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[Saturn] Express Company ~ L'alba di un nuovo male


Guest Gingaehlf

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targhetta da Noel Furokawa

 

 

 

Dopo il fallimento della mia prima ff, ho deciso di riprovare l'ultima volta, affrontando nuovi temi, ed usando un titolo decisamente più invitante. Spero che questa volta venga apprezzata, perchè ci spero molto.
Detto ciò, preparatevi a Express Company - L'alba di un nuovo male !
Qui i commenti: http://www.pokemonmillennium.net/forum/topic/53653-saturn-express-company-lalba-di-un-nuovo-male/

Ep. 1 "PILOT"

"il sole non tramonta mai ad est..."



~adesso~
I fascicoli disposti sulla scrivania, a pila, ondeggiavano sospinti dal vento. La finestra spalancata scompigliava quell'ufficio, facendo svolazzare le varie carte disposte ordinatamente lungo la mobilia in mogano. Gli scuri accompagnavano quella mattina fracassandosi contro le mura esterne.
-Signora! Ha dimenticato di fissare gli scuri!
Le urlò un uomo, in giacca e cravatta, mentre seguiva il rumore dell'aspirapolvere. La vide intenta a spolverare una libreria, in salotto. Il suo viso, chiaramente irritato, ispezionava nervoso le ampie camere della tenuta, nella speranza di raggiungere la signora.
-Cosa fa? Le ho detto che il salotto non deve essere toccato! La smetta!
-Cosa? Mi scusi ma non la sento. Ah, emolga, spolvera meglio la finestra. Come diceva, lei?
La signora intervallava ogni parola da uno sbuffo, in modo da controllare quel ciuffo biondo che sporgeva ribelle dalla sua bandana. Inavvertitamente diede uno scossone alla libreria, che prese a fare strani rumori. Cominciò a ruotare su se stessa, rivelando una lunga scalinata. La signora strabuzzò gli occhi.
~ore dopo~
-Si è svegliata?
-Sì. E non si ricorda niente.
Rispose l'uomo di prima, al suo capo. Un capo alto, dai capelli bruno scuro, portati abbastanza folti, ma curati e ordinati. Due occhi blu profondo, l'essenza del mare. La pelle chiara, di un ambra velato. Il suo viso rilassato, liscio, non lasciava trasparire nulla.
-Per poco non ci scopriva. L'hai sistemata?
-Cambiato passaporto, nome, e cancellato i ricordi. Adesso si trova in viaggio per Fiore, dove la aspetta un nostro amico.
-Bene, Tony. Penso che dopo aver provato 23 domestiche, sia venuta l'ora di fare le pulizie da noi, non credi?
-Sì, capo. Ora la lascio solo. Abbiamo avuto dei problemi con la polizia lungo il versante est del Monte Corona. Vado sistemare la faccenda.
L'uomo chiuse la porta, ed uscì dalla tenuta con una certa fretta. L'altro uomo, invece, si mise a sistemare la stanza, riordinando i fascicoli secondo anno. Mano a mano che sistemava, osservando i vari souvenir delle città , gli venivano in mente tutti quei ricordi, a cui era legato. Alzò lo sguardo, alla libreria, quando squillò un telefono.
-Pronto?
Dopo qualche secondo scese in salotto. Azionò il passaggio segreto, e si ritrovò dopo qualche rampa di scale in una grande stanza, costellata da computer all'avanguardia. Un uomo stava controllando lo schermo principale, che raffigurava Sinnoh. Accanto un liepard scrutava annoiato il soffitto, facendo dondolare lo sguardo lungo le quattro bianche pareti.
-Ho saputo che al Monte Corona abbiamo avuto dei problemi.
-Sì, capo. Ma ci sono delle questioni più urgenti da sbrigare. Riguardano il Team Rocket...

~20 anni prima~
-Ca..capo, l'allenatore è arrivato.
Un uomo, di circa quarant'anni fece qualche giro sulla sedia, accarezzando dolcemente il suo persian. Con uno sguardo soddisfatto scrutava il ragazzino di fronte, che tremava ad ogni suo movimento delle pupille. Con la mano lo cacciò, e mosse la testa sussultoriamente, a segno di approvazione.
-Puoi andare.
Si alzò, lasciando vagare libero il suo pokemon, libero dal giogo delle sue braccia, inarcuate, quasi a formare una gabbia.
-Il momento è arrivato.
Sghignazzò, per dei secondi che parvero un infinità , osservando dall'alto la città  di Zafferanopoli, brulicare di vita, con due occhi che risplendevano di vittoria, di presunzione. La fine sopraggiungeva, inevitabile. Rosso era lì. Per sconfiggere il Team Rocket.
-Vieni, persian. Incontriamo il nostro ospite.
Scese qualche piano, osservando come tutti i suoi agenti tremavano, all'idea. L'idea di perdere. Ma d'altronde, se qualcosa inizia, dovrà  pur finire. Il suo portamento alto, sicuro, indicava la sua supremazia su tutto, sul futuro, sulla vita, sulla morte. Una sensazione di vittoria pervadeva il suo corpo, respirava potere, sentiva il suo cuore pompare oro, scintillante come la vittoria, il potere.
Il generale Fear lo aspettava, nella sala di comando.
-Il ragazzo è arrivato. Chiede di lei.
-Lo so. E lo verrò ad accogliere nel migliore dei modi. Si prepari alla fine.
-Cosa?
-La fine.
Un incrocio di sguardi, l'ultimo. Due occhi penetranti, come quelli di Giovanni, avrebbero rassegnato chiunque. Un così potente magnetismo, potenza, imperialità , in un normalissimo mogano scuro. Perfido, ma sicuro. Il generale Fear sentì un brivido, percorrergli la schiena, un presagio, forse. La paura. Non era altro che paura, dal braccio destro di Giovanni. Perché, senza il capo, tutto sarebbe crollato. Fino a un nuovo capo, comunque.
-Ma... Giovanni... Lei non può perdere! Il Team Rocket non può perdere!
-Si vince e si perde, caro il mio generale. Adesso noi perderemo. Ma si ricordi una cosa: il sole non tramonta mai ad est...
-Non la seguo...
-Addio, generale Fear, è stato un piacere conoscerla.
Giovanni uscì, pronto ad incontrare la sua fine. Due occhi fulminanti, che parevano un laser, ad ogni incrocio di sguardi. Era sicuro, terribilmente sicuro.
Fear chiamò due agenti, e con loro percorse per l'ultima volta quell'edificio, quell'intricato dedalo di corridoi, scale, intriso di rabbia, odio, ma anche di un senso di orgoglio, di un senso per il dovere. La fine era vicina, ma quella fine, quella, fu presa quasi come una chance, un'opportunità  per ricominciare. Al meglio.
-Ma... Generale, il capo ha detto...
-So cos'ha detto. Seguitemi senza discutere. Solo uno sciocco andrebbe incontro alla sua fine così, senza far niente. Ma io farò qualcosa.
-Cosa? Senza il ca...
-Non nominarlo più. Giovanni non è uno sciocco. Sa a cosa andrà  in contro.
Entrarono in una stanza, la stanza del tesoro. Sugli scaffali le pokeball rubate a tutti gli allenatori di, giacevano impolverate. Un grande schermo controllava l'intero edificio, centrato in due grandi box che lampeggiavano ad intermittenza.
-Cosa vuole fare?
Gli occhi di Fear brillavano, di speranza. Una speranza, sicura di un futuro radioso, una scalata verso la vittoria. Si sentì vivo, libero dal giogo di Giovanni.
-Non lo capisci?

~adesso~
L'uomo, dopo aver riordinato il suo ufficio, si mise a contemplare le stelle. Un velo blu scuro, trapuntato di luce, faceva da sfondo ad un mare blu ciano. La luna, così vicina all'orizzonte che si rifletteva come una perla. L'aria fredda, invernale, racimolava le poche foglie che ricoprivano la strada, in un continuo sbriciolio.
-Vieni, la riunione è cominciata.
Una voce ruppe quella calma, quella placida serata. Come un campanello d'allarme lo risvegliò da una catalessi. Quel paesaggio marino lo aveva stregato, lo aveva rapito, attraverso le profondità  di quel blu, di quel blu oceano.
-Arrivo...
Gli rispose, annoiato, sbattendo le palpebre ad intermittenza. Percorse oziosamente quel tratto, che lo separava dalla sala, costruendo teorie su teorie sulla possibile ragione della riunione. Un'ampia tavolata, alla quale sedevano 13 uomini lo aspettava.
-Come sapete, il Team Rocket cadde 20 anni fa, a Kanto. E noi, la Express Company, siamo nati dalle sue ceneri.
L'uomo più anziano, a capo tavola, lo invitò a sedersi con un breve cenno di mano.
-Sei arrivato, Alfredo. Cosa dovevi fare?
Gli chiese, con toni soffocati, bisbigliando. Gli allungò una sedia in legno che faceva angolo a chiudere la porta. Si sedette e gli rispose.
-Niente di importante. Continua pure.
L'uomo anziano riprese a parlare. Sparpagliò sulla tavolata dei fascicoli, contrassegnati da un marchio violaceo. Gli altri presero a leggere, contraendo il viso a preoccupazione. Alcuni strabuzzavano gli occhi, altri non osavano leggere.
-Come sapete, abbiamo mandato una squadra in ricognizione al Pozzo Slowpoke. Ecco, vi ho detto che sono tornati, ma non è così. Non sono più tornati, e non rispondono ai nostri segnali. Ho paura che...
La gente prese a mormorare, impaurita. Aveva paura che lo dicesse.
-...il Team Rocket si sia risvegliato.
-Cosa? Come? Non è possibile!
Si udivano voci contrastanti, all'interno della sala. La gente tremava, al solo pensiero. Si guardava attorno, cercava conforto nel presente.
-Ma non è tutto. Dopo lunghi anni di carriera, è venuto il momento di rassegnare le mie dimissioni. D'altronde, ne è passato di tempo, da quando creai la Express. Per cui, affiderò a mio figlio, Afredo Fear, il comando.
Alfredo si alzò in piedi, incredulo. Scrutava il padre, a chiedergli il perché.
-Ehmm... Ecco...
-Ho riflettuto molto, e penso che sia venuta l'ora di smettere. I Fear, da anni lavorano in questo campo, e penso che sia venuta l'ora di passare il testimone.
-Ma... Padre...
-Così ho deciso. Risiediti. Prima di morire, voglio vedere la Express Company sana e salva, lontano da pericoli. Perciò ho deciso che ci sarà  bisogno di tutto l'aiuto possibile. Servirà  chiamare gli altri miei due figli, Salvatore e Bianca.
-Cosa? Sai che non verranno mai!
Gli rispose Alfredo, ovvio. Prese a gesticolare con le mani, innervosito. Suo padre lo fulminò con lo sguardo, e riprese a parlare, in toni scocciati.
-Dovranno.
-Mi scusi, generale Fear...
-Sì, Morenight. Qualche problema?
-Abbiamo già  un piano, ho qualcosa del genere?
-Ci ho pensato.
Il generale Fear si alzò, e si diresse verso lo schermo principale. Con l'aiuto di un ragazzo, lo accese, ed indicò le varie mosse.
-Manderò due squadre scelte fuori dalla regione. Stardust qua, a Johto, e lei, Morenight, a Hoenn. Nessuno ci dovrà  ostacolare.
Si risedette, e sciolse la riunione, con una certa frettolosità , quasi cacciando gli ospiti. Tenne i due generali, a cui finì il discorso.
-Ho voluto lasciare voi due, Morenight e Stardust, per finire quello che cominciai, pochi minuti fa. Non vi ho detto tutto.
-Cosa? Cosa dovrebbe esserci, ancora?
Esclamò Morenight, sorpreso. Strinse forte il fascicolo consegnatogli prima, a trovare conforto. Ma quello che seguì, fu di tutt'altro aiuto.
-Vedete, riguarda Rosso, e quello che successe 20 anni fa. A voi due, consegnerò metà  delle informazioni, metà  ciascuno, che ho scoperto. Ma le potrete aprire solamente una volta arrivati, e nessuno dei due dovrà  conoscere l'altra parte. Ad esse, allegate, troverete due pezzi in ferro battuto, a formare una chiave. La chiave di tutto. Nascondetele, non dovrete consegnarle a nessuno.
Più andava avanti, più i due generali si impaurivano e capivano che nelle loro mani, era consegnato un enorme potere. I loro visi si contrassero, risultando più vecchi di quanto non fossero già , evidenziando lo stato di timore.
-Ci stai dicendo addio?
Gli chiese calmo Stardust, intuendo la risposta.
-Sì

~20 anni prima~
-Capo... L'elicottero è pronto. Lo abbiamo sistemato sulla sommità  del terrazzo.
-Bene... Mettilo in moto. Tra poco partiamo. Ho un'ultima faccenda da sbrigare.
Giovanni scese, lungo l'edifico del Team Rocket, fino alla sala del tesoro. Vide gli scaffali rovesciati, svuotati dal contenuto. Tutti i fili erano tagliati.
-Bene... Il generale Fear è stato alquanto furbo...
Si guardò attorno, ed estrasse una sveglia dalla tasca. La programmò per 20 anni, e la appoggiò su di uno scaffale. A passi stentati, pesanti, si avvicinò alla finestra. Prese a sghignazzare, osservando soddisfatto la polizia, che aveva accerchiato l'edifico. Squadroni di uomini si apprestavano ad irrompere, sicuri di sgominare il Team Rocket.
-Illusi. Credono davvero di poter sconfiggermi? Quando questa sveglia suonerà , mi ridesterò alla vita, pronto a conoscere un futuro senza fine!
Brillava di vittoria. Quella che per tutti era la fine, per lui non era che l'inizio, un nuovo inizio.
Se ne uscì, e con l'elicottero partì via, verso l'orizzonte, mentre l'edifico del Team Rocket veniva divorato dalle fiamme.

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Guest Gingaehlf

Ep. 2 "IL MERCENARIO"

 

"Una domanda. Perché mi avete scelto?" "Me lo dica lei. Cosa fanno i mercenari?"


"Noi... Noi vendiamo la vita"

~adesso~
-Alfredo...
Il tepore del camino riscaldava quella notte, come poteva, liberando volubili scintille, come perle, leggere nell'aria. Alfredo esitò, prima di ritirarsi a letto. Suo padre, il generale Fear, sedeva in parte al camino, stanco. Le sue palpebre pesanti incombevano, su di un viso anziano e consumato.
-Sì, padre?
-Tanti anni fa, assoldai un mercenario. Purtroppo, in questi anni, non ebbi l’occasione di saldare il mio debito con lui. Ti chiedo di portare questo ciondolo, fino al Maniero Blu, perché lui possa riceverlo.
Estrasse una goccia di cristallo, da un piccolo portagioie intagliato, posto sul camino. Con due brevi movimenti lacerò il cordoncino in caucciù, e lo porse ad Alfredo. In seguito gli indicò un cassetto, da cui estrasse una mappa.
-Questa mappa... Questa mappa mi porterà  dal mercenario?
-Sì.

~21 anni prima~
-Generale Fear. Deve sbrigare un lavoro.
-Sì, Giovanni.
Giovanni aprì le persiane, liberando una cascata di luce, bagliori scintillanti che illuminarono la sala. Persian si nascose da quella vista, troppo luminosa, fra le gambe di Fear. Giovanni lo richiamò, agitando il polso, ma non ottenne risultato.
-Deve chiamare un mercenario, ho un lavoretto per lui.
-Riguarda Rosso?
-Esatto. Voglio eliminare il problema. Ma non voglio un mercenario a caso, voglio il migliore. Si diriga a Sinnoh, al Maniero Blu. Lo troverà  là , sempre se che non sia lui a trovarla prima...
-Avrò bisogno...
-So io di cosa avrà  bisogno. Troverà  tutto giù, al garage. La aspetto.

~adesso~
-Ehi, Afredo, tuo padre mi ha detto di consegnarti questa jeep.
-Bene, Tony. Tornerò domani, penso.
Con un forte rombo al seguito uscì, e si diresse levando un polverone verso il traghetto Area Svago-Arenipoli. Dalla sua decappottabile poteva ammirare il mare, in tutta la sua perfezione, accerchiarlo con i suoi caldi bracci, increspature di luce.
Dopo circa 3 ore arrivò ad Arenipoli, da lì prese la prima per Evopoli.
Un continuo avvicendarsi di boschi verde smeraldo, e di aguzze cime che correvano frastagliate lungo l'orizzonte, come fendenti dell'aria. Un borgo richiuso fra i boschi, una perla medievale incastonata nel Bosco Evopoli, la quale bellezza rimane congelata nel tempo. Evopoli.
In città  non conoscevano minimamente il Maniero Blu. A qualsiasi persona avesse chiesto, la risposta era la medesima. Pareva un fantasma. Dopo ore, a trascinarsi per le vuote vie di quella città , Alfredo si rintanò in un bar, al riparo da una flebile sensazione di gelo, che lo accompagnava dall’arrivo.
-Non l'ho mai visto da queste parti. Lei è straniero?
-Vengo dall'Area Svago. Sono qui...per lavoro, diciamo. Cerco una persona
-E chi cerca?
-Un... Un amico di famiglia. Dovrebbe vivere in un luogo, che sembra non esistere.
-E come si chiama questo luogo?
-Ma... Maniero Blu.
Alfredo non era sicuro di divulgare questa informazione, ma gli sembrava l'unico modo per trovarlo. La barista non gli fu di nessun aiuto. Dopo una lunga passeggiata per il centro, si diresse verso la macchina.
Fece per avvicinarsi alla portiera, quando un'ombra gli piombò davanti. Un lungo mantello nero, copriva dolcemente le spalle, fino a scendere lungo le ginocchia. Capelli corti, brizzolati, abbinati a due occhi azzurro ghiaccio. Uno sguardo giovane, anacronismo in un viso anziano, esaltazione di una forza inesaurita.
-Stai cercando qualcuno?
-S...sì. Ma non l'ho trovato. Mi faccia passare.
-Che genere di amico di famiglia?
-Non le interessa.
-Sei venuto a saldare il debito di tuo padre? Son passati tanti anni, non ci speravo più.
Il viso di Alfredo mutò. Uno sguardo impaurito, stranito, sbalordito, intagliava il suo viso. Sgranò gli occhi, a stupore, e per un attimo non trovò le parole. Senza fiato.
-Co...come fa a...
-Buongiorno, mi chiamo Friedrich Soeldlinge, e sono il mercenario che stava cerando.

~21 anni prima~
-Generale, il capo le ha preparato un charizard, e un blastoise. La sua jeep la aspetta fuori.
Il generale Fear si mise in macchina, e partì, verso Aranciopoli. La brezza gli accarezzava il viso, scompigliando la sua curata barba. La strada deserta, un sopraggiungersi ordinato di filari arborei, che costeggiavano la strada inquadrando il panorama all'interno di un trapezio immaginario che culminava nel cielo.
Si fermò per un pieno, ma vide che la stazione era deserta. Nulla di strano. O forse qualcosa. Quando vide una sagoma dimenarsi, dentro il bar, si insospettì, ed irruppe con forza al suo interno. Tre uomini, legati, giacevano dietro il bancone. Una mano, da dietro, cogliendolo di sorpresa gli chiuse la bocca, e con l'altra gli iniettò un siero.
Il generale si risvegliò fuori, appoggiato al muretto. Un uomo lo scrutava dubbioso, affilando un pugnale. Il suo ginocchio destro si agitava come un trapano, flesso, appoggiato sopra uno scatolone in legno.
-Lei...
Fece il generale, a palpebre dischiuse ed aria stanca. Il suo capo ciondolava a destra e sinistra, ancora sotto l'effetto del sonnifero.
-Ho sentito che il Team Rocket sta cercando qualcuno.
-Non qualcuno. Un uomo.
-Un mercenario eh? E siete sicuri che lui voglia accettare?
Scrutò il generale dubbioso, mentre pensava a Giovanni. Indeciso se accettare l’offerta, o dileguarsi. Ma la curiosità  prese il sopravvento.
-Giovanni sa essere molto convincente...
-Molto bene. Mi conduca da Giovanni. Ha appena trovato il suo mercenario.

~adesso~
-E così, il Generale Alexander Fear ha deciso che è il momento per saldare il suo debito...
Fece l'uomo, attizzando il fuoco con brevi movimenti meccanici. Lanciò la diavolina, e si sedette, a cavalcioni di un morbido cuscino scarlatto. Rigirò fra le mani quello strano ciondolo.
-Come vi siete conosciuti?
-È una lunga storia. Diciamo che... Il Team Rocket ha fatto da tramite.
-E vi siete rincontrati, dopo?
-Cosa ti ha detto, tuo padre?
-Che...
Scavò nella memoria, provando ad inscenare quell'immagine in testa. Effettivamente suo padre non gli aveva detto niente, riguardo quell'uomo. Azzardò un'ipotesi.
-...che vi siete incontrati una volta.
-Bene.
Friedrich scrutò l'orizzonte, il sole che tramontava dietro una coltre di fitta boscaglia, e le nuvole tinte di rosso. Accompagnò ogni suo movimento da un breve sospiro, e si avvicinò alla finestra.
-Non penso sia tutto qui.
-Pensa male.
-Qualcosa mi dice che tuo padre ha bisogno di me. Ancora.
-Magari ti sba...
-Io non sbaglio mai. La volta in cui sbaglierò, beh, nessuno potrà  rinfacciarmelo, perché sarò morto. Quindi, c'è qualcosa sotto.
-Il Team Rocket. Si sta risvegliando.
Alfredo si buttò sul vetro, a pugno chiusi, fissando il vuoto. Cercava di evitare il sole, con lo sguardo, socchiudendo le palpebre, e ruotando il capo verso l'interno. Riflesse, per la prima volta, sul suo ruolo. Da ieri, la sua vita era cambiata. Il suo ruolo passivo, di aiuto esterno, diventava centrale. Diventava il capo della Express Company.
-E così, il generale Fear è riuscito a formare un nuovo team. Di cosa vi occupate,  legalmente intendo.
-Import-export. Questo ci aiuta molto con i traffici di pokemon.
-Il male ha sempre attratto di più, tuo padre.
-Lo conosci bene?
-Ho avuto modo di conoscerlo bene. Si sta facendo tardi, meglio che ci incamminiamo.
-Ci?
Alfredo si sbilanciò indietro, liberando il vetro da quel pesante fardello. Fissò Friedrich con aria interrogativa, mentre sistemava uno scaffale della libreria.
-Mi annoio, qua ad Evopoli. Mi manca l'azione.

~21 anni prima~
Giovanni tamburellava la sua penna a sfera contro la scrivania, mentre scrutava il mercenario. Persian sgattaiolava lungo le pareti, fuggevole come la notte.
-Ti trovo bene…
Giovanni ruotò sulla sedia. Scrutava Friedrich dubbioso, dall’alto al basso, chiedendosi quale ruolo avrebbe potuto avere lui nella vicenda. Lui sapeva. Era un “Edgeâ€.
-Cosa vuoi? Non…
-No. Il tuo ruolo sarà  diverso. Giù, all'entrata, il generale Fear ti informerà  sulle tue mansioni, e ti consegnerà  un fascicolo su cui lavorare.
-Cosa? Io pensavo...
-Pensavi. Appunto. Vedi, il tuo problema è che pensi. Non devi pensare, devi obbedire.
-Non è questo che fa un mercenario.
Giovanni presse un pulsante, al di sotto della scrivania. La porta si aprì, scorrendo lungo due sottili interstizi. Il mercenario si alzò, fissando Giovanni innervosito. Gli porse la mano, quasi a dire "Addio", ma Giovanni scosse la testa, sorridendo maliziosamente.
-Prego, vai pure. Ah, un’ultima cosa. come ti senti ad essere un “Edgeâ€?
Givanni gli scoccò un’occhiata sicura, in attesa di una risposta.
Il mercenario sorrise, e rivolse il capo alla porta.
-Come trent’anni fa.
Scese, fino al piano terra. Appoggiato alle porte scorrevoli, Fear lo aspettava. Stava fumando una sigaretta, fissando il vuoto con aria fuggevole. La sua testa ciondolava stanca, seguendo l'asse del sole.
-Sono arrivato.
-Bene. Le faccio strada.
-Una domanda. Perché mi avete scelto?
-Me lo dica lei. Cosa fanno i mercenari?
-Noi... Noi vendiamo la vita.
Lesse il nome sul fascicolo, con un occhiata veloce.
Finì il mercenario, fissando il tramonto. Percorsero quel lungo filare di alberi, che culminava sulla piazza principale di Celestopoli. Salì in macchina, e Fear gli consegnò un fascicolo, riguardo al suo lavoro. Il mercenario sgommò via, lasciando dietro di sè polvere e ciottoli.
-Rosso eh? Non lo dimenticherò.

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Guest Gingaehlf

Ep. 3 "LA CITTÀ DELLE STELLE"


Il nome non è altro che un'etichetta identificativa... Nomi dal significato tanto ipocrita quanto imperiale."

 


~adesso~


Un'altra notte passata. Un'altra notte, pesante, come il fardello che si portava appresso. Una responsabilità  troppo grande. Il potere.


Risvegliatosi, Alfredo uscì, per una passeggiata. La mattina, le fronde degli alberi ancora fredde dalla notte, quasi congelate, ricoprivano inermi un'ampi distesa. Il sole filtrava a fatica, attraverso quegli stretti passaggi, un serpeggiare di ostacoli, duri ostacoli per la luce.


Il telefono prese a squillare. Una volta vista l'utenza, rimase immobile, a pensare. A pensare se rispondere, o se lasciar correre.


-Pronto?


Rivolse lo sguardo dietro, verso la tenuta. Prese a tamburellare con il piede.


-Sì, manderemo uno dei nostri.


Rientrò, evitando gli sguardi dei presenti. Friedrich stava accarezzando liepard, con brevi e continui movimenti dell'avambraccio. Tony si versava un alcolico, al bar. Salì, per tre lunghi piani, e si ritrovò nella stanza di suo padre.


-Padre...


Alexander era intento ad un solitario, quando una voce ruppe quella pace. Si girò, meccanicamente, rivolgendo uno sguardo curioso a suo figlio.


-Sì, Alfredo?


-Hanno chiamato da Austropoli. Gli scavi.


-Bene, bene. Penso che sia un'ottima occasione per inaugurare la nuova direzione della Express! Non trovi?


-S...sì. Allora parto.


 


~10 anni prima~


 -Fratellone, guarda! Bianca ci ha scritto una lettera!


-Cosa?


-Adesso la apro...


Alfredo stava preparando un caffè mentre suo fratello Salvatore controllava la posta. La prima lettera aperta, nascosta fra una boscaglia di fattura e bollette, era la sua. Bianca.


-Cosa scrive?


-Poche righe. Ci sono delle foto, della palestra, della sua casa...


-Sono ormai due mesi, da quando è diventata capopalestra di Nevepoli.


-Chissà  che figata. Gli allenatori, per entrare alla Lega, devono obbligatoriamente sconfiggerla...


Alfredo lanciò un'occhiata all'orologio, e dopo aver capito il ritardo, si fiondò verso la porta. Si appoggiò la giacca sulle spalle, in modo sommario, mentre finiva di bere il caffè.


-Dove vai, così in fretta?


-Ho un appuntamento, con Clara.


-Wow, Clara. Quella che hai incontrato tipo due giorni fa?


-Sbaglio o noto leggeri toni di invidia nella tua voce?


-Và , và , che arrivi tardi.


Uscì velocemente dal giardino, annaspando passi a caso, nel tentativo di sistemarsi le maniche della camicia. Percorse Via della Moda più veloce possibile, per quanto si possa camminare veloci imbottigliati come si è ad Austropoli. Dopo essersi scontrato contro una moltitudine di passanti, con relativi improperi, raggiunse il Centro Pokemon, dove lo aspettava Clara.


 


~adesso~


Alfredo percorreva meccanicamente quelle strade, diretto all'Ufficio Pro Loco. Al quindicesimo piano, adibito ai permessi provinciali, una fitta accozzaglia di turisti si ammassavano con cattiveria, in una corsa a chi agguantava per primo il permesso per visitare il Deserto della Quiete. Una ragazza aspettava al lato, appoggiata ad un muretto. In parte il cestino, che faceva ruotare con i suoi stivali da cowboy.


Dei capelli castani, che scendevano mossi fino al petto, con un accento di boccoli in fronte. Due occhi verde smeraldo, incastonati da lisce pareti madreperla. Il suo viso, corrugato dalla noia protendeva sbilanciato verso lo sportello 4. Fissava il vuoto, nell'aspettativa di qualcosa. Alfredo la raggiunse, e decise che era la persona giusta per chiederle qualcosa.


-È da molto che aspetta?


-Penso che non ci sia niente di più relativo del tempo.


-Mi scusi. Da quanto tempo sta aspettando?


-Dipende se intende in secondi, minuti o ore.


Se la prossima risposta ad Alfredo fosse stata della stessa gentilezza e carisma, gli sarebbe salito l'istinto omicida. Non c'era niente di più innervosente e antipatico di quel tipo di risposte.


-Ritento l'ultima volta, in modi più gentili, ma sopratutto chiari. Da quanti minuti sta aspettando la fila?


-All'incirca una quarantina. Soddisfatto?


-Certo. Risposte così simpatiche ed amichevoli non si trovano spesso.


-Dipende cosa intende per simpatiche ed amichevoli.


-Mi congedo. Arrivederci.


-Uhm...


Alfredo, innervosito, si diresse verso lo sportello 6, dove la fila sembrava sfoltirsi, per ottenere il permesso. Gli fu detto di recarsi all'Isola Libertà , dove timbrare il permesso, affinché possa essere ammesso al Deserto della Quiete.


 


~10 anni prima~


-È da tanto che vivi ad Austropoli, Clara?


-Sono nata qui. Studio per diventare architetto, e lavoro come autista di taxi, la sera.


-Davvero?


-Si. Se ci pensi, la sera, è un mondo completamente diverso dal giorno.


Finì con una leggera risata, accompagnata da un conostropoli in scioglimento. Armeggiava con colpi secchi della lingua, per evitare che quel complesso sistema di gelato rimanga in piedi. Il sole di Agosto premeva sul quel gelato, una delle molte vittime del clima estivo.


-Attenta! A destra!


-Ohi! Questa sarà  l'ultima volta nella quale mangerò un gelato!


Alfredo non trattenne le risate. Nel vederla dimenarsi per salvare qualche pallina di crema, con uno sguardo concentrato ed il mento corrugato sull'obbiettivo, non poteva che ridere.


-Dai! Basta un po' di allenamento.


-Allenarsi per un gelato?


-Beh sì. Se lo vuoi mangiare in pubblico sì!


-Che cattivo!


Rispose Clara, allungandogli una gomitata, che li fece ciondolare per i successivi 100 metri. Presero il primo traghetto per l'Isola Libertà , dove finirono la passeggiata. Il vento li accarezzava i capelli, come un dolce velo di seta. Il sole incombeva sui due, una cappa di calore a 40 gradi. La scia del traghetto, fuggevole, si perdeva nel blu del mare, confondendo toni azzurrei a biancastri, in un misto di schiuma e sale.


Tornarono presto in città , dove si lasciarono sullo sfondo del crepuscolo, del cielo tino da toni purpurei, e vermigli, quando il cielo pare un dipinto romantico.


 


~adesso~


Dopo aver timbrato le relative carte, Alfredo uscì, sorreggendo con evidente sforzo una risma di fogli firmati e controfirmati. Il sole appesantiva lo sforzo. Quando mise un piede in fallo, il suo corpo si accasciò a sinistra, scontrandosi in malomodo contro una signora.


-Mi scusi, non volevo.


Apostrofò Alfredo, pochi secondi dopo l'accaduto. Si inginocchiò, a raccogliere le scartoffie, quando i due sguardi si incrociarono. La signora di prima, le cui gote, inarcate, marcavano un'espressione scocciata, innervosita.


-Lei... L'uomo di prima!


-La scorb… simpatica donna di prima! Lieto di rivederla.


-Vorrei poter dire reciproco.


-Pozzo di gentilezza.


La apostrofò Alfredo, vedendola perdersi fra i turisti vaganti.


Dopo una breve passeggiata lungo la riva, Alfredo decise di prendere il primo traghetto serale, per la città .


-Buongiorno, questo è il servizio traghetti di Austropoli. Vuole tornare in città ?


-Sì.


-Bene. La avviso che i posti a sedere sono finiti, ma se vuole c'è un piccolo spazio sul ponte. Può appoggiarsi alla ringhiera e godersi il panorama.


-Lo farò, grazie.


Il sole al tramonto brillava di toni vermigli, volubile pittura su fuggevoli ciuffi di cotone. Il cielo di un azzurro limpido, il mare di un blu profondo, sempre più scuro, che sulla linea dell'orizzonte parevano una cosa sola, coincidenti su quella flebile, sottile linea invisibile, che separa il cielo dalla terra, ma che viene meno al contatto con l'acqua. Un paesaggio incantevole, che lasciava strabiliati . Al suo lato, appoggiata alla ringhiera, una signora, nascosta da un ampio cappello, le quali leggere risate trapelavano come luce in una fitta boscaglia


-Ti ho riconosciuto subito.


Asserì Alfredo, sicuro.


-La gentilezza scesa in terra. Come si trova, fra i comuni mortali?


-Bene, devo dire. Mi concederebbe l'onore di conoscere il suo nome?


-Il nome non è altro che un'etichetta identificativa, lettere che se unite formano un suono, parole che se unite formano un nome. Nomi dal significato tanto ipocrita quanto imperiale.


-Alfredo Fear, lieto di conoscerla.


Si rivolse alla sua interlocutrice, porgendole la mano.


-Rachele Oak. Il piacere è tutto mio.


Abbozzò un sorriso, un lieve movimento facciale, imperscrutabile quanto insicuro. L'ampio cappello non lasciava trapelare nulla.


-Oak... Un nome, un programma.


-Vede? Tanto ipocrita quanto imperiale.


-Perché lei non si riconosce, nella quercia?


-Diciamo che essere paragonata ad un albero non è la mia massima aspirazione. Fear ha detto eh? Lei non è di qua. Johto?


-Kanto, veramente. Anche lei non è di qui.


-Possiamo intenderci concittadini. Provengo anch'io da Kanto, ma vivo ormai da 7 anni ad Austropoli, come giornalista. Ho in programma uno scoop per domani, riguardo il Deserto della Quiete. E lei? Cosa ci fa, qui?


-Non ho una dimora stabile. Da un paio d'anni vivo all'Area Svago, ma ho vissuto a Johto, Kanto, Unima, ed Hoenn. Mi devo recare al Deserto della Quiete per motivi lavorativi.


-Di che genere?


-Gestisco una società  di import-export, la Express Company.


-Ne ho sentito parlare. Se vuole possiamo recarci insieme, domani. Io conosco molto bene quel tipo di paesaggio, potrei essere utile per destreggiarsi fra gli eventuali pericoli.


-E io come potrei aiutarla?


Rachele rivolse lo sguardo all'orizzonte, accentuando l'abbozzo di sorriso, sulle labbra. I suoi occhi splendevano, brillavano, illuminati dal crepuscolo autunnale.


-Troverà  un modo di sdebitarsi.

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Guest Gingaehlf

Ep. 4 "SABBIE"

"Il potere acceca più del sole." "E non esistono lenti speciali per curarlo."



~23 anni prima~
Due uomini, nel deserto. La tempesta di sabbia impazzava, assicurando loro un passo lento e stentato. Il sole, che filtrava rado attraverso quell'aria composta da granelli ad incastro, regalava un lieve tepore, a fasci.
-Giovanni, sei sicuro?
-Certo. Lui è qui.
-In ogni caso, come faremo a trovarlo?
-Non preoccuparti.

~adesso~
Alfredo sedeva esattamente centrato sull'interstizio, che le lamine in acciaio battuto creavano stendendosi verticalmente, a formare una scomoda conca, la cui fine leggermente arcuata chiudeva perpendicolare al suolo, rivolta verso l'alto. La panchina che lo ospitava aveva conosciuto tempo migliori, bastava guardare i residui di cibo che avevano corroso il retro del ciaciglio. Ogni 5 minuti slittava di pochi centimetri, per poi tornare ad incastrarsi nelle due lamine. La mattina, con la sua voce impastata, mugugnava flebili improperi, riguardo al ritardo di Rachele, che puntualmente dimenticava.
-Scusa per il ritardo, ma la sveglia non è suonata così...
-Ho capito. Andiamo?
-Su...subito. Aspetta che...
Infilò la sua mano all'interno della borsa, armeggiando per qualche minuto nella speranza di rallentare il loro viaggio. Non sapeva neanche lei perché. Una sensazione strana. Sotto lo sguardo incuriosito di Alfredo cominciò a muovere il viso in improbabili espressioni facciali, nella speranza di sviarlo.
-Stai bene Rachele?
-Sì, sto bene. Cosa te lo fa pensare?
-Hai un'espressione strana...
-Nulla, nulla. Vai pure avanti, ti raggiungo.
-Okay...
Alfredo si incamminò verso il Percorso 4, dubbioso, girandosi puntualmente per controllare la situazione. Pareva muoversi, in qualche modo, ma continuava a frugare in quella strana borsa. Alfredo le venne incontro, e le prese la borsa di forza.
-Cosa stai cercando?
Le sillabò, scocciato. Le sue pupille cominciarono a sviare lo sguardo di Alfredo, sfruttando la coda dell'occhio per fugare un possibile incrocio. Si riprese la tracolla, e lo superò, in direzione del Percorso 4.

~adesso, Villa Fear~
-Ehi Tony, che ne dici se andassimo tutti al mare, oggi?
Propose Friedrich, in toni squillanti. Lo ripeté tre volte, prima che fosse udito da tutto il personale, abitante la casa. Dopo due rampe di scale lo trovò in terrazzo, a godersi la brezza estiva.
-Ehi, che ne dici se andassimo tutti al mare?
-Non sarebbe male. Alla tua età  vai ancora al mare?
Friedrich lo scrutò con disapprovazione, e si appoggiò al muro con fare superficiale.
-Cos'ha la mia età  di sbagliato?
-Non so...
Tony si levò gli occhiali, e fissò Friedrich.
-Ti vedrei meglio a fare le sabbiature...
-Scherzi? O hai paura di qualche sharpedo...
Azzardò Friedrich, fissandolo con due occhi a segno sia sfida. Tony in risposta si alzò, e buttò lì una risposta, scuotendo la testa.
-Seguimi.

~adesso, Deserto della Quiete~
-Que...questo è il Deserto della Quiete?
-Secondo la cartina…
-Io vedo solo sabbia…
Constatò Rachele, scrutando quell'infinita distesa dorata con due occhi dubbiosi, per niente convinti. Alfredo la precedette, per farle capire che fosse la strada giusta, ma lei rimase sulle sue. Portò il peso sulla gamba destra, e prese la borraccia,
-Cosa fai?
Apostrofò Alfredo, nel vederla svogliata. Lei lo fissò con uno sguardo incredulo, a dirgli:" non lo capisci?" Lui scosse la testa annoiato, e si rimise in marcia. Dopo una breve corsetta lo raggiunse, stremata.
-Aha...hai vinto...aha...ti seguo...
-Una giornalista d'assalto come te, ha il fiatone dopo una decina di metri?
-Sfotti pure. Piuttosto, guarda avanti. Non mi piacciono quei cactus...
Azzardò lei, portando la mano destra a combaciare con la fronte, a formare un frontino, un comodo riparo dalla luce solare. Lui fissò quelle piante, quelle che per   Rachele potevano essere oggetto di paura. Dei semplici cactus.
-Sono cactus. Cosa può fare di male un cactus?
Ripeté la parola "cactus", per aumentare la sensazione che, quelle cose, non fossero altro che cactus. Lei lo guardò a disapprovazione.
-Piuttosto potrebbero essere dei maractus...
-Io ho vissuto in mezzo mondo. Credi che non saprei riconoscere un pokemon, quando lo vedo?
-Andiamo, allora. Fai la prova del nove.
Sorrise a segno di sfida, corrugando le sue lisce pareti facciali, gettando luci e ombre nuove sul suo viso madreperla. Inarcò la bocca, e lo fissò a sfida.
-Proviamo.
Alfredo si avvicinò ai tre cactus, e con sua sorpresa fu colto da un improvviso terrempesta. Quei cactus presero a muoversi, ad agitare le braccia in sincronia. Alfredo si buttò ai piedi di Rachele, che lo fissava soddisfatta.
-Bene, genio. Puoi alzarti.
-Va bene. Forse...
-Togli il forse.
-Ho sbagliato. L'ho detto. Contenta?
-Può darsi. Ora pensiamo a come sconfiggere questi maractus.

~adesso Villa Fear~
-È questa la destinazione?
-Sì. Ti ricordi cos'ha detto il capo?
-Certo. Tanto fuoco.
-E tanto fuoco sia.
Fecero uscire due charizard, che presero a volare bassi, poco sopra Villa Fear con occhi maligni. Al preciso ordine dei due, i pokemon cominciarono a sputare fuoco, che prese a divampare lungo tutto il perimetro della tenuta. Le scintille, volubili, si liberavano nell'aria, accentuando l'effetto delle fiamme attorno, lungo il bosco vicino. I due agenti, in nero, si fecero strada fra le macerie, riuscendo a scovare il passaggio segreto. Fra le fiamme, scorsero una cassaforte, il loro obbiettivo.

~adesso, Deserto della Quiete~
-Oh oh... Alfredo, il numero sta aumentando...
-Lo vedo. Ho un'idea! Esci luxray!
-Un luxray. Un pokemon così diverso da te. Orgoglioso, fiero, potente. Ti rispecchi, in almeno una di queste?
-Per te un incrocio fra rattata e fearow.
-Mio dio che gentilezza...
-Mi limito a ricambiare la tua.
-Esci bellossom!
I maractus li circondavano, in una continua e snervante danza. Raffiche di energipalla li sfioravano, ma sarebbero durati ancora per poco. Bellossom era concentrato in un docciascudo, che gli proteggeva dagli attacchi minori, mentre luxray con i suoi possenti elettroshock, ne stendeva una buona parte.
-Che dici?
-Dico che il tuo bellossom non resisterà  a lungo. Come luxray. Se...
Azzardò un'ipotesi, che lasciò andare, incuriosendo molto Rachele. Lo spronò a formularla, a renderla vera. Un'idea geniale.
-Dì al tuo bellossom di cedere lo scudo. Io comanderò a luxray un tuono, che punterà  verso il cielo. Esso poi...
-Forse ho capito. Bellossom, basta!
Bellossom cadde a terra, svenuto. Ritornò nella pokeball stremato. Luxray si concentrò verso il cielo, e scagliò un potentissimo tuono, che andò a moltiplicarsi, scagliato sulla terra. I maractus stramazzavano a terra, quelli colpiti, gli altri scappavano, si allontanavano quanto potevano, nella speranza di salvarsi.
-Buon lavoro. Devo riconoscere che hai avuto una buona idea.
-Pensi che mi sia potuto sdebitare?
-Non troppo. Diciamo che la bilancia pesa dalla mia parte.

~adesso, Villa Fear~
-Come faremo ad aprire questa cassaforte?
Chiese un agente, schivando le fiamme, che divampavano sempre meglio lungo la stanza. Le mascherine antigas che portavano non sarebbero resistite a lungo.
-Proviamo con questo affare.
Estrasse dalla tasca una specie di fucile, che puntò contro la cassaforte. Socchiuse gli occhi, presse il grilletto, e...

~adesso, Deserto della Quiete~
-Di cosa parla il tuo scoop, a proposito?
-Di alcuni movimenti strani, nel Deserto della Quiete.
Un brivido percorse Alfredo. I movimenti strani erano il motivo per il quale lui era arrivato lì. Capì che quella ragazza poteva scoprire tutto. Doveva fare qualcosa.
-Entriamo nel castello. Ci sono buone probabilità  che al suo interno...
-Non penso. Entriamo, comunque. Vieni, Alfredo?
Alfredo rimase immobile, a fissarla. Lei sorrise, per la prima volta un sorriso dolce, amichevole. Il più bel sorriso che avrebbe potuto fare. Un sorriso che rimise in discussione tutto, la sua vita, il suo lavoro, la Express Company. Quel lavoro era la sua vita. E lui l'avrebbe rovinata.
Rachele nel vederlo immobile gli prese la mano, e lo incitò ad entrare.
-Forza, quattro passi. Sarà  divertente!
-Si...
-C’è qualcosa che non va?
-No, no. Entriamo.
Cacciò quei pensieri dalla testa, convincendosi che fosse la cosa giusta. Ma cos'è giusto? È talmente relativo. Avrebbe rovinato la vita di una splendida persona, solo per il suo tornaconto personale, un pessimo tornaconto personale.
-Chissà  chi ha costruito questo castello...
Esclamò Rachele, in toni contenuti, osservando l'imperialità  del palazzo che la circondava. Alfredo la seguì, fra quel dedalo di mura.
-Chissà  il potere, di questo re...
Si chiese, Alfredo, alla vista di tutto ciò.
-Il potere acceca più del sole.
-E non esistono lenti speciali per curarlo.
Apostrofò Alfredo, dirigendosi verso una parete. Rachele lo seguì, ed inaccuratamente lo superò, a passo leggero. Subito davanti a lui le sabbie mobili. Il suo piede fu inghiottito, e nella frazione di un secondo, il suo corpo sprofondò giù.
-Rachele!
Alfredo si buttò a terra, ma riuscì solo a salvare la sua tracolla. Lei no. Lei era giù, scesa, persa. Per sempre.
-Rachele dove sei?
Un eco. Un triste eco, che non portava la dolce voce di Rachele. Portava il ricordo di un urlo, niente di più. Il silenzio. L'eco.
Alfredo, non sapendo cosa fare, frugò nella tracolla di Rachele, scoprendo una moltitudine di fascicoli, riguardanti i movimenti della Express. Il nome non c'era, c'era un lista dei possibili nomi. Ma in quella lista compariva "Express Company". Stracciò tutti i fogli, consapevole della sua scelta. Li sparpagliò per terra, e si gettò giù, alla ricerca di Rachele.
-Coff... Coff...
Cadde in un'ampia sala, ricolma di sabbia. La vide svenuta, sopra un cumulo di sabbia. In suoi capelli bruno chiaro, a tratti d'orati, disposti a raggiera parevano mimetizzarsi alla sabbia. Una bellezza incantevole, una principessa.
-Rachele... Stai bene?
-Uh? Al... Alfredo...
-Si, sono io! Stai bene?
-S...si. Penso di si...
Si alzò, e con un passo stentato si mise a camminare. In quel dedalo di passaggi, riuscirono a trovare uno sbocco, scomodo, ma l'unica via d'uscita. Dopo essere usciti, sani e salvi, si sedettero su dei sassi.
-È andata bene, da un certo punto di vista.
-Si, si può dire così. Dove hai messo la mia tracolla?
-La... La tua tracolla?
-Si, la mia tracolla. Là  c'erano tutti i fascicoli sullo scoop. Pokeball e resto li tengo in questo borsellino. Non dirmi che...
-Io...
-No...
-Scusa, non pensavo che...
Gli occhi di Rachele cambiarono tonalità . Quel verde smeraldo, divenne verde marcio, un verde foresta, bruciato dalla rabbia, dalla disperazione, dalla paura. Il suo viso madreperla si era scurito. Si guardava attorno, alla ricerca di qualcosa, qualcosa che l'avrebbe salvata. Ma niente, tutto era perso.
-Era tutta la mia vita! Come hai...
Si portò le mani al viso, senza lasciare trapelare niente. Prese a piangere. Persa. Alfredo si sentiva male, poteva fare la cosa giusta, e non lo ha fatta. Ha sbagliato. E niente avrebbe potuto riparare quello sbaglio. Si sentiva male, come se qualcosa gli rodesse dentro, una forza che lo consumava, lo bruciava.
-Se vuoi posso...
-No.
Si levò le mani dal viso.
-Scusa, ho sbagliato. Tu...tu non potevi sapere del lavoro, scusa. Ti prego di non seguirmi...
Scappò, verso la città . Alfredo la lasciò andare, triste. Tutto era crollato, ai suoi piedi. Tutto si stava sgretolando, tutto. Non voleva. Troppi problemi, troppi pensieri, non avrebbe retto.

~23 anni prima~
Fra i dedali del Castello Sepolto, due uomini si aggiravano, alla disperata ricerca di qualcosa. Una torcia in mano, che agitavano freneticamente per illuminare il loro cammino. Entrarono in un'ampia sala, adornata da vasellame pregiato ed antiche porcellane. Una statua al centro, raffigurava un pokemon alato.
-Giovanni, vieni a vedere.
Gli occhi del secondo uomo si illuminarono, come se una fiamma avesse divampato. La fiamma della vittoria. Incredulo rispose.
-L'abbiamo trovato.

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Guest Gingaehlf

Ep. 5 "BAD NEWS"

"Ma... Quel lavoro è la mia vita!" " Lei sbaglia. Non deve fare del suo lavoro la sua vita. Deve fare della sua vita, il suo lavoro."



~adesso, Porto Alghepoli~
-Non capisco come sia potuto succedere...
-Voi e le vostre idee! Come avete potuto lasciare la tenuta incustodita?!?
Esclamò Alexander, in forti toni di disapprovazione, fissando arrabbiato Tony e Friedrich. Alfredo vagava per la sala, portando il mento, incastrato nella mano destra, a pensare. Si mise a fissare il mare, risplendere di luce, solcato da una moltitudine di puntini i colorati, che scivolavano lungo la superficie dell'acqua, lasciando una dolce schiuma bianca. I wingull svolazzavano felici, in formazioni volubili e mutanti, come macchie, nel cielo mattutino.
-Fortuna che non ci è stato rubato nulla. Ora andate.
Finì, scacciandogli con il suo bastone legnoso e vecchio. I tre si imbottigliarono lungo lo stretto passaggio della porta come acqua per un imbuto.
Alexander si alzò, e si mise a fissare anch'egli il mare.
-Perché?
Alexander si volse, in pochi secondi, verso la porta.
-Perché?
Alfredo, appoggiato al lato destro della porta, lo fissava maliziosamente, sapendo già  la sua risposta. Alexander lo guardò con due occhi incuriositi, per pochi secondi, per tornare a sedersi.
-Cosa vuoi dire, figlio?
-La tua abitudine a dire bugie...
-Dove vorresti andare a parare?
-Semplice. Tu sai che l'incendio è stato doloso, perché sai che qualcosa ci è stato sottratto.
-Sbagli. Niente ci è stato sottratto.
-Qualcosa mi dice che non è così.
Prese a girare per la stanza, quando estrasse una strana busta dalla tasca. Un timbro a "R" stampato sull'angolo destro. La sbatté in faccia al padre, già  aperta.
-È un gioco più grande di te.
-Fammi vedere. E non dire idiozie.
Aprì la busta, e lesse con disgusto il contenuto. Delle foto. Dietro una piccola dedica, più mostruosa di qualsiasi immagine.
-Co...co...
-Sono loro, padre. La squadra di esplorazione, al Pozzo Slowpoke. Sgozzati.

~adesso, Austropoli~
-Licenziata?
-Si. Mi dispiace molto, signorina Oak, ma quello doveva essere il suo scoop.
-Ma come...
Rachele prese a girare per la stanza, fissando le pareti a occhi lucidi. Si morse il labbro, pensando a quanto aveva sprecato. 7 anni della sua vita, a lavorare a quel progetto, stavano fumando, come un rosso scarlatto sull'arancio scuro.
-Ma... Quel lavoro è la mia vita!
-Lei sbaglia. Non deve fare del suo lavoro la sua vita. Deve fare della sua vita, il suo lavoro.
-Non posso perdere questo lavoro!
Si accasciò sulla sedia, di fronte al direttore del suo giornale.
-Dato che in questi anni è stata molto efficiente, ho chiesto ad un...
-Cosa? Un altro giornale?
Si sbilanciò sulla scrivania del suo principale, fissandolo con due occhi speranzosi. Il suo direttore le indicò di sedersi. Estrasse una busta dal cassetto alla sua destra, e la mise sulla scrivania. Rachele la prese a fissare, come se fosse lei la prigioniera, e quella busta la chiave della sua cella.
-Un mio amico gestisce un giornale di viaggi. Mi ha detto che ci sarebbe un posto disponibile...
-Di viaggi? In che senso?
-Nell'unico senso possibile, signorina. Lei dovrà  viaggiare per il mondo, e recensire i posto che visita. Non conosco molto bene quel settore, una volta arrivata le potranno essere di maggior aiuto i suoi collaboratori.
-Come? Ma dove? Quando?
-Se vuole ripassare gli aggettivi interrogativi, la Scuola Primaria si trova in Via delle Tre Fontane. Arrivederci signorina Oak.
-Direttore? Lei non può dileguarmi così! Io... Io...
Un grosso signore, vestito in giacca e cravatta, la prese di forza, e la accompagnò giù, fino al piano terra.

~adesso, Villa Fear, Porto Alghepoli~
-Friedrich, si parte.
-Cosa?
Chiese, in risposta. La sua voce profonda e rauca fece vibrare le corde dell'arpa, che tenevano come soprammobile angolare, accompagnando il loro discorso da dolci suoni. Alfredo afferrò la chiavi dello yacht, e si diresse verso il loro porto privato. Friedrich seguì i suoi movimenti con aria interrogativa, quando una breve esclamazione di Alfredo gli chiarì tutto.
-Si parte! Alla ricerca di mio fratello Salvatore!
Ua volta saliti, partirono, alla volta di Ceneride.
-Dove abita tuo fratello?
-Dipende. In questi periodi alloggia, brevemente, nella nostra tenuta di Ceneride.
Friedrich scrutò l'orizzonte, con due occhi freddi, che per la prima volta si riaccendevano, come una candela, spenta da troppo tempo. Un fuoco bruciava dentro, il fuoco della speranza, che lo avrebbe riacceso.
-E in cosa potrebbe aiutarci?
-È un collezionista. Conosce tutte le specie di pokemon cromatici del mondo, oltre ad una vasta gamma di tecniche di lotta e pietre.
-E tua sorella?
-È... È un po' più complicato. Capopalestra.
Finì, spostando il suo peso a destra, per ruotare meglio il pesante timone della nave. Dopo una brusca virata, si ritrovarono di fronte, a pochi kilometri, ergersi un ammasso di marmo bianco scolpito lungo tutta la parete esterna.
-Ceneride, amico mio.
Concluse, trionfante, fissando glorioso il coagulo di marmo bianco che troneggiava, fiero, come una perla al centro dell'oceano. Friedrich si limitò godersi la giornata, poiché più che un lavoro pareva una gita di piacere.
Lo yacht rallentò, nei pressi di un lungo perimetro galleggiante, spesso circa 4 kilometri dalle lisce pareti esterne di Ceneride. Una base navale galleggiante, una nave della polizia, dalla quale è possibile immergersi, al fine di raggiungere Ceneride.
-Non sei ricercato, vero?
Apostrofò Alfredo, sospettando una possibile risposta.
-Può darsi...
-Come sospettavo...
Abbozzò un sorriso, una risata scontata.
-Giù dovrebbe esserci un set per la barba. Corri.

~adesso, Austropoli~
Rachele stava sistemando la valigia, quando squillò un telefono. Si alzò, a cercare la causa del disturbo, quando lo vide, lì, vibrare a vuoto. La sua flebile luce illuminava il soffitto, delineando un immaginario tondo, che sfumava verso l'esterno in toni scuri, ombrati. Lesse l'utenza. Gary.
-Pronto?
Con il telefono incastrato fra una spalla e la gota destra ritornò in salotto, dove finì di chiudere le valigie, mentre interlocuiva via cellulare con suo cugino.
-Si, verrò a trovarvi un giorno. Lo so che vi manco.
Trascinò la zip lungo il perimetro della valigia, per poi appoggiarla alla porta, insieme agli altri bagagli.
-Va bene, si. Ti richiamo io, adesso non ho tempo. Ciao!
Sbatté il telefono contro l'aria tavolata in legno, accompagnando il movimento da un sonoro sbuffo. Si sedette invitando il suo pichu a salire sul tavolo.
-Uff… Adesso cosa farò?
-Pi! Pichu!
-Non mi sei di aiuto pichu.

~adesso, Ceneride~
-Non riesco a crederci!
-Neanch'io...
Ripeté Afredo scocciato. Con un veloce travestimento riuscirono ad ingannare la polizia, entrando a Ceneride sani e salvi.
-Perché non mi hai detto che mezzo mondo ti cercava!
-Mi è sfuggito.
-Sai com'è. Dettagli. Soltanto derubato la collezione medievale di utensili in argento di Evopoli.
-Poi gli ho restituiti!
-Allora sei un ladro gentiluomo.
-Finiscila, cerchiamo piuttosto tuo fratello.
Dopo una lunga scarpinata fino al terrazzo belvedere di Ceneride, riuscirono ad avere una panoramica completa di quella città . Una distesa di marmo bianco si ergeva tutt'intorno, andando a toccare i più estremi punti cardinali. Un imbuto di antichità , che come un vortice risucchiava tutto verso il centro.
-Alfredo, sento le vertigini...
-Non preoccuparti, sei a terra. Ecco. Guarda di fronte a te, quella villa ricolma di vegetazione.
Indicò Alfredo, con il braccio destro dritto verso l'obbiettivo. Friedrich si sbilanciò a destra, per avere una panoramica simile alla sua, riuscendo a scorgere una macchia verde, fra tutta quella roccia opalescente e monocromatica.
-La vedo.
-Bene. Salvatore, vive là .
Corse giù, lungo a bianca scalinata in marmo, seguito a stento da Friedrich, che reggendosi allo scorrimano rallentava di molto l'andatura. Dopo qualche kilometro si ritrovarono dalla parte opposta al Belvedere, esattamente qualche scalino sotto la Villa Fear. Dopo qualche minuto di attesa, i cancelli si aprirono, lasciando entrare i due.
-Minimalista, tuo fratello...
Constatò il mercenario, alla vista di tutto quel lussureggiare di piante esotiche e magnifici fiori variopinti. Si potevano scorgere rari pokemon cromatici, celarsi dietro una fitta boscaglia smeraldina, avara di luce, ma ricca di colori e sensazioni diverse.
All'ingresso, poco monumentale rispetto all'ambientazione, un salotto bianco avorio, cui camino, centrato lungo la parete nord della sala, troneggiava fra tutto quel candore. Due morbidi divani in pelle, posavano sul liscio pavimento in marmo. La porta finestra aperta generava una lieve corrente d'aria, atta a rinfrescare gli ambienti, cui calore veniva amplificato dai vetri, come lenti d'ingrandimento.
-Cosa ti spinge fin qui, Alfredo?
-Salvatore, il lupo perde il pelo ma non il vizio.
-Il male li tiene tutti e due.
Rispose in totale calma, dal terrazzino vista mare. Appoggiato alla ringhiera, un uomo alto, biondo, dagli occhi azzurro cielo, quando le nuvole non sfumano sul bianco. Una pelle chiara, dorata dal sole ma controllata dalla bassa quantità  di melanina.
Un sorriso malizioso plasmava il suo volto, rivolto ai suoi due ospiti.
-Cosa vi ha spinto fin qui?
-Ti devo parlare.
-Parla.
-Dentro. Un luogo più consono...
-Dove e come lo decido io.
Lo interruppe, con presunzione. Si addentrò nel salotto, trovando riparo nella morbida pelle del divano. I due lo seguirono.
-Riguarda la Express...
-Immaginavo.
-Recentemente, una minaccia...
-Ovvio. Così banale. Avete bisogno del mio aiuto, per far fronte a qualcosa, data la mia ampia conoscenza dei pokemon.
-Esatto.
-E cosa vi fa credere che accetterò?
-Nulla. Confidiamo in te.
-Spiegami meglio, lascerò la questione a mio arbitrio.
-Dopo 20 lunghi anni di inattività , il Team Rocket si sta risvegliando.
-Il Team Rocket? Bene. Avrete filo da torciere.
Friedrich si alzò, scocciato, interrompendo quel clima di calma.
-Mi sta dando fastidio il tuo modo, Salvatore. Troppo superficiale, troppo impalpabile, tanto a te non riguarda. Tu rimani qui, chiuso fra 4 mura, senza conoscere nulla di quello che accade all'esterno.
-Si calmi. Non accetterò oltre...
-Sai che non mi interessa? Decidi: sì o no.
Il suo tono si fece più alto, mutando il colore della pelle, in tonalità  rossastre.
-Si ca...
-Non mi calmo. Lei... Lei... Me ne vado. Discutetevela fra voi due.
Uscì di fretta, con un aria scocciata. Alfredo lo imitò, alzandosi.
-Ha ragione. Magari con modi scortesi, ma ha ragione. Decidi. Si o no.
-Esci da questa casa. Quella è la porta.
Concluse, volgendo lo sguardo alla parete, incurante di suo fratello. Alfredo se ne uscì, raggiungendo Friedrich, palesemente irritato. Indecisi sul da farsi, trovarono rifugio in una pensione, non lontana dalla villa.
Il sole volse al tramonto incendiando quella sottile linea, l'orizzonte, di toni rossastri. La luna, piena, risplendeva opaca all'interno delle porte di Ceneride, lo specchio d'acqua, il passaggio fra l'esterno e quella particolare città . E una luce opalescente, illuminava le case, che assistevano immobili a quello spettacolo. Quel giorno nel cielo, era possibile notare un particolare disegno, riconducibile ad un gruppo di stelle allineate perfettamente sopra Ceneride.
Salvatore si alzò, e si mise a contemplare le stelle. Ripensò agli accaduti di quel giorno, a quelle parole. "Troppo superficiale, troppo impalpabile, tanto a te non riguarda. Tu rimani qui, chiuso fra 4 mura, senza conoscere nulla di quello che accade all'esterno". Scosse con veemenza il capo, e rientrò, per la notte.

~adesso, Austropoli~
-Scusate, scusate, permesso. Mi faccia passare!
Un uomo, in giacca e cravatta verde, richiamò la sua attenzione. Lei si girò, per capire da dove venisse quella voce.
-Mi scusi, signora.
-Si? Cosa c'è?
-Lei è la signora Rachele Oak?
-Si, sono io. Qualcosa non va?
-Dovrebbe controllare i bagagli, là , vede?
Indicò uno sportello, nel quale un ammasso di turisti si stavano accalcando, nella speranza di salire per primi sulla nave.
-Giusto. Grazie.
Una volta arrivata, eseguito il controllo bagagli, salì sulla nave. Sistemò i bagagli, e si mise sul ponte, a fissare il cielo stregata.
-Aaaah... Che bel cielo. Questo sarà  l'ultimo cielo di Austropoli che mi sarà  possibile osservare, meglio imprimerlo in mente.

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Guest Gingaehlf

Ep. 6 "PER MARE"

"La differenza fra noi due. Lei vorrebbe toccare l'orizzonte. Io lo vorrei distruggere."



~22 anni prima~
-Giovanni, nessuna traccia.
-Ancora. Quel vecchio ci ha dato la mappa sbagliata. Se non la ritroviamo il capo si arrabbierà .
Constatò, irritato, stringendo una vecchia mappa, stinta dal tempo. Fissava l'orizzonte, con gli occhi semichiusi dalla rabbia.
-Il nostro più grande progetto andrà  in fumo per una stupida mappa. Ci credi?
-N… no…
-Sparisci, mi tediano i tuoi comportamenti.

~adesso, Ceneride~
Salvatore sedeva comodo, scrivendo su di un piccolo foglietto ingiallito. Con un nastro rosso, lo sigillo, e lo diede ad un wingull, passante di lì.
-Portalo ad Alfredo.
Con un gesto dolce lo accompagnò al volo, sospingendolo verso l'alto, e con gli occhi segui il suo percorso, a controllo. Il piccolo wingull atterrò sul terrazzino di una piccola pensione, nelle vicinanze, subiti raccolto dai due.
-Alfredo, guarda. Questo wingull porta un messaggio.
-Leggilo.
-"Venite. Ho deciso di aiutarvi, ma ad una condizione.â€
Lesse Friedrich, mettendo bene a fuoco quelle parole. Afredo fissò il foglio incuriosito.
-Quale condizione?
Chiese Alfredo incuriosito dal contenuto. Friedrich gli fece vedere il biglietto, privo di un qualsiasi aiuto. Decisero di assecondare Salvatore, venendogli incontro.
Risalirono quella lunga scalinata, accompagnati dal dolce fruscio degli arbusti, e dai rari pokemon che abitavano quel paradiso naturale. Salvatore li aspettava, all'interno.
-Avete accettato la mia proposta, come vedo.
-Non conosciamo la tua proposta, Salvatore.
Si alzò, incontrando gli ospiti. Uscì in terrazzo, dove proseguì.
-Voglio un frutto, molto raro, che si trova solo nell'isola Lunanuova. La baccaenigma.
-L'erba voglio non esiste neanche nel giardino del re.
Rispose Friedrich, fissandolo con due occhi irritati. Lui rispose alla sua provocazione, con la calma del mare, quando il vento calato non lascia spazio che alla noia.
-Delle frasi fatte non me ne faccio niente. Queste sono le mie condizioni.
-E per quando lo vorresti, questo frutto?
-Vuoi davvero accettare le condiz...
-Due mesi. Due mesi esatti. Quando la luna piena risplenderà , l'isola tornerà  in vita. E con lei la bacca.
-Fatta. Ora seguici.
-Dove volete andare, così?
Si alzò, e si addentrò nella magione, scomparendo fra gli intricati corridoi. Un'ampia sala, ricolma di pokeball, polveri, e pietre evolutive. Sotto quattro occhi incuriositi, si mosse a raccogliere un intero scaffale. Porse questo sacco ad Alfredo, che lo scrutava stranito.
-Là  troverete tutto. Ora andiamo?

~22 anni prima~
-Dell'isola nessuna traccia!
Urlò un agente, dalla punta dell'albero maestro. Giovanni percorreva quel lungo ponte avanti e indietro, per ore. Con due occhi furiosi fissava il vuoto, pensando alla sua isola. Un'isola che non avrebbe mai raggiunto.
-Dov'è, dov'è, dov'è! Dove si trova questa maledetta isola!
Diede un calcio al secchio dell'acqua, che finì dritto contro un agente.
-Si calmi. Guardi il mare.
Lo raggiunse Alexander, e gli indicò l'orizzonte. Giovanni volse il capo, e rispose irritato.
-Vedi?
Giovanni abbozzò un sorriso, trovando quella conversazione divertente. Sotto lo sguardo incuriosito di Fear, continuò, volgendo gli occhi al mare.
-La differenza fra noi due. Lei vorrebbe toccare l'orizzonte. Io lo vorrei distruggere.
-Non la seguo.
-Capirà , capirà . Adesso concentriamoci sull'obbiettivo.

~adesso, mare~
-Perché il tuo lapras ci deve seguire?
-Non può? Adesso può stare in acqua, senza che nessuno gli pesi.
Salvatore si alzò, avviandosi verso il suo lapras. Sporgendosi dalla ringhiera, gli accarezzò il capo, guardandolo con due occhi dolci, amichevoli. Lapras rispose, scuotendo il capo.
-In cosa si occupa, lei?
-Io mi occupo di pokemon cromatici, mi sono specializzato su questo, all'università .
-Lei sarebbe un professore pokemon?
-Solo teoricamente. Non gestisco un laboratorio.
-Interessante... Sa qualcosa, sulla Express?
-Meno ne so meglio è. Ora mi congedo.
Andò da suo fratello, dietro uno spesso vetro, la sala di comando.
-Di cosa parli, con Friedrich?
-Nulla. Quanto manca, a terra?
-Un'ora, circa.

~adesso, mare~
-Chissà  se rivedrò mai quel signore, eh pichu?
-Pi!
-Lo so, non era il massimo, ma andava bene. Meglio di altri.
-Pi?
Pichu la guardò con due occhi curiosi, come se la sua padrona provasse quella sensazione per la prima volta. Rachele volse lo sguardo al cielo, intravedendo delineato fra le nuvole il profilo di Alfredo. Trasalì per pochi secondi.
-Alfredo...

~ adesso, mare~
-Friedrich, tocca a te.
Urlò Alfredo, marcando i suoi movimenti facciali, per rendere più chiaro il messaggio. Dopo qualche richiamo, Friedrich rispose, dandogli il turno.
-Come va, dopo Clara?
-Bene, penso.
Alfredo si distese, appoggiati alla ringhiera.
-Ci pensi ancora?
-Quasi più. Non so se sia un bene o un male...
Scrutando il cielo, delineato fra le nuvole, il contorno di Rachele. Sgranò gli occhi, stupito.
-Rachele...
-Chi?
-Nessuno. Cosa ho detto?
Rispose prontamente Alfredo, nel vano tentativo di nasconderglielo.
-Rachele. Chi è?
-Chi è?
-Me lo devi dire tu.
-Ma se io non ho detto niente!
-Non ci credi neanche tu...
-Porto Alghepoli!!!!! Porto Alghepoli!!!!! Preparatevi!!!
-Arrivati.
Apostrofò Salvatore, dirigendosi verso lapras. Lo montò, sotto lo sguardo curioso di Alfredo. Dopo un breve incrocio di sguardi, volse il capo verso la città .
-Cosa fai?
-Vado a Porto Alghepoli!
-Ma se non sai dove abitiamo!
-Villa Fear, fuori città , Via Regno di Hoenn, 23.
-E le chiavi?
Gli urlò Alfredo, causa la distanza che andava aumentando fra i due. Salvatore in risposta agitò un mazzo di chiavi, alla sua destra. Mentre diventava un puntino sempre più piccolo, sullo sfondo del porto di Porto Alghepoli, una navetta della polizia li bloccava, per controllare i documenti.
-Furbo...
Abbozzò un sorriso, Afredo, capendo l'astuta mossa del fratello.

~ieri, Austropoli~
-Pichu, in questa busta, è segnato il mio futuro. Dove capiterò? Petalipoli? Luminopoli? Giubilopoli? Che posti da favola... Forza, apri!
Pichu, con difficoltà  aprì una busta, che provò a decifrare, emettendo qualche vocalizzo confuso.
-Pi! Pi? Pichu?
-Capito, leggo io.
Prese in mano il foglio, e lesse la destinazione.
-Porto Alghepoli, sto arrivando!

~22 anni prima~
-Giovanni, qualcosa sull'orizzonte!
-L’orgoglio del Team Edge… Presto non avrà  eguali…
Gli occhi di Giovanni presero a brillare di vittoria, trionfanti, capacitandosi del potere che avrebbe raggiunto, dei limiti che avrebbe infranto. Fissava l'orizzonte, dominato da una grande isola, ricca di vegetazione. Sorrise, di vittoria.

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