokéball come a voler ritirare Pidgeot.

Nobuhiko lo fermò urlando: “Non pensarci nemmeno, Shigeru!”

“C-che cosa?”

“Non discutere gli ordini del tuo maestro! Dopo ti beccherai una sberla!” Nonostante il siparietto Nobuhiko sembrava molto serio. “Un pokémon che attacca in questo modo il suo allenatore senza motivo merita senza dubbio una lezione. Lo colpirò finché non sputerà sangue. Ma non preoccuparti, non morirà. Quando subirà troppi danni la Pokéball lo richiamerà a sé automaticamente.”

Il Tuonopugno colpì Pidgeot diritto sul cranio. Le scosse elettriche lo portarono a emettere un verso stridulo. Hitmonlee si avvicinò e cominciò a calciarlo più volte sul dorso. Pochi millesimi di secondo più tardi una raffica di pugni gli metteva fuori gioco le ali e gli fracassava il becco.

Okido non poteva far altro che restare a guardare mentre il suo pokémon veniva pestato a destra e a manca, già gravemente ferito e senza la forza di contrattaccare. Gli andava davvero bene? Non era una lezione troppo crudele quella? In fondo Pidgeot non aveva motivo di andare d’accordo con lui, era un pokémon della polizia. Se c’era qualcuno che si comportava in maniera strana quello era il resto della sua squadra che combatteva al suo fianco come fosse una cosa naturale.

Ma che cosa posso fare? Si domandava assistendo a quel massacro. No, in realtà so esattamente cosa fare. Ma ho paura di farlo. È come ha detto il maestro: non riesco ad assumermi alcun rischio. Eppure… eppure non posso percorrere la strada che ho scelto restando fermo. Dovrei camminare. Dovrei iniziare a correre. Correre più veloce che posso…”

Senza neanche rendersene conto aveva cominciato a muoversi sul serio. Puntava a gran velocità verso i due pokémon avversari. Nobuhiko sorrise soddisfatto.

Hitmonlee era troppo concentrato su Pidgeot per badare a Okido. Per questo non notò che aveva tirato fuori la mano destra dalla tasca. Non udì neanche l’urlo del giovane a metà tra un grido di battaglia e uno di panico puro. E per questo non riuscì a parare il suo pugno diretto verso il fianco. Un pugno scagliato con tutta la forza che consegue dall’avere un bracciale da trenta chili agganciato al polso.

Hitmonlee, un po’ per la sorpresa dell’attacco e un po’ perché un pugno sul fianco arreca molti danni anche a un pokémon forte come lui, fu proiettato parecchi metri all’indietro. Ciò diede a Pidgeot una finestra temporale sufficiente per caricare un Aeroattacco verso Hitmonchan. Il pugile, colpito in un punto nevralgico, cadde al tappeto.

Mentre Hitmonlee si era ripreso e preparava un altro attacco in salto Okido e Pidgeot si guardarono. Non fu neanche dato un ordine verbale. Anche se solo per un flebile istante i loro cuori avevano risonato in sintonia. Il rapace rizzò tutte le piume del corpo. Hitmonlee fu abbattuto alla prima raffica di vento.

Con un sorriso da ebete stampato in volto, incredulo del fatto che quella mossa suicida avesse funzionato, Okido cadde a terra supino e iniziò a ridere.

Pidgeot gli si avvicinò e gli beccò la testa. Poi si avvicinò alla Pokéball ed esigette di rientrare. “Se non altro è un passo avanti” mormorò.

Nobuhiko si accovacciò vicino al ragazzo. “Ecco perché hai tenuto la mano in tasca per tutto il tempo. Pensavo che non stessi indossando i pesi!”

“Volevo allenarmi, l’ho tenuto per tutta la notte. Non mi aspettavo certo di usarla in questo modo! Ne ho anche uno alla caviglia sinistra.”

“Capisco. Sei molto volenteroso e ciò e positivo. Ma ti avevo detto di posarli, quindi ti meriti una sberla.”

L’enorme mano dell’uomo colpì sorda. Okido lamentò qualcosa del tipo: “Perché ce l’avete così tanto con la mia testa? Accidenti!”

Il maestro continuò: “In ogni caso devo ammettere che mi hai sconfitto. Il tuo allenamento è ufficialmente finito. Ora che cosa farai?”

In quel momento Okido ricevette una telefonata. Gli occhi gli si impregnarono di un sentimento tra la speranza e la preoccupazione.

Non riattaccò neppure che urlò: “Devo andare immediatamente a Shion! Grazie davvero per l’ospitalità, non potrò mai ripagarla abbastanza! Ma ora devo andare! La verrò a trovare al più presto!” E così, nell’euforia del momento, corse via senza neanche far caso ai sessanta chili che stava trasportando.

Nobuhiko si grattò il capo: “Quel maledetto. Mi ha rubato i pesi.”

Fu allora che Hitmonlee, ancora a terra nell’arena, si alzò. L’allenatore lo fece tornare nella sua sfera. “Gran bella recitazione, vecchio mio. Quei due ne avevano proprio bisogno. Chissà se lo hai sentito sul serio quel pugno!” E iniziò a ridere fragorosamente.

 

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