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[Fan Fic by Phoenic] Assassin's Creed: Flashback - non commentare qui


Phoenic

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Mi rendo conto che non si tratta del forum più adatto dove postare questa fan fiction, ma voglio condividerla anche con PM! Mi raccomando, non commentate qui, ma nel topic apposito. Buona lettura!

Ah: se leggete tutto e poi non commentate, almeno brevemente, sappiate che siete veramente scortesi e maleducati.

 

Assassin's Creed: Flashback
SEQUENZA I - Pax dissimilis quam Bellum erat et semper erit



L'Ordine dei Templari, un'organizzazione esistente fin dall'albore dei tempi con lo scopo di fondare un mondo basato sulla pace tra i popoli e l'ordine tra di essi. Il loro modo di operare, però, diffonde anche l'odio nella popolazione, dato che per loro ottenere la pace significa battaglie, distruzione e infine il controllo dell'intera umanità. E' per questo che è nata la Confraternita degli Assassini, con scopi simili ai Templari, tra i quali c'è però anche l'eliminazione dell'Ordine stesso. Molti assassini sono noti per le loro doti di guerra, le quali hanno sventato vari piani malvagi organizzati da interi gruppi Templari situati in varie parti del mondo. La stessa cosa accadeva durante l'Impero Romano, controllato dai Templari, soprattutto verso il periodo della crisi grazie all'organizzazione che avevano gli Assassini rispetto ai loro nemici. Il III secolo era però uno dei più complicati per la Confraternita, perché stava per nascere un grande potere in Medio-Oriente. Mentre la Siria era sotto il completo controllo romano ormai da tempo, nel 234 venne al mondo Aetius Iustinus Marcius Chrysius, il quale sarà la causa di una rivoluzione nell'intero impero, mai documentata nei libri di storia.

Ziggurat di Lakandahar, Siria - Ore 20:30 del 24 Settembre 259

Era una fredda serata a Lakandahar, come ogni sera. Ogni abitante si chiedeva sempre ogni giorno perché di mattina facesse così caldo e di sera così freddo, finendo con la solita conclusione, ovvero lo zampino di qualche dio. Sinceramente non credevo nell'esistenza degli dei... Difatti, perché non hanno aiutato la penisola italica in questo periodo di crisi? Nella mia zona la crisi era ridotta, ma le persone erano comunque costrette a coprirsi con lunghi mantelli e coperte, e spesso restavano chiuse in casa uscendo solo di giorno. Il fuoco in casa avrebbe rovinato le pareti, dicevano. In pochi erano coloro che uscivano a quest'ora del giorno. Le uniche persone che non si preoccupavano di ciò eravamo noi, la nota gens Iustina, famosa in tutta la città per averla governata per un lungo periodo. In quel particolare momento della giornata ci dirigevamo verso la Ziggurat della città, e giustamente le persone ci spiavano dalle loro case con curiosità. Con passo felpato ci dirigemmo verso quell' entrata provvisoria, al fine di non essere scoperti. A dire il vero, non sapevo molto bene cosa voleva fare mio padre in quel momento, perché la Ziggurat era molto grande e la stanza del re era dispersa in mezzo a quei migliaia di cuniculi tutti uguali; sembrava un labirinto. Ci limitavamo solamente a seguire inconsciamente le orme di mio padre. Perché dovevamo farlo? Mio padre diceva che era per la città, per il popolo soggiogato dal suo comportamento dispotico.
«Da questa parte» Diceva ogni tanto mio padre mentre evitavamo guardie a destra e a manca e salivamo scale come se non ci fosse un domani, considerando che per lui si trattava di una cosa urgente e da svolgere subito. Ogni tanto mio padre sfoderava quella strana lama dal suo polso, quella che chiamava lama celata, e uccideva i nemici rapidamente. Elena mi guardava come per dire «Sei pronto?», mentre teneva la sua falcata in mano: probabilmente era il momento. Impugnai velocemente la mia spatha arrugginita. La sfoderai e mi misi in posizione di attacco; mio padre andò avanti e con un possente calcio aprì i due portoni della sala del re.
«Ebbene, sei arrivato, Aetius. Quelli chi sono, i tuoi servi?» L'uomo calvo applaudì con un finto entusiasmo, quasi come se volesse prenderci in giro.
«Non la smetti mai di offendere, vero Pheniken II? Anzi, meglio dire Hennius. Sono solo i miei figli e alcuni miei legionari». Aetius parlava, ma intanto mi guardava negli occhi e mi fece segno: era il mio turno. Elena e gli altri entrarono nella stanza e formarono un semicerchio davanti al re, io mi muovevo chinato dietro di essi per raggiungere la schiena del re e infliggergli il colpo fatale.
Finalmente ero dietro di lui, non mi restava altro che ucciderlo con la mia lama, ma... Ero diventato immobile! Cosa stava succedendo? Mi limitai ad ascoltare il discorso che si stava svolgendo, non potevo fare nient'altro.
«Pazzo maniaco! Tu non sai usarla, non puoi averla! Devi...»
«Devo cosa, Aetius? Con questa mela dell'Eden posso controllare tutto e tutti, senza limiti. Perché devo ridurmi a svolgere il solito ruolo di re perbenista se ho nelle mie mani un potere incredibile?!» Alzò in alto una sfera che sembrava dorata, e dalla quale iniziarono a fuoriuscire raggi lucenti. D'un tratto apparvero dal nulla dieci guardie del re, che attaccarono senza perder tempo il mio gruppo. Io ero ancora bloccato, e pensai a quell'oggetto mistico in possesso di Pheniken. Mentre ero immerso nei miei pensieri, il re si sbarazzò di me con un vigoroso calcio, facendomi quasi svenire. La mia presenza era diventata vana, speravo soltanto che mio padre e mia sorella sarebbero sopravvissuti: nel mentre, ho sognato mio padre ucciso con una lama, però io ero speranzoso.
«Papà, no!!» Avevo gli occhi socchiusi ed ero molto debole, ma sentivo mia sorella urlare disperatamente insieme ai rumori di colpi di spada e grida di dolore; nonostante mi addormentai a ridosso del muro per qualche minuto, prima riuscii a sentire delle parole sofferenti provenienti da mio padre. Cadde proprio accanto a me.

«Figlio, in realtà tu non sei mio... fi...»

Sotterranei della casa dei Giustini - Ore 21:00

Mi sono svegliato poco dopo, ma sembrava essere passata un'eternità.
«Cosa... Ci faccio qui?» Aprii lentamente i miei occhi e mi guardai intorno. Mi ritrovai in quello che sembrava il sotterraneo di casa mia, disteso su un letto. Davanti a me erano sedute due figure a me familiari.
«Chrysius, stai bene?» Una di loro sembrava proprio mia madre, mentre udii anche la voce di mia sorella. Mi alzai bruscamente ed ebbi il comportamento automatico di prendere un piccolo specchio: i miei capelli neri erano sporchi di terra, mentre ero ricoperto da molti graffi e una benda sul braccio sinistro. Però, mi accorsi subito di un dettaglio.
«Ma papà? Dov'è papà?» Chiesi a entrambe mentre mi sedevo sul bordo del letto.
«Papà..." Elena abbassò lo sguardo già rattristito. "Papà... E' morto».
«Elena, lo sai che in questo momento non sono in vena di scherzi. Dov'è, seriamente?»
«Non scherzo. L'hai ucciso, non ricordi?»
In quel momento mi sentii come colpito da un fulmine in ciel sereno, udii qualcosa di inaspettato. Ho ucciso mio padre? Quando?!
La faccia di Elena confermava però la mia ipotesi: sembrava morto davvero.
«Ma,» feci una breve risata sotto i baffi, perché speravo in uno scherzo. «ma se ero quasi svenuto, come potevo muovermi?!»
«Allora era quella mela dell'Eden, quel *censura*! Lo sapevo fin dall'inizio che non avresti potuto fare una cosa del genere, Chrysius».
«Quindi, l'ho ucciso... Con le mie mani?» Caddi in ginocchio come e in una specie di depressione, non potevo credere di aver ucciso mio padre! E pensare che è stata tutta colpa di un dannato oggetto scintillante, allora non era nulla di buono; quindi, di cosa era capace veramente quella cosa?
«Sai, Chrysius» Mia madre si avvicinò a me. «Ormai è fatta, non c'è più modo di risolvere la questione. O ce ne andiamo di qui, o restiamo per un lungo periodo di tempo rinchiusi in questi sotterranei».
«Hai ragione. Ma perché quella mela era nelle mani del re Pheniken?»
«Quell'uomo è attualmente uno dei più importanti Templari della Siria».
«Templari? Madre, nostro padre ci ha accennato queste persone, ma chi sono veramente?»
«Il loro scopo è preservare la pace nel mondo, ma vogliono farlo in modo violento e brutale! E' per questo che tuo padre vi ha voluto insegnare il Credo degli Assassini, per proteggere il mondo in modo armonioso. Devi sapere che i Templari sono nostri nemici fin dalla nascita del pianeta, quindi adesso sai che per farlo devono morire tutti. Quando tuo padre si era arruolato nell'esercito diceva spesso che la pace era e sarà sempre diversa dalla guerra, ma purtroppo bisogna dire che in alcuni casi è essenziale».
Quindi, riuscii ad apprendere finalmente il motivo dell'inimicizia tra mio padre e Pheniken. Dunque mi decisi: il mio obiettivo sarebbe stato diventare un Assassino vero e proprio, perché ero stanco di questa sofferenza nel mondo. Ogni volta che passeggiavo per le vie della città, era impossibile contare sulle dita di dieci mani il numero di mendicanti che incontravo per strada e della gente che per guadagnarsi il pane doveva svolgere lavori sovrumani. Questa dannata crisi doveva terminare immediatamente. Probabilmente anche Elena voleva la stessa cosa, ma non posso dire lo stesso per mio fratello Damis, ormai fuggito di casa. E in quel momento avevo anche scoperto l'origine di tutto ciò... Non potevo restare con le mani in mano.

 

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Assassin's Creed: Flashback
SEQUENZA II - Quo vadimus nunc?



Casa dei Giustini, Lakandahar, Siria - Ore 9:00 del 1 Dicembre 259

Sembravano ormai passati quasi tre mesi da quando mio padre era morto. Fino a quel momento, era sempre stato lui a guidarmi in qualsiasi cosa avessi fatto, anche la più semplice. Ma da quando non c'era più, non avevo più nessun condottiero e in più le truppe lacandrine erano in crisi, non avendo più il loro generale. Di certo non avrei preso il suo posto, perché giravano molte voci negative sull'esercito della zona. In effetti, mio padre ha vissuto quasi tutta la vita in accampamenti e basi militari, per poi ottenere anche la carica di re. Infine, l'ho ucciso io, senza volerlo; scusa padre.
Solo una cosa non riuscivo, però, ad eliminare dalla mia testa: quella frase...
"Figlio, in realtà tu non sei mio... fi..."
L'ho immaginata, oppure l'ha detta per davvero? L'unica testimone era mia sorella, e la raggiunsi subito per risolvere le mie perplessità. Considerando di non averla vista in casa per tutta la giornata, la chiamai, ma non ricevetti nessuna risposta; quindi chiesi a mia madre, la quale era solita tessere per molte ore al giorno, oppure farsi acconciare i suoi capelli rossastri da quello schiavo - che quel giorno non era venuto.
«Dovrebbe essere nei dintorni, sicuramente non può essere andata in città». Mi disse inaspettatamente. Allora andai nella sua stanza, e trovai un pezzo di papiro sulla sedia accanto al suo letto. La aprii e vidi che era ancora incompleta, ma lessi quel poco che c'era scritto.
«Non mi cercate. Sono andata lontano per questioni personali».
Dove poteva andare Elena? E soprattutto, come faceva visto che siamo ricercati? L'unico luogo che poteva visitare indisturbata doveva essere l'accampamento militare proprio accanto a casa nostra... Quindi decisi di controllare lì; mi affacciai alla finestra, e la vidi chiacchierare con una guardia, si chiamava Aelius. Riuscivo a sentire tutto.
«Allora senti, non mi interessa. O mi procuri una nave, o ne subirai le conseguenze!» Elena rimproverava la guardia, che non poteva fare nulla.
«S-signorina Elena, mi dispiace ma al momento non posso procurare navi!»
«E va bene. Tieni cento sesterzi, ti saranno utili per prendere in prestito un'oneraria. Voglio entro mezz'ora una nave nel nostro porto privato, perché devo raggiungere Damasco in fretta. Andare per il deserto a cavallo non mi conviene». La ragazza stava tornando indietro, la vidi aprire la porta di casa ed entrare all'interno. Io cercai di nascondermi sotto il letto, perché stava per salire le scale ed entrare nella stanza e non mi conveniva farmi vedere lì!
«Queste mi serviranno». Disse da sola e silenziosamente la ragazza, e prese la sua fidata falcata in ferro appena levigata e i suoi due pugnali, donati da papà. Terminò il messaggio e si sistemò i suoi lunghi capelli in un cappuccio, dopodiché uscì di casa per raggiungere il molo. Oramai ero troppo curioso di sapere cosa volesse fare a Damasco, e decisi di seguirla. Circa venti minuti dopo arrivò una piccola nave da commercio davanti al molo, guidata da vari schiavi. Un uomo, probabilmente un marinaio, abbassò il ponticello per far salire Elena e lo richiuse, per poi accompagnarla nella cabina. Io allora raggiunsi il molo senza farmi vedere da nessuno sulla nave, e con un distante balzo saltai sulla poppa dell'imbarcazione ed entrai anche io in cabina. Mi esposi leggermente al bordo di una parete lignea che separava la stanza del ed ascoltai le parole di Elena. C'era una particolare aria di tensione all'interno, infatti uno strano uomo era insieme a mia sorella; c'era anche la guardia Aelius incatenata ad un palo!

Cabina della nave, molo dei Giustini, Eufrate - Ore 9:25

«Puoi ripetermi il tuo nome?» Mia sorella si rivolgeva a quell'uomo con uno sguardo guardingo ed irritato.
«Non mi sembra di avertelo detto prima. Comunque sia, ti accontenterò». L'uomo, in toga e con capelli di media lunghezza, camminava da destra a sinistra incessantemente e allo stesso tempo lentamente. «Io sono Daulus Emilis, detto Apollonius. Ebbene, non saprei proprio vivere senza gli dei! Soprattutto Apollo, io credo che...»
«Ascolta, libera immediatamente Aelius!» Elena interruppe bruscamente il discorso di Daulus, ma lui non se ne fregava altamente.
«Elena, non preoccuparti di me! Non hai capito che lui...»
«Ma sentila! Una bella ragazza non può rovinare il suo viso con quelle sopracciglia aggrottate!» L'uomo sferrò un possente pugno sul viso di Aelius, facendo lo svenire; allora si avvicinò a mia sorella e la toccava, a volte l'accarezzava. Lei però non ne poteva più, e afferrò violentemente il braccio dell'uomo, spintonandolo sul tavolo dietro di lui.
«Che ragazza sgarbata! Proprio come piace a me!» Daulus, con un inquietante sorriso stampato sulla sua faccia, prese un pugnale nascosto accuratamente nella toga, e cercava di pugnalare sul petto Elena. Ogni suo colpo era però vano, perché non sfiorava neanche la veste della ragazza! Lei schivava rapidamente ogni movimento dell'uomo, saltando talvolta sulle pareti e con varie capriole. Daulus si stancò presto, a causa della sua età - infatti aveva circa cinquant'anni.
«Io non so chi tu sia, quindi non voglio ucciderti. Vai via di qui, ora». Elena era ormai furiosa, e l'uomo stava iniziando ad impaurirsi.
«Che peccato, potevi essere un'ottima combattente nel nostro ordine, ma non ho altra scelta... Guardie!» Disse con voce affaticata e rauca. Quelle uscirono da varie botole situate nella cabina, erano in tutto cinque. Una di loro però fece un passo in avanti, come se fosse un comandante.
«Elena, lei è in arresto per alto tradimento!»
«Io non ho tradito nessuno!» Elena decise bene di fuggire, e correva verso l'uscita della cabina. Io ero lì, ed iniziai a correre con lei fino a raggiungere la prua, senza però via di scampo.
«Dove andiamo ora?»
«Chrysius, ma che ci fai qui?! Beh, ora sei con me e devi aiutarmi a sconfiggere questi bastardi!»
Io avevo portato con me un vecchio gladio, ed Elena sfoderò invece la sua fidata falcata. Con grande agilità e ottime movenze, combattevamo come soldati esperti. I soldati si avvicinavano uno alla volta, ed uno per entrambi. Le guardie che mi attaccavano erano molto lente, ed io sferravo fendenti fino alla stanchezza per mandarlo giù. Sembrava un vero e proprio duello, con la differenza che le guardie avevano una scarsa resistenza, non indossando stranamente alcuna armatura. Dopo aver sconfitto quattro guardie, ne restò soltanto una in disparte che non voleva combattere.
«Per favore, lasciatemi stare! Non ho fatto...! Sono stato pagato...» La guardia piangente si inginocchiava davanti a loro; infatti, notai che tutti i nemici sembravano obbligati a combattere.
«Spiegati meglio». Dissi subito per saperne di più.
«E va bene, tanto morirò comunque. Siamo stati pagati proprio da lui, Daulus, il secondo re, per testare la nostra forza. Così ha detto. Adesso posso andarmene? Prometto di non dire nulla!»
Lasciammo andare via l'uomo. Subito dopo notammo che la nave era completamente spoglia, ed ovviamente non c'era neanche traccia di Daulus, molto probabilmente è fuggito durante la breve battaglia. Liberai anche Aelius, che fu obbligato da Elena a restare sulla nave. Comunque sia gli unici presenti sulla nave eravamo noi due e gli schiavi, rinchiusi all'interno della nave.
«Dannazione, è andato via. Comunque sai, sei veramente un impiccione! Perché mi segui?!»
«Dai, ero curioso!»
«Idiota!»
«No, sto scherzando, in realtà volevo chiederti un'altra cosa».
«Scusami, ma adesso avrei da fare se non ti dispiace».
«Cosa devi fare?»
«Devo... Sì, devo andare a Palmira».

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Assassin's Creed: Flashback
SEQUENZA III - Sassanidae aut... Lacandrini?



Così Elena decise di partire prima per Callinicum, sulle sponde dell'Eufrate. Lei si mise al comando degli schiavi rematori incapaci di essere offensivi, e costretti a stare ai nostri ordini. Ai tempi gli schiavi mi facevano molta pena, pensando alla mia fortuna di essere figlio di un personaggio importante... Chissà cosa avrei fatto se fossi stato schiavo; purtroppo però la vita è così, alcuni sono fortunati ma gli altri devono cadere nel loro crudele destino.
«Bene, ho fatto tutto. Cosa avevi da dirmi così affannosamente?» Eravamo sul ponte della nave a chiacchierare, mentre ci dirigevamo verso Callinicum.
«No, volevo chiederti soltanto... Come ho ucciso mio padre?»
«Sì... Beh, se non ricordo male ti sei avvicinato a papà e l'hai infilzato... Tutto qua». Elena assunse un atteggiamento schivo, come se non volesse parlarne, e cambiò subito discorso «Comunque, dobbiamo prima passare per Callinicum, con la nave è impossibile dirigerci a Palmira senza la presenza di fiumi».
«Cosa devi fare a Palmira?»
«Una cosa importante. Per me. Preferisco che tu ne stia alla larga».
«Va bene... Allora io cosa ci faccio qui?»
«Ah, non lo so! Prima stavo per cacciarti, ma mi sono distratta! Bene, tu resterai sulla nave ad aspettare. E non osare seguirmi!»
«Giove mio, come sei permalosa e insensibile!»
Elena se ne tornò nella sua cabina, mentre io non avevo proprio idea di cosa volesse fare in una città così lontana. A Palmira non ci sono mai stato prima, ma mio padre mi disse che lì ha conosciuto sua moglie e si è allenato nella gilda degli Assassini locale. Io ero troppo curioso di saperlo, quindi raggiunsi Aelius, che stava controllando se gli schiavi facessero bene il loro lavoro.
«Salve Aelius, posso chiederti una cosa?»
«Ma certamente!»
«Cosa vuole fare Elena a Palmira?»
«A Palmira? Cosa vuole fare lì?» Mi rispose inaspettatamente.
«Non lo so, per questo ho chiesto. Allora fa nulla, grazie comunque».
«Posso consigliarla però di tartassarla continuamente, vedrà che prima o poi cederà. Sa, io la conosco molto bene!»
C'era una bellissima atmosfera, quel giorno: la leggera brezza che a volte accarezzava la mia pelle, mi faceva immedesimare nel protagonista di un lungo poema avventuroso, e ciò mi donava un particolare buon umore.

Porto di Callinicum, Siria - Ore 12:00 del 3 Dicembre 259

Allora passò un giorno, fino al nostro arrivo al porto fluviale di Callinicum. Questa era una piccola cittadina situata sullo stesso fiume di Lakandahar, ma era usato soprattutto come forte romano per proteggere la Siria dagli attacchi dei sassanidi. Noi Giustini eravamo molto conosciuti nel paese, soprattutto dal comandante locale Antheimos, grande amico ed alleato di papà. Attraccammo con la nave su un piccolo molo, ma Elena mi fermò prima di scendere.
«Tu resti sulla nave, e te ne torni a casa. Va bene?»
«No dai! Sono tuo fratello, perché non posso sapere nulla?!»
«Dannazione! E va bene, seguimi, ma a Palmira non ci vieni. Al limite lo scopri da solo, ma so che non ne sarai in grado».
Potevo benissimo tornare indietro ma, siccome mi trovavo già lì, decisi di seguire mia sorella. Magari, prima o poi l'averi costretta a rivelarmi tutto. Cos'era questa cosa così importante da rimanere un segreto? Forse rimpiangeva ancora mio padre, come del resto anche io, e ciò l'ha fatta diventare un po' chiusa in se stessa; oppure, potrebbe anche essere qualcos'altro. Intanto noi eravamo scesi dalla nave, Aetius restò lì per aspettarmi. Seguii mia sorella per le vie della cittadina... Che chiamarla così era anche un parolone, visto che era una via di mezzo tra un villaggio ed una fortezza. Il posto era molto arretrato, si viveva molto peggio che a Lakandahar, perché le case del paese erano per lo più abitate da soldati feriti pronti a morire per la patria. Dannati sassanidi! Beh, non ci si poteva aspettare nulla dagli eredi dell'antico popolo persiano. Gli unici abitanti che facevano altro erano maggiormente contadini ed artigiani, mentre raramente si incontravano venditori di suppellettili ed altri beni non essenziali per i mercatini cittadini. Ci dirigemmo prima verso l'unica taverna presente per mangiare qualcosa, e ci dirigemmo verso l'accampamento militare per incontrare Antheimos. Egli era un generale anziano proveniente da Atene, ora a Callinicum per proteggere il confine. Era una persona ben addestrata ed intelligente, forse poteva dare ad Elena un consiglio per raggiungere Palmira.
«Prego?» Disse un soldato che ci fermò allarmato mentre entravamo nell'accampamento, forse perché aveva visto le nostre armi.
«Facciamo parte della gens Iustina Marcia, dobbiamo parlare col vostro comandante». Disse Elena con tono superiore.
«Oh, scusate! Entrate pure, vado ad avvisarlo!»
«Non ce n'è bisogno, mostraci soltanto la strada per raggiungerlo».
Il soldato aprì il portone e lo seguimmo fino alla dimora del comandante. L'accampamento era molto ampio, e dotato di molte guarnigioni di soldati e difese. Nella parte nord, si poteva attraversare l'unico ponte che permetteva di raggiungere l'altra sponda dell'Eufrate: sicuramente saremmo stati al sicuro lì, nonostante ci trovassimo al confine con l'impero sassanide.
Fatto ciò entrammo nella dimora di Antheimos, che stava scrivendo qualcosa su un papiro.
«Oh, chi si vede!" Lui si alzò contento dalla sua sedia e aprì le braccia in segno di affetto. "Elena! E lui chi è?»
«Ma come chi è? E' Crisio, mio fratello!"
«Oh giusto. Non lo vedevo da quando era basso così!" Fece un gesto con le mani per indicare un'altezza approssimativa. "Come mai non c'è vostro padre?"
«Ehm... E' morto tre giorni fa".
«Come sarebbe a dire... Che è morto?" Antheimos mise le mani sul capo per la disperazione "Non ci posso credere! Come mai?"
«E' morto in battaglia. E' stato ucciso da Cr... Volevo dire, è stato ucciso crudelmente».
«Mi dispiace, dannazione. Eravamo molto amici io e lui, sapete? Ci aiutavamo a vicenda. Adesso chi è il nuovo re della città?»
«Un certo Pheniken II, non so se lo conosci".
«Ho già sentito da qualche parte questo nome... Ah, vabbé. Comunque, per quale motivo siete giunti qui da Lakandahar?»
«Volevo un consiglio per raggiungere sani e salvi la città di Palmira».
«Oh capisco! Beh, potrei darti un cavallo... Che ne dici?»
«Ehi, e io non esisto?» Io intervenni all'improvviso, perché non venivo minimamente considerato.
«Ho detto che tu torni a casa!»
«No dai, per favore! Voglio veni-»
Tutto d'un tratto entrò nella stanza del re il soldato di prima che faceva la guardia al portone, molto agitato.
«Comandante, abbiamo localizzato truppe nemiche! Si stanno dirigendo verso la porta occidentale!»
«Chiudete immediatamente i portoni della città, e posiziona dei soldati alle entrate!»
«Che succede?» Disse Elena spaventata.
«Solita routine, quei sassanidi non hanno proprio nulla da fare e vogliono divertirsi con noi. Venite sul balcone, c'è una vista proprio sul portone ad occidente; da lì potremmo guardare la situazione».
Appena uscimmo fuori, rimanemmo stupefatti. Il comandante si era dimenticato delle condizioni delle mura occidentali, distrutte e ancora in riparazione; difatti, era un ottimo modo per entrare indisturbati in città! Gli abitanti urlavano disperati, iniziava a spuntare fumo ovunque e i soldati nemici iniziavano a saccheggiare le abitazioni e a spingere il loro ferro nelle fragili carni degli artigiani!
«Aspetta, ora che vedo bene... Ma sbaglio o non sono sassanidi?»
«Hai ragione. Aspetta, ma quel soldato... Quel soldato ha uno stendardo con lo stemma di Lakandahar!» Elena enunciò una frase che non doveva essere pronunciata in quel momento, in un momento di pace e serenità.
«Dannazione, non ci voleva. Vedo qualcosa luccicare in lontananza, sembra proprio quella mela che aveva Pheniken... Difatti è proprio lui. E' impossibile non riconoscere quella testa calva e luccicante!» Dissi spaventato, dove potevamo andare?
«V-voi restate qui. Ci penserà la legione di Callinicum!"
Intanto il fumo aveva preso il posto del cielo, non si vedeva quasi più nulla, tranne che il grigio e il rosso degli incendi! Tuttavia eravamo salvi da questi, perché l'accampamento era circondato da efficaci mura in arenaria; però si stava avvicinando l'esercito nemico: Callinicum non poteva fare più nulla dinanzi al potere della mela dell'Eden. Sentimmo infatti sfondare le porte della zona militare, e sentimmo passi di soldati; questi avevano delle pezze sulla bocca e sul naso, ma io ed Elena stavamo per morire di asfissia a causa dell'elevato fumo... Purtroppo le case erano quasi tutte di legno.
«Fermi!» I soldati nemici stavano per raggiungerci sul balcone, ma furono fermati da una voce familiare proveniente dalle loro spalle «Non uccideteli, fateli soltanto svenire. A loro ci penso io». Noi ormai eravamo in un vicolo cieco e non potevamo fare nulla per scappare, e ci lasciammo catturare; ci diedero un pugno così forte da farci svenire all'istante!

Lakandahar, Siria - Ore 8:00 del 4 Dicembre 259

Ci ritrovammo in uno strano sgabuzzino, le uniche fonti di luce erano due candele: davanti a noi c'erano due uomini aventi due spathe, mentre io ed Elena eravamo legati ad una colonna in legno.
«Dove siamo?» Chiesi spaventato alle guardie, ma loro mi diedero un forte schiaffo per farmi stare in silenzio. Mentre mi lamentavo, notai subito che le catene erano molto lunghe, e potevo allungare le mani per fare qualcosa. Alla mia sinistra giaceva un tavolino ligneo con sopra varie spade e coltelli; doveva essere un piccolo deposito per le armi. Le guardie stavano chiacchierando e intanto io cercavo di alzarmi facendo meno rumore possibile, e riuscii a prendere due coltelli: c'erano anche le nostre armi sul tavolo!
Così mi sedetti di nuovo con le gambe incrociate, nascondendo un coltello sotto di esse e dandone uno anche a mia sorella.
«Mi scusi...» Parlai per chiedere un piccolo aiuto, per avvicinarmi facilmente al viso di una guardia. «Può vedere cos'ho sulla faccia? Forse ho un ragno che cammina!»
«Ahahah!» La guardia scoppiò a ridere, ma stupida quant'era si avvicinò comunque per togliermelo. «Te lo tolgo proprio perché so cosa si prova! Ti ricordi, Flavius? Quella volta quando...»
«Via!» Urlai a squarciagola per avvisare mia sorella, e infilzai quel coltello nella vena principale del collo per ucciderlo all'istante, mia sorella invece si alzò e lo prese alle spalle; c'era un lago di sangue per terra.
Ci liberammo dalle catene, e prendemmo le nostre fidate armi e vesti. In quello stanzino trovai anche una lorica musculata dorata... Era nuovissima, decisi di indossarla perché sarebbe stata utile.
Usciti dallo sgabuzzino, ci ritrovammo in un qualche deposito di pergamene, e l'unica uscita sembrava essere una scalinata che portava in alto. Salite le scale, rimanemmo stupidi del fatto che ci ritrovavamo proprio all'interno della biblioteca di Lakandahar! Quindi i sotterranei potevano essere una specie di base, oltre a fungere da normale deposito? Appena ricordai le parole di Pheniken, che voleva pensare lui a noi... Ho pensato di fuggire immediatamente.

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