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[Vinnie] Fall after Fall


Snorlax

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Beh, ecco. Penso sia ovvio: non posso di certo partecipare ad un contest in cui sono giudice e creato da me, però volevo assolutamente creare qualcosa a tema autunno. Quindi, ecco qui.

Fall after Fall

Fugaci, le nuvole autunnali si muovevano nel cielo terso. I rumori erano come attutiti dal fitto fogliame del bosco, le cui foglie, lentamente, iniziavano a cadere al suolo. Leggere, lentamente si adagiavano attorno a me. Dei veloci passeri sfrecciarono nell'azzurro, fendendo l'aria umida e intensa. Steso sul fogliame bagnato dopo la pioggia, restai ad osservare i cambiamenti attorno a me. Tutto pareva pacato, immobile. Era come bloccato dopo la frenesia dell'estate. Così, restai fermo a pensare quanto fugace fosse la nostra vita. Tutto sarebbe sempre cambiato, in un eterno ciclo. Anche noi uomini, inesorabilmente, avremmo vissuto le nostre diversità  e sfogliato, come in un libro, tutta la vita. Iniziai a ricordare i miei autunni, trascorsi a correre nella nebbia novembrina, vicino casa dei miei nonni, e a cogliere da terra qualche piccola castagna, pungendomi con gli aghi del loro verde involucro. Spesso provavo dolore, ma in fondo vi era sempre quello strano senso di soddisfazione nell'aver raggiunto la propria meta, di aver osato pur di ottenere ciò che volevo. Con il passare degli anni, l'autunno divenne altro, ovvero il periodo della scuola, delle nuove amicizie e di tante sofferenze. Attorno a me, la gente cresceva, e viveva il proprio autunno in maniera del tutto diversa. Dal punto di vista positivo di un giovane, l'autunno era una delle stagioni, quella più colorata ma, stranamente, quella più triste. Affondai le dita nella terra argillosa, cercando di arginare i ricordi dolorosi che quella stagione mi aveva donato. In autunno conobbi, per la prima volta, la morte. La paura di dover dire addio ad una persona cara mi assalì, e non mi abbandonò mai. Un'ovvietà  tanto banale quanto crudele. Però... Però l'autunno aveva portato nella mia vita gioie e ricordi. Le ore passate a sorseggiare del the con mia madre, e a passare la serata insieme, accanto, a guardare qualche noioso programma di cucina. L'attesa per il Natale, la cui aria, in casa mia, si respirava fin dalla prima settimana di Novembre, quando le vetrine dei negozi iniziavano a brillare, quando sugli scaffali dei supermercati apparivano i primi panettoni, che compravamo e portavamo a casa come fossero dei doni del Cielo. I brevi weekend a raccogliere i funghi nella nostra casetta in montagna; gli stessi funghi che dopo poche ore mi avrebbero provocato un fortissimo mal di pancia. E ancora le lunghe camminate nei boschi, ad ammirare il fogliame brillante e infuocato, quell'attesa febbrile di vedere le collinette accanto casa mia diventare gialle, rosse e infine bianche per la neve. Quella neve che, puntualmente, sanciva la fine dell'autunno e l'inizio dell'inverno.

Ecco, questo mi sarebbe mancato della mia terra, della mia vita, del mio autunno. Una vita immersa nei ricordi passati, con la speranza che se ne aggiungano di futuri, e che essi siano sempre migliori, sempre diversi, sempre felici. Chiusi gli occhi, e lasciai che una foglia giallognola mi cadesse sul collo, disteso e inarcato, come a puntare verso le nuvole, quelle nuvole che avrebbero portato la pioggia, di nuovo. La paura di fuggire dalla mia vita e di dover dimenticare quei momenti mi assalì, e mi lasciò dentro un senso di vuoto, di fallimento. Non avevo il coraggio di alzarmi da quel luogo, di perdere quei momenti. Non potevo, però, restare per sempre a vivere di ricordi, distruggendo i miei sogni e le mie certezze. Lasciare l'arretratezza di quei luoghi mi avrebbe anche fatto perdere quelle sensazioni, ma avrebbe di certo migliorato la mia vita. Riaprii gli occhi. Il cielo era quasi completamente cupo, ora. Un po' stordito mi rialzai, con i capelli e i vestiti bagnati. Mi avvicinai ad un ceppo di castagno, sul quale avevo posato la mia borsa, e, mestamente, mi riavviai verso casa, percorrendo quei viali che, presto, sarebbero stati invasi dalla nebbia. Ebbi come la voglia di correre, per ricordare cosa si provasse, ma all'improvviso mi sentii stupido, ormai ero cresciuto. Avrei avuto una nuova vita altrove, dove l'autunno sarebbe arrivato e, chissà , forse l'avrei aspettato insieme ai miei figli, che avrebbero vissuto una vita felice, diversa dalla mia, più tranquilla, in un luogo diverso. La chiesetta del paese dei miei nonni era ormai quasi in rovina. Salii nella mia auto e tornai indietro. L'asfalto era bagnato e ricoperto da numerose foglie scivolose. L'incendio di colori di quella valle mi attirava e mi esaltava, in qualche modo. No, non avrei mai potuto abbandonare i miei ricordi, non avrei mai potuto tradire quegli autunni che avevano cambiato e caratterizzato la mia vita. Non ne avevo il coraggio. Con gli occhi assonnati e arrossiti, guardai la vallata, che sembrava mi chiamasse.

Premetti il piede sull'acceleratore, con un ghigno, e lasciai che quell'autunno talmente diverso dagli altri diventasse il mio ultimo ricordo.

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