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[Vulpah] Memorie di una fenice assopita


Vulpah

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Ed ecco che tutto è finito.

Il palco è vuoto, orfano dei suoi spettacoli. Terribilmente muto. Riecheggia solo un suono nell'aria, monotono e ripetitivo. Le setole della scopa accarezzano dolcemente le tavole in legno. Scricchiolando, rievocano alla mente dolci ricordi, voci soppresse dall'inesorabile uragano del destino, che silenziosamente hanno fatto la storia di quel teatro. Le colonne che adornano le platee si erigono maestosamente, rivestite di una bellezza senza tempo, incompleta. Pare quasi che intonano inni di nostalgia, l'oro dei bassorilievi va via via a scomporsi, arrugginirsi, sfiorirsi, come se a fine spettacolo, l'intero teatro si ritrovasse in un sonno eterno. Un'ometto vestito da capo con una tuta di flanella corruga affannosamente la fronte, costernata da rughe ormai da una ventina d'anni. Socchiude gli occhi, e sorride. Adora quei momenti magici, quando l'anfiteatro è solo per lui. Passeggia spensierato tra le file di poltrone in velluto rosso, le accarezza dolcemente con la sua mano, tremante dall'emozione. Un brivido gli trapassa la schiena, talmente velocemente che non ha nemmeno il tempo di pensare. Per un instante, perde la coscienza. E da li a poco si ritrova in una sorta di trance, viaggia con la sua mente, rompendo gli schemi della realtà , spalancando le porte dell'immaginazione. Ed ecco che quel sipario si apre un'ultima volta. La platea è ancora la, in sussulto. Gli occhi brillano di meraviglia, alcuni piangono, altri ridono innocentemente con lo stesso candore di quello di un bambino, ogni emozione è dedita a trascinarsi in un impetuoso spiraglio di piacevoli avvenimenti. La voce penetrante degli attori rimbomba in ogni dove, come una pallina da tennis senza rete. Rimbalza ossessivamente sui muri, come se fosse in cerca di un'ostacolo da infrangere. Vuole spingersi oltre le porte della sala, vuole arrivare anche ai cuori irraggiungibili.

Il custode sistema accuratamente il cappello sul capo, alza gli occhi al cielo, e gettando mestamente lo sguardo al sontuoso lampadario di cristallo a pochi centimetri dal suo naso, sospira pesantemente. Allunga il manico della scopa verso una vecchia ragnatela dimenticata agli angoli della memoria, e l'arrotola sulla punta.

Ogni cosa è seppellita, dimenticata dal resto del mondo, qui.

Chissà  se la fenice si sarebbe risvegliata, per incantarci con i suoi spettacoli...

Ancora per un'ultimo inchino...

Piccolo racconto a focalizzazione esterna :D

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Mi ricorda molto "Il fantasma dell'opera". *w*

Solo una piccola divergenza:

rivestite di una bellezza senza tempo, ma incompleta.

Secondo me un Seppure al posto della virgola e del ma dava meno pesantezza alla pronuncia e la rendeva più scorrevole; comunque è una questione di gusti. ^^

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