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[Contest di scrittura non ufficiale] Dillo con un fiore! ( Qui postate gli elaborati)


Vulpah

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Per evitare una confusione immane, ecco qua il topic dove dovete postare gli elaborati.

Vi ricordo che le iscrizioni terminano oggi e il contest il 16 aprile, ma saranno disponibili ulteriori proroghe.

Ecco qua l'elaborato di VivaOshawott e Espeon, ergo sei pregato di non ripostarlo :)

L'Orchidea:

Ondeggia e ti incanta

Magica l'Orchidea

con il suo dondolio incantevole

Di tutti i colori ti tinge

la pelle che ti carezza

ti rilassa con il canto

dolce com'di Meloetta

ti trasporta senza che tu

te ne accorga

ti spinge ad amare

perchè la primavera

è alle porte e lei

con la sua felicità 

ti porta viaaaaaaaaa

uno Shaimyn ti..

confonde con benevolezza...

e non ti lascia parlar'

ti vuole troppo bene

che ti si attacca

e i vestiti ti strappa di dosso

ti bacia d'amor'

ti accarezza dolcemente il viso

col'dorso vischioso...

come un'Orchidea bianca

come seta pregiata

come un'Orchidea rosa

che diffonde l'amore

come un'Orchidea azzurra

che ti trascina nel cielo.

È invece ecco i restanti partecipanti ^^

Madness: Acacia

Giovix2002: Agrifoglio

KuroNeko: Amatanto

Grovyle96 e Lightning: Anemone

Marko99: Edera

Pokemonmaster98: Erica

Squalo99: Fiordaliso

Edre e NewtonN: Ninfea

Meylor: Lillà 

Ryuki: Loto

VivaOshawott e Espeon: Orchidea *Consegnato*

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Ragazzi, vi ricordi che il contest scade il 16.

Non mettetemi ansia :cry:

Adesso capisci che mi fate passare sempre, eh? XD BTW, ho il racconto pronto dal secondo giorno. Volevo aspettare per postarlo, ma... Ma vabbé.

Nymphà¦a

Assaporai quell’ultimo istante con tutta me stessa.

Mi morsi le labbra quasi inconsciamente, chiudendo gli occhi. L’acqua fredda dello stagno lambiva le dita dei miei piedi nudi, per poi congelare l’intero corpo a ogni piccolo passo. E ciò mi piaceva.

Strinsi il petto tra le mie braccia, in un abbraccio solitario e consolatorio, ingannandomi. Sì, tutto sarebbe finito presto. Molto presto.

Ma non sarebbe stato così.

Feci scorrere la punta delle dita sulle mie gelide braccia. Sopra e sotto, accarezzando la pelle, confortando quelle membra inermi con un calore effimero e bugiardo, coprendola e riscaldandola per poi abbandonarla al gelo della notte, e tornare a consolarla sotto le mie mani, e abbandonarla ancora.

Scoprii di avere un corpo solo in quell’istante, e cercai di viverlo per gli ultimi attimi, godendo di una gioia tanto folle quanto masochista e beffarda nella coscienza della sua perdizione eterna, dove avrebbe consumato le sue forme in un inferno di ghiaccio.

L’acqua scorreva sulle mie gambe ad ogni passo, e sembrava quasi che mi richiamasse a sé, come se ritrovasse una figlia persa molto tempo prima.

“Sono tornata all’origine”.

E continuavo la mia corsa verso la parte più profonda, mentre le mie gambe sfioravano la flora sottomarina, terribile ossimoro in quel momento della mia vita.

L’erba scivolosa sotto i miei piedi, con i suoi fluttuanti filamenti scossi dai flutti calmi dell’acqua lacustre.

Le ninfee rosee, mosse lentamente da una forza invisibile sulla superficie dello stagno, inabissate e risollevate dalle lievi onde smosse dal mio corpo.

E le lucciole. Oh, le lucciole, così vitali nel loro svolazzare nell’aria notturna, come a punteggiare l’aria attorno a me di stelle dai movimenti psichedelici e incantati.

Il fruscio della foresta, animata da qualche animale di passaggio.

“Sono la cosa meno viva, qui”.

Esatto. In quella spenta vitalità  io ero la parte più inerme, la parte più... Morta.

Che senso avrebbe avuto vivere ancora, con quel malessere?

Un altro passo, e l’acqua raggiunse il ventre. Il freddo della notte e dell’acqua erano come indistinti, per me. Mi sentivo vagare in un limbo ricolmo di nulla e gelo, dove il mio corpo era relegato solo alla funzione di intermediario tra la vita terrena e ultraterrena.

Sentii le mie gambe cedere al peso dell’acqua e accasciarsi l’una contro l’altra, ormai distanti da me. E ancora piacere. Piacere di toccare, finalmente, il mio Destino.

“Questo sarà  il mio ultimo inganno”.

L’ultimo inganno a me stessa. Il dolore e la morte per ignorare la disperazione di quell’amore impossibile che mi ha da sempre torturata.

Perché... Perché lei non sarebbe mai stata mia. Sarebbe stata solo l’ennesima delusione in una vita che doveva essere normale, ma che nessuno avrebbe mai accettato da me. Perché non avrei mai potuto baciarla la mattina, toccarle i capelli, rivelarle il mio amore senza perderla per sempre... Perché una bella ragazza deve sposare un suo Principe Azzurro, non c’è spazio per le proprie emozioni, le proprie necessità , i propri sentimenti.

“Non sono funzionante”.

Mio padre mi diceva sempre così, prima che morisse. Non accettava che la sua bambina potesse amare la bambina di un altro padre. Era un sacrilegio per lui, una blasfemia. Lui che era cresciuto nel rispetto delle leggi di Dio, quel dio misericordioso e compassionevole che mi ha sempre rigettata.

Alla sua morte provai gioia. E dopo aver provato gioia, provai soddisfazione nel non aver avuto nessun rammarico nel farlo. Soddisfazione nel sapere che nonostante tutte le sue preghiere sarebbe finito all’Inferno per aver odiato me. Sua figlia, quella che non funziona bene. E malauguratamente senza garanzia.

Ma anche quando mio padre era in vita, mi bastava quel volto angelico, quel pensiero struggente di poterla avere e... E niente. La mia vita sembrava illuminarsi di un nuovo sole, troppo lontano da me eppure così luminoso da poter cambiare i miei giorni, mutarli in fiumi di speranza pronti a gettarsi ancora una volta nel mare della disperazione, dove tutto sarebbe tornato scuro, impalpabile.

“Ho raggiunto quel mare”.

L’impossibilità  di sostenere quel pensiero mi fece scivolare lentamente nell’acqua gelida. Assaporai il puro spavento del mio corpo nell’incontrare in un attimo quel muro di ghiaccio e rimasi lì a giacere inerme, mentre il fluido infernale mi lambiva il seno e il volto, in un’estasi del dolore che mi cullava lentamente.

Aprii gli occhi verso il cielo.

Una luna crescente illuminava fiocamente il cielo, facendo splendere le stelle di una luce speranzosa e continua. Punti fermi nell’universo. E poi c’erano le lucciole, piccole stelle danzanti più vicine a me. Confuse, veloci, bisbetiche.

“Quella danza è come me”.

Sì, come me. Come la mia vita. Quelle stelle immobili erano le persone che non avevano mai compreso, o voluto comprendere il mio tormento interiore. Non c’è mai stato nessuno che abbia mai provato semplicemente a guardarmi negli occhi e aprire il suo cuore. Mai uno sforzo per comprendere le mie necessità  e andare oltre al desiderio di una perfezione inesistente. Una perfezione sbagliata, che non tiene conto della felicità  personale, ma solo di ciò che vuole la gente da te. Ciò che non avrei mai voluto dare.

E ora giaccio nel vuoto per consumare la mia pelle e il mio dolore. E nel sentire il mio corpo disfarsi, il mio cuore rantolare e perdersi in un immenso lago di sangue e perdizione, torno a vivermi.

Eppure, giaccio come una di queste ninfee, immobile.

Lay me down

Let the only sound

Be the overflow

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ecco, spero non sia troppo lungo

Il Kappa del loto

Lasciate che vi racconti una storia che non si svolse in luoghi maestosi e affascinanti.

La nostra storia trova culla piuttosto, nel freddo fango di uno stagno, una palude colma di insetti e ratti.

Ma sapete perché questa storia è così incantevole? Perché è proprio dal lerciume, che nascono le cose più belle.

Quando la luce abbraccerà  questa terra fredda coperta da alberi maestosi, significherà  solo la sua fine.

Giungiamo a chi per noi abiterà  questo racconto, così come per sé stesso abita il fiume. Vi siete mai soffermati a pensare quanto sia graziosa la tartarughina che nuota nell’acquario o alla ranocchia che saltella nello stagno sotto casa? Bè un kappa invece non è per nulla grazioso. È verde, squamoso, pieno di grinze ed assomiglia ad un bambino molto brutto con un becco giallo ed un piattino sulla testa. Questo poi! Viveva in una buca nel fango e quindi era costantemente sporco ed incrostato. Ah, il piattino è molto importante per un kappa mi raccomando! Ricordate: non rovesciate mai il piattino di un kappa!

E sappiate anche che non avrà  un nome solo per accomodare gli spettatori, poiché le creature non umane non necessitano di cose simili per affermare ciò che sono, a sé stessi, o agli altri.

Quando quel poco di luce entrò, col permesso delle fronde nel cielo. I nidi cominciarono a pigolare e lo stagno ad incresparsi.

Anche il nostro kappa allora venne fuori dalla tana. Brutto e repellente si fece una doccia di terra e piante morte e bevve l’acqua acquitrinosa. Solo quelle creature dello stagno potevano non fuggire dinnanzi a tanta bruttezza.

Un salmerino mise il muso fori dall'acqua per salutare il kappa ed egli ricambiò gettandosi anch'esso nello stagno. Come tutte le mattine fece a gara di nuoto con le carpe iridee e banchettò a base di alghe e girini.

Tuttavia la cosa che più amava era lasciarsi galleggiare a pancia in su in mezzo ai fior di loto. Il cuore dello stagno; così soleva considerare quella zona punteggiata di bianco e rosa. Sarà  giusto che vi avverta. A quei tempi il loto non aveva larghe foglie a sostenerlo delicatamente sul pelo dell’acqua e sprofondava per un quarto nello stagno, che ne avvolgeva direttamente i petali.

Tutto procedeva com'era nella norma di quell'esistenza nella fanghiglia. Tutto tranne quel loto che ondeggiava in modo assurdo. Tutto tranne quel visino che sbucò da sotto un fiore. Un visino pallido composto da acqua e da polvere di stelle. Non c’era altro modo per descriverla. Il kappa rimase sbalordito abituato com'era allo sporco, nel vedere qualcosa di così pulito.

<<Chi sei?>> chiese al loto

<<Un fiore>> rispose lei con voce chiara e limpida, in netto contrasto con le increspature che nasceva nell’acqua, laddove i suoi seni andavano formandosi

<<No, non è vero, i fiori non parlano>>

<<Certo che parlano, solo che sono timidi>>

<<No, non è vero! Vivo nello stagno da molto tempo e non ho mai sentito un fiore parlare!>>

<<Gli alberi sono qui da più tempo di te e chiedilo, chiedilo a loro se parliamo o no!>>

<<Anche gli alberi parlano?>> chiese il kappa sempre più incuriosito.

<<Oh, i loro sono i discorsi più affascinanti. Sanno molto cose, sai? Ma come non li senti? Eppure sono dei tali chiacchieroni>> Detto questo la bimba-loto storse il naso e si sentì un brontolio

<<Io non sento gli alberi, ma sento chiaramente la tua fame. Vieni con me>>

Il kappa prese per mano il fiore e la trascinò nuotando in riva allo stagno, ma prima che potesse uscirne la bimba-loto lo fermò <<No, non farmi uscire dall'acqua. Io non posso venire o evaporerò>>

<<Scusa, io non lo sapevo. Allora aspetta qui allora>>

Il kappa corse via, lontano dallo stagno, lasciando la bambina ad attenderlo nell'acqua Bisogna dire che fu piuttosto veloce a tornare, dato che aveva i piedi palmati ad impedirgli i movimenti sulla terra ferma.

Portò alla bambina-loto un pugno di cetrioli verdi e coriacei come il kappa stesso.

<<Ecco mangia questi, sono buonissimi, e sono freschi. Appena colti!>>

Il loto lo guardò dubbiosa, tastò un cetriolo e scosse la testa <<no, non posso mangiare questa roba>>

<<Perché no? Guarda che sono buoni>> ed effettivamente i cetrioli erano il cibo preferito del nostro kappa e non poteva immaginare che potessero non piacere a qualcuno <<cosa mangi allora?>>

<<Qualcosa che non puoi darmi>> disse lei alzando gli occhi al cielo <<fino ad allora continuerò ad aver fame>>

<<Allora facciamo qualcos'altro, così non sentirai la fame>>

E così l’orrido kappa fece amicizia col cuore dello stagno e insieme giocavano a nascondino nell'acqua o ascoltava i nidi cantare.

Le frasche danzavano al ritmo delle risa del loto e l’acqua intorno a lei creava increspature più morbide, più pure.

Tuttavia, giunge sempre per tutti. Il momento di dirsi addio.

Il loro arrivò col canto del gallo e con il ruggito di un mostro. Un mostro fatto di ferro e uomini.

Era il periodo in cui il mondo cominciava ad evolversi e la natura a regredire. Le paludi erano brutte, infestate. E le cose brutte devono sparire.

Vennero con le macchine, col fumo del fuoco, di quello distruttivo, che non avrebbe più permesso a nulla di rinascere.

Così la bonifica cominciò nell'acqua fangosa tinta di rosso degli amici pesci. I nidi che pigolavano sempre più piano e gli alberi che tacevano. Per davvero questa volta.

Il kappa corse a cercare la sua piccola amica, ma dello stagno non era rimasto che una pozza d’acqua e al centro di essa stava un fiore appassente. Lo raccolse e per la prima volta in vita sua si soffermò sulla sua immagine riflessa nello specchio. Lui era davvero molto brutto. Era per questo che stava accadendo questo. Era davvero così brutto? Ma quel fiore che teneva in mano non lo rendeva automaticamente più bello?

Il kappa lo strinse a sé e corse via. Corse per tanto, tanto tempo. Tanto che quando trovò un altro stagno, il piattino sulla sua testa era ormai quasi del tutto privo d’acqua e i suo passi si trascinavano lenti. Le membrane dei piedi erano ormai lacere e piene di sangue incrostate.

Ma alla fine ci arrivò. Arrivò in acqua e aveva ancora il fiore in mano. Secco. Ingrigito, ma pur sempre bellissimo.

Lo poggiò sul filo dell’acqua e cadde. Ed il suo piattino ormai secco si crepò. I cocci sprofondarono negli abissi, ma prima di sparire anch'egli nelle buie profondità  di uno stagno sconosciuto, accarezzò da sotto l’acqua, il fiore che stava lassù, che ancora galleggiava.

Ed allora accadde il miracolo più bello di tutta la storia. Piovve.

Le gocce d’acqua scivolarono morbide sui petali del loto senza romperlo. Questo ne assorbì la purezza e se ne nutrì. Si tinse di rosa, così com'era stato prima di seccare. Finalmente sazio, mise radici.

Una foglia larga, verde, simile ad un piattino, risalì dal fondo fangoso dello stagno e sollevò delicatamente il fiore, cullandolo e proteggendolo.

con accompagnamento sonoro è più bello e lo consiglio *w*

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Cortissimo lo ammetto, ma penso che il contenuto sia più importante (almeno spero XD )

Le emozioni dei Lillà 

Cambiò tutto quel giorno, quel giorno in cui passegggiando nel viale degli aranci il nostro sguardo s'incrociò e tu mi dissi un semplice "Buongiorno". Io, imbarazzata dal mio continuo balbettare , corsi via in preda al panico, mentre tu ,stranito dalla reazione, mi chiamavi gridando per poter conoscere il mio nome. Da quel giorno ogni volta che, mentre camminavo sotto le fronde in fiore , ti vidi e scappai per la paura di vederti. Era strano, non capivo cosa non andava e perchè il battito del mio cuore accellerasse quando il mio sguardo capitava su di te. Tu eri sempre lì, il tuo sguardo guardava il mare mentre il mio cuore mi faceva sprofondare giù, fino al giorno che mi aspettasti con dei fiori in mano e mi chiedesti il nome. Io , sempre balbettando risposi, non capivo cos'era. Non avevo mai avuto quel problema e non capivo perchè ogni volta che ti vedevo mi sembrava di diventare paonazza. Quel giorno sotto i fiori d'arancio mi regalasti tre lillà , dopo le domande, le scuse e i sorrisi ci salutammo. Da quel giorno ci incontriamo sempre sotto gli aranci, io paonazza con un gran sorriso sulle labbra e tu rosso con un mazzo di fiori, gli stessi che mi regalasti quando ci presentammo. Le emozioni che mi portavano a toccare il cielo con un dito o che mi facevano sprofondare dalla vergogna e l'imbarazzo. Quelle che mi facesti provare tu, durante quelle giornate di maggio, le stesse dall'intenso profumo e i delicati colori dei lillà : Tu mi facesti conoscere le prime emozioni d'amore.

Questa è la coanzone che ho ascoltato mentre scrivevo :3 Provate a leggere ascoltandola :umbreonplz:

[media

]http://www.youtube.com/watch?v=Q2e-EXECucQ

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