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[Sokrates] Solo l'ennesima storia [1/x]


Sokrates

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Capitolo 1.

Solo l'ennesima giornata.

 

- "Benvenuto al centro commerciale di Azzurropoli, sono Leo, come posso aiutarla?"

 

Dieci anni.
Sono dieci anni che non faccio altro che ripetere questa frase.
Tutti i giorni. Centinaia di volte al giorno.
Escluso il Lunedì.


Sono stanco. Ho perso quasi ogni briciolo di umanità e voglia di fare.
Spesso, mentre sistemo gli strumenti sugli scaffali, mi fermo a guardare il vuoto. Mi fermo a guardare dentro di me.
Mi sento quasi un automa.

Pulisco, sistemo, parlo, torno a casa, mangio.

Sempre lo stesso schema. Sempre le stesse cose.
Un automa. Un programma che si ripete in maniera ciclica, senza grossi cambiamenti.
Le uniche cose a cambiare sono il tempo, le stagioni e gli allenatori che mi trovo a dover spicciare.
Certo, ho sempre il lunedì, il mio giorno libero, la mia ora d'aria.
Potrei usarlo in tanti modi.

Potrei andare a visitare le città limitrofe.
Potrei andare a giocare al Casinò.

Potrei uscire e conoscere qualcuno.
Potrei. Potrei, ma non voglio. Mi sento totalmente scarico e privo di forze. Passo l'intera giornata a casa, chiuso nella mia stanza. Finestra chiusa, luce spenta. Anche il sole mi infastidisce e mi ricorda quanto belle potrebbero essere le mie giornate, quante cose vorrei fare e invece non faccio.

Forse è questa la depressione. Essere prigionieri, senza avere sbarre che limitino i tuoi movimenti.

Ecco.
Il tragitto da casa al centro commerciale è già finito.
Al solito, non ho fatto altro che pensare a cose brutte.
Eppure mi ero ripromesso di non rinchiudermi nei meandri bui della mia ragione.
Anche oggi ho perso la possibilità di godermi questo cielo chiaro e questo bel sole primaverile.

 

Le porte automatiche si aprono.

 

Ciao Carla...

 

Saluto la ragazza della reception.
Forse il tono di voce che uso è influenzato dai pensieri tetri che fin poco fa m'impegnavano, perché Carla mi guarda dubbiosa.

 

- Leo... che c'è, oggi siamo un po' giù?

 

Mi sorride.
Abbozzo un sorriso e porto la mano sinistra dietro la nuca.

E' un gesto che faccio spesso quando sono in difficoltà o imbarazzo.

 

- Non è niente, ero solo un po' pensieroso.

 

Taglio corto. In questi casi odio parlare, odio dover dare spiegazioni, odio dover interagire con altri esseri umani.
Supero la reception. Incrocio un paio di colleghi. Si dovranno accontentare di un cenno del capo e di un mezzo sorriso come risposta ai loro saluti.
Entro nello spogliatoio. Apro l'armadietto e prendo la divisa da lavoro.
Faccio un respiro profondo e poi sbuffo, rassegnato. Mi siedo sulla panca e comincio a cambiarmi.
Speravo che i pensieri che mi hanno accompagnato lungo la via si fermassero fuori il centro commerciale. Ma a quanto pare le porte automatiche non sono a prova di brutti pensieri. Quindi me li ritrovo lì, seduti sulla panca in legno, accanto a me. Senza rendermene conto sono lì a fissare il vuoto, con una scarpa ancora in mano.

 

Questo lavoro non era quello che avrei voluto fare nella vita.
Fin da piccolo ho sempre sognato di viaggiare, di esplorare, di conoscere.
Il mio sogno nel cassetto era quello di girare ogni centimetro esistente del mondo e riprendere tutto con una videocamera.
Avrei voluto documentare qualsiasi posto, qualsiasi casa, pietra, pianta, pokémon e tipo di cibo esistente.
Tutto. Avrei voluto conoscere tutto.
Crescendo, però, ti rendi conto che il mondo è più grande di quanto t'immagini e che viaggiare è difficile.
Capisci che la conoscenza è immensa e nessuno potrebbe mai conoscere tutto di tutto.
Nonostante questo, non mi persi d'animo. Non subito, almeno.
A tredici anni presi coraggio e parlai con mio padre.
Ricordo ancora quel giovedì pomeriggio.
Papà lavorava ancora come elettricista qui ad Azzurropoli, quindi a pranzo tornava sempre a casa a mangiare.
Dopo pranzo, si sedeva sempre una decina di minuti sul divano per rilassarsi.
Mamma gli preparava un bel tè caldo, quando era inverno, e lui lo sorseggiava con molta calma, mentre guardava fuori o ascoltava un po' di musica alla radio.
Quel pomeriggio mi sedetti accanto a lui.

 

Papà...
 

Mio padre si voltò verso di me. Restò a guardarmi negli occhi qualche secondo, mentre sorseggiava il tè.
Dopo si alzò, lentamente, e andò verso la radio. Abbassò il volume e poi poggiò la tazza sul mobile.
Tornò a sedersi sul divano, accanto a me.

 

- Dimmi.

 

Aveva un sorriso e una luce negli occhi che credo di non avergli visto mai più.

Io... - abbassai lo sguardo e presi a mordicchiarmi le labbra; mi ero preparato un intero discorso, l'avevo ripetuto in testa tante volte e filava sempre, ma ora sembrava così stupido. - Io... volevo... volevo chiederti se... - presi a tormentarmi le mani - sai, vorrei girare e diventare un allenatore e quindi...

 

Mio padre continuava a sorridere. Non ho mai capito se fosse più per la gioia o perché divertito dal mio imbarazzo. Fatto sta che decise di venirmi incontro ed evitarmi ulteriore tormento alle mani e alle labbra.

 

- Va bene, puoi portare Nux con te... è un po' vecchio, ormai, ma con lui ho lottato tante volte e visitato tanti posti... di sicuro ti proteggerà come se fossi io a viaggiare con te.

 

- Da-davvero?! - senza rendermene conto avevo le lacrime agli occhi e un sorriso quasi da ebete, oserei dire.

 

Mio padre mi mise una mano tra i capelli, mi fece una carezza e poi me li scombinò, per prendermi in giro.

 

 

 

- Leo, ci sei?

 

La realtà squarcia nuovamente i vecchi pensieri e lo fa attraverso la voce di Carla.

 

- Credevo ti fossi perso! - eccola lì, sulla porta dello spogliatoio, che mi guarda con aria ironica.

 

- In effetti... - ridacchio - in un certo senso mi ero perso! - e ancora una volta la mano sinistra dietro la nuca.

Carla torna alla reception, io torno completamente alla realtà.
Mi finisco di vestire, mi alzo, lascio i miei pensieri nell'armadietto ed esco dallo spogliatoio.
Prendo l'ascensore e salgo al mio piano di competenza.
Nemmeno il tempo di mettermi dietro il bancone, che si avvicina un allenatore, un ragazzetto di circa 15 anni.

"Benvenuto al centro commerciale di Azzurropoli, sono Leo, come posso aiutarti?"

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