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[MystMG] The Revenge


EItyr

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-È lungo sei metri, sei metri ho detto!-


Mark continua a parlarmi ininterrottamente da almeno venti minuti. Sebbene siamo entrambi in cammino da tanto tempo, lui non sembra per niente affaticato, anzi: continua a girarmi intorno, gesticolando animatamente con le braccia per farmi immedesimare di più nel racconto.


Il suo sguardo è fisso verso di me, e come faccia a schivare i vari ostacoli sul suo cammino è, onestamente, un mistero.


-È tutto blu, nuota nel mare e spara raggi laser dalla bocca!-


Mi si para davanti, camminando all’indietro per non venirmi addosso. Alza velocemente la mano stretta a pugno verso il cielo, emettendo con la bocca un verso che doveva vagamente sembrargli quello di un raggio usato da un Pokémon.


A causa dello slancio del corpo causato dal movimento del braccio, la sua coda di cavallo bionda, lunga appena cinque centimetri, si muove bruscamente, per poi iniziare a dondolare a destra e sinistra, in modo tale da essere vista muoversi nonostante il collo sia di mezzo.


-Guarda dove vai.-


Gli appoggio una mano sulla spalla, spostando leggermente il suo corpo verso destra.


In questo modo, evito di farlo inciampare nel piccolo pezzo di legno riposto sulla strada, che scaravento poco lontano con un calcio.


-E’ lungo sei metri!-


-Lo hai già  detto. Mark. Ripetere le sue dimensioni non aumenterà  il mio interesse per il discorso.-


Lui per tutta risposta aggrotta le sopracciglia, portandosi la mano destra sotto il mento in un fallito tentativo di imitare una persona in procinto di riflettere su qualcosa.


-Non ti capisco, amico. Domani compirai diciotto anni! Finalmente prendi il tuo Pokémon e parti all’avventura, verso nuovi orizzonti!-


Enfatizza particolarmente le ultime tre parole, girandosi di scatto, tra l’altro iniziando a camminare in direzione normale per la prima volta dall'inizio della giornata, e alzando entrambe le mani al cielo.


In quel momento non riesco a vedere il suo volto, ma conoscendolo posso dire con quasi assoluta certezza che sul suo volto si sia stampato uno dei suoi soliti sorrisi da ragazzino.


-Non tutti siamo allegri e pieni di energia come te. Sai, esistono anche le cosiddette persone normali.-


Dico scherzando, abbozzando il mio primo sorriso della giornata.


-Da come parli sembra quasi che non ti importi, pensa giovane, non sei mica un ottantenne!-


Mark cerca per qualche istante di assumere un'espressione seria, mentre si gira nuovamente verso di me.


E’ scontato dire che tale azione si tramuta ben presto in fallimento. Un fallimento rappresentato dal sorriso che si fa velocemente strada sul suo volto.


-Tra un anno parto anch'io! Vedi di prepararti per quel momento, un anno di vantaggio per non farti fare il *censura* da me!-


Il discorso s'interrompe per qualche minuto. Cosa alquanto rara, contando il logorroico amico che mi cammina accanto.


Sono Gavriel, alto un metro e settantacinque. Ho capelli neri, che spesso lascio al loro destino per intere settimane, evitando anche di sfiorare il pettine per pigrizia. Tuttavia, la mia predisposizione genetica, o qualcosa del genere, li aiuta a essere sempre in ordine. I miei occhi sono azzurri, colore abbastanza in contrasto con la capigliatura. Azzurro e nero non vanno per niente d’accordo, a parte per l’abbigliamento. Se qualcuno mi dicesse di appendere un quadro blu e nero in casa mia, di sicuro lo caccerei di casa. Invece in questo momento sono proprio questi i colori dei miei indumenti: jeans azzurri e camicia nero pece.


Ho diciassette anni, ancora per poco. Domani compirò diciott’anni, e diventerò maggiorenne.


Niente feste, niente regali costosi da parte di amici e parenti. Vivo in campagna, non in città  come voi, qui le abitudini sono diverse.


Come regalo per i diciotto anni, ogni ragazzo ha diritto a un nuovo Pokémon, un amico fedele che lo accompagnerà  per tutta la vita. Insieme a questo regalo, c’è anche la possibilità  di poter intraprendere un viaggio per la regione, per verificare le capacità  dell’allenatore e scoprire nuovi talenti per la lega Pokémon.


Anche se molti ragazzi attendono con ansia il giorno del loro diciottesimo compleanno, miticizzandolo come un momento che cambia la vita, le mie sensazioni sono in contrasto.


Chiariamoci, attendo anch'io con ansia questa opportunità  fin da quando ho memoria di me stesso, ma tendo a non approcciarmi all’avvenimento in maniera infantile.


Non è un semplice viaggio per la regione, è un modo per dimostrare la propria autonomia.


Non sarò in compagnia di semplici Pokémon, ma di compagni che inizierò pian piano a conoscere e apprezzare, così come ho fato con Mark.


Pensando al nostro primo incontro, mi lascio sfuggire un sorriso che cattura subito la sua attenzione.


-Ecco, visto? È quel sorriso che aspettavo! Domani tu…-


Il ragazzo fa l’ingenua mossa di voltarsi nuovamente verso di me, iniziando a parlarmi. Ormai siamo arrivati di fronte all’entrata di casa sua, quindi non mi fermo ad aiutarlo a rialzarsi, dopo essere inciampato a causa del dislivello della strada di campagna con quella asfaltata della nostra cittadina.


Sebbene sia piccola, gli abitanti hanno deciso di asfaltarla già  da prima che nascessi, per facilitare il passaggio ed evitare che la gente si faccia male su viali diroccati.


Sfortunatamente, a Mark è andata male: la sua casa è posta proprio sulla linea di distacco tra il viale asfaltato e quello di terra, e il dislivello gli causa una caduta come quella di oggi ogni volta che lo attraversa senza prestare attenzione, il che vuol dire che cade circa l’80% delle volte.


Mi giro brevemente per vedere se sta bene, e lui, rimanendo steso, alza la mano destra per farmi il cenno del saluto.


-Ci vediamo, amico.-


Dico voltandomi e continuando a camminare, diretto alla mia casa a circa cento metri di distanza.


 


Estraggo le chiavi dalla tasca mentre percorro il vialetto che separa in due parti il piccolo giardino di casa mia, in cui vive tranquillamente il Rapidash di mia madre.


Ha tutto quello di cui ha bisogno: una piccola stalla che fiancheggia casa nostra, un albero che crea un allettante zona d’ombra in cui trascorrere le calde giornate d’estate, ma soprattutto la totale libertà  di uscire per galoppare per l’infinita zona pianeggiante che circonda il paese.


È strano crederci, ma è così: un Pokémon di tipo fuoco, capace di trasformare la propria criniera in fiamme, soffre l’afa estiva.


Non vedo Rapidash in giro, quindi o è andato a farsi un giro, oppure la mamma è in ritardo.


Infilo lentamente la chiave nella porta, ma non faccio in tempo a girarla che la porta si è già  spalancata.


-Fratellone!-


Amy mi salta addosso, per modo di dire.


Ha otto anni, e il ‘’ saltarmi addosso ’’ che la sua altezza gli consente vuol dire attaccarsi alla mia gamba, premendo la sua faccia appena sopra il mio ginocchio.


Quando allenta la presa, mi chino per prenderla in braccio, entrando in casa e chiudendo la porta dandogli una spinta con la punta della scarpa.


-La mamma non è tornata, mi sentivo sola!-


A un estraneo questa potrebbe sembrare una semplice frase di una bambina innocente che ha passato da sola l’intera mattinata, ma otto anni di esperienza mi hanno insegnato che per Amy è una giustificazione per aver svaligiato la mensola dei dolci.


Infatti la scatola delle caramelle è su una sedia, aperta e vuota per metà .


Tenendo ancora in braccio Amy, la prendo con una mano, chiudendola mentre la sollevo sullo scaffale più alto che riesco a trovare, che per l’appunto è quello direttamente alla destra del frigo.


-La mamma non è ancora tornata!-


-Lo so, Amy, avrà  avuto un contrattempo, vedrai che sarà  qui presto.-


-Ma io ho fame!-


-Mangia un po’ di frutta allora.-


Dico tranquillamente, appoggiandola sulla sedia che la bambina aveva poco prima usato come base per la sua razzia di dolci.


-Se mangi troppi dolci, la frutta è il rimedio migliore per evitare il male al pancino!-


Dico sorridendogli. Sorriso cui lei risponde con uno sbuffo. Faccio una faccia delusa, per poi dirigermi alle scale che vanno al piano di sopra.


-Fratellone, dove vai?-


-Sono stanco, lasciami dormire un po’-


-Ma sono le tre del pomeriggio!-


-Sono appena tornato da scuola, dammi tregua, tu che hai ancora un paio di anni di tranquillità !-


Per tutta risposta, lei prende la rincorsa e si butta sul divano, afferrando il telecomando.


Sento i primi rumori della televisione quando ormai sono al piano superiore, ma la conosco troppo bene per non riuscire a prevedere quel che farà : mi ignorerà  e non mangerà  niente ora che i dolci sono fuori portata, e aspetterà  la mamma per farsi cucinare qualcosa. Guarderà  la televisione fino ad allora, facendo zapping su canali idioti. In fondo, è una bambina, e probabilmente anch'io ero così alla sua età , no?


Spalanco la porta della mia stanza, lanciando la tracolla in un angolo.


Quest'azione, ripetuta quotidianamente per svariati anni, ha portato a molti risvolti negativi, come la non indifferente ammaccatura del muro e le orecchiette che si sono formate su tutti i miei libri e quaderni che sbattono. Tuttavia, è molto più veloce che riporla ordinatamente in un luogo preciso, e appena tornato da scuola l’ultima cosa che voglio è stare attento a riporre i libri negli scaffali che, puntualmente, ordino il giorno dopo in tutta fretta, per poi dirigermi di corsa a scuola.


Non domani.


Domani andrò a prendere il mio primo Pokémon. Niente scuola quindi, un altro punto a favore del viaggio da allenatore di Pokèmon.


Mi sfilo le scarpe di fronte al letto e mi lascio cadere sul materasso, che scricchiola in modo tetro sotto il mio peso.


Sono stanco a causa della faticosa mattinata, e so che devo riposare il più possibile in vista del giorno di domani.


Non passano neanche due minuti che la mia mente, piena di pensieri, m'induce un pesante sonno.


 


A farmi svegliare è una leggera luce che mi colpisce il volto, dandomi fastidio.


Dapprima cerco di coprirla con la mano, ma poco dopo mi decido ad aprire lentamente gli occhi, sbirciando tra l’indice e il medio.


La stanza è illuminata dal sole, dato che non mi sono preso la briga di tirare le tende della finestra prima di stendermi.


-Ormai sono sveglio…-


Mi isso lentamente dalla posizione in cui ho dormito, per ritrovarmi pochi istanti dopo a camminare verso la finestra, per poi spalancarla e guardare verso l’esterno.


Il paesaggio che posso ammirare dalla mia camera non può essere definito nulla di speciale.


E’ una finestra su una larga pianura dedita al pascolo di alcuni Pokémon. In fondo alla pianura riesco a vedere una piccola collina dietro la quale tramonta il sole ogni giorno.


Non vedo alcun sole, tuttavia c’è una luce fioca che proviene dalle nuvole. Devo essermi sbagliato, in realtà  è mattina, l’alba per la precisione. Ho dormito davvero tanto.


Dato che mi sento perfettamente riposato, e sfiderei qualcuno a non esserlo dopo un sonno durato più di mezza giornata, mi infilo un paio di pantofole che lascio sempre nascoste sotto il letto, per poi aprire lentamente la porta e recarmi al piano di sotto, stando attento a non fare rumore.


Amy è stesa sul divano col telecomando in mano, la televisione ancora accesa, ma con un volume rasente allo zero. Deve averlo abbassata quando la stanchezza ha iniziato a farsi sentire.


Le sfilo lentamente il telecomando di mano per poi appoggiarlo accanto alla televisione, e la copro delicatamente con una piccola coperta che mia madre è solita riporre a fianco del divano.


Avendo trovato Amy stesa in questo modo, deduco che mia madre non sia ancora tornata.


Non mi sorprendo, non è la prima volta che tarda uno o due giorni.


Quando Papà  è morto, lei ha iniziato a lasciare la città  sempre più spesso, per cercare di guadagnare quei pochi soldi in più per permetterci di vivere una vita tranquilla.


In realtà , i soldi non mancano affatto, e lei non vuole rivelare il vero motivo per cui viaggia così tanto.


Adora cavalcare Rapidash. I suoi viaggi sono una scusa per attraversare enormi pianure con il suo fidato Pokémon, che possiede fin da piccola. Inoltre, una piccola pausa da una figlia pestifera come Amy è una necessità  per mantenere la propria sanità  mentale…


-Fratellone… sei sveglio…?-


Amy si è svegliata, e ora mi guarda affacciandosi dallo schienale del divano, con una piccola lacrima che si fa strada sotto la palpebra destra. Si strofina l’occhio con la mano per pulirsi, continuando a fissarmi.


-Scusa, ho dormito tutto il pomeriggio e ti ho lasciato sola per tutto il giorno. Torna a dormire, sarò già  tornato quando ti sarai svegliata.-


-Ma non devi partire…?-


-Tranquilla, parto domani, non ti lascio sola prima che torni la mamma.-


Le dico sorridendo, per poi vederla stendersi nuovamente sul divano. Mi avvicino lentamente.


Come previsto, si è riaddormentata subito, ed io la copro nuovamente per non farle prendere freddo.


Avvicinandomi alla finestra vedo che il sole ha già  iniziato ad alzarsi nel cielo. Non prendo niente per il viaggio, poiché dovrò passare nuovamente da casa e rimanerci un po’ prima di partire, quindi mi limito a compiere un'azione più unica che rara nella mia routine.


Passo per il bagno, pettinandomi velocemente i capelli ed eliminando il loro aspetto arruffato. Il pettine s'incastra tra i loro nodi mezza dozzina di volte prima che io mi decida a rinunciare al compimento dell’impresa. Non si può dire che ora assomigli a una persona ordinata, ma sono piuttosto soddisfatto del risultato.


Non perdo neanche tempo a cambiarmi, dato che ho ancora indosso i vestiti con cui ho dormito, e non sono neanche troppo stropicciati.


Esco di casa stando attento a non far alcun rumore che avrebbe potuto far svegliare nuovamente Amy, chiudendo con attenzione la porta.


Percorro il vialetto a passo lento, e incrocio lo sguardo di un esemplare di Lairon che mi fissa dall’altro lato della strada. Io gli sorrido. Lui, per tutta risposta, mi ringhia contro, fissandomi a lungo.


-Stai calmo…-


Sussurro per poi distogliere da lui lo sguardo. Devo, infatti, andare nella direzione opposta.


Cammino lentamente, godendomi la brezza mattutina. Non ho alcuna intenzione di arrivare troppo presto, per diminuire i rischi di arrivare al laboratorio del professore e trovarlo ancora chiuso.


 


Il laboratorio non è grande quanto ricordavo, probabilmente perché l’ultima volta che mi ci sono recato avevo la metà  degli anni che ho adesso. SI trova fuori dal paese in cui vivo, a circa cinquecento metri di distanza e al confine che separa la pianura dal bosco.


La porta d’ingresso è come la ricordavo: un enorme vetrata scorrevole che si apre automaticamente non appena i sensori rilevano qualcuno avvicinarsi. Il professore accende il meccanismo che la fa funzionare ogni mattina, quando arriva per primo al laboratorio con l’intento di controllare i macchinari e controllare i Pokémon che vivono nell’enorme giardino recintato alle spalle della struttura.


Quando mi avvicino e vedo che la porta scorrevole reagisce alla mia presenza, deduco che il professore è già  arrivato. Quando entro nel laboratorio sono accolto dalla fievole luce delle lampadine a risparmio energetico ancora in fase di accensione, sinonimo che la struttura ha appena aperto.


Voi vi chiederete, a cosa servono delle lampadine se è già  giorno? La verità  è che il laboratorio ha davvero poche finestre, quindi la luce naturale ha poche vie d’accesso alla struttura.


-Ah, sei arrivato, benvenuto!-


Il professore mi saluta affacciandosi da una delle prime porte del corridoio di fronte all’ingresso.


E’ proprio come me lo ricordavo. Sebbene siano passati quasi dieci anni dal nostro ultimo incontro, indossa sempre un lungo camice bianco senza tasche, chiuso sul davanti in modo tale da lasciar intravedere solo il colletto della sua camicia marrone. Ha cambiato occhiali, e ora ne indossa un paio di colore azzurro chiaro, colore che non si abbina molto al suo ciuffo castano che gli cade sul volto, nascondendo la piccola asta che collega le due lenti.


-Prego, entra. Scusa se non ti accolgo come si deve, ma ci sono stati dei… problemi.-


Dopo aver detto questo, scompare nuovamente dietro la porta, ed io lo seguo.


La stanza in cui ci troviamo è abbastanza grande, e non molto arredata. Ha solo qualche scaffale e un macchinario, che se ricordo bene serve per guarire leggere ferite dei Pokèmon. Sulla parete alla mia destra c’è un'ampia vetrata che da sul giardino, dove vedo alcuni Pokémon abbastanza agitati.


-Forza, vieni!-


Mi dice il professore, facendomi cenno di avvicinarmi a un grande tavolo dove sono poste tre Pokéball di colore rosso e bianco.


-Bene ragazzo. Oggi sceglierai uno tra questi tre Pokémon. Bada a fare una scelta ponderata! Oggi non scegli solo un Pokémon con cui lottare, ma anche un amico fidato che ti seguirà  in mille avventure!-


Dopo aver detto ciò, pigia delicatamente un pulsante della Pokéball alla mia destra che si trova sul bordo che separa la tinta rossa da quella bianca.


Per tutta risposta, la Pokéball si apre secondo il bordo delimitato dai due colori, emettendo un’abbagliante luce rossa che si appoggia sul tavolo, condensandosi nella figura di un Pokémon.


E’ molto piccolo, dal corpo snello e apparentemente agile. E’ di colore beige tendente all’arancione, con dei ciuffi rossi che spuntano dalle sue enormi orecchie.


-Questo è Fennekin, un Pokémon di tipo fuoco…-


Mentre parla, il professore tende la mano verso la piccola creatura, probabilmente con l’intenzione di accarezzarla per non farla agitare alla mia vista, essendo io un estraneo ai suoi occhi. Per tutta risposta, Fennekin indietreggia, per poi affondare i suoi aguzzi denti nel pollice dell’uomo.


-Ahi… ma che fai?!-


Il professore sembra alquanto sorpreso dall’azione del Pokémon.


-Tranquillo ragazzo, sarà  spaventato dato che non ti conosce…-


-Ma non vedo il motivo di attaccare lei, se sono io a preoccuparlo.-


Dico con tono calmo. In fondo, è la verità : che senso ha attaccare chi si prende cura di te e non l’estraneo?


-Potrebbero esserci dei contrattempi, ti dispiace ripassare domani?-


Dice il professore, liberandosi dalla morsa di Fennekin e riponendolo in una teca di vetro lì vicino. Il Pokémon, per tutta risposta, cerca di arrampicarsi sul vetro per uscire, ovviamente fallendo e continuando a scivolare sulla superficie. Poco dopo demorde dall’idea di uscire, e si limita a fissarmi con sguardo torvo, ringhiando ed emettendo scintille dalla bocca.


Il professore estrae dal cassetto di una scrivania un piccolo cerotto, che si avvolge velocemente attorno al pollice.


-Tutto a posto?-


-Certo, non è raro essere morsi nel mio lavoro, stai tranquillo. Torna domani, Fennekin si sarà  calmato e vedrò di farti scegliere il Pokèmon più adatto a te.-


-Va bene…-


Dico dubbioso. La storia, onestamente, mi puzza non poco. L’evento appena accaduto mi ricorda vagamente il Lairon che mi aveva ringhiato contro appena fuori di casa.


-Professore, c’è un problema…!-


Un assistente entra rapidamente dalla porta che poco prima avevo io stesso oltrepassato. E’ visibilmente agitato, e si possono scorgere delle goccioline di sudore scendere dalla sua fronte.


Appoggia la mano destra sulla parete, chinandosi leggermente in avanti cercando di riprendere fiato.


-I Pokémon nel giardino…-


Sto guardando l’assistente in questo momento. Dietro di me sento il rumore di un vetro che si fracassa, e osservo il volto dell’assistente passare dalla semplice sorpresa al terrore, come se fosse una scena a rallentatore di un film.


Mi giro lentamente, percependo l’odore del sangue solo quando vedo la scena con i miei occhi.


Il vetro che dava sul giardino è completamente in frantumi, è stato un Feraligatr a sfondarla.


-…-


Il professore riesce a emettere solo un flebile sospiro, poi i suoi occhiali si sfilano lentamente dal volto, cadendo a terra e frantumandosi. Le sue gambe, dopo essersi leggermente agitate per qualche istante, perdono vitalità , e iniziano a penzolare come farebbe un peso morto appeso a una corda.


L’unica cosa che lo tiene sospeso a mezz’aria è il suo collo, stretto saldamente tra le fauci del Pokémon. I denti di Feraligatr hanno penetrato velocemente la carne, donando all’uomo una morte veloce.


Il sangue scaturito dalla ferita gocciola a terra, colando dai denti della bestia.


Rimango senza parole. E’ avvenuto tutto in pochi istanti, e la sorpresa è tale che il pensiero di fuggire non arriva subito alla mia testa.


Quando riesco finalmente a distogliere lo sguardo dalla scena, muovo il piede destro per potermi girare. Mentre compio l’azione, vedo con la coda dell’occhio un altro Pokémon entrare dalla fessura. Uno Sceptile, che guarda nella mia direzione.


Inizio a correre con tutte le energie che ho in corpo verso la porta, dove l’assistente del professore osserva la scena, esterrefatto e senza accennare un movimento.


Sceptile è troppo veloce. Con pochi balzi, mi raggiunge. Ora è dietro di me.


Mi supera con un balzo, puntando direttamente all’assistente. Quando lui si accorge del pericolo e prova a girarsi per fuggire, il Pokémon è già  di fronte a lui, pronto ad attaccare: afferra la sua testa con i suoi possenti artigli, infilzandone uno appena sotto l’occhio destro e graffiando la faccia con gli altri due.


Mi ha ignorato.


Perché l'ha fatto?


Lo capisco subito. Conosceva quell’uomo, ha attaccato prima lui per questo motivo.


Passo accanto a Sceptile senza pensarci due volte. Lui non mi attacca, preferendo rimanere sul luogo a stritolare la testa della sua ‘’preda’’ mentre essa dimena le gambe a causa dell’atroce dolore.


Ho paura.


Ho paura per quello che è successo. In realtà , non sono ancora riuscito a capire cosa sia successo. Due Pokémon ci hanno attaccato. Non era un semplice attacco, non è come quando si lotta tra allenatori. Non è come quando ti scontri con un Pokèmon con l’intenzione di catturarlo. Sono Pokémon che ci vogliono fare del male, che ci vogliono ferire. Che ci vogliono uccidere.


Non ho tempo per pensare. Non ho tempo per nascondermi. Devo correre a casa. Devo correre da Amy.


Appena arrivo di fronte alla porta scorrevole, noto che essa è inceppata. Si apre di appena pochi centimetri, per poi richiudersi nuovamente. Osservo lo stesso identico ciclo di '' apri e chiudi '' per una decina di secondi, per poi accorgermi che anche le lampade compiono la stessa azione: si accendono e si spengono in continuazione.


Ho i riflessi di ripararmi sotto un piccolo tavolo quando vedo che le luci guadagnano una luminosità  superiore al normale. Il loro vetro si frantuma, facendo cadere sul pavimento una pioggia di schegge di vetro e scintille incandescenti.


Mi alzo rovesciando il tavolo, dopo di che metto i miei piedi sopra di esso per evitare di calpestare pezzi di vetro. Afferro saldamente una sedia con entrambe le mani, per poi picchiarla violentemente contro il vetro scorrevole dell’ingresso.


Al primo colpo, essa rimbalza, facendomi quasi perdere l’equilibrio. Al secondo colpo il vetro inizia a incrinarsi. Al terzo, l’eccessivo vigore con cui ho colpito fa si che la sedia voli in avanti per qualche metro, per poi rotolare e fermarsi tra l’erba a fianco del vialetto.


Mi affaccio stando attento a non ferirmi con i vetri, poi do un'occhiata intorno.


Ci sono due piccoli Pokémon davanti al pannello di controllo elettrico del laboratorio. Sono davvero minuscoli, alti poco più di trenta centimetri.


Hanno il corpo affusolato e di un colore giallo chiaro, con lunghe orecchie di colori diversi, così come le punte delle zampe, delle guance e della coda.


Uno ha la coda a forma di ‘’più’’, e ha le parti del corpo sopra elencate di colore rosso. L’altro, con la coda a forma di ‘’meno’’, le ha azzurro chiaro.


Mi guardano sorridendo. Non vedo astio nei loro occhi, né alcuna voglia di attaccarmi.


Faccio un piccolo passo verso i due Pokémon, che per tutta risposta fanno contatto tra le loro code. Da esse scaturisce una potente scossa che li avvolge, carbonizzando l’erba nel raggio di mezzo metro da loro. Per la sorpresa, io cado all’indietro, sbattendo il sedere sulla soffice erba.


L’elettricità  si fa strada anche nel pannello elettrico del laboratorio, e pochi istanti dopo sento un esplosione provenire dalla struttura.


Il loro sorriso è scomparso. Mi guardano in modo differente ora, le sopracciglia inarcate per esprimere rabbia.


Indietreggio impaurito spingendomi con le gambe. Ora vogliono uccidere me. Mi alzo di scatto, iniziando a correre prima di aver raggiunto la completa posizione eretta. Per tutta risposta, le mie gambe rischiano di farmi inciampare un paio di volte, ma in qualche modo riesco a non cadere grazie alle mani che uso per darmi la spinta contro il terreno.


Corro senza voltarmi indietro, ed è solo grazie al rumore di una seconda esplosione che capisco che non sono inseguito.


La mia mente è in bianco. Non riesco a pensare a niente. Riesco solo a correre con tutte le mie forze verso casa. Devo sbrigarmi.


 


Vedo solo la strada che sto percorrendo. E’ un rumore di zoccoli che riporta la mia mente alla realtà . Degli zoccoli che si scontrano col suolo sempre più velocemente, in maniera sempre più violenta. E’ un sassolino a salvarmi la vita. Un piccolo sasso, probabilmente lungo un paio di centimetri. E’ a causa sua che inciampo, cadendo in avanti e salvandomi per miracolo.


Quando cado, porto istintivamente i gomiti al volto per proteggermi. Nonostante indossi una maglietta di un tessuto abbastanza resistente, la terra mista alla ghiaia riesce a squarciarla all’altezza dei gomiti, graffiandomi completamente le braccia. Per un solo istante, il sole sembra oscurarsi. Non è il sole che si oscura, è lui che mi salta sopra.


Pensava di fracassarmi la testa con un colpo di zoccolo, ne sono sicuro. Invece, dato che sono caduto, è costretto a toccare nuovamente terra due metri di fronte a me, e ne percorre un'altra dozzina prima di perdere l’accelerazione guadagnata e avere la possibilità  di girarsi verso di me. Alzo lo sguardo nello stesso momento in cui si gira.


-Stai scherzando…-


Le mie parole sono seguite da un violento nitrito del Pokémon. Le fiamme della sua criniera sono accese e vivide come non le avevo mai viste in tutta la mia vita, il suo corno coperto di sangue ormai raggrumato.


-Rapidash, dov’è la mam…?-


Solo una piccola lacrima. E’ tutto quello che riesco a farmi venire fuori in questo momento. Una sola lacrima, che scende dall’occhio destro, fermando la sua colata poco più sotto della guancia.


Rapidash ha le redini, come al solito. Non sono redini che bloccano la bocca dell’animale, mia madre non avrebbe mai usato qualcosa di così doloroso su un Pokémon. Lei amava il suo Pokémon, aveva messo solo una fascia di cuoio attorno al muso, in modo da avere un appiglio senza causargli alcun fastidio o dolore.


Le redini sono ancora li. Tinte di sangue. Vorrei dire che mia madre sia morta cavalcando Rapidash, ma non ne sarei troppo sicuro.


L’unica sua parte ancora attaccata alle redini è il suo braccio destro. La sua mano è ancora stretta intorno alle redini a causa del rigor mortis, coperta di sangue.


-L’hai uccisa…-


Ironico a dirsi, la mia mente, che fino a poco fa si rifiutava di formulare pensieri concreti a causa dello shock, ora si riempie di domande, affermazioni, riflessioni.


-Lei ti trattava bene!!-


La mia voce è colma di rabbia, e allo stesso tempo di disperazione. Le lacrime iniziano a farsi strada sul mio volto.


-Lei ti voleva bene!!!-


Inizio a singhiozzare, rimettendomi nuovamente in piedi.


Rapidash mi fissa, poi si dà  lo slancio per riprendere a correre.


Quanto passa? Uno, o forse due secondi, prima che il Pokémon mi arrivi di fronte?


E’ così veloce che io percepisco il pericolo quando è ormai troppo tardi. China la testa in avanti, colpendomi con violenza.


Il suo corno, che fino a poco prima era coperto di sangue scuro e raggrumato, si tinge di un colore più vivace, il colore del mio sangue. Mi ha infilzato alla spalla sinistra.


Dopo avermi colpito, lui continua a correre per un lasso di tempo del quale non riesco a elaborare la durata. Il dolore alla spalla è lancinante, mi ha contemporaneamente aperto un enorme squarcio nel corpo e frantumato svariate ossa.


I miei occhi sono spalancati a causa del dolore, e un rivolo di sangue mi scende dalla bocca.


Rapidash pianta i piedi per terra con lo scopo di fermarsi. Ci riesce in pochi secondi, mentre il mio corpo, che ha ancora la velocità  di quando il Pokémon era in corsa, si ‘’sfila’’ dal corno per ritrovarsi a fare un volo di tre metri prima di cadere per terra.


Ora sono steso sul suolo, la faccia coperta di lacrime e disperazione, il corpo di sangue e dolore.


Rapidash si avvicina minaccioso, sbattendo gli zoccoli al suolo.


Ci fissiamo per qualche istante, poi lui decide di voltarsi, cominciando a correre.


Mi sta… risparmiando?


Dopo tutto quello che ha fatto, dopo aver ucciso mia madre, dopo avermi ridotto in fin di vita…?


Inizialmente non capisco il senso di tale azione, rimango steso per terra singhiozzando. Sono ancora vivo. Probabilmente non per molto, ma in questo momento lo sono. Provo ad alzarmi, ma il dolore che quel movimento mi causa mi costringe a lasciarmi nuovamente cadere al suolo.


Perché? Mi ha risparmiato?


Nel laboratorio, il Feraligatr e lo Sceptile mi hanno risparmiato perché hanno preferito dare priorità  al professore e al suo assistente. Hanno preferito attaccare prima gli uomini che conoscevano.


Quindi… è così che è andata?


Io sono qui, steso e dolorante, mentre lei è in pericolo?


Io non riesco neanche a rimettermi in piedi, e Amy sta per essere uccisa da Rapidash…?


Non ho dubbi, è sicuramente a cercare lei che sta andando. D’altronde, la persona a cui era affezionato di più, escludendo la mamma, è proprio Amy.


Provo a rialzarmi circa una dozzina di volte, ma il lancinante dolore alla spalla mi costringe ogni volta a cadere nuovamente al suolo.


Ci provo di nuovo.


Non posso lasciarla morire.


Non anche lei.


Non voglio rimanere da solo.


Non voglio che sia lei, a dover rimanere da sola.


E’ questo pensiero che mi da la forza di mettermi in piedi. Provo a correre, ma l’unico movimento che il mio corpo mi consente è una lenta camminata agonizzante.


 


Sono stato lento. Ci ho messo troppo tempo.


La casa è distrutta.


Non ci sono Pokémon nelle vicinanze, quindi mi prendo la libertà  di oltrepassare l’enorme squarcio nel muro senza preoccuparmi di essere attaccato.


-A… Amy…!-


Mi accorgo ora che la mia gola è completamente secca. Parlo a fatica, e non abbastanza forte da farmi sentire da nessuno.


Inizio ribaltando il tavolo, unico mobile miracolosamente rimasto in piedi. Non è lì sotto.


Mi avvicino alle pareti, spostando i pezzi di legno pieni di schegge che, sebbene ora formino un rivestimento per il pavimento della casa, una volta erano mobili.


Li scaravento dietro di me, senza badare alle schegge che mi feriscono le mani assieme ai chiodi, ormai malformi e inutili.


E… morta?


O forse è uscita di casa…?


Non c’è più speranza per lei…?


Questi pensieri mi fanno progressivamente perdere la forza che mi aveva consentito di muovermi fino a quel momento, nonostante il dolore. Ogni movimento delle braccia è sempre più faticoso, e la montagna di detriti è quasi completamente intatta quando rinuncio nell’impresa di spostarla, cadendo sulle ginocchia.


Dapprima c’è il silenzio, poi inizio a sentire un debole singhiozzio, il cui suono si propaga per la stanza, le cui pareti sono ormai spoglie e incapaci di attutire i suoni.


Seguo quell’eco, facendo affidamento alle ultime forze che mi sono rimaste.


Mi avvicino al punto dove prima doveva esserci la televisione, ormai sostituita da una piccola montagna di pezzi di vetro e legno. Ci affondo dentro le mani, impegnandomi a spostare più materiale alla volta. Dopo qualche minuto di sforzi, riesco a vedere il mobiletto sopra il quale era posizionata la televisione.


Inizialmente era un mobile alto circa quarantacinque centimetri, con un enorme cassetto. Avevamo deciso di toglierlo, per poterci mettere dentro un piccolo videoregistratore.


Amy è lì dentro, accovacciata in un angolo del mobile. E’ così piccola che sopra la sua testa c’è uno spazio libero di circa cinque centimetri.


E’ graffiata su tutti gli arti. Non graffi profondi, ma abbastanza gravi da far scaturire sangue sufficiente a coprire quasi ogni lembo di pelle del suo corpo. Le sue mani sono poste sulle orecchie, che preme con forza, i suoi occhi sono completamente spalancati, fissi in avanti e colmi di terrore.


-Ehi… Amy… vieni fuori… che è successo…?-


Parlo col tono più calmo e confortevole che la mia gola trasandata mi consente. Afferro la mia sorellina al braccio, provando a tirarla fuori. Lei rimane immobile.


Non batte ciglio.


Non muove un muscolo.


Cosa diavolo è successo…? Che cosa può averla traumatizzata a tal punto da ridurla in questo stato?


La risposta si fa avanti con un rumore di zoccoli.


Mi giro di scatto, per capire cosa stia succedendo. In fondo, cosa c’è da capire? Sapevo già  chi fosse prima ancora di voltarmi.


E’ Rapidash, entrato dallo stesso squarcio da cui mi sono fatto strada per entrare. E’ a pochi metri da me, immobile.


E’ venuto per finire quello che ha iniziato.


Sento il rumore di legno che cade alle mie spalle. Mi volto, e vedo la mia sorellina che sta uscendo dal suo nascondiglio. Ha riconosciuto il Pokémon della mamma. Tende la mano verso di lui, sorridente e con le lacrime agli occhi. Apre la bocca per dire qualcosa, mentre io cerco di raggiungerla con uno scatto. La afferro, scattando di lato.


In quel momento, anche Rapidash compie un velocissimo scatto, dandosi lo slancio verso di noi.


Posso percepire il suo zoccolo sfiorare appena la mia gamba prima che il Pokémon si schianti contro il muro.


Un muro di legno, che fino a quel momento consideravo sicuro e resistente, è sfondato come se fosse cartapesta. Rapidash pianta gli zoccoli sul terreno, fermandosi appena fuori casa. E’ abbastanza vicino da appiccare fuoco al cumulo di macerie da lui appena creato con le fiamme che avvolgono i suoi zoccoli.


Sta per girarsi, lo capisco dal contrarsi dei suoi muscoli.


Si girerà , attaccherà  di nuovo, e per noi sarà  la fine.


Forse avevo bisogno di tempo per metabolizzare la situazione, oppure è stato il vedere Amy in pericolo a far scattare in me qualcosa. Capisco tutto.


Rapidash non è più il Pokémon che conoscevo.


Non è un amico, nè qualcuno su cui fare affidamento.


E’ un nemico, e vuole uccidermi. L’unico modo per non morire, è uccidere i propri predatori. Ovvio, no?


Sfilo le mie mani dai fianchi di Amy, lasciandola sul pavimento. Afferro saldamente il pezzo di legno più lungo che mi trovo davanti, e mi scaglio contro Rapidash.


Lo colpisco violentemente alla gamba posteriore destra, facendogli perdere l’equilibrio. Quando il Pokémon è caduto a terra, io non esito, continuando a colpirlo violentemente sulla gamba. Per tutta risposta, lui rende le fiamme della sua criniera ancora più calde. Il bastone dura pochi colpi prima di prendere fuoco e trasformarsi progressivamente in cenere.


Rapidash muove di scatto la testa, infilzandomi nuovamente con il suo corno, questa volta sulla gamba destra, appena sotto il ginocchio.


Cado all’indietro, mentre altro sangue fuoriesce dal mio corpo. Ne ho perso troppo, e la mia vista inizia a offuscarsi.


Istintivamente afferro un altro pezzo di legno, sbattendolo violentemente contro la testa del Pokémon, che nitrisce nuovamente.


Non è un nitrito violento come quelli precedenti, ma uno soffocato e capace di trasudare il dolore provato dal Pokèmon.


Quando il suo corno fuoriesce dalla mia gamba, uno spruzzo di sangue la tinge di rosso.


Mi piego in avanti, continuando a colpire nuovamente con il bastone. Continuo, e continuo, mentre dal bastone volano frammenti di legno. Quando quello che mi rimane in mano non è altro che n pezzo di legno di circa dieci centimetri, mi fermo. La mia presa si allenta, e l’oggetto si sfila dalle mie mani a causa della forza di gravità .


Non capisco cosa ci sia sulle mie guance. Forse sangue, forse lacrime, forse entrambe. Mi alzo facendo appoggio con il piede destro. Errore madornale, dato che l’unica cosa che ne ricavo è un dolore tale da rimettermi in ginocchio istantaneamente.


Mi giro, iniziando a trascinarmi con il braccio destro verso Amy.


Lei è in piedi, le mani nuovamente premute contro le orecchie. Gli occhi spalancati, il volto pieno di lacrime.


Indietreggia…?


Ogni centimetro che faccio per avvicinarmi a lei, Amy lo percorre per allontanarsi da me.


Io l’ho protetta, ho fatto tutto questo per non farla morire.


Ho ucciso Rapidash solo perché non era più il Pokémon che noi conoscevamo. Aveva ucciso la mamma, e stava tentando di uccidere anche noi due.


Possibile che non capisca?


La osservo nel momento preciso in cui perde conoscenza, cadendo all’indietro.


Provo nuovamente a mettermi in piedi, e ci riesco. Mi avvicino a lei trascinando la gamba destra come fosse un peso morto, e la prendo in braccio, stringendola vigorosamente al mio corpo con il braccio destro.


Mi trascino a stento fuori di casa. Non c’è nessuno in giro.


Né umani, né Pokémon.


Vedo una macchina apparire da dietro una casa.


E’ una piccola Jeep verde scuro, con enormi ruote e dei fari anteriori dal raggio di circa quindici centimetri.


Quando si avvicina, la vista mi si è già  quasi completamente oscurata. Il sangue mi è entrato anche nelle orecchie, e il suono della Jeep che frena mi sembra attutito e innaturale.


Mark è inginocchiato nel sedile posteriore. Le mani premute contro le orecchie, gli occhi spalancati. E’ nella stessa situazione di Amy. Deve aver visto qualcuno morire davanti ai suoi occhi.


Mi avvicino allo sportello, lasciando cadere Amy sul sedile. Per fortuna la macchina è priva di tettuccio, non avrei avuto le forze per aprire la portiera.


Un uomo, che fino a poco prima stava guidando, scende dalla vettura e fa il giro di essa per raggiungere il punto in cui mi trovo.


Ho gli occhi quasi completamente chiusi, quindi non riesco a vederlo in volto. Probabilmente è il padre di Mark. Non vedo sua madre in giro. Forsa è morta anche lei…?


Sento che le braccia dell’uomo si avvolgono intorno al mio busto. Sono calde, ed estremamente muscolose. Mi sorreggono, impedendomi di cadere.


Non riesco neanche a salire sulla vettura che le forze mi abbandonano.


 


 


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