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[-Reborn.in.the.Light-] Banette e il bambino


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Introduzione dell'autore:

Bene, salve a chiunque è interessato a leggere questa storia.

è una fanfiction con tema pokémon, ho intenzione di scriverla (ho scritto molti altri racconti in passato anche su altri temi e argomenti, non su questo sito ma su siti più rinomati fatti apposta per la scrittura).

Vorrei condividere con voi questa storia che a me balena in mente, ma se non vi piace, non spreco nemmeno il tempo e la fatica di scriverla. mi ha detto dream in urloteca "se c'è fantasia, continuerà  a piacere!", la fantasia c'è, e continuerà  ad esserci, quella non mancherà , ma se non vi piacerà  il racconto, non sprecherò le altre risorse (tempo e volontà  psicologica)

detto questo, vi auguro buona lettura per il primo capitolo

nel caso di errori grammaticale, abbiate pazienza, se la cosa va a buon fine provvederò a correggerli!

Capitolo 1° -Un custode Nero pece.-

«Un'alluvione sta invadendo quasi completamente i limpidi cieli di Unima, nemmeno gli aerei di ponentopoli riescono a resistere alla furia della natura, ...»

Era la voce di un giornalista in TV che stava descrivendo quello che stava accadendo quella sera.

A casa sua, a soffiolieve, un ragazzo dai capelli corti e sfilati color verde, stava per fuggire da un passato nero come la pece.

Stava ascoltando la televisione, mentre la voce del giornalista veniva soffocata dai rimbombi dei tuoni. Freneticamente girava per casa sua, preparando pozioni e tutto quanto potesse servire per il suo viaggio, mettendoli dentro uno zaino verde anch'esso.

Si diresse in garage, aprì la porta e si posizionò esattamente davanti ad un banco da lavoro, sul quale si trovava un braccio meccanico.

Ingranaggi di ogni genere, si intersecavano e costellavano quel braccio meccanico. La zona dell'arnese che sarebbe rimasta sopra la mano dell'utilizzatore, era protetta da falangi di accaio puro, e sul dorso di queste era inserito un display rotondeggiante.

"Poké-Pulsar" o solo "Pulsar", così l'aveva chiamato il suo inventore, che per costruirlo era partito da un vecchissimo progetto, trovato nella casa di suo nonno materno. Su quel pezzo di carta, il progetto della Cleptatrice, proveniente dalla lontana regione di Auros, fece saltare in mente l'idea al ragazzo, di costruirne una versione di tale marchingegno tutta per se, ma per scopi molto diversi:

Tale braccio meccanico, era in grado di svolgere molteplici funzioni, dalla più basilare, ovvero a contenere virtualmente tutte le pokéball dell'allenatore, a caricarle nel palmo della mano tramite forze elettromagnetiche per poi spararla, come un vero e proprio proiettile, e caricando la sfera, di una singolare energia elettrica quasi identica al Plasma, che sviluppava in modo nettamente superiore le capacità  dei pokèmon che vi uscivano dalla sfera lanciata.

Un piccolo ventargenteo equivaleva ad una piccola tempesta di polvere.

Prese il pulsar sotto braccio e richiuse la porta scorrevole del garage, dirigendosi di seguito verso l'ingresso di casa. Nel mentre che attraversò il salotto, un fulmine ruppe la temporanea quiete nella tempesta, e provocò un blackout sia a soffiolieve che a quattroventi, nelle vicinanze.

Si infilò le scarpe da corsa bianche con striature rosse e verdi e indossò il suo giacchetto nero laccato. Tirò poi fuori una pokéball da un cassetto di un mobile nell'ingresso, e lasciandolo cadere a terra ne lasciò uscire una Zebstrika, che con l'energia elettrostatica illuminava seppur di poco, almeno l'ingresso.

Una volta pronto nei minimi dettagli, zaino verde sulla schiena, giacchetto nero perfettamente abbottonato e scarpe allacciate in maniera perfetta, posizionò il braccio meccanico sul suo arto destro, si avvolse il capo in un cappuccio di tessuto collegato alla giacca e aprì velocemente la porta, poi si voltò di spalle per rivedere Zebstrika.

Si tese verso di lei e le accarezzò il mento, coccolandola come un addio.

Sorrise, e uscì rapidamente, richiudendo però delicatamente la porta, continuando a sorridere a quella creatura rimasta sola.

Appena chiusa la porta perfettamente, si voltò di nuovo, e corse via, dirigendosi a quattroventi.

Mentre la sua silhouette grigia per la poca luce che filtrava in quelle nubi ancora cariche di pioggia, si allontanava, qualcosa si mosse sotto la tettoia di casa sua.

Evidentemente lui non vi aveva badato, ma una sagoma nera iniziava a disegnarsi sulla parete, sotto il tetto, evidentemente per ripararsi dalla pioggia.

Era un banette, la cerniera disegnava un sorriso immotivato sul suo volto, che si mosse verso il ragazzo in fuga, rompendo la sua impassibilità .

Come un serpente si districava nel sottobosco, quello spettro sembrava un angelo custode intento a seguirlo, ma era Nero.

Quel ragazzo stava scappando da un passato nero come il corpo dello strano Banette ad Unima?

fuggiva per il terrore di dover affrontare il suo passato, o era intento a trovare altrove un modo per sopraffarlo?

Vista la sua indole fredda e solitaria, per le poche persone che avevano avuto l'occasione di incontrarlo, Solo una cosa di lui sapevano, o forse nemmeno quella :

Il suo nome, era M .

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