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[Dany1899] Inferno Mentale


Dany1899

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Capitolo Primo - Maschera



Verità , menzogna. Benevolenza, malignità . Supporto, truffa.


Quanto è grande, quanto è marcata la differenza fra queste parole così differenti? Apparentemente sembrano essere fra loro diametralmente opposte, anzi incompatibili. Chi tende la mano per porgere una moneta verso un povero mendicante, immobile per fingere di essere una statua, non sempre compie questo gesto con l’intenzione di seguire l’insegnamento di Gesù di Nazareth “Ama il tuo prossimo come io ho amato teâ€; talvolta lo fa perché ha appena ricevuto venti centesimi di resto, altre volte perché desidera una foto ricordo con quel simpatico essere umano, così diverso ma al tempo stesso simile. E, purtroppo, anche chi tende la mano dalla parte opposta qualche volta non si fida realmente di chi giunge in suo soccorso. Che abbia ragione a farlo? A volte sì, dopotutto, ma come può capire quale sia quel momento in cui è lecito dubitare di ciò che gli viene detto?


Le parole si susseguono, una dietro l’altra, connesse fra loro, inconcludenti oppure riunite in un modo peggiore di quel che possa fare un cuoco al termine della giornata lavorativa, quando con gli avanzi prepara il polpettone del giorno successivo. Un esempio poco opportuno, lo posso confermare, ma in fin dei conti le parole non sono altro che mezzi con cui sopravvivere, come il cibo è per il nostro corpo un ingrediente fondamentale alla sua esistenza sul pianeta Terra.


Io stesso so quanto ciò sia vero, ma non posso fare a meno di odiare momenti come questo. Tutto turbina vorticosamente, tutto si sussegue ininterrottamente, ripetendosi sempre identico a se stesso, senza preoccuparsi affatto di questa ripetizione. Come sempre, anche questa volta sento le ginocchia iniziare a cedere. Kylton, notando il sopraggiungere del mio consueto momento di affaticamento mentale, mi allontana prontamente dall’imprenditore con cui sto parlando. La scusa è sempre la medesima, come il suo effetto, d’altronde: dalla nascita un’aritmia cardiaca, che se non curata mi porterebbe alla morte, mi costringe a patire le pene dell’inferno, per fronteggiare le quali sono costretto a prendere una pillola appena si manifestano i sintomi della malattia; Kylton, naturalmente, deve accompagnarmi in bagno, non essendo io in grado di raggiungerlo con le mie sole forze, quando l’attacco si presenta.


Arrivato alla toilette, mi sforzo di chiudere la porta, per la preoccupazione che in una festa come questa qualche altro invitato abbia delle necessità  impellenti – comprensibili, considerando la quantità  industriale di cibo messa a disposizione dell’architetto che domani inaugurerà  un nuovo grattacielo, destinato ad essere sede della Pyro Engineering Co., la casa produttrice di software più famosa al mondo - . Ultimata questa piccola, forse inutile preoccupazione, mi arrendo al sapore acido del succo gastrico che risale dall’esofago e le poche tartine che ho assaggiato sono di nuovo davanti a me. Per evitare una reazione a catena tiro lo sciacquone e, barcollando leggermente, mi ritrovo a sbattere la spalla destra contro il muro. Kylton, sentendo il rumore ed immaginando bene la mia attuale condizione, si sincera subito di essa: «Hai bisogno di una mano?». Non appena, però, gli rispondo che tutto sommato sono in grado di reggermi in piedi, si preoccupa di ciò che realmente gli preme. Come se non avesse ancora imparato a farlo subito, senza perdere tempo in ciò che per lui non ha alcuna valore. «Allora, sei già  riuscito a trovarlo oppure no? Non abbiamo più molto tempo, se non te lo sei dimenticato abbiamo il volo prenotato per le 4 e non possiamo trattenerci per più di un’ora» mi dice più velocemente del solito, chiaro segno della sua ansia.


Riaprendo la porta, fisso i miei occhi sui suoi, solo all’apparenza verde smeraldo, ma ormai profondamente morti dentro, come egli stesso lo è. Anche io, purtroppo, sono morto dentro ed è per questo motivo che abbasso lo sguardo, concentrandomi sulla sua cravatta verde a pois gialli per lasciare che questi pensieri si perdano in qualche area del mio cervello. «Forse crede di essere in una botte di ferro e pertanto questa missione potrebbe rivelarsi più difficile del previsto». Dopo essermi risciacquato il viso, vedo con mio dispiacere i miei occhi. «Non ho tuttavia ancora svelato il mio asso nella manica. Credo di essermi ristabilito, possiamo tornare ad immergerci in questa odiosa festa».


Il tempo stringe e, di conseguenza, alle parole devono seguire i fatti. Che poi anche i fatti siano parole è soltanto secondario. Mostrandomi con un atteggiamento tale da far credere che oggi il mio cuore stia faticando più del solito, decido di congedarmi dall’architetto in anticipo dell’ora prevista da Kylion. Mi congratulo per la sua eccellente opera, per la sua splendida villa e per la festa. Il mio obiettivo è un altro, non posso intrattenermi troppo con lui, benché ciò sia scortese, considerando il pregio di aver potuto partecipare ad un evento riservato.


Con la coda dell'occhio, infine, lo vedo chinato sul tavolo, mentre riempie il suo piatto - chissà  quante volte già  svuotato - con il poco caviale ancora rimasto a disposizione. Non appena mi vede avvicinare, Jart prova ad allontanarsi: il suo comportamento, tuttavia, è naturale, considerando che in tali occasioni una persona invitata all'ultimo e poco conosciuta nell'ambiente può rappresentare un rischio. La scusa per parlargli, però, è già  stata preparata da tempo per l'occasione, come ultima risorsa, nel caso in cui non fossero bastate le sue conversazioni con gli altri convitati.


«Mi scusi se la disturbo. A causa di un malessere devo a malincuore lasciare questa festa, ma non potevo non parlare almeno una volta con Jart Russell, uno dei più famosi programmatori di software d'America.» Notando un suo timido cenno, indice di un complesso di inferiorità  o di superiorità  a seconda dell'interpretazione che uno possa dare, cerco di non far cadere il discorso. «E non si mostri modesto, senza i suoi software i computer di tutto il mondo non sarebbero quel che sono. Anzi, a proposito, sono vere le indiscrezioni secondo cui è ormai pronto al rilascio un sistema operativo rivoluzionario?».


Non può non confermarlo, benché diffidi di me apertamente. Ed infatti lo conferma, rivelandomi anzi che il suo rilascio ufficioso è previsto per la prossima primavera. Non è però questo ciò che mi interessa veramente, ma devo fare in fretta: ho ancora almeno altre dieci persone da salutare e, anche se le trovassi riunite in gruppi, mi servirebbe almeno mezz'ora prima di andarmene. Vengo infine al punto cruciale, su cui nessun altro si è interessato o, se lo ha fatto, non rappresentava per Jart una possibile minaccia. «Ha sentito però degli ultimi furti di software avvenuti con modalità  del tutto sconosciute? Da un giorno all'altro sono spariti improvvisamente e messi in commercio illegalmente.  Immagino, però, che lei abbia preso tutte le precauzione migliori, vero?». Inizia, finalmente. Il pesce ha abboccato. Non mostra eccessiva agitazione e tranquillamente mi conferma di avere la situazione completamente sotto il suo controllo, spiegandomi come abbia utilizzato un intricato complesso di chiavi di decodificazione collegate ad un sistema antifurto all'avanguardia.


La missione è conclusa e anche questa volta brillantemente. Dopo essermi ancora complimentato con Jart ed averlo salutato, rivolgo la mia attenzione agli altri convitati con cui ho avuto il piacere - anzi, il dispiacere, mio malgrado - di parlare durante la serata, essendo costretto dalle buone norme della società  a porgere loro i miei più falsi saluti.


 


 


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Anche questo decollo è stato superato. Ogni volta sembra che la mia capacità  di resistenza allo stordimento causato dallo sbalzo di pressione peggiori costantemente. Pare, tuttavia, che anche oggi debba fare a meno del sacchetto che l'hostess mi ha appena portato, notando il pallore finto troppo accentuato del mio viso. Fortunatamente per lei non è possibile immaginare che questo colore sia in realtà  dovuto alla maschera che devo indossare. Se però potesse toglierla, vedrebbe il biancore provocato dal disgusto che provo per ciò che nuovamente ho fatto. Ogni volta mi dico che è l'ultima, ogni volta capisco che in realtà  non è mai l'ultima. Il tempo passa, tutto dovrebbe cambiare, ma io resto sempre lo stesso. Un codardo, un vile. Un essere umano, insomma, ma della peggior specie, perché ho le possibilità  per cambiare ciò che resta sempre uguale.


Oggi l'America, oggi Jart, domani chissà  quale continente visiterò e quale persona dovrò incontrare. Ormai per me questo rappresenta la vita. Forse è anche giusto che sia così, se si assume che niente deve cambiare. Sorvolando gli Stati Uniti si possono vedere catene montuose, città , deserti, fiumi. Nel corso dei millenni sono profondamente cambiati, eppure ora sembrano immutabili. La mia riflessione è relativa, mi si potrebbe giustamente obiettare, dal momento che nel corso di una singola vita umana è assurdo ipotizzare grandi cambiamenti a livello geografico. Eppure è altro ciò che mi preoccupa, è un qualcosa che da millenni è rimasto immutato nella maggior parte delle circostanze ed i pochi, rari casi in cui si è presentato diverso sono talmente oscurati dalla negatività  degli altri che sembrano non avere alcun peso.


La filosofia, al liceo, era la materia che più detestavo, mentre ora credo che chiunque, se potesse leggere nei miei pensieri, mi definirebbe un filosofo - da quattro soldi, tra l'altro - .  Allora credevo che discutere sull'Io penso di Kant, sulle improbabili teorie fisiche di Cartesio e sulla classificazione delle idee complesse di Locke fosse una significativa perdita di tempo. E lo penso ancora, non lo rinnego. Ritengo molto difficile che un essere umano, nella limitatezza delle sue capacità , risolva quesiti simili. Ma il suo pensiero non deve mai terminare di esistere nella mente umana. Il pensiero è infatti l'ultima risorsa rimanente agli uomini per cambiare ciò che non vuole - o, meglio, non si vuole - cambiare.


 


Un annuncio comunica l'inizio del volo sull'Oceano Atlantico. Gli Stati Uniti sono già  un lontano ricordo. Fra qualche giorno l'attenzione dei media sarà  concentrata sul caso Jart, ma io dovrò pensare ad altro. Perché, purtroppo, i miei pensieri si sono ridotti a questo, ad eccezione di questi momenti in aereo, quando invece di rilassarmi capisco ancora più profondamente la desolazione della mia vita. E, soprattutto, delle mie capacità  così male impiegate. Mi è tuttavia impedito di agire diversamente. Ogni tentativo di ribellione sarebbe inutile.  Sono costretto a seguire gli ordini impartiti ed in un certo qual modo a controllarli dall'interno fino a quando ciò sarà  possibile, cioè, tradotto in termini più semplici, ancora per poco.



 


 


Capitolo Secondo - Morte



Da anni la mia tolleranza ha raggiunto livelli che mai un tempo avrei potuto immaginare, ma anche i miei nervi sono prossimi ad un tracollo totale, dopo essere stato costretto da ormai tre giorni a sentire questa ragazza lamentarsi e piangere. Non sa che l’inferno è appena iniziato, anzi che nella sua vita non è mai esistito né mai esisterà  il paradiso. Eppure appena mi era stata presentata, al ritorno da New York, mi era sembrata una ragazza intelligente e sagace. Invece è il contrario di quel che credevo. È esattamente identica a me o, più correttamente, a quel che ero in passato.


Non sono tanto i suoi singhiozzi e le sue urla a farmi disperare – nella mia vita ho assistito a scene peggiori - quanto i suoi pensieri, ancora ricchi di innocenza. Da essi si evince chiaramente come ancora in lei esista la speranza, quella parola che da sempre colpisce gli animi delle persone, le conforta, le rasserena. Ma, se ognuno provasse ad aprire il dizionario della Vita, osserverebbe come questo vocabolo non vi esista: non è altro, infatti, che una mera illusione, una mistificazione della realtà  ideale per evitare che il disegno della Vita possa essere conosciuto da tutti. La Vita ha un solo obiettivo, ed esso consiste nel far soffrire chiunque sia entrato a far parte di essa, indipendentemente dalla volontà  di chi ha deciso di donargli quell’esistenza stessa. Poiché, tuttavia, assumere una pillola è più semplice se ha un sapore dolce, troppi indizi benevoli, falsamente collocati in punti strategici delle singole vite umane, impediscono di comprendere la verità .


Nonostante ciò, non tutti sono così folli da non capirlo. Nell’Iliade Achille racconta un mito al disperato Priamo, padre dell’Ettore di cui l’eroe acheo non vuole restituire le spoglie: Zeus, in possesso dei due vasi che contengono rispettivamente Beni e Mali, assegna alla maggior parte degli uomini entrambi di questi, mentre condanna la vita di alcuni ad essere unicamente afflitta. Achille, narrando ciò, intende probabilmente confortare il povero re che, dopo aver a lungo dominato su una delle regioni più ricche e prospere della Terra, si era ritrovato in poco tempo privato della maggior parte dei suoi figli, condannati ad una morte prematura, e di tutte le sue ricchezze, bottino di guerra dei nemici. In realtà  questo messaggio è tutt’altro che confortante, giacché nasconde in sé una profonda verità : nessuno può affermare di avere conosciuto soltanto il bene, perché la nascita di per se stessa e molti altri eventi successivi lo hanno reso dotto del suo contrario, il male.


Esiste, dunque, una soluzione alle trappole infernale che la Vita dispone nei confronti di chi cerca di prenderne possesso, anche se in minima parte? Una soluzione è stata contemplata da molti ed anche messa in pratica da alcuni temerari; in fondo, perché rinunciare a mostrare il proprio coraggio per paura dell’ignoto e di un buio che potrebbe rappresentare la vera luce?


 


 


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In ogni momento della giornata sono tenuto sotto stretta sorveglianza da quelle che un politico o un cantante potrebbe definire guardie del corpo; questi ragazzi, infatti, hanno già  evitato in più circostanze la mia morte, mettendo a repentaglio la loro stessa vita con lo scopo di ricevere, a missione completata, un bonus al loro “stipendio†mensile, già  di per se stesso elevato. Anche in questo momento, mentre sto facendo colazione con una tazza di cappuccino al cioccolato ed una fetta di plumcake, sono certo che stanno scrutando ogni mia singola azione; benché siano profondamente rispettosi della mia privacy e non siano mai presenti nei pochi momenti in cui mi è permesso essere solo, devono essere pronti ad intervenire prontamente, qualora decida per loro disgrazia di trasformare il coltello da strumento utile a spalmare la crema di nocciole in arma suicida.


Sorseggiando il poco latte rimanente, leggo distrattamente il quotidiano che, come ogni mattina, mi viene consegnato insieme alla colazione. In più occasioni ho avuto il presentimento che alcune delle sue pagine fossero state appositamente modificate, come se davvero credessero che modificare la realtà  potesse predispormi in un atteggiamento migliore nei loro confronti. Al ritorno in aereo credevo che nella notte stessa il sistema operativo realizzato da Jart Hussel fosse già  nelle mani del Cospiratore e la notizia di questo furto informatico su tutte le prime pagine di ogni giornale e rivista settimanale, dal momento che il suo rilascio ufficiale era atteso con ansia per alcune innovazioni che avrebbero, probabilmente, rivoluzionato l’utilizzo dei personal computer. Invece, a dispetto delle mia aspettative, mi ritrovo a leggere in prima pagina dei consigli proposti ai lettori per affrontare i problemi dovuti al caldo di questa insopportabile estate. Questa è indubbiamente una delle occasioni in cui mi sembra ovvio che il quotidiano sia stato alterato, ma anche un simile pensiero è per me ormai secondario. Ciò che realmente conta, forse per la prima volta nella mia vita, è l’azione.


Mentre mi alzo, sento ancora una volta quella stupida ragazza piangere e, se l’udito non ha già  deciso di tradirmi, battere i pugni a terra. Inizialmente avevo deciso di rivelarle alcuni trucchi che le sarebbero stati indispensabili in futuro, ma ho presto capito che non soltanto sono stati inutili per me stesso, ma avrebbero anche potuto tradire le mie reali intenzioni. Dissimulando l’interesse per la sventurata, esco finalmente e forse per l’ultima volta dall’abitazione che da troppi anni ha rappresentato per me un carcere. Osservandola da fuori, sembra una normale villetta da campagna, con la segreta caratteristica di possedere pareti completamente insonorizzate verso l’esterno ed un garage sotterraneo adibito a dormitorio o, come l’ho talvolta definito parlandone con Kylion, cella di isolamento e prigionia. Infatti non ha sbarre nere come in un vero penitenziario né una serratura ad impedirne l’apertura per il semplice motivo che nessuno avrebbe mai l’intenzione di fuggirne.


La giornata odierna è semplicemente fantastica. Nonostante da due settimana al telegiornale si susseguono inutili interviste di altrettanto inutili passanti, capaci solamente di lamentarsi dell’afa, in realtà  il caldo è attenuato da un vivace vento. Alcune nuvole minacciano di coprire il sole e di trasformare l’estate in un assaggio del prossimo autunno ormai non troppo distante, ma sinceramente anche senza il classico temporale estivo una salutare passeggiata nel pomeriggio è più gradevole di una dormita accompagnata dall’aria condizionata.


Quanti inutili pensieri, continuo a ripetere a me stesso o, più precisamente, a quel me così simile al resto dell’umanità . A volte mi immagino sposato con Iris, mentre guardiamo un vecchio film alla televisione prima di continuare la serata nella nostra camera da letto; mi vedo salutare ogni mattina il panettiere di fiducia e poi il mio datore di lavoro, in realtà  più interessato all’arrivo delle impiegate che di noi ragazzi. E la cosa peggiore di tutte è che in fondo una vita simile non mi sarebbe affatto dispiaciuta, perché anche io sono umano e avrei preferito la normalità  all’anormalità . Un solo dettaglio di questa mia vita immaginaria mi impedisce di continuare a nuotare in questo mare di fantasie, sogni e rimpianti: un bambino, identico a me o a Julie a seconda del suo sesso, chiamarmi papà .


Il Ponte alle Grazie si staglia infine davanti a me, ben diverso dal ponte del suo passato che era stato in grado di resistere a numerose piene dell’Arno, per poi cedere ogni resistenza di fronte all’aggressività  degli uomini e delle loro bombe. È sufficiente una passeggiata al mercato cittadino per sentire le poche persone che hanno vissuto la seconda guerra mondiale ricordare le profonde differenze rispetto alla nuova architettura del ponte. Come se il cemento armato potesse impedirmi di agire mentre le pietre mi avrebbero permesso di terminare la mia ultima missione.


Ripasso mentalmente il mio piano. Mi tufferò nel fiume lungo la quarta arcata del ponte, appena oltrepassata la metà : in questo modo per le mie guardie del corpo sarà  di gran lunga più difficile raggiungermi in tempo quando, sott’acqua, farò in modo di annegare nel minor tempo possibile, eventualmente lottando anche contro ogni tentativo di salvataggio. A seconda di come la situazione si evolverà  potrei poi mordermi la lingua o nuotare sempre più in basso, fino a toccare il letto del fiume.


Soltanto ora realizzo come, in fondo, non sia un’impresa fuori dalla mia portata porre termine a quest’inutile vita; i veri ostacoli sono piuttosto le conseguenza che il mio gesto potrebbero produrre nei confronti degli altri. Ma, come ho avuto modo di constatare in questi ultimi tremendi anni, spesso le minacce non si tramutano in realtà , quando la loro realizzazione potrebbe condurre solo ad effetti deleteri; nessuno, dunque, farà  del male a Julie sapendo che la sua morte non potrà  annullare la mia, mentre costringerà  il Cospiratore ad avvalersi di altre sue conoscenze per nascondere e coprire il misfatto. In fondo, superata la paura di agire, gli eventi di susseguiranno uno dietro l’altro, senza lasciarmi il tempo di ripensare alla mia decisione alla luce di nuovi rimpianti o paure. Senza dubbio sto per comportarmi egoisticamente, sia nei confronti di Julie, sia di quelli della ragazza appena arrivata, ma per una volta sola non mi sarà  concesso di pensare a me stesso e soltanto a me?


I piedi, quasi come se ormai si muovano di volontà  propria, mi hanno ormai quasi condotto a destinazione. Volgo lo sguardo a sinistra, poi a destra, dove noto una maggiore vicinanza del parapetto. Intorno a me ci sono poche persone, fortunatamente; al momento del mio tuffo è probabile che anche le poche che stanno ora attraversando il ponte sia già  sulla terraferma, con la mente rivolta ai propri cari che le aspettano ansiosi a casa. Mancano pochi secondi. Vedo l’acqua scorrere sotto di me e mi immagino già  circondato da essa, finalmente libero dalle catene. Tuttavia, in questo stesso istante di felicità , percepisco un profondo dolore alla schiena e un sapore aspro invade la mia bocca; un getto di sangue esce non appena fallisce il mio tentativo di tenerla chiusa e la vista mi si annebbia. L’acqua è lì, mi sta aspettando. Un ultimo sforzo sarebbe sufficiente a raggiungerla, ma non potrò mai compiere un balzo. Intuisco che un proiettile sia ancora dentro il mio corpo, segno di una mira precisissima, cosicché sia dato tempo sufficiente per soccorrermi.


Il mio piano cambia improvvisamente. Cerco di infilare le dita della mano sinistra all’interno della ferita con lo scopo di provocare una morte per dissanguamento, ma il mio corpo è trapassato da un altro proiettile, questa volta diretto alla mia spalla destra. Hanno intuito tutto, anche questo mio ultimo tentativo. Il silenziatore mi ha impedito di prevedere i colpi e mai avrei pensato che fossero disposti a ferirmi pur di evitare il peggio. La nebbia si fa sempre più fitta davanti a me, un fischio assordante sembra sul punto di spaccarmi i timpani mentre, per l’assenza del tatto, mi immagino di volteggiare felice tra le nuvole, dove avrei dovuto già  essere a quest’ora, a vedere un’umanità  corrotta e meschina distruggersi dal suo interno. Arriva infine il nulla a rasserenarmi e a cancellare la disperazione di un risveglio che avverrà  sicuramente. 



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Capitolo Terzo - Amore


 



Julie e Ronald passeggiano, mano nella mano, lungo il Tamigi. Un leggero venticello scompiglia alla ragazza i suoi capelli ricci, il cui colore rosso risplende luminosamente grazie al tiepido Sole autunnale. Si sono conosciuti soltanto alcuni mesi fa, eppure la data per il matrimonio è già  stata fissata ed i parenti della giovane sono in fibrillazione per l'evento, dal momento che hanno sempre temuto che non avrebbe mai trovato un degno consorte. Alla fine, invece, è comparso nella sua vita improvvisamente ed ella lo ha accettato stupendo tutti. L'amore spinge a scelte incomprensibili, in fondo, ma solo vivendolo ed accogliendo gli sbagli che ne possono conseguire è possibile maturare. Julie lo sa perfettamente. Sa che il suo sorriso ha da sempre fatto cadere ai suoi piedi qualsiasi ragazzo. Di uno solo, tuttavia, si è innamorata nell'intera sua vita. A lui ha giurato amore eterno e fedeltà  nelle gioie e nel dolore. Forse lo incontra anche nei sogni, perché l'inconscio è un'arma a doppio taglio; non appena si abbassa la guardia sul proprio autocontrollo, una fontana incontrollabile schizza fuori i segreti più profondi, lavando via la spessa protezione di menzogne e rivelando un'intimità  tanto temuta quanto radicata nel proprio Io.


Julie ha già  imparato a conoscere la Vita e ad odiarla. Stasera, in una delle sue ultime notti da nubile, riverserà  il suo dolore sulle lenzuola, troppe volte sfregiate da fiumi di lacrime e sangue. Il domani sarà  uguale, ne è sicura. Il suo mondo non può più essere questa Terra dove, abbandonata al suo destino, è costretta a proseguire il suo cammino lungo un sottile filo invisibile da equilibrista, non sospeso in mezzo all'aria ma appoggiato ad un pavimento di illusorie sicurezze.


 


«È... è colpa... mia... dimentica... dimenticati di...».


 


Ronald. Con lui non è stato amore a prima vista; il ragazzo è riuscito a conquistarla, evitando di spargere sale su cicatrici ancora aperte. Come se fosse una bambolina di seta, l'ha spinta con delicatezza ad allontanarsi dall'amara dolcezza della polvere di stelle cadenti, ammirate apaticamente ogni notte da una finestra dai vetri oscurati. Respirando l'aria del mondo, però, Julie ha di nuovo fallito nel percepire la purezza che dovrebbe trasparire da ogni angolo della natura circostante; sopra di sé non vede lo stesso cielo luminoso ammirato da tutta l'altra gente, ma solo una densa e claustrofobica cappa di nuvole grondanti lacrime di tristezza. L'aperto la intimorisce, infatti, a causa del ventaglio di infinite scelte ed opportunità  che si presentano di fronte a chi sogna di realizzarle.


Probabilmente per questo motivo accetta senza dispiacere di rincasare, quando un improvviso temporale si scatena con l'intenzione di rammentare a tutti che l'estate è ormai un lontano ricordo. Nel giro di pochi minuti, quasi all'improvviso, si ritrova nella sua camera, insieme a Ronald. Il ragazzo prova ad abbracciarla, evitando di mostrare un eccesso di spavalderia che potrebbe spaventarla e condurla nuovamente nel suo guscio. Dopo alcuni minuti un tuono fa tremare il letto; Julie si aspetta che l'abbraccio diventi a quel punto più intenso e forse, in un remoto anfratto del suo cuore, lo desidera. Tuttavia la stretta si allenta, benché il calore del corpo appoggiato sopra al suo aumenti la propria intensità . Non è la sola, in fondo, a provare un po' di sana ed infantile paura quando il cielo sembra volersi ribellare a coloro che vivono al di sotto. Almeno così ella pensa in quel fugace frangente.


La verità , nascosta nell'ombra e nel silenzio dell'intimità , è presto svelata dal chiarore soffuso di un lontano fulmine. Il seno di Julie è imbrattato dal sangue perso dal cadavere di Ronald. Spostandolo accanto a sé vede su ciascuna tempia i fori, rispettivamente d'entrata e di uscita, di un proiettile. Com'è possibile che nei minuti precedenti non se ne sia accorta? È mai possibile che inconsciamente avesse già  capito quel che era accaduto, fin dal rombo del tuono, ma avesse ancora provato a sopravvivere, prima di essere sopraffatta?


«Sono tornato, amore mio. Sei contenta?».


Dimenticare quella voce per lei è stato impossibile negli anni scorsi. Era certa che l'avrebbe di nuovo sentita, ma non credeva che il suo ritorno potesse avvenire così in fretta. Tenta di guardare per un'ultima volta il killer in volto, ma anche questo suo ultimo proposito fallisce. In fondo è contenta di non sapere se il viso dell'uomo sia illuminato da un sorriso o velato da lacrime quando, prima di sparare, pronuncia le ultime parole che lei possa sentire, prima del nulla: «Sei libera, ora. Almeno tu».


 


I primi segnali del freddo della vita iniziano a manifestarsi su di me. Avverto il soffice materasso su cui sono adagiato, l'ago infilato al mio braccio sinistro e un forte dolore intercostale. Le solite ombre di inestricabili fili ricominciano la loro lugubre danza nella mia visuale, non appena le palpebre riescono a sollevarsi quanto mi basta per studiare il luogo in cui mi trovo. Nonostante i miei nervi stiano ancora faticando a riprendere le loro attività  alla precedente perfezione, i muri intorno a me mi appaiono subito familiari. Non ho mai saputo distinguere le poche differenze fra la cella di prigionia di Los Angeles e quella di Parigi, ma solo quelle due sono anguste quanto questa e il terribile odore che percepisco può provenire soltanto da una discarica, vicino alla quale - se non addirittura sotto, per quel che mi è dato sapere - entrambi i nascondigli sono stati anni fa preparati. Le Ombre, infatti, non si fanno mai cogliere impreparate. Il loro motto è: Rispondere ad un'emergenza con un cataclisma. Di fronte all'ammutinamento di un loro gregario non si limitano ad arrestarlo, trattenerlo in isolamento o lasciarlo semplicemente morire. Dopo essersi invece insinuate in ogni aspetto della sua esistenza, la assimilano completamente, lasciando che egli divenga una membrana vuota, facilmente soggetta ad intimidazioni e ricatti.


La vendetta delle Ombre per il mio tentativo di suicidio è già  iniziata, ma dubito che si limitino a mostrarmi sogni confusi ed enigmatici. In passato hanno anche provato a trasmettermi alcuni falsi pensieri di Julie, ma la loro inattendibilità  era per me evidente, considerando che sono l'unico a conoscerla veramente, più di qualsiasi indagine che possa essere effettuata nei suoi riguardi. Il mio principale interrogativo, dunque, è rivolto agli strumenti che saranno adoperati per convincermi a collaborare nuovamente. Ormai ho preso, dopo tempo, una decisione ed intendo mantenerla irremovibile. Almeno questa dovrebbe essere la mia intenzione, perché in realtà  già  sono consapevole che in qualche modo, fra alcune settimane, sarò di nuovo su un aereo come emissario di quest'organizzazione, allontanarsi dalla quale è tanto difficile quanto lo è stringere rapporti di lavoro o puramente economici con essa. Non può rimanere tutto come prima, però. Qualcosa deve cambiare e farò in modo che ciò sia possibile.


Improvvisamente sento una porta aprirsi dietro alle mie spalle. A quanto pare sono continuamente monitorato e, non appena mi hanno visto riprendere conoscenza, hanno subito disposto le pedine sulla scacchiera. «La partita sta per iniziare, vero?» affermo sarcasticamente, per mostrare a me stesso quella parvenza di tenacia che sono in grado di esprimere soltanto con le parole e mai con i fatti reali. Subito mi pento dell'infelice scelta di aver parlato con tale foga, dal momento che la ferita che i proiettili mi hanno impartito mi spinge a vomitare un rigurgito di sangue di un colore più vicino al marrone che al rosso. Nel mio corpo, in questo momento, stanno circolando un'infinità  di medicinali e probabilmente di droghe, al punto tale che quasi inizio a pensare che sarebbe stato meglio evitare di togliermi la vita se questo è il supplizio che adesso devo sostenere. Tuttavia, mentre combatto contro un lancinante dolore alla spina dorsale, le parole che colpiscono con crudeltà  i miei timpani, non ancora riabituati alla voce umana, mi aprono una ferita ancor più profonda di quella che dovevo sopportare solo qualche seconda prima.


«Miles, smettila di proteggermi!»


Julie non riesce a proseguire il suo discorso, perché viene prontamente imbavagliata; senza alcun dubbio ha inoltre parlato più del dovuto, perché i suoni che sento successivamente sono chiari segnali di percosse. In questo momento qualsiasi dolore fisico io possa provare è inesistente. Mi strappo con foga l'ago della flebo, provo a saltare giù dal letto con un solo balzo, ma un capogiro mi stende inerme al pavimento; il mio stomaco inizia a ribollire, gonfio del sangue che anziché espellere dal mio corpo ingoio senza nemmeno percepirne il sapore aspro. In un solo istante questa stanza, la città  in cui mi trovo, il pianeta su cui ancora sono vivo si sono ristretti in una sola persona, in un'unica adorabile e sommessa voce. Hanno portato Julie qui per pugnalarmi alle spalle, dopo avermi mostrato per l'ennesima volta una sua apparente morte. Per un istante mi sembra di avvertire una presenza al mio fianco e un lieve pizzico al braccio sinistro, ma quel che è ancora sveglio dei miei sensi evita di prestarvi attenzione; benché quell'entità  che ho appena percepito possa essere la Morte stessa giunta a sentenziare il suo verdetto su di me oppure il bruciore al braccio sintomo di un imminente infarto, nulla di tutto ciò può turbare la mia mente. Julie è qui e posso finalmente salvarla, neanche i polipi che provano ad attanagliarsi ai miei occhi per togliermi la visuale possono offrire una resistenza adeguata contro la forza dell'amore. Il piano delle Ombre si è rivelato per loro una trappola, in qualche modo ruberò un coltello ed ucciderò tutti coloro che mi possano capitare a tiro, fino a quando io e lei saremo di nuovo soli. Faremo subito l'amore, anche in questa puzzolente stanza, se necessario, e poi finalmente partiremo, a dispetto delle ferite che queste mie azioni possano causarmi, delle infinite volte in cui dovrò morire e rinascere sotto i colpi di proiettile e di questo buio che rapidamente sta inghiottendo dapprima le sventurate ombre di cui condivide il colore nero e poi la mia coscienza.


 


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«Ti avverto subito che se proverai a muoverti senza il nostro permesso la uccideremo senza indugio. Lo sai che non ho intenzione di farlo, Miles, ma sei anche ben consapevole che non posso disobbedire ad un ordine del Cospiratore».


Questo secondo risveglio è fisicamente meno doloroso, forse grazie a massicce dosi di tranquillante nelle mie vene, ma psicologicamente distruttivo. Solo un imbecille avrebbe potuto pensare di salvare la propria ragazza nel covo di una banda criminale internazionale, per di più in condizioni fisiche pietose e con sensi mal funzionanti al punto da non percepire la presenza di un uomo con una siringa piena di sedativo in mano. Poche lacrime scendono dai miei occhi, prima che ogni mio sforzo sia profuso nel fermarle; non solo non mi è concesso di mostrare debolezza verso un mio superiore, ma voglio evitare qualsiasi minimo sforzo che possa compromettere il mio precario stato di salute. Hanno vinto, infatti; come quasi dieci anni fa hanno dimostrato di possedermi e di potermi muovere come una marionetta teatrale. Ognuno è condannato ad avere un tallone d'Achille esposto alle frecce nemiche e, per quanto si sforzi a proteggerlo dalla luce del Sole, non può nasconderlo a chi ama muoversi nell'oscurità .


Per alcuni minuti cerco di riorganizzare le idee prima di iniziare la conversazione con Kylton, intento nel frattempo a fumarsi la seconda sigaretta consecutiva. Al di là  delle apparenze, l'argomento di maggior urgenza non è rappresentato da Julie, poiché sono consapevole che il suo destino è indissolubilmente legato ad ogni mia scelta; di conseguenza ritengo prioritario informarmi su quanto accaduto dopo il mio tuffo nelle fredde acque dell'Arno. Se la mia intenzione non è di vincere la partita ma evitare almeno lo scacco matto, conoscere il proprio rivale garantisce una fonte ineguagliabile di armi di difesa.


Per queste ragioni le parole che questa volta pronuncio con la giusta calma non sono offensive come quelle che ho mio malgrado rivolto prima alla mia amata. «Sono conciato male, non è vero? Da quanto tempo sono immobilizzato come un cadavere su questo letto?» chiedo, distogliendo lo sguardo dal volto di Kylton per non osservare il suo consueto ghigno beffardo che potrebbe nuovamente farmi infuriare. La sua risposta arriva soltanto dopo aver gettato a terra la sigaretta ed aver tirato un lungo sospiro: «Sai, ragazzo, dovresti ritenerti fortunato. Il tuo gesto avrebbe potuto avere come conseguenza ben due cadaveri, non soltanto un corpo derelitto sdraiato in questo lurido posto. Ti sorvegliavamo dal tuo ritorno da New York, per vostra fortuna. Il resto è stata pura formalità Â». Anche in una simile situazione non esita ad erompere in una risata tanto irrefrenabile quanto immotivata; se le parti del corpo, oltre al cervello, fossero dotate di pensiero, sono sicuro che in questo stesso istante la mia mano destra avrebbe formalmente richiesto il permesso di stampare ben cinque dita sul volto del mio interlocutore.


«Scusami, ma il ricordo della tua ingenuità  mi suscita ilarità  ogni volta che mi tornano alla mente quei momenti» continua, poi, verosimilmente con la sua solita smorfia. «Davvero credevi ti poterci sfuggire? Credevo che la lezione che ti avevamo impartito poco dopo il tuo arruolamento ti fosse bastata. Capisco che ogni tanto tu possa desiderare un'esperienza più avventurosa di quelle a cui sei abituato, ma spero per voi che questa sia l'ultima volta. Il cecchino che ti ha sparato ci è molto fedele e lo dobbiamo al suo passato da terrorista, ma corrompere un chirurgo dell'Ospedale di Santa Maria Nuova per un intervento d'urgenza non è stato facile. Il suo scheletro nell'armadio, purtroppo, aveva già  perso molte delle sue ossa e siamo stati costretti a sostituirli con un po' di verde. Ma questa è davvero l'ultima volta che sborsiamo per voi, e puoi star ben certo che non te lo ripeterò più».


«Non ci troviamo a Firenze, però» lo interrompo prontamente, per evitare che il dialogo divenga un discorso a senso unico e monotematico. «Siamo a Los Angeles o a Parigi?»


«Il nostro supereroe crede dunque che dall'alto dei suoi poteri mentali possa volare da un continente all'altro con un polmone salvo per miracolo ed un intestino mezzo bucherellato? Dopo la prima operazione d'urgenza, ti abbiamo portato nella nostra clinica privata di Zurigo, dove sei rimasto per oltre due mesi, dopo un periodo iniziale in coma farmacologico. Solo quando sei uscito dal pericolo di vita abbiamo preferito trasferirti in un covo più sicuro e il più vicino possibile. Ovviamente la nostra scelta è ricaduta su Parigi. In Europa è forse la città  dove la nostra ragnatela ha attecchito meglio, come ben sai, e ogni nostra richiesta è sempre esaudita. Abbiamo adibito questo locale a sala d'ospedale e a turno due medici ti tengono sotto stretta sorveglianza. Ah, i vantaggi della nobiltà  acquistata con il sudore e non dai propri genitori!»


Mentre sono costretto a sorbirmi anche la risata che ne segue, i frammenti di questi ultimi mesi iniziano a riassestarsi nella cornice della mia mente. Ricordo ora di essermi risvegliato anche in qualche altra circostanza, senza essere stato in grado di mantenere un adeguato stato di lucidità ; di quei rari momenti la mia memoria conserva solo un'enorme sofferenza e la percezione di un innaturale oblio. Forse Kylton ha ragione: questa volta ho davvero esagerato, cercando di recidere la corda che mi lega a questo mondo. È probabile, d'altra parte, che io stia iniziando a pensare ciò per fornirmi delle ragioni necessarie a continuare a lavorare con le Ombre; in fondo, se la verità  sulla mia debolezza deve essere ingoiata, è preferibile farlo dopo averla indorata di una fallace convinzione. Lascio tuttavia spazio per un ultimo tentativo di intraprendenza chiedendo: «Potresti togliere il dissipatore? Vorrei sapere il resto di quel che hai da dirmi senza dover ascoltare ancora».


Kylton si alza dal letto, su cui è stato seduto fino a questo momento, per porsi ora di fronte a me, quasi come se intendesse mostrarmi che anche questo ultimo sforzo si è scontrato contro un muro troppo alto e spesso. «Negli ultimi giorni non ho avuto occasione di parlare molto, quindi rasserenati, per me non è affatto un problema. Anche perché, se il Cospiratore venisse a sapere di un mio atto di disobbedienza, saremmo in tre a rimpiangere questa scelta». Nel frattempo si accende la terza sigaretta ed inspira profondamente due volte il fumo prima di espellerlo dal corpo e di riprendere il discorso. «Ritornando ora al vero motivo per cui mi hai trovato qui, sono certo che ti stai chiedendo quali siano state le nostre ultime operazioni e, soprattutto, quali siano i progetti per il futuro».


Si dice di solito che il silenzio rappresenta l'assenso, ma il mio è in realtà  un segnale di disinteresse. Non è dello stesso parere, invece, il mio fidato compagno di missione, che si accinge a scendere nei dettagli di quanto appena accennato. «Ti ricordi la ragazza che hai conosciuto poco prima di voler fare il fenomeno? Si sta dimostrando un soggetto molto interessante. Addirittura credo che questo mestiere stia iniziando a piacerle sul serio. Il Cospiratore la considera già  il tuo ideale sostituto per le missioni di prelievo. Ma non disperare, qualcosa di ancor più meraviglioso ti attende».


Poco alla volta si avvicina sempre di più a me, fino ad inginocchiarsi e a sfiorare il mio orecchio sinistro con la sua bocca. A questo punto la sua possente voce si è trasformata in un sussurro, tanto debole quanto stupefacente è il messaggio che esso ha il compito di trasmettere. «I giornali che hai letto dopo il tuo colloquio con Jart Russel non sono stati manomessi. Non ci siamo mai impossessati del suo programmino. La nostra prima intenzione era di farlo a tempo debito, poco prima del suo rilascio ufficiale, in modo che la notizia risaltasse di più. Poi, però, sei entrato in azione tu e conosci bene il nostro motto, no?».


Rispondere ad un'emergenza con un cataclisma. È davvero possibile che il mio tentato suicidio possa aver spinto i vertici delle Ombre a cambiare strategia? Mi stanno forse tenendo nascosto qualche altro dettaglio? Oppure ho semplicemente dimenticato che ciò potrebbe facilmente rientrare nel loro modus operandi?


«Abbiamo così deciso di fare il primo passo dalle tenebre verso la luce. La nostra esistenza è stata a lungo tenuta segreta grazie all'involontaria collaborazione della CIA e le rendiamo grazie, ma adesso il suo aiuto non ci è più necessario». Poco prima delle parole successivamente pronunciate riesco a cogliere, per la prima volta oggi, il suo classico ghigno. «Il mondo ci ha atteso a lungo senza riuscire ad aprire la porta che potesse condurci a salvarlo. Alla fine l'abbiamo aperta noi e solo grazie a te, Miles. Il corpo delle Ombre ha compiuto i suoi primi passi da infante».


Senza quel dissipatore nell'orecchio di Kylton saprei già  tutto, invece sono costretto a sopportare il gelo che ora sta passando attraverso la mia schiena. Che cosa è effettivamente successo in questi ultimi mesi? E quali altre mosse il Cospiratore sta preparando? Di una sola cosa sono certo. Sono di nuovo dentro ed eviterò con cura di uscirne di nuovo, perché io posso soffrire ancora, ma lei ha il diritto di vivere. E di sposare Ronald, se esiste. 



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