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[MystMG] Il maremoto


EItyr

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Cammino a passo lento per la via, con lo sguardo perso sulla linea dell’orizzonte, che si tinge di un intenso color arancione causato dal sole che tramonta. Ad ogni passo i miei piedi sprofondano nuovamente nel misto di acqua e fango che ha invaso tutta la città , e che mi entra nella bagnandomi fino a sopra il tallone per poi ritirarsi quando sollevo nuovamente il piede per avanzare.

Non c’è nessuno, sono tutti scappati, rifugiati sulla collina nella vana speranza di sopravvivere. Scappare non li salverà , moriranno comunque, sia che si trovino in collina sia che rimangano in città .

I vetri dei negozi della via, che prima era tanto trafficata e piena di vita, sono stati ridotti in mille pezzi, tanto che è difficile anche solo intravedere le poche schegge rimaste, fissate al muro di mattoni con qualche prodotto industriale.

Rallento il passo nel vedere un corpo a bordo strada. E’ piegato su se stesso, il volto coperto dai lunghi capelli, il vestito squarciato e fradicio. Un'altra vittima, che non ha avuto il privilegio di rimanere dispersa in mare, rimanendo sul ciglio di una strada ormai dimenticata.

Sono passati tre giorni, tre lunghi giorni da quando il mare ha inghiottito la città , travolgendo tutto con la sua furia, spazzando via la vita di centinaia di persone. Io ero in casa, non riuscirò mai a dimenticare il momento in cui porte e finestre si ruppero, devastando la stanza e trascinandomi fuori, senza darmi la possibilità  di reagire, senza darmi il tempo di trovare qualsiasi appiglio. La gente iniziò a rifugiarsi sulle colline, ma ogni giorno arrivava una nuova onda, ancora più alta, ancora più potente, che spazzava via sempre più vite.

I miei ricordi sono confusi, la testa mi scoppia, non so neanche perché mi sto dirigendo a passo lento verso la spiaggia di questa dannata isola.

Chissà  dov’è lei. Non l’ho più vista dall’arrivo dell’onda. Anzi, la domanda più sensata sarebbe se è ancora viva. Forse era lei il cadavere di prima, forse il suo corpo è in mare, tra i Pokémon acqua che tanto amava. O forse è sulla collina, ancora viva. Che differenza fa? Arriverà  un'onda più grande, un'onda che spazzerà  via tutto, senza lasciare sopravvissuto. Forse è un bene, forse un'onda così grande potrebbe spazzare via tutta questa tristezza, tutta la disperazione dei sopravvissuti.

Mi fermo quando i miei piedi toccano la sabbia. Il mare è a quindici metri da me, il sole è già  calato. La luna è piena, questa notte. Alzo lo sguardo, perdendomi nella sua bellezza, nel suo splendore. Non ci sono nuvole in giro, il tempo si direbbe perfetto. Anche quando l’onda arrivò, il tempo era così. Nessuna nuvola, nessun fattore ad anticipare la catastrofe.

Volto leggermente lo sguardo, iniziando a fissare le piccole stesse che fiancheggiano la luna. Muovo lentamente la testa, fino a ritrovarmi a fissare nuovamente la linea dell’orizzonte. C’è una stella proprio li, che pian piano si fa sempre più grande. Oh, eccone un'altra, e un'altra ancora.

Ora sono una dozzina, si fanno sempre più vicine.

Che significa?

Le stelle si avvicinano a me, rasenti al livello del mare?

Forse sto venendo invaso da una vena di pazzia?

Sarebbe comprensibile avere allucinazioni di questo genere, dopo quello che è successo.

-Le navi, le navi!-

Vedo un uomo passarmi accanto, correndo. Sul suo volto noto un sorriso entusiasta, non lo capisco. E’ un poliziotto, lo capisco dai suoi abiti, che si toglie in fretta, e dalla sua pistola, che butta sulla sabbia senza cura. E’ impazzito? E’ in mutande, e corre verso il mare. Ma in fondo, che diritto ho io di dargli del pazzo? Io stesso, che non riesco più a capire ciò che mi accade.

Sono navi. Lo capisco quando ormai il poliziotto è ormai a una dozzina di metri dalla costa, che nuota con tenacia verso di loro.

Sono i soccorsi, sono venuti a prenderci. Sono venuti a salvarci.

Mi avvicino lentamente, tendendo le mani verso il mare. Un piccolo sorriso si fa strada sul mio volto, un piccolo gemito di felicità  si genera dalle mie labbra.

Percorro pochi metri verso il mare, per poi fermarmi di scatto.

Il cielo diventa nuvoloso, il mare inizia ad agitarsi. Proprio come l’ultima volta.

Le mie braccia si fanno deboli, e la mano che prima tendevo si affloscia, ricadendo sul mio fianco. Le gambe cedono, e cado in ginocchio, con lo sguardo rivolto verso il mare, che con le sue onde ribalta e inghiotte tutte le navi. Tutte le luci che fino a poco prima ammiravo, paragonandole a stelle, scompaiono nel nulla. Tutte tranne due. Due piccole luci rosse, quasi impercettibili, che emergono per qualche istante dal mare per poi scomparire.

Un piccolo sorriso si fa strada sul mio volto. Non so perché lo abbia fatto. L’unica speranza di salvezza è appena scomparsa davanti ai miei occhi, ed io non riesco neanche a muovermi, a compiere un azione semplice come alzarmi.

Le due luci emergono nuovamente dal mare, ma questa volta non scompaiono dopo poco. Sono li, a cento metri circa dalla costa, rivolte verso di me.

Siete voi la causa di tutto?

Che maledizione è questa?

Perché dobbiamo morire tutti, in un'isola tanto sperduta, in un modo così stupido?

Non ho ancora fatto niente. Non sono diventato un allenatore, non ho ancora vissuto il mio primo amore. Non mi sono sposato, non ho avuto figli. Non ho trovato un lavoro, non ho fatto niente. Assolutamente niente.

Chi sei tu?

Che diritto hai di portarmi via tutto questo?

Che diritto hai di decidere che non posso vivere? Che non posso realizzare i miei sogni?

Mi alzo, riprendendo l’equilibrio dopo aver rischiato di cadere di lato.

Afferro con determinazione la pistola che giace sulla sabia.

Sulla costa c’è un piccolo peschereccio, lungo appena quattro metri. Non ho difficoltà  a spingerlo verso il mare, e dopo esserci salito, si muove da solo, spinto dalla corrente verso quelle due luci rosse.

Rimango in piedi sulla prua della nave, con le braccia appoggiate al bordo, per non cadere a causa degli scossoni causati dal mare in tempesta.

Quando sono solo a dieci metri dalle due luci, queste scompaiono.

Mi guardo intorno. Non ci sono. Non sono davanti a me, nè dietro di me.

Uno scossone della barca mi costringe a sporgermi.

L’acqua sotto di me è scura, troppo scura.

E’ la sua ombra, lui è sotto la mia barca.

L’acqua inizia ad agitarsi dalla poppa della barca, io mi giro.

Non sono solo due luci rosse, è lui.

Pensavo fosse uno scherzo, pensavo non fosse vero quando dicevano che era lui la causa di tutto.

I suoi occhi rossi mi fissano. Le sue pinne azzurre spuntano appena dall’acqua, per permettere all’enorme corpo del Pokémon di galleggiare.

Ora che lo vedo da vicino, il suo ventre sembra essere giallo, e il limite tra pelle bianca e azzurra, così come la punta delle pinne, è delimitata da una brillante linea rossa.

Prendo la pistola in mano, ma uno scossone della barca mi fa perdere la presa.

La mia arma scivola sulla barca, io cerco di afferrarla.

Un altro scossone la fa finire in acqua.

Mi sporgo dalla barca, cercando di afferrarla, ma le mie dita riescono a malapena a raggiungere l’acqua.

Passo qualche secondo a muovere freneticamente le mani, cercando di afferrare il mare, anche se riesco solo a bagnarmi le dita. Non so perché avessi continuato a muovermi in quel modo, in effetti sapevo già  che non sarei riuscito a riprendermi l’arma.

Mi rimetto in piedi.

Non ha il diritto di farmi questo.

Non ha il diritto di calpestare i miei sogni.

E’ questo che penso mentre afferro un pezzo di legno, lungo circa un metro, che sporge dall’albero maestro.

E’ questo che penso mentre salto dalla barca, lanciandomi contro di lui, che mi aspetta a fauci aperte.

 

 

 

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