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[Samuel] Recensione: Lana Del Rey - Born to Die


Samuel

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recensione © by Samuel

BORN TO DIE

Cosa succede se prendi una ragazzina americana, con le labbra rifatte, figlia di un miliardario e ci applichi sopra stereotipi anni '50, sempre made in USA, quali gangster ed il mito del sogno americano?

Ottieni Lizzy Grant.

E cosa succede se a questa Lizzie Grant viene voglia di cantare? (Perché, ricordiamocelo, è figlia di un miliardario, può fare tutto ciò che vuole).

Be'... allora ecco Lana Del Rey.

E bisogna aver vissuto sottoterra negli ultimi 5 mesi per non aver mai sentito questo nome. Già , perchè Lana è diventata uno dei fenomeni musicali più discussi di questo 2012: secondo album più venduto dell'anno fin'ora (al primo posto c'è sempre il mostro Adele), discussioni infinite sull'autenticità  del suo personaggio, esibizioni televisive aspramente criticate, ma che in realtà , motle sue colleghe del mondo del pop, dipendenti dal playback, si sognerebbero.

Insomma, sia che duri nel tempo o che si riveli un fuoco di paglia ben progettato, Lana ha comunque lasciato il segno nella musica degli anni '10 con il suo album Born to Die.

Questa è la mia recensione.

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In realtà , Born to Die è il suo secondo album. Dopo il perduto Lana Del Ray (perché si capirà  in futuro, che una E è più figa di una A), registrato nel 2008-09 e mai rilasciato.

Ad un primo ascolto si potrebbero identificare come fonti di ispirazione per quest'album le vecchie canzoni americane anni '50, tanto che Lana è stata definita dalla stampa la versione gangsta di Nancy Sinatra. Ma è lei stessa ad ammettere le sue ben più comuni ispirazioni: Britney Spears, Eminem, ma anche Elvis ed Antony Hegarty.

E' proprio da Emimen che, sembra strano dirlo, ci sono le maggiori influenze. Be'... si, in fondo Born to Die è infarcito di contaminazioni e beat hip-hop, anche ben camuffati, tali da rendere le sue canzoni contemporanee e pop abbasta, seppur sarebbero potute appartenere all'età  in cui i dischi si vendevano ancora in vinile e non si scaricavano pirati.

Questo, comunque, non è il caso della prima traccia, la title-track Born to Die, che a dispetto del titolo e della musicalità , è un inno alla passione e all'amore vissuto nella sua pienezza, prima del respiro finale. La morte è un tema ben caro alla dolce Lana, basta dare un'occhiata ai testi ed ai suoi videoclip.

La seconda traccia, Off to the Races, più upbeat e variegata, ci introduce completamente nel mondo stereotipato dei gangster, raccontando un mondo fatto di lusso, Bacardi, Las Vegas e sigari che pendono dalle labbra. Lana è come una bambolina per il suo uomo e la sua voce in questa traccia sembra confermare questo.

Ma questo mondo non è fatto soltanto di ville, piscine ed alcool, oh no... In Blue Jeans, Lana ha a che fare con il rovescio della medaglia: non basta dire che si ama il proprio amante più di qualsiasi altra pu***na che c'è stata prima, no, l'amore va conquistato a colpi di promesse: "I will love you until the end of time". Completano questa traccia, una delle migliori dell'album, gli immancabili stereotipi americani: "Blue jeans, white shirt", "you were like James Dean"...

La quarta traccia, riconoscibile fin dalle prime note della caratteristica arpa iniziale è Video Games. Se Lana per un po' è stata venerata come salvatrice (?) della musica pop, lo dobbiamo a questa canzone. "It's you, it's you, it's all for you" canta nel ritornello con una voce spassionata, ma sensuale. Riconoscibilissima, questa canzone è Lana del Rey al 100%, forse proprio perché vanta una produzione diversa dal resto dell'album (non è prodotta dall'onnipresente Emile Hayne, produttore di tutte le altre tracce), infatti si differenzia per l'assenza di beat artificiali, l'unico strumento che la vivacizza è soltanto una batteria che si aggiunge al secondo ritornello.

Di tutt'altra pasta è invece Diet Mountain Dew, in versione remixata rispetto alla versione demo rilasciata mesi prima dell'uscita dell'album. Tuttavia non è una traccia degna di particolar nota, se non per il fatto che è la prima traccia che si discosta dal filone depresso-manontroppo delle precedenti canzoni, raccontando di un amore on the road.

Mi sembra di aver nominato già  abbastanza gli stereotipi americani presenti nell'album, ma mi trovo costretto a farlo almeno un'altra volta per presentare la prossima traccia, la numero 6: National Anthem. 4 Luglio, è la prima cosa che mi viene in mente ascoltando i fuochi d'artificio nell'introduzione. Quella che potrebbe sembrare un inno patriottico ("red, white, blue is in the sky") nasconde un'aspra critica alla società  consumistica, superficiale e dedita all'estetica, quale quella americana ("money is the anthem of success"... "money is the reason we exist").

Un singolo mancato dell'album (ma possono ancora rimediare) è certamente Dark Paradise, struggente traccia in cui Lana si lamenta delle pene causate dall'amore a distanza. Perfetto esempio di connubio tra canzone pop e malinconia, sebbene verso la fine vi sia un'esplosione vocale che ravviva il tutto. Dimenticabile la traccia 8, Radio, che in realtà , presa singolarmente sarebbe una canzone carina e dolce, ma che, a questo punto dell'album è soltanto un riciclo compresso di quello che si è già  sentito. Peccato, il secondo passo falso.

Sebbene la traccia 9 non mi entusiasmi più di tanto, Carmen, rappresenta un netto distaccamento dalle precedenti tracce (per fortuna, l'orecchio cominciava a stancarsi), con atmosfere un po' da opera ed una sensuale sessione parlata in Francese. Potrà  non piacere a tutti, ma è di sicuro un pezzo molto valido.

Ora, per descrivere al meglio il pezzo successivo, immaginatevi di trovarvi in un pianobar americano, nel pieno degli anni '50. Il locale è buio e sui tavoli siedono dei gangster, con i loro cappelli, le loro giacche a righe ed i sigari in bocca, bevendo del whisky e discutendo dei loro affari. In un angolo vi è un pianoforte a coda, un pianista con uno smoking nero e davanti a lui, reggendo la lunga asta del microfono, c'è una sensuale Jessica Rabbit, con i suoi capelli rossi ed un vestito rosso e stresso, che delizia tutti con le sue canzoni lente e malinconiche. Ecco, tutto questo è Milion Dollar Man.

Purtoppo quest'atmosfera dura soltanto poco meno di 4 minuti, perché con la traccia 11, Summertime Sadness, ritornato le atmosfere hiphoppeggianti che hanno caratterizzato il disco. Il ritornello ti rimane in testa e, tutto sommato, è una buona traccia, sebbene non spicchi per originalità .

Chiude il disco la perla This Is What Makes Us Girls, resoconto dell'adolescenza (fittizia?) di Lana. La nostalgia delle bravate da teenager si fa sentire adesso che si è più grandi. Chiude la traccia un martellante loop di sirene (o qualcosa di simile) che da solo vale quanto il pezzo intero.

In definitiva (anche perché mi sono accorto di aver scritto troppo, quindi complimenti se sei arrivato/a a leggere fino a qua) Born to Die è un album da ascoltare se cerchi qualcosa di diverso dal solito pu***an-pop o anche se non hai niente da fare.

VOTI:

1. Born to Die 7

2. Off to the Races 8-

3. Blue Jeans 8

4. Video Games 7 e mezzo

5. Diet Mountain Dew 5

6. National Anthem 6 e mezzo

7. Dark Paradise 7 e mezzo

8. Radio 5 e mezzo

9. Carmen 6+

10. Milion Dollar Man 7-

11. Summertime Sadness 5 e mezzo

12. This Is What Makes Us Girls 8-

Media: 7-

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