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[Ryuki]Il kappa e la ninfea


Ryuki

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Lasciate che vi racconti una storia che non si svolse in luoghi maestosi e affascinanti.

La nostra storia trova culla piuttosto, nel freddo fango di uno stagno, una palude colma di insetti e ratti.

Ma sapete perché questa storia è così incantevole? Perché è proprio dal lerciume, che nascono le cose più belle.

Quando la luce abbraccerà  questa terra fredda coperta da alberi maestosi, significherà  solo la sua fine.

Giungiamo a chi per noi abiterà  questo racconto, così come per sé stesso abita il fiume. Vi siete mai soffermati a pensare quanto sia graziosa la tartarughina che nuota nell’acquario o alla ranocchia che saltella nello stagno sotto casa? Bè un kappa invece non è per nulla grazioso. È verde, squamoso, pieno di grinze ed assomiglia ad un bambino molto brutto con un becco giallo ed un piattino sulla testa. Questo poi! Viveva in una buca nel fango e quindi era costantemente sporco ed incrostato. Ah, il piattino è molto importante per un kappa mi raccomando! Ricordate: non rovesciate mai il piattino di un kappa!

E sappiate anche che non avrà  un nome solo per accomodare gli spettatori, poiché le creature non umane non necessitano di cose simili per affermare ciò che sono, a sé stessi, o agli altri.

Quando quel poco di luce entrò, col permesso delle fronde nel cielo. I nidi cominciarono a pigolare e lo stagno ad incresparsi.

Anche il nostro kappa allora venne fuori dalla tana. Brutto e repellente si fece una doccia di terra e piante morte e bevve l’acqua acquitrinosa. Solo quelle creature dello stagno potevano non fuggire dinnanzi a tanta bruttezza.

Un salmerino mise il muso fori dall’acqua per salutare il kappa ed egli ricambiò gettandosi anch’esso nello stagno. Come tutte le mattine fece a gara di nuoto con le carpe iridee e banchettò a base di alghe e girini.

Tuttavia la cosa che più amava era lasciarsi galleggiare a pancia in su in mezzo alle ninfee. Il cuore dello stagno; così soleva considerare quella zona punteggiata di bianco e rosa. Sarà  giusto che vi avverta. A quei tempi le ninfee non avevano le foglie a sostenerle delicatamente sul pelo dell’acqua e sprofondavano per un quarto nell’acqua che ne avvolgeva direttamente i petali.

Tutto procedeva com’era nella norma di quell’esistenza nella fanghiglia. Tutto tranne quella ninfea che ondeggiava in modo assurdo. Tutto tranne quel visino che sbucò da sotto un fiore. Un visino pallido composto da acqua e da polvere di stelle. Non c’era altro modo per descriverla. Il kappa rimase sbalordito abituato com’era allo sporco, nel vedere qualcosa di così pulito.

<<Chi sei?>> chiese alla ninfea

<<Un fiore>> rispose lei con voce chiara e limpida, in netto contrasto con le increspature che nasceva nell’acqua, laddove i suoi seni andavano formandosi

<<No, non è vero, i fiori non parlano>>

<<Certo che parlano, solo che sono timidi>>

<<No, non è vero! Vivo nello stagno da molto tempo e non ho mai sentito un fiore parlare!>>

<<Gli alberi sono qui da più tempo di te e chiedilo, chiedilo a loro se parliamo o no!>>

<<Anche gli alberi parlano?>> chiese il kappa sempre più incuriosito.

<<Oh, i loro sono i discorsi più affascinanti. Sanno molto cose, sai? Ma come non li senti? Eppure sono dei tali chiacchieroni>> Detto questo la bimba-ninfa storse il naso e si sentì un brontolio

<<Io non sento gli alberi, ma sento chiaramente la tua fame. Vieni con me>>

Il kappa prese per mano il fiore e la trascinò nuotando in riva allo stagno, ma prima che potesse uscirne la bimba-ninfea lo fermò <<No, non farmi uscire dall’acqua. Io non posso venire o evaporerò>>

<<Scusa, io non lo sapevo. Allora aspetta qui>>

Il kappa corse via, lontano dallo stagno, lasciando la ninfea ad attenderlo nell’acqua. Bisogna dire che fu piuttosto veloce a tornare, dato che aveva i piedi palmati ad impedirgli i movimenti sulla terra ferma.

Portò alla bambina-ninfea un pugno di cetrioli verdi e coriacei come il kappa stesso.

<<Ecco mangia questi, sono buonissimi, e sono freschi, appena colti>>

La ninfea lo guardò dubbiosa, tasto un cetriolo e scosse la testa <<no, non posso mangiare questa roba>>

<<Perché no? Guarda che sono buoni>> ed effettivamente i cetrioli erano il cibo preferito del nostro kappa e non poteva immaginare che potessero non piacere a qualcuno <<cosa mangi allora?>>

<<Qualcosa che non puoi darmi>> disse lei alzando gli occhi al cielo <<fino ad allora continuerò ad aver fame>>

<<Allora facciamo qualcos’altro, così non la sentirai>>

E così l’orrido kappa fece amicizia col cuore dello stagno e insieme giocavano a nascondino nell’acqua o ascoltava i nidi cantare.

Le frasche danzavano al ritmo delle risa della ninfea e l’acqua intorno a lei creava increspature più morbide, più pure.

Tuttavia, giunge sempre per tutti. Il momento di dirsi addio.

Il loro arrivò col canto del gallo e con il ruggito di un mostro. Un mostro fatto di ferro e uomini.

Era il periodo in cui il mondo cominciava ad evolversi e la natura a regredire. Le paludi erano brutte, infestate. E le cose brutte devono sparire.

Vennero con le macchine, col fumo del fuoco, di quello distruttivo, che non avrebbe più permesso a nulla di rinascere.

Così la bonifica cominciò nell’acqua fangosa tinta di rosso degli amici pesci. I nidi che pigolavano sempre più piano e gli alberi tacquero per davvero questa volta.

Il kappa corse a cercare la sua piccola ninfea, ma dello stagno non era rimasto che una pozza d’acqua e al centro di essa stava un fiore appassente. Il kappa lo raccolse e per la prima volta in vita sua si soffermò sulla sua immagine riflessa nello specchio. Lui era davvero molto brutto. Era per questo che stava accadendo questo. Era davvero così brutto? Ma quel fiore che teneva in mano non lo rendeva automaticamente più bello?

Il kappa lo strinse a sé e corse via. Corse per tanto, tanto tempo. Tanto che quando trovò un altro stagno, il piattino sulla sua testa era ormai quasi del tutto privo d’acqua e i suo passi si trascinavano lenti. Le membrane dei piedi erano ormai lacere e piene di sangue incrostate.

Ma alla fine ci arrivò. Arrivò in acqua e aveva ancora il fiore in mano. Secco. Ingrigito, ma pur sempre bellissimo.

Lo poggiò sul filo dell’acqua e cadde, ed il suo piattino ormai secco si crepò. I cocci sprofondarono negli abissi, ma prima di sparire anch’egli nelle buie profondità  di uno stagno sconosciuto, accarezzò da sotto l’acqua il fiore che ancora galleggiava.

Ed allora accadde il miracolo più bello di tutta la storia. Piovve.

Le gocce d’acqua scivolarono morbide sui petali della ninfea senza romperla. Questa ne assorbì la purezza e si tinse di rosa, così com’era stata prima di seccare. Finalmente sazia, mise radici.

Una foglia larga, verde, simile ad un piattino, risalì dal fondo fangoso dello stagno e sollevò delicatamente il fiore, cullandolo e proteggendolo.

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