Vai al commento



[Traduzione] Frozen II - Forest of Shadow [CONCLUSO]


Snow.Queen

Post raccomandati

 

Forest of Shadow

 

 

Può Anna sfuggire all’ombra del suo passato?

 

 

Anna di Arendelle non vuole altro che essere d’aiuto a sua sorella maggiore, Elsa. Ma per quanto può vedere Anna, fin dall’incoronazione di Elsa, sua sorella se la cava bene anche senza di lei. E ora, Elsa salperà per un grande giro del mondo—lasciando indietro Anna.

      Ma dopo che una misteriosa malattia colpisce Arendelle, il viaggio di Elsa viene rimandato, dando ad Anna l’opportunità perfetta per poter finalmente essere d’aiuto. Quando Anna trova una stanza segreta nel castello e pronuncia un sortilegio, spera che il suo sogno di curare la malattia diventi realtà. Invece, un sogno più sinistro prende vita: l’incubo d’infanzia di Anna riguardante un lupo gigantesco e spaventoso.

      Insieme a sua sorella, Olaf, Kristoff, e Sven, Anna deve avventurarsi nell’ignoto per fermare l’incubo del lupo prima che distrugga tutto ciò che le è caro. La ricerca di Anna per salvare il regno la condurrà a miti e meraviglie senza eguali, e richiederà coraggio, onestà, e, soprattutto, amore.

      Questo emozionante romanzo collega l’epica avventura di Frozen e Frozen II.

 

 

Per tutti coloro che sono abbastanza coraggiosi da avere paura.

 

 

 

 

La paura sarà tua nemica.

                                        

                                                                                                                        —Gran Papà

 

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Prologo

 

IL CIELO ERA SVEGLIO, e così la foresta.

      Anna di Arendelle abbracciava stretta il suo mantello mentre i rami spogli battevano come denti sopra di lei e il vento le tirava le trecce. Sbirciò in un cespuglio. Per quanto ne sapeva, i cespugli non avevano occhi. Ma d’altra parte, nemmeno le principesse di cinque anni non avrebbero dovuto essere da sole fuori dal castello di notte. Eppure eccola qui… anche se Anna non aveva iniziato la serata da sola. Anche sua sorella, Elsa, era da qualche parte là fuori nel bosco innevato. Forse si nascondeva nel cespuglio a cui Anna si stava avvicinando in punta di piedi in questo momento.

      Tre anni più grande di Anna, con grandi occhi blu e un timido sorriso, Elsa era il tipo di bambina che poteva stare seduta per ore senza oscillare le gambe e la cui treccia ordinata biondo platino le pendeva sempre dritta sulla schiena. Gli adulti spesso sottolineavano quanto fosse ben educata la sorella maggiore di Anna… ma loro non conoscevano Elsa nel modo in cui la conosceva Anna. Sotto ad un esterno equilibrato ed educato c’era un malizioso senso di divertimento. Tutto quello di cui Elsa aveva bisogno era si una scusa, e Anna era felice di essere solo quello: la scusa di Elsa per intrufolarsi nel suo mantello e sgattaiolare fuori dal castello per costruire un pupazzo di neve e giocare a nascondino sotto le luci del nord. Che era esattamente quello che stavano facendo in quel momento. Elsa aveva già trovato Anna in un albero cavo, ma Anna stava cercando Elsa per quello che sembrava un’eternità… o al massimo cinque minuti.

      Le foglie frusciavano di nuovo, e Anna batté le sue mani sulla bocca per impedire la fuga di una risata. Sì, c’era sicuramente qualcuno che la osservava dal cespuglio ricoperto di neve. Trattenendo il respiro, si avvicinò. Era sicura che fosse Elsa, ma c’era anche la possibilità che fosse un Huldrefólk, una di quelle presunte persone nascoste che vivevano nei ruscelli, sotto le rocce, e nelle favole della buonanotte raccontate dalla loro madre, la Regina Iduna. Il cuore di Anna batteva più forte. Se era un Huldrefólk, doveva solo vedere la loro coda. Si era sempre chiesta se la loro coda fosse fluente come quella di un cavallo, o cespugliosa come quella di una volpe, o lunga e fine come quella di un topo.

      Ma Anna aveva l’impressione di sapere chi era la figura che si nascondeva dietro al cespuglio. Anna separò le foglie, e nel colorato bagliore del cielo danzante, intravide dei capelli biondi. Quindi, non un Huldrefólk. Solo una sorella.

 

      Ridendo, Anna scosse il cespuglio. “Ti ho trovato! È il tuo turno di essere il Crusty Troll!”

      Elsa non rispose.

      “Ho detto, ti ho trovato.” Anna sbirciò tra le foglie. “È il mio turno di nascondermi—è la regola. Esci fuori!”

      La sorella di Anna girò la testa, e qui Anna realizzò il suo errore. Non erano capelli biondi quelli che aveva notato nella luce mutevole.

      Era pelo bianco.

L’urlo di Anna le si conficcò in gola mentre un gigantesco lupo bianco si aggirava con insolita grazia fuori dalla boscaglia, i suoi lunghi arti che si srotolano come fumo. Il suo feroce sguardo giallo fissato su di lei, e gli occhi di Anna cadevano sul suo enorme corpo da cavallo… per vedere quattro spaventose zampe, ognuna delle quali grande come uno dei grandi scudi di suo padre, Re Agnarr. Ma questa non era la parte peggiore.

      No, il peggio era la pelliccia macchiata di rosso intorno agli artigli e alla mascella.

      Rosso. Il colore del sangue.

      Cos’era successo a sua sorella?

      “Elsa!” gridò Anna. “Dove sei?”

      Il lupo balzò.

      Anna corse.

      Il suo cuore le sbatteva nel petto, ogni respiro era affilato come un coltello mentre provava a correre più veloce, sempre più veloce—ma sapeva che non sarebbe stata più veloce del lupo. Avvistò un tronco caduto, si tuffò dietro di esso, le ginocchia appoggiate al petto mentre provava a rendersi più piccola possibile. Anche se i suoi polmoni le facevano male per l’aria, Anna trattenne il respiro, non volendo darsi per vinta anche con il minimo espiro. Passò un secondo, poi un altro, poi un altro ancora. Aveva perso il lupo?

 

      La neve cadeva fitta e silente. Anna tremava, desiderando di aver ascoltato Elsa quando le aveva detto di non indossare invece il suo mantello verde più bello ma di indossare quello marrone pesante di lana.

      Elsa. Dov’era Elsa?

      Silenziosa come un’ombra, Anna sbirciò intorno al tronco, aspettando di trovarsi faccia a faccia con il lupo. Invece, tutto quello che vide fu un esercito di alberi che gettavano ombre orribili sul terreno coperto di neve. E mentre il vento si alzava, la paura di Anna di congelare cresceva. Se avesse camminato attraverso la neve fresca, il lupo sarebbe stato in grado di vedere esattamente quale direzione avrebbe preso. E se non avesse camminato attraverso la neve… non avrebbe mai trovato sua sorella.

      Rosso su bianco.

      Sangue sul pelo.

      Anna non poteva rimanere dietro al tronco ancora a lungo. Si tolse il mantello, lo sistemò per terra, facendogli prendere la forma di una bambina di cinque anni che faceva un sonnellino. Poi si spostò in posizione accovacciata. Finora tutto bene. Fece un lento e costante passo avanti. E poi un altro, e un altro, tessendo con cura la sua strada al contrario tra gli alberi, nello stesso modo in cui si diceva che gli Huldrefólk nelle favole della buonanotte di sua madre viaggiassero in modo che potessero tenere nascosta la loro coda. Ma Anna non aveva una coda da nascondere. Invece, stava lasciando una traccia di impronte fresche nella neve—impronte che portavano sempre lontano da dove fosse attualmente.

      “Elsa,” sospirò, “hai vinto a nascondino. Per favore vieni fuori.”

      Ma ancora non ci fu risposta. La neve cadeva veloce, quindi Anna si muoveva veloce, sfrecciando tra gli alberi, tuffandosi dietro ai massi, e tutto mentre controllava gli alberi innevati in cerca di una traccia di sua sorella—uno qualsiasi. Ma non c’era nessuna impronta da vedere. Era come se sua sorella fosse stata cancellata. Come se...ma il pensiero era troppo orribile per Anna da finire.

      Da qualche parte nelle vicinanze, il lupo ululò.

 

      Anna gelò. Conosceva quel suono. Era lo stesso suono che emettevano i cani da caccia di suo padre quando sentivano l’odore di una volpe. Il lupo ululò ancora, ma questa volta era un po’ più lontano. L’esca di Anna aveva funzionato! Anna girò intorno e corse. La neve cadeva veloce, gli spessi fiocchi le si appiccicavano alle ciglia e rendevano difficile vedere.

      “Elsa!” Il nome le uscì dalla gola. “Elsaaaa! El—” soffocò la parola.

      Lì, davanti a lei, non c’era sua sorella, ma il lupo.

      Ancora una volta, i suoi feroci occhi gialli erano puntati su di lei.

      Come aveva fatto a precederla? Non c’era tempo di pensare—solo di correre.

      Anna ha pompato le gambe, facendo volare la neve attorno a lei. Non poteva fermarsi. Tutto il suo mondo era neve e paura e freddo, e poi improvvisamente—cielo infinito. Era sul bordo di una rupe. Una distesa di inchiostro del nulla le giaceva davanti, ma sapeva che qualsiasi cosa avesse trovato in agguato dietro di lei sarebbe potuto essere peggiore.

      Respiro caldo.

      Artigli affilati.

      Denti aguzzi.

      “ELSA!” urlò ancora.

      Ma Elsa non apparve. Se sua sorella non era lì in quel momento, qualcosa di orribile doveva essere successo. Il dolore si aprì tra le spalle di Anna. Aveva esitato per troppo tempo. Gli artigli del lupo si connetterono con la sua schiena. Anna inciampò in avanti.

      Si tuffò oltre il bordo—

      E si svegliò.

 

      Una mano fresca, confortante era sulla sua fronte, e mentre sbatteva gli occhi, Anna vide la faccia di sua madre metterci a fuoco. Gli occhi azzurro-grigi della regina brillavano con preoccupazione, e i suoi capelli castani le scendevano lungo una spalla, sciolti dalla loro solita marea di trecce e di frange. Un grande scialle bordeaux, cucito con una moltitudine di fiocchi di neve e completo con frange viola, era stato messo sulle sue spalle e stava coprendo una camicia da notte color lavanda.

      Anna si alzò di scatto. “Dov’è Elsa? L’ha presa il lupo?”

      “Anna, è tutto a posto,” sua madre si sedette e avvolse un braccio attorno a lei. “Va tutto bene.”

      “C’era neve, “ disse Anna, il suo cuore batteva ancora. “E alberi! Io stavo correndo, e poi… sono scivolata!” si sforzò di sedersi contro il suoi cuscini. “Elsa era lì, e poi non c’era. Ero così preoccupata!” Suo padre si fece avanti con un vassoio che conteneva tazze con cioccolata calda. “Hai fatto un brutto sogno,” disse. I suoi rubicondi capelli biondi, solitamente ordinatamente pettinati, erano scombussolati, come se fosse appena tornato da una corsa di mezzanotte. Per qualche ragione, stava indossando la sua uniforme blu militare splendente, con medaglie e spalline dorate invece della camicia da notte. Piegandosi, posò il vassoio sopra al tavolo da letto. “Elsa è nella sua stanza, addormentata, come dovremmo essere tutti a quest’ora.”

      Ma non sembrava del tutto corretto. L’ultima cosa che Anna ricordava era di essere sveglia in quello stesso letto, osservando il cielo danzante attraverso la finestra, volendo svegliare Elsa per… fare qualcosa. Ma cosa? Anna strizzò gli occhi, cercando di ricordare attraverso il martellamento nella sua testa. Curioso. Questo era tutto quello che poteva ricordare. La sola cosa dopo quello era il contorno del suo incubo: una montagna, un lupo, e un morso freddo.

      Suo padre si sedette accanto a sua madre e porse una tazza di cioccolata calda a Anna. “Bevi,” disse. Il fumo che proveniva dalla tazza, si muoveva con la stessa disinvoltura e grazia del lupo.

      Anna tremò, ancora un po’ scossa, ma non aveva mai detto no alla cioccolata calda. Ne prese un sorso, e mentre il liquido scivolava verso la sua pancia, le scaldò lo stomaco.

      Sua madre le accarezzò il ginocchio. “Sai, quando facevo un brutto sogno, ho sempre immaginato di accartocciarlo e gettarlo fuori dalla finestra così che Frigg avesse qualcos’altro da pescare oltre alla luna e il sole. Ti ricordi la vecchia storia che ti raccontavo di solito riguardo Frigg il Pescatore, vero?”

 

Anna la ricordava, ma scosse la testa. Voleva che sua madre continuasse a parlare. Si piegò indietro mentre sua madre iniziava la storia di questo pescatore presuntuoso che continuava a lanciare le sue reti per ottenere premi più grandi e si trovò accidentalmente bloccato in un oceano notturno di stelle. Anna si immerse nella confortante presenza di sua madre, che profumava sempre di lavanda.

      Il ricordo dell’incubo svanì, rimpiazzato da qualcosa che era reale: la sua accogliente camera da letto decorata con carta da parati rosa, tappeti spessi e decorati, e un dipinto ovale del Castello di Arendelle che amava ammirare, un arazzo di regine e candele tremolanti nelle applique ai muri. Anche se le fiamme non bruciavano nel camino, qualche brace ancora brillava come dei gioielli abbandonati. E i suoi genitori accanto a lei erano i dettagli più intimi di tutti. Gli occhi di Anna diventavano pesanti.

      “Ti senti meglio?” sospirò suo padre mentre sua madre finiva la storia.

      Anna annuì, e lui sorrise.

      “Tutto migliora sempre con la cioccolata calda,” disse.

      “Dovremmo svegliare Elsa.” gli occhi di Anna brillavano mentre teneva la sua tazza vuota. “Le piacerebbe.”

      Aveva quasi perso lo scambio di sguardi tra suo padre e sua madre alle sue parole. Ci fu un cambiamento nella stanza, come se una nuvola fosse scivolata oltre a finestra.

      “Elsa ha bisogno di riposare,” disse sua madre. “E anche tu dovresti provare a riposarti. Agnarr, puoi per favore passarmi quel cuscino?”

      Il padre di Anna si alzò e camminò oltre la sedia dipinta di bianco che era stata spostata dal suo posto vicino al muro e ora si trovava tra Anna e il camino. Un altro cuscino e un mucchio di coperte stropicciate si stendevano sul pavimento intorno ad esso, come se fosse un letto di fortuna.

      Anna guardò dal pavimento verso i suoi genitori. Stavano nella sua camera solo se era veramente malata… “Dormirete qui?” chiese Anna. “Sono malata?”

      “Stai benissimo,” disse suo padre con un dolce sorriso. Raccogliendo il cuscino, lo mise dietro la testa di Anna mentre sua madre nascose le coperte pesanti. Anna dimenò i suoi piedi per allentare le coperte solo un po’ mentre i suoi genitori spegnevano le luci e si dirigevano alla porta.

      “Sogni d’oro, Anna,” sospirò sua madre dalla porta, la luce del corridoio delineava lei e il padre di Anna.

      “Sogni d’oro...” rispose mormorando Anna, affondando nel suo cuscino.

 

      La chiazza di luce diventava sempre più piccola, fino a quando, finalmente, svanì quando la porta si chiuse di scatto. Anna sentì il suono dei passi dei suoi genitori allontanarsi prima d girare la guancia per fissare la sua finestra.

      Il cielo era addormentato ora, i fiocchi di colore delle luci del Nord nascosti sotto ad un mosaico di nuvole. Ma la luna rimase brillante. La accecava come gli occhi gialli del lupo. Osservando. E aspettando. Ma per cosa?

Sentendo freddo, Anna tirò le coperte sopra la testa, ma il sonno non arrivò mai.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

 

Sedici Anni Dopo…

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 1

 

 

ANNA SCIVOLÒ GIÙ per le scale do moquette della seconda grande sala, percorrendone due alla volta.

      Quasi inciampò sul pianerottolo, ma non poteva permettersi di rallentare. La torre dell’orologio aveva già battuto le dieci del mattino, e lei aveva promesso ad Elsa che non avrebbe fatto tardi. Per un secondo, pensò di scivolare giù per il corrimano. Sembrava davvero la via più veloce per spostarsi, ma a ventun anni lei era troppo vecchia per certe cose… giusto? Giusto. Ma…

      I piedi di Anna rallentarono. Il legno bianco del corrimano luccicava di una recente lucidatura e di una promessa di velocità. E i suoi nuovi stivali con i tacchi—un regalo di un dignitario di Zaria—non si erano ancora rotti e non erano esattamente il massimo per correre. Diede un’occhiata alle sue spalle. Nessuno era in giro. Decisione presa, tirò la gonne del suo vestito sulle braccia, fece cadere una gamba oltre il corrimano, e scivolò giù per il resto del percorso, atterrando con facilità quando raggiunse il pianerottolo del primo piano. Passò attraverso le porte del castello e corse fuori, verso le scuderie.

      “Elsa! Sono qui!” bisbigliò Anna mentre si spostava attraverso le porte del fienile e entrava nel tranquillo mondo del dolce fieno e dei cavalli che lo sgranocchiavano dolcemente. Si lisciò il retro del suo vestito nero e controllò per assicurarsi che i suoi lunghi capelli castani fossero ancora appuntati al loro posto in una doppia treccia. “Non sono in ritardo! Beh,” ammise. “non così in ritardo. Ma stavo avendo il sogno più affascinante dove...” Si allontanò e si guardò intorno.

      Il suo unico pubblico erano le orecchie in allerta dei cavalli del castello e la cucciolata di gattini nel fienile che inciampavano verso l’entrata delle stalle ogni volta che qualcuno entrava. Ma non c’era nessun segno di Elsa. Anna si tolse la frangia dalla fronte, confusa. In qualche modo, anche se aveva dormito troppo, era riuscita a battere Elsa. Che era strano. Molto, molto, strano. Elsa era sempre puntuale; era uno dei tanti motivi per cui era un’ottima regina, amata da tutta Arendelle.

      Raccogliendo un gattino grigio che faceva le fusa e che aveva iniziato a sbattere contro i suoi lacci degli stivali. Anna fece un passo verso la livrea. Forse Elsa era arrivata qui così presto che aveva deciso di ispezionare la recente consegna di mele. Facendo attenzione a mantenere la sua voce bassa così da non spaventare i cavalli, Anna chiamò di nuovo. “Elsa?”

      “Stai guardando nel posto sbagliato,” disse un’amichevole voce dall’altra parte del fienile, e un attimo dopo, la testa di Kristoff Bjorgman spuntò dalla porta della stalla, un forcone nella mano e un po’ di paglia tra i capelli.

      Anna sorrise. Lo faceva ogni volta che era nei paraggi Kristoff—non poteva farci nulla. Quando Kristoff aveva iniziato a frequentare spesso il castello tre anni prima, Gerda, una delle persone che conoscevano le ragazze sin da quando erano bambine, e che le aiutava anche a pianificare il loro tempo, fece notare alle sorelle quanto assomigliasse alle montagne da cui raccoglieva il ghiaccio: ampio e solido. Elsa sussurrò che sembrava “simpatico”. Quando Anna la spinse per sapere un po’ di più, Elsa aggiunse “biondo”. Tutto questo era vero, ma per Anna, Kristoff non era solo un uomo di montagna o “simpatico” o “biondo”, lui era il suo migliore amico—e sicuramente qualcosa di più, anche se qualche volta puzzava di renna. Il che era completamente comprensibile, dato che il suo migliore amico, Sven, era una renna.

      La testa di Sven sbucò da sopra la porta della stalla per guardare Anna, e ha mosso le orecchie per un saluto amichevole. Anche se Anna aveva invitato molte volte sia Sven che Kristoff a prendere la residenza in una delle numerose camere libere del castello, entrambi preferivano restare nelle stalle. Anna sospettava che gli piacesse lo spazio abitativo meno ristretto del fienile dopo aver passato i mesi estivi sulle montagne a raccogliere il ghiaccio per il regno.

      “Non è qui?” chiese Anna , chinandosi per poggiare gentilmente il gattino. Zampettò via per riunirsi agli altri.

      Kristoff mosse la sua mano sotto al labbro inferiore di Sven e iniziò a muoverlo mentre diceva con la voce di Sven, “Qualcuno non sta ascoltando.”

      Anna sorrise alla “Parlata di Sven” di Kristoff—lui parlava sempre per il suo amico renna. Era ridicolo, ma lo adorava, e così seguì il consiglio di “Sven” e ascoltò ciò che la circondava. All’inizio, tutto quello che sentiva era il fruscio occasionale di una coda di cavallo che faceva volare via le mosche e il miagolio del gattino che girava attorno a uno degli abbeveratoi, ma alla fine, sotto ai soliti rumori, udì uno strano brusio che sembrava…

      “Oh!” gli occhi di Anna si spalancarono e si precipitò in fondo alle scuderie, dove c’era una piccola finestra. Sbirciandoci attraverso, vide quello che sospettava: una piccola folla di cittadini riuniti in cortile. E anche se Anna non poteva vedere esattamente cosa stavano circondando, sapeva esattamente chi poteva essere: Elsa.

      Ovunque Elsa andasse, la gente sembrava seguirla. Erano lì al mattino, facendole domande riguardo quello che avrebbe dovuto essere fatto nel pomeriggio, chiedendole quello che dovevano fare alla sera, chiedendole quello che dovevano fare il giorno dopo. Il tavolo di Elsa nelle camere di consiglio era sempre pieno di carte, e il più delle volte, Anna intravedeva sua sorella solo quando Gerda la accompagnata da un appuntamento all’altro, sempre toccando comicamente il calendario grande come un metronomo per tenere Elsa al passo con i tempi.

      E l’agenda frenetica di Elsa si era riempita ancora di più nell’ultimo mese, perché alla fine di questa settimana, avrebbe finalmente seguito la tradizione iniziata da loro nonno Re Runeard: partire per un grande viaggio intorno al mondo. In cinque giorni, sarebbe partita da Arenfjord, il corpo su cui Arendelle fu costruita, navigando oltre Weselton e le Isole del Sud prima di dirigersi a Est per esplorare terre come Zaria, Royaume, Chatho, Tikaani, Eldora, Torres, e Corona, solo per citarne alcune. Elsa avrebbe incontrato tutti: dignitari e ballerini, scienziati, pittori, e pregiate capre di montagna. E sarebbe andata senza Anna.

      Quando Kai, il vecchio amministratore del castello, aveva menzionato la prima volta che era il momento per Elsa di iniziare a pianificare il suo grande viaggio, Anna aveva ipotizzato che sarebbe andata con sua sorella maggiore. Ma mentre i mesi diventavano settimane e poi giorni, Elsa ancora non l’aveva invitata. E non come se Anna non avesse dato ad Elsa molte occasioni per chiederglielo. Solo la settimana scorsa, Anna aveva casualmente detto che era sempre stato il suo sogno vedere la danza Chathoan—e lo aveva detto in Chanthoanese. Aveva passato giorni a perfezionare il suo accento. Prima di questo, aveva eseguito l’inno nazionale di Tikaani per tutti quelli del castello, con l’accompagnamento di Olaf, il pupazzo di neve che Elsa ha realizzato tre anni prima con i suoi poteri magici di ghiaccio, su un flauto a forma di carota. Finora, però, nessuno degli sforzi di Anna aveva funzionato.

      Ma oggi le cose sarebbero cambiate.

      O così aveva pianificato.

      Sbirciando ancora attraverso la finestra, Anna si accigliò mentre ancora più abitanti del villaggio in scialli e giacche dai colori vivaci entravano passando dalle porte del cancello e si sbrigavano ad unirsi alla folla intorno ad Elsa.

      Anna si era scervellata tutta la settimana e aveva finalmente deciso che il momento perfetto sarebbe stato questa mattina, durante la loro ultima cavalcata tra sorelle tra i boschi in programma prima della partenza di Elsa. Anna sapeva che Elsa trovava la quiete della foresta tranquilla, e sperava che questo avrebbe portato al momento perfetto per chiedere ad Elsa se avesse potuto partire per il grande viaggio con lei. Una cavalcata era anche un’ottima opportunità per provare che Anna poteva essere un’utile compagna di viaggio. Che sarebbe stata d’aiuto e che non si sarebbe messa in mezzo. Ma questo era parte del problema, Elsa non sembrava aver bisogno di aiuto.

      Anche se Elsa era stata incoronata regina solo tre anni fa, Anna già sapeva che sua sorella sarebbe stata ricordata come una dei grandi sovrani di Arendelle, come quelli che erano appesi sull’arazzo che si trovava dall’altra parte del letto di Anna. Sua sorella sembrava avere sempre tutto sotto controllo—anche i sui poteri magici—con una presenza regale di tutto rispetto. Ogni volta che Elsa ascoltava Anna, faceva sentire Anna speciale e importante, e a venti quattro anni, Elsa si comportava nello stesso modo in cui sembrava fare tutto: senza sforzo.

      “È così da quando è arrivata qui,” disse Kristoff, avvicinandosi ad Anna e guardando fuori dalla finestra delle scuderie. “Che,” disse, guardandola con uno sguardo provocatorio, “è stato mezz’ora fa.”

      Anna fece una faccia. “Lo so, lo so—ho dormito troppo… ancora.” Aveva bisogno di trovare un modo di portare via Elsa dalla folla per la loro cavalcata. Prima che Elsa la lasciasse.

      Qualcosa tirava il piede di Anna, e lei abbassò lo sguardo per vedere che il piccolo gattino grigio era ritornato determinato, sembrava, a prendere quei subdoli lacci.

      “Ehi, Kristoff?” disse lentamente Anna, guardando ancora l’insistente gattino, della misura della sua mano, giocare con il suo largo stivale. “Penso di avere un’idea. Hai un minuto?”

      “Per te?” Kristoff strizzò l’occhio. “Sempre.”

      Anna sorrise mentre toglieva il gattino dai suoi lacci e lo metteva tra le braccia di Kristoff. “Perfetto! Allora, ecco il piano...”

      Qualche minuto dopo, Anna lasciò le scuderie e si affrettò a raggiungere l’amichevole folla nel cortile. Mentre si avvicinava , poteva sentire le loro domande che si accumulavano attorno ad Elsa.

      “Vostra Maestà, il camino nella nostra fucina ha delle crepe, e sono preoccupata che non sarà riparato in tempo per l’Inverno,” disse Ada Diaz, una donna con ricci capelli marroni che era di fianco a sua moglie, Tuva Diaz, che aveva anche lei ricci capelli marroni. Loro erano i migliori fabbri del continente ed erano conosciute per aver fatto i ferri di cavallo più fortunati, anche se sembrava che un’abbondanza di ferri di cavallo fortunati non fossero utili quanto la saggezza raccolta dalla loro regina.

      “Io ero qui per primo,” un altro abitante dalla faccia familiare tagliò la strada ad Ada prima di girarsi nella direzione di Elsa e inchinarsi. “Vostra Maestà, avevate promesso che le rocce nel mio giardino sarebbero state rimosse all’inizio dell’Autunno, e guardate—” raccolse una foglia di quercia. “È Autunno!”

      Ah-hem,” disse un altro. “Il Village Crown vi aspetta per annunciare chi saranno i giudici per la festa del raccolto di quest’anno, Vostra Maestà. Avete i nomi?” Anche se Anna non poteva vedere queste precise persone nella folla, sapeva, solo sentendo la sua voce e la sua grazia, la sua tosse da sapientone, che si trattava di Wael, l’auto-proclamato giornalista del villaggio, i cui lucidi capelli neri si abbinavano sempre alle sue mani sporche d’inchiostro.

      Scivolando verso Elsa, Anna fece silenziosamente il conto alla rovescia. Tre...due...uno… Poi fece il segnale a Kristoff.

      “Oh santo cielo, Sven!” proclamò sonoramente Kristoff dall’entrata delle scuderie. “Guarda questi adorabili gattini!”

      “Sono più carini di te!” disse con la voce di Sven. E durante il breve momento in cui tutti nella folla si girarono per guardare i gattini che gironzolavano nell’angolo del cortile, Anna sfrecciò nella folla, afferrando la mano di Elsa, e la tirò sul retro della scuderia.

      “Anna!” sussultò Elsa mentre si nascondevano in un angolo, dove si trovavano completamente sellati Havski e Fjøra, i cavalli più veloci delle scuderie, in piedi ad aspettarle. “Cosa stai facendo?”

      Anna sorrise. “Ti libero!”

      “Ma...” protestò Elsa, sostando un viticcio sciolto di capelli color biondo ghiacciato dalla fronte, “gli abitanti, loro hanno bisogno del mio aiuto—”

      “Lo so!” annuì Anna. “Ma Kai e Gerda possono soddisfare le loro richieste, ed è importante per te uscire un’ultima volta prima che tu salpi—solo per assicurarsi che tutto sia in ordine. Non sei d’accordo? Comunque,” aggiunse, ancora più raggiante, “non vuoi passare un po’ di tempo con me?”

      Anche se si era occupata dei reclami per tutta la mattina, Elsa sembrava ancora calma e regale. Il vento soffiava attraverso una porta aperta e colpì il suo mantello blu trasparente, e spostò la treccia situata sulla sua spalla sinistra. Per un momento, sembrava una regina coraggiosa e senza tempo di una delle storie dei libri di storia di Anna, ed era come era prima—quando erano solo due bambine che sgattaiolavano fuori dalle loro camere per un’avventura notturna.

      “Presumo che posso lasciare che Kai e Gerda si occupino di queste cose—solo per questa volta,” disse Elsa.

      Anna emise un grido di gioia. Salì sul dorso di Havski mentre Elsa si prese un momento per salire su Fjøra, un magnifico cavallo con la coda a strisce bianche e nere. Finalmente, dopo alcuni tentativi, Elsa montò a cavallo. Insieme, trottarono fuori dalle scuderie e lasciarono il cortile, con Anna che salutava Kristoff, che sorrideva da sotto una pila di gattini che gli sbattevano in faccia.

      Le sorelle attraversarono il Ponte di Archi e presero l’aria fresca autunnale. Dietro di loro, annidato nelle ombre delle montagne che svettano, il castello scintillava e splendeva con il tocco decorativo della magia di ghiaccio di Elsa. Anna colpì il suo cavallo in un galoppo, e Elsa fece lo stesso.

      Arendelle era un regno di natura selvaggia, coste frastagliate, acque azzurre e profonde, e di navi imponenti. Lotti e lotti di navi. Provenivano da tutte le parti, trasportando persone di tutto il mondo che erano felici di stabilirsi nel pittoresco regno—persone che erano felici di rispondere all’invito di Anna di condividere le memorie dei loro paesi mentre lei poteva imparare qualcosa delle loro usanze. Memorie che avrebbero potuto aiutare Anna a preparare Elsa per il suo grande viaggio… se solo Elsa glielo avrebbe permesso. Perché mentre le navi portavano le persone nel regno, se ne andavano anche con le persone. La nave reale al momento era ancorata in porto, caricata con i beni e in attesa che Elsa si imbarchi.

      Mentre passavano davanti al villaggio in espansione e la gente li salutava con entusiasmo, una frizzante felicità riempì il corpo di Anna. Questa era la parte migliore di aver aperto le porte del regno tre anni fa—tutte le nuove persone che erano arrivate e le nuove idee che ne erano conseguite. Anche se il villaggio era più popoloso che mai prima d’ora, con molte più persone che vi ci si erano trasferite, Arendelle sarebbe sempre stata il cuore e la casa di Anna. Questa era una cosa che non sarebbe mai cambiata.

      Mentre si spostavano tra le case e i negozi, la foresta di Arendelle prosperata attorno a loro, esibendo gialli brillanti, rossi profondi, e arancione bruciato che ricordavano ad Anna i falò e le caramelle sciolte. Anna sospirò di felicità. Le foglie autunnali avevano appena iniziato a trasformarsi e a cambiare, e gli esseri viventi della foresta sembravano stabilirsi in se stessi, nello stesso modo in cui Elsa si era stabilita come regina. Anna non amava particolarmente i cambiamenti. Aveva sempre voluto che le cose rimanessero le stesse. In questi giorni, Anna era riuscita a malapena a vedere Elsa, che era costantemente rinchiusa nelle camere di consiglio a sbrigare le scartoffie, oppure a condurre importanti riunioni a cui anche Anna partecipava. Ma era contenta di vedere Elsa entrare nella sua vita, anche se significava che il loro rapporto si stava evolvendo come effetto collaterale.

      I cavalli rallentarono, iniziando a trottare fianco a fianco. Chiedendosi se fosse questo il momento, Anna diede un’occhiata a Elsa. Sua sorella aveva uno sguardo lontano e pensieroso sul viso.

      “A cosa stai pensando?” chiese Anna.

      “Oh.” Elsa distolse lo sguardo dalle redini. “Niente… solo, sai, lavoro.”

      “Vuoi parlarmene?” disse Anna, provando a mantenere il suo entusiasmo al livello otto, invece del suo solito livello dieci. “Ricordi quello che Papà diceva sempre, vero?”

      Elsa inclinò la testa. “Cosa, che ‘gli oneri devono essere condivisi’?”

      Qualcosa graffiò dentro Anna, come una briciola incastrata nella sua gola. Perché… beh, i fardelli e i segreti della sua famiglia non erano per tutti. O quanto meno, non lo erano stati per Anna. Suo padre aveva lasciato che un troll di montagna si portasse via i ricordi di Anna riguardo alla magia del ghiaccio di Elsa, e lui, sua madre, e Elsa si erano messi d’accordo per tenere il tutto segreto a Anna.

      Ed è rimasto un segreto molto, molto grande, fino al giorno dell’incoronazione di Elsa, quando Anna aveva spinto la nuova regina un po’ troppo in là e Elsa aveva perso il controllo del suo temperamento—e dei suoi poteri di ghiaccio. Che, al tempo, era sembrato terribile come il vasto e perenne Inverno che aveva messo radici nel regno, ma ripensandoci, era stata la cosa migliore che fosse accaduta ad Anna. Non solo aveva segnato l’inizio di una nuova era con sua sorella, ma Anna era anche riuscita ad evitare per un pelo un matrimonio molto… frettoloso… con un principe che l’aveva ingannata.

      “No! Non quella!” Anna scosse la testa, desiderando di poter scacciare via quella strana sensazione. “L’altro detto—quello riguardo ‘più mani rendono il lavoro più leggero.’”

      “Oh.” rideva Elsa. “Aveva molti modi di dire, non è vero?”

      Anna aspettava che Elsa continuasse a parlare, ma lei sembrava aver dimenticato che Anna fosse ancora lì anche se stava trottando di fianco a lei.

      “Ehi, Elsa?” provò ancora.

      “Hmm?”

      “Scommetto che posso batterti sul tempo!”

      “Cosa?”

      Ma Anna aveva già fatto tornare Havski al galoppo. Havski si impennò in avanti, facendo sentire il cuore di Anna libero. Cavalcare il cavallo grigio era come cavalcare una valanga: veloce, emozionante e potente. L’adrenalina la inondava, e senza pensarci, lasciò andare le redini.

      “Cosa stai facendo?” le urlò dietro Elsa.

      “Volo!” urlò in risposta Anna. Allargò le braccia. Il vento freddo le sfiorava il viso, e sembrava spazzare via quella sensazione che si era insidiata nel suo petto da quando Elsa aveva annunciato che sarebbe partita. Elsa urlò qualcosa, ma il vento spazzò via le sue parole.

      “Cosa?” Anna guardò dietro le sue spalle.

      “RAMO!” urlò ancora Elsa.

      Anna si spostò appena in tempo per passare sotto al basso ramo di betulla. Ridacchiando, abbracciò il collo di Havski e il cavallo sbuffò in risposta, non perdendo il passo. E perché avrebbe dovuto?Erano cresciuti insieme, e per molto tempo, era stato la cosa più vicina ad un migliore amico che Anna abbia avuto. Avevano schivato rami più spessi e saltato insieme attraverso i fiumi più larghi. Prendendo nuovamente le redini, le teneva sciolte e lasciò che Havski si esibisse in un galoppo interminabile.

      Gradualmente, i suoi passi si accorciavano e si trasformarono in un facile trotto prima di raggiungere una radura muschiosa. Ci fu uno scricchiolio e il suono dei ramoscelli che si spezzavano, e Anna si girò sulla sella appena in tempo per vedere Elsa e Fjøra arrivare a tentoni nella radura. Una singola foglia scarlatta si era impigliata nei capelli di Elsa, e sembrava quasi come se la foresta avesse incoronato la sua regina d’Autunno.

      Anna sorrise. “Non è divertente?”

      Spostando le ciocche sciolte dei suoi capelli biondi, Elsa tolse la foglia dai suoi capelli, la osservò, e iniziò a ridere. “Lo è,” concordò.

      Anna sentì come se un piccolo sole avesse iniziato ad accendersi nel suo petto.

      Alla fine si avvicinarono ai campi coltivati, domati e generosi, e Anna, guardando furtivamente Elsa, vide che sua sorella si era finalmente sistemata sulla sella e stava guardando il panorama con occhi curiosi. Sembrava a proprio agio. Sembrava rilassata. Forse questo era il momento per Anna per farle finalmente la sua scottante domanda. Mentre giravano a sinistra, passarono uno meraviglioso frutteto con mele rosse brillanti e foglie autunnali così arancioni che il mondo sembrava come se il mondo fosse stato dato alle fiamme. Mele. Perfetto.

      Anna le indicò. “Sapevi che c’è una mela sulla bandiera reale di Zaria?” disse casualmente. “Ed è perché consuetudine per l’ospite regalare una mela al padrone di casa.” Un pensiero preoccupante passò per la mente di Anna. “La tua nave ha delle mele a bordo, vero?”

      Elsa scosse la testa. “Sì, Anna—te ne sei assicurata tu stessa! Se aggiungessi altri barili di regali che hai suggerito per tutti, la mia nave sarebbe troppo pesante per lasciare il porto!”

Anna spostò la sua frangia dagli occhi e rise. “Cosa faresti senza di me?” Tirò le redini, costringendo delicatamente Havski ad una battuta d’arresto. “Elsa, volevo chiederti una cosa. Mi stavo chiedendo se potevo unirmi—” Ma prima che potesse finire, le orecchie di Havski sventolavano mentre un fruscio proveniva dalle vicinanze.

      Un abitante del villaggio comparve dal sottobosco, dipingendo pesantemente mentre sollevava in alto la sua gonna verde per poter correre.

      C’è voluto qualche momento ad Anna per poterla riconoscere—c’erano così tanto nuovi abitanti ad Arendelle in questi giorni—ma poi riconobbe SoYun Lim, una ragazza della stessa età di Anna che aveva recentemente iniziato ad allevare bestiame in una fattoria non lontano da lì. Anna ci aveva parlato durante l’Estate, durante una delle notti in cui il castello ospitava un falò, e le aveva chiesto della sua terra natale di Chatho. Ricerca, ovviamente, per il grande viaggio. Infatti, SoYun era stata quella che aveva aiutato Anna a perfezionare il suo accento Chanthoanese.

      Ma quella ragazza sembrava sempre calma come un lago in una giornata senza vento, la sua natura tranquilla come gli animali che curava. La ragazza che si trovava in piedi di fronte a lei ora era spettinata. La sua treccia nera, che di solito stava dritta e ordinata come uno stendibiancheria, ora era una serie si ciuffi disordinati, e stava indossando due diversi stivali—il piede sinistro vestiva uno stivale nero ed alto, mentre il piede destro ne vestiva uno in morbida pelle marrone. Ma non era lo strano stato dei suoi vestiti o dei capelli che avevano allarmato Anna. Era l’espressione della ragazza—occhi spalancati, come se avesse visto un fantasma—e il modo frenetico in cui agitava le braccia per attirare la loro attenzione.

      “Vostra Maestà!” SoYun fece oscillare la testa verso Elsa con un leggero inchino. “Grazie al cielo vi ho raggiunta—è successo qualcosa di terribile!”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 2

 

 

SOYUN! COSA C’È CHE NON VA?” Anna si allontanò da Havski, atterrando in un mucchio di foglie prima di correre verso di lei.

      È il mio bestiame,” disse SoYun, guardando da Elsa, che stava smontando cautamente da Fjøra, a Anna. “Sono—oh!” SoYun scosse la testa. “Non so nemmeno da dove iniziare!” Le lacrime si formavano nei suoi occhi.

      Anna aprì la bocca per rispondere, ma si fermò per lasciare la possibilità ad Elsa.

      Elsa si avvicinò. “Che ne dici se ci porti al tuo bestiame, e ci racconti l’accaduto lungo la strada? Dicci tutto quello che è successo, e cercheremo insieme una soluzione, va bene?”

      SoYun si soffiò il naso, poi annuì. “In quella direzione,” disse, e iniziò a camminare così veloce che avrebbe potuto essere quasi una corsa. Tenendo le redini dei propri cavalli, le sorelle la seguivano, cercando di capire il racconto di SoYun mentre lo raccontava.

      “È iniziato qualche giorno fa,” disse SoYun, la sua voce era straziata, “quando ho provato a richiamare il bestiame—sai di solito funziona come un incantesimo.”

      Anna lo sapeva. Il richiamo del bestiame era una vecchia usanza di Arendelle di cantare note alte per richiamare gli animali a casa. Era richiesta molta pratica e controllo per eseguirlo correttamente, ed era molto di più di un semplice richiamo. Era un suono simile a quello di una fata. Un suono che sollevava i capelli sul collo di Anna e le faceva sapere—davvero, veramente, profondamente sapere—per un solo istante che qualsiasi differenza tra lei e la terra, il vento e il cielo era soltanto un’illusione. SoYun ora era una delle migliori chiamanti di bestiame del villaggio. Non aveva mai avuto problemi. Infatti, quando le mucche non rientravano a casa, la gente andava da SoYun in cerca d’aiuto.

      E così, sono andata nei campi,” continuò SoYun, “e ho provato a farle rientrare cantando. Ma...” Le sue spalle crollarono. “Non sono mai arrivate. Nemmeno quando ho tirato fuori il mio bukkehorn. Sono uscita a dare un’occhiata, e quando finalmente le ho trovate...” la voce di SoYun si interruppe.

      Cosa è successo?” pressò Elsa mentre uscivano dal boschetto di aceri ed entravano in un prato ai piedi di una montagna blu, dove Anna riusciva a scorgere un bel casale tra file ancora più ordinate di campi dorati e una mandria di bovini che si aggirava intorno ad un grande masso bianco.

      Questo è quello che è successo.” SoYun le condusse più avanti. Mentre si avvicinavano alla mandria, Anna realizzò che le mucche non stavano intorno ad un masso bianco, ma ad un toro addormentato.

      “Quello è Herbert,” disse SoYun. “Il capo del mio bestiame.”

      Herbert. Il nome colpì Anna, e si ricordò di un anno prima, durante la competizione per il migliore in mostra del festival del raccolto, un grande energico toro con quel nome aveva vinto il primo premio. Ma la pelle di quel toro era nera come l’ala di un corvo, mentre questa era completamente bianca.

      SoYun prese un tremendo respiro. “Qualche giorno fa, ho notato che aveva un ciuffo di capelli bianchi, il che non era troppo strano. Sta invecchiando. Ma poi, la mattina successiva, il bianco è aumentato in modo drammatico, fino a che è diventato come lo vedere ora.”

      Elsa alzò le sopracciglia, come per dire, Tutto qui? Qualche capello bianco?

      Ma Anna ricordava quando una ciocca dei suoi capelli era diventata bianca come risultato di un colpo accidentale da parte della magia di Elsa quando erano bambine.

      SoYun si tirava l’estremità della sua lunga treccia e si morse il labbro inferiore. “Ma non vi avrei mai disturbato a causa di questo, Vostra Maestà. C’è… c’è dell’altro.”

      “Tipo?” Anna non riusciva a distogliere lo sguardo dalla figura del toro addormentato, le sue grandi corna si incurvavano verso il cielo in modo gemello.

      “Per qualche giorno si è anche comportato in modo strano—all’inizio sembrava come se avesse paura di qualcosa che non poteva vedere, come un draug,” disse SoYun, riferendosi ad un terrificante zombie mitologico di cui Anna aveva sentito parlare attorno al falò del castello. “E poi,” continuò SoYun, “ correva in giro per il campo fino a quando non si è fatto prendere dal panico ed ha iniziato a sudare,che sembra aver fatto diventare il suo pelo bianco. E infine, le sue pupille si sono allargate, immense, fino a quando i suoi occhi non sono stati completamente inghiottiti dal nero inchiostro.” SoYun spalancò gli occhi mentre le guardava. “E poi ha iniziato a lamentarsi come se soffrisse terribilmente, e poi è caduto, finché, alla fine, si è addormentato.”

      Anna scambiò uno sguardo confuso con Elsa. Anna non pensava di solito che dormire fosse una cosa cattiva. Infatti, più dormiva, più stava bene.

      Il sopracciglio di Elsa si alzò nuovamente. “Addormentato?” chiese.

      “Sì,” annuì vigorosamente SoYun. “Ma non un sonno normale. Un sonno profondo. Non importa cosa provi a fare—urlare, scuoterlo, gettargli acqua addosso—non vuole svegliarsi. Sono passati giorni. Il che vuol dire che non sta nemmeno mangiando.”

      Ora che SoYun lo faceva notare, Anna riusciva a vedere le costole del toro sul fianco, il pelo bianco che rendeva troppo facile immaginarlo come un mucchio di ossa sbiancate al sole. Anna avvolse le dita nella lunga criniera setosa di Havski—non sapeva cosa avrebbe fatto se gli fosse successa una cosa del genere. Nello stesso momento, ogni pensiero che Anna aveva avuto riguardo la connessione tra il suo una volta ciuffo bianco di capelli e il toro sbiancato svanì. Dopotutto, quando Elsa le aveva fatto diventare i capelli bianchi, Anna era stata in pericolo di diventare di ghiaccio, non di addormentarsi.

      SoYun muoveva lo sguardo dal toro verso le ragazze, e le lacrime le scendevano sulle guance. “Se ne sta andando proprio davanti a noi—e anche gli altri bovini mostrano sintomi simili!” SoYun faceva un gesto ad una mucca dall’aspetto dolce e dalle lunga ciglia, e gli occhi si muovevano avanti e indietro come l’orologio a pendolo del nonno. Era come se le mucche stessero monitorando qualcosa che non era lì. O meglio, monitorando qualcosa di invisibile che solo le mucche potevano vedere.

      “E se,” continuò SoYun, “cadessero tutti in questo sonno profondo, e poi...” La paura nella voce della ragazza era tangibile e tagliente.

      Anna la raggiunse e l’abbracciò. “Andrà tutto bene,” disse Anna. “Non preoccuparti. Troveremo il modo di aiutare, non è vero, Elsa?”

      Elsa la raggiunse e sfiorò la spalla di SoYun un paio di volte. “Sì. Hai fatto la cosa giusta a venire a dirlo a me.”

      Me. Quella piccola parola echeggiava attraverso l’intero corpo di Anna. C’è stato un tempo, ne era sicura, in cui Elsa avrebbe detto noi.

      Anna si girò verso Elsa. “Ho un’idea,” sospirò. “Dovremo far visita ai troll.” Sebbene fossero alti come la vita di Anna e ricoperti di muschio, i piccoli troll di montagna erano le creature più potenti che Anna conoscesse. Gran Papà, il più anziano e probabilmente il più saggio dei troll, a volte usava il bagliore dell’aurora per mostrare scorci di ciò che potrebbe essere o, occasionalmente, per affrontare tutte le questioni che potrebbe coinvolgere la magia. Se qualcuno avrebbe potuto aiutare SoYun e il suo bestiame, Anna sapeva che erano i troll. Perché, come aveva imparato, quando succedevano eventi misteriosi che sollevavano domande, era meglio far visita alle creature mistiche per delle risposte.

      Elsa sorrise. “È una grande idea, ma penso che potremmo solo avere il tempo di guardare nella biblioteca del castello. Perché prima non proviamo lì? Ricorda quello che Papà ci diceva di solito.”

      Anna si grattò la testa, cercando di ricordare a quale dei tanti modi di dire di suo Padre si stesse riferendo Elsa. “ ‘Anna e Elsa, appoggiatevi sempre l’una all’altra per aiutarvi’?” indovinò.

      Un leggero sorriso apparve sulle labbra di Elsa, anche se era velato di tristezza. “Ha detto questo. Ma diceva anche ‘Il passato ha un modo per tornare.’ Dovremmo scoprire se questo è già successo in passato e, come minimo, raccogliere informazioni utili per i troll.”

      Elsa ha fatto un’ottima osservazione, e Anna era improvvisamente emozionata di controllare insieme la biblioteca. Entrambe le sorelle si divertivano a rannicchiarsi lì con buon libro di racconti, ma nella biblioteca c’erano anche libri sulle storie del regno, sulla famiglia reale, e sui cittadini. Se c’è un posto nel castello che ha delle risposte, era proprio quello.

      “C’è qualcosa che ci aiuterà con i sintomi?” chiese Elsa a SoYun.

SoYun, che si era inginocchiata per accarezzare il naso di Herbert, alzò lo sguardo. “La menta sembra aiutarli a stare all’erta. L’odore è acuto per i loro nasi, ma non dura a lungo.”

      “Menta,” ripeté Elsa. “Mi assicurerò di scriverlo nel rapporto. Ricordamelo, Anna, ti dispiace?” Dopo essersi assicurate di aver appreso tutto quello che c’era da sapere riguardo ai sintomi, salutarono SoYun, Herbert e il resto del bestiame.

      Mentre Anna saliva su Havski, disse. “Non preoccuparti, SoYun! Sistemeremo le cose. Lo prometto.”

 

Anna e Elsa passarono il resto del pomeriggio nella biblioteca del castello. Finora, in tutta la storia di Arendelle, non si è mai parlato di bestiame malato che sia mai caduto in un sonno apparentemente senza fine. Che voleva dire che non c’erano suggerimenti per una cura per la Moria, così come Elsa aveva deciso di chiamare la malattia del sonno.

      Elsa era seduta nell’alcova della finestra, sfogliando un libro, mentre Anna era distesa sul divano davanti al fuoco, sollevando un libro sopra la testa per leggerlo. Un suono sordo risuonava attraverso la biblioteca, seguito dalla voce urgente di Kai. “Vostra Maestà, siete qua dentro?”

      “Sono qui, Kai!” rispose Elsa.

      La porta decorata si aprì, e l’uomo solitamente calmo entrò sembrando agitato, la sua sciarpa disfatta invece che annodata al collo e le rugose sopracciglia unite. Il cuore di Anna accelerò. Come custode del castello, Kai era un uomo di decoro e protocollo. Si era sempre inchinato quando le salutava, non importava quante volte le sorelle lo imploravano di smettere. Ma non questa volta.

      “Cosa è successo, Kai?” Elsa si alzò dalla nicchia della finestra e si precipitò verso di lui mentre Anna posò il libro e si alzò di scatto dal divano.

      “Gravi notizie,” Kai era a bocca aperta, sembrando come se fosse arrivato di corsa fino a lì. “L’intero gregge di capre dei Westens sembra essere caduta in mezzo al campo, e non si svegliano. La famiglia ha richiesto urgentemente la vostra presenza, Vostra Maestà.”

Il terrore si insinuò in Anna, e si girò verso Elsa. “Pensi che…?”

      Elsa annuì. “È sicuramente possibile. Ma non abbiamo ancora trovato una risposta.” Guardò dalle alte pile di libri alle alte librerie piene, e poi di nuovo verso Kai, chiaramente combattuta su ciò che avrebbe dovuto fare dopo.

      “Dovresti andare,” l’esortò Anna. “Solo per assicurarti che sia la stessa cosa.”

      Elsa si tirava le dita, un’abitudine che Anna sapeva era rimasta dai giorni in cui Elsa indossava sempre i guanti di seta per reprimere i suoi poteri. Anna si allungò per appoggiare una mano sull’avambraccio di Elsa. Sorpresa, Elsa abbassò lo sguardo e, rendendosi conto di quello che stava facendo, fece ad Anna un piccolo sorriso come a ringraziarla. Piegò ordinatamente le mani davanti a sé.

      “Se sei preoccupata,” disse Anna, “potremmo dividerci e conquistare. Manderemo Kristoff e Sven dai troll, dato che non abbiamo trovato nulla di utile, ed io rimarrò qui per continuare la ricerca di risposte. Posso occuparmene io.”

      Ancora, Elsa esitò, e Anna si chiese perché. A Elsa non piaceva il suo consiglio? O Elsa non si fidava di lei a tal punto da affidargli questo compito? Ma alla fine, Elsa annuì, e una sensazione di sollievo pervase Anna mentre sua sorella diceva, “È una buona idea. Avviserò Kristoff prima di andare, ma prometto di tornare subito.” E detto ciò, Elsa corse via insieme a Kai, lasciando Anna a cercare una soluzione da sola.

      Le ore passarono, e la cera delle candele scorreva sul tavolo in piccole pozze, ma Anna non se n’è quasi accorta—continuava a rimbalzare da un libro ad un altro, in cerca di risposte… e fallì. Una leggera brezza entrava dalla finestra aperta, facendo svolazzare le pagine dei libri aperti, oltre a far venire la pelle d’oca sul braccio di Anna e a spargere la cenere del camino. Presto, la stessa brezza avrebbe gonfiato le vele di Elsa per portarla lontano, molto lontano.

      Il viaggio in nave rendeva Anna nervosa. Erano passati sei anni da quando i loro genitori erano partiti per un viaggio nel Mare del Sud che era stato pensato per durare solo due settimane, ma si era trasformato in un viaggio eterno. I giorno che seguirono la notizia erano stati i più bui della vita di Anna, e le notti erano anche peggiori. Dormire era diventato impossibile. L’interno delle sue palpebre era del colore delle onde insondabili che lei immaginava avessero preso i suoi genitori. A volte, anche adesso, l’assenza dei suoi genitori l’avrebbe spaventata ancora, fresca ed improvvisa come una puntura di un’ape. Ma con il passare degli anni il dolore si era attenuato, così come i vecchi incubi d’infanzia, e poteva ricordare i suoi genitori—le ninne nanne amorevoli di sua madre, l’umorismo stuzzicante e i racconti altisonanti di suo padre—con gioia.

      La sua riconciliazione con Elsa aveva aiutato. Quando Elsa si era chiusa in se stessa da bambina, Anna era rimasta solo con i propri ricordi dei loro genitori. Ma da quando la porta della stanza di Elsa era stata aperta, la collezione di Anna di storie riguardo i loro genitori era aumentata. E mentre le storie non riuscivano a riempire il vuoto nel suo cuore, hanno aiutato a smussarne i bordi frastagliati.

      Poteva non avere più i suoi genitori, ma aveva sua sorella, e questo era sufficiente. Abbastanza per esprimere il desiderio che Elsa non la lasciasse indietro. La lascerebbe… a meno che Anna non dimostri il suo valore. Fino a quando non avesse provato che era molto di più di una sciocca ragazzina che parlava ai ritratti della galleria e che diceva sì ad una proposta di matrimonio al malvagio (e per fortuna ora esiliato) Principe Hans dopo meno di ventiquattro ore di conoscenza. Anna sapeva che Elsa la stimava nonostante queste cose, ma lei ancora sentiva una persistente insicurezza.

      Anna diede uno sguardo alla statua di pietra del cavallo che si trovava in un angolo della biblioteca come se avesse potuto avere le risposte di cui avevano bisogno. Ma tutto ciò che aveva erano delicate conchiglie di pietra e stelle marine scolpite sulla sua criniera, e un’espressione arrabbiata sulla faccia. Era una vecchia statua, e Anna aveva sempre avuto paura dei suoi denti scoperti, dei suoi due zoccoli furiosamente in aria, e dei suoi occhi vuoti. Una volta, quando aveva quattro anni, aveva usato tutti i cosmetici di sua madre nel tentativo di rendere più allegro l’aspetto del cavallo prima che sua madre la scoprisse e la portasse fuori dalla stanza, avvertendola di non toccare di nuovo la statua. Alla giovane Anna era sempre stato detto di non toccare le cose, tipo le corde della chitarra, ed i dipinti ad olio, e le spade di suo padre, e…

      “Wow, cosa è successo qui?”

      Anna si spaventò al suono di quella voce. Tolse gli occhi dalla statua, alzò lo sguardo per vedere la forma rotonda di Olaf che stava sulla porta.

      Da bambine, Elsa e Anna creavano storie su un pupazzo di neve di nome Olaf con dei rami per le braccia e una carota come naso. Anni dopo, nel giorno dell’incoronazione di Elsa, Elsa aveva accidentalmente perso il controllo dei suoi poteri di ghiaccio ed aveva dato vita ad Olaf. Da allora, è diventato il pupazzo di neve del castello ed un membro della famiglia delle sorelle. Era solito avere una nevicata personale sopra la sua testa che lo proteggeva dallo scioglimento, ma da quando i poteri di Elsa erano aumentati e cambiati, era stata in grado di rimuoverla e sostituirla invece con uno stato di gelo perenne che serviva allo stesso scopo. Ora, gli occhi di Olaf si spalancarono mentre entrava nella biblioteca. O meglio, nella confusione che c’era dentro.

      “È più facile per me se sistemo le cose in mucchi,” spiegò Anna, seguendo il suo sguardo verso le torri di libri sparse sul pavimento. Non si era resa conto di come… fosse stata entusiasta quando aveva tirato fuori quei titoli. Attualmente potevano essere più i libri sparsi sul pavimento di quelli rimasti sugli scaffali. Non era certo il sistema ordinato e metodico di Elsa, a giudicare dai tomi che Elsa aveva lasciato impilati in file perfette nell’alcova della finestra.

      Olaf annuì. “Questo ha senso. Quando si costruisce un pupazzo di neve, si deve sempre iniziare con i mucchi. Ovviamente se non sei Elsa.” Indicò. “Quali sono questi?”

      “Libri riguardo le malattie,” disse Anna. “La fila accanto a questi riguarda l’anatomia animale, e l’altra accanto ancora riguarda il sonno.” Ogni titolo era pieno di possibilità.

Olaf si muoveva verso l’ultima pila di libri, i suoi capelli a ramoscello erano appena visibili oltre le file. “E questa più massiccia?”

      “È la mia fila dei ‘da leggere’.”

      “Oooh, è molto più grande di tutte le altre,” osservò.

      Anna scrollò le spalle. Aveva messo da parte questi libri in quanti attualmente non utili ma abbastanza interessanti da volerli consultare in seguito. Le poesie erano grandiose per la loro bella immagine e la loro brevità, ma lei amava anche gli spessi tomi degli artisti attraverso i secoli. E, naturalmente, c’erano storie dove le persone trovavano il vero amore, o intraprendevano una pericolosa ricerca, o si riunivano con l’amore una volta perso.

      Anna si stropicciò gli occhi e si aggiustò la gonna del vestito, che aveva iniziato a rimbalzare attorno a lei in modo scomodo. “Dove sei stato?” chiese.

      Olaf vagava di fila in fila. “Nella biblioteca del villaggio, ascoltando la lettura di Dante’s Inferno—più calda è la storia, meglio è.”

      Anna sorrise. Dopo la sua prima festa di compleanno a seguito dell’Inverno perenne di Elsa, Anna aveva insegnato a leggere ad Olaf, e da allora, il pupazzo di neve ne era diventato ossessionato. Amava i libri di tutte le dimensioni, ma i suoi favoriti erano gli spessi libri di filosofia—e le letture da spiaggia, che lui diceva spesso essere importanti come i classici. E Anna non era contraria.

      “Comunque, perché stai risistemando la biblioteca?” chiese Olaf.

      Prendendo un profondo respiro, Anna spiegò velocemente di SoYun e il suo bestiame e di come Elsa fosse uscita ora, per controllare il gregge dei Westens .

      “Sembra che tu abbia bisogno di un po’ d’aiuto,” disse Olaf, sistemandosi un bottone di carbone. “E per citare le parole di molti filosofi, quattro occhi sono meglio di tre.”

      “Era così che dicevano?” disse Anna, posando la testa sul palmo della mano.

      Olaf tirò fuori il suo paio di occhiali di ghiaccio preferiti fatti appositamente per lui da Elsa. “Anzi,” disse. “Dicono anche di ‘iniziare dalle basi’. Quindi, dovremo iniziare con la lettera B, di basi.” Sottolineò, e Anna seguì il suo dito legnoso verso lo scaffale centrale della libreria vicina dietro la statua del cavallo.

      “Certo,” disse Anna. “Tu controlla qui mentre io finisco con questa.”

      Olaf si arrampicò su un tavolo sotto al ritratto dell’incoronazione di Re Agnarr, poi saltò sul dorso del cavallo di pietra. Cautamente, si arrampicò su una delle gambe alzate e cercò di tirarsi su, traballando in modo precario da un lato all’altro. “Ci sono quasi...” disse, allungandosi.

      Anna poteva vedere che era in difficoltà, quindi saltò e si precipito verso di lui.

      “Solo un altro po’—ops!” Ci fu un click seguito da una grande frastuono, come il suono di ingranaggi che ruotavano uno sull’altro, mentre la zampa alzata del cavallo su cui si trovava Olaf sì abbassò come una leva. La polvere volava nell’aria, e Anna chiuse gli occhi, girando la testa altrove per evitare di ingoiare altra sporcizia. E poi… si fermò.

Tutto era silente.

      “Wow,” sospirò Olaf. “Questa è una cosa che non vedi tutti i giorni.”

      Gli occhi di Anna si aprirono, e poi sobbalzò.

      La libreria dietro la statua si girò verso l’interno come se fosse una porta. No, non come una porta. Questa era una porta, aperta per rivelare un ingresso ad arco e, oltre di questo, oscurità. E forse—solo forse—qualcosa che avrebbe avuto delle risposte e aiutato Elsa a capire come curare la Moria.

      Strillando, Anna entrò nella stanza segreta—e immediatamente sbatté gli stinchi contro qualcosa. Trasalì. Qualsiasi cosa avesse colpito avrebbe sicuramente lasciato un segno. Perché non aveva pensato di portare una candela? Girando la testa, vide Olaf che si muoveva verso di lei, con una candela in mano. Si fermò di fronte a lei, la fiamma che emetteva un bagliore arancione cremoso attraverso la sua faccia preoccupata.

      Alzò un sopracciglio scettico. “Pensavo che non potessi vedere al buio.”

      “Non posso,” disse Anna. “Ti dispiace condividere la luce?”

      “No!” Olaf gliela consegnò. “Ne avrai bisogno per vedere quella persona che sta in piedi dietro di te.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 3

 

ANNA SI GIRÒ, soffocando un urlo.

      Ma mentre reggeva la candela, realizzò che non era affatto una persona, ma un elmetto metallico sapientemente forgiato per creare l’illusione di una spaventosa smorfia e di denti aguzzi. All’inizio l’aveva sconvolta, per la pura sorpresa e perché era diverso dagli elmetti che indossavano i soldati di Arendelle. Infatti, più lo osservava, più Anna era certa che questo elmetto provenisse dalla stessa epoca di Aren di Arendelle, da quella lunga epoca di eroi che era più leggenda che storia.

      Mentre alzava la candela, la sfera di luce si ampliò per rivelare il resto di quello che avevano trovato: una stanza senza finestra con pavimento in pietra e soffitto a volta con scaffali scintillanti.

     Gli scaffali erano stati ricavati nei muri di pietra, e a differenza del resto del castello, questi muri non erano stati tappezzati o dipinti o decorati con rosemaling. Erano stati lasciati spogli, e i piccoli cristalli incastonati nella roccia sembravano strizzare l’occhio per un saluto amichevole mentre la luce della candela passava sopra di loro. Non era solo la roccia che luccicava sotto uno strato di polvere, ma anche i tanti oggetti strani e meravigliosi che stavano sugli scaffali: un paio di scaglie d’argento scintillanti, schemi di quella che sembrava una diga, bicchieri di vetro e bottiglie riempite con affascinanti esemplari di flora e fauna sospesi in acqua salmastra.

      E poi c’erano i libri. Si arrampicavano a spirale verso l’alto sulle travi del soffitto, l’unica superficie che era stata dipinta e che assomigliava ad un cielo vivo con le luci del Nord insieme a costellazioni familiari: Ulf il Lupo, Frigg il Pescatore, e molti altri. C’erano ampi libri con la spine in spessa pelle, alti libri con spine sottili, libri con le pagine ingiallite, libri con le pagine frastagliate, libri tascabili, libri mediamente grandi, e piccoli libri grandi quanto un pollice. La bocca di Anna si spalancò. Non importava quanto fossero diversi, ogni libro aveva la possibilità di contenere le risposte di cui aveva disperatamente bisogno.

      Olaf traballava in avanti nella stanza. “Oooh, altri libri! Libri segreti!”

      “Libri segreti...” pensò Anna, e il suo entusiasmo iniziale si affievolì. Sapeva che avrebbe dovuto essere molto più emozionata alla scoperta della stanza segreta, ma qualcosa riguardo la segretezza di tutto questo la schiacciava, lasciandola leggermente ferita. Lentamente si fece strada verso gli scaffali. Si chiedeva chi avesse usato questa stanza. La famiglia reale di Arendelle aveva vissuto nel castello per decadi—fin da quando suo nonno Re Runeard aveva supervisionato la sua costruzione quando suo padre era solo un ragazzo. Forse questa stanza era stato un luogo di conforto per uno zio o una zia di vecchia data.

      Anna scremò i titoli. Alcuni erano scritti erano scritti in una lingua che non conosceva ma riconobbe grazie alle sue ricerche per il grande viaggio. Altri erano con simboli indecifrabili. Ma quelli che riusciva a leggere le fecero sussultare il cuore: Il covo di Hulda; Le pergamene dei troll; Di incubi e curiosità; Missioni di un tempo; Giochi e mestieri dello stregone; Leggende Magiche; Decifrare la magia…

      Magia. I pensieri di Anna pulsavano assieme al battito del suo cuore. Magia. Magia. Magia!

      La magia non era sconosciuta ad Arendelle. Dopotutto, Elsa aveva abilità magiche che non aveva mai avuto nessun altro nel regno. O almeno, nessuno in vita aveva mai visto. In alcune delle vecchie storie che erano le preferite della Regina Iduna, la magia abbondava. Raccontava storie di tovaglie che potevano produrre banchetti per le feste in un batter d’occhio, e stivali che potevano percorrere sette leghe in uno solo passo—di muta forma che vivevano un una foresta incantata, e di pietre che potevano trasformare il piombo in oro…ma quelle erano inventate. Per far credere. Finte.

      Comunque, negli ultimi tre anni, Anna aveva visto cose incredibili, cose impossibili, accadere. Una sorella che potrebbe essere tutt’uno con la terra e il cielo e che costruisce palazzi di ghiaccio con pochi respiri e qualche movimento del polso. Una regina che poteva sfruttare il freddo. Se Elsa poteva esistere, come Anna sapeva benissimo, perché non potevano esistere anche le altre impossibilità?

      Perché non poteva esserci una specie di incantesimo, o una magia, che avrebbe potuto sistemare quello che stava succedendo con la Moria? Certo, Anna stava sperando di trovare qualcosa a portata di mano in questa stanza che aiutasse son il problema, ma dopo di ciò, chi lo sapeva? Forse c’era da qualche parte lì dentro una conoscenza che poteva impedire ai ferri di cavallo di arrugginire sempre, al pane di diventare sempre più raffermo, o alle candele di sciogliersi sempre fino alla base e spegnersi. Sarebbe stata un’eroina.

      “Aha.” Anna tirò fuori uno spesso volume da uno scaffale e lo poggiò sopra ad uno spoglio tavolo da lavoro al centro della stanza accanto alla candela. “Questo potrebbe contenere qualcosa di utile.” Sfiorò il titolo e lo lesse ad alta voce ad Olaf. “L’Almanacco dell’Alchimista: Una guida alla Cura e alla Tenuta dei Campi, Una Contabilità Accurata del Tempo e del Grano.

      Olaf guardò Anna dai suoi occhiali di ghiaccio. “Non è esattamente il mio genere.”

      Anna sorrise.

      “Ohh, questo sembra criptico e intenso!” disse Olaf, tirando fuori un altro grosso libro. “Ecco! Questo potrebbe piacere anche a te!” Lo allungò verso Anna per farglielo vedere. La copertina era di un meraviglioso marrone con lettere nere. Il titolo non era scritto in un alfabeto che Anna conosceva, ma mentre guardava il libro, un ricordo dimenticato—più di un’impressione di suono e colore, davvero—cresceva: Il morbido tessuto del vestito di sua madre sotto al collo, mentre Anna le si accoccolava in grembo. Una calda pressione al suo fianco—Elsa, che si era arrampicata per unirsi. Parole, basse e dolci e velate mentre sua madre leggeva ad alta voce da un libro, la copertina aveva il colore dei nuovi stivali da equitazione di Anna. Ninne nanne su fiumi bianchi segreti e su Giganti di Terra e leggende perdute di un tempo… Potrebbe essere?

      Rimettendo a posto l’almanacco sullo scaffale, Anna aprì un nuovo libro e vide il titolo ancora scritto in rune. Qualcuno ci aveva scritto accanto, con la penna, le parole Segreti dei segni magici.

      Anna rimase senza fiato.

      Era la calligrafia di sua madre.

      Anna l’avrebbe riconosciuta dovunque.

      Questo libro. Questa stanza: sua madre doveva conoscerla; doveva esserci stata. Questi libri ed oggetti riguardo la magia erano i suoi. Improvvisamente, il petto di Anna sembrava troppo piccolo per il suo cuore. O forse il suo cuore era troppo grande per il suo petto. Segreti. Questo castello era pieno di segreti che lei non conosceva—che non le era permesso di conoscere. Le domande la scuotevano. Perché Anna veniva sempre esclusa? Perché sua madre collezionava tutti questi libri riguardanti la magia? E… Elsa già era a conoscenza di questa stanza? Come quando erano bambine, era Anna l’ultima a sapere le cose?

      “Anna?” Sentì una dolce pacca sulla spalla. “Non giudicare un libro dalla copertina.”

      Alle parole di Olaf, Anna sentì la gabbia toracica allentarsi, solo un po’, ma era abbastanza per poter respirare di nuovo. Olaf era stato l’amico di entrambe le sorelle: aveva un po’ di Elsa e un po’ di Anna, creato da entrambe. E guardandosi attorno, Anna non pensava che Elsa sapesse di questa stanza segreta. Dopotutto, Elsa era stata così brava ad aggiornare Anna su tutto ciò che le mancava durante il tempo in cui la sua testa era sotto l’influsso dei troll, quando era stata costretta a dimenticare l’esistenza della magia di Elsa. Elsa non nascondeva più le cose ad Anna, non più.

      “Non lo farò, Olaf.” Anna mandò indietro una treccia. “Questo libro… era di mia madre.”

      “Oh.” Olaf sbirciò in basso attraverso i suoi occhiali. “La sua selezione di libri appare essere molto specifica. Preferirei tirar fuori questo libro.” Agitava in mano un sottile volume nero. “Riguarda pericolosi muta forma che vivono in una foresta maledetta.”

      “Perché non gli dai un’occhiata?” chiese Anna. “Chi lo sa—magari accenna anche a degli animali maledetti.”

      “Urla se hai bisogno di me” Olaf si spostò sul tavolo da lavoro per sfogliarlo.

      Nel frattempo, gli occhi di Anna pizzicavano. Il libro di sua madre. Sfogliò il resto delle fitte pagine. Le rune sembravano costellazioni senza senso, ma le traduzioni accanto ad esse erano state scritte da sua madre, e lei avrebbe seguito le impronte di sua madre o le impronte digitali, quello che erano, ovunque.

      Segreti dei Segni Magici sembrava essere un libro di vecchie fiabe, vecchie storie, e mappe che mostravano la strada per la Valle delle Rocce Viventi, ma anche un glossario delle specie, nominando tutti i tipi di creature che esistono solo nelle leggende. Spiriti del vento, acqua e fuoco. I Giganti di Terra. Nattmara. Huldrefólk. Tutti suonavano così familiari, ma era come se Anna cercasse di fissare attraverso un lenzuolo messo ad asciugare. Ad un certo punto della sua vita, conosceva il significato di queste parole presenti nelle favole della buonanotte, ma ora non riusciva più a distinguerne la forma. La tristezza si insinuò in lei.

      La Mamma lo avrebbe saputo. Anna non solo aveva perso sua madre quando la nave affondò sotto le onde del Mare del Sud. Il mono aveva perso le storie e le ninne nanne della Regina Iduna, e non c’era modo di recuperarle. O c’era? Anna continuò a sfogliare le pagine. C’erano così tante emozioni in guerra dentro di lei per stabilirsi su una qualsiasi pagina, su una qualsiasi definizione. Sempre più veloce sfogliò il libro fino a quando delle fragili pagine non sono scivolate fuori e sono cadute a terra.

      Anna gelò. Con la massima attenzione, sollevo le carte per scoprire con sollievo che non erano pagine di Segreti dei Segni Magici dopotutto, ma frammenti di ricerca che non erano ancora stati fermati. Una pagina mostrava alcune cianografie dall’aspetto familiare: era il Castello di Arendelle. Anna strizzò gli occhi alla pagina. Lei, come Gerda, già conosceva tutti i passaggi segreti e i posti che erano segnati, eccetto per uno che aveva attirato la sua attenzione, e quello dove si trovava attualmente.

      Sotto al castello, qualcosa chiamato il Passaggio dei Giganti di Terra sembrava passare da qualche parte sotto la stanza del ghiaccio accanto alla cucina e poi girava verso Sud, sotto le acque dell’Arenfjord verso… verso qualche parte. Anna non poteva dirlo. L’inchiostro nero continuava fuori dalla pagine, incompiuto. Ma delle istruzioni erano state impresse sui bordi. Tre lastre di pietra dentro, due di traverso.

      Affascinante,” sospirò Anna e mise da parte le cianografie. Non appena avesse trovato qualcosa di utile per salvare gli animali, avrebbe sicuramente fatto un viaggio nella stanza del ghiaccio. Si spostò sul seguente pezzo di carta. Era una mappa di Arendelle e della terra che la circondava. I segni cerchiavano una spiaggia di sabbia nera e un luogo chiamato Mare Oscuro, e scarabocchiato in quella che riconobbe essere la calligrafia di sua madre c’era uno dei tanti modi di dire del padre.

      Il passato ha un modo per ritornare.

      Era stato sottolineato due volte, come se significasse qualcosa di importante. Anna strizzò gli occhi alle parole, cercando di dargli un senso. Ma era confusa. Il passato era passato, quindi come avrebbe potuto ritornare? E perché sua madre lo avrebbe scritto su una mappa… una mappa che si trovava in questo particolare libro in questa stanza segreta? Doveva significare qualcosa?

      Anna sbadigliò. Forse quelle parole dopotutto non significavano nulla di particolare. Molto probabilmente, cercava un senso solo perché voleva così tanto che ne esistesse uno. E perché le mancava molto sua madre e, per un momento, si era sentita molto vicino a lei mentre leggeva il suo libro. O forse era perché era stanca. Così tanto, tanto stanca.

      Anna non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando lei e Olaf erano entrati nella stanza segreta, e senza finestra, era impossibile da dire. Rimettendo la mappa a posto nel tomo, alzò lo sguardo per trovare Olaf in equilibrio su una sedia di legno polverosa mentre tirava un globo di neve da uno scaffale.

      “Ehi, guarda cosa ho trovato!” disse Olaf. “Neve che esiste in Estate—proprio come me!” Diede un bacio al globo. “Ciao, piccola nuvola tascabile.” Dandogli una scossa, fece volare la neve scintillante intorno ad una miniatura del Castello di Arendelle scavato in una conchiglia. Era bello, e Anna aveva la certezza di aver già visto quel globo di neve prima: non esattamente quello, ma uno schizzo di esso in uno sketchbook di suo padre che lei conservava in un posto d’onore sulla sua toletta.

      “Penso che anche mio padre sapesse di questa stanza segreta,” disse Anna, “il che vuol dire che c’è un solo membro della famiglia che potrebbe ancora non sapere della sua esistenza.” Chiuse Segreti dei Segni Magici. “Dobbiamo dirlo ad Elsa!”

      “Dirmi cosa?”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 4

 

ELSA ERA TORNATA.

      Anche se Anna sapeva che sua sorella era sveglia da molto prima di lei, aveva organizzato un incontro per gli abitanti del villaggio, visitato una fattoria, perlustrato la biblioteca, poi visitato un’altra fattoria, era ancora fresca e pulita, la sua treccia bionda una striscia di luce contro il bordeaux della sciarpa accogliente della loro madre, che ora era avvolta attorno alle sue spalle. Elsa stava ferma, a bocca aperta, fissando con quello che si potrebbe definire stupore verso Anna e Olaf nella stanza segreta.

      “C-come? Voglio dire, hai…?” sbottò Elsa. “Cos’è questo posto?”

      Felicità e sollievo si riversavano in Anna. Dall’espressione sulla faccia di Elsa e dal modo in cui parlava, Anna sapeva—nello stesso modo in cui sapeva che il ghiaccio era freddo e il fuoco era caldo—che Elsa non era a conoscenza di questo particolare segreto. Per una volta, Anna non era stata l’ultima a sapere.

      “Abbiamo trovato una stanza clandestina,” disse Olaf. “Clandestino vuol dire segreto. Ma penso che ora non sia più così clandestina. A meno che tu non riesca a… qual è il sostantivo di clandestino? Manteniamo la clandestinità?” Stava ancora tenendo il globo nelle mani. “Vi dispiace se mostro questo a Sven?” E prima che le sorelle potessero rispondere, corse fuori dalla stanza.

      “Non lo so, esattamente,” disse Anna in risposta alla domanda di Elsa. “Ma non è meraviglioso?” Gesticolava verso gli scaffali della stanza segreta e combatteva la voglia di ridacchiare mentre Elsa entrava e si guardava intorno, gli occhi spalancati, osservando le erbe secche, il cannocchiale di rame scintillante, e il vortice cremoso di quella che sembrava essere una zanna di narvalo. Elsa si avvicinò agli scaffali.

      “Come hai trovato questo posto?” chiese Elsa.

      “Olaf,” disse Anna. Riempì Elsa di oggetti, la mappa, gli appunti, e il libro che sentiva potesse avere le risposte ai loro problemi. Al sentire che i loro genitori erano stati in questa stanza, Elsa sobbalzò.

      “E quindi,” concluse Anna, “scommetto che qui possiamo trovare qualcosa riguardo la Moria.”

      “Non saprei,” disse Elsa. “Ma qualsiasi cosa affligga il bestiame di SoYun sta colpendo anche il gregge dei Westens. Non sono riuscita a svegliarli. Ho provato di tutto.”

      “Voglio dire, guarda questo titolo!” Anna prese l’Almanacco dell’Alchimista dallo scaffale e lo porse ad Elsa, ma l’attenzione di Elsa era presa altrove, su una vecchia cornice dorata che era stata accuratamente appoggiata al muro. Il dipinto al suo interno era infangato dalla sporcizia, ma Anna riusciva però a distinguere un paio di occhi e una mascella forte: un ritratto.

      Raccogliendolo, Elsa ci soffiò sopra, e una nuvola di polvere si sollevo in aria finendo sulla faccia di Anna. Anna starnutì mentre Elsa sollevò il ritratto ad altezza braccia e strizzò gli occhi. “Penso che questo dovrebbe essere Aren di Arendelle. Il dipinto è così sporco, però, che è difficile da dire.”

      Anna rimise l’almanacco a posto sullo scaffale e sbirciò oltre la spalla di Elsa. “Cosa ti fa pensare che sia Aren?”

      Aren era un leggendario leader fin dai tempi antichi—molto, molto antichi, addirittura prima dell’ultima era glaciale. Così antico, infatti, che era molto probabile che il famoso guerriero non fosse mai esistito.

      “Vedi?” Elsa indicò una macchia scura. “Penso che questa sia la Revolute, la sua spada con il ‘diamante giallo, luminoso come un occhio’.”

      Anna fissò sua sorella. “Stai forse… citando qualcosa?”

      “Sì,” ammise Elsa. “Questo è un verso della Saga di Aren, scritto da un poeta sconosciuto che, secondo alcuni era il vero amore di Aren.”

      Ad Anna suonava familiare. Sebbene sapesse tutto quello che c’era da sapere riguardo Arendelle, c’erano ancora alcune cose, come questi piccoli dettagli, che sapeva di aver conosciuto ma che aveva dimenticato. Le cose che aveva dimenticato erano di solito le storie che i suoi genitori avevano condiviso. L’imbarazzo si insinuò in lei. Odiava quando dimenticava le cose!

      Provò a ricordare tutto quello che poteva riguardo Aren. C’erano storie senza fine e poemi epici sulle sue coraggiose gesta—dall’aiutare gli Huldrefólk a nascondere le loro code al viaggiare sotto il mare per cantare con le sirene o la ricerca delle cime delle montagne per incontrare il sole. In base a questo particolare racconto, Anna ricordò, il sole era stato così impressionato da Aren che gli aveva donato una spada chiamata Revolute Blade. Con la spada del sole nella sua mano, Aren aveva scolpito il fiordo tra le montagne. E non un fiordo qualsiasi, ma questo fiordo: Arenfjord, la spina dorsale del regno di Arendelle.

      “È quello che dice ‘La luna e il sole che girano, hanno forgiato una lama a mezzaluna,’ e… qualcosa, qualcosa, del tipo ‘Le bandiere di Arendelle potranno mai sventolare’?” chiese Anna.

      Elsa annuì. “Esattamente.” L’imbarazzo di Anna si attenuò mentre Elsa indicava un punto al di sopra della macchia. “Penso che potrebbe essere il diamante giallo nel pomello, e poi c’è”—spostò la mano—“vedi come la lama curva? In accordo con la leggenda, la curva è il punto in cui la spada ha colpito la terra per la prima volta. Ecco come la spada ha avuto quel nome. ‘Revolute’ vuol dire ‘curvo’.”

      “Le spade magiche sono belle,” disse Anna, inclinando la testa e facendo ventaglio con la mano. Stava diventando caldo nella stanza senza finestra. “Ma davvero non vedo perché sarebbe utile poter fare dei tagli nella terra.”

      Elsa armeggiava con la sua treccia mentre guardava il dipinto. “A quanto pare, il sole conferì alla Revolute grandi poteri, e con la spada nella sua mano, Aren diventò noto come il protettore del popolo, unificandoli contro una paura nera. È stato un grande leader.” Una strana espressione si insinuò sul volto di Elsa. “La storia sembra essere piena di grandi leader.”

      Anna guardò Elsa. Per qualche motivo che non riusciva a capire, Elsa sembrava aver lasciato la stanza, anche se fisicamente non era andata da nessuna parte. Non guardava più verso Anna. Invece, il suo sguardo era fisso su uno scaffale pieno di libri, bottiglie e vasetti.

      “Perché stavano studiando la magia? E perché hanno sigillato la stanza e non ce ne hanno mai parlato?” chiese Elsa, la sua voce era così delicata che Anna si chiese se avesse voluto dire qualcosa. Elsa stava lì, con la schiena impossibilmente dritta, in piedi, come dovrebbe fare una regina. Ma in quell’esatto momento, Anna non vedeva Elsa, la regina di Arendelle. Vedeva Elsa la bambina solitaria che passava le sue giornate da sola nella sua stanza con i modelli di ghiaccio a farle compagnia.

      Anna allungò la mano per toccare il braccio di Elsa. Sua sorella era rigida, come se maneggiasse non solo il freddo e la neve, ma ne fosse parte. “Ho la stessa domanda,” ammise Anna, contenta di fare questa cosa insieme. “Ma pensaci: perché le persone studiano l’arte?” chiese. “Perché il Pasticcere Blodget ha passato la sua intera vita alla ricerca di un modo per cucinare i migliori biscotti al burro del mondo? Perché Kristoff continua ad esercitarsi a cantare?”

      Elsa rimase in silenzio, quindi Anna rispose per lei, abbassandosi per prendere Segreti dei Segni Magici . “Perché il talento vale la pena di essere esplorato. Perché i biscotti al burro sono deliziosi, cantare è divertente, e la tua magia è meravigliosa, Elsa. Forse volevano saperne di più a riguardo.”

      Fece scivolare la mano in quella di Elsa, e aspettò. Qualche secondo dopo, Elsa strinse le sue dita, e Anna strinse a sua volta. Senza incontrare gli occhi di Anna, Elsa si allontanò da lei e si diresse verso l’uscita.

      “Ho bisogno di andare.” la voce di Elsa era bassa. “Questo posto mi spaventa.”

      “Cosa vuoi dire?” Anna non pensava di essere mai stata in una stanza più bella con ancora molto da scoprire. Le possibilità erano infinite!

      “Sono tutte queste cose nei barattoli.” Elsa ondeggiava le mani. “Rinchiuse e sigillate.”

      “Beh,” disse Anna, mettendo Segreti dei Segni Magici sotto al braccio, “forse significa solo che è tempo per loro di essere portati alla luce del sole.” L’eccitazione risorgeva in lei. “Le risposte a come fermare la Moria potrebbero esser qui! Forse c’è ancora più magia là fuori, magia che potrebbe davvero aiutarci!”

      Elsa indietreggiò.

      “N—Non intendevo in quel senso,” disse Anna, “La tua magia è davvero utile. Solo non in questa situazione.”

      Elsa fece un passo indietro. “Devo aiutare il bestiame prima di cominciare a cercare in questa stanza, okay?” disse Elsa. “Non c’è tempo da perdere. Io… io devo andare.”

      “Certo. Ma—ma noi… Io posso restare qui e continuare a cercare indizi,” suggerì Anna. “Potremo essere in grado di trovare le risposte a quello che sta accadendo a—”

      Elsa scosse la testa. “Penso davvero che dovremo lasciare questo posto per ora.”

      “Un momento,” disse Anna, disperata nel tentativo di continuare il suo piano, disperata di aiutare. “C’è ancora molto che non abbiamo scoperto! Questi libri potrebbero avere le risposte!”

      “Ora devo andare.” la voce di Elsa era tagliente come un ghiacciolo.

      “Ma noi—”

      Dovremmo lasciare questa stanza nel passato. Ci dev’essere stata una ragione per cui Mamma e Papà volevano tenerla segreta,” disse mentre gesticolava verso la porta, “le risposte ai nostri problemi solo là fuori.”

      No, pensò Anna, la sua paura era grande piena e pressante contro il suo petto. Stava accadendo ancora. Il suo piano per provare se stessa ad Elsa stava crollando! A chi importava di poter fare uno stupido Grande Viaggio? Anna voleva fare quello che era meglio per tutti, ma in questi giorni sembrava che avesse l’abilità di fare l’esatto opposto.

      “Stai lontano da questa stanza, Anna,” continuò Elsa, allontanandosi da lei e dirigendosi verso la biblioteca. “È stata tenuta nascosta per una ragione. Lasciamo che rimanga tale.”

      Elsa—”

      “Lascia perdere.” E quando Elsa parlava con quel tono, più come una regina che come sorella, Anna sapeva che non c’era spazio per le repliche.

      Silenziosamente, Anna annuì. Mentre rimetteva a posto Segreti dei Segni Magici sullo scaffale, Elsa tornò alla biblioteca e si recò verso il suo prossimo appuntamento in programma. Ma Anna non riusciva ad andarsene—non ancora. Guardò un’ultima volta verso la stanza segreta, immaginando sua madre che si sedeva a quel tavolo di lavoro, traducendo i simboli in parole, mentre suo padre studiava gli oggetti sugli scaffali e faceva una battuta intelligente. Senza nemmeno pensarci, Anna raggiunse con le dita Segreti dei Segni Magici, ma si fermò poco prima di toccare la soffice pelle. Elsa avrebbe potuto arrabbiarsi con lei se avesse scoperto quello a cui Anna stava pensando, ma Elsa si sarebbe arrabbiata molto di più se gli animali avessero continuato ad ammalarsi. Ne sarebbe valsa la pena, si disse fermamente Anna, quando tutto si sarebbe sistemato—quando Anna avrebbe sistemato le cose. Comunque, Elsa aveva solo detto che Anna doveva stare fuori da quella stanza, ma non aveva detto—o alla fine, non lo aveva detto specificatamente—che Anna non poteva portare qualcosa appartenente alla stanza con lei.

      E con questo, Anna prese il libro di sua madre e corse via.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 5

 

ERA MOLTO TARDI ORMAI, e Anna era affamata.

      Fermandosi a prendere un piatto di formaggio, cracker, e spicchi di mela dalla cucina, ha fatto una chiacchierata con i cuochi del castello, per recuperare i pettegolezzi locali: chi aveva maggiori possibilità di far crescere la zucca più grossa del villaggio quest’anno, quante persone avrebbero partecipato all’annuale festa del raccolto, e la voce molto eccitante che un anello di fidanzamento era stato acquistato in gioielleria, ma da chi?

      Solitamente, Anna avrebbe amato restare e fare da musa, ma sapeva che più tempo passava là sotto, meno tempo aveva per fare ricerche. E così, scusandosi con il piatto di formaggio, Anna corse verso la sua calda camera da letto, si infilò nel suo pigiama più comodo, e iniziò a leggere.

      Segreti dei Segni Magici era molto più di una semplice raccolta di storie. Sembrava quasi una guida sul campo, come se qualcuno avesse attraversato il deserto raccogliendo informazioni su varie creature mitologiche e raccogliendo anche gli ingredienti per trasformare i fiori in rane. C’erano storie di foreste incantate, e cose che sembravano delle ricette. E mentre diversi passaggi di testo non erano stati tradotti da sua madre, molti lo erano.

      Anna seguiva la calligrafia di sua madre come un uccellino seguiva le briciole. Mangiando i suoi cracker, leggeva di muta forma che vivevano con mandrie di renne; parlavano agli alberi; draug: e uomini che non erano più grandi di un pollice. C’erano pagine e pagine in un linguaggio sconosciuto, e ogni tanto un’immagine era accompagnata da simboli. Anna si chiese se Kristoff sapesse qualcosa sulle rune, o se si fosse mai imbattuto in qualcosa nella Valle delle Rocce Viventi che potesse essere d’aiuto. Erano rune dei troll di montagna? O erano qualcos’altro?

      Sua madre sembrava aver saltato la traduzione delle pagine con gli schizzi più inquietanti. Anna sfogliò uno schizzo di un uomo che sembrava urlare in preda all’agonia, poi uno di un uomo sdraiato su un tavolo di pietra mentre un fumo blu usciva dalla sua testa e un troll stava in piedi sopra di lui con le braccia alzate. Finalmente, arrivo alla pagina che, basta sulle sue illustrazioni, sembravano dettagliare la Saga di Aren.

      Le caratteristiche fisiche dell’eroe leggendario erano molto più facili da vedere in questo libro di quando lo fossero state nel ritratto che Elsa aveva scoperto. Aren aveva una testa arruffata di capelli gialli e una bionda barba brillante con alcune trecce tra essa. La sua faccia era più quadrata che rotonda, e il suo naso adunco ha fatto pensare ad Anna ad un aquila. Anche se c’erano solo rune sulla pagina—nessuna traduzione— Anna riconobbe alcune delle sue più grandi imprese. Nell’angolo c’era un disegno della cascata che Aren aveva ingannato per aiutarlo a respirare sott’acqua. E proprio a destra di questo, un disegno del sole, ciascun raggio una delicata spada con un diamante giallo sul pomello, proprio come la famosa Revolute Blade di Aren. E nell’ultimo angolo, in basso a destra, un drago scarabocchiato salutava. Anna girò la pagina, e rabbrividì.

      Un disegno di un lupo, così reale che Anna pensava di poter sentire il suo alito caldo uscire dalle pagine, ringhiando verso di lei. Sua madre sembrava essere arrivata solo all’inizio della pagina, e aveva tradotto solo una singola parola: Nattmara. Anna si accigliò. Ancora una volta una di quelle una-volta-conosciute-ora-dimenticate parole della sua infanzia. Frustrata, girò la pagina. Ne aveva abbastanza di non sapere—e abbastanza, come bambina di cinque anni, di quello spaventoso e ricorrente incubo, grazie molte.

      La quota successiva che la fece stare in pausa fu una ricetta. Era una pagina sciolta, semplicemente infilata nella rilegatura, ma era stato ordinatamente intitolato nella calligrafia di sua madre: FAR AVVERARE I SOGNI. C’era un’altra parola scarabocchiata nei margini della stessa pagina: SORTILEGIO? Le dita di Anna seguivano la parola sortilegio. Non una ricetta—magia.

      Non aveva mai conosciuto nessuno a parte Elsa che fosse capace di usare la magia prima d’ora, e Elsa certamente non incantava parole o incantesimi mentre creava e manipolava la neve e il ghiaccio. La magia era parte di Elsa. Scorreva dentro di lei. Poco dopo la loro riunione, Anna aveva chiesto ad Elsa cosa si provava quando volteggiava le mani. Elsa lo aveva descritto come un’emozione travolgente, una sensazione che alla fine sarebbe cresciuta così tanto da dover trovare un qualche modo di uscire.

      “Come quando vuoi piangere ma ti trattieni perché non vuoi che lo vedano gli altri?” aveva chiesto Anna.

      “Sì,” aveva detto Elsa, “ma non solo piangere. A volte, è la sensazione di volersi fare una gigantesca risata in un momento in cui si dovrebbe stare in silenzio, come nella cappella. Sembra che se ascolto la sensazione, la magia, e la rilascio, riesco a gestirla.”

      Una poesia in un libro non sembrava il tipo di magia che possedeva Elsa, ma questo non significava necessariamente che queste parole non contenevano nessun potere. Queste parole. Questo sortilegio. L’eccitazione attraversava Anna.

      Più guardava quelle parole, più era certa di sentire che quello di cui avevano bisogno era proprio lì, nelle ricerche dei loro genitori. Desiderava solo sapere quale conoscenze si nascondessero dietro le sezioni non tradotte. Anna strizzò gli occhi ai simboli, come se semplicemente fissandoli arrivasse a comprenderli. Ma non arrivò nessuna conoscenza, solo le palpebre pesanti.

      Si chiese se Kristoff avesse scoperto qualcosa di utile nel suo viaggio verso la valle. Si chiese se SoYun fosse ancora fuori nei campi, cercando di svegliare il suo bestiame per tutta la notte. Ma più di tutto, si chiese cosa avrebbero fatto i suoi genitori in questa situazione.

      “Anna e Elsa, appoggiatevi sempre l’una all’altra per aiutarvi,” disse suo Padre. Avrebbe voluto che lei dicesse ad Elsa di questo sortilegio, ma prima, aveva bisogno di far riposare gli occhi. I pensieri di Anna scivolavano e si incrociavano mentre le sue palpebre si abbassavano, sempre di più, sempre più in basso… Aveva bisogno di risolvere la Moria.

      La corte di Royaume era bella come Anna aveva sognato, e lei sapeva che stava sognando—non solo perché non era mai stata a Royaume, ma anche perché tutto sembrava essere troppo perfetto e fragile per essere reale. E poi, Elsa non sarebbe mai stata sorpresa a ballare nella vita vera, ed eccola lì, che girava sulla pista da ballo, con le braccia aperte come se cercasse di abbracciare il lampadario del soffitto che si trovava sopra di loro.

      Anna sorrise. “Assomigli ad un albero sorpreso dal vento!” urlò sopra alla musica di violini e flauti.

      “E sembra che tu abbia le vertigini,” disse Elsa.

      Anna scosse la testa. “Vertigini? Perché—oh!”

      Prima che potesse finire la sua domanda, Elsa afferrò la sua mano e cominciò a farla roteare, la sua gonna bianco trasparente sventolava attorno a lei come una matassa di neve scintillante.

      Anna gettò indietro la testa e rise, immaginando che spettacolo devono fare sulla pista da ballo. Elsa, vestita di bianco cosparsa di semi di perle, era l’incarnazione stessa dell’Inverno, mentre il copricapo e le gonne dorate di Anna la aiutavano a mascherarsi da Estate.

      La grande sala da ballo si offuscava attorno a lei, che sembrava trasformarsi in strisce di vernice. La sua testa aveva iniziato a pulsare, ma era raro vedere Elsa così sciocca e spensierata che non voleva dirle di fermarsi. Invece, Anna chiuse gli occhi, cercando di godersi il momento, anche se era solo finzione… ma lo era?

      Ora le girava la testa. Non importava quanto si stesse divertendo Elsa, ora era tempo di fermarsi.

      “Ehi, Elsa? Basta così!” Anna aprì gli occhi e sobbalzò.

      Sua sorella non la stava più facendo roteare.

      Invece, uno sconosciuto alto in giacca e cravatta e con una maschera da lupo argentata si trovava dov’era prima Elsa.

      Anna si bloccò. “Mi scusi.” Tolse la sua mano. “Ho bisogno di trovare mia sorella.”

      Il ballerino s’inchino, la maschera da lupo argentato quasi gli cadeva dal naso. “Come desidera, Principessa Anna.”

      Il sangue nelle vene le si gelò. Anna riconobbe quella voce. Era una voce che non avrebbe più voluto sentire. Scrutò incerta attraverso gli oscuri buchi degli occhi della maschera. “Principe—Principe Hans?”

      “Proprio così.” Un anello di diamanti si materializzò improvvisamente nella sua mano. “Tua sorella mi ha detto di darti questo quando ti avessi chiesto la mano.”

      “La—mia mano?”

      Hans le afferrò il polso e infilò l’anello al dito. “La mano per il matrimonio. Tua sorella ha dato la sua benedizione. Non ha bisogno di te.”

      Anna tirò via la mano. “Non ci credo,” disse,allungando il collo per vedere se riusciva a trovare sua sorella nella scintillante sala. Ma non c’era nessuno. Le decorazioni, i musicisti, i ballerini… tutti erano svaniti, lasciandola completamente da sola con il principe delle Isole del Sud—il suo malvagio quasi-marito, che aveva ingannato lei e il resto del regno prima che Anna scoprisse il suo orribile piano di uccidere Elsa e prendere il controllo di Arendelle.

      Hans rise, un suono orribile, reso peggiore dal modo in cui alla fine si è trasformato in un urlo. Mentre Anna guardava, il pelo argentato della sua maschera si increspò come se fosse vera pelliccia, il naso si allungò, diventando sempre più simile ad un muso.

      Sempre più simile ad un lupo.

      Finché all’improvviso, non c’era più nessun Hans, solo un grande lupo bianco con occhi ambrati e denti delle dimensioni di un coltello da cucina. Era lo stesso lupo che perseguitava i suoi sogni d’infanzia. Ma mentre molte cose della sua infanzia sembravano diventare più piccole con il crescere, il lupo era, di fatto, cresciuto con Anna. Ora era più feroce. Affamato.

      Il lupo si leccava le fauci ed avanzava.

      Svegliati, Anna, pensava freneticamente, inciampando nella sua gonna mentre indietreggiava. Svegliati! Svegliati! Svegliati—

      “Svegliati!” Anna si sedette dritta. Il suono della sua stessa voce infranse il suo incubo. Il sollievo, caldo e dolce come il miele fresco, la pervase. Era passato così tanto tempo da quando aveva avuto quel particolare sogno, quel particolare incubo, e la paura che ha generato era purtroppo familiare quanto il dolore per la scomparsa dei suoi genitori. E questa volta non c’era Mamma a raccontarle una storia per distrarla o Papà che le portava la cioccolata calda.

      Affidatevi sempre l’una all’altra per aiutarvi.

      Sporgendosi in avanti, Anna afferrò Segreti dei Segni Magici, che era scivolato ai piedi del suo letto. Lo avvicinò al petto e corse verso la vecchia camera da letto dei loro genitori. Non perché pensasse che loro fossero lì, ma perché Elsa ci si era trasferita dopo la sua incoronazione, abbandonando la sua camera da letti dell’infanzia. Ma guardandosi attorno nella stanza a al fuoco morente, Anna si chiese perché Elsa non era ancora tornata. Si rassicurava del fatto che a volte i doveri da regina potevano durare tutta la notte.

      Tornò indietro verso la sua camera. Prima di salire sul letto, si fermò alla sua toeletta e prese lo sketchbook di suo padre. Re Agnarr era stato un artista di talento, brandendo sia la penna che la spada con facilità.       Nei giorni più bui, quando Anna si sentiva più sola, le piaceva aprire il suo sketchbook e vedere il mondo come lo faceva una volta lui. C’erano immagini del Castello di Arendelle, così come le terre lontane che lui aveva visto nel suo Grande Viaggio.

      Elsa sarebbe partita per il suo Grande Viaggio in appena quattro—no, ora tre giorni—e se Anna fosse riuscita a curare gli animali prima di allora, c’era ancora la possibilità di essere in grado di salpare con Elsa.

     Ritornando al suo letto, Anna decise che si sarebbe alzata prestissimo per mostrare ad Elsa come prima cosa il sortilegio. E così, con lo sketchbook di suo padre da una parte del suo cuscino e il libro di sua madre dall’altra, alla fine ha provato a chiudere gli occhi.

      Il lupo non tornò.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 6

 

ANNA SENTÌ IL SUONO delle campane e dei passi da qualche parte del castello.

      L’alba rischiarava, spargendo sul suo viso la calda luce autunnale. Tenendo gli occhi chiusi, Anna si allungò, godendosi l’intimità della sua trapunta, e la morbidezza del suo cuscino. Ancora qualche minuto. Poteva permettersi di aspettare prima di trovare Elsa, chiederle di più riguardo alle capre dei Westens, e dirle quello che aveva trovato l’altra notte nel libro della madre. Dopotutto, era così a suo agio che sarebbe stato un crimine alzarsi, e—

      I suoi pensieri si fermarono.

      Segreti dei Segni Magici. Il libro con i sortilegi all’interno. Il libro con la potenziale cura per gli animali.

      Anna si alzò di scatto, gli occhi si aprirono per essere accecati non dalla luce dell’alba ma dal sole dorato di metà mattina. Aveva di nuovo dormito troppo!

      Più in fretta di Sven che mangia una carota, Anna si alzò dal letto prima ancora di potersi togliere la trapunta. Afferrò Segreti dei Segni Magici , e con la coperta che svolazzava dietro di lei, sfrecciò nel camerino e si diresse al piano di sotto. Non preoccupandosi di bussare, aprì la porta della vecchia camera da letto dei suoi genitori. Il letto era stato fatto con cura, la cenere fredda nel focolare.

      Naturalmente—sua sorella a questo punto doveva essere in piedi da ore. A Elsa, per qualche strana ragione, piacevano le mattine. Diceva che la facevano sentire fresca come la neve, mentre facevano sentire Anna fresca come gli escrementi di pollo. Un mal di testa le colpì le tempie. Anche se aveva dormito per ore, era stato un sonno inquieto, perché ci aveva messo ore per rilassarsi dopo il ritorno di quell’incubo d’infanzia.

      Pensa. Dove potrebbe essere Elsa a quest’ora del giorno? Dalla camera da letto, Anna correva lungo il corridoio per sbirciare attraverso le porte aperte. Elsa non si trovava nella biblioteca e nemmeno nelle camere di consiglio. Forse nella sala dei ritratti? Anna scese al piano di sotto e fece una brusca virata nel pianerottolo—e si imbatté in qualcosa di caldo e solido.

      Anna volò all’indietro, distesa in terra. Un dolore sordo le scuoteva la schiena, ma per fortuna la maggior parte della caduta era stata attutita dal tappeto. Ahi.

      “Ehi!” Brontolava dall’alto la grande parete. “Guarda dove vai!”

      Tu dovresti guardare dove vai!” disse Anna, e se ne pentì all’istante. Non è quello che una che spera di diventare ambasciatrice del Grande Viaggio dovrebbe dire. “Mi dispiace,” aggiunse, alzando lo sguardo per vedere il vecchio, rugoso volto della Signora Eniola che la fissava dall’alto.

      “Anna!” La signora Eniola si inchinò, con la sua lunga gonna marrone scuro che contrastava con il fascio di nastri bianchi che teneva in braccio. “Le mie scuse, non ti avevo riconosciuta nella tua...” I suoi occhi andavano su e giù. “Trapunta?”

      Anna sussultò. Gli ambasciatori Reali dovrebbero anche ricordarsi di indossare abiti adeguati prima di svolgere le loro importanti missioni—e di pettinarsi anche i capelli. I suoi capelli non sembravano tali ma somigliavano ad un nido di uccelli. “Va tutto bene.” Anna si alzò. “Avrei dovuto prestare attenzione.” Come sempre. Si strinse nella trapunta e sembrava che sembrasse più dignitosa della sua camicia da notte verde pallido arruffata e dei suoi piedi nudi.

      Anna conosceva Eniola come uno dei nuovi abitanti del villaggio che si era trasferita ad Arendelle da Tikaani, e specificatamente come quella che aveva insegnato l’inno nazionale di Tikaani ad Anna. Eniola viveva in un accogliente cottage alla periferia delle fattorie. Tenendo il mento sollevato, Anna chiese, “Cosa vi porta al castello, Signora Eniola?”

      Eniola sospirò, e le pieghe del suo viso, che già conteneva più linee delle vecchie carte nautiche di re Agnarr, sembravano decuplicare il suo disappunto. “Sono qui per parlare con la regina.” Si morse il labbro. “Tutti noi lo siamo.”

      Anna inarcò un sopracciglio. “Noi?

      Eniola fece un passo indietro per rivelare molti più abitanti in fila fuori dalla Sala Grande, che fissavano Anna. Riconobbe molti dei suoi amici—il caramellaio, il fattore, l’accenditore delle lampade a gas, il mugnaio, i due fabbri, e molti altri. Molti, molti di più.

      Gli occhi di Anna si spalancarono mentre vedeva che la fila di abitanti di estendeva dalla doppia porta che portava alla Sala Grande a tutto il corridoio attraverso la seconda sala grande e infine verso la galleria dei ritratti. La bocca di Anna si seccò, mentre si chiariva la gola. “Perché avete bisogno di vedere Elsa? Ehm, la Regina Elsa?” chiese.

      Eniola teneva in mano il suo fascio di nastri, che Anna vide in quel momento che non erano affatto nastri. Erano fili di grano, ma invece delle lunghe pagliuzze dorate che Anna era abituata a vedere dalla finestra della torre, questi erano fili corti e screziati di bianco—ammuffiti e marci fino in fondo e riconoscibili solo dalle teste dei chicchi in cima. Anche mentre Anna li stava fissando, alcuni semi si sbriciolavano in polvere bianca. Prima gli animali, poi il raccolto. Cosa stava succedendo?

      “Ci siamo svegliati questa mattina,” disse Eniola, “ed è tutto così—ogni cosa!”

      Gli abitanti borbottavano in accordo dietro di lei.

      Anna aveva bisogno di dire ad Elsa di tutti questi abitanti—ora.

      “Chiedo scusa.” Anna distolse lo sguardo dal fagotto nelle braccia della Signora Eniola e si precipitò al piano di sotto in direzione della Sala Grande. “Scusatemi, permesso!” La fila si spostò per permettere ad Anna di passare, e mentre lo faceva, vide che ogni singola persona aveva dei fagotti simili a quello che aveva la Signora Eniola: le zucche, solitamente del colore del tramonto, avevano grandi macchie antiestetiche, e le mele, solitamente rosse, rotonde e croccanti, sembravano avere la stessa consistenza della pasta cruda. Su e giù per la fila, Anna vide bucce di mais essiccate, patate bianche e carote pallide come la panna. Ogni raccolto, ogni verdura, ogni tipo di grano a cui Anna poteva pensare era distrutto. Marcio.

      La Moria.

      Anna aumentò il ritmo. Passando davanti ad una donna dall’aspetto feroce, finalmente riuscì ad attraversare le porte e ad entrare nella Sala Grande.

      La Sala Grande, come suggeriva il nome, era esattamente quello: grande. Era la stanza più grande del castello, con finestre alte e un lampadario scintillante, capace di contenere centinaia di Lord e dame danzanti, il trono di Elsa, e un’imponente fontana di cioccolato tutto nello stesso momento. Una volta, aveva persino ospitato un’intera pista di pattinaggio su ghiaccio quando una tempesta di fine Inverno aveva minacciato l’annuale gara di danza su ghiaccio.

      Ma ora, per la prima volta da quando Anna poteva ricordare, la Sala Grande sembrava piccola. La fila di persone che tagliava la galleria dei ritratti non l’aveva preparata per la folla di persone che riempivano la Sala Grande. Anche nel giorno di mercato più affollato della storia—poco dopo l’incoronazione di Elsa, quando tutti dovevano venire a vedere la loro nuova sovrana magica—non c’erano state così tante persone. O forse c’erano state, ma la gioia non occupava tanto spazio quanto la paura. La paura riempiva la sala, grande e presente come uno dei Giganti di Terra dei racconti di sua madre. Le voci tutt’attorno ad Anna erano tese, come se si dovessero rompere da un momento all’altro.

      “Tutto è andato! È tutto distrutto!”

      “Il mio bestiame! Non si sveglia!”

      “Mai successo in vita mia! È come se la tessa fosse impazzita!”

      “Pensate che questo abbia a che fare con i Northuldra?”

      “No,” grugnì qualcuno. “Re Runeard, che possa riposare in pace, si assicurò che non potessero più creare problemi ad Arendelle.”

      “E gli animali...”

      Anna udì uno strano rumore provenire dall’esterno. Sembrava come il suono di un insieme di bambini che imparavano come suonare il violino misto al suono di uno zoo. Sbirciando attraverso la finestra, Anna sobbalzò. Il cortile era pieno come la sala, pieno di contadini e di animali. Le pecore si erano liberate dai loro pastori, e i cani da pastore, di solito così attenti, sembravano distratti, seguendo qualcosa nell’aria che nessun altro poteva vedere. Tutti gli animali sembravano fantasmi che camminavano, il loro pelo e la loro pelle dello stesso colore giallo-biancastro malato. E anche mentre Anna stava guardando, una mucca e due cavalli si inginocchiarono sul terreno, i loro occhi grandi e neri come pezzi di carbone, le loro bocche aperte e le lingue al di fuori fino a quando, improvvisamente, si addormentarono.

      Lo stomaco di Anna si rigirò. “Scusatemi.” disse più e più volte Anna, mentre provava a farsi strada verso la cima della sala, verso il trono dove doveva trovarsi Elsa. I brontoloni la seguivano mentre lei entrava ed usciva dalla folla, e più di una volta ha dovuto tirare la sua trapunta da sotto lo stivale di qualcuno.

      Ma con un’ultima spinta, riuscì ad arrivare al trono, il sollievo la pervase quando trovò Elsa lì in piedi, proprio mentre Wael, il giornalista locale, gridava, “Questo non ci aiuterà!”

      “Wael, “ disse Elsa, “Se solo voleste per favore—”

      Ah-ehm! L’inverno sta arrivando.” Le dita macchiate d’inchiostro di Wael stavano gesticolando selvaggiamente. “Non avremo nulla da mangiare! Ci meritiamo delle risposte—ed è vostra responsabilità come regina darci delle risposte e prendervi cura della vostra gente!”

      Un silenzio cadde sulla Sala Grande alle sue parole.

      Elsa era in piedi a testa alta, non si tirava indietro, ma Anna conosceva sua sorella. Poteva vedere la lucentezza dei suoi occhi. Non era solo il ghiaccio che brillava alla luce del lampadario. Anche le lacrime.

      La rabbia, calda e luminosa, travolse Anna. “Non parli a mia sorella in quel modo!” scoppiò mentre raggiungeva il fianco di Elsa.

      “Anna,” disse Elsa, a voce bassa, “Ci penso io, va tutto bene—”

      Anna fissò Wael. “No, non è così!”

      L’uomo lanciò un’occhiataccia.

      “Elsa sta facendo del suo meglio,” proseguì Anna, le sue parole erano veloci e furiose. “Ha un piano! Sistemerà tutto prima di partire per il Grande Viaggio!”

      Accanto a lei, poteva sentire il respiro di Elsa. “Anna—”

      “Che sarà tra soli tre giorni,” disse un abitante dagli occhi stanchi, le sue braccia piene di quelle che Anna pensava dovessero essere zucchine ma ora sembravano più come grandi lumache bianche. “Davvero la regina può—”

      “Anna—” provò ancora Elsa.

      Ma Anna non stava ascoltando. Stava prendendo le difese di sua sorella. Elsa poteva essere in grado di rimanere lì ad ascoltare le persone che dubitavano di lei, ma Anna non ne era capace.

      “Ma certo che Elsa può!” disse Anna, mantenendo il loro segreto incandescente, la promessa del libro misterioso.

      “ANNA.” Elsa allungò la mano. C’è stato un tempo in cui i ghiaccioli sarebbero spuntati fuori dal pavimento, ma Elsa ora aveva il controllo dei suoi poteri magici. Invece di un ghiacciolo pericolosamente appuntito, questo era solo un gesto—per ricordare a sua sorella di pensare a quello che diceva. “Mi scuso per mia sorella,” disse Elsa alla Sala Grande. Il suo mento era sollevato nello stesso modo in cui Anna ricordava facesse suo padre durante le cerimonie, quando cercava di essere più regale possibile.

      Anna aprì la bocca per protestare, ma uno sguardo all’espressione di Elsa schiacciò qualsiasi parola le fosse rimasta. Le sue guance arrossirono. La rabbia bruciante si trasformò in bruciante imbarazzo. Cosa aveva fatto?

      “Comprendo le vostre preoccupazioni,” continuò Elsa, la sua voce calma e tranquilla. “E le condivido. Quello che stavo cercando di dire era che, per dimostrare il mio impegno a risolvere il problema dei raccolti in rovina e degli animali malati, ho deciso di rinviare il mio viaggio fino a quando riuscirò a risolvere questa problematica situazione.”

      “Cosa?” sobbalzò Anna prima che riuscisse a fermarsi, scioccata del fatto che sua sorella avrebbe cancellato il suo viaggio. Non riusciva a capire a cosa stesse pensando Elsa—e se il rinvio avesse convinto i dignitari e la gente delle altre terre che Arendelle non stava, di fatto, aprendo le sue porte, ma le stava nuovamente chiudendo? E dallo sguardo scioccato sulla faccia di Wael e dal mormorio della folla, Anna sapeva che non era la sola sorpresa da quest’annuncio.

      Se non si fossero trovate di fronte ad un’enorme folla di cittadini stressati, Anna immaginava che Elsa in questo momento si stesse strofinando le tempie e sospirasse. Ma loro erano davanti a cittadini stressati, e sua sorella non ha mai mancato di essere all’altezza di ciò che ci si aspettava da lei: era la regina, regale e imperturbabile.

      “Perché,” disse Elsa, parlando in modo che tutti potessero sentirla, “la nave reale e carica con razioni di cibo, mele, frumento, verdure secche, formaggi, lattine di aringhe marinate, e salsicce. Dobbiamo condividere le nostre eccedenze, altrimenti gli abitanti del villaggio con le fattorie colpite dalla Moria ne soffriranno ulteriormente.” Ancora una volta, aveva escogitato la soluzione perfetta—una così ovvia che Anna si chiese perché non fosse venuta in mente a lei. Elsa era così brava a vedere il grande arazzo, mentre Anna si lasciava distrarre da qualsiasi filo le penzolasse davanti in quel momento.

      “Quella quantità di cibo ci durerà al massimo tre giorni,” protestò Wael. “E cosa le fa pensare che il cibo sulla sua nave non sia andato a male, Vostra Maestà?” C’era qualcosa nel suo atteggiamento da so-tutto-io che faceva venir voglia ad Anna di liberare Marshmallow, il pericoloso pupazzo di neve gigante di Elsa—e fratello minore di Olaf—su di lui. Ma visto che non era un’opzione, dato che Marshmallow era attualmente il custode del palazzo di ghiaccio situato sulla cima della montagna del Nord, si accontentò di fissare Wael.

      “Perlustrerò la nostra cucina,” si offrì Elsa.

      Dietro di lei, Kai scarabocchiava una nota su una risma di pergamena, mentre una gentile e castana Olina, in carica per sorvegliare lo staff della cucina, strinse insieme le mani guantate in un profondo pensiero. Niente sfuggiva all’occhio attento di Olina, e Anna sapeva che probabilmente stava già facendo mente locale sul cibo che poteva fornire la cucina del castello.

      “E se anche quel cibo fosse andato a male?” urlò una voce dalla folla.

      Anna trattenne il respiro mentre tutti fissavano Elsa.

      Elsa, comunque, guardava verso una sola persona: Olina. La donna scosse leggermente la testa: la cucina era a posto. Anna espirò, ringraziando che almeno quest’unica notizia non fosse negativa.

      “Come vostre regina, “ disse a gran voce Elsa, con tono deciso, “Farò in modo che abbiate cibo.”

      La folla mormorava, ma Anna riusciva a percepire il cambio di tono. La conversazione attorno a lei non vibrava più con l’intensità di una corda che veniva tirata troppo forte. Invece, le parole si allentarono e la conversazione si rilassò mentre gli abitanti del villaggio consideravano la proposta di Elsa.

      “Penso che sia una buona idea,” disse Tulva. “Io e mia moglie accettiamo.” E i due fabbri annuirono in accordo.

      “Accetto anche io,” disse Eniola, e presto anche gli altri abitanti del villaggio hanno espresso il loro accordo. Tutti ad eccezione di Wael, che annuì con riluttanza, ma non prima di aver aggiunto, “Bene—ma il Village Crown si assicurerà che lei mantenga la promessa di Anna di trovare la soluzione prime che finiscano i tre giorni.”

      L’orgoglio riempiva Anna mentre Kai accompagnava gli abitanti scontenti del villaggio fuori dal castello e verso il porto per prendere i rifornimenti dalla nave reale. Aveva voglia di applaudire, ma invece si accontentò di uno strillo silenzioso, e sospirò ad Elsa, “È stato geniale.”

      Ma Elsa non ricambiò il sorriso. Invece, si avviò verso una delle entrate segrete laterali alla Sala Grande, nascosta alla vista da un arazzo. “Anna,” disse senza girarsi, “possiamo parlare un attimo, per favore?”

      Il sorriso di Anna scomparve mentre seguiva sua sorella maggiore. Poteva non sapere perché gli animali da fattoria stessero dormendo o perché il loro pelo stava diventando bianco, o perché il cibo del regno sembrava trasformarsi in polvere e cenere, ma era sicura di una cosa: era assolutamente, completamente, al 100% nei guai.

      Tre giorni?!” Elsa si girò verso Anna non appena l’arazzo tornò nuovamente al suo posto. “Anna di Arendelle, come diavolo posso sistemare questo casino, e così in fretta?” Anche se Elsa non aveva alzato la voce, Anna poteva sentire la frustrazione che le ribolliva sotto. “Tra questo e Kristoff—”

      Kristoff?” interruppe Anna, alzando il sopracciglio. “Che è successo a Kristoff?”

      Elsa chiuse gli occhi e si sfregò le tempie, proprio come Anna aveva sospettato che Elsa avesse voluto fare prima. “Non è qui. Pensavo che a quest’ora fosse tornato, ma...”

      La preoccupazione si instaurò in Anna, ma si sforzò di cacciarla via. “Sono sicura che sta bene,” disse. “Sai quanto Bulda sia felice quando lui va a farle visita.” Sorrise, pensando al troll di montagna che aveva cresciuto da sola Kristoff. “Scommetto che è in ritardo perché è così pieno di stufato di funghi che è troppo pesante per Sven da trasportare, e devono andare a piedi.”

      Ma sembrava che Elsa non potesse essere distratta dalle sue preoccupazioni, nemmeno con questa divertente immagine. Elsa scosse la testa. “È troppa pressione. Non so cosa posso fare.”

      “Vuoi dire, cosa possiamo fare… con un libro segreto pieno di magia!” disse Anna.

      Elsa brontolava. “Oh, Anna!” Scosse la testa. “So che vorresti che fosse così, ma non penso che la magia sia la risposta a tutti i nostri problemi.”

      “Okay, ti ho sentito, ma guarda.” Anna tirò fuori Segreti dei Segni Magici. “Ci sono così tante informazioni qui.” Sfogliò le pagine fino a quando non trovò quello che stava cercando. “Vedi? Questo garantisce i tuoi sogni.”

      Elsa sospirò. “Anna, ti avevo detto di non entrare più nella stanza segreta.”

      “Non ci sono tornata. Ho preso questo libro prima di andarmene la prima volta. Guarda qui!”

      Riluttante, Elsa abbassò lo sguardo alla pagina che le era stata messa sotto al naso, ma prima che avesse la possibilità di leggere, Gerda spostò l’arazzo, indossando la sua caratteristica gonna verde, la giacca ed il cappello, e tenendo in mano il grande calendario di Elsa.

      “Vostra Maestà, mi dispiace,” disse la donna, e Anna poteva sentire la gentilezza nella sua voce, “ma anche se il viaggio è stato rimandato, questo fiasco con la malattia ci ha fatto ritardare. Ed ora deve scrivere delle spiegazioni a tutti i differenti dignitari e capi degli altri paesi per spiegare perché non andrete.”

      Elsa fece un respiro profondo. “Sì, ma certo, Gerda, hai ragione. Il lavoro di una regina non è mai completo.” Guardò verso Anna, che tratteneva il respiro. “Ecco. Lasciami quel libro. Forse hai ragione. Prometto che gli darò un’occhiata non appena avrò un momento libero.”

      “Ma—ma certo,” disse Anna, felice di condividere. Ma sarebbe stata molto più felice se Elsa avesse detto a Gerda che Anna aveva trovato qualcosa di importante. Che stavano lavorando alla ricerca di una soluzione insieme.

      “Mi piacerebbe incontrare un esperto di animali e avere la sua opinione,” disse Elsa, e Anna notò ancora che si stava tirando le dita. “E un botanista. Non sono sicura su cosa vada fatto prima...”

      “Se hai bisogno di qualcuno per scrivere le lettere, posso aiutarti con questo,” si offrì Anna. “Ho letto tutte le diverse etichette di ogni paese.”

      “Andrà benissimo, cara,” disse Gerda, la sua penna stava già segnando sul calendario la modifica. “Assicurati solo che Elsa le firmi prima di inviarle.”

      “Lo farò!” promise Anna, felice di aiutare Elsa e felice di avere qualcosa da fare mentre aspettava il ritorno di Kristoff al castello. Aveva così tante cose che voleva chiedergli, iniziando con, In che modo i troll dicono che possiamo curare la Moria? e continuando con Sai come si leggono queste antiche rune misteriose presenti nel libro di mia madre?

      “Grazie, Anna” disse Elsa mentre Gerda si affrettava ad organizzare tutto. “Se è tutto sistemato, allora devo andare. Mi assicurerò di venirti a trovare prima di andare a letto, okay?”

      Ma si girò prima che Anna potesse anche fare un cenno.

      E sebbene Anna si trovasse in mezzo ad un castello affollato che ancora esplodeva fino all’orlo di abitanti del villaggio, la vista di Elsa che si allontanava da lei non aveva mai fatto sentire Anna più sola.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 7

 

ATTRAVERSO LA FINESTRA DELLA SUA CAMERA DA LETTO, Anna osservava l’esodo del personale del castello che passava sopra il Ponte di Archi e si dirigeva verso il villaggio che si oscurava.

     Quel pomeriggio, Elsa aveva dato al personale l’opzione di uscire prima da lavoro venendo pagati in modo che potessero andare ad aiutare i parenti vicini i cui animali e raccolti erano affetti dalla Moria. Dopo aver scritto le lettere, Anna aveva indossato i suoi abiti da viaggio e aveva passato il resto della giornata aiutando a scaricare il cibo dalla nave reale e donandolo agli abitanti del villaggio in mezzo ai gemiti degli animali malati.

     Avrebbe voluto coprirsi le orecchie, ma poi pensò che sarebbe stata una cosa codarda da fare. Non poteva solo ignorare le cose brutte del mondo attorno a se. Se la gente lo facesse, nessuno sarebbe mai d’aiuto, e niente sarebbe tornato a posto. E così Anna era andata ad aiutare i contadini a tamponare la pelliccia bianca con panni bagnati per cercare di tenere il bestiame all’erta. Aveva accarezzato le orecchie sfocate di un puledrino triste, mentre si raggomitolava accanto alla forma addormentata di sua madre, che non si muoveva nemmeno a guardarlo.

     Anna si allontanò dalla finestra e camminò, ancora nei suoi abiti da viaggio da prima. Come aveva pensato, Elsa non era andata a trovarla. Sapeva che sua sorella era impegnata, ma… Anna osservò ancora la finestra, e si decise. Accendendo una lampada ad olio, si fece velocemente strada attraverso le oramai vuote sale del castello verso le camere di consiglio di Elsa.

     Mentre Anna si avvicinava alle porte, era sorpresa di non vedere nessuna luce gialla provenire da sotto. Il suo respiro accelerò. Forse era accaduto qualcos’altro al villaggio, qualcosa di così terribile che aveva impedito ad Elsa di firmare le lettere dei dignitari.

     Anna bussò, e quando non ci fu risposta, entrò.

     Elsa non si trovava.

     Ma—Anna si sentì stringere la bocca.

     Lì, sdraiato e chiuso sulla scrivania, c’era Segreti dei Segni magici. Era chiaro che Elsa non lo aveva nemmeno toccato. Ma doveva! Anna sapeva che la gente diceva che era troppo ottimista, ingenua su come funzionava il mondo, e forse era vero, ma lei aveva fiducia nelle storie. E aveva fiducia nel fatto che ci fosse una soluzione a qualsiasi problema, fintanto che si continuava a guardare. Aveva solo bisogno che Elsa la ascoltasse.

     Anna si affrettò a tornare attraversando il castello, tenendo Segreti dei Segni Magici. Guardò da tutte le parti in cerca di sua sorella, fino a quando i suoi occhi si appesantirono dal sonno mentre il cielo all’esterno diventava sempre più scuro. Forse Elsa non si trovava affatto nel castello. Anna tornò nella sua stanza.

     E poi…

     Voci.

     Delle voci provenivano dalla camera da letto di Elsa. Anna avvicinò l’orecchio alla porta della camera, e anche se non riusciva a distinguere le parole, riconobbe il basso timbro della voce di Kai così come la cadenza nordica di Gerda.

     Anna barcollò dalla porta. Elsa stava avendo un incontro senza di lei! C’era stato un tempo in cui Anna sapeva che Elsa l’avrebbe invitata ad ogni singolo incontro, avrebbe cercato il suo consiglio, ma ora… ora sembrava che Elsa non avesse più bisogno della sua sorellina dopotutto. Elsa aveva deciso di escluderla di nuovo.

     Con tutta la dignità che poteva mostrare, Anna si allontanò lentamente dalla porta, ma non appena fu fuori dalla vista della camera di Elsa, iniziò a correre, cercando di scappare da quell’emozione che cercava di travolgerla. Precipitandosi nel santuario della sua stessa camera, Anna chiuse la porta sbattendola, e si sedette a gambe incrociate sul suo tappeto rosa arruffato, Segreti dei Segni Magici aperto di fronte a lei. Studiò il libro, che si offuscava leggermente nel suo sguardo pieno di lacrime non versate. Anna lo sfogliò di nuovo, quando cadde una pagina sciolta, una che sembrava essere stata strappata da un altro libro.

     Raggiungendola, ad Anna ricordò la stessa pagina sciolta che le aveva dato tanta speranza la notte precedente. La pagina con il sortilegio per trasformare i tuoi sogni in realtà. Le sue lacrime si asciugarono, e Anna sentì la sua tristezza che veniva rimpiazzata da un’altra crescente emozione, una che cresceva così in fretta e così grande che sembrava avere vita propria. Per un momento, pensò di comprendere cosa provasse Elsa quando usava la sua magia. Anna doveva lasciare libera questa speranza selvaggia e indomita, anche se Elsa pensava che non avrebbe funzionato, non c’era nulla di male a provare. E se avesse funzionato, forse le porte alle sedute del consiglio sarebbero state riaperte per Anna. Forse la strana tensione tra Anna e Elsa sarebbe scomparsa. Perché questo era il suo sogno più grande: Anna sperava di poter aiutare le persone di Arendelle, lavorando insieme ad Elsa per trovare una soluzione che avrebbe rimesso le cose a posto. E nel frattempo, Anna sperava che Elsa realizzasse quanto aveva bisogno di sua sorella, allo stesso modo in cui Anna aveva bisogno di Elsa.

     Tirando fuori la pagina, Anna sussurrò le parole ad alta voce:

 

Selvaggio, svegliati!

Vento e Neve!

Pianta il seme

E guardalo crescere!

Pronuncia questo sortilegio,

E potrai vedere

Tutti i tuoi sogni

Diventare realtà!”

 

     Un battito di silenzio. Anna si sentì sciocca. Cosa le aveva fatto pensare che sarebbe successo qualcosa dopo aver pronunciato il sortilegio? Che sua sorella si materializzasse di fronte a lei? Che entrasse a braccia aperte e la riconducesse nella stanza segreta? Senza la sua sfrenata speranza che la trascinava in avanti, Anna si sgonfiò. Accartocciò la pagina del sortilegio del sogno e la mise nella tasca del mantello, decisa a non guardarla più.

     Dal camerino, Anna improvvisamente sentì dei passi seguiti da delle voci.

     “Poverina, ha tante cose per la testa,” una voce filtrava attraverso la porta. Anna la riconobbe come quella di Gerda.

     “Sopporta così tanto,” concordò Kai, la sua voce forte e chiara mentre passavano proprio dalla sua porta.

     L’incontro doveva essere già finito. Il che voleva dire che a breve ci sarebbe stato un rumore alla sua porta, ed Elsa avrebbe chiesto di poter entrare. Da un momento all’altro, avrebbe detto ad Anna quanto le dispiaceva di averci messo tanto ad ascoltare il suggerimento di Anna e che Anna aveva ragione, avevano bisogno di guardare i libri nella stanza segreta. Poi Anna le avrebbe mostrato Segreti dei Segni Magici e la pagina con il sortilegio, ed avrebbero sistemato ogni cosa. Lo avrebbero fatto insieme. Dopotutto, erano sorelle.

     Anna si sedette dritta sul tappeto ed aspettò… e aspettò. Quel rumore non arrivò mai.

 

______

 

     I sogni di Anna sono stati ancora una volta tormentati da un incubo. Sognava ombre scure sulle cime degli alberi, Giganti di Terra che distruggevano il villaggio, e un naufragio in un mare in tempesta. E poi—ghiaccio. Anna aveva detto ad Elsa che non ricordava i momenti durante i quali era trasformata in ghiaccio. Ma era una bugia. Non avrebbe mai dimenticato l’orrore della carne calda che diventava fredda, poi tutte le sensazioni fuggivano mentre il suo sangue caldo si ghiacciava in un cristallo freddo come la pietra. Non avrebbe mai dimenticato l’ultimo pezzetto di calore che le sfuggiva attraverso il suo ultimo respiro, non dimenticherebbe mai di aver visto sua sorella singhiozzare, e il dolore unico di non poter fare assolutamente nulla. Stanotte, gli incubi di Anna non le avrebbero permesso di dimenticare. E quindi il sogno di Anna si trasformò…

     Era una ragazza di ghiaccio, in piedi fuori dal castello, in grado di sbirciare solo dentro la finestra e non entrare mai attraverso le porte. All’interno, poteva vedere Elsa che leggeva ad alta voce ad una ragazza, i cui capelli bianchi lucenti erano raccolti in due trecce. Anna non riusciva a riconoscere la ragazza—la schiena era rivolta alla finestra—ma poteva riconoscere il suo vestito, uno verde pallido con dei girasoli ricamati sul bordo. L’abito di compleanno di Anna. Poteva vedere Kristoff entrare nella stanza, suonando la sua chitarra e sorridendo alla ragazza.

     Tu chi sei? Voleva gridare Anna alla ragazza dai capelli d’avorio. Girati! Ma le sue labbra ghiacciate non si muovevano, e Anna ha dovuto aspettare, con impazienza ed orrore, fino a quando, alla fine, la ragazza si girò per rivelare… Gli occhi di Anna. Il naso di Anna. Il sorriso di Anna. La ragazza dai capelli bianchi era Anna—ma non lo era. Anna era stata rimpiazzata. Da quest’altra persona. E nessuno nella stanza, né Kristoff, Olaf, Kai, Gerda—nemmeno la sua stessa sorella—se n’era accorto. O forse lo avevano fatto ma non importava a nessuno. Un alto ululato trafisse l’aria, e il ghiaccio si frantumò. Si staccò da Anna come un’armatura, rivelando sotto di essa la vera se. Improvvisamente, avrebbe potuto correre, ma il castello si era trasformato in un’ampia tundra, e non c’era nessun posto dove nascondersi prima che il lupo apparisse. Perché era già lì.

     Senza girarsi, Anna sentì gli occhi gialli del lupo puntati sulla sua schiena. Scappò. Ancora, non importava quanto duramente pompava le sue gambe, o quanto battesse veloce il suo cuore, niente sembrava cambiare. Sotto di lei c’era solo una distesa piatta di neve grigia e sopra di lei un cielo ancora più grigio. Il mondo era incolore e tetro e senza speranza, e poi—

     Un esplosione di dolore rosso interruppe la sua visione mentre gli artigli del lupo rastrellavano ed affondavano nella sua schiena.

     Anna si aspettò di svegliarsi—si era sempre svegliata.

     Ma questa volta, non lo fece.

     Invece, il lupo la rovesciò sulla schiena, aprì le sue enormi fauci e la ingoiò completamente.

     Gli occhi di Anna si aprirono. Il sudore le illuminava la pelle e si sentiva vuota, come se le fosse stato tolto il suo interno, come una zucca svuotata. Qualcosa la spinse sulla schiena.

     “Le dita dei troll!” esclamò Anna a nessuno mentre tirava il libro fuori da sotto di lei. Ad un certo punto della notte, deve essersi addormentata sul pavimento e si è rotolata sul libro, il suo spinoso dorso che premeva contro la sua schiena, spiegava il forte dolore degli artigli del lupo nel suo incubo. Anna lasciò che la sua testa sprofondasse di nuovo sul pavimento e gettò la mano sugli occhi.

     “La cosa sta diventando ridicola,” mormorò, sperando che il suono della sua voce avrebbe scacciato la paura persistente. “Sei troppo vecchia per questo genere di cose.” Tuttavia, lei non si sentiva vecchia. Infatti, questo era parte del problema. In questi ultimi due giorni, si era sentita davvero molto giovane. E quel dolore che si annidava sempre sotto al mare dei suoi pensieri è emerso, attraversandola tramite un’increspatura di tristezza.

     Come le mancavano i suoi genitori. Sua madre avrebbe potuto sistemare ogni cosa con una storia o due riguardanti cose stupide e magiche, come capre che superavano i troll in astuzia, o un’imperatrice che aveva dimenticato i suoi vestiti. E suo padre, avrebbe scacciato ogni paura persistente con una candela che crepitava ed emanava un profumo dolce e lenitivo, o una calda tazza di cioccolata calda.

     Mmmm… cioccolata calda… con i marshmallow.

     “Dai, Anna.” disse nuovamente Anna ad alta voce, provando a scuotere la solitudine. “Loro non sono qui, ma puoi sicuramente prenderti la tua tazza di cioccolata calda. Non è che il lupo di nasconda sotto al letto o cose del genere.” Emise un sottile “Ha!” per sicurezza. Il suono non era molto convincente, ma non c’era nessun altro da convincere se non se stessa. E così, si alzò dal pavimento, e il terribile, orrendo incubo che era finito in modo diverso da come aveva fatto precedentemente—con il lupo che finalmente vinceva—le sfuggì dalla sua mente stanca.

     Anna realizzò che era ancora in abiti da viaggio, ma non le importava. Avrebbe indossato il pigiama una volta di ritorno. Prendendo una candela tremolante dal comodino. Anna era la sua stessa fonte di luce in un castello di tenebre. La fiamma era debole, ma abbastanza luminosa da potersi fare strada attraverso i corridoi familiari e giù in cucina. E—aspetta. Cos’è stato?

     Alzando la candela un po’ più in alto, Anna si fermò sulle scale. Le sembrava di aver visto un po’ di movimento, un po’ di bianco. Ma mentre si sforzava di guardare oltre la luce della candela, Anna non vide nulla di insolito o fuori posto o che ringhiasse con le zanne…

     “Ti stai comportando da stupida,” si rimproverò. “Vai avanti. Ricorda: marshmallow!” Eppure, il ricordo dell’incubo riaffiorò e la accompagnava per i corridoi, giù per le scale, e fin dentro alla cucina.

     La cucina era il cuore battente del castello, l’allegro rossore delle sue stufe che producono deliziosi banchetti e un calore ancora più delizioso che taglia l’umidità strisciante dell’Autunno.

     Stasera, però, la cucina sembrava stranamente vuota e tranquilla. Le pentole e i tegami, invece di essere aggirate da cuochi indaffarati, erano appese in silenzio ai loro ganci in file ordinate accanto a ghirlande colorate di agli, peperoni secchi, e erbe che pendevano dal soffitto, che scendevano per solleticare i barattoli di marmellate, barbabietole, e aringhe sottaceto. Solitamente, rimaneva almeno un cuoco per tenere d’occhio i fornelli, ma Elsa aveva congedato anche il personale della cucina, inclusa Olina—che voleva dire che solo Anna, Elsa, Olaf, Gerda e Kai stavano dormendo al castello quella notte. Il che spiegava perché fosse particolarmente tranquillo, buio e vuoto.

     Quello—e il fatto che Sven e Kristoff ancora non erano tornati. Almeno, Anna non pensava che fossero ancora tornati—non lo sapeva con certezza. Solitamente, i viaggi verso la Valle delle Rocce Viventi non duravano così a lungo, e da quando aveva saputo che le cose non stavano andando troppo bene con gli abitanti del villaggio, avrebbe dovuto sapere di non dover trattenersi. Era un uomo di montagna; si sarebbe preso cura di se stesso. Ma comunque, Anna iniziò a preoccuparsi e a sperare che sarebbero tornati indietro. A dispetto del suo ottimismo, era sempre preoccupata per le persone che amava. Questo era quello che rendeva Anna… Anna.

     Singhiozzò, il cuore pesante, e si accostò alla stufa. Fare la cioccolata calda era semplice, e mentre non era brava con la cucina che richiedeva venti diversi passaggi e ingredienti dettagliati e un sacco di tagli raffinati, era brava a mescolare il delizioso cioccolato in polvere con il latte e a metterlo sul piano cottura. Ma mentre Anna mescolava la ciotola del latte per impedire la formazione di una pelle, sentì un rumore sordo.

     Smise di mescolare. “Ciao?” disse speranzosa. “Kristoff, sei tu?”

     Nessuna risposta.

     Pensava di aver sentito il suono di passi che si allontanavano, ma dall’altro lato della cucina che porta verso le scale. Forse Kristoff stava indossando i suoi paraorecchie e non era stato in grado di sentirla attraverso la lanugine. Tipico di Kristoff. O forse era Olaf. Forse era pronto a leggere un brano avvincente sull’esistenzialismo o un libro su un altro -ismo.

     Velocemente, Anna spense il fornello e tolse il latte. La cioccolata calda doveva aspettare. I passi erano troppo intriganti. Se fosse stato Olaf, lo avrebbe lasciato in pace. Ma se era Kristoff, voleva sapere quello che gli avevano detto i troll riguardo la Moria. Comunque… non faceva ancora abbastanza freddo perché Kristoff indossare i paraorecchie. Come Elsa, il freddo non sembrava disturbarlo tanto quanto i non-montanari. Dopo tutto, è cresciuto in mezzo al freddo. Prendendo la candela, Anna seguì i passi su per le scale verso il resto del castello.

     “Kristoff? Sei tu?” chiese.

     Sembrava come se la persona stesse camminando attraverso la galleria dei ritratti, poi nella seconda grande sala, e finalmente, la Sala Grande. Stava sulla porta, sollevando la candela più in alto che poteva. Faceva luce solo sul pavimento in legno lucidato. Non aveva sentito i passi lasciare la Sala Grande, che voleva dire che Kristoff, se era lui, era ancora lì in quella camera oscura con Anna. Entrò, sbirciando dietro ogni colonna che rivestiva la parete della stanza cavernosa. Tirò le tende e si spostò da una all’altra.

     “Kristoff?” chiamò Anna. La fiamma della sua candela danzava. Niente, niente, niente, due occhi gialli, niente, niente—Anna smise di respirare.

     Due occhi gialli.

     Portò indietro la candela e vide la sagoma di un lupo.

     Bianco ed imponente, esattamente come quello dei suoi incubi.

     Solo che questa volta era diverso.

     Perché Anna era sveglia.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 8

 

ANNA UNA VOLTA HA SENTITO DIRE che quando qualcuno affronta la morte, la sua vita gli passa davanti.

     Ma mentre stava lì nella Sala Grande, con gli occhi gialli del lupo puntati su di lei, non era la sua vita che le passava davanti—erano i dettagli della Sala Grande. L’asta della tenda rossa tremolante nel bagliore della candela. Il calore della cera della candela che gocciolava sulla pelle. Notò tutto questo nel respiro che fece ringhiare il lupo. Poi le saltò addosso.

     Anna saltò via, gli artigli affilati la mancarono di pochi centimetri. Il lupo ringhiò in preda alla frustrazione, e il suono sembrava raggiungere Anna e raschiarle le interiora, ma riuscì a far cadere la sua candela, ad afferrare la tenda e tirò—con forza, facendo battere l’asta della tenda sul pavimento. Prendendolo di sorpresa, Anna per metà corse, per metà inciampo verso le grandi doppie porte che sembravano lontane come la luna.

     Un passo, poi un altro, e poi—aveva finito!

     Chiudendo le porte, spinse l’asta della tenda attraverso le due maniglie, bloccando le porte al loro posto, proprio mentre il lupo gettava la sua massa contro l’altro lato con tutte le sue forze.

     THUMP!

     Le porte tremarono, ma rimasero chiuse.

     THUMP! THUMP! THUMP!

     Per quanto tempo avrebbe retto l’asta della tenda? Anna non aveva mai visto un lupo così enorme. O meglio, lo aveva visto, ma solo nel… Qualcosa si agitava dentro di lei, qualcosa che sapeva di dover esaminare più da vicino, ma la piccola sensazione di ciò che avrebbe potuto portare il lupo dei suoi sogni nel castello avrebbe dovuto aspettare quando non stava correndo per la sua vita.

     “AIUTO!” urlò Anna mentre si allontanava a tutta velocità. “LUPO! GRANDE, IMPONENTE LUPO! NEL CASTELLO!” La sola cosa che batteva più forte del suo cuore era la sola ed insistente domanda che rimbombava nel suo cervello: Che fare? Che fare? Che fare? Aveva già avuto a che fare con un branco di lupi in passato, quando lei e Kristoff avevano viaggiato fino alla Montagna del Nord per cercare di trovare Elsa—ma Kristoff e Sven non erano lì in quel momento. Doveva trovare Elsa, e in fretta. Volò su per le scale verso la seconda sala grande. Aveva bisogno di trovare aiuto. Ma mentre sfrecciava lungo la scala che portava alla camera da letto di Elsa, vide un lampo di bianco davanti a sé. Il lupo—era in qualche modo fuggito dalla Sala Grande!

     Gemette. Era proprio come nei suoi sogni: il lupo grande-come-un-toro sembrava che la superasse sia in astuzia che in velocità ad ogni curva. Ma come? Sapeva che i lupi erano veloci, ma non era possibile che fossero così veloci. Ansimando per respirare, Anna si girò e corse verso u altro corridoio. Girò a sinistra, destra, e poi nuovamente a sinistra. Non sapeva esattamente dove la stessero portando i suoi piedi, ma realizzò che sarebbe stata vicina alla stanza di Kai se avesse girato un’ultima volta a sinistra. Forse poteva nascondersi lì dentro!

     Come guardiano del castello, Kai aveva protocolli per ogni cosa, dal modo corretto di tenere una tazzina di té all’esatto rituale per spegnere le candele e le lampade ad olio uno stoppino alla volta. C’era la possibilità che potesse avere un piano per un lupo che era entrato nel castello. Un lupo! Un lupo! Un lupo! Il suo respiro diventò breve e veloce. Da qualche parte dietro di lei, pensava di aver sentito un urlo. Solo altri venti metri prima di raggiungere la stanza di Kai… cinque metri… un metro…

     “KAI!” Anna si fiondò dentro la stanza del guardiano e ha chiuso a chiave la serratura dietro di lei. Notò la sua sagoma sdraiata nel suo letto. “Kai, svegliati! C’è un lupo nel castello! Cosa dobbiamo fare?”

     Ma l’uomo rimase completamente immobile.

     Il disagio si insidiò in Anna. Non era come se fosse silenziosa. Infatti, era molto rumorosa. Perché Kai non si svegliava? Accese una candela dal suo comodino per vedere.

     Kai si contorse e si girò sotto la coperta, e come la luce colpì le sue palpebre, mormorò, “No, ti prego… no!”

     Era nel bel mezzo di un incubo.

     Anna sapeva per esperienza personale che nessuno dovrebbe essere svegliato nel mezzo di un brutto sogno.

     Ma c’era un lupo che ora scalpitava fuori dalla stanza.

     Le solite regole non si applicavano.

     “Kai, svegliati!” Anna scosse il braccio del guardiano. “Ti prego, ti prego, ti prego svegliati!”

     Gli occhi di Kai si aprirono di scatto, e Anna barcollò indietro. Gli occhi del guardiano erano solitamente dello stesso colore marrone-verde delle foglie autunnali cangianti o dei torrenti fangosi. Ma invece di guardare caldi occhi color nocciola, fissava due pozze d’inchiostro. Le sue pupille avevano ingoiato le sue iridi, i suoi occhi completamente neri. Proprio come il bestiame.

     Improvvisamente, Kai si sedette dritto, e gridò.

     E gridò.

     E gridò.

     E gridò.

     Gridava come se gli artigli gli strappassero il cuore. Come se denti affilati fossero affondati nella sua pelle, Come se venisse mangiato vivo dall’interno.

     Anna mise una mano sulla sua spalla per cercare di confortarlo, ma lui non reagì al suo tocco. Era come se lei fosse invisibile. Kai non poteva vederla—non riusciva a percepirla. Era perso.

     Lo scalpitare fuori dalla porta aumentava. Più affamato. Più disperato. E mentre il graffiare aumentava d’intensità, gli occhi neri di Kai improvvisamente cambiarono ancora. In un attimo, erano neri, e l’attimo dopo, erano gialli… e brillavano.

     Il cuore di Anna sembrava volare su per la gola e quasi soffocava mentre barcollava all’indietro.

     Cosa stava succedendo?

     Il graffiare si fermò. O c’era ancora? Anna non poteva esserne sicura, mentre il grido di Kai continuava a riempire la stanza, facendole tappare le orecchie. Aveva bisogno di uscire da lì. Aveva bisogno di trovare Elsa, Olaf, Kristoff e Sven, di avvertire gli altri. La gente di Arendelle era in pericolo. Tutto questo era la paura peggiore di Anna, peggio del suo incubo pieno di lupi. Perché era reale. Stava accadendo. Come e perché, ci avrebbe pensato più tardi.

     Fece un passo verso la porta. Gli occhi gialli di Kai rimasero fissi da qualche parte dietro di lei, come se testimoniassero orrori nascosti. Gli passò accanto e mise un orecchio sulla porta. Nulla. Non tanto quanto uno stridio. Ma se il lupo fosse stato lì fuori, ad aspettarla in silenzio? O peggio: e se non c’era nessuno lì fuori, e invece si stava dirigendo dagli altri?

     “ELSA!” il nome di sua sorella le uscì dalla gola mentre apriva la serratura ed corse via dalla camera di Kai, lasciandolo urlare e contorcersi. “ELSA! ELSA! ELSA!” urlò.

     Pochi minuti prima, Anna poteva sentire la tranquillità della sua casa. Ma non c’era più tranquillità. Ora poteva sentire altre urla che attraversavano tutto il castello. Urla che lei riconobbe essere quelle di Gerda. Anna aveva la sensazione che se sarebbe andata da lei, sarebbe stato troppo tardi, che Gerda avrebbe potuto avere gli stessi occhi gialli brillanti di Kai. Praticamente singhiozzava. “ELSA!”

     La porta della camera da letto dei loro genitori si aprì, e un momento dopo, Elsa apparve nel corridoio, ancora in abiti da lavoro ma avvolta nello scialle della loro madre, e con pesanti occhiaie sotto agli occhi. Olaf si muoveva dietro di lei, con una vestaglia gialla sfocata e con una maschera per il sonno abbinata sulla fronte. Teneva ancora in mano il globo di prima.

     “Cosa succede?” chiese Elsa.

     Al suono della voce di sua sorella, Anna quasi collassò con sollievo che Elsa non stesse dormendo e urlasse. E gli occhi di Elsa erano azzurri—azzurri come il cielo, e azzurri come una canzone.

     “U-un lupo!” balbettò Anna, afferrando Elsa ed Olaf in un feroce abbraccio. “Lupo! Kai! Gerda!” boccheggiò e poi quasi soffocò, “Occhi! Occhi gialli e brillanti!”

     “Elsa,” sospirò Olaf, “non ha alcun senso!”

     Il secondo successivo, Anna sentì una mano fresca sulla fronte mentre sua sorella controllava la sua temperatura. Al tocco di Elsa, Anna sentì la frenesia placarsi, solo un po’.

Non era sicura se fosse la magia di Elsa, o se era perché il gesto era così familiare e confortevole , ma le faceva venire voglia di piangere. La loro madre faceva la stessa cosa ogni volta che Anna si svegliava in un bagno di sudore dovuto al terribile incubo che aveva tormentato la sua infanzia.

     Anna riuscì a prendere un profondo, tremendo respiro. “Perché niente ha senso!” Dopo essere scappati al piano di sopra nelle camere di consiglio e aver chiuso le porte, Anna raccontò loro quello che era successo. La storia uscì fuori confusa, i dettagli si accumulavano sparsi. Elsa non la interruppe. Ascoltò, e quando Anna arrivò alla fine, le fece un cenno fermo e comprensivo.

     “Sei sicura di non aver solo fatto un brutto sogno?” chiese Elsa.

     “Così parrebbe,” disse Olaf tirando leggermente più in alto la sua maschera per il sonno.

     Anna fissò Elsa. “Cosa? No! C’è un lupo nel castello!”

     Elsa si sfregò le tempie. “È tardi. Dovremo tornare a letto.”

     Cosa?” Anna si allontanò da sua sorella. “Non mi credi?”

     “Domanda.” Olaf aveva sbloccato la serratura e sbirciava attraverso la porta. “I lupi solitamente hanno quattro zampe, due occhi, e denti, lunghi ed affilati, giusto?” Quando le sorelle annuirono, premette una mano sulla sua bocca e inclinò la testa. “Allora sono aaaaabbastanza sicuro che dovremo credere ad Anna.”

     La porta si aprì, spazzando via la vestaglia di Olaf insieme alla maschera, e facendo cadere il globo di neve sul pavimento con un crack. Il lupo li aveva trovati. Le sue scapole affilate sporgevano su e giù mentre si muoveva, come una specie di terrificante creatura da carosello. Le sue lunghe zampe lo portavano sempre più vicino, seguendo Anna, Elsa e Olaf mentre indietreggiavano e costeggiavano il lungo tavolo.

     Prima che Anna potesse urlare, un muro di ghiaccio si eresse dal pavimento di legno. Il cristallo frastagliato correva fino ai soffitti al centro della stanza, lavorati insieme per formare una fitta barriera protettiva, con Anna, Elsa, e Olaf vicino alle porte e il lupo murato sull’estremità del camino. Il sussulto di sorpresa di Anna divento bianco nel freddo della magia di Elsa.

     Ora mi credi?” chiese Anna a sua sorella.

     Elsa la ignorò. I suoi occhi studiavano la camera. “Abbiamo bisogno di trovare—”

     Ma le parole di Elsa furono tagliate.

     THUMP! THUMP! SCREEEECH!

     Linee sottili a ragnatela sparse sulla parete di ghiaccio mentre il lupo la colpiva, con gli artigli stridenti. Era un suono terribile, anche peggio del suono di denti che raschiano contro una forchetta, che fino ad allora Anna aveva ritenuto essere il suono più terribile che si potesse immaginare. Il muro di ghiaccio non stava reggendo. Si stava frantumando.

     Correte!” urlò Elsa, alzando entrambe le braccia.

     Anna non aveva bisogno di farselo dire due volte—e Olaf era proprio al suo fianco. Sfrecciando fuori dalle camere di consiglio, si fecero strada verso le scale, giù verso la grande porta frontale che li avrebbe condotti sul ponte del castello. Ma mentre Anna ed Olaf si avvicinavano al pianerottolo del primo piano, due paia di occhi gialli brillavano verso di loro dall’ombra, bloccando loro la strada verso la porta frontale. Kai. Gerda.

     Lo stomaco di Anna si girò. Aveva avuto ragione, ma oh! Quando avrebbe voluto essersi sbagliata. La faccia amichevole di Gerda era ora un ovale di agonia—i suoi occhi e la bocca erano tutti larghi e rotondi mentre urlava e si dirigeva verso di loro, qualcosa di scintillante nella sua mano: un paio di forbici da cucito. Ed accanto a lei, Kai afferrava un attizzatoio rovente.

     Spegni le fiamme. La casa sta bruciando,” gracidò Kai, colpendoli con il ferro come se fossero le fiamme che lo stavano attaccando. “Sta bruciando!” urlò.

     Beh, non può essere una cosa buona,” sospirò Olaf mentre Gerda si avvicinava con le lame delle forbici che si aprivano e chiudevano a scatto, si aprivano e chiudevano.

     Lo sguardo nei loro occhi gialli non era umano, ma qualcos’altro.

     Predatorio.

     Simile ad un lupo.

     È un branco di lupi, realizzò Anna con orrore.

     Improvvisamente, un grande suono sconvolgente esplose sopra di loro, come se migliaia di globi di cristallo si fossero distrutti… o un gigantesco lupo era riuscito a sfondare un magico muro ghiacciato. Un secondo dopo, Anna sentì i passi di sua sorella sulle scale dietro di lei e Olaf.

     “TENETE DURO!” gridò loro Elsa.

     “Ma Kai e Gerda vogliono impedirci una imminente fuga e potrebbero farci del male!” disse Olaf, sfrecciando dietro al mantello da viaggio di Anna e lontano dall’attizzatoio bollente.

     “Non fermatevi!” disse Elsa.

     Anna non sapeva cosa doveva fare—Kai e Gerda stavano bloccando l’unica via di fuga dal castello, e un’imponente lupo stava scendendo le scale a tutta velocità verso di loro. L’unica direzione rimasta era in basso—ma lì nella cucina interrata non c’era nessun uscita dal castello, e sarebbero rimasti intrappolati lì dentro, o peggio, nella stanza del ghiaccio.

     Aspetta. La stanza del ghiaccio. C’era qualcosa d’importante riguardo la stanza del ghiaccio. Qualcosa che Anna avrebbe voluto controllare… le cianografie! Le cianografie che mostravano un passaggio segreto che usciva da sotto al castello.

     “Elsa!” urlò Anna a squarciagola. “Incontriamoci nella stanza del ghiaccio!”

     Anna e Olaf volarono praticamente giù per il resto delle scale con Elsa che sollevava la parte superiore mentre faceva saltare il pianerottolo con del ghiaccio liscio come uno specchio, rendendo difficile per il branco seguirli giù per le scale. Anna non si girò, nemmeno quando udì due thunds e un whoosh che lei pensava essere Kai e Gerda che scivolavano sul ghiaccio, incapaci di procedere oltre.

     Ma questo non significava che il lupo, con i suoi grandi artigli uncinati, non potesse camminare sul ghiaccio.

     Anna, Olaf, e Elsa continuavano a correre al piano di sotto. Si fiondarono nella cucina, solo per scoprire che non erano da soli.

     Kristoff era seduto nel mezzo della stanza al lungo tavolo, che si scartava un panino, e a giudicare dal numero di briciole sparse di fronte a lui, non era il primo panino della nottata.

     Un sollievo per Anna: Kristoff era tornato, e stava bene! Anna fece il punto sui dettagli. I capelli biondi di Kristoff erano aggrovigliati, come se avesse passato la notte nei boschi o in montagna. Il suo zaino da viaggio rattoppato, la lanterna e il piccone erano sospesi sulle sue spalle, come se fosse stato troppo affamato per aspettare un secondo di più. Sven sgranocchiava con gioia mentre seppelliva il naso in un sacchetto di carote. Dovevano essere appena tornati dalla Valle delle Rocce Viventi. L’orrore si scontrava con il sollievo. Orrore, perché aveva pensato—aveva sperato oltre ogni speranza—che Kristoff e Sven fossero lontani, molto lontani dal castello e in salvo da qualche parte nei boschi. Sollievo, perché non avrebbe dovuto affrontare questo terrore senza di lui. Kristoff alzò lo sguardo, una briciola gli cadde dal mento.

     “Ciao, Kristoff!” Olaf sfrecciò nella cucina e passò il tavolo in velocità. “Addio, Kristoff!”

     “CORRI!” urlò Anna, barcollando verso di lui. Con una mano, afferrò il gomito di Kristoff e lo trascinò dietro di lei.

     Mwofa?” chiese, con la bocca piena.

     Ma Anna non aveva tempo di spiegare, perché il lupo era lì, lì nella cucina. E anche se era impossibile—tutto questo era impossibile—il lupo sembrava essere cresciuto di un metro da quando lo avevano lasciato nella seconda sala grande. Le sue spalle sfregavano ai lati della porta mentre entrava spavaldo nella stanza, gli occhi che brillavano, le guance da cui usciva una fitta melma.

     Kristoff fece cadere il suo panino sul pavimento. “MWOFAAA?” urlò.

     Ora tutti e cinque—Sven, Elsa, Olaf, e Kristoff, con Anna alla guida—corsero verso il retro della cucina, verso la porta che li avrebbe condotti alla stanza del ghiaccio. Anna aprì spingendo la pesante porta e la teneva mentre Kristoff, Olaf e Elsa la attraversavano. Ma dov’era Sven? Guardandosi indietro, il cuore di Anna si fermò.

     La paura sembrava aver congelato Sven sui suoi passi. Rimase immobile, con la carota in bocca, mentre il lupo si avvicinava a lui. Rovesciò il lungo tavolo di legno con uno stridio sanguinante delle gambe contro la pietra.

     “Sven!” gridò Anna. “Corri!

     Ma era come se Sven non riuscisse a sentirla. Invece, i suoi occhi rimanevano fissi su quelli brillanti del lupo. Sollevò uno zoccolo, e fece un passo… verso il lupo.

     “SVEN!” Urlò Kristoff da dietro la spalla di Anna.

     Al suono della voce del suo migliore amico, la strana ipnosi del lupo su Sven sembrava svanire. Sven vacillò all’indietro, inciampando sugli zoccoli mentre si girava sui fianchi e inciampava sulla porta, lasciando ad Anna appena il tempo di chiuderla sul muso del lupo. Sven traballava accanto a lei, tremolante ma salvo, e Kristoff gettò le sue braccia attorno a lui. Elsa ha fatto saltare la porta con il ghiaccio per trattenerlo, e con un movimento della sua mano, una trentina di blocchi di ghiaccio raschiavano il pavimento ruvido di pietra per piazzarsi di fronte alla porta, per sicurezza. Ma sarebbe stato abbastanza?

     Elsa si sistemò i capelli e si infilò una ciocca di capelli sciolti dietro l’orecchio. “Potrebbe essere uno strano lupo con occhi gialli lucenti, ma deve avere difficoltà ad artigliare attraverso la pietra ed il ghiaccio!”

     Il suono del lupo che artigliava e scalpitava contro la porta faceva sembrare che forse, solo forse, stava facendo progressi impossibili.

     “E adesso?” disse Elsa, entrando nella stanza. “Perché hai voluto che venissimo qui?”

     “Un secondo!” disse Anna, strizzando gli occhi, non solo per provare a tenere fuori l’immagine mentale del lupo che li stava cacciando, ma per cercare di ricordare cosa dicevano le cianografie riguardo l’entrata del Passaggio dei Giganti di Terra. Qualcosa riguardo a tre lastre di pietra dentro…

     Contò tre lastre di pietra all’interno, e due di traverso, e si affrettò verso una al centro della stanza. Mentre si inginocchiava e posava le dita attorno al bordo della pietra, sperava con tutte le sue forze che le cianografie fossero state complete, che non erano solo un desiderio fantasioso del suo eroico nonne Re Runeard, che aveva costruito il castello.

     Trattenendo il respiro, Anna tirò, e la pietra lastricata si alzò, rivelando gradini di pietra che conducevano giù nell’oscurità. “Sì!” Sorridendo, fece un gesto verso l’entrata. “Olaf, sei il primo!”

     “Oh, non vedo l’ora di andare in un posto nuovo!” disse con un’onda eccitata delle sue braccia.

     Aooooooooooooooooo! Il suono dell’ululato del lupo sembrava scavasi la strada verso di loro, torcendosi e rotolandosi attorno ad Anna, circondandola, dall’alto in basso e attorno.

     “Prima io!” Olaf saltellò giù e le scale.

     Coprendosi le orecchie per coprire l’ululato, Anna lo seguì, insieme ad Elsa e Sven. Kristoff fu l’ultimo, e mentre scendeva, rimise accuratamente la pietra lastricata al suo posto in sicurezza, facendoli sprofondare nell’oscurità più assoluta. Per un momento, Anna era consapevole del respiro di ognuno, e si chiedeva se tutti potevano sentire il battito del suo cuore.

     “Cos’era quella cosa?” sospirò finalmente Kristoff.

     Nessuno rispose, ma Anna sapeva.

     E non era solo un lupo.

     Era un incubo.

     Il suo incubo.

     Ed era venuto per loro.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 9

 

LA TESTA DI ANNA BATTEVA FORTE, il suo stomaco si contorceva, e il suo cuore faceva male.

     Non era malata, eppure, in modo strano, desiderava esserlo, perché i raffreddori andavano e venivano di loro spontanea volontà, ma questo—questa dolorosa sensazione—se l’era cercata. Così come deve aver portato il lupo al castello. Voleva credere che era una coincidenza il fatto che il lupo fosse apparso dopo che lei aveva letto ad alta vole il sortilegio del ‘Rendere i sogni realtà’, ma non ci riusciva.

     Anna aveva sognato il lupo per tutta la sua infanzia. Ora, Kai e Gerda—persone che aveva amato e l’avevano cresciuta—avevano gli occhi gialli ed erano intrappolati nelle loro stesse realtà da incubo. Perché non aveva ascoltato? Elsa le aveva detto di lasciare perdere la stanza segreta, che i loro genitori probabilmente avevano tenuto segreta per una ragione. Ed ora, Anna aveva scatenato il suo incubo su Arendelle.

     “È una buona cosa che sia così buio,” disse Olaf da qualche parte alla sinistra di Anna. “Se ci fossero mostri mangia-carne laggiù, almeno non potremo vederli!”

     “Sempre a guardare il lato positivo,” rispose Kristoff. “Anna, cosa sta succedendo? Cosa ci fa un lupo nel castello? E dove siamo ora?”

     “Elsa,” disse Anna, armeggiando con una mano nella tasca del mantello per cercare il pezzo del sortilegio, e raggiunse alla cieca nell’oscurità la spalla di sua sorella. “Devo dirti una cosa—”

     “Un attimo, Anna,” disse la voce di Elsa da un po’ più lontano. “Kristoff, possiamo avere un po’ di luce?”

     Ci fu un fruscio, seguito da uno scritch mentre Kristoff accese un fiammifero ed accese una lanterna attaccata al lato del suo zaino da viaggio. Solitamente, Anna si sentiva meglio quando c’era la luce, ma la fiamma vacillante della lanterna gettava un’ombra enorme sulle pareti di roccia grezza e sul viso dei suoi amici, distorcendo le loro sagome familiari, e trasformandole in estranei. E—il respiro di Anna si bloccò sotto alla gabbia toracica—era un luccichio giallo che aveva notato negli occhi di Kristoff?

     “Seriamente,” disse Kristoff, il suo viso si contorceva con frustrazione, mentre faceva correre le mani su e giù per il garrese di Sven, per poi sbirciare nel suo orecchio. La povera renna stava tremando dal suo incontro ravvicinato con il lupo, e si trovava così vicino a Kristoff che gli stava quasi calpestando le dita dei piedi. “Qualcuno vuole per favore spiegami cosa sta succedendo?”

     Mentre controllava le gambe tremolanti di Sven, girò la testa, e la macchiolina gialla che Anna aveva pensato di aver visto sparì. Doveva essere stato il riflesso della lanterna nei suoi occhi. Il panico si dissolse, solo un po’, e riprese da dove aveva lasciato. Erano all’inizio di un tunnel alto e largo, scavato direttamente nella roccia grezza della minuscola isola del castello. Il percorso si allontanava da loro, scomparendo nell’oscurità.

     “Dove siamo?” Elsa inclinò la testa all’indietro e guardò in alto, con gli occhi spalancati.

     “È chiamato il Passaggio dei Giganti di Terra,” disse Anna. “Era su una delle cianografie nella… stanza segreta.”

     Elsa la guardò a lungo. “Tu e quella stanza segreta.”

     “Cosa?” disse Anna. “È stato così! E quelle cianografie della stanza segreta ci allontaneranno dal lupo!”

     “Quindi,” disse Elsa, stringendo le mani, “sai dove porta questo passaggio?”

     “Non...esattamente,” ammise Anna. “Penso che porti sotto al fiordo, ma non era chiaro dalle cianografie.”

     “Quindi, mi stai dicendo che potrebbe portare dovunque, compreso un vicolo cieco?”

     Lo stomaco di Anna si rigirò. “Io… Io non ci avevo pensato.”

     Elsa sospirò e scosse la testa. “Va bene. Penserò ad una soluzione.”

     Le parole colpirono Anna, come se Elsa gliele avesse fisicamente lanciate addosso. Anna l’aveva delusa. Se Elsa era così turbata solo per le cianografie, cosa avrebbe detto se Anna le avesse raccontato che aveva recitato il sortilegio? Quando sarebbe stato il momento giusto per dire a tua sorella che avevi combinato un gran casino?

     Improvvisamente, Sven sbuffò. I suoi occhi si voltarono all’indietro, e Anna poteva vedere il bianco che li riempiva. In quello stesso momento, dall’alto, Anna poteva sentire coltelli che venivano affilati. No, non coltelli. Artigli, che raschiavano contro il pavimento in pietra. Il lupo stava scavando per loro.

     “Dobbiamo andare. Ora!” Elsa si allontanò da Anna, trasformandosi da una sorella irritata ad una regina in carica. “Andrò io per prima, in caso… in caso ci fosse qualcosa più avanti. Olaf, pensi che potresti…?”

     “Mettere gli occhi sulla nuca?” Olaf girò la testa di 180 gradi. “Già fatto.”

     Elsa annuì. “Grazie. E se succedere qualcosa, voglio che corriate tutti senza fermarvi. Intesi?” Senza aspettare una risposta, Elsa prese la lanterna a Kristoff e camminò in avanti attraverso il tunnel, la lanterna spargeva pallide ombre sui muri di pietra grezza.

     Kristoff offrì la sua spalla a Sven, che ci appoggiò la testa. “Che tipo di cose pensi intendesse Elsa?” sussurrò ad Anna.

     “Penso che volesse dire che se le cose si mettessero male, dovremo lasciare che se ne occupi lei,” spiegò Anna.

     “Tipo, se ci fosse un crollo,” aggiunse utilmente Olaf. “O una valanga, o se ci fosse un mostro, o se tu perdessi il naso, o se il lupo o Gerda o Kai ci attaccassero, o se gli occhi di Kristoff diventassero gialli—?”

     Anna mise la mano sulla bocca di Olaf, fermando la pletora di possibilità orribili. “Andrà tutto bene se rimarremo uniti.” Desiderava e sperava che questo fosse vero. Ritirò la mano da Olaf, e sorrise. “Comunque, noi abbiamo qualcosa che il lupo non possiede.”

     Kristoff alzò un sopracciglio. “Cos’è?”

     Anche l’orecchio di Sven si alzò, aspettando una risposta.

     Anna annuì verso la luce, e sentì la sua stessa frustrazione svanire. Anche se il completo di sua sorella era abbastanza semplice—un sensato abito blu erica con lo spacco perfetto per le lunghe giornate alla scrivania o pomeriggi in visita ad una fattoria—luccicava ancora dove dove veniva toccato dalla luce della lanterna, proprio nel modo in cui tutto ciò che Elsa toccava brillava.

     Anna sorrise. “Noi abbiamo Elsa.” E detto questo, si affrettò a raggiungerla.

     Hanno corso il più velocemente possibile attraverso il passaggio, cioè non molto velocemente. In parte perché il passaggio era stato scavato così grossolanamente che risultava noioso da attraversare, in parte perché Sven sembrava ancora scosso e terrorizzato dal lupo, che stava presumibilmente ancora raschiando il pavimento in pietra da qualche parte lontano da loro. La compassione attraversò Anna. Per quanto fosse stata terrorizzata, doveva essere stato mille volte peggio per una renna, la cui minaccia naturale era il lupo. Anna notò che Kristoff teneva una mano sul collo del suo migliore amico, e di tanto in tanto, prendeva una nota mentre Kristoff gli cantava.

     Nel frattempo, Olaf, con gli occhi rivolti all’indietro, continuava a calpestare l’orlo del mantello da viaggio di Anna. La terza volta che successe, Anna si fermò, ricordando come Elsa era solita portarla in spalla molti anni fa, e si accovacciò di fronte a lui. “Olaf, che ne dici di fare un giro a cavalluccio?”

     “Non mi dispiace!” disse Olaf. Ma senza i suoi occhi che guardavano davanti, gli ci sono voluti più di un paio di tentativi, in uno dei quali fece cadere Anna a terra sulla pancia. “Ta-da!” Olaf si arrampicò sulla sua schiena. “Ce l’ho fatta!”

     “È vero,” grugnì Anna. “Stai fermo mentre provo ad alzarmi.”

     “Anna?” chiese Olaf, sedendosi sulla sua schiena. “Tutto bene?”

     Anna rispose, quasi senza fiato, mentre stava premendo in basso con i palmi. “Sto bene.”

     E fu allora che Elsa urlò.

     “ELSA!” urlò Anna mentre una nuova forza la pervase. Si alzò in piedi. Con un nodo in gola, volò giù per il passaggio. Olaf si reggeva al suo collo. Il tunnel era buio ma per il minimo alone di luce.

     “Elsa! Kristoff! Sven!” Urlò Anna. “Cosa succede?!”

     Orribili pensieri le passavano per la testa, ma Anna fu in grado di ignorarli tutto eccetto uno: un’immagine del lupo, silenzioso come la luna, che pedinava Elsa, mentre gli occhi azzurri di Elsa venivano svuotati del loro colore e diventavano di un giallo incandescente.

     Il tunnel si incurvò leggermente, ed eccoli lì: Elsa, Kristoff, e Sven. Anna li scansionò per vedere se ci fossero segni di ferite, ma niente sembrava fuori posto. Nessuno stava sanguinando. Infatti, non c’erano segni di qualcosa di sbagliato. E, più ci pensava, più non c’era possibilità che il lupo avrebbe potuto superarla nel passaggio per raggiungerli più avanti.

     “Cosa è successo?” Anna si spaventò. “Perché hai urlato?”

     “Scusa,” disse Elsa, le sue guance si arrossarono. “Credo di essere un po’ nervosa, e poi quando l’ho visto, io, ecco…” Indicò dietro di lei.

     Il tunnel si allargava in una camera, anche se Anna poteva vedere che si restringeva di nuovo sul lato opposto della sala. Sembrava come un pitone che aveva ingoiato un uovo intero, l’uovo visibile nel suo esofago. E nelle ombre più lontane della camera, Anna vide—

     “Un drago!” esclamò Anna, indietreggiando fino a calpestare l’orlo del suo mantello.

     Olaf girò nuovamente la testa per guardare avanti, pungendo l’orecchio di Anna con il suo naso di carota. “Sciocca Anna. Non è un drago, è una barca a forma di drago.”

     Kristoff mise una mano sulla spalla di Anna. “Non preoccuparti. Anche Elsa pensava che fosse un drago.” disse con un sorriso sottile.

     Anna sbirciò nell’ombra. Era una barca. O una barcaccia, in realtà. A differenza delle alte navi, a più ponti e a più alberi con vele ad ali di farfalla ancorate nel porto sopra di loro, questa barca era elegante, e posata a terra come una canoa. Aveva un solo e semplice albero, e la sua unica altezza proveniva dalla parte anteriore e posteriore, dove le sue assi di legno venivano travolte dalla punta aggraziata della coda di un drago ad un’estremità, e dai temibili denti del drago dall’altra. Le tolse il respiro—anche se in parte era causato dal fare jogging con un pupazzo di neve sulle spalle.

     “Questo non è solo un tunnel,” disse Elsa. “Penso che sia… un tumulo.”

     “Oooh. Una pancia cosa?” chiese Olaf.

     Elsa sorrise, ma sembrava velato di tristezza. “È un tumulo funebre,” spiegò. “Nei tempi andati, la gente era solita costruire grandi tumuli di terra chiamati tumuli e deporvi i loro leader caduti nelle loro barche, insieme a tutto ciò di cui potevano aver bisogno nell’aldilà, gli oggetti preferiti come scudi di bronzo, calici per bere, e monete d’oro.”

     “È bellissimo,” disse Anna, volendo esplorare questo tesoro inaspettato. Non amava altro che le risposte, e un pezzo di ceramica rotto o una singola perla di un’epoca lontana potrebbero raccontare molto sulle culture e le storie che si sono perse nel tempo.

     Più tardi, disse a se stessa. Una ragione in più per sistemare quello che hai fatto.

     “Vorrei che fosse un vero drago,” disse Olaf, interrompendo i pensieri di Anna e riportandola nel presente.

     “Io penso che un lupo sia più che abbastanza con cui avere a che fare in questo momento,” disse Elsa, reggendo di nuovo la lanterna e avanzando di qualche passo.

     Kristoff concordò. “Se non ci muoviamo, questo posto potrebbe diventare un nuovo luogo di sepoltura.”

     Olaf scosse la testa. “Povero Fredrick. Non penso che gli piacerebbe molto questo posto.”

     “Chi è Fredrick?” chiese Anna.

     “Il lupo,” rispose Olaf, anche se pensava che fosse ovvio. “Assomiglia a Fredrick, non pensate?”

     “Non stavo parlando del lupo,” disse Kristoff, e si sistemò lo zaino da viaggio più in alto sulla spalla. “Mi stavo riferendo a noi.”

     Continuarono a muoversi, veloci e silenziosi. Avevano bisogno di conservare il respiro per muoversi nell’oscurità e nelle ombre del passaggio. Dopo pochi minuti, Anna pensava di aver sentito il terreno che cominciava a inclinarsi verso l’alto, ma non poteva esserne sicura e non voleva alimentare le sue speranze.

     “Avete sentito?” chiese improvvisamente Elsa.

     Anna ascoltava. Ha sentito qualcosa—un brontolio basso. Un suono che assomigliava ad un tuono,o quello che immaginava essere il russare di un Gigante di Terra addormentato, o—

     “Una cascata,” disse Kristoff. “Penso che siamo passati sotto le acque dell’Arenfjord e siamo finiti dall’altra parte.”

     Una nuova energia aumentò il ritmo dei loro passi. Qualche minuto dopo, girarono l’angolo per vedere una spumeggiante cortina d’acqua scendere a cascata lungo la roccia e una debole, grigia, e non abbastanza leggera che penetra dalla parete. Era quell’ora della notte che non era affatto notte, ma i primi momenti della mattina, qualche minuto prima che il sole oltrepassasse la linea dell’orizzonte.

     Presto la notte sarebbe ufficialmente finita, ma… quali altri incubi aveva sognato Anna che potevano diventare realtà? Le sarebbero caduti i denti? Avrebbe abbassato lo sguardo per notare che era in piedi solo in biancheria intima? O forse sarebbe potuto essere un incubo nuovo, uno dove Elsa la esiliava dal regno una volta aver appreso del sortilegio di Anna.

     Il sortilegio. Il suo stomaco si rigirò. Ad Anna non piaceva quando le venivano nascosti i segreti, ma mantenere il suo segreto la faceva sentire come se avesse mangiato il cibo colpito dalla Moria. Ora che stavano lasciando il tunnel, lontani dal lupo almeno per qualche momento, aveva bisogno di dirlo ad Elsa. Forse insieme, avrebbero potuto trovare un contro incantesimo. Anna prese un respiro profondo.

     “Elsa? Devo dirti una cosa—”

     Elsa alzò la mano. “Non c’è bisogno di dirlo.”

     Inclinando la testa, Anna socchiuse gli occhi a sua sorella. “Dire cosa?”

     Te lo avevo detto,”disse Elsa con un piccolo e stanco sorriso. “Ho capito. Hai trovato il passaggio, ed è stato utile. Non dirò il contrario. Possiamo per favore fare una tregua?”

     Anna si allontanò da sua sorella, non sapendo cosa fare. Da un lato, era contenta che sua sorella sembrasse felice con lei. Ma dall’altro… Elsa non sapeva che tutto questo era colpa di Anna. E mentre Anna non stava esattamente mentendo, più i secondi passavano, più l’omissione la faceva sentire a disagio, come se fosse più uno scarabocchio di Anna che un’Anna che riempiva tutte le sue battute. Odiava mantenere un segreto—ma era più spaventata di perdere sua sorella. Oh, ora cosa avrebbe dovuto fare?

     Ma le fu risparmiato di prendere una decisione quando Olaf emise un grido di gioia direttamente nell’orecchio di Anna. Scese dalla schiena di Anna, e inciampò leggermente per l’improvvisa mancanza di peso.

     “Urrà!” applaudì Olaf. “Non moriremo in una pidocchiosa pancia!” E poi si precipitò lungo il sentiero. Anna rimase senza fiato. Non aveva davvero intenzione di correre dritto in una cascata, vero? È venuto fuori che lo stava facendo, perché nell’attimo successivo, l’acqua si riversava sulle spalle di Olaf mentre lui ci si buttava dentro.

     “Oooh! Un massaggio un po’ spiacevole!” disse, e poi il pupazzo di neve era passato dall’altra parte.

     Anna tirò un sospiro di sollievo. A volte, quando Olaf provava qualcosa di nuovo, cadeva a pezzi e loro dovevano prendersi del tempo per andare a cercare le braccia o il naso o altre parti del corpo. E non c’era tempo da perdere, non quando il lupo poteva comparire in ogni momento.

     Anche se pensava che non potesse scavare nella roccia solida, non poteva più essere sicura di nulla. Si guardò alle spalle per la miliardesima volta, solo per esserne sicura.

     Kristoff allungò un dito per testare la temperatura della cascata. “Accidenti!” Kristoff tolse la sua mano, la punta del suo dito era di un rosa brillante. “È fredda come il ghiaccio, anche per i miei standard!”

     “Non proprio,” disse Elsa, esaminandola. “Altrimenti sarebbe congelata.” sorrise.

     Kristoff fece una faccia. “Touché.”

     “Ci penso io.” Con un movimento della mano di Elsa libera dalla lanterna, un arco di ghiaccio apparve nel mezzo della cascata, mandando acqua che volava verso l’alba e spargendo arcobaleni dappertutto.

     E mentre Anna camminava sotto all’arco, lasciandosi dietro le ombre del passaggio, sentiva che il suo mal di testa si alleggeriva. Anche il suo stomaco si era sciolto un po’.

     I lupi esistevano davvero, ma anche gli arcobaleni e le sorelle. Doveva esserci un modo per Anna di rimediare al suo errore. E ci doveva essere un modo in cui poteva sistemarlo da sola, senza aggiungersi alla mole di lavoro di Elsa. Aveva solo bisogno di tempo—spazio—per pensarci su.

     Il Passaggio dei Giganti di Terra li aveva portati su una piccola sporgenza che sovrastava il villaggio, il gruppo si fermò per fare il conto. Erano tutti lì, anche se Anna notò nella fioca luce dell’alba che i capelli ramoscello di Olaf sembravano un po’ piegati, e che nuove occhiaie viola erano apparse sotto gli occhi di Elsa. Anche Kristoff sembrava in disordine, perfino per i suoi standard. L’aria fresca e frizzante tirava il tessuto dell’abito di Anna, facendole venire la pelle d’oca. Si avvicinò il mantello da viaggio ed era grata di non essersi cambiata con il pigiama.

     “Io penso che dovremmo avvertire il villaggio,” disse Kristoff, spostando il suo peso mentre Sven metteva la testa sulla sua spalla.

     Il mal di testa di Anna tornò con un rinnovato vigore, ma cercò di concentrarsi. Perché Kristoff aveva ragione. “Sì! Dobbiamo avvisare il villaggio” Dirgli di stare al chiuso!”

     Elsa scosse la testa. “Hai visto quel lupo. Non credo che nascondersi possa aiutare.”

     “Allora dobbiamo dire loro di andare lontano!” disse Anna mentre cercava di togliere una ciocca di capelli sciolti dagli occhi. Avrebbe voluto pensare di prendere un nastro per capelli di ricambio, per poterli sistemare in trecce più maneggevoli, invece di lasciarli sciolti e aggrovigliati attorno alle sue spalle.

     “Ancora, e se il lupo fosse lì fuori, a caccia del villaggio?” chiese Kristoff e poi cambiò nella voce di Sven. “E se fosse già pieno?”

     Era un pensiero quasi troppo orribile, e le orecchie di Sven, che di solito puntavano in avanti, sembravano cadere come un paio di calzini scartati mentre ondeggiava sugli zoccoli, come se bastasse uno starnuto di Kristoff a farlo cadere.

     Anna diede un’occhiata verso sua sorella, aspettando che decidesse cosa fare. Ma Elsa non disse nulla. Invece, stava fissando il castello dall’Arenfjord. E anche se il castello sembrava lo stesso, non sembrava lo stesso. Anna sapeva fin troppo bene che le cose non dovevano sembrare diverse per essere diverse. Una mattina, era andata a letto avendo due genitori. La mattina dopo si era svegliata orfana.

     Mentre strizzava gli occhi al castello, Anna vide un granello di bianco nella finestra della torre di guardia. Dietro di lei, Olaf si era rimesso gli occhiali di ghiaccio e fissava le finestre del castello.

     “Fredrick ci sta cercando,” disse, aggiustandosi le lenti in modo che si posizionassero meglio sul suo naso. “Non sembra sapere che ce ne siamo andati…” Olaf alzò una mano per proteggersi gli occhi. “Oh, no, non importa. Lo sa.”

     “Come lo sai?” chiese Anna.

     Olaf distolse lo sguardo. “Beh, credo che abbia interpretato male il motivo per cui ho alzato la mano.”

     “Che cosa significa?” chiese Elsa.

     “L’ha sicuramente preso come un gesto amichevole per unirsi a noi. Il che penso sia quello che sta per fare.”

     “Elsa?” la voce di Anna scricchiolava.

     La fronte di Elsa si corrugò come sempre quando cercava qualcosa che aveva smarrito, o, più probabilmente, che Anna aveva rimosso e dimenticato di rimettere a posto. Sembrava sprofondare nel profondo di se stessa. Poi, prendendo un respiro profondo, Elsa restituì la lanterna a Kristoff ed alzò le mani, come un direttore d’orchestra in procinto di dirigere una sinfonia.

     All’inizio, Anna non vedeva nessuno cambiamento, ma poi notò che il rumore della cascata era diventato silenzioso. Guardando dietro di sé, Anna sobbalzò.

     L’acqua non era più nella cascata.

     Invece di scivolare giù per il fiordo e finire in mare, l’acqua si precipitava verso l’alto, arrampicandosi nell’aria come se fosse stata sparata da un geyser. Si inarcava sui tetti colorati del villaggio sottostante, la sua coda scintillante ricordava ad Anna una cometa. Il suo sguardo ha seguito il suo percorso fino al castello, dove si immerse e ci giocò attorno, girando una, due, tre volte, ancora ed ancora, fino a quando una cupola di ghiaccio—senza soluzione di continuità come un guscio d’uovo—ha ricoperto l’intero castello. Elsa aveva isolato la propria casa sotto il suo gigantesco globo di neve, impedendo a chiunque di entrare dentro al castello—ma cosa più importante, tenere quello che già c’era all’interno.

     Abbassò le mani. Le sue guance rosa arrossirono, ma i suoi occhi brillavano. Anna aveva sempre pensato che creare il ghiaccio con la magia dovesse essere estenuante, come cercare di scalare una montagna in dieci secondi, Ma Elsa sembrava sempre di più Elsa dopo aver praticato la sua magia. E migliorava ogni giorno che passava.

     “È stato bellissimo,” disse Kristoff, con la voce più solenne del solito, ed Anna capiva perfettamente come si sentisse.

     “Grazie,” Elsa si morse il labbro. “Spero solo che riesca a tenere il lupo. Ora, abbiamo bisogno di avvertire il villaggio, e portarli in salvo—non si sa mai.”

     Anna annuì concorde, scostando gli occhi dal castello di ghiaccio. Elsa aveva ragione. Sarebbero dovuti tornare al villaggio, e solo allora lei avrebbe—

     Ma i pensieri di Anna si confondevano come denti storti mentre guardava lontano dalla cupola e tornava dai suoi amici. Il primo raggio di sole mattutino non aveva solo illuminato la bellezza della creazione di Elsa; aveva portato alla luce anche qualcos’altro: un’inconfondibile spruzzata di bianco nella pelliccia di Sven.

     La Moria aveva colpito ancora.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 10

 

SVEN!” URLÒ KRISTOFF, tenendo in piedi il suo amico, la cui testa si posava così in basso che le sue corna hanno sfiorato l’erba ricoperta di ghiaccio.

     Sven emise un brontolio, e il suono spremeva il respiro dai polmoni di Anna. No—non Sven. Fino ad un’ora fa stava bene!

     “Menta,” disse debolmente Elsa, e quando Anna si girò per guardare verso sua sorella, vide che Elsa sembrava scossa come lei. “SoYun ha detto che la menta aiutava Herbert, ed era efficace anche con le capre che ho visto l’altro giorno.”

     “Il negozio di botanica!” disse Anna, distogliendo gli occhi dall’espressione devastata di Kristoff e guardando verso il villaggio sotto di loro. “Gabriella ha sempre della menta nel suo negozio! E se questo non funziona, il panettiere Blodget—”

     “Funzionerà,” disse Elsa, fermamente. “Prima ero lì per chiedere rimedi alle erbe, ma nessuno era in casa,” aggiunse. “Dovrebbe essere tornata adesso.”

     Detto questo, iniziarono a scendere il sentiero verso il villaggio, Kristoff tenne una mano su Sven per tutto il tempo mentre gli occhi di Anna rimasero fissi sulle case ed i negozi davanti a loro. Prima riusciranno a far evacuare gli abitanti del villaggio, prima potranno escogitare un piano per sconfiggere sia la Moria sia il lupo.

     Quanta sfortuna può avere un solo regno in una volta?

     Ma potrebbe andare molto peggio. Anna lo sapeva. Sven era ancora nella fase iniziale della Moria, dopotutto. Potrebbe raddoppiare il dolore, potrebbe cadere, sprofondare in quel sonno incrollabile che lo renderebbe vulnerabile e incapace di scappare dai denti del lupo.

     Il lupo. Aveva qualcosa a che fare con la Moria? Anna ricordò il modo in cui Sven rimase immobile nella cucina mentre il lupo camminava verso di lui, come se i suoi occhi gialli lo avessero immobilizzato. Ma non aveva nessun senso. La Moria è arrivata prima del lupo, ma forse il lupo aveva terrorizzato così tanto Sven—lo aveva scosso fino al suo cuore di renna—che le sue difese erano stata spinte abbastanza da far sì che la Moria si stabilisse e iniziasse a insidiarsi in Sven come un’erbaccia, spinosa e resistente.

     Ma alla fine, Sven stava camminando. Era ancora forte abbastanza per trottare, e stava portando Olaf sulla schiena, il pupazzo di neve che stava tenendo il suo naso di carota su una corda davanti al muso della renna per mantenere Sven sveglio e motivato. Anna desiderò di avere qualcosa di semplice come una carota per rallegrare Kristoff.

     Quando incontrò per la prima volta Kristoff, pensò che fosse un perenne brontolone, ma più passava il tempo con lui, più realizzò che era una persona che amava ridere e rideva con facilità. Ora, poteva vedere che stata tornando lentamente ad essere il montanaro solitario. La preoccupazione gli scolpiva il volto e la sua bocca puntava verso il basso.

     Anna rallentò e fece scivolare la mano nella sua. “Ehi. Andrà tutto bene. Ho promesso che avremo sistemato questo casino in tre giorni, e lo faremo. Il lupo e tutto il resto.”

     Kristoff scosse la testa, gli occhi marroni tormentati. “Solo che non riesco a capire cosa stia succedendo. Prima la Moria, e poi non sono riuscito a trovare i troll, e poi—”

     “Aspetta, che?” Anna sobbalzò. “Che vuoi dire, non sei riuscito a trovare i troll?”

     “Non erano nella Valle delle Rocce Viventi, e non si sono lasciati dietro nessun messaggio,” spiegò Kristoff. Scrollò le spalle con noncuranza, ma Anna poteva vedere la tensione nelle sue larghe spalle. “Sono creature misteriose, lo so, ma solitamente mi lasciavano una lettera di lumache.” Lettera di lumache, come Anna sapeva per esperienza, erano note scritte sul fondo delle foglie con l’aiuto delle amichevoli lumache della foresta. Tendevano ad essere un po’ difficili da leggere, e molto, molto appiccicose.

     “Lo avevano mai fatto prima?” chiese Anna, ma prima che Kristoff potesse rispondere, la testa di Sven si mosse, e le sue orecchie puntavano in avanti.

     Kristoff lasciò la mano di Anna. “Cosa c’è, amico?”

     Ma Anna pensava di sapere, quando un lontano pianto sommesso raggiunse le loro orecchie. Sembrava quasi un vento, lugubre e spettrale, ma la sua tonalità fece venire la pelle d’oca sulle braccia di Anna. Perché non era il vento. Questo era un suono assolutamente umano—e stava arrivando dal villaggio.

     No,” sospirò Elsa, ed Anna stava male nuovamente. Hanno fatto il resto della strada in velocità.

     Il villaggio di Arendelle ruotava attorno al porto, in equilibrio lungo la baia come uno stormo di uccelli che inanellano il bordo di una vasca per uccelli. Anna era sempre stata orgogliosa delle case vibranti del villaggio, dipinte con brillanti spruzzi di colore e rifinite con squisiti dettagli. A molti abitanti piaceva aggiungere un tocco personale che rispecchiasse la personalità di chi ci viveva—Anna conosceva e amava ognuno di loro. Non c’è stata una sola settimana negli ultimi tre anni in cui non abbia fatto un viaggio nel villaggio, anche nei giorni in cui Elsa non poteva unirsi a lei.

     In una mattina normale, gli abitanti del villaggio si svegliavano presto, raccoglievano pagnotte fresche per la colazione e si scambiavano notizie del giorno precedente. Anna preferiva molto di più il villaggio al castello, e amava avere amici. Amici come il panettiere Blodget, che aveva sempre un cestino di biscotti freschi al burro da condividere con i bambini—e occasionalmente, con Anna. O Akim, la sarta abile con il ferro da maglia che aveva fatto ad Anna il suo cappello con le orecchie da gatto. E poi c’erano le tre sorelle, Supriya, Deepa, e Jaya, che non vedevano l’ora di vedere Anna ogni settimana per discutere degli ultimi libri che avevano letto e che avevano trasformato in uno spettacolo teatrale.

     Era così che appariva una mattina normale. Ma questa non era una mattina normale. Niente affatto. Le strade acciottolate erano vuote di gente, ma piene delle loro urla. Prima di giungere al castello, il lupo deve aver attaccato il villaggio.

     “NO—” Anna iniziò ad urlare, ma Elsa le mise una mano sulla bocca, soffocando il suo pianto.

     “Shhh.” Elsa indicò una finestra. Sbirciando all’interno, Anna vide la Signora Eniola addormentata, il suo berretto da notte storto sui suoi capelli grigi. I suoi occhi erano chiusi, ma la sua bocca era aperta in un urlo sanguinario. E Anna sapeva dal profondo delle ossa che se gli occhi della Signora Eniola si fossero aperti, sarebbero stati gialli brillanti come quelli del lupo. Come era successo a Kai e Gerda.

     “Se li provochiamo,” sospirò Elsa, “Penso che ci attaccherebbero.”

     Anna annuì, sentendo che sua sorella aveva ragione. “Abbiamo solo bisogno di ottenere un po’ di menta per Sven,” sospirò. “Poi potremo andare.”

     “Non ci separiamo,” disse Elsa, guardando ognuno di loro negli occhi e prendendo la mano di Olaf. “Dobbiamo rimanere insieme, dobbiamo rimanere silenziosi, e continuare a muoverci.” Parlava proprio come un vero leader.

     Si sono mossi attraverso sentieri acciottolati verso il mercato. Anna rabbrividì mentre giravano ogni angolo. Anche se per la strada non c’era nessuno, aveva la costante sensazione che qualcuno stesse osservando—come se tutte le finestre avessero occhi puntati su di loro.

     O come se un lupo fosse nell’ombra, aspettando solo di colpire.

     Ma, Anna si rassicurò, Elsa aveva sigillato il castello. Il lupo, il lupo del suo incubo, era rinchiuso all’interno, contenuto fino al momento in cui Anna non avesse trovato un piano migliore. Una volta ricevuto aiuto per l’esausto Sven—che ora sollevava ogni zoccolo come se fosse pesante come un masso—Anna avrebbe cercato un modo per rientrare di nascosto nel castello e leggere ogni singolo libro nella stanza nascosta, pagina per pagina, in cerca di un contro sortilegio. Ce ne doveva pur essere uno, anche se non poteva ricordare di averlo visto. E se le rune del contro sortilegio non fossero state ancora tradotte…      Beh, avrebbe solo dovuto trovare il modo di decifrare il linguaggio, anche se le ci fossero voluti vent’anni.

     La preoccupazione le rodeva lo stomaco. Sapeva di non avere vent’anni. Potrebbe non avere nemmeno un giorno. Chi altro incanterebbe il lupo con il suo incantesimo da incubo? Cosa accadrà a tutti loro alla fine?

     Raggiunsero le porte verdi del negozio di botanica, e Elsa si girò verso i suoi compagni. “Rimani con Anna,” ha dato istruzioni a Kristoff, e prima che Anna potesse fermare sua sorella, o unirsi a lei, Elsa era all’interno del negozio di Gabriella. Anna provò a seguirla.

     Kristoff si mise davanti a lei con un sorriso gentile. “Elsa ha detto di restare qui,” disse.

     “Non posso lasciarla andare da sola!”

     “Io penso che abbia tutto sotto controllo,” disse Kristoff, mentre sganciava il piccone dalla sua spalla. “Lei è la regina.”

     “Prima di tutto è mia sorella.” Anna guardò verso Olaf. “Per favore, rimani con Sven e assicurati che non si addormenti.” Olaf la salutò mentre varcava la porta, Kristoff proprio dietro di lei. Dentro al negozio, un urlo di lamento riverberò, un suono così chiaro e forte e triste che Anna avrebbe voluto infilarsi uno dei tanti mazzi di erbe secche nelle orecchie per soffocarlo. Poi—le urla si sono fermate. Qualche secondo dopo, Elsa è scesa volando giù per le scale.

     “Via!” disse Elsa, la sua voce piena di paura. “Dobbiamo andarcene ora!”

     Si affrettarono e chiusero la porta, e poi Elsa la sigillò le serrature con il ghiaccio, per sicurezza. “Ho accidentalmente svegliato il botanista,” disse Elsa, ansimando. E infatti, Anna poteva sentire i passi mentre Gabriella si muoveva al suo interno.

     “Hai preso la menta?” chiese Kristoff.

     Elsa allungò la mano, strofinando un po’ di foglie verdi sotto al naso di Sven.

     La testa di Sven si mosse, e Anna notò con sollievo che le sue pupille si contraevano, anche solo si poco mentre inspirava quell’odore pungente.

     “Cosa stiamo aspettando?” disse Anna. “Andiamo.” Ma prima che potesse girarsi, ci fu un lampo di movimento con la coda dell’occhio.

     Kristoff aveva alzato il piccone sopra alla sua testa. “Silenzio,” sospirò, non distogliendo lo sguardo dalla strada. “Qualcosa sta arrivando.”

     Un’ombra si muoveva verso di loro, attraverso il sentiero acciottolato . Anna trattenne il respiro. Una figura apparve. Alta, e veloce. Elsa alzò le mani, e poi…

     “Hoo-hoo” sospirò una voce. “Ragazze, siete voi”

     Oaken,” sospirò Anna.

     Abbastanza sicuro, c’era Oaken, un uomo grande e potente, con spalle larghe come una barca a remi e gambe spesse come tronchi d’albero. Ma a dispetto della sua formidabile altezza, le guance rotonde di Oaken erano rosa come quelle di una bambola di porcellana, e la sua barba rabescata e il crespo che spuntava da sotto il suo berretto si scontravano gloriosamente con il maglione di lana verde a maglia che Anna sapeva che la nonna aveva fatto per lui.

     Oaken sollevò un dito sulle labbra. Poi batté le dita insieme. Sembrava come se fosse invecchiato di dieci anni da quando Anna lo aveva visto proprio la settimana precedente durante una visita alla sua querciola vagabonda. Lo sfinimento gli macchiava la faccia, e il cappello sulla sua testa era storto. Le sue basette si contorcevano mentre sbatteva gli occhi blu. Fece un cenno.

     Insieme, camminarono tranquillamente ma velocemente per le strade vuote, seguendo il sentiero sterrato che Anna sapeva portare in una valle erbosa circondata da betulle argentate. Ma anche se Anna conosceva bene il sentiero, ogni cosa sembrava differente. Alberi che avrebbero dovuto essere familiari come vecchi amici sono diventati solo un altro potenziale nascondiglio per un lupo. Era riuscito a sfuggire alla presa del castello? Non appena sono usciti dal villaggio, Elsa si girò, e ondeggiò ancora le sue mani, dirigendo una raffica di freddo ed una nuvola di ghiaccio sopra al villaggio.

     Un minuto dopo, anche il villaggio era racchiuso in una cupola di ghiaccio, le urla singhiozzanti smorzate. Elsa non disse nulla mentre si affrettava a raggiungere il gruppo, ma Anna poteva decifrare abbastanza chiaramente l’espressione sul viso di sua sorella: Ho dovuto farlo. Per la loro stessa sicurezza. E per la nostra. E Anna sapeva che sua sorella aveva ragione. E se il lupo fosse uscito dal castello ed era affamato? E se i sonnambuli si fossero accidentalmente allontanati dal villaggio verso il castello e avessero liberato il lupo? Quello che Elsa aveva fatto era la cosa giusta da fare.

     Finalmente, era sicuro per loro parlare.

     “Grazie ai ghiacciai stai bene,” disse Oaken. “Speravamo che stessi bene quando abbiamo visto il ghiaccio che ricopriva il castello.”

     La speranza di Anna, che le era scivolata via fin dal negozio di Gabriella, colse le sue parole.

     Noi?” ripeté Elsa con entusiasmo, pensando chiaramente in modo simile. “Quindi, non tutti sono addormentati?”

     Oaken annuì. “Una manciata di noi è riuscita a fuggire al mio Emporio Querciola Vagabonda—”

     “E Sauna!” terminò Olaf. “Mi piacerebbe entrare nella tua sauna.”

     “E Sauna, sì.” concordò Olaf. “Ed è dove siamo diretto ora.” Oaken era un negoziante che vendeva un po’ di questo e un po’ di quello, dalle carote alle pale da neve alle correnti curative e altro ancora. Ma la più famosa di tutte era la sua sauna, una stanza di legno di cedro e vapore che potrebbe far sembrare anche una delle più fredde notti d’Inverno una serata mite nella giungla.

     Il suo negozio si trovava in un piccolo torrente che si immetteva in un fiume più grande e sul sentiero verso la Montagna del Nord e lo scintillante palazzo di ghiaccio che Elsa aveva creato quando aveva sperimentato per la prima volta i suoi poteri tre anni fa. La piccola cabina in legno era stata costruita con amorevole attenzione ai dettagli, con motivi geometrici intagliati nei suoi tronchi e alte finestre con vetri romboidali.

     Oaken era molto orgoglioso del suo negozio. Una volta aveva ammesso ad Anna di aver pensato di diventare un designer prima di capire che la sua vera gioia di vivere era quella di prendersi cura delle persone e assicurarsi che potessero avere da lui tutto ciò di cui avevano bisogno—ad un prezzo equo. Kristoff non sarebbe d’accordo con quest’ultima parte.

     La Querciola Vagabonda di Oaken era aperta 24 ore su 24, e i viaggiatori stanchi potevano sempre trovare la sauna ed una pila di soffici asciugamani pronti e in attesa di essere riscaldati. Ma mentre si avvicinavano alla locanda, Anna vide che per la prima volta in tre anni, le tende erano tirate, e un piccolo cartello dipinto a mano era appeso alla finestra: CHIUSO.

     “Da questa parte,” sospirò Oaken, guidandoli verso un’entrata sul retro che Anna aveva solo intravisto ma non ci era mai entrata. Bussò alla porta: un lungo tocco, seguito poi da tre più brevi. Non successe nulla, e poi Anna notò una piccola faretra dietro le tende.

     “Parola d’ordine, prego?” disse una voce maschile.

     Eccedenza” sospirò Oaken.

     Ci fu un suono di passi, poi diversi scatti e un rumore metallico prima che la porta si aprisse scricchiolando.

     “Presto, presto,” sospirò Oaken. Trascinò Anna, Elsa, Kristoff, Sven e Olaf all’interno, poi entrò lui stesso nella cabina, ruotando la maniglia della porta per assicurarsi che fosse chiusa. Soddisfatto del suo lavoro, si girò verso di loro, sembrando preoccupato. “Agli animali a quattro zampe solitamente non è permesso l’ingresso all’Emporio Querciola Vagabonda e Sauna. Questa è un’eccezione, ja?”

     “Lui è molto ben educato,” disse Anna di Sven. “Prometto che non sarà un problema.”

     L’espressione di Oaken cambiò, poi annuì. Alla fine, erano tutti al sicuro.

     Il metallo scricchiolò ancora mentre Oaken fece scorrere diversi bulloni e fece scattare non meno di sette lucchetti. Il negoziante non voleva correre il rischio di far entrare un lupo nella sua capanna e di mettere in disordine il suo negozio. Anna si guardò intorno. Beh, quello che doveva essere il suo negozio ordinato.

     “Oh, cielo,” mormorò Elsa.

     Gli scaffali di Oaken, riempiti con uno strano assortimento di prodotti—vasi di fiori situati in cima ai libri, accanto ad un angolo di rastrelli e barili di noci candite—solitamente sfilavano in linea retta lungo il negozio. Ma ora, gli scaffali e tutti i loro articoli erano stati spinti ai bordi. Rinforzi per le finestre, pensò Anna. Nel caso in cui qualcuno—o qualche lupo—provi ad entrare. Sembrava come se la capanna stessa fosse stata preparata per una grande guerra, e non era solo la capanna che era pronta per combattere. Guardandosi intorno, notò due abitanti nel magazzino. Tuva il fabbro, il suo martello penzolava dalla cintura degli attrezzi, stava di guardia alla porta d’ingresso, e al bancone, scarabocchiando su vecchie ricevute, c’era Wael.

     Alla sua vista, Anna sentì un po’ di imbarazzo, e un pizzico di fastidio ancora più forte. Se il giornalista non l’avesse punzecchiata ieri, forse non avrebbe promesso a tutti che Elsa poteva sistemare tutto in tre giorni, e poi forse Elsa non avrebbe avuto una riunione del consiglio senza di lei. E poi forse Anna non avrebbe accidentalmente fatto uscire il lupo dal suo incubo.

     “Dove sono gli altri?” chiese Olaf mentre scendeva da Sven, facendosi strada verso il centro della stanza, e scrutava dietro le librerie rovesciate. “Sono tutti nella sauna?”

     Tuva scosse la testa. “Siamo tutti qui. Noi siamo gli ultimi rimasti.”

     Anna congelò. Prima, aveva dato per scontato che avrebbe trovato altri trenta o quaranta abitanti del villaggio stipati all’interno. Non solo due. Ha dato un’occhiata ad Elsa, ma se sua sorella maggiore si aspettava di trovarvi altri abitanti del villaggio all’interno, la sua espressione non lo mostrava.

     Elsa annuì. “Okay. Se questo è quello che abbiamo, questo è quello che abbiamo.” E anche se la sua voce era calma, Anna vide che stava giocherellando con le nappe dello scialle della loro madre. “Qualcuno può per favore spiegarmi esattamente cosa succede?”

     “Io posso.” Wael alzò un pezzetto di carta. “Sto scrivendo tutto.”

     Elsa, Oaken, e Tuva si diressero verso il bancone, ma Anna si fece strada verso l’angolo, dove Oaken aveva lasciato cadere un mucchio di spese coperte che Kristoff stava ora sistemando in un morbido nido intorno a Sven.

     “Non capisco.” Kristoff scosse la testa. “Stava bene mentre eravamo alla ricerca dei troll, e anche quando siamo tornati al castello, sembrava stare bene. Voglio dire, affamato, ma in salute.” Scosse la testa. “Lo so che sembra ridicolo, ma è come se avesse contratto la Moria solo guardando il lupo. È da quel momento che è strano!”

     “Vero.” Anna si appoggiò vicino a Sven e ondeggiò la menta sotto al suo naso. “Andiamo, non addormentarti!” disse.

     Ma gli occhi della renna calavano. Era esattamente come SoYun l’aveva descritto. La Moria stava giungendo rapidamente e in modo orribile. Kristoff scuoteva gentilmente il suo muso ancora ed ancora. Non c’era nulla che potessero fare.

     “A questo punto abbiamo bisogno di un mistico,” disse Anna, pensando ai saggi magicamente inclini che esistevano nelle leggende.

     “Anna? Kristoff? Potete venire qui?” chiamò Elsa.

     Anna e Kristoff si affrettarono. Mentre si avvicinavano, Wael gli porse delle tazze. “Nessuno vuole addormentarsi, non si sa mai.”

     “Non si sa mai cosa?” Anna bevve un sorso. Quasi soffocò. Era la tazza di caffè più forte che avesse mai bevuto, e sentiva praticamente le punte dei capelli contorcersi mentre il caffè le scorreva dentro. Basandosi sulle guance ora rosse di Kristoff e dal tremore delle mani di Elsa, Anna sospettava che anche loro non erano pronti per la scossa.

     “Tutti quelli che erano addormentati quando il lupo è passato attraverso il villaggio sono rimasti addormentati,” disse Tuva, il suo viso solitamente allegro era cupo. “Solo le persone che erano sveglie a notte fonda hanno evitato di cadere sotto la sua maledizione del sonno,” continuò. “Ecco perché abbiamo il caffè così forte. Chi lo sa cosa potrebbe succedere se ci addormentiamo?” Era un pensiero terribile, reso ancora più terribile dall’improvvisa stanchezza che si abbatteva su Anna. Tutto quello che voleva era rannicchiarsi e dormire.

     “Io ero sveglia, ma Gerda e Kai, beh, loro dovevano essere addormentati, perché, voglio dire, non avrebbero mai…” Elsa si interruppe, perplessa.

     “Non ci hanno attaccati?” chiese Olaf.

     “Beh, loro non sapevano che eravamo noi!” Anna si affrettò a ripulire il nome dei suoi amici. “E loro non erano esattamente loro stessi… Io credo che loro pensassero che noi fossimo parte dei loro incubi.” Parlando di loro, Anna sperava che Kai e Gerda stessero bene, e che il lupo non gli avesse fatto del male più di quanto non gliene avesse già fatto.

     Tuva concordò. “Esattamente lo stesso con mia moglie. Ada mi ha attaccato, urlando per tutto il tempo di andare ad aiutarla. E non c’era assolutamente nulla che io potessi fare.” L’espressione sulla faccia di Tuva spezzò il cuore di Anna. Sapeva fin troppo bene cosa significava essere impotenti. Tuva si ricompose e continuò. “L’ho lasciata a casa. Continuava ad urlare e urlare…”

     “Anna, hai detto che abbiamo bisogno di un mistico, ja?” chiese Oaken, battendo insieme la punta delle sue dita. “Forse Sorenson può aiutare!”

     “Sore-cosa?” chiese Olaf.

     “Sorenson,” disse Oaken. “Lui è quello che voi chiamate un esperto in miti e leggende. È il mistico della Montagna del Minatore.”

     “Nessuno vive su quella montagna tranne gli orsi e la lince.” disse Kristoff.

     Il caffè era decisamente troppo forte. Anna avrebbe potuto giurare di aver appena sentito Oaken dire che un esperto in miti e leggende—un mistico—viveva sulla Montagna del Minatore.

     “Elsa inclinò la testa. “Cosa?”

     Oaken iniziò a dire qualcos’altro, ma Anna era troppo distratta per prestare attenzione. I mistici non esistono. Erano solo personaggi di storie che la madre di Anna e Elsa raccontava loro prima di andare a letto quando erano bambine. Si diceva che i mistici si dilettassero in pozioni, incantesimi, e potenti sortilegi—ma tali persone semplicemente non esistevano, o così Anna aveva pensato.

     Ma se qualcuno sapeva come invertire un sortilegio accidentale, quello doveva essere un mistico. Improvvisamente, trovare Sorenson sembrava molto più promettente che tornare nella camera segreta. Anna scosse la testa. Se qualcuno le avesse detto una settimana fa che avrebbe seriamente preso in considerazione l’idea di cercare un mistico, avrebbe riso. Ma d’altra parte, non avrebbe mai creduto che un lupo da incubo avrebbe perseguitato il regno.

     “Perché non abbiamo mai sentito parlare di Sorenson?” chiese Elsa.

     “Se ne sta per conto suo in un’alta torre,” spiegò Oaken. “Ma se questa è una maledizione, lui potrebbe aiutare!”

     “Lui è…” Elsa agitava le sue dita, inviando una danza di fiocchi di neve che volteggiavano nella stanza. “Come me?”

     “No.” Oaken scosse la testa. “Nessuno è come te.”

     “Dobbiamo andare da lui!” disse Anna, girandosi verso sua sorella, che sembrava poco convinta. Anna si girò verso Kristoff e, in cerca di supporto, gli chiese, “Non sei d’accordo?”

     Ma Kristoff non sembrava averla sentita. Stava guardando nella direzione di Sven, e mormorava, “Perché sta succedendo questo?” Il suo caffè schizzò fuori dalla tazza mentre le sue mani tremavano—dalla preoccupazione o dal caffè , Anna non poteva dirlo. “Da dove proviene?”

     “Magia,” disse Oaken. “Dev’essere così.” Le sue parole sembravano risucchiare l’aria nella stanza mentre Anna lanciava uno sguardo a Elsa, solo per vedere che sua sorella sembrava essere, allo stesso tempo, rannicchiata in sé stessa e diventata rigida, come il guscio di un nautilo.

     “Sei stata tu a farlo?” chiese Wael ad Elsa.

     Il mal di testa di Anna tornò con ferocia. “Elsa non avrebbe mai—

     “Ovviamente non lo farebbe!” disse Tuva. “E nessuno sta dicendo che lo farebbe. Ma tra i raccolti marci, gli animali addormentati e le persone, ed ora il lupo—cos’altro potrebbe essere se non una maledizione o un incantesimo di qualche tipo?”

     Alle parole del fabbro, il senso di colpa emerse in Anna. Ora era il momento per lei di essere chiara. “Elsa?” disse timidamente. L’intera stanza la stava osservando e lei trasalì. La sua voce era diventata molto stridula. “Ehm… potrei… parlarti per un momento? In privato?”

     “Non è che questo sia un posto molto grande,” disse Elsa.

     “Scusami?” interruppe Oaken. “Cos’hai detto?”

     Elsa rimase a bocca aperta. “Voglio dire, io non—è adorabile, ma non è, sai, il più grande— ”

     Approfittando dell’agitazione di Elsa, Anna allontanò sua sorella dagli altri e si nascose dietro al bancone del negozio. “Dobbiamo andare da Sorenson,” sospirò Anna, frugando nella tasca del suo mantello da viaggio in cerca della pagina proveniente da Segreti dei Segni Magici.

     Elsa alzò lo sguardo al soffitto e sospirò. “Anna, te l’ho detto, la magia non è—”

     “Lo so, lo so.” concordò Anna. “Non è la soluzione. Ma potrebbe esserne la causa.”

     “Cosa?” chiese Elsa. “Anna, cosa stai cercando di dire?”

     “Ora, non ti arrabbiare,” disse Anna. “ È solo—vedi, ho sentito che stavi avendo una riunione del consiglio senza di me, il che va bene, ma per qualche ragione mi ha infastidito. Mi sono portata dietro Segreti dei Segni Magici per una lettura leggera, sai, perché la Mamma era solita raccontarci le storie di sera. Quindi, ho trovato questa canzone, più che altro una poesia in realtà, beh, forse era un sortilegio, solo per scoprire che forse, probabilmente, potrebbe proprio avere—”

     “Anna.” sospirò Elsa, nascondendo la sua faccia tra le mani.

     “Il punto è…” Anna fece un respiro profondo e tirò fuori la pagina sciolta dal libro. “Arendelle è maledetta… e… io potrei essere quella che l’ha maledetta.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 11

 

ANNA TRATTENEVA IL RESPIRO mentre elsa prendeva la pagina, gli occhi spalancati, esaminandola riga per riga.

     “Anna—hai visto la piccola nota in fondo?”

     “No,” disse Anna, diventando rossa. “Perché? Cosa dice?”

     Elsa spostò il foglio di fronte a lei, insieme a dei magnifici occhiali di ghiaccio che aveva creato.

     Sbirciando attraverso il ghiaccio, Anna leggeva:

 

* NON È GARANTITO CHE L’INCANTESIMO SIA ESATTAMENTE QUELLO CHE DESIDERATE.

** SE NON VERRÀ ANNULLATO, DIVENTERÀ PERMANENTE AL TERZO SORGERE DEL SOLE.

 

     “Oh,” disse Anna. “Già, io… decisamente non l’ho visto.”

     Elsa si morse il labbro, e i suoi occhi luccicavano.

     “Mi dispiace.” Anna scosse la testa, sperando di riuscire a scollarsi di dosso le parole. “Stavo solo cercando di aiutare.”

     Elsa sospirò. “Lo so. Non posso essere arrabbiata con te per questo.”

     C’era qualcosa nelle parole di Elsa che faceva venire voglia ad Anna di rannicchiarsi e piangere. Avrebbe quasi preferito che Elsa le urlasse contro piuttosto che sentirla sospirare così. Se Elsa le avesse urlato contro, avrebbe significato che pensava ad Anna come a qualcuno che aveva la capacità di plasmare il futuro del regno, ma quel sospiro… Era lo stesso suono che avevano fatto i loro genitori quando una Anna di cinque anni aveva accidentalmente rotto una statuetta di argilla di una salamandra sopra al camino. “Pensavo che fosse un drago,” aveva detto loro una dispiaciuta Anna. “Pensavo che potesse volare!”

     Va tutto bene, le avevano detto. Non lo sapevi.

     “Anna!”

     Il grido di Kristoff interruppe la spirale di pensiero di Anna. Si alzò in piedi. Kristoff non urlava mai in quel modo. Nemmeno quella volta in cui Anna aveva incendiato la sua slitta per salvarli da un branco di normali lupi, della variante-animale-non magica.

     “Cosa c’è che non va?” chiese. Perché qualcosa doveva essere successo per farlo parlare così.

     “Sven.” Gli occhi e i capelli di Kristoff erano selvaggi. “Si è addormentato. Non si vuole svegliare.”

     Anna uscì fuori da dietro al bancone, consapevole che Elsa la stava seguendo da vicino. Sicuramente, gli occhi di Sven erano chiusi e i suoi fianchi erano appesantiti da un respiro lacerato e faticoso.

     Kristoff strofinò le guance di Sven con il dorso della sua mano.

     Cosa fare, cosa fare, che cosa fare!

     Ma non c’era nulla che Anna potesse fare, tranne… “Elsa!” si girò per cercare sua sorella. “Dobbiamo andare ad incontrare questo Sorenson di persona—potrebbe essere la sola possibilità di Sven!”

     “Ma—”

     “Possiamo chiederglielo, sai.” Anna si scontrò leggermente contro la parola incantesimo, non volendo ancora ammettere a tutti chi fosse esattamente il responsabile del lupo. “E possiamo vedere se lui conosce come curare la Moria!”

     Alla fine la Moria non era stata colpa sua. Era successo prima che Anna pronunciasse il sortilegio, ma comunque… era ancora più curioso che sia la Moria che il lupo condividessero sintomi simili: uno strano tipo di sonno e il cambiamento del colore degli occhi. Anna si sentiva come se stesse guardando un puzzle con un’immagine mutevole. Potevano essere collegati, ma Anna non era sicura di come.

     “Oaken, dove vive esattamente Sorenson in montagna?” chiese Elsa mentre Anna tornava di corsa al bancone.

     Oaken tirò fuori una mappa e l’appiattì davanti al registro, poi tracciò un percorso verso Est, verso la Montagna del Minatore. Picchiettò il dito alla base della montagna. “Segui il Fiume Scrosciante oltre le Montagne Nere fino a quando non vedrai i cartelli delle miniere abbandonate. Attenzione. Sono pericolose.”

     Kristoff si avvicinò per osservare meglio. “Pericolose quanto?”

     “Sono conosciute per i loro crolli e per le terribili frane,” disse Oaken.

     “E per gli Huldrefólk che vivono nel cuore della montagna,” aggiunse Tuva. “Sono ingannevoli. Alcune volte, aiutano. Altre volte, attirano gli umani fuori dai sentieri più sicuri.”

Wael roteò gli occhi. “Gli Huldrefólk non sono reali, lo sai. Sono solo storie della buonanotte, una scusa per le persone che non sanno seguire le indicazioni e un capro espiatorio per quando le cose spariscono.”

     “Gli Huldrefólk sono pericolosi,” continuò Tuva, ignorando Wael. “Conosci le storie. Gli piace nascondersi nell’ombra. Sono ladri—rubano gli oggetti.” Il fabbro tornò a guardare Elsa. “Penso che sarebbe più saggio se lei fuggisse, Vostra Maestà. Forse un altro paese avrà la risposta, e potranno venire ad aiutarci.”

     Anna era troppo stupita per parlare. Non poteva credere che Tuva stava stava suggerendo loro di lasciare la loro casa quando aveva più bisogno di loro. E dallo sguardo sulla faccia di Elsa, sapeva che sua sorella si sentiva allo stesso modo.

     “Ti ringrazio per l’avvertimento.” Elsa si alzò per prendere il suo mantello. “Lo apprezzo. Ma è il mio compito rimanere ad Arendelle con tutti, e trovare una soluzione, Huldrefólk o no. Ora me ne vado.”

     Anna si alzò di scatto. “Non intendi dire che partiremo ora?”

     Con un sussulto, Elsa fece roteare il mantello sulle spalle. “No, Anna. Li hai sentiti. È troppo pericoloso. Penso che sarebbe meglio per voi tutti se rimanete sulla nave reale, solo fino a quando le cose non sono tornate alla normalità. Io posso proteggermi da sola.”

     Anna difficilmente poteva credere alle sue orecchie. Non poteva lasciare Arendelle in un tale stato di pericolo. “Non si tratta di protezione,” disse, i suoi pensieri volavano veloci, cercando di trovare un argomento vincente che poteva convincere Elsa. “Si tratta di… di…” Abbassò lo sguardo verso la tazza nella sua mano. “Si tratta di tenerti sveglia!” finì. “Hai bisogno di almeno una persona che ti tenga sveglia—”

     “E di un’altra che conosca la strada delle montagne,” aggiunse Kristoff. Anna notò con gratitudine si era già messo in spalla lo zaino da viaggio e aveva aggiunto una bobina di corda alla sua cintura, anche se aveva lanciato uno sguardo di preoccupazione alla sua amica renna addormentata. Anna sapeva come ci si doveva sentire a essere separati da uno Sven addormentato e malato, ma sapeva anche che sarebbe stato ancora più difficile per Kristoff non cercare almeno di aiutare. Era anche il modo in cui si sentiva anche lei, e parte del motivo per cui lo amava così tanto.

     Olaf spuntò dal nido di coperte di Sven. “E di un pupazzo di neve che ama i caldi abbracci!”

     Per un momento, Elsa rimase immobile, come se fosse stata scolpita dal ghiaccio. Anna aveva già iniziato a pianificare come sarebbe riuscita a sgattaiolare fuori dalla nave reale se sua sorella le avesse ordinato di restare a bordo, ma finalmente, Elsa alzò le mani in segno di resa. “Va bene. Anna e Kristoff potete venire con me. Oaken,” disse girandosi verso di lui, “puoi per favore condurre gli altri verso la nave reale? Salpate verso Sud più veloce che potete, e rimanete lì fin quando non avrete mie notizie.”

     “E se non ci risentiamo?” chiese Wael.

     Anna alzò il mento. “Te lo prometto—le avrete.”

     Oaken alzò un dito e lo puntò verso la finestra. “Allora suggerisco di partire ora. La mattinata è quasi finita, e voi volete raggiungere Sorenson prima di sera. E ricordate: attenti agli Huldrefólk!”

     Mentre Elsa e Kristoff stavano facendo un ultimo controllo sulle loro provviste, Anna armeggiava con il sortilegio stropicciato che era nella tasca del suo mantello. Poteva aver causato problemi, ma era qualcosa che sua madre aveva toccato, e questo pensiero la confortava. Allacciandosi il mantello, Anna superò Olaf, che stava sistemando qualche carota in più nella sua sacca da viaggio.

     “Vengo anche io. Sono un pupazzo di neve avventuriero! Un avventurneve!

     Anna sorrise e mise una mano sulla schiena di Olaf. Almeno il coraggio esisteva nel suo amico di neve, anche se mancava ad altri. “So che lo sei, ma Olaf… Devo chiederti di rimanere qui.”

     Il sorriso di Olaf sparì dalla sua faccia. “Non—non vuoi che io venga?”

     “Sì,” disse Anna, ed era la verità. Olaf poteva essere ingenuo, e ogni tanto poteva perdere la testa, ma era saggio nei modi del cuore e sapeva portare il calore nei luoghi freddi. E Anna aveva la sensazione che, presto, avrebbero avuto più che mai bisogno di abbracci. In effetti, ora ne avrebbe bisogno anche lei. Ma le persone che si trovavano davanti a lei potrebbero usarlo ancora di più. Sollevò il suo naso di carote e glielo rimise a posto. “Kristoff ha bisogno che tu rimanga qui per dare un’occhiata a Sven, ed Elsa e io abbiamo bisogno che tu aiuti gli abitanti a restare svegli mentre trasportano Sven e si dirigono verso la nave.” Anna arruffava i suoi capelli a ramoscello.

     “Oh, ho già tonnellate di idee per tenerli svegli!” Le assicurò Olaf, illuminandosi. “La domanda è: Come scelgo quale idea?” Cominciò a spuntare il suo repertorio sulle dita. “Potrei cantare qualche ninna nanna calmante, fare una danza interpretativa delle foglie autunnali che cadono, recitare il nome di tutte le più belle spiagge del mondo in ordine alfabetico—”

     “Ricorda,” interruppe Kristoff mentre si avvicinava, il suo zaino da viaggio riempito con le provviste di Oaken, “stai cercando di impedirgli di dormire. Non di farli addormentare.”

     Anna colpì lo stivale di Kristoff con la punta del piede. “Zitto,” sospirò.

     “Inizierò un appassionante gioco dei mimi. Oppure, no. E gli scherzi?” disse Olaf. “Tutti amano gli scherzi. Rideranno troppo per poter dormire. Ahem.” Si sistemò il suo bottone di carbone più in alto. “Cosa mangiano i pupazzi di neve per pranzo?”

     “Cosa?” chiese Oaken.

     “Non ne sono proprio sicuro, i pupazzi di neve non mangiano nulla, il che è un po’ sconcertante. C’è stato un tempo in cui ho provato a mangiare una torta di frutta, ma mi è passata attraverso.”

Kristoff alzò un sopracciglio mentre Anna sorrideva.

     “Perfetto. Visto, Olaf? Andrai alla grande!” disse Anna. Ma mentre seguiva Elsa e Kristoff verso la porta, l’allegria dentro di lei svaniva. Cose pericolose erano in agguato fuori da queste porte, e nelle montagne. Cose pericolose si annidavano anche dentro ai libri. Poteri pericolosi, sembrava, si annidassero da qualche parte all’interno di Anna.

     Ma qui c’era la sua possibilità di sistemare le cose. Qui c’era la sua possibilità di mostrare il suo valore ad Arendelle. Di mostrare il suo valore ad Elsa. Ma e non l’avesse fatto, se non avesse potuto, l’incubo sarebbe stato completo.

     Il lupo avrebbe inghiottito il mondo, iniziando con quelli che amava.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 12

 

IL SOLE SPLENDEVA con intensità nel cielo, un disco piatto luminoso che scatenava lo splendore colorato delle foglie d’Autunno.

     Solitamente, Anna non amava altro che le giornate di sole autunnali, quei pomeriggi dove il cielo era il più blu possibile e tutto attorno a lei era dorato. Solitamente. Oggi, però, il sole era troppo luminoso. Mostrava così tante cose: le loro impronte sul sentiero, le loro ombre che si insinuavano nel terreno, il luccichio luminoso dei capelli di Elsa. Tutti erano il più visibile possibile. Fari per il lupo che avrebbe anche potuto urlare I MIEI DELIZIOSI PASTI SONO ANDATI DA QUELLA PARTE.

     Anche se tutti avevano intuito che il lupo non si sarebbe mosso durante il giorno, e che era ancora intrappolato nel castello, non c’era modo di esserne sicuro. Quindi si tennero lontani dal percorso sgombro del carro che seguiva il Fiume Scrosciante, e invece rimasero bloccati all’interno della foresta, raccogliendo tronchi caduti e inciampando sulle rocce nascoste da cumuli di foglie. Anna inciampò più di una volta sulle radici sporgenti. Attraversare di soppiatto un bosco immaginando un lupo che la inseguiva era fin troppo familiare per Anna.

     Dopo un po’ di tempo, una Anna imbarazzata ammise a Kristoff quello che aveva fatto. E invece di essere arrabbiato con lei, l’abbracciò. Lui capiva che tutto quello che voleva fare era aiutare, ed era ottimista riguardo il loro piano di salvare Sven.

     “Non capisco,” disse Anna, cercando di mantenere la propria voce abbastanza bassa da non attirare l’attenzione, ma alta abbastanza perché Kristoff e Elsa la sentissero oltre lo scricchiolio delle foglie. “Faccio sempre bei sogni. Ho sognato di volare, di vivere in un castello fatto di cioccolato, missioni sugli unicorni, e—”

     “E su di me, ovvio,” suggerì Kristoff con un sorriso sfrontato.

     Anna spinse il suo braccio. “Concentrati,” disse, cercando di sembrare severa, anche se sapeva che le sue guance stavano diventando rosa.

     “Sono solo contento che tu non abbia sognato qualcosa di davvero spaventoso—come uno squalo che cammina sulla terra,” disse.

     Anna sorrise. “È il tuo incubo più terrificante?”

     “No. Kristoff scosse la testa. “Quando ero piccolo, avevo incubi su Bulda che cercava di imboccarmi con un cucchiaio di zuppa di funghi.”

     Anna si fermò per sganciare il mantello da un cespuglio spinoso. “Non fa per niente paura.”

     Kristoff si aggiustò lo zaino da viaggio. “Hai mai avuto un troll che cercava di imboccarti con il cucchiaio?”

     Anna ridacchiò e si girò verso Elsa, cercando di coinvolgerla nella conversazione, ma Elsa non fece nemmeno un sorriso. Era rimasta praticamente in silenzio fin da quando avevano lasciato la querciola vagabonda di Oaken, e Anna aveva il forte sospetto che sua sorella fosse arrabbiata con lei.

     “C-che mi dici di te, Elsa?” Anna cercava di mantenere il suo tono leggero ed arioso. “Qual è il tuo incubo peggiore?”

     Elsa spostò un ramo. “Io non ho incubi.”

     Con la coda dell’occhio, Anna vide Kristoff che accelerava il passo. Gli è sempre piaciuto evitare i litigi ogni volta che poteva. E lui, come Anna, era in grado di rilevare uno scontro serrato.

     “Andiamo, Elsa.” Anna fece un rapido passo di lato per evitare che il ramo la colpisse, mentre Elsa lo rilasciava. “Tutti hanno incubi. Sono tua sorella. Puoi dirmelo. Tutti voi conoscete il mio incubo adesso—un’imponente lupo che perseguita le ragazze.”

     Elsa si sistemò lo scialle della loro madre sopra la spalla. “Non so cosa dirti, Anna, tranne che io non ho incubi.”

     Il sospetto di Anna non era più tale. Aveva toccato il fondo e si era insediato nella cavità dello stomaco. Elsa era decisamente arrabbiata con lei, e la parte peggiore—la parte peggiore in assoluto—era che non poteva biasimarla. Anna era un po’ furiosa con se stessa.

     I fiocchi di neve si spostavano tra i raggi del sole che filtravano tra gli alberi. Anna alzò lo sguardo. Il cielo rimase blu come sempre, il che voleva dire che ci poteva essere un’altra fonte di neve.

     “Elsa, perché lo stai facendo?” Anna alzò un dito per catturare un minuscolo cristallo di ghiaccio. “Non possiamo avere la neve. Lasceremo delle tracce. Più di quelle che abbiamo già lasciato nel fango.”

     Elsa si fermò e la guardò. “Non sono io.”

     “Allora come lo chiami questo?” Anna alzò il dito.

     Elsa ispezionò il fiocco, e le sue guance pallide diventarono ancora più pallide. “Questa non è neve.”

     “Anna! Elsa!” urlò Kristoff da più avanti. Stava in cima ad un poggio di legno, guardando a qualcosa in basso dall’altra parte. “Venite in fretta!”

     Smisero di preoccuparsi di chi—o cosa—potesse sentirle, e corsero, fermandosi accanto a Kristoff. Anna sobbalzò. La foresta finiva in cima alla collinetta, e una fattoria si trovava davanti a loro, circondata da campi di grano; grano che era tutto bianco, anche traslucido, nella luce pungente del sole. Mentre Anna guardava, una brezza attraversò il campo, staccando i cereali e inviando ondate di quella che sembrava cenere.

     La Moria si stava diffondendo.

     “Non possiamo continuare a girare in punta di piedi,” disse Kristoff e Anna capì che stava pensando alla pelliccia di Sven che si abbinava alla terribile polvere bianca. “Tutto questo sfrecciare e schivare ci fa perdere troppo tempo. Dobbiamo muoverci più velocemente!” Aveva ragione. Ma Anna non sapeva cosa fare.

     Anche da questa distanza, poteva riconoscere le piccole folle bianche in mezzo ai campi. Mucche che si erano addormentate. Cavalli che erano caduti nel loro recinti. Ogni animale che poteva portarli lontano o più velocemente era ammalato. L’unica cosa che sembrava normale nello sbiancato paesaggio autunnale era il filo blu del Fiume Scrosciante che si faceva strada fino alla base della Montagna del Minatore in lontananza.

     “Puoi congelare il fiume?” chiese Anna ad Elsa. “Così forse lo possiamo attraversare.”

     “Oh.” Elsa inclinò la testa. “Questa è un’idea! Forse anche questi saranno d’aiuto.”

     Elsa ondeggiò le mani, ed Anna sentì come se fosse cresciuta di tre pollici. Guardando in basso ai suoi piedi, capì il perché. Elsa aveva trasformato gli stivali da viaggio di Anna in un paio di pattini da ghiaccio. Anna traballò, ma Kristoff le afferrò il gomito, tenendola dritta.

     Elsa annuì al fiume impetuoso. “Possiamo pattinare sul ghiaccio.”

     Questo non era quello che Anna aveva in mente. Sobbalzò. Era una buona idea, ma era Elsa la pattinatrice, non Anna. E quando Anna pattinava, preferiva farlo su un terreno liscio e solido. Su un fiume c’era sempre la possibilità che il ghiaccio si rompesse, facendola cadere nell’acqua gelida. “Saremo esposti sul fiume.” disse lentamente Anna. “Non saremo in grado di nasconderci.”

     “Fortunatamente,” disse Elsa mentre si stava facendo strada giù per il poggio e verso la riva del fiume, “state viaggiando con un’esperta di ghiaccio. Posso creare del ghiaccio abbastanza sottile da sostenere il nostro peso, ma qualsiasi cosa di più pesante—tipo un lupo gigante—ci cadrà proprio in mezzo.” E detto questo, fece un passo in acqua.

     Mentre la punta del pattino toccava la superficie, una fioritura di cristalli apparve sul fiume. I cristalli raddoppiavano, poi quadruplicavano, poi si sono ulteriormente moltiplicati, fino a quando l’intera superficie del fiume si era trasformata in una lastra di ghiaccio che si rifrangeva più e più volte sotto il sole accecante di mezzogiorno.

     È stata, ammise Anna a se stessa, un’altra delle grandi idee e delle magiche creazioni di Elsa. Ma non una a cui teneva davvero tanto. Si fidava di sua sorella, però, e quindi si spostò sulla riva del fiume. Il ghiaccio era così fine che poteva vederci attraverso, come se fosse un vetro delicato della finestra della sua camera da letto.

     “Andiamo, Anna,” disse Kristoff, “stiamo perdendo tempo!” Saltò nel fiume con i suoi pattini di ghiaccio. La lastra di ghiaccio saltava come un trampolino sotto di lui, ma reggeva, proprio come aveva promesso Elsa.

     “Non permetterò che ti accada nulla, Anna.” disse Elsa, leggendo l’espressione preoccupata di sua sorella. “Questa è la nostra migliore opportunità, e non abbiamo molto tempo per sistemare questo incubo.”

     Elsa aveva ragione. Anna li aveva messi in questo casino. E ora aveva bisogno di sistemarlo. Prendendo fiato, fece un passo sul ghiaccio. Elsa guidava davanti, ad ogni passo spargeva cristalli di ghiaccio sulla superficie.

     Foderato su entrambi i lati da alberi nel loro splendore autunnali, il fiume sembrava una collana di diamanti incastonata contro un cuscino rosso. E mentre Anna metteva i piedi sotto di lei, sentì il suo cuore alleggerirsi, giusto un po’. Le foglie che scricchiolavano e venivano spazzate via dal vento sembravano applausi. Quel suono le diede coraggio. Era come se Arendelle facesse il tifo per lei, volendo che avesse successo. E lo avrebbe fatto. Non si sarebbe fermata fino a quando Arendelle non fosse salva.

 

 

Le ore passavano. Il vento aggrovigliava i capelli di Anna, e le costanti ondate di vento hanno fatto sì che il suo naso iniziasse a gocciolare. I piedi avevano iniziato a farle male. I pattini magici di Elsa solitamente le calzavano giusti, ma oggi sembravano più stretti del solito, come se Elsa si fosse dimenticata che Anna era cresciuta. Scoraggiato dal pensiero, provò a scacciare via la sua malinconia. Anna colpì una fossetta—ed inciampò. Prima che potesse spaccarsi il naso sul ghiaccio, una mano le afferrò il braccio.

     “Tutto bene, Ballerina?” chiese Kristoff.

     “Assolutamente,” disse Anna. “Intendevo farlo.” Anche se il suo pattinare sul ghiaccio era migliorato molto dalla sua prima lezione con Elsa, non avrebbe vinto una competizione a breve.

     “Scusa,” disse Kristoff. “Non intendevo rovinare l’Axel di Anna.”

     Alzando il naso, Anna annusò. “Credo di poterti perdonare.”

     Kristoff sorrise, la mano scivolò nella sua. “Sei sicura?” E poi è partito, pattinando all’indietro il più velocemente possibile, tirando Anna dietro di lui. Il mondo attorno a loro si offuscava mentre la faceva roteare, sicuro di sé sul ghiaccio come se fosse sul terreno solido. Pattinavano sempre più velocemente, bilanciandosi su un sottile bordo tra controllo e fuori-controllo. Davanti a loro, Elsa proseguiva con facilità, non notando che si inclinavano, scivolavano, volavano, fino a quando—

     “Attenzione!” urlò Anna mentre il fiume prendeva una curva inaspettata. Ma l’avvertimento giunse troppo tardi. Kristoff non aveva tempo di portarla su un nuovo percorso e scivolarono fuori dal fiume e sono finiti in un alto mucchio di foglie d’acero. Sdraiata, Anna osservò come un vortice di foglie dorate cadeva attorno a loro.

     “Intendevo farlo,” disse Kristoff.

     “Mm-hmm. Nello stesso modo in cui io intendevo fare l’Axel di Anna?” chiese.

     Lui annuì. “Esattamente.”

     “ANNA!” la voce di Elsa si diffuse nell’aria.

     “Sono qui!” Anna si alzò in piedi e si scosse il suo mantello da viaggio per far cadere le foglie a terra. “Abbiamo fatto un passo falso. Ehm, un errore di pattinaggio.”

     La lama di Elsa mandò uno spruzzo di polvere su di loro mentre si fermava bruscamente davanti a loro. “Questo non è il momento di giocare!”

     Il mondo come lo conosceva Anna stava rallentando, poi congelò. E anche se Elsa non aveva fatto nessuna magia—non c’era stato nessun movimento della sua mano, nessuna esplosione del suo ghiaccio, nessun frammento di ghiaccio che si insinuava nel cuore di Anna—le parole di Elsa hanno congelato qualcosa di profondo dentro Anna. La sua speranza. E le cose che sono congelate… si frantumano. Anna poteva sentire la scheggia della sua speranza che rotolava attraverso di lei come un vetro in frantumi, rendendo ogni respiro, ogni battito di ciglia, doloroso mentre guardava verso sua sorella, regina di Arendelle, che non aveva più posto per le sciocchezze di sua sorella.

     “Lo so che non è un gioco,” ribatté Anna.

     “Non credo tu lo sappia,” disse Elsa, la sua voce attentamente controllata. Anna voleva scuotere la sua perfetta sorella per vedere una specie di crepa, per dimostrarle che la vedeva come un suo pari. Ma quel tono—quel tono deluso—rivelava fin troppo bene cosa Elsa pensasse di Anna. E poi Anna non era più ferita, non era più insensibile, non era più congelata. Stava ribollendo.

     Non sono una bambina,” disse Anna. Era grata che le lame dei pattini la rendessero più alta di quello che solitamente era. “Pensi che non lo sappia?” Durante ogni parola, la sua voce aumentava sempre più di volume fin quando non stava praticamente urlando. “Pensi che non ci abbia provato?”

     E prima che potesse sentire la risposta di Elsa, Anna si gettò sul ghiaccio.

     Piantando le lame in profondità, lei spingeva sempre più forte, andando sempre più veloce. Anna si sentiva troppo. Lei era troppo. Questo era il problema. Era troppo distratta. Troppo spensierata. Troppo ridicola per tutti—perfino per sua sorella—per vedere come poteva essere d’aiuto al regno.

     Il vento le sferzava il mantello alle spalle, ma lei vi si appoggiò, volendo sentire la freschezza contro la sua pelle calda ed arrabbiata. Per un momento, pensò di aver sentito Elsa che la chiamava, ma non so fermò. Voleva pattinare lontano da tutto. Lontano da quel tono deluso nella voce di Elsa, lontano dall’immeritata gentilezza di Kristoff, e lontano dalle suo stesso disordinato, groviglio di emozioni.

     Lontano dal suo enorme, maledetto errore.

     Il ghiaccio gemeva sotto al suo peso, le sue lame grattavano una nota dolorosa da cui Anna non poteva scappare. Veloce, veloce, veloce! Se solo potesse pattinare veloce come il vento, forse si sarebbe sciolta e sarebbe stata spazzata via da tutto quello che aveva fatto.

     Ed è allora che il ghiaccio si è frantumato.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 13

 

UN SECONDO PRIMA, tutto era freddo e asciutto.

      Un secondo dopo, tutto era freddo e umido.

      L’acqua si trascinava verso Anna come se avesse le dita.

      Boccheggiò una volta—una sola grande boccata d’aria—prima che la tirasse al di sotto.

      Il mondo sotto al ghiaccio era buio e tranquillo, perfino tranquillo, tranne per l’urlo selvaggio che attraversava Anna.

      Era di nuovo fredda! Si sarebbe congelata di nuovo! E se fosse morta… il lupo avrebbe vinto? Anna scalciava. Non poteva abbandonare tutti! Ma non importava quanto volesse che i suoi piedi la spingessero in superficie, le pesanti lame dei suoi pattini la stavano trascinando giù…

      Giù…

            Giù vero l’oscurità.

      O era verso l’alto? Di lato? La quiete buia, gelida era disorientante, e i suoi pensieri iniziarono a rallentare. E poi, un fascio di luce le passò davanti, mentre qualcuno tagliava il ghiaccio da qualche parte al di sopra. Anna sentiva l’acqua sotto di lei muoversi come un cavallo gigante, un’onda nera d’acqua che si sollevava sotto di lei, e volava in alto attraverso l’acqua e verso la superficie con tutta la forza di un geyser. L’acqua non aveva però la temperatura di una sorgente calda, ma di una granita ghiacciata. Elsa. Qualche momento dopo, dopo molti sputacchi e colpi di tosse, Anna era tra le braccia di Kristoff e Elsa.

      “Grazie di avermi salvata,” sospirò Anna, tremando.

      Ma Elsa non riconosceva le sue parole. Invece, sua sorella disse, “Kristoff, è necessario riportarla da Oaken.”

      “Cosa?! No,” gracchiò Anna. “Sto bene. Starò bene.”

      “Ma Anna,” disse Elsa, alzando le mani in alto in segno di protesta, “sei quasi affogata.”

      “Quasi,” protestò Anna. “Ho quasi fatto un sacco di cose. Devo dare una mano!”

      Elsa scosse la testa. “Non ne sono sicura.”

      “Perché cerchi sempre di allontanarmi?” chiese Anna.

      Elsa sembrava ferita. “Cosa? Anna, di cosa stai parlando? Quando avrei cercato di allontanarti?”

      Anna si calmò. “Mi dispiace. Io… Ti prego, ho bisogno di accompagnarti.” Per un momento, Anna pensava che Elsa avrebbe detto di no, ma poi qualcosa sembrò sciogliersi in Elsa.

      Avvolse Anna in un abbraccio. “Dispiace anche a me. Non intendevo urlare—È solo che… Sono sconvolta, credo.”

      “Non intendevo lanciare un sortilegio,” disse Anna, che aveva il bisogno di far uscire adesso le parole. “Non avevo modo di sapere che avrebbe dato vita al mio incubo sul lupo.”

      Elsa scosse la testa. “È solo...Quando hai iniziato ad avere gli incubi?”

      “Quando ero piccola, e poi, questa settimana l’incubo è tornato.” Da quando ho capito che mi avresti lasciato per partire per il Grande Viaggio. Ma Anna non lo disse ad alta voce.

      Ci fu uno scricchiolio di un fiammifero mentre Kristoff accendeva un piccolo mucchietto di rami che aveva raccolto. Fece un gesto alle sorelle verso il fuoco.

      “Quando hai avuto per la prima volta l’incubo?” pungolò Elsa mentre si rannicchiavano vicino alla fiamma. Il vapore i alzava dai vestiti di Anna mentre si asciugava lentamente.

      Anna ci ha ripensato. “Penso sia successo la notte in cui tu… sai.” Si toccò il punto dei capelli dove una volta si trovava la striscia di capelli bianchi, ricordando ancora una volta quando Elsa l’aveva accidentalmente colpita in quel punto da bambina. “Non posso credere che tu non abbia mai fatto un brutto sogno.”

      Elsa scrollò le spalle. “L’ultima volta che ho fatto un brutto sogno, devo aver avuto otto anni. Mi sono svegliata e la mia stanza si era trasformata in un paesaggio invernale.” Scosse la testa. “Stavo così male! Tutto si era bagnato e hanno dovuto portare nuovi mobili e tappeti per me.”

      “E non hai mai più avuto un incubo?”

      “No.” Elsa inclinò la testa indietro e alzò lo sguardo. “Papà mi ha insegnato molti trucchi per cercare di controllare le mie emozioni, la mia magia. Ricordo che una volta è venuto nella mia stanza con una tazza di cioccolata calda—”

      “Lo faceva sempre anche con me!” disse Anna.

      Elsa sorrise, ed Anna ricambiò, sorprendendosi del ponte che le collegava.

      “E la Mamma si unì a lui e mi disse di immaginare di raggruppare tutti gli incubi e gettarli fuori dalla finestra,” disse Elsa. “Pensavo che quando li avessi appallottolati, li avrei lanciati e avrei fatto finta di darli in pasto alle costellazioni del cielo.”

      “Lo facevo anch’io!” disse Anna, sentendosi più che mai vicino a sua sorella. “Facevo finta di darli a Frigg il Pescatore in modo da poterli pescare. Ma lo stratagemma non mi ha impedito di avere gli incubi.”

      Elsa scrollò le spalle. “Gli stratagemmi della Mamma funzionarono con me. Non ho avuto più un incubo da allora.”

      “Mi dispiace interrompere,” disse Kristoff, “ma parlando di stelle… si sta facendo tardi.”

      Le sorelle sorrisero, e Anna si sentiva un po’ meglio, se non completamente. I suoi vestiti erano ancora umidi, ma non gocciolavano più.

      Dopo aver spento il fuoco, Kristoff indietreggiò sul ghiaccio, e Anna lo seguì. Ma la luminosa speranza che era così certa in precedenza sembrava essere stata lasciata nel mucchio di foglie d’acero sulla riva del fiume.

      Ben presto, il sole iniziò a tramontare, gettando lunghe ombre sul ghiaccio mentre continuavano a pattinare lungo il resto del Fiume Scrosciante. Anna non poteva fare a meno di pensare che le loro ombre sembravano figure che affogavano sotto al ghiaccio.

      Erano tranquilli mentre pattinavano. Anna non voleva calpestare per sbaglio la sottile tregua tra lei ed Elsa, mentre Kristoff sembrava perso nuovamente nei suoi pensieri. I genitori di Kristoff erano morti tempo fa, e per la prima parte della sua vita, Sven era stata la sua sola famiglia—fino a quando entrambi non sono stati adottati dai troll di montagna. Più si allontanavano da Sven, più Kristoff diventava silenzioso, fino a quando, alla fine, non divenne insopportabile per Anna. Aveva bisogno di una distrazione—per tutti loro.

      “Kristoff, hai mai incontrato gli Huldrefólk?” chiese, dicendo la prima cosa che le era venuta in mente. “Hanno mai fatto visita ai troll?”

      Lui scosse la testa. “Non che io sappia,” disse. “Ai troll piace nascondersi, ma gli Huldrefólk—beh, a loro piace davvero nascondersi, giusto? Non credo che nessuno ne abbia mai visto uno.”

      “Sono noti anche per il ritrovamento di oggetti smarriti,” disse Elsa, rallentando così che gli altri due potessero raggiungerla. Nessuno ad Arendelle, o probabilmente nell’intero globo, per quello che conta, era a suo agio con il ghiaccio come Elsa. Mentre Elsa si muoveva sempre con grazia, quando pattinava, era molto più che grazia. Diventava una persona con il vento nelle vene e le ali ai piedi. “Si dice che una volta Aren di Arendelle sia andato a trovarli.”

      “Ma le sue avventure lo hanno portato a molte creature immaginarie,” disse Anna mentre le sue storie le tornavano gradualmente in mente. “Come le sirene e i draghi.”

      “Vero,” disse Elsa con un cenno. “Quindi forse gli Huldrefólk sono come i draghi e non esistono. Forse nemmeno Aren è mai esistito.”

      Kristoff ha fatto una faccia. “Allora, perché voi due sapete così tanto di questo tizio se potrebbe o meno essere esistito? È solo una leggenda, giusto? Un mito?”

      “Possibile. Si dice che abbia fatto un sacco di grandi cose per la terra,” disse Anna. “Ha scolpito lui stesso Arenfjord, sai. O così dicono i vecchi miti.”

      Kristoff sbuffò. “Sì, giusto. Questa è la cosa più ridicola che io abbia sentito.”

      “Non hai mai sentito la storia?” chiese Anna sorpresa. “ Io credevo che la conoscessero tutti.”

      Kristoff puntò il pollice al petto. “Cresciuto dai troll, ricordi? Alcuni di noi non hanno avuto lezioni di fantasia crescendo.C’era qualcosa di strano nascosto nella sua voce, come se Anna avesse colpito un nervo scoperto. Doveva avere a che fare con la sua preoccupazione per Sven. Si girò vero Elsa e chiese, “Conosci la saga parola per parola, giusto?”

      Elsa annuì. “Mi aiutava a passare il tempo quando ero piccola.” Si fermò per un momento, sembrando raccogliersi, e poi pronunciò le frasi familiari che segnavano l’inizio di una storia. “ ‘Molto tempo fa, nel tempo prima del tempo, una grande oscurità travolse la terra…’ ”

      Anna trattenne il respiro mentre Elsa recitava l’antica storia e descriveva come una notte eterna si fosse calata sulle montagne e come l’umanità fosse fuggita sulle loro barche per sicurezza. Gli esseri umani hanno vissuto sulle acque per centinaia di anni, fino al giorno in cui una strana malattia li ha colpiti. Spaventati, il popolo aveva chiesto aiuto al più antico degli spiriti dell’acqua, e lo Spirito dell’Acqua aveva detto loro che stavano appassendo senza un posto dove piantare le radici—avevano bisogno di tornare a casa. Ma erano tutti spaventati, tranne un giovane ragazzo.

      “ ‘Giovane come il mattino, feroce come un ramoscello, Aren uscì sulla terraferma…’ “ raccontò Elsa.

      Pattinavano al ritmo della voce di Elsa, prima una gamba, poi l’altra, un battito scorreva in Anna, e la calmò. Cose impossibili erano accadute in passato. Quindi perché non potevano accadere nel futuro?

      Prese coraggio mentre Elsa descriveva come Aren aveva scalato la montagna più alta per contrattare con la notte e riportare il sole, e di come quando finalmente aveva liberato il sole, il sole gli aveva regalato la Revolute Blade e gli aveva detto come riportare a casa la sua gente: scolpendo per loro un nuovo sentiero, proprio tra le montagne protettive.

      La voce di Elsa prese velocità non appena raggiunse il crescendo della primissima missione di Aren, e Anna non ha potuto fare a meno di parlare con le parole, mentre all’improvviso ricordava.

      “ ‘La luna e il sole che girano, hanno forgiato una lama a mezzaluna. Dalla luce e dall’oscurità nel cuore, è stata creata la spada brunita. L’arco curvo della Revolute luccicava nella sua mano. La alzò sopra la sua testa e levigò il bordo del terreno.’ “

      Senza perdere un colpo, Elsa allungò una mano verso Anna, facendole segno di unirsi a lei nella strofa finale della prima avventura di Aren, che Anna era felice di ricordare. “ ‘Il mare i precipitò mentre la potenza nascosta fluiva dalla spada scintillante, e ha modellato la corona rocciosa e forestale del primo maestoso fiordo!’ “

La loro voce risuonava come una sola, le parole echeggiavano trionfalmente sul ghiaccio.

      “Non male davvero,” disse Kristoff. “Mi ricorda la ballata dei troll su Dagfinn il Polveroso, un troll allergico alle montagne che, ogni volta che passava starnutendo massi dal naso, provocava accidentalmente delle valanghe.”

      “Aspetta, che?” sorrise Anna. “È questo che i troll dicono dei massi? Che sono caccole troll?”

      Kristoff scrollò le spalle. “Beh, sì. Posso cantartela, se vuoi.”

      “Forse più tardi,” interruppe Elsa, fermandosi con uno spruzzo di ghiaccio. “Siamo arrivati.” Indicò un segnale.

 

MONTAGNA DEL MINATORE

ATTENZIONE: STARE ALLA LARGA

NIENTE INTRUSI O CAPRE

GLI HULDREFÓLK STANNO OSSERVANDO!

 

Anna alzò lo guardo verso la scintillante cima della Montagna del Minatore. Se socchiudeva gli occhi, pensava di riuscire a distinguere la torre del mistico. Ma era così in alto e così lontano che da dove si trovava lei sembrava più una ciminiera che era rimasta bloccata in cima ad un tetto che una torre su una montagna. Ci sarebbero voluti giorni per percorrere tutta quella distanza.

      Cioè, per le persone che non avevano una sorella magica.

      Elsa ha aspettato che Kristoff e Anna uscissero dal fiume ghiacciato per farlo lei stessa. Appena Elsa è arrivata sulla riva, il ghiaccio si è frantumato, e l’acqua blu ha cominciato a scorrere di nuovo. Al roteare della mano di Elsa, i pattini di Anna si sono sciolti per rivelare gli stivali al di sotto, ma Anna non se n’è quasi accorta a causa del grande vortice che si era scatenato intorno a lei, la neve saliva sempre più in alto, fino a solidificarsi in una grande scala ghiacciata.

      Elsa lo aveva fatto di nuovo. Mentre la scala di ghiaccio era lunga e sempre più alta, con nient’altro che un corrimano lungo e slanciato, sarebbe stata molto più facile da percorrere di un sentiero roccioso infido e noioso. Ci saranno stati almeno mille gradini nella scala di ghiaccio—Anna non si è preoccupata di contare. In ogni caso, stavano per scalarla, perché, proprio in cima, le risposte li aspettavano.

      “Classico,” disse Kristoff ad Elsa.

      “Grazie,” rispose Elsa.

      Un passo, poi un altro, salirono.

      All’inizio, Anna non i è preoccupata di aggrapparsi alla fragile ringhiera, ma a circa due terzi del percorso verso l’alto, ha guardato in basso e l’ha stretta forte. La scalinata era trasparente come il vetro, e Anna—anche se coraggiosa—non era del tutto a suo agio con la vista dei suoi piedi che sembravano penzolare nel nulla. Da questa altezza, i pini sembravano restringersi, sempre più piccoli. Mentre salivano, il sole scendeva.

      Finalmente, nel tramonto infuocato, raggiunsero la vetta. Da lì, la torre sembrava molto più alta di quanto Anna avesse immaginato—e molto più confusa. Le rocce che componevano la torre sembravano essere disposte in modo disordinato, e certe pietre sembravano sul punto di scivolare fuori posto. Infatti, la torre non sembrava diversa dalle pile sfalsate di libri che Anna aveva lasciato in biblioteca. Elsa raggiunse per prima la porta della torre, e si fermò. La sua mano rimase immobile, sollevata davanti a lei, come se non riuscisse a decidersi se bussare.

      Anna tirò il mantello verso il petto mentre il vento cantava attorno a loro. “Cosa c’è che non va?”

      “Cosa dovrei dire?” chiese Elsa.

      “Bussi e saluti, e da lì partiamo,” disse Kristoff. “Sbrigati.”

      “Quello che ha detto Kristoff,” disse Anna, osservando il sole scomparire oltre l’orizzonte.

      Elsa tirò indietro le spalle e bussò.

      Poi i tre fissarono la porta ed aspettarono, ma non accadde nulla. Nessuno era in casa? Il pensiero riempì Anna di una forte paura. Avevano fatto tutta quella strada, e Sorenson non c’era.

      Elsa bussò ancora. Niente.

      “Stai indietro,” disse Kristoff. Si spostò di fronte a Elsa e mise la spalla sulla porta. Ma era più resistente di quello che sembrava. Alzò il piccone in alto.

      “Perché non provi la maniglia?” chiese Elsa.

      Kristoff alzò un sopracciglio e fece come gli aveva detto. La porta si aprì facilmente.

      “Ah,” disse mentre rimetteva a posto il piccone. Senza dire un’altra parola, entrò dentro.

      Anna scambiò uno sguardo divertito con sua sorella, e lo seguirono attraverso l’ingresso e all’interno della torre. Dall’esterno, la torre sembrava sul punto di crollare, ma l’interno sembrava abbastanza solido, fatto di roccia e legno e libri.

      Anna aveva sempre immaginato un mistico esigente, il tipo di persona che potrebbe etichettare i piselli nell’armadio di cucina, ma tutto sembrava essere collocato in modo casuale. Piante sparse sopra i libri e libri sopra le statue. All’estremità della stanza circolare c’era una scala a chiocciola. C’era praticamente tutto sotto al sole della stanza della torre.

      Ad eccezione di un mistico.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 14

 

KRISTOFF SI LAMENTÒ, lasciando cadere il suo zaino da viaggio sul pavimento. “Non è qui. Che facciamo?”

      “Sono sicura che tornerà,” disse Anna, slacciandosi il mantello. La torre sembrava particolarmente soffocante, dopo essere stata esposta al vento per tutto il giorno. “Nel frattempo, aspettiamo.”

      Aroooooooooooooooooooo!

      Un lungo e profondo ululato avvolse la torre, scavando una fosse nello stomaco di Anna—era il lupo? Era scappato dalla cupola di ghiaccio di Elsa?

      Kristoff, comunque, rimase calmo. “È solo il vento. Credimi.” Prese una piccola chitarra che si trovava vicino ad una pianta in vaso. “Crescendo con i troll, sai quando è il vento, e quando è un lupo.” Strimpellò la chitarra. Il suono tintinnante filtrava nell’aria, carino, anche se un po’ stonato.

      La paura di Anna si attenuò un po’, e sperava che lui avesse ragione. “Preferirei che il lupo ci perseguitasse qui e lasciasse in pace gli abitanti del villaggio,” ammise.

      “Molto nobile da parte tua,” disse Elsa. “Resteremo, ma solo fino a quando non elaboreremo un piano nel caso in cui Sorenson non ritorni a breve.”

      “Forse c’è un libro o qualcosa qui che possa annullare il sortilegio,” disse Anna. “Uno che sia già stato tradotto.”

      “È una buona idea,” disse Kristoff. “Vado al piano di sopra. Voi due cercate qua sotto.” E con un cenno delle ragazze, prese la sua lanterna e scomparì nel vortice di oscuri gradini sopra di loro. Anna pensava di sapere perché voleva cercare per conto suo. Quando Anna era sconvolta, aveva sempre voluto compagnia, ma quando Kristoff era sconvolto, gli piaceva stare da solo o con Sven. E con Sven nei guai, sapeva che anche Kristoff stava avendo tempi difficili.

      Elsa sospirò. “Ugh, sapevo che venire qui era una cattiva idea.”

      Anna si sentiva arruffata come il gatto grigio del fienile, ma non voleva litigare, non di nuovo, non così presto. Avevano fatto tanta strada, ed altrettanta ne avevano da fare. Quindi mantenne il suo tono di voce leggero. “Ancora non lo sappiamo. Possiamo solo dare a questa stanza una possibilità. Per favore?”

      Elsa incrociò le braccia, ma dopo pochi secondi, Anna sapeva di aver vinto. Questo round, almeno. Si divisero la stanza circolare. Alla luce del fuoco morente, poteva vedere che le pareti erano intonacate con dettagliate carte stellari e strani strumenti d’argento che ronzavano, e una delicata miniatura d’oro del sistema solare così ben fatta, Anna pensò che fosse un peccato non poterlo studiare per ore e raccontare tutto ai bambini del villaggio. Ha trovato anche un calendario con tutte le fasi lunari, tre telescopi in miniatura, fiale di vetro riempite di polvere, e una vecchia meridiana, la sua faccia di rame verde dovuta agli anni che deve aver trascorso fuori alle intemperie. E per ultimo, ma non meno importante, una roccia blu-nera che era stata etichettata come METEORITE.

      “A questo mistico sembra piacere molto il cielo notturno,” Anna disse ad Elsa.

      “Ho notato,” disse Elsa mentre raddrizzava una cornice. “Hai visto il soffitto?”

      Anna inclinò la testa e sobbalzò. Una mappa delle stelle era stata dipinta sopra di loro in toni profondi di indaco e blu. Linee delicate di vernice argentata collegavano alcune delle stelle, tracciando i contorni di bestie fantastiche, corone, ed eroi. Erano immagini familiari, e Anna le riconobbe come costellazioni. Ma c’era qualcos’altro riguardante le costellazioni che le sembrava familiare, anche se non ci avrebbe messo la mano sul fuoco…

      “È così bello,” disse Anna. “È il più bel soffitto che abbia mai visto.”

      Elsa concordò. “Piace anche a me. C’è persino la mia costellazione preferita—Ulf.” Guardò Anna e sorrise. “Ulf il Lupo è sempre stata la mia preferita. Mi facevo raccontare dalla Mamma tutte le sue storie.”

      Le sorelle continuavano a cercare.

      I pensieri di Sorenson sembravano casuali, e i suoi scaffali non sembravano organizzati in un particolare ordine che Anna potesse riconoscere. Anche se, quando ha tirato fuori la copertina del primo libro, si è chiesta se forse lui li avesse classificati in base alla puzza. Molti dei libri avevano macchie scure sulle pagine, e un paio di essi avevano persino il loro pezzo peloso di muffa. Ma per qualcuno che era conosciuto per essere un esperto in miti e leggende, Sorenson non sembrava avere molti libri su questo argomento. La cosa più vicina era una piccola lavagna ricoperta di strani simboli in gesso, ma dopo averla esaminata, Anna vide che non si trattava di magia, ma di fisica. Girovagando fino all’ultimo scaffale, Anna sfogliò i titoli: Libro di Later Han di Zhang Heng, Almanacco di Richard Saunders, e Libri di Ottica di Hasan Ibn al-Haytham. Riprendendo il primo titolo, Anna sfogliò le pagine e vide gli schizzi di strumenti che sembravano molto simili a quelli che si trovavano sugli scaffali del mistico, insieme alle annotazioni degli orologi ad acqua e dei flussi del vento. Nessun cenno a maledizioni, o di incantesimi da sogno andati male.

      “È divertente,” disse Anna ad Elsa mentre rimetteva al suo posto il libro sullo scaffale. “Non pensavo che un mistico avesse così tanti libri di scienza. Pensavo che avrebbe avuto più libri di incantesimi e roba del genere. Capisci?” Si fermò, aspettando la risposta di sua sorella. Ma quando Elsa non disse nulla, Anna la chiamò di nuovo. “Ehi, Elsa?”

      “Anna, puoi venire qui?” chiese Elsa.

      Anna seguì la voce di sua sorella fino a dove si trovava in una stanza sul retro, più che altro un’alcova, in realtà, che conteneva una piccola cucina. Anna si precipitò da sua sorella per trovarla a bocca aperta davanti ad un tavolo. Sembrava abbastanza ordinario, ma poi Anna la vide: al centro del tavolo c’era una pentola di zuppa.

      Una pentola fumante di zuppa.

      Lo stomaco di Anna si rigirò. Perché quel vapore esistesse, qualcuno doveva essere stato lì di recente.

      “Dov’è Kristoff?” sussurrò Anna. Aveva pianificato di controllarlo, ma è stata distratta dai vari libri e tesori. La mente del mistico sembrava distratta come la sua. Ed ora Kristoff era andato al piano di sopra da almeno dieci minuti e non era tornato.

      “Anna,” sussurrò Elsa. “Non penso che siamo da sole.”

      “Precisamente,” disse una voce bassa e rauca.

      Anna si girò mentre un uomo scendeva dal pianerottolo delle scale ed entrava nella stanza della torre. Era basso, appena sopra le spalle di Anna, e portava la barba lunga sul pavimento. Anna ebbe il fugace pensiero che assomigliasse un po’ al Nisse del racconto di sua madre, quelle piccole creature gnomeliche che adotterebbero le famiglie per ostacolare ed aiutare. L’unica cosa che gli mancava era il tradizionale cappello rosso a punta di un Nisse, ma aveva una lancia affilata e scintillante—ed era puntata direttamente al suo cuore. Anna smise di respirare. Nell’angolo, vide Elsa alzare le mani. Stavano tremando. Ma c’era Elsa, ancora una volta pronta ad intervenire. Anna sapeva meglio di chiunque altro quanto Elsa non volesse più usare i suoi poteri per danneggiare qualcuno—non dopo le disastrose conseguenze che erano accadute l’ultima volta, quando aveva trasformato accidentalmente Anna in ghiaccio. Ma Anna sapeva anche che Elsa avrebbe usato i suoi poteri per proteggere Anna—e Anna non poteva permetterlo. Non quando Anna poteva fare qualcosa a riguardo da sola.

      “Ciao! Sono Anna! Questa è Elsa!” sorrise Anna, cercando di iniettare più allegria e buona volontà nella sua voce. “Ci scusiamo per l’intrusione. Promettiamo di non mangiare la tua zuppa—ha un odore un po’ strano—ehm, è così scortese da parte mia. Mi dispiace. Voglio dire, non ha un cattivo odore, ma non sono sicura di riconoscere quella spezia? Ma non siamo qui per le spezie. Ti prego non farci del male!”

      Farvi del male?” L’uomo sembrava stordito per aver cercato di seguire le parole di Anna. “Perché pensate che io voglia farvi del male?” La sua voce era profonda e grondante come la ghiaia.

      “Ecco,” gli occhi di Anna si spostarono verso la sua mano. “Per via della lancia che stai tenendo?”

      “Quale lanc—? Oh!” L’uomo abbassò la punta della sua lancia. “Questa non è una lancia, fa parte di una banderuola. Quel montanaro di sopra l’ha rotta quando si è precipitato senza preavviso sul mio ponte d’osservazione! È estremamente fortunato che io abbia finito la mia Polvere di Combustione Altamente Infiammabile e Molto Pericolosa ieri sera, o potrebbe non avere dieci dita. Hmph.”

Anna sbatté le palpebre mentre l’uomo le spingeva la banderuola appuntita sotto al naso, e prese la grande N dorata che scintillava davanti a lei. N di Nord. “Ah ah,” disse, e allontanò da lei la punta d’oro.             “Che errore stupido. L’uomo di montagna… sta bene?”

      “Lo sarà, una volta che avrà sistemato il casino che ha combinato,” disse il basso uomo, dandole un’occhiata. “È anche fortunato a non essere venuto il mese prossimo a disturbare la mia visione della pioggia di meteoriti. Ma è quello che sto facendo qui. Io vivo qui. L’ho sempre fatto. La mia domanda è: cosa ci fate voi qui?”

      “Stiamo cercando il grande mistico Sorenson,” disse Anna, cercando di fare un inchino, ma le sue ginocchia erano ancora traballanti per aver interpretato male la banderuola, e ha quasi fatto cadere un vicino busto di un uomo con occhiali da lettura rotondi. “Presumiamo che sia tu?”

      Il vecchio sbuffò. “Io sono Sorenson, ma non sono un mistico.”

      Elsa si avvicinò, le sue mani non erano più alzate, ma ora strette nelle pieghe del suo mantello. “Ma gli abitanti del villaggio dicono che tu sei un mistico.”

      “Sono uno scienziato,” disse l’uomo, usando la banderuola per raggiungere attraverso la sua folta barba e graffiare la parte inferiore del mento. “Anche se suppongo che gli abitanti del villaggio potrebbero non vedere la differenza tra me e i vecchi mistici dei racconti leggendari.”

      Uno scienziato. Anna cercò di non mostrare il suo disappunto. Era grandioso essere uno scienziato, ma non quando uno aveva bisogno di un mistico per salvare un regno da un lupo magico e feroce. Come può uno scienziato essere in grado di aiutare con una terribile maledizione? “Scusaci per averti disturbato.” Anna si fece da parte mentre Sorenson le passava accanto per controllare la sua zuppa. “Oaken ci aveva detto che tu eri un esperto in miti e leggende.”

      “Oh, ma lo sono.” Sorenson mescolò la sua pentola. “Mitologia e scienza sono amici di famiglia—entrambi cercano il perché dietro le cose. Entrambi cercano di fornire una spiegazione per i fenomeni naturali del mondo che ci circonda. E tutti i miti contengono un fondo di verità.” Prese un sorso della sua zuppa e sussultò prima di aggiungerci un pizzico di sale. Solo dopo aver preso un altro sorso e annuì con un cenno di soddisfazione e guardò le sorelle. “Comunque sono curioso di sapere perché la regina e la principessa di Arendelle si trovino qui in cerca di un esperto in miti e leggende. Dev’essere successo qualcosa.”

      “Perché,” disse Elsa, la sua voce bassa ma costante, “Arendelle è stata maledetta.”

      “E abbiamo bisogno del tuo aiuto per riuscire a capire come annullarla,” aggiunse Anna, tentando di sorvolare il fatto che era stata lei quella che l’aveva maledetta. Cercò di non guardare nessuno, ma Elsa ha attirato la sua attenzione e ha annuito. Per un momento, sembrava che una brace del camino si fosse staccata dai tronchi e si fosse andata a posare da qualche parte nel cuore di Anna. Anche se la neve ed il ghiaccio scorrevano in Elsa, lei ha sempre fatto sentire Anna la più calda. Forse non tutto era perduto, dopotutto.

      Solo che la reazione di Sorenson non è stata esattamente incoraggiante. Le sue sopracciglia si sono sollevate così velocemente che gli sono quasi scivolate via dal viso, e Anna si è chiesta per un minuto se avrebbe riso. Invece, apri un vecchio baule e iniziò a tirare fuori ciotole vuote.

      “In questo caso,” disse Sorenson, “Qualcuno vada a prendere l’uomo di montagna dalla piattaforma di osservazione e gli faccia ricostruire il fuoco. Sembra che tu abbia una storia da raccontare, e io preferisco stare al caldo mentre ascolto.”

      Pochi minuti ed un fuoco scoppiettante dopo, Anna, Elsa, e Kristoff si sono riuniti attorno al tavolo di Sorenson, ognuno a turno condivideva tutto ciò che conoscevano. Anna sentì Elsa descrivere l’innaturale quiete che aveva colpito la fattoria di SoYun e il modo in cui gli alberi di frutta del regno non solo producevano mele grigie e mollicce, ma erano anche diventati nodosi, come se si stessero allontanando da qualcosa—il lupo, indovinò Anna—come se fossero morti. Ma questo significava che il lupo era presente prima che lei pronunciasse il sortilegio? E se si, come?

      Poi fu il turno di Kristoff, e lui descrisse come anche la foresta fosse tranquilla, sebbene non menzionasse i troll o la loro sorprendente assenza. I troll di montagna di Arendelle erano creature riservate, e per la maggior parte, gli piaceva tenersi nascosti agli umani, con qualche eccezione. Kristoff non lo menzionava a chiunque, e anche se Sorenson ora li nutriva con una zuppa calda che sapeva di funghi e radici, Kristoff era ancora protettivo nei confronti del troll nascosti che lo avevano allevato come parte della famiglia, e, dopotutto, Sorenson aveva obbligato Kristoff a pulire il suo casino sulla piattaforma di osservazione.

      Finalmente, era il turno di Anna. Iniziò con il pezzo di carta stropicciato con scritto il sortilegio del “Far Avverare i Sogni”, e di come avesse avuto un incubo, e fosse andata in cucina a farsi una cioccolata calda. Gli raccontò di aver visto qualcosa con la coda dell’occhio e di averlo seguito fino alla Sala Grande, dove aveva visto un lupo—lo stesso lupo del suo incubo. E di come gli occhi dei suoi amici fossero diventati neri come l’inchiostro e poi giallo brillante mentre sembravano aver perso loro stessi nella forte presa di un sonno da incubo. Mentre completava il suo racconto, Sorenson si alzò e si diresse verso gli scaffali. Tirò fuori due libri, tornò al tavolo, le assi del pavimento di legno sotto i suoi stivali scricchiolavano leggermente mentre camminava.

      “Penso,” disse Sorenson, sistemando i libri sul tavolo e scivolando di nuovo sul suo sgabello, “che la risposta possa essere trovata in uno di questi.”

      Anna guardò i libri. Uno era un tomo chiamato Psicologia. L’altro era un volume in pelle sottile con le lettere in stampatello sulla copertina:

 

NATTMARA

 

      “ ‘Nattmara lesse ad alta voce Elsa. “Conosco questa parola.” Anche Anna conosceva questa parola. Aveva già sentito questa parola prima, molto, molto tempo fa, ma aveva visto quella parola anche recentemente, come voce non tradotta in Segreti dei Segni Magici. Le venne in mente una visione: uno schizzo di un uomo che urla in agonia, e il disegno di un lupo…

      “Sì” concordò Sorenson. “Probabilmente sì. Il Nattmara spesso compare nei racconti dei vecchi, e queste storie sono spesso raccontate ai bambini come racconti di avvertimento.” Sfogliando l’antico libro, indicò l’illustrazione di un bambino che dorme nel letto. “Un altro nome per il Nattmara è ‘Nightmare’, perché è quello che è—l’incarnazione della nostra più profonda paura.”

      “Incarna—cosa?” chiese Kristoff.

      “Vuol dire che gli incubi posso assumere forma fisica ed esistere al di fuori della tua mente,” disse Elsa.

      “Precisamente.” Sorenson alzò il suo dito indice. “L’atto di nascondere la paura è ciò che fa manifestare il Nattmara. E alla fine, la paura è troppo grande per tenersela dentro. Possono prendere la forma di qualsiasi cosa, e questo in particolare sembra aver preso la forma di un lupo. Il Nattmara tende a vagare per il mondo, attingendo energia da tutti gli esseri viventi. La loro stessa presenza può far sì che gli alberi si allontanino da loro. Si nutrono di paura, e quindi cercano di creare la paura.”

      Gli occhi di Anna si spalancarono mentre ascoltava, cercando di cogliere le strane idee.

      Sorenson sfogliò la pagina su un’altra illustrazione, questa volta di una tempesta vorticosa di sabbia nera. “Il Nattmara è anche in grado di trasformarsi in sabbia nera per poter scivolare attraverso le fessure—fessure nelle porte, e le fessure nel cuore. Non c’è modo di scappare, a meno che tu non sia abbastanza coraggioso da non avere punti deboli per il Nattmara.”

      Alzò lo sguardo, i suoi occhi marroni fissi su Anna. “E se al Nattmara è permesso di scappare troppo a lungo, allora un regno e tutti i sui abitanti possono cadere in un eterno sonno da incubo. E man mano che diventa più potente, sempre più persone possono avere paura , e può ingozzarsi di paura, diventando sempre più grande.” Toccò la pagina. “O almeno così dicono i miti secolari.”

Anna sbatté le palpebre, allontanandosi dallo sguardo profondo di Sorenson. “Non sembra che tu creda in questo mito,” disse perplessa. “Ma quello che sta succedendo ad Arendelle non prova che il mito sia reale?”

      “Non del tutto,” disse Sorenson, scuotendo la testa e facendo ondeggiare la lunga barba. “Cosa insegnano nelle scuola al giorno d’oggi? Il Nattmara è una creatura del mito, e come tutti i miti, è la spiegazione di un mistero più grande. In questo caso: da dove vengono gli incubi?”

      “Perdonami,” disse Elsa, mentre Anna e Kristoff si scambiavano sguardi perplessi, “ma non capisco la tua domanda.”

      Sospirando, Sorenson scosse la testa. “Guardiamola in modo diverso. Avete visto i segnali delle miniere che avvertono di diffidare degli Huldrefólk?” Si fermò, e quando loro annuirono, continuò. “Le miniere sono state abbandonate quasi vent’anni fa, a causa di cose strane e misteriose che andavano male. I crolli si verificavano con maggiore frequenza e i minatori che avevano lavorato per tutta la vita in queste gallerie cominciarono a perdersi. Ora, qual era la spiegazione?” Sorenson guardava da Anna a Elsa a Kristoff.

      “Huldrefólk,” disse Anna, pensando al cartello che avevano visto passando e all’avvertimento di Oaken. “Si dice che le persone misteriose, simili ad elfi, conosciute come Huldrefólk, vivano in tutta Arendelle in tumuli e sotto la roccia. Sono un gruppo malizioso, non necessariamente cattivo, ma si divertono soprattutto con gli scherzi. Hanno un po’ la reputazione di essere ladri, ma alcune storie insistono sul fatto che sono semplicemente dei collezionisti, che prendono in prestito cose perdute. Ma a differenza dei troll di montagna, sono solo una storia che i genitori raccontano ai loro piccoli per farli addormentare.”

      “Esattamente,” concordò Sorenson. “I minatori credevano che gli Huldrefólk fossero arrabbiati per aver ostacolato il loro territorio. Pensavano che gli Huldrefólk creassero le caverne per spaventare gli umani.”

      “Sembra aver funzionato,” osservò Kristoff. “ho notato delle tavole sopra l’ingresso delle miniere.”

      “Ha funzionato,” concordò Sorenson. “Ed è anche una buona cosa, perché le miniere erano state sovraccaricare di lavoro. I minatori non erano in pericolo a causa di Huldrefólk territoriali. I minatori erano nel bel mezzo di un pericolo che loro stessi avevano creato. Erano stati i loro picconi a rendere le pareti di roccia troppo sottili per sostenere il peso di una montagna. Non c’è niente di mitico; solo antiquata avidità.”

      “Quindi,” disse lentamente Elsa, “stai dicendo che anche il Nattmara probabilmente ha una semplice spiegazione?”

      “Una scientifica,” chiarì Sorenson. “Molto probabilmente, la nostra risposta si trova in questo.” Toccò il libro con l’etichetta Psicologia con un’unghia sporca.

      Anna immagazzinò queste informazioni. Quello che Sorenson aveva detto sembrava abbastanza semplice, ma lei aveva visto il lupo. Aveva visto gli occhi di Kai e Gerda. Il “mito” sembrava molto reale, poiché aveva inseguito lei ed i suoi amici per le stanze e i saloni del castello.

      “Ma diciamo che è il Nattmara che sta facendo tutto questo,” argomentò Anna, non volendo andarsene a mani vuote, non volendo andarsene senza almeno una risposta. “Come possiamo sconfiggerlo?”

      “È abbastanza facile,” disse Sorenson, estraendo un altro libro, intitolato Mythica Explainia “Si può sconfiggere un mito solo con un mito. Ma non è che la Revolute esista. Niente di tutto questo esiste veramente.”

      “Revolute?” chiese Kristoff. “Quella era la spada di Aren, giusto?”

      “Proprio quella.” concordò Sorenson. “Si diceva che Aren avesse sconfitto molte bestie mitiche con la sua spada. La stessa spada, dicono alcuni, che il sole stesso gli ha donato per avergli fatto dei buchi nel cielo notturno per poter guardare i suoi figli durante il giorno. Questi strappi, naturalmente, sono ciò che chiamiamo stelle.” Sorrideva in direzione del suo soffitto dipinto. “Vedete? Un altro mito che cerca di rispondere su come sono andate le cose.”

      “Grande!” Anna sentì la speranza crescere dentro di lei per la prima volta da quando erano arrivati alla torre. “Quindi abbiamo bisogno della Revolute! Dove si trova?”

      Sorenson scoppiò a ridere, ma mentre lo faceva, assunse un’espressione seria sul viso e scosse la testa.. “Mi dispiace, ma è improbabile che lo stesso Aren sia mai esistito—o la sua potente spada del mito. È probabile che tanto tempo fa ci sia stato un forte guerriero, ma probabilmente non ha mai incontrato il sole o affrontato un grande drago, o scavato Arenfjord. Questa è solo una leggenda—come gli Huldrefólk, o i troll di montagna.”

      “Ma i troll esistono,” disse Kristoff con un’alzata di spalle. “ Mi hanno cresciuto.”

      Sorenson fissò duramente Kristoff. Poi si strinse la mano attorno alla bocca e bisbigliò nell’orecchio di Elsa, “Il montanaro sta bene?”

      “Kristoff,” corresse Anna, “è sorprendente. Ed i troll esistono. E anche il Nattmara esiste. E gli Huldrefólk, beh, anche loro probabilmente esistono!”

      Sorenson si sedette, chiudendo il libro. “Magia e mito non esistono,” disse.

      Elsa sorrise e mosse il polso. Un attimo dopo, Anna percepì un freddo bacio sulla guancia. Alzò lo sguardo per vedere una delicata raffica di neve aleggiare sopra le loro teste.

      Ci fu un forte rumore quando Sorenson cadde dal suo sgabello. “In tutti i miei giorni! Le voci sono vere!”

      Elsa sorrise. “Non scendi dalla tua montagna da molto tempo, vero, Sorenson?” E così, Elsa iniziò a raccontare a Sorenson tutto quello che era successo negli ultimi tre anni. E ad ogni cosa che imparava, Sorenson aveva un’altra domanda.

      Kristoff batteva le sue dita sul tavolo impazientemente, e solo quando Anna mise la mano sopra la sua si fermò. “Scusa,” bisbigliò, “ma mentre noi stiamo parlando, Sven è ancora malato!”

      Anna sapeva che Kristoff aveva ragione. “Continuiamo a cercare.” disse con calma.

      Kristoff si avvicinata agli scaffali mentre Anna apriva il volume sul tavolo. Saltò i passaggi su alberi parlanti e lo spirito giocoso del vento fino a quando, finalmente, ha trovato quello che cercava: NATTMARA.

      Certo, tutto ciò che aveva detto Sorenson era scritto qui, incluse alcune informazioni aggiuntive:

 

Il Nattmara nasce quando la paura di un bambino

diventa troppo grande per essere contenuta e il suo

cuore impaurito lo chiama.

 

      E poi, un po’ più in basso:

 

I troll tremano all’ululato del Nattmara

mentre il Nattmara fugge dal sole come un’ombra.

 

      Nulla a riguardo ad un incantesimo che fosse in grado di far manifestare il Nattmara, o di bandirlo. Ma era utile sapere che al Nattmara non piaceva la luce del sole. E spiegava perché i troll erano probabilmente scomparsi. Accigliata, Anna ha sfogliato le pagine e ha riletto una voce sugli Huldrefólk. Si fermò su una frase:

 

Gli Huldrefólk trovano sempre ciò che è perduto.

 

      Ciò che è perduto… Il cuore di Anna accelerò. Forse, pensò con crescente eccitazione, significava anche che gli Huldrefólk potevano trovare una spada mitica che si era persa nella storia. Era una semplice speranza, ma una speranza a cui si è comunque aggrappata. Forse avevano bisogno di andare alle miniere per trovare gli Huldrefólk—a scapito degli avvertimenti.

      Ma non avevano molto tempo.

      Gli restavano solo due albe prima che il sortilegio diventasse permanente—e la notte non era più giovane.

      “Sai,” disse Sorenson a Elsa, “tua madre è venuta qui una volta. In realtà, è stata lei a dipingere il mio soffitto.”

      Anna congelò. La loro madre era stata qui? Non poteva essere. Perché mai la loro madre dovrebbe venire a far visita a Sorenson? Risposta a cosa? E improvvisamente, realizzò perché il soffitto dipinto le sembrava familiare. Le ricordava il dipinto delle luci del Nord e le costellazioni che decoravano il soffitto della stanza segreta.

      Mettendo il libro nello zaino da viaggio di Kristoff, Anna aprì la bocca per chiedere di più a Sorenson, e per dire agli altri la sua idea sull’andare alle miniere. Ma mentre Anna alzava lo sguardo, notò qualcosa di strano dall’altra parte della torre: un esercito di formiche nere che si riversavano da sotto la porta. Chiuse la bocca.

      No. Non formiche.

      Sabbia nera.

      Il Nattmara li aveva finalmente trovati.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 15

 

MENTRE LA SABBIA NERA gocciolava nella stanza della torre da sotto la porta, i pensieri, oscuri ed appiccicosi, si aggrappavano ad Anna come olio.

      Pensieri come insetti che strisciano nelle orecchie, denti che marciscono e cadono, onde nere e annegamento, e una porta. Una grande porta bianca con fiori viola che si ripetevano in continuazione, ognuno le diceva che non era abbastanza brava, che non era desiderata, che era reclusa. E mentre i pensieri la colpivano, martellanti come un mare in tempesta, Anna faceva fatica a respirare. Il suo cuore si stringeva come se qualcuno premesse sul suo petto. Il peso rendeva difficile parlare, ma doveva—doveva avvertire i suoi amici.

      “R-ragazzi,” bisbigliò Anna, cercando di far funzionare la sua bocca. Ma in quei pochi preziosi secondi, la sabbia si era riversata nella stanza, formando una pozza scura. I chicchi si alzavano e volteggiavano nell’aria, come se ogni chicco avesse il suo paio di minuscole ali, il suo cervello, e poi brulicavano, creando il contorno di un’ombra. L’ombra di un lupo.

      La paure le diede la forza. “Nattmara!” urlò Anna.

      La sabbia si solidificò nel grande lupo bianco. Ora la creatura era grande quanto la lunghezza di un muro. La sua testa praticamente raschiava il soffitto dipinto.

      Come al rallentatore, Anna vide gli altri girarsi. La bocca di Kristoff spalancata, mentre gli occhi di Elsa spalancati per l’orrore. Ma fu Sorenson—il vecchio scienziato che credeva nell’intreccio tra scienza e mito, mito e scienza—a reagire per primo.

      “Chiudete gli occhi!” Si alzò e prese una delle tante fiale di vetro vicino a lui.

      Anna chiuse gli occhi, un secondo dopo, ci fu un flash luminoso anche attraverso le sue palpebre chiuse, seguito dal guaito del lupo. No. Non un lupo, si corresse Anna. Nattmara.

      “Di sopra!” urlò Sorenson. “Correte!”

      E anche se aveva chiuso gli occhi al flash, i puntini neri le macchiavano ancora la vista mentre stava in piedi e scappava con Kristoff verso i gradini. Percorrendoli due alla volta, era consapevole delle urla e di un rumore che sembrava l’affilatura di coltelli. Guardando indietro, vide Sorenson in fondo alle scale, e accanto a lui, Elsa, che sparava continuamente giavellotti di ghiaccio al lupo.

      Ma i giavellotti di ghiaccio, affilati e letali, sembravano fare tanto male quanto uno stuzzicadenti immerso nell’acqua. Ogni volta che Elsa rilasciava un giavellotto di ghiaccio, questo saliva in aria verso il suo obbiettivo—ma non colpiva mai il bersaglio.

      Il Nattmara non sembrava essere fatto di pelo o ossa oppure muscoli. O di qualsiasi cosa di solido, effettivamente. Perché mentre i giavellotti di ghiaccio stavano per appuntare le zampe in posizione, le zampe del lupo si scioglievano al loro tocco, spostando e modificando la sua forma come—come sabbia, realizzò Anna.

      Era come aveva detto Sorenson. Il Nattmara poteva assumere qualsiasi forma. Passare attraverso le fessure di ogni porta. Insidiarsi nei punti fragili del cuore di una persona. Si nutriva di paura, ma come possono non averne paura? Era paura. Un po’ di sabbia nera galleggiava verso Anna, e il suo respiro riprese. Le tornarono in mente i pensieri appiccicosi: aveva fatto questo. Non riusciva a fare niente di giusto. Non ci riusciva mai. Aveva fallito con Elsa.

      “ANNA!” Kristoff, il suo zaino da viaggio penzolante dalla spalla, le ha tirato il braccio. “ANDIAMO!”

      Il suono della sua voce—pieno di preoccupazione e di attenzione—fece tornare Anna in sé. Corse verso di lui, e non ha smesso di correre su per la vertiginosa spirale di gradini fino a quando non esplose nell’aria aperta e fredda del ponte d’osservazione di Sorenson.

      In qualsiasi altro momento, sapeva che le sarebbe piaciuto restare lassù. L’aria di montagna era così limpida che le stelle soprastanti pulsavano luminose. La luna in alto era rotonda e matura, chiedendo solo di essere strappata dal cielo e messa in tasca come un dolcetto per dopo. E al centro del ponte circolare, in piedi come un puledro appena nato su gambe filanti, brillava un telescopio di rame. Indicava il cielo, uno strumento che aiutava a cercare risposte nella danza celeste. Era tutto strano, affascinante, e bellissimo. E un vicolo cieco.

      Proprio come nell’incubo di Anna, non c’era nessun posto in cui scappare.

      Il lupo, ancora dietro di loro sulle scale della torre, l’aveva messa all’angolo, questa volta su un ponte di legno, a centinaia di metri d’altezza, e l’unico mezzo di fuga—saltare—sicuramente non era di buon auspicio per nessuno di loro. Erano in trappola!

      La spalla di Sorenson si scontrò con la sua mentre le passava vicino sul bordo del ponte. Appoggiato alla semplice ringhiera di legno, afferrò l’aria notturna e poi si tirò indietro. Alla luce della luna piena, Anna poteva scorgere il luccichio argenteo di qualcosa nel palmo della mano:un cavo metallico—uno così sottile che sembrava svanire a un metro dalla torre.

      “Afferra la tovaglia!” indicò il lungo banco da lavoro in legno che si trovava accanto al telescopio. Era ricoperta di becher, termometri e barometri, matite e penne d’oca, abachi, righelli, fiaschi e pagine di calcoli. E apparentemente tutto il lavoro della vita di Sorenson si trovava su una piccola tovaglia di lavanda ricamata ordinatamente con un croco. Se la tovaglia fosse stata tirata via, tutto quel lavoro—anni ed anni—si sarebbe schiantato sul ponte, perduto per sempre. Anna esitò.

      “Fallo!” le ringhiò Sorenson.

      Ma Anna non ci riusciva. Non ci riusciva e basta. Era un tavolo di risposte, il lavoro di una vita passata a raccogliere informazioni. Così Kristoff le si avvicinò alle spalle e liberò la tovaglia. Con un tremendo frastuono, i bellissimi e strani congegni sono caduti a terra, il suono simile alla rottura di un cuore.

      “Ora strappa il panno!” comandò Sorenson.

      Il suono dei feroci latrati del lupo e il graffiare del ghiaccio riempiva l’aria. Elsa era arrivata sul ponte d’osservazione e si era fermata all’entrata, muovendo continuamente la mano. Con ogni movimento del suo polso, la porta si riempiva fino all’orlo con ghiaccio—ghiaccio fresco, ghiaccio nuovo, ghiaccio senza crepe.

      Per un momento, comunque.

      Perché il Nattmara si schiantava contro di essa, creando spaccature sotto la superficie, e ogni volta un po’ di sabbia nera filtrava attraverso le crepe ogni volta.

      Ghiaccio liscio.

      Ghiaccio frantumato.

      Liscio. Frantumato. Elsa teneva a bada il Nattmara e le sue zampe di sabbia, ma perfino Elsa—coraggiosa, forte, saggia, magica Elsa—non poteva continuare per sempre. Anna vedeva già la stanchezza nella pendenza delle spalle. Lo schiocco del polso si allentava con ogni abile gesto.

      Riiiiiiip! Anna si girò per vedere Kristoff che obbediva agli ordini di Sorenson e strappava la tovaglia in spesse strisce, ma Anna non si offrì di aiutare. Invece, la sua mente si preoccupava di qualcos’altro. Ogni volta che Elsa muoveva il polso e riempiva la porta di ghiaccio, Anna pensava che il Nattmara diventasse più grande. Ghiaccio liscio. Ghiaccio frantumato. Ghiaccio liscio. Sì, Anna ne era sicura. Ogni volta che Elsa sparava una raffica di ghiaccio verso la creatura del mito, le sue zampe di ingrandivano, i suoi denti si affilavano, e la sua forza raddoppiava.

      “Elsa!” urlò Anna. “Elsa, fermati! La tua magia! Lo sta rendendo più forte!” Ma tra il ringhio del Nattmara, lo strappo della stoffa, e il suono del ghiaccio che si rompeva continuamente, Elsa non poteva sentirla. Il loro unico modo di sopravvivere in quel momento sarebbe quello di scappare.

      “Affrettatevi!” urlò Sorenson. “Prendetene un po’!”

      Anna prese un po’ di tovaglia da Kristoff e inciampò verso lo scienziato. Afferrando la striscia, Sorenson avvolse il panno sul filo sottile, creando una U con il tessuto.

      “Le mani,” grugnì.

      Anna, obbligata, tese i polsi mentre lui legava le estremità penzolanti della striscia di stoffa sotto le ascelle di Anna, a creare un imbracatura di fortuna.

      Sorenson diede una pacca sulla traballante ringhiera di legno. “Sali.”

      Anna fece come le era stato detto. Solo quando si è trovata in equilibrio sul binario più alto, di fronte al pendio della montagna, molto sotto di lei, il piano di Sorenson è andato a fondo. “Aspetta un momento,” disse Anna, girandosi per guardarlo in faccia. “Non puoi essere serio.

      “Tieniti forte!” Sorenson la spinse forte.

      Con uno strillo, Anna scivolò giù dal ponte d’osservazione in un impeto di vento e stelle. Gridò. Scendere dalla montagna sembrava quasi di volare, ma sicuramente sembrava di cadere. Il cavo girò e dondolò mentre sfrecciava lungo il fianco della montagna.

      Avvolgendo i polsi nella tovaglia, si aggrappò per la vita, mentre le sue gambe dondolavano sotto di lei. Da qualche parte in alto, poteva sentire Elsa e Kristoff e Sorenson mentre si chiudevano dietro di lei.       Grazie al cielo erano salvi!

      Anna quasi rideva—ma il terreno le correva incontro, e si stava avvicinando troppo velocemente. Strizzando gli occhi alla notte scura, Anna seguiva il percorso del cavo increspato; scompariva tra i rami di un albero ai piedi della montagna , vicino all’ingresso delle miniere. Questo era un bene.

      Ma quello che non andava bene era la velocità con cui si stava avvicinando al solido tronco. Se colpisse l’albero a questa velocità, si romperebbe sicuramente qualche costola, e questo se fosse stata fortunata. Aveva bisogno di rallentare.

      “NEVE!” urlò indietro verso Elsa. “NEVE! NEVE NEVE NEVE!” Pensava di aver sentito Elsa che le rispondeva, ma non poteva dirlo. Il vento si era rubato qualsiasi parola che fosse uscita dalle labbra di sua sorella. Doveva solo sperare e credere che sua sorella sapesse cosa fare, nel modo in cui aveva sempre fatto.

      Dieci passi rimanevano dall’albero. Ora cinque. Ora due. Anna lasciò la tovaglia e si liberò. Cadde nell’aria oscura per quello che è sembrato un anno, ma probabilmente è stato solo un momento, e poi—

      WOMP!

      Un formicolio freddo avvolgeva Anna, rinfrescane e confortante come una delle bevande spumeggianti che Oaken vendeva nella sua baita. Morbidi fiocchi di neve avevano attutito la sua caduta. Elsa lo aveva fatto ancora. Ma non c’era tempo per prendere fiato. Invece, Anna rotolò via mentre Elsa, Kristoff, e Sorenson caddero nel mucchio di neve come mele mature che cadevano dall’albero.

      Anna si alzò. “State tutti bene? Dove si trova?”

      Tutti annuirono, poi Kristoff indicò.

      Anna si girò. Era difficile da vedere nell’oscurità, ma riusciva a scorgere una macchia d’ombra che scendeva a tutta velocità dalla montagna come una valanga di neve nera: il Nattmara. Ancora a caccia.

      “Le miniere!” disse Anna. “Sbrigatevi!”

      “Non sono sicure!” disse Sorenson. “I crolli e l’aria tossica—”

      “E gli Huldrefólk!” disse Anna. “Elsa, ricorda il mito!”

      Elsa sobbalzò. “ ‘Gli Huldrefólk trovano sempre ciò che è perduto’. La spada di Aren!”

      “Potrebbe essere la nostra sola occasione!” disse Anna. “Dobbiamo trovarli e chiedergli dove si trova la Revolute!”

      “Ma—” la protesta di Sorenson fu interrotta da un lungo ululato, un ululato che salì di tono fino a quando l’aria stessa del regno diventava un urlo, e Anna barcollava sotto al suo peso.

      Stringendosi le mani sopra le orecchie, Anna corse passando il segnale di pericolo, strappò le assi di legno che erano state inchiodate sopra l’ingresso, e si tuffò nella bocca spalancata delle miniere. I suoi amici la seguirono. L’ululato li raggiungeva anche laggiù, e Kristoff con il suo zaino da viaggiatore per accendere la lanterna, ma alla fine hanno potuto vedere.

      Tutt’attorno, c’erano percorsi: quelli sottili, quelli larghi, quelli che si stringevano, su e giù e intorno. Ma quale li conduceva ad un vicolo cieco? E quale conduceva alle camere di gas velenosi, o alle fosse con bastoni appuntiti o orsi addormentati? Più importante, quale li avrebbe portati agli Huldrefólk?

      “Quale, Sorenson?” chiese Anna.

      Ma il vecchio scienziato sembrava perplesso. La sua lunga barba argentata con ciuffi in tutte le direzioni, come se, anche lei, fosse confusa.

      In piedi accanto a lei, Kristoff ha fatto oscillare la sua lanterna, mandando archi di luce che si increspavano sulle pareti e sul pavimento.

      Qualcosa scintillava nella roccia e Anna guardò in basso. Stava in piedi su qualcosa di lungo e metallico: i binari per i carrelli della miniera!

      “Da questa parte!” disse Anna, Decollando in uno scatto mentre seguiva i binari.

      Un secondo dopo, arrivarono in una grande camera dove, in fondo, seduto comodamente come se li avesse sempre aspettati, c’era un carrello da miniera in legno.

      Kristoff gli fece un gesto teatrale. “Ta-da! La vostra carrozza vi aspetta, mia signora.”

      “Grazie, gentile signore!” Anna salì, con Elsa e Sorenson che salivano dietro di lei.

      Kristoff ha spinto il carrello, cercando di far avanzare le ruote arrugginite. Giravano un po’ e poi si fermarono e Anna vide perché. Una corda era stata legata intorno a un’estremità del carrello, ancorandolo ad un masso sporgente.

      “Posso?” gli chiese, raggiungendo la sua lanterna.

      Gliela consegnò. “Puoi.”

      Anna sostenne la fiamma della lanterna sulla corda.

      L’ululato del Nattmara era ancora più forte ora, incredibilmente, e il tunnel tremava.

      Era arrivato.

      Ogni passo delle sue grandi zampe mandava un tremito attraverso la terra.

      E Anna poteva vedere che le sue intuizioni erano giuste—ogni volta che Elsa usava la sua magia, il Nattmara sembrava diventare più spaventoso e orribile. Si trovava nella bocca della grotta, eclissando la luce della luna, la sabbia nera che si estendeva intorno a lui mentre i suoi occhi brillavano di giallo.

      Nelle mani di Anna, la corda si anneriva—carbonizzava, si diradava. Finalmente, si ruppe. Ma il carrello rimase fermo.

      “Perché non ci muoviamo?” urlò Elsa.

      “Siamo troppo pesanti per farlo,” disse Anna, la disperazione l’avvolgeva. “Forse, se dondoliamo un po’—”

      “Non ce n’è bisogno,” interruppe Sorenson.

      “Cosa vuoi dire?” domandò Anna.

      Ma lo scienziato ha solo sorriso—e poi si è lanciato fuori dal carrello. Volò verso l’imboccatura delle miniere… verso il Nattmara.

      “Noooooo!” urlò Anna, anche se non riusciva a sentirsi nell’oceano dell’ululato del Nattmara.

      Ma Sorenson aveva fatto il trucco. Con la sparizione del suo peso, il carrello si alzò e le ruote iniziarono a muoversi, all’inizio lentamente, poi sempre più veloce—e poi il carrello precipitò, costringendo Anna a far cadere la lanterna di Kristoff. Si schiantò sul pavimento del carrello, ma la luce non si spense. Il legno grezzo tagliava le sue mani mentre si aggrappava ai lati del carrello per la sua vita.

      Sbandò lungo i binari, stridendo tra curve a sussultanti e curve improvvise, minacciando di farli uscire ad ogni curva.

      “Stiamo andando troppo veloci!” gridò Elsa. “Rallenta!”

      “I freni non funzionano!” rispose urlando Kristoff mentre recuperava la lanterna e la teneva davanti a loro. “E il bastone dello sterzo è bloccato!”

      Anna sentiva la bocca aperta con orrore mentre cercava freneticamente di pensare a una soluzione.

      “Appoggiatevi a destra!” urlò Kristoff.

      Anna e Elsa spostarono il loro peso verso destra, e il carrello si spostò sul binario, seguendo il percorso della curva. Kristoff continuò a urlare istruzioni. In questo modo—con Kristoff che chiamava e Anna e Elsa che si inclinavano prima in un modo poi nell’altro—erano in grado di dirigere il carrello, zigzagando giù nel cuore della montagna invece di cadere verticalmente. Ad un certo punto si sarebbero fermati. Non è vero?

      E poi, improvvisamente, c’era luce più avanti. Un’uscita!

      “Che cos’è?” urlò Elsa. “Non siamo neanche lontanamente vicini al mattino!” Aveva ragione, e mentre gli occhi di Anna venivano inondati di luce, si rese conto che aveva uno strano bagliore acquatico.             Prima che potesse chiedersi da dove venisse, Kristoff gridò, “LAGO!”

      SPLASH!
      In un’esplosione di acqua tiepida, si ritrovarono in un lago sotterraneo. Il carrello rotolò in avanti nell’acqua increspata, poi si fermò, lo specchio d’acqua sorprendentemente poco profondo che portava a termine la loro corsa selvaggia. La lanterna di Kristoff si spense, il fumo serpeggiava nell’aria.

      Anna si lasciò andare. Sentire l’aria nei polmoni e sentire la quiete del mondo sotterraneo. Ma non era un silenzio assoluto. Tutt’altro.

      Tutt’attorno a loro c’era un morbido splish-splash mentre le stalattiti gocciolavano acqua nel lago riflettente che era illuminato da una strana luce. Anna ha guardato l’acqua e poi in alto con stupore.                   Finalmente conosceva la fonte della luce. Dal soffitto della grotta penzolavano milioni di piccole lucciole, ognuna delle quali emanava una luce delicata del colore del ghiaccio più blu. Si riflettevano sulla superficie del lago in modo che sembrasse di essere in una vasca da bagno sotto una galassia di stelle. Era un mondo segreto di suoni, acqua e luce, confortante e glorioso.

      “State tutti bene?” chiese Anna.

      Kristoff ha sussultato un po’, ma ha detto, più o meno allegramente, “Sì!”

      “Sì,” disse Elsa. “Spero che Sorenson stia bene.”

      Anche Anna lo sperava, ma non voleva che sua sorella si preoccupasse. “Sono sicura che sta bene,” disse Anna, raccogliendo tutto l’entusiasmo possibile. “Quello scienziato ha più assi nella manica rispetto agli appuntamenti nella tua agenda.” Si alzò lentamente. “E tutti staranno bene una volta che avremo la spada per spezzare la maledizione del Nattmara.” Attenta a mantenere l’equilibrio, si alzò in punta di piedi ed esaminò una lucciola. “Wow,” sospirò. Ogni lucciola sembrava una collana di perline appesa come un ghiacciolo, bella e perfetta. Anna si guardò intorno per vedere che Elsa era scesa dal carrello della miniera ed era entrata nel lago. Era poco profondo, arrivava solo fino alla vita della sorella. Non si è preoccupata di sollevare il mantello dall’acqua, ma l’ha lasciato galleggiare intorno a lei, in modo che sembrasse quasi che le fosse cresciuta una pinna di sirena scintillante. Ora le sirene erano qualcosa che Anna desiderava fosse reale. E forse, solo forse, lo erano. Elsa ha guadato le rive rocciose.

      “Dove stai andando?” chiese Anna.

      Elsa si fermò a guardare la pista che avevano percorso poco prima. “Non sento nulla,” sospirò Elsa, come se fossero di nuovo bambine che giocano a nascondino nella cappella e aspettano che i genitori le scoprano.

      “È una buona cosa, no?” La voce di Kristoff era silenziosa. “Il Nattmara non può averci seguito. Andavamo incredibilmente veloci, e c’erano troppi binari per sapere quale avessimo scelto.”

      “Guarda in alto.” disse tristemente Elsa.

      Anna seguì lo sguardo di sua sorella. Nella luce delle lucciole, poteva distinguere una dozzina di passaggi diversi sopra di loro, ognuno dei quali conduceva da qualche parte. A molti da qualche parte. Anna si irrigidì. Avevano perso il Nattmara. Avevano perso Sorenson.

      E ora anche loro erano persi.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 16

 

ANNA, ELSA, AND KRISTOFF non potevano rimanere per sempre nella grotta cristallina piena di lucciole.

      Perché ora, anche il silenzio era pericoloso.

      Erano passate quasi ventiquattro ore da quando Anna aveva dormito l’ultima volta, e a giudicare dalle borse scure sotto agli occhi di Elsa, per lei era passato ancora più tempo. Ma era Kristoff che soffriva di più per la stanchezza. Alla ricerca della sua famiglia di troll, aveva già fatto una dura cavalcata prima di tornare al castello, per poi fuggire. Era stato sveglio per troppo tempo. Aveva bisogno di dormire. Tutti loro ne avevano bisogno.

      Ma se avessero dormito, sarebbe stato più facile per il Nattmara rintracciarli—e Anna sapeva che non si sarebbe arresa. Questa era la natura dell’incubo: un secondo prima erano dimenticati, e quello dopo esplodevano in un ricordo indelebile. Anna, Elsa, e Kristoff dovevano continuare a muoversi per le miniere. Dovevano continuare a camminare, tenere gli occhi aperti. Se uno di loro si fosse addormentato, sarebbe stata la fine per tutti loro. Avevano così tante persone da salvare.

      E così, dopo aver raccolto filamenti di lucciole da appendere al collo e ai polsi, hanno deciso per un tunnel—non perché fosse familiare, ma perché sembrava portare più in alto rispetto agli altri. Usando le abilità che ha appreso sulla montagna, Kristoff era stato in grado di aiutarle a scalare il muro con la sua corda per raggiungere il passaggio più in alto.

      Mentre procedevano in avanti, Anna cercava di pensare a cose energizzanti: l’alba, la slitta, giocare con i bambini del villaggio, Olaf. Ma invece di farla sentire emozionata e sveglia, questo la faceva sentire triste e ancora più stanca. Si chiedeva se si sarebbe mai più sentita sveglia. Kristoff inciampò di fianco a lei. Invece di riprendersi come avrebbe fatto normalmente, si inginocchiò e sprofondò sui talloni.

      Anna si fermò accanto a lui e appoggiò una mano sulla sua schiena. “Va tutto bene, Kristoff? Devi alzarti!” Lo spintonò.

      Kristoff mormorò in risposta e posò la testa a terra. “Questa roccia è così morbida.”

      Anna tirò il suo braccio, ma invece di rialzarlo, riuscì solo a rendersi più stanca, e anche lei sprofondò a terra.

      Kristoff aveva ragione. La roccia era così morbida e immobile e voleva che lei ci poggiasse la testa sopra. Era calda, e dal profondo della sua mente assopita, Anna ricordava una lezione che Gerda le aveva insegnato, su come la terra fosse una crosta galleggiante sul magma caldo, e che a volte, piccole sacche di calore facevano sgorgare acqua calda dalle tasche sottostanti. Anche se questi tunnel scavati all’interno delle miniere non avevano mai visto la luce del sole, sembravano un tocco d’Estate—di sdraiarsi su spiagge rocciose baciate dal sole. Anna voleva solo allungare i muscoli stanchi e dormire lì. Anna!       Da molto lontano, sentiva che qualcuno stava chiamando il suo nome. Anna, Alzati!

      Un getto d’aria fredda la colpì. Anna si alzò in piedi. “Ehi!” Spazzò via dalla sua guancia quelli che sembravano i resti di una palla di neve.

      “Per cos’era quello?” protestò Kristoff, con la neve che gli macchiava il viso.

      “Vi sto salvando la vita,” disse Elsa. Evocò un’altra palla di neve, con cui si destreggiava. “In piedi, o ci sarà più ghiaccio in faccia. Siamo d’accordo?”

      “Bleah!” balbettò Kristoff. “Lasciaci dormire!”

      “Mi dispiace, ma non posso farlo.” Elsa scosse la testa. “Anna! Oh, per l’amor del cielo!”

      Anna sentì un altro schiaffo di neve fredda e alzò la testa. “Scusa, scusa,” mormorò, la sua lingua sembrava troppo spessa per la sua bocca. La neve luccicava sulle dita di Elsa, e qualcosa si annidava nella mente di Anna. Aveva qualcosa a che fare con Elsa e la sua magia. Ma cos’era?

      Quando Elsa si ferì al braccio, pronta a lanciare un’altra palla di neve verso uno dei due, Anna si ricordò.

      “Elsa, fermati!”

      Sua sorella fece cadere la palla di neve a terra, dove atterrò con un piccolo puff. “Ora prometti di restare sveglia? Perché c’è più neve da dove proviene.”

      Ma Anna non era più assonnata. Lungi dall’esserlo. “Non puoi continuare ad usare la tua magia,” disse. “Dal ponte d’osservazione, ho notato che ogni volta che lo fai, il Nattmara cresce.”

      “Oh,” Elsa piegò le braccia al petto. “Grandioso.”

      Anna frugò nello zaino di Kristoff e tirò fuori il libro, sfogliando le pagine per confermare la sua teoria. Ma erano inzuppate dell’acqua del lago, l’inchiostro indecifrabile. Sospirò.

      SNORFFF!

      Le sorelle abbassarono lo sguardo per vedere che Kristoff aveva chiuso nuovamente gli occhi, un russare strozzato gli sfuggì mentre la sua testa andava alla deriva verso il suo petto.

      “Cosa facciamo con lui?” chiese Elsa.

      “Ehm.” Anna cercava un’idea—una qualsiasi idea. Di solito, arrivavano puntuali e sicuri, ma la mancanza di sonno la faceva sentire confusa. L’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi erano le loro ombre proiettate dalle lucciole sulla parete della grotta di fronte a loro. Ombre. Ombre simili ai famosi pupazzi di ombre di Zaria. Aveva letto che i burattinai erano spesso famosi come i cantanti, e potevano riempire interi teatri con le loro esibizioni. Se mai riuscissero a sconfiggere il Nattmara e rimettere le cose a posto, forse inviterebbe alcuni dei burattinai a venire a fare uno spettacolo ad Arendelle. A tutti era piaciuto così tanto l’anno scorso, quando Kristoff aveva eseguito il suo musical…

      “Ecco!” urlò Anna. Ecco, ecco, ecco. Le sue parole riecheggiarono lungo il corridoio roccioso. Accovacciata per essere allo stesso livello delle ciglia svolazzanti di Kristoff, cominciò a cantare: “ ‘Le dita dei piedi dei Goblin sono brutte, e le code degli Hulder sono carine—ma non mi prendi mai, spazza via una delle sue’… zampe!

      Era una sciocca canzone che Kristoff aveva inventato per l’ultima festival di Primavera. I bambini del villaggio l’avevano amata, e l’aveva eseguita per il regno sotto l’occhio incoraggiante di Kristoff. Quando   Anna aveva incontrato per la prima volta l’uomo di montagna, lui era ricoperto di neve e le aveva grugnito solo poche parole. Non avrebbe mai pensato che sotto uno strato esterno ruvido, e una o due chiazze di sporco, il suo vero linguaggio fosse la canzone.

      Kristoff aveva un dono per la melodia, e anche se non gli importava della strana macchia di zuppa sulla sua camicia e non gli importava della differenza tra una forchetta da insalata e una da dessert, era sensibile ai testi delle canzoni. In particolare alle canzoni che aveva scritto.

      “Eh?” gli occhi di Kristoff si aprirono. “Dovrebbe essere ‘spazza via uno dei suoi piedi!’ “

      Con gli occhi scintillanti, Elsa cantò il verso successivo. “ ‘Ai Goblin piace mangiare molto, e agli Hulder piace cantare—ma non ne troverete mai uno con il piumato’...naso!

      “No!” Kristoff si alzò in piedi. “Questo non fa rima! E cosa dovrebbe mai significare piumato naso?”

      “Ora ce l’abbiamo in pugno,” bisbigliò Anna a sua sorella, e poi prese la sua mano. “Andiamo, Kristoff, cantala per noi?”

      E Kristoff—povero, stanco e dolorante Kristoff—cantò.

      Insieme, i tre si muovevano in avanti attraverso l’oscurità, le loro voci echeggiano in modo da sembrare un intero coro piuttosto che tre amici affaticati che sperano di sopravvivere, sperando di salvare il regno che Anna amava più di ogni altra cosa. Si abbandonò al suono, lasciandosi travolgere da esso.

      Cantavano degli Huldrefólk. Cantavano di Aren e della sua spada galante. E poi hanno cantato una sciocca ballata su un’oca che si è innamorata di un’anatra.

      Mentre arrivavano alla fine della canzone, Anna pensava a quanto fosse bella la voce di Elsa. Non sapeva che sua sorella potesse raggiungere note così alte, o addirittura cantare armonie. Anna smise di cantare, volendo sentire più da vicino. E fu allora che si rese conto che Kristoff aveva smesso di cantare… e così anche Elsa.

      In realtà, tutti e tre avevano taciuto, eppure la canzone continuava. Si arrampicava intorno a loro, sempre più in alto.

      Era come se le rocce stesse stessero cantando. Ma non poteva essere—poteva?

      Elsa indicò un passaggio alla loro sinistra. “Proviene da lì.”

      Anna si voltò da quella parte.

      “Aspetta!” Elsa l’afferrò. “Cosa ti fa pensare che andremo da quella parte?”

      “Perché non dovremo?” disse Anna. “Ci siamo persi, e abbiamo bisogno d’aiuto. Inoltre, una cosa così bella non può essere pericolosa.”

      Elsa la fissava. “Non hai imparato nulla dal tuo fidanzamento con il Principe—”

      “Shh,” interruppe Kristoff. “Il canto ti è fermato.”

      E così è stato.

      Anna si girò verso Elsa. “Ci siamo persi qualcuno che avrebbe potuto aiutarci!”

      “O forse ci siamo persi qualcosa che avrebbe potuto mangiarci,” disse Elsa.

      Kristoff sobbalzò. “O forse sono proprio dietro di voi.”

      “Molto divertente, Kristoff,” gli disse Anna.

      “No,” protestò. “Sono… serio. Guardate.”

      Mentre Anna stava parlando con Elsa, erano entrati in una nuova porzione di miniera.

      A differenza degli altri passaggi, questo non aveva mai visto la punta di un piccone. Perché tutt’attorno c’erano cristalli—e non cristalli qualsiasi. Ognuno era più alto di Kristoff e largo come un tronco d’albero. Si sporgevano dalle pareti e dal soffitto, angolati in modo da formare una foresta di roccia scintillante. Ogni cristallo era di un bianco mutevole, come se quando i cristalli si fossero formati si fossero riempiti di fumo.

      Ma non è stata la grandezza insolita o il colore dei cristalli a far sussultare Anna o a far sì che Elsa la stringesse così forte che Anna poteva sentire le unghie della sorella che le affondavano nella spalla. Seduto a cavallo di un cristallo grande come un pony c’era un piccolo bambino.

      O almeno, Anna pensava potesse essere un bambino, perché la figura era decisamente a misura di bambino, grande circa quanto un umano di tre anni. Nella luce fioca del braccialetto di lucciola che indossava, Anna riusciva a scorgere il luccichio di un occhio, e dei leggings grigi dall’aspetto morbido che scintillavano leggermente mentre il bambino tirava fuori le gambe.

      Il bambino iniziò a cantare di nuovo, anche se la melodia non aveva parole. Solo note chiare e rotonde.

      Con un sussulto, Anna iniziò a correre verso il bambino, inciampando con le dita dei piedi e mancando occasionalmente delle rocce basse. Ma non le importava. Tutto quello che importava era che ci fosse un bambino sotto la montagna che era stato lasciato da solo. E Anna non ha mai voluto che nessuno si sentisse solo o escluso—mai più. Non se lei poteva evitarlo.

      La preoccupazione pulsava in lei, seguita dal senso di colpa. Non aveva nemmeno sentito parlare di un bambino scomparso dal villaggio. Sapeva di essere stata distratta dal Grande Viaggio di Elsa, ma non poteva essere così occupata da non aver sentito parlare di un bambino scomparso. Si chiedeva da quanto tempo il bambino si trovasse lì, dove si trovavano i suoi tutori, o—si rese conto con un sussulto—forse la domanda dovrebbe essere, cosa gli era successo? Il Nattmara li aveva presi?

      Ma prima che potesse allontanarsi di più di un metro dal bambino, ha sentito che qualcuno le tirava il mantello, strattonandola:

      “Anna,” bisbigliò Elsa, la voce più bassa possibile, “hai visto le orecchie?”

      Anna socchiuse gli occhi, cercando di vedere quello che vedeva Elsa. All’inizio non ci riusciva, visto che i riccioli del bambino urtavano dove si aspettava che fossero le orecchie, tranne…

      Anna socchiuse così tanto gli occhi, che ora poteva vedere le sue stesse ciglia.

      E poi, le vide: le orecchie del bambino si alzavano in punte sottili, come le punte delle ali di una libellula.

      Improvvisamente, Anna ricordò la favola della buonanotte di tanto, tanto tempo fa, di quando lei ed Elsa condividevano la stanza. Sono alti e forti, con le orecchie aguzze. Per questo, piccola Elsa, aveva detto la Mamma con un piccolo strattone sull’orlo dei pantaloni del pigiama di Elsa, se mai ne dovessi incontrare uno, non devi menzionare la loro coda! È scortese.

      E se lo fai—una giovane Anna era spuntata da dietro il suo forte di cuscini, facendo un viso spaventoso e modellando le sue mani in artigli—potrebbero mangiarti!

      Elsa era scoppiata a ridacchiare, il che aveva solo fatto raggrinzire di più il viso di Anna e aveva aggiunto un ringhio in più.

      Va bene, basta così, aveva detto la Mamma, prendendo Anna con un braccio per metterla accanto a Elsa prima di sedersi accanto a loro sul letto. Accoccolatevi. Più vicino.

      Anna aveva lasciato che il suo viso tornasse alla normalità, ma aveva tenuto le dita raggomitolate ad artigli mentre si accovacciava accanto alla madre e alla sorella e chiedeva, Mamma, che aspetto hanno le loro code?

      Nessuno lo sa,aveva detto la Mamma, e fissò un nastro nella coda di cavallo si Anna. Le tengono nascoste sotto le gonne o tengono sempre le spalle al muro.

      Ma io voglio saaapere, si lamentò Anna, e sua madre le baciò la fronte e rise.

      Ognuno ha diritto ai propri segreti, disse, soprattutto le persone nascoste.

      Le persone nascoste.

      O, come li chiamano gli Arendelliani…

      “Huldrefólk,” sospirò Anna. E mentre pronunciava il nome ad alta voce, le parole di Oaken le tornavano alla mente, acute come una stalattite.

      Attenzione agli Huldrefólk.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 17

 

LA MELODIA DEL BAMBINO—Hulder—volò via su ali invisibili e svanì di nuovo nel silenzio.

      Anna scoppiò in un applauso; non poteva farci nulla. Dopotutto, il piccolo Hulder non sembrava pericoloso.

      “È stato incredibile!” esclamò. “Qual è il tuo nome?”

      Per un momento, il piccolo Hulder sembrava fissare Anna nella luce spendente, gli occhi luminescenti che si perdevano nei suoi, e poi l’Hulder cadde all’indietro dal cristallo.

      “No!” disse Anna mentre correva dietro al cristallo per controllare il bambino, sperando che il piccolo Hulder non si fosse fatto del male.

      Ma mentre girava il cristallo delle dimensioni di un tronco d’albero, vide che l’Hulder non era più dietro di esso. Il bambino era scomparso, tranne che per il suono dei passi che scorrevano lungo il buio passaggio più avanti. Senza pensarci due volte, Anna se ne andò.

      Anna” la chiamava Elsa da dietro. “Aspetta! Rallenta! Stai andando troppo veloce!”

      “Anna!” urlò Kristoff. I loro avvertimenti risuonavano nelle rocce attorno a loro, ma Anna era in disaccordo con entrambi: stava andando troppo piano.

      L’Hulder era veloce—Anna non era sicura se fossero i passi che stava seguendo ora, o solo il tranquillo stillicidio di stalattiti in lontananza. Eppure, erano venuti a cercare gli Huldrefólk, gli unici che avrebbero potuto aiutarli a trovare la Revolute, l’unico mito che potrebbe salvarli tutti dal terribile errore di Anna. E così Anna andava avanti, mancando di poco i sassi bassi occasionali. Improvvisamente, l’Hulder strillò. Sembrava spaventato, e Anna sperava che l’Hulder non fosse nei guai.

      “Resisti!” urlò Anna. Correva sempre più veloce, e il suo piede si impigliò—in una roccia, in una zolla, o in una radice, era troppo buio per dirlo—e si rovesciò a terra, con le mani in fuori per attutire la caduta.

      Il dolore attraversò le costole di Anna mentre sbatteva contro la roccia solida. Avrebbe avuto un livido gigante in un’ora. Tutto faceva male. Tutto tranne il braccio destro, che si era lanciato davanti a sé per cercare di attutire la caduta. E mentre Anna guardava il braccialetto di lucciole che penzolava dal polso, vide il perché: il suo braccio destro non aveva colpito nessuna roccia. Tutto quello che la mano aveva colpito era solo aria. Anna era contenta di essere già a terra, perché pensava che sarebbe potuta svenire se fosse stata ancora in piedi. Aveva inseguito l’Hulder—ed era quasi fuggita da un precipizio e finita in un precipizio.

      Poteva ancora sentire il pianto dell’Hulder. Le tornò in mente l’avvertimento di Tuva della Querciola Vagabonda. Sono complicati. A volte aiutano. Altre volte, attirano gli umani fuori dai sentieri più sicuri. E forse, Anna pensò, li attiravano in un abisso. C’era ancora una possibilità che questo bambino Hulder lo abbia fatto di proposito, e forse intendeva attirare Anna e Elsa e Kristoff lontano dalla casa degli Huldrefólk.

      Ma proprio mentre questi pensieri oscuri si raccoglievano in una nuvola, Anna si spostava in avanti sula pancia, verso il suono del pianto dell’Hulder. Non importava quali fossero le intenzioni dell’Hulder—ma importava che l’Hulder fosse bloccato e spaventato. Una volta che si è mossa verso il bordo, Anna ha appoggiato il mento e guardò in basso. L’Hulder era caduto oltre il bordo, ma per un po’ di fortuna o per miracolo, il bambino si era impigliato su una piccola sporgenza a un metro e mezzo di profondità. Sarebbe stato facile per Kristoff sporgersi e raggiungere l’Hulder, ma anche mentre Anna guardava , la sporgenza rocciosa si stava sgretolando sotto al peso del bambino.

      “Elsa! Kristoff! Aiuto!” urlò Anna mentre si avvicinava ancora di più, lasciandosi penzolare dal bordo, con la mano tesa. “Afferra la mia mano!” chiamò.

      L’Hulder allungò la mano, ma Anna era ancora troppo lontana. Doveva avvicinarsi. Muovendosi in avanti, Anna si abbassò di un centimetro di pollice. Solo un po’ più lontano ora… Allungò le dita in avanti, desiderando che si allungassero—e fu allora che sentì lo sgretolamento della terra sotto il suo stesso peso. Quello che una volta era terreno solido si è trasformato in ghiaia, e Anna è scivolata in avanti, a testa in giù verso l’abisso oscuro. Urlò.

      Ma prima che potesse cadere oltre l’Hulder e precipitare nel vasto vuoto, due paia di mani le afferrarono le caviglie dall’alto. Kristoff! Elsa!

      Si fermò, faccia a faccia con il suo piccolo Hulder dagli occhi di gatto, che era ancora per lo più nell’ombra, e che, se Anna doveva scommettere, sembrava terrorizzato da lei.

      “Ciao,” disse Anna, cercando di stirare il fremito nella sua voce. “Il mio nome è Anna, e non ho intenzione di farti del male.” Offrì la sua mano. “Vieni con me!”

      L’Hulder esitò per un momento, poi afferrò il palmo di Anna. La pelle del bambino era liscia e asciutta, come una delle lucertole di cui Anna aveva letto che popolavano i deserti di Chatho. Ma anche con l’Hulder così vicino a lei, era difficile vederli bene. Era quasi come se il bambino fosse stato fatto d’ombra o scolpito da uno specchio. Cercare di distinguere i dettagli è stato un po’ come aggrapparsi ad una saponetta: più forte uno la stringeva, più velocemente la saponetta scivolava via; più intensamente si guardava, più velocemente l’Hulder sembrava svanire.

      Afferrando il bambino con tutte le sue forze, Anna gridò, “Tirateci su!”

      Ci fu un grugnito, e poi Anna e l’Hulder si sono alzati in salvo, proprio quando la piccola sporgenza si è deteriorata nel nulla. Lei e il bambino furono trascinati su una roccia solida. Prima che Anna avesse la possibilità di lasciar andare l’Hulder, Elsa e Kristoff avvolsero Anna in uno stretto abbraccio, e lei si appoggiò al loro calore.

      “Anna!” disse Elsa, voce serrata. “Non potrei… Voglio dire, sei quasi—”

      “Parola chiave: quasi,” interruppe Kristoff con un’occhiolino.

      Anna gli sorrise. Sembrava sempre che la capisse, che sapesse che se pensava troppo a quello che era quasi successo, si sarebbe seduta lì per sempre e si sarebbe trasformata in un fossile.

      “Sono qui,” disse Anna. Avrebbe potuto rimanere lì per sempre tra le loro braccia, ma per il sussulto dell’Hulder che teneva.

      Il bambino si spinse fuori dal gruppo e si buttò a terra—ancora abbastanza lontano da far capire ad Anna che l’unica cosa che riusciva a distinguere era un gomito a punta, ma più dettagliato rispetto a prima. La pelle dell’Hulder era dello stesso esatto colore della roccia bluastra che riempiva le miniere. Anna si accigliò. Quando aveva visto per la prima volta l’Hulder, aveva pensato che la pelle del bambino fosse di un bianco fumoso, simile al cristallo su cui l’Hulder si era seduto. Un’idea divertente e solleticante si insinuò nella mente di Anna: Aveva avuto ragione entrambe le volte. L’Hulder era stato bianco fumoso e poi grigio bluastro. Il corpo dell’Hulder aveva prima un aspetto liscio, poi ruvido come un muro di pietra. Forse gli Huldrefólk erano come i polpi negli abissi del Mare del Sud, capaci di cambiare non solo il loro colore ma anche la loro consistenza.

      “Wow,” disse Anna, cercando di raccogliersi mentre un rapido flusso di pensieri le attraversava la mente. Primo pensiero: È così bello! Era entusiasta di apprendere questa meravigliosa caratteristica degli Huldrefólk. Il secondo pensiero venne subito dopo il primo: se Anna potesse cambiare colore e consistenza, si dirigerebbe verso la galleria dei ritratti, si metterebbe davanti a tutti i suoi dipinti favoriti, e sentire cosa si provava ad essere il Tenente Mattias, la vecchia guardia ufficiale Arendelliana del padre, per un pomeriggio. E infine, il suo terzo pensiero: l’ultima volta che era stata al castello, aveva visto il lupo, e tutto era cambiato. Un brivido le corse lungo la schiena.

      Elsa si inginocchiò davanti al bambino. “Ciao, piccolino. Sono Elsa. Qual è il tuo nome?”

      Il piccolo Hulder scoppiò in lacrime che scintillavano come gemme.

      “Oh, no.” Elsa si ritrasse. “Guarda!” Evocò un fiocco di neve e glielo mostrò.

      “Elsa,” sibilava Anna. “Niente magia, ricordi?”

      Il fiocco di neve scoppiò in goccioline d’acqua. Le guance di Elsa arrossirono e le sue mani strette ai fianchi. “Mi dispiace,” sospirò. “Me ne sono dimenticata.” Era triste che Elsa avesse passato la maggior parte della sua vita a cercare di sopprimere la sua magia. Sembrava davvero una parte di lei, naturale come respirare e sbattere le palpebre. Doversi astenere dal doverla usare di nuovo era probabilmente solo una questione di abitudine.

      Anna si sentiva in colpa. Fece un respiro profondo. Dovevano uscire da lì. Dovevano trovare la Revolute e sconfiggere il Nattmara, non solo per Arendelle, ma per sua sorella. Non poteva permettere che Elsa si chiudesse di nuovo in se stessa.

      “Ahi!” urlò Elsa.

      Abbassando lo sguardo, Anna vide la grossa treccia della sorella tenuta stretta in un pugno paffuto.

      “Ahi-ahi!” ripeté il piccolo Hulder, e le diede un altro tiro, come se la treccia di Elsa fosse una corda.

      “Ahiahiahiahi!” Elsa srotolò i capelli dalle mani del bambino. “Non sono un cavallo!”

      “Cavallo!” disse il piccolo Hulder. “Cavallo! Cavallo! Cavallo!”

      Elsa sospirò mentre Anna si coprì la bocca per nascondere un sorriso. Capì il fascino che provava l’Hulder per la treccia di Elsa. Da piccola, anche lei aveva fatto finta che Elsa fosse un cavallo da corsa e aveva ordinato alla sorella di cavalcare su e giù per i corridoi del castello. Una volta aveva persino fatto nitrire Elsa.

      Il piccolo Hulder lasciò andare i capelli di Elsa e si spostò verso Kristoff. “Cavallo!” proclamò il bambino.

      “Ehi,” protestò Kristoff mentre l’Hulder correva intorno a lui. “Sei uno che parla.”

      “Ehi! Ehi! Ehi!” disse il piccolo Hulder. “Parla, parla, parla!” Anche se l’Hulder stava correndo in cerchio attorno a Kristoff, il bambino correva di traverso, galoppando, tenendo per tutto il tempo la schiena rivolta verso il muro.

      Per nascondere la coda! Realizzò Anna con piacere. Forse sarebbe stata finalmente in grado di trovare la risposta alla sua domanda d’infanzia riguardo al fatto se tutti avessero la coda.

      “Sono un po’...iperattivi?” Elsa si tirò il suo mantello in modo che si appendesse di nuovo ordinatamente.

      “Non più di qualsiasi altro bambino,” disse Anna, pensando ai bambini che incontrava spesso nel villaggio. “Ma molti bambini non saprebbero come muoversi in una grotta, mentre questo piccolo potrebbe condurci all’Huldrefólk più anziano che potrebbe aiutarci.”

      Rimettendosi a posto le ciocche di capelli nella treccia, Elsa sembrava dubbiosa. “Forse?”

      Prendendo nota di quello che era successo ad Elsa, Anna si tirò i capelli indietro per assicurarsi che non fossero facilmente accessibili prima di mettere le mani sulle ginocchia. “Ciao,” disse. “Ti ricordi il mio nome?”

      “Anna! Anna! Anna!” urlò l’Hulder.

      Anna sbatté gli occhi. Non si aspettava così tanto entusiasmo. “Sì, esatto. Qual è il tuo nome?”

      “Qual è il tuo nome?” ripeté l’Hulder.

      “Anna,” disse Anna.

      “Anna,” ripeté l’Hulder.

      “Aspetta.” Anna si grattò la fronte. “Anche il tuo nome è Anna?”

      “Aspetta.” L’Hulder la imitava di nuovo. “Anche il tuo nome è Anna!”

      “Come ho detto,” disse Elsa, contorcendo le labbra, “iperattivo

      “Forse mi sbaglio,” osservò Kristoff, “ ma penso che stia solo ripetendo tutto ciò che dici.”

      “Iperattivo! Tutto ciò che dici!” rispose l’Hulder.

      Prendendo un respiro profondo, Anna parlò più velocemente che poteva, non dando tempo all’hulder di ripetere le sue parole fin quando non avesse finito. “Ciao, io sono Anna! La mia casa è Arendelle, come te, ma in superficie.”

      L’Hulder la guardava in completo stupore. “Casa?”

      Anna annuì. “Sì, casa. Dove vivi? Ci piacerebbe incontrare la tua famiglia.”

      L’Hulder guardò verso Anna, poi annuì. “Casa!” E poi l’Hulder partì—correndo all’indietro come se avesse avuto gli occhi dietro la testa. E forse è così. Dopotutto, come Anna aveva appreso dalle favole della buonanotte, nessuno aveva mai visto la schiena di un Hulder.

      “Andiamo!” Anna si alzò in piedi. “Dobbiamo seguirlo!”

      L’Hulder correva incredibilmente veloce—e a differenza di Anna e degli altri, l’Hulder era basso abbastanza da evitare le rocce basse a terra, mentre Kristoff doveva correre rannicchiato. Su, giù, e ancora giù, si sono lanciati attraverso corridoi apparentemente infiniti di cristalli e rocce scintillanti. Anna non riusciva a capire come l’Hulder—Dash, come lo aveva mentalmente soprannominato, prendendo una pagina del libro di Olaf—fosse in grado di distinguere la differenza tra i tunnel. Forse si trattava di qualche trucco speciale degli Huldrefólk- Dopotutto, gli Huldrefólk riuscivano sempre a trovare le cose smarrite. Forse significava che non si sarebbero mai potuti perdere.

      Uno strano pensiero le attraversò la mente, e si chiese se questo significasse che gli Huldrefólk sapevano sempre cosa avrebbero dovuto fare dopo. Ma quanto sarebbe stato fantastico? Forse è così che Dash li aveva trovati così in fretta. O forse Dash li aveva trovati perché Anna, Elsa, e Kristoff erano le cose perdute.

      Anna scosse la testa. Aveva così tante domande, e c’era così poco tempo per occuparsi di tutti.

      Ma c’era una cosa che poteva fare. “Kristoff? Elsa?” Anna aspetto fin quando entrambi non la stavano guardando, e poi disse, “Penso di sapere cosa è successo ai troll scomparsi. Ho letto nella torre di Sorenson che loro fuggono sempre quando il Nattmara appare.”

      Anna sentì Kristoff tirare un sospiro di sollievo. “Bene,” disse. “Questo vuol dire che sono al sicuro.”

      Ben presto, un altro suono cominciò a suonare sotto lo steccato dei loro passi. Un suono strano, mutevole, scricchiolante.

      “Lo avete sentito?” disse Anna tra un respiro e l’altro.

      “Sì,” disse Kristoff. “Pensi che—”

      “Forse,” rispose Anna, rallentando. Non aveva bisogno che lui finisse la frase per sapere a cosa pensava: Nattmara.

      “Dovremo fermarci,” disse Elsa. “Prenderci un momento per scoprire cosa sta succedendo. Gli Huldrefólk possono essere maliziosi… specialmente se pensano che siamo qui per prendere qualcosa che non ci appartiene.”

      “Ma se ci fermiamo,” disse Anna, “perderemo Dash!”

      Gli angoli degli occhi di Elsa si incresparono confusi mentre girava intorno ad un grande masso su cui Anna si era semplicemente arrampicata. “Dash?” chiese.

      “L’Hulder,” spiegò Anna. Si girò per vedere se Kristoff avesse bisogno d’aiuto con la roccia, ma lui l’aveva semplicemente spinta di lato, liberando la strada.

      “È troppo tardi,” disse. “Lo abbiamo già perso.”

      Nei due secondi in cui Anna ha distolto lo sguardo da Dash, il bambino è sfuggito alla vista. “No,” sospirò Anna. “Dobbiamo tenere il passo!” Iniziò di nuovo a correre, una nuova paura che le dava velocità. “Dash non sa del Nattmara!”

      Ma mentre Anna percorreva l’ultima curva, vide da dove proveniva il suono: una città sotterranea scavata nella roccia stessa.

      La casa segreta degli Huldrefólk.

      Come il mondo di sopra, così il mondo di sotto. Case accoglienti erano scavate nella pietra grigia-blu, e la luce arancione si riversava su di loro, accogliente come un sorriso. Le strade di ciottoli erano piene di lucciole, quindi era facile vedere cosa trasportassero i vari carrelli da miniera: uno teneva un mucchio di stalattiti impacchettate come legna da ardere, un altro era riempito fino all’orlo con funghi luccicanti grandi come cappelli da sole, e un altro era ammassato con rocce chiare come l’acqua che Anna pensava potessero essere grandi diamanti.

      E gli Huldrefólk. Gli adulti sembravano alti, costruiti più come alberelli che come persone, con lunghi arti e colli lunghi. E come Dash, erano difficili da vedere nella luce del reame sotterraneo.

      La luce non era la stessa della luce del sole, luminosa e rivelatrice, ma il tipo di luce morbida che Anna associava alle cene romantiche a nume di candela. Si illuminava e allo stesso tempo celava, proiettando ombre che contribuivano a oscurare di nuovo gli Huldrefólk. Eppure, anche nella penombra, Anna poteva dire che si mimetizzavano in qualsiasi cosa trovassero nelle vicinanze, dal nero di onice al bianco di marmo ed ad ogni sfumatura di mezzo. Alcuni Huldrefólk sembravano essere viola, altri arancioni e verdi con la pelle scintillante e nera. Gli Huldrefólk—la gente nascosta—potrebbero mimetizzarsi in qualunque ambiente.

      Il che era grandioso, pensò Anna, ma cosa più importante, erano reali. Creature reali che avrebbero potuto avere vere risposte su dove avrebbero potuto trovare la vera spada perduta di Aren. La cosa di cui avevano bisogno per salvare la giornata.

      “Wow,” bisbigliò Elsa. “Quanta bellezza. E tranquillità.”

      “Se Sven fosse qui,” disse Kristoff, “scommetto che si mangerebbe tutti questi funghi, e poi i suoi denti probabilmente brillerebbero per una settimana.”

      Sven. Anna desiderava che la renna fosse lì con loro. La strada che scendeva verso il villaggio era ripida, e Sven è sempre stato bravo a trovare il sentiero più sicuro per scendere da una montagna scoscesa. Scansionò il lato della roccia, cercando un sentiero per le abitazioni. Da qualche parte più in basso, era sicura che avrebbero trovato le risposte a come vedere le cose nel modo giusto e guarire Sven, e il resto di Arendelle, dall’influenza del Nattmara.

      Mentre si chinava in avanti per vedere meglio, Anna sentì un qualcosa di affilato che le premeva sulla schiena.

      “Kristoff,” disse, agitando la mano dietro di lei, “smettila. Sto cercando di vedere.”

      “Non sto facendo nulla,” disse Kristoff, situato alla sua sinistra, a pochi metri di distanza da una facile punzonatura.

      La parte posteriore del collo di Anna formicolò.

      Elsa stava alla sua destra, il suo viso pensieroso mentre entrava nella città sotto di loro.

      Improvvisamente, Anna divenne molto consapevole della sensazione che qualcuno la stesse osservando.

      Forse anche qualche persona.

      Oh,” sentì squittire Elsa.

      Anna si girò, solo per essere naso-a-naso con una lancia. E non solo una lancia.

      Molte lance.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 18

 

MENTRE ANNA, ELSA, E KRISTOFF stavano ammirando il villaggio sottostante, sembra che una nuvola di tempesta si sia raccolta attorno a loro.

      Anche se, naturalmente, le nubi temporalesche non esistevano nel ventre delle miniere, ne erano capaci di tenere una lancia alla gola. No. Le forme scure e mutevoli che si riunivano intorno a loro non erano altro che guerrieri Huldrefólk.

      Come il piccolo Dash, anche questi sono rimasti dell’ombra. Nel bagliore, Anna riusciva a vedere solo il luccichio di un occhio qui, e il dorso di una mano là. Ma non aveva bisogno di vedere i loro volti per percepire i loro sentimenti nei confronti di tre intrusi umani nella loro città segreta: non ne erano per niente contenti.

      “C-c-ciao,” Anna balbettava sulla punta delle lance, cercando di ricordare il galateo dell’incontro con un nuovo gruppo di persone. Non era esattamente come incontrare il primo ministro di Torres, ma sapeva che i dignitari erano sensibili, quindi le buone maniere erano la scommessa più sicura.

      Primo passo: Presentati e annuncia che sei un amico.

      Fece un inchino. “Il mio nome è Anna di Arendelle, e questa è mia sorel—”

      Una punta di lancia le si avvicinò, e Anna è rimasta in silenzio.

      “Ferma,” sibilò un Hulder. “Non dire altro, ladro.”

      “I-io credo che ci sia un’errore,” disse Anna, forzando un sorriso sulla faccia. “Siamo venuti per chiedere aiuto. Non siamo qui per prendere niente—”

      “Prendere,” lo stesso Hulder parlò ancora, facendo eco a Anna. “Prendere, prendere, prendere!”

      “No,” disse Kristoff, la sua schiena contro quella di Anna. “Non non siamo qui per prendere qualcosa. Stavamo seguendo il piccolino—”

      “Prendere il piccolino,” ripeté l’Hulder, e Anna poteva sentire la furia nella voce dell’Hulder aumentare. “Prendere il piccolino!” Il grido è stato ripetuto da un altro Hulder, poi da un altro, fino a quando l’intera massa mutevole di orecchioni con la lancia ha ripreso il canto.

      Anna aveva un brutto presentimento. Una sensazione molto brutta.

      “Penso che ci stiano accusando di aver cercato di rubare Dash,” bisbigliò.

      “Ah,” disse Kristoff a bassa voce, “beh, questo non è esatto.”

      “Aspettate!” disse Anna all’Huldrefólk, alzando la sua mano. “Noi non stiamo cercando di rapire nessuno!”

      Il canto degli Huldrefólk cambiò. “Bugiarda, bugiarda, ogni parola!”

      Anna scosse la testa, cercando di farli ragionare.

      “Non lo siamo,” Elsa ha parlato, la sua voce liscia come il ghiaccio, anche se Anna poteva sentire l’attrito sotto la superficie. “Il piccolino ci ha trovato. Stavamo cantando, e poi mia sorella ha salvato il bambino dal cadere in un abisso oscuro—”

      “L’abisso!” interruppe un altro Huldrefólk dal tono di voce più alto. “L’abisso! Andare nell’abisso! Andare nell’abisso! Bugiarda, bugiarda, ogni parola!”

      Uh-oh.

      “Ehm,” disse Anna con un sussulto. “Io credo che loro vogliano—”

      “Farci scendere nell’abisso?” finì Kristoff. “Sì. L’avevo capito anche io.”

      “Aspettate!” Anna provò di nuovo. “C’è un lupo gigante la fuori che sarà qui prima che voi ve ne accorgiate—” La frase di Anna fu interrotta quando un guerriero si precipitò in avanti e ha legato quello che sembrava un fazzoletto attorno alla bocca di Anna, rendendole impossibile urlare.

      Ma anche se potesse, sarebbe d’aiuto? Erano così lontani sottoterra, e gli abitanti del villaggio ancora svegli, probabilmente e si spera già in salvo a bordo della nave reale di Elsa. Sorenson non c’era più, essendo stato lasciato ad affrontare il Nattmara. E accanto a lei, anche Elsa e Kristoff venivano imbavagliati. Radici dure premute nella morbida pelle dei polsi di Anna mentre le sue mani venivano tirate dietro la schiena e legate.

      Dopo aver controllato che il nodo fosse stretto, l’Hulder che l’aveva legata annuì. “Cammina.”

      In fila indiana, camminavano davanti all’Huldrefólk. Anna teneva d’occhio la treccia di Elsa mentre oscillava, ed era grata quando Kristoff le calpestava accidentalmente il tallone. La faceva sentire meglio sapere che entrambi erano lì. Alla fine erano insieme in questo casino.

      Anna pensava che l’Huldrefólk li avrebbe portati via dalla loro città nascosta, di nuovo verso l’abisso da cui avevano salvato Dash, i guerrieri li hanno fatti marciare su un sentiero stretto, lontano dall’abisso e dallo sciame di lucciole e giardini fluorescenti. Il brutto presentimento di Anna diventava sempre più forte man mano che si allontanavano dalla città. Il sudore le colorava la fronte, e la gabbia toracica le sembrava troppo stretta mentre respirava l’aria stantia e soffocante.

      A che profondità erano? Poi l’odore di uova marce le punzecchiò il naso, e gli occhi le iniziavano a lacrimare. Era l’odore dello zolfo, oppure gli Huldrefólk avevano grossi problemi con le loro tubature. L’aria si scaldò ancor di più fino a quando sembrò quasi prendere un bagliore rosa. Una luce rossa danzava lungo le pareti davanti a loro, un colore insolito che tipicamente si poteva trovare solo nei tramonti estivi più spettacolari, o nella fucina di Tuva e Ada, o...no. Il cuore di Anna si capovolse.

      O nel centro di un vulcano attivo. Bugiarda, bugiarda, ogni parola più abisso equivaleva apparentemente a gettare il gruppo di intrusi umani di Arendelle nella roccia fusa.

      Il bagliore rosso diventava più luminoso, e mentre gli Huldrefólk sembravano freschi come il gelato nel bel mezzo di un Inverno perenne, Anna ora era zuppa di sudore. Immaginava che se la situazione fosse diventata più calda, le sopracciglia le sarebbero scivolate via dal viso. Anche se Elsa potesse usare la sua magia—anche se non attirasse il Nattmara dritto verso di loro—che possibilità aveva il freddo invernale contro il potere di fusione del magma rovente?

      Ora era davanti a loro, un cerchio rosso rotondo che pulsava come un cuore che batteva. Anna inciampò fino a fermarsi, ma l’Huldrefólk la spingeva in avanti, e anche se non riusciva a credere che fosse possibile, divenne ancora più calda.

      “Fermi,” Anna si confondeva nel bavaglio, la sua mente correva mentre saltava i passi dal due al dieci della diplomazia. “Vi daremo del cioccolato!” Le parole uscirono ovattate.

      In realtà non era un passo del galateo—in realtà, la corruzione non rientrava affatto nella lista—e niente di tutto quello che aveva letto aveva preparato Anna alla possibilità di essere gettata in un fiume di lava da una nazione ostile.

      Ma non ha funzionato. La spinsero in avanti. Anche se faceva più caldo della sauna di Oaken, Anna divenne insensibile quando vide lo stivale di Elsa oltre il bordo, la punta che diventava rossa nel bagliore.       Anna lottò più duramente. Se fossero scomparsi durante la loro missione, nessuno avrebbe mai saputo come sarebbe diventato il Nattmara o come avrebbe potuto essere fermato. Nessuno sarebbe sopravvissuto. Essere gettati nella lava non avrebbe significato solo la fine di Kristoff, Elsa, e Anna—avrebbe significato la fine di Arendelle. Avrebbero fallito. Lei avrebbe fallito. Il vuoto sbadigliò in Anna, minacciando di inghiottirla tutta.

      Tutto quello che voleva—sempre voluto—era fare sempre di più e, per il vero amore per sua sorella, aiutarla.

      Anche se tutto il regno aveva visto Anna salvare sua sorella tre anni fa, da allora si era chiesta chi non avrebbe salvato la sorella. Eppure, Anna non riusciva a superare il fatto che era stata lei a provocare Elsa a lanciare un Inverno perenne allora, e ora era stata lei a chiamare il Nattmara sulla terra. Non avrebbe mai più dato da mangiare una carota a Sven. Non avrebbe più sentito parlare della calda filosofia di Olaf sulla vita. Non avrebbe mai avuto la possibilità di conoscere il mondo naturale e quello celeste di Sorenson. Ed era tutta colpa sua.

      Con la coda dell'occhio, vide Elsa girare la testa così velocemente che la sua treccia schiaffeggiò il naso del sequestratore Hulder, cogliendolo di sorpresa, mentre Kristoff si lanciò all'indietro, sbattendo il suo sequestratore contro il muro. I due sono riusciti a liberarsi dai loro vincoli nel processo.

      Andiamo! Disse a se stessa Anna. Loro stanno ancora combattendo. Anche tu puoi! Voleva tifare per loro, ma doveva risparmiare il fiato. E poi, aveva ancora un bavaglio in bocca. La sua guardia la trascinava più avanti, più vicina al bordo del lago fuso, mentre Anna liberava le mani.

      “FERMI!” Una voce profonda riverberava intorno alla roccia, mandando tremori attraverso la terra.

      Ma non c’era modo che Anna smettesse di lottare. Si lanciò di lato, libera dalla stretta pietrosa dell’Hulder, e si tolse il bavaglio. Fece alcuni passi correndo per allontanarsi da loro prima di realizzare che non era inseguita. Invece, gli Huldrefólk si inginocchiarono mentre un quarto Hulder apparve nella nebbia rossa. Questo Hulder sembrava essere più alto di tutti loro, i suoi capelli era una criniera nera e selvaggia che circondava il suo viso, e sulla sua testa portava un cerchietto di qualcosa di lucido. Ci volle un minuto ad Anna per realizzare che fosse oro.

      Il capo degli Huldrefólk.

      E sulle spalle del capo Hulder sedeva una piccola, familiare figura.

      “Cavallo!”Dash strattonò i capelli del capo degli Hulder.

      Anna affondò in un inchino, e dopo che lei tossì puntando nella direzione di Kristoff, lui si inchinò. Elsa comunque, è rimasta dritta come un ghiacciolo, come si addice al suo rango.

      Psst! Regola numero uno”, mormorò Anna in modo tale che Elsa la sentisse.

      Elsa annuì e parlò. “Salve. Io sono la Regina Elsa di Arendelle, e questa è la Principessa Anna, ed il suo...ehm, la nostra guardia, Kristoff Bjorgman di Nessun Luogo in Particolare. Vi salutiamo in amicizia.”

      Anna trattenne il respiro, chiedendosi se il capo avrebbe accettato.

      “Amicizia,” ripeté il capo degli Hulder. E poi, con grande stupore di Anna, l’Hulder continuò in frasi complete. “Chiedo scusa per la mia famiglia. Tendono ad essere un po’ iperprotettivi.” Nella luce fioca, Anna vide l’Hulder toccare il ginocchio penzolante di Dash. “La Giovane Echo, comunque, ha chiarito il malinteso, e lei ed io vi diamo il benvenuto nel nostro dominio. Io sono il re degli Huldrefólk.”

      “Non stai ripetendo tutto,” disse Elsa, chiaramente troppo sorpresa per preoccuparsi delle maniere.

      L’imponente re Hulder inclinò la testa. “Ci piace usare le parole degli altri per poterci avvolgere e nasconderci al loro interno. È molto raro che un Huldrefólk debba effettivamente comporre qualcosa di nuovo. Questo è uno dei motivi per cui Echo vi ha trovati—voleva raccogliere la vostra canzone. Le canzoni sono facili da ricordare. Facili da echeggiare.”

      “Echo!” Dash—ora Echo, realizzò Anna—ripeteva la parola dal suo trespolo.

      Anna sapeva che probabilmente avrebbe dovuto lasciar parlare Elsa, ma la curiosità era troppa. “Perché parli a parole tue?” chiese.

      “Perché non solo sono il re, ma anche il bibliotecario,” disse il capo Hulder. “Ho passato anni a visitare il mondo in superficie, collezionando oggetti e storie, e ho abbastanza parole a disposizione. E così, vorrei scusarmi ancora per il vostro saluto iniziale.” Il Re Bibliotecario raggiunse Echo e lo mise a terra.

      “Tutto qui?” scoppiò Kristoff. “Siamo quasi stati gettati in un lago di lava, e tutto quello che puoi dire è ‘mi dispiace’?”

      “Mi dispiace!” squittì Echo, muovendosi verso Kristoff.

      “Il ‘Ci dispiace molto’ migliora le cose?” chiese il Re Bibliotecario. “Di solito, gli unici esseri umani che arrivano fin qui vogliono prendere pietre preziose e gemme dalla nostra montagna, o catturare un membro del nostro dominio per fargli trovare depositi di minerale di ferro per le loro armi e simili.”

      “Noi non siamo alla ricerca di pietre, gemme, o ferro,” disse Elsa. “Stiamo cercando la spada del mito, la Revolute Blade. Puoi per favore aiutarci a trovarla?”

      Gli occhi del Re Bibliotecario lampeggiarono. “ ‘La luna e il sole che girano, hanno forgiato una lama a mezzaluna. Dalla luce e dall’oscurità nel cuore, è stata creata la spada brunita.’ ” Abbassò lo sguardo verso di loro. “È questa, giusto?”

      Anna annuì, sentendo che questo era un buon segno.

      “E,” continuò, “suppongo che questo abbia qualcosa a che fare con il Nattmara che è arrivato ad Arendelle?”

      Anna sussultò. “Come sai del Nattmara?”

      “Solo perché non puoi vederci non significa che non siamo sempre presenti.” Il Re Bibliotecario li studiò un secondo in più. Era impossibile distinguere qualsiasi espressione sul volto del capo. La pelle ruvida degli Hulder aveva assunto l’aspetto dei rivoli screpolati di lava, ed era difficile da vedere sullo sfondo fuso. Ma poi, deve aver fatto un segnale segreto, perché le guardie si sono inchinate davanti ad ognuno di loro e poi si sono affrettate ad andarsene, dando le spalle ad Anna e ai suoi amici. Ci sono voluti un paio di passi per far sembrare che le persone nascoste fossero scomparse del tutto, anche se Anna sapeva che dovevano ancora essere lì, grandi maestri del mimetismo che erano.

      Il Re Bibliotecario si girò. “Ora, tutti voi, venite con me.”

      Il cuore di Anna fece un balzo. Alla fine—non li aveva portati fuori strada!

      “Non sempre abbiamo la risposta—ma sappiamo dove trovarla,” continuò il Re Bibliotecario.

      Permettendo agli esseri umani di camminare davanti a loro, il Re Bibliotecario e Echo scortarono Anna, Elsa e Kristoff lontano dal lago di roccia fusa e verso un tranquillo affluente d'acqua dove le zattere si urtavano e si scontravano l'una contro l'altra.

      Anna guardò Elsa e Kristoff nell’oscurità, e un sorriso si diffuse sul suo volto. “Potrebbe essere questo!” sospirò. “Potremo finalmente trovare la spada!”

      “Aspettiamo e vediamo,” disse Elsa, sempre quella che congela l’umore eccitato.

      Echo ha tirato la tunica di Kristoff, e hanno cominciato a lanciare pietre nell'acqua.

      “La mia assistente vi aiuterà. Vi porterà alla Biblioteca delle Cose Perdute,” gli disse il Re Bibliotecario. “Se il mio popolo si imbattesse in quella spada leggendaria, sarà lì—cioè, se questa spada esistesse veramente.”

      Elsa diede un’occhiata ad Anna, e Anna si morse il labbro. Sperava contro ogni speranza che fosse così.

      “Ci dispiace aver portato il Nattmara alla vostra porta,” disse Elsa. Non è sfuggito ad Anna che sua sorella aveva usato la parola noi.

      Il Re Bibliotecario scosse la testa. “Il Nattmara è uno dei molti nemici naturali degli Huldrefólk—entrambi cerchiamo di regnare l’oscurità. Ma mentre gli Huldrefólk amano la notte per la sua privacy tranquilla, il Nattmara preferisce usare l’oscurità come arma. Non temere: il Nattmara non può entrare nei confini del nostro dominio. Finché sarete nel regno degli Huldrefólk, il Nattmara non può toccarvi. Noi siamo il popolo nascosto. Ci teniamo nascosti, e ora che siete con noi, terremo nascosti anche voi.”

      Il sollievo riempì Anna, e poi ne uscì un pensiero. “Ehm, ho una domanda per te,” disse. “Abbiamo perso un membro del nostro gruppo. È possibile per gli Huldrefólk trovarlo? È un po’ basso e tarchiato, con una barba argentata che tocca il pavimento, ed è scontroso.” Anna si fermò, poi aggiunse, “È simpatico!”

      Il Re Bibliotecario inclinò la testa. “Come sai, gli Huldrefólk sono cercatori di cose perdute. Collezionisti. Se il tuo amico è ancora libero dal Nattmara, allora sono sicuro che potremo localizzarlo.”

      “Terra in vista!”

      Anna guardò verso l’acqua, dove una zattera grigia è scivolata davanti a loro e si è scontrata con la riva. Un Hulder dall’aspetto allegro (come Anna pensava di poter scorgere un sorriso nella luce fioca delle lucciole) li salutava con la mano e si appoggiava al lungo palo che aveva usato per guidare la nave.

      “Terra! Terra! Terra!” urlava Echo, e lasciò il gioco di saltare le rocce con Kristoff per gettarsi sulla zattera e tra le braccia del nuovo Hulder.

      “Questa è la mia assistente, Obscuren,” proclamò il Re Bibliotecario. “Lei vi aiuterà a trovare quello che state cercando e sarà la vostra guida nel mio dominio.”

      Anna si arrampicò sulla zattera, sistemandosi accanto a Kristoff. Solo allora si è resa conto dell’insolito materiale con cui era fatta. Mentre le zattere erano quasi sempre costruite di legno, questa sembrava essere costruita di pietra galleggiante. Mentre sbirciava più da vicino, ha visto dei piccoli fori che perforavano la superficie, facendo sembrare la struttura della zattera più simile al pane che alla roccia.

      “Penso che questa sia una zattera di pomice,” disse Anna a Kristoff, che concordò.

      “Lo è,” disse. “La roccia del vulcano.”

      Anna sentì un colpetto sui capelli mentre Echo strisciò sul suo grembo, cantando in silenzio, “Rema, rema, rema la tua zattera!”

      “Saluta,” il Re Bibliotecario istruì Echo. “È l’ora di cena.”

      Gli occhi del piccolo Hulder si riempirono di lacrime. “Restare!”

      “Vorrei che tu potessi,” disse Anna, e fu sorpresa quando ha capito che faceva sul serio.

      La Montagna dei Minatori era bellissima, piena di inaspettate sorprese e amicizia ancora più inaspettate. Le piaceva il piccolo Hulder e la sua inclinazione a volare il più velocemente possibile. Anna scommetteva che Echo avrebbe potuto mostrarle molte cose—cristalli incandescenti, grotte di ghiaccio, forse anche un pipistrello addormentato o due—ma aveva bisogno di sistemare il suo errore prima di poter esplorare le meraviglie della montagna.

      “Inoltre, ti annoieresti se ti unissi a noi,” disse Anna. “Non canteremo più, e essere su una zattera renderebbe difficile per te correre dappertutto.”

      Con la testa inclinata, il piccolo Hulder ha considerato questa triste realtà, poi è sceso dalla zattera per raggiungere una delle guardie di Huldrefólk che si era materializzata dal nulla.

      “Ciao!” disse Echo dalla riva del fiume, ondeggiando. “Ciao-ciao-ciao!”

      Il cuore di Anna si strinse. “Ci vediamo dopo, resta fuori dall’abisso oscuro, okay?”

      Elsa fu l’ultima a salire sulla zattera. Quando finì di sistemarsi il vestito attorno a lei, guardò indietro verso il Re Bibliotecario. “Ti ringrazio,” disse. “Per tutto il tuo aiuto. Prometto che manterremo il vostro segreto, e terremo le minierei chiuse. La vostra città rimarrà nascosta.”

      Il Re Bibliotecario si inchinò per ringraziare, e poi Obscuren li spinse attraverso la superficie vitrea del fiume.

      La zattera dondolava mentre percorreva il corso d'acqua sotterraneo, l'aria ora più fresca e rinfrescante.

      Obscuren notò le loro palpebre cadenti. “Potete dormire,” disse. “Conosco bene il fiume. E come ha detto il Re Bibliotecario, siete nascosti qui con me, anche dal Nattmara.”

      “Ne sei assolutamente…” Qualsiasi cosa Kristoff avesse intenzione di dire si perse in uno sbadiglio.

      “Il Nattmara non può trovare il nostro dominio,” ricordò loro Obscuren. “Ne siamo nascosti. Potete riposare qui, al sicuro, senza paura di perdervi a causa della sua influenza. Dormite. Riposate. Vi sveglierò quando avremo raggiunto la nostra destinazione.”

      Obscuren aveva appena finito di parlare prima che u rumore provenisse da Kristoff, e qualche secondo dopo, anche Elsa, si era addormentata. Anna, comunque, rimase sveglia. Anche se aveva sognato ad occhi aperti di dormire, scoprì che non riusciva a chiudere gli occhi. Ogni volta che lo faceva, lo stomaco le faceva molto male. Perché ogni momento passato a dormire era un momento in cui non stava sistemando il suo più grande errore: il Nattmara che aveva accidentalmente accolto ad Arendelle con un sortilegio. La voce di Obscuren interruppe i suoi pensieri, e Anna ne uscì fuori.

      “Scusa, cos’hai detto?” chiese Anna.

      “Ho detto,” ripeté l’Hulder, “che anche tu dovresti dormire.” Obscuren spinse sul palo, e l’acqua sospirava mentre la zattera l’attraversava. Il fiume scorreva attraverso tunnel tortuosi con soffitti bassi, anche se qua e là piccole spiagge sembravano aggettarsi nel corso d'acqua, e Anna pensava di poter scorgere la forma lontana di uno o due Hulder che li osservavano. Così vicina ad un Hulder che non cercava di ucciderla, riuscì finalmente a scorgere una forma più definita.

      Obscuren sembrava quasi umano ma con un aspetto complessivamente esile, orecchie a punta, e pelle mutevole. Al momento, gli occhi degli Hulder erano di una bella tonalità di arancione, un colore che faceva pensare ad Anna alla fine dell'Autunno o all'inizio della Primavera. Sembrava che prendessero tutto ciò che li circondava, e mentre Obscuren guardava Anna, Anna si chiedeva se la cercatrice di cose potesse trovare il segreto più profondo di Anna nei suoi occhi.

      “Obscuren,” disse Anna, “sai come il Nattmara è arrivato ad Arendelle? Pensavo di saperlo, ma non ne sono completamente sicura. La Moria è iniziata prima che dell’arrivo del Nattmara. Sono un po’ confusa sui dettagli.” Trattenne il respiro, aspettando che Obscuren dicesse in qualche modo le parole che le passavano per la mente forte come un pastorello che suonava il tungehorn: il sortilegio. Dev’essere stato il sortilegio, per quanto non avesse senso che gli animali e i raccolti si fossero ammalati prima che lei lo leggesse. Ma dopo che lo aveva letto, il lupo è comparso. Di questo Anna ne era certa—proprio come era certa che fosse colpa sua.

      Obscuren rimase in silenzio, ma non era il tipo di silenzio acuto dell’essere ignorati. Questa quiete aveva una qualità riflessiva, come se pesasse ogni parola prima di parlare.

      “Un Nattmara non appare dal nulla,” dille l’Hulder. “Sono fatti, formati da un evento della vita di una persona che cresce così tanto che non riesce più a tenerselo dentro, e la paura diventa così grande che assume una vita propria.”

      Anna concordò. Sì, quello era ciò che aveva detto Sorenson. La paura è troppo grande da tenere dentro. “Cooosì,” disse Anna, “tu non pensi che qualcuno possa avere, non so”—spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio— “pronunciato un sortilegio, o qualcosa, e portato il Nattmara ad Arendelle?”

      Obscuren scosse la testa. “Non credo che le poesie che gli umani chiamano sortilegi siano davvero qualcosa di diverso da questo: poesie. Possono essere in grado di evocare una bella immagine o un momento nel tempo, ma questo è un tipo di magia completamente diversa.”

      Anna non era sicura su cosa dire, ma era confortata. Perché Anna aveva letto un sortilegio… ma sembrava che anche se non l'avesse mai detto ad alta voce, il Nattmara sarebbe comunque venuto nel regno.

      Anna potrebbe ancora averlo chiamato per caso, senza un poema. Perché la notte che si era materializzato dai suoi sogni era la stessa notte in cui aveva sentiti Elsa tenere una riunione del consiglio senza di lei ed aveva sentito il suo cuore rompersi un poco. Era il momento in cui si era resa conto che la sua più grande paura si era avverata: che Elsa non aveva davvero bisogno di lei. E per questo, il suo incubo—la sua paura— si era manifestata nella forma del Nattmara che ora li stava inseguendo.

      “E immagino che,” disse, cercando di tenere la sua voce limpida, “se non c’è un sortilegio che chiami il Nattmara, allora probabilmente non ce ne sarà uno per bandirne uno, giusto?”

      Obscuren scosse la testa. “Non credo proprio. Ho sentito parlare di un solo guerriero disposto ad affrontare il Nattmara, ed era Aren, con la sua mitica Revolute Blade che conteneva uno strano potere.”

      Revolute.

      Con Kristoff e Elsa addormentati accovacciati contro la sua schiena, e Obscuren di fronte, che teneva un occhio su Anna ed i suoi amici, la mitica spada ricurva brillava come un faro nel fiume oscuro della preoccupazione di Anna, e alla fine ha lasciato che i suoi occhi si chiudessero per dormire.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 19

 

QUANDO OBSCUREN SVEGLIÒ ANNA, si sentiva più riposata di quanto non si sentisse da molto, molto tempo.

      Accanto a lei, Kristoff si stirava, metà dei suoi capelli appiccicati contro la guancia su cui si era sdraiato. “Su, su, e via!” disse Kristoff con uno sbadiglio.

      Elsa, tuttavia, riusciva ancora ad essere regale, anche se Anna riusciva a vedere la trama dei pori della pomice sul suo viso. Anna ridacchiò, muovendosi verso la guancia della sorella.

      “Dovresti darti un’occhiata,” brontolò Elsa con un mezzo sorriso.

      Anna sbirciò nel fiume. Certo, aveva lo stesso aspetto di sempre quando si svegliava: un po’ come una creatura del bosco con un problema di bava. Anna sistemò i suoi capelli vaganti con l’acqua del fiume, e trovò conforto nel notare che alcune cose rimanevano le stesse. Elsa le sorrise, e Anna intuì che anche lei stava pensando alla stessa cosa.

      “Ci siamo,” disse Obscuren mentre scivolavano su un palo.

      Mentre aspettavano che Obscuren assicurasse la zattera, Anna si guardò in giro, ma anche tenendo il polso teso con il braccialetto di lucciole, non poteva vedere nessun segno di una biblioteca…. O su dove si potesse trovare. Le sponde del fiume sotterraneo erano strette, non più larghe di un metro o due e, a quanto pare, non era stato scavato nulla sulla superficie della roccia, tranne qualche gradino friabile.

      “Dove si trova?” chiese Anna. Era stato bello dormire e tutto il resto, ma essere di nuovo sveglia significava che era più consapevole che mai del fatto che il tempo stava scivolando via. Gli restava solo un giorno di sole e una sola notte prima della terza alba che avrebbe reso permanente la realtà del Nattmara—presumendo innanzitutto che il sortilegio fosse stato quello che aveva portato il Nattmara ad Arendelle. Obscuren non ci pensava, ma Anna non riusciva a scrollarsi di dosso le parole di Sorenson. Tutti i miti contengono un nocciolo di dura verità. Il sortilegio potrebbe non essere stata vera magia, ma non significava che l’avvertimento non fosse vero. In ogni caso, Anna non era disposta a rischiare.

      “Su, su, su e via!” disse Obscuren, sembra che si accontenti comodamente delle parole di un altro, come se la conversazione della notte precedente fosse stata un po' stressante per lei.

      Elsa scese per prima dalla zattera, seguita da Kristoff. Quando si girò per offrire la sua mano per aiutare Anna a scendere, lei la ignorò e saltò di lato. Obscuren indicò con un cenno del capo che avrebbero dovuto togliersi i braccialetti con le lucciole e lasciare le piccole creature sul palo. Con un malinconico sospiro, Anna si tolse la lucciola e le diede una piccola pacca di ringraziamento.

      “Andrà tutto bene qui?” chiese.

      “Casa è dove si trova il cuore,” disse Obscuren, e quando Anna cercò di fare chiarezza, l’assistente del Re Bibliotecario spiegò, “Le riporterò con me. Non servono dove stiamo andando.”

      E con questo, Obscuren si è lasciato la zattera alle spalle ed è sceso nell'oscurità, silenzioso come la luna che naviga nel cielo notturno.

      Anna, Elsa, e Kristoff la seguirono, non con altrettanta grazia, ma sono riusciti a raggiungere l'inizio dei gradini e hanno iniziato a seguire la loro strada sul fianco della roccia, seguendo il sentiero intagliato che si snodava fino al soffitto della grotta.

      “Fermi un momento,” disse Obscuren, e ci furono alcuni colpetti rapidi, e poi un creak mentre Hulder spingeva un portello quadrato nel soffitto. La luce fluiva attraverso.

      Strizzando gli occhi contro l’improvvisa luminosità, Anna è emersa dal pavimento sporco di una stanza rotonda con pareti di pietra scolpite con rune e finestre bloccate da ciuffi d’erba erbosi. Ha intravisto il blu nella finestra. Il suo cuore ha fatto un balzo. “Aspetta, è il cielo?” chiese.

      “Siamo in una casa in erba,” disse Elsa mentre si toglieva il suo mantello e lo scialle di sua madre di dosso prima di allontanarsi dalla botola per fare spazio a Kristoff per arrampicarsi accanto a loro.

      Ma certo! Le case in erba punteggiano la natura selvaggia di Arendelle di betulle e abeti rossi. Erano realizzate facendo una buca grande quanto un’abitazione in profondità nel terreno, che veniva poi coperta da un tetto d’erba. Le case in erba erano di tutte le forme e dimensioni, ma le preferite da Anna erano quelle che sembravano Giganti di Terra affondati nel terreno, l'erba verde dei tetti che assomigliava ai capelli dei troll. Anna si guardò intorno, sperando di vedere una fila ordinata di libri. “Ehm, Obscuren, sei sicura che questa sia la vostra biblioteca?”

      Non assomigliava tanto a una biblioteca, quanto a un negozio di souvenir troppo affollato. Certo, c'erano alcuni libri sparsi qua e là, con copertine sbiancate che sembravano essere state dimenticate da tempo e lasciate ad appassire al sole. Ma c’erano soprattutto oggetti.

      C’erano sedie laterali che giacevano su tappeti arrotolati accanto ad un’attenta pila di specchi. C’era una pila di attrezzi per il giardinaggio, statuette rotte di argilla, e più di una pila di vecchie chiavi arrugginite. E c’erano calzini—lotti e lotti di calzini spaiati.

      “Benvenuti nella Biblioteca degli Oggetti Perduti,” disse Obscuren. Sopra il terreno e nella calda luce della casa di erba, l'Hulder sembrava assomigliare meno a una roccia e più a un albero, facendo germogliare morbidamente le foglie dove prima c'era la struttura ruvida di un sassolino.

      “Prima di dire qualsiasi cosa, noi non abbiamo rubato nessuna di queste cose. Abbiamo semplicemente trovato cose che erano perdute e gli abbiamo dato una casa. Il che comprende tutto, dagli occhiali mancanti, alle fasce per capelli, alle spade leggendarie. Per favore,” continuò l’Hulder, facendosi da parte, “sentitevi liberi di esplorare.”

      “Grazie!” esultò Anna.

      “Il Nattmara può trovarci quassù?” chiese Kristoff, sbirciando fuori dalla finestra.

      “Con me, siete ancora nascosti dal Nattmara,” disse Obscuren.

      “Phew!” disse Kristoff.

      “Che sollievo,” disse Elsa, scrutando nel disordine degli oggetti.

      “Dovremo dividerci,” disse Anna, poi guardò verso Elsa. “Giusto?”

      Elsa concordò, e così i tre iniziarono le loro ricerche.

      Alcuni degli oggetti perduti erano bellissimi—vasi di bronzo di un’altra epoca e anche una collana di pesanti zaffiri che Anna pensava avrebbero completato gli occhi di Gerda—cioè, se Anna fosse in grado di farli tornare indietro dal giallo. Lasciò al suo posto la collana e si affrettò verso la pila successiva. Prese uno specchio rotondo. Era piccolo, destinato a scivolare in una tasca, e si agganciava in modo intelligente per assomigliare a una conchiglia. Lo aprì, e poi lo mise di lato. Era carino, ma non era quello che stava cercando.

      Scansionando la stanza, Anna cercava un luccichio di metallo, cercando di trovare qualsiasi cosa che avrebbe potuto essere la spada del mito. Si è spostata da una sedia traballante e una quantità di calzini mancanti e ha cercato di non mostrare il suo disappunto, ma ha continuato a salire, come una mongolfiera, non volendo essere appesantita. Ci doveva essere qualcosa in questa biblioteca. I pensieri di Anna si fermarono. Il suo occhio si era fermato su una statua al centro della stanza. Era una figura di una ragazza umana in un vestito color blu-cielo con uno strascico scintillante, e una treccia biondo platino. Sembrava alta quasi quanto il ginocchio di Elsa, e sembrava anche molto simile ad Elsa.

      Anna sobbalzò mentre si avvicinava. Era una statua di Elsa. In particolare, quella che le sorelle avevano installato nel cuculo della città qualche anno prima. L’ultima Primavera, la figura di Elsa era scomparsa in una tempesta improvvisa, spazzata via da venti insolitamente forti. Anna scrutò la statua. Una piccola corona verde con candele era stata appollaiata sulla testa della statua di Elsa, e Anna ha avuto il fugace pensiero che la statua sembrasse più comoda qui, circondata da altre cose meravigliose, di quanto non lo fosse sopra le masse, giorno dopo giorno. Era grata che gli Huldrefólk le avessero trovato una nuova casa, e continuò la ricerca.

      Ma non importava quanto duramente o per quanto tempo cercassero, non hanno trovato l’ambita spada nella casa in erba.

      Le cose più vicine a una spada mitica che erano riusciti a dissotterrare erano alcuni scudi ed elmetti appartenenti all’epoca di Re Runeard, ma niente di più vecchio di allora. Le spalle di Anna crollarono. Se gli Huldrefólk non avevano la Revolute, e se Sorenson era sperduto, e se i troll erano fuggiti dal Nattmara… che cosa avrebbero fatto? Avevano esaurito i posti in cui cercare risposte.

      “Non c’è una singola spada in questa biblioteca!” disse Elsa a Obscuren un’ora dopo mentre il gruppo si sistemava davanti ad un grosso camino per mangiare quello che si trovava nello zaino da viaggio di Kristoff.

      Obscuren sospirò. “Così sembra.” La pelle dell’Hulder aveva preso le rune delle pareti della casa di erba, e parlando di Obscuren ora sembrava quasi di parlare con la zuppa dell'alfabeto. Sembrava cadere leggermente, ed era chiaro ad Anna che Obscuren non era abituato a conversare così tanto.

      “Perché no?” chiese Kristoff. “La storia di Arendelle sembra essere piena di spade, per quanto ne so. Perché gli Huldrefólk non ne hanno mai trovata una? Forse si trova da un’altra parte?”

      “A volte,” disse Obscuren, sistemandosi sul pavimento sporco per riposarsi, “le grandi spade sono sepolte con i loro eroi.”

      ARRGH!

      Il cuore di Anna iniziò a battere furiosamente mentre un grido che sembrava un po’ come un gabbiano risuonava attraverso la casa in erba. Con gli occhi spalancati, Anna si girò per vedere cosa aveva emesso questo suono terribile—aspettandosi di vedere il Nattmara o una folla di abitanti dagli occhi giallo che venivano per loro—ma tutto quello che vide fu Elsa, che schizzò in piedi.

      “Beh, è semplicemente fantastico!” gli occhi blu di Elsa lampeggiavano e le sue guance si arrossavano. Per la prima volta dopo molto tempo, Anna pensò che sua sorella sembrava visibilmente sconvolta.

      “Che succede?” anche Anna si alzò in piedi. “Dobbiamo solo scoprire dove Aren è stato sepolto—”

      Elsa sbuffò, ed era un suono non-propriamente-di-Elsa che Anna divenne silenziosa.

      “Non possiamo trovare dove è stato sepolto.” Elsa camminava sul pavimento. “Non ricordi la storia? Aren è stato inghiottito da un drago!”

      Anna sbatté gli occhi. “Davvero?” Lo aveva dimenticato. Diede un’occhiata a Kristoff, che stava guardando verso Elsa con qualcosa di simile a soggezione, come se non potesse credere che la calma e la raccolta Elsa fosse in preda al panico.

      “Sì,” disse Elsa, esasperata. “Un drago è arrivato al fiordo, e ha minacciato di mangiare tutti! E così Aren, il nostro più grande leader oltre a Re Runeard, che amava la sua casa e la sua gente più di ogni altra cosa, decise di andare ad affrontare il drago... che”—si soffermò Elsa, poi cambiò voce nel suo tono più drammatico—“ ‘vive dove il mare è un cielo’, e non ha fatto più ritorno.” Elsa fece un respiro profondo.       “Perché il drago lo ha inghiottito. E i draghi non esistono, e nemmeno questa spada, e Anna, oh, ho cercato di ascoltarti, ma non c’è niente che possiamo fare!”

      “Curioso,” disse Obscuren. Durante la filippica di Elsa, l’Hulder erano andati verso un muro di pietra. “Non è quello che dicono tutte le storie.” Ondeggiò delicatamente il braccio verso il muro attorno a loro. “In quel lontano tempo in cui gli Huldrefólk e gli umani si trovavano più a loro agio l'uno con l'altro, ci incontravamo qui, in un luogo di compromesso tra terra e cielo. Ogni comunità ha inciso le proprie storie su queste mura. Questa è una delle più antiche case in erba. E qui il mito di Aren cambia leggermente.”

      “Questo”—l’Hulder indicò una runa intagliata che sembrava avere la forma di una S laterale—“in accordo con la nostra leggenda, dice che un grande pericolo è venuto dall’acqua e per salvare la sua casa e le persone che amava, Aren è salito su una barca e non è stato più visto.”

      “Come può questo essere meglio?” chiese Elsa, e Anna era scioccata di vedere il piede si sua sorella che si contraeva, come se avesse appena resistito all’impulso di calpestare il piede. “Questo vuol dire solo che la Revolute è probabilmente da qualche parte sul fondo dell’oceano, ed anche se fosse possibile setacciare tutte le acque, non abbiamo tempo.” Elsa si girò bruscamente, mandando la sua treccia che sferzava dietro di lei e quasi schiaffeggiando un Kristoff scioccato sul naso. “Quindi vedi,” si rivolse ad Anna, “non troveremo mai la Revolute!”

      Ma in realtà… Anna ha visto.

      Anna aprì la bocca. “Elsa—”

      “Il Nattmara è ancora la fuori, la Moria soffoca il paese, e tutti i nostri amici sono bloccati in un incubo ormai!”

      Kristoff si tirò indietro di fronte alle sue parole.

      “Volevi visitare gli Huldrefólk perché dovevano essere in grado di dirci qualcosa,” continuò Elsa, “per mostrarci la strada per una spada inventata. C’è qualcos'altro, qualche altro indizio—”

      “Elsa—”

      Sua sorella gettò le mani in alto. “Le persone contato tutte su di me!”

      ELSA!

      Il furore di Elsa si è fermato e, ansimando, ha guardato Anna, che ha spinto via un sorriso.

      “Come puoi essere così calma in un momento come questo?” domandò Elsa, e Anna ha dovuto smettere di ridacchiare.

      “Sono calma perché ho imparato dalla migliore,” disse Anna, e poteva sentire una fiera speranza bruciare luminosa nel petto. “E perché so dove si trova la Revolute.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 20

 

 

ASPETTA, CHE?” DISSE ELSA.

      Anna non poteva fare a meno di sorridere ora nell’udire la sua battuta provenire dalla bocca di Elsa.

      “Cosa vuoi dire, sai dove si trova la Revolute?”

      Da qualche parte lungo la strada, era scattato qualcosa mentre Anna fissava le incisioni sui muri e ascoltava il racconto di Obscuren. La storia degli Arendelliani e la storia degli Huldrefólk erano differenti, ma uguali. Come Anna e Elsa. E proprio come le sorelle reali, le storie avevano più senso quando erano insieme.

      “Perché non possono essere vere entrambe le cose?” suggerì Anna. “Perché non può essere stato mangiato da un drago, come dice la nostra storia, ed essere stato mandato su una barca? È tutto nelle storie—Aren è stato inghiottito da un drago che vive in un posto dove il mare è il cielo.”

      “Ma perché il mare sia un cielo, dovresti essere sotto…” la voce di Elsa si interruppe e i suoi occhi si illuminarono. “Il Passaggio dei Giganti di Terra! Passa sotto al fiordo, il che vuol dire che il mare è il cielo. Ed ecco dove si trova la barca del drago!” La mano di Elsa si alzò verso la bocca con stupore. “Il tumulo,” disse delicatamente. “È il tumulo di Aren, che vuol dire…”

      “Che è dove è sepolta la Revolute,” finì Anna con un cenno. “Esattamente.”

      “Brava, Anna!” disse Kristoff. “L’hai risolto!”

      “Grazie!” Gli mostrò un sorriso. “Questo vuol dire che dobbiamo tornare indietro al castello,” disse Anna, alzando lo sguardo verso l’Hulder, che stava lì, alto ed impassibile mentre parlavano. “E abbiamo bisogno di tornare là il più in fretta possibile. Elsa, potresti…” Anna fece roteare il dito.

      Magia? Ma porterà il Nattmara dritto verso di noi,” disse Elsa.

      Obscuren intervenne. “Se vuoi usare la tua magia senza che il Nattmara la percepisca, io credo che il momento giusto sia adesso.”

      Elsa concordò. Nella sicurezza della casa in erba, realizzò una slitta di ghiaccio—ghiaccio così trasparente che Anna ci poteva vedere attraverso. Era praticamente invisibile. E poi Anna sentì un whoosh di aria fredda passare vicino a lei, e rabbrividì mentre fiocchi di neve danzavano nell’aria, che si trasformavano in un enorme orso di neve, che si profilava troppo grande nella piccola casa di erba.

      “Elsa,” disse Anna, accogliendo l’orso delle nevi con stupore, “è bellissimo.”

      L’orso ringhiò.

      “Dice che il suo nome è Bjorn,” tradusse Obscuren.

      “Anch’io posso sentire la mia renna, Sven, parlare,” disse Kristoff all’Hulder. La sua voce sembrava cupa, e Anna sapeva che era ancora preoccupato per il suo migliore amico. Sperava che Sven stesse bene, e, alla fine, al sicuro nella nave reale.

      Obscuren appoggiò una mano sul braccio di Kristoff e mostrò un sorriso triste. “Gli Huldrefólk sono famosi per trovare le cose che sono state perse, perché sappiamo come ascoltare,” disse. “Ma non siamo gli unici esseri che ascoltano. Anche gli animali possono. Possono distinguere un cuore gentile da uno pieno di crudeltà. Ed io sospetto, Kristoff, che tu sia qualcuno che sa esattamente quello che Sven ti stia dicendo.”

      Kristoff scosse la testa. “Spero solo che stia bene.”

      “Se ce ne andiamo in questo momento, lo sarà,” disse Anna, cercando di dirlo con così tanta fiducia che doveva essere vero.

      Il più velocemente possibile, hanno allacciato la fibbia dell'orso delle nevi alla slitta, e poi hanno detto il loro addio a Obscuren.

      “Nella mia famiglia,” disse l’Hulder, “noi non diciamo addio.”

      “Allora cosa dite?” chiese Anna,

      “Diciamo, ‘Fino a quando non ci rivedremo.’ “

      Anna sorrise. “Fino a quando non ci rivedremo.”

      “Forse,” disse Obscuren, che stava già scomparendo dietro una pila di piatti persi e rotti. “Ma probabilmente ci vedremo prima. A meno che non guardi molto, molto da vicino.”

      Obscuren allungò il braccio e aprì la porta. Ci fu un secondo mentre l'Hulder prendeva il terreno, e poi spalancò la porta per l'orso e la slitta. “Ricordate,” Disse l’Hulder mentre loro uscivano dalla sicurezza della casa di erba ed entrarono sotto al cielo. “Casa è dove si trova il cuore. Buona fortuna, amici di Arendelle.”

      “Arrivederci, amico,” disse Anna.

      Ma Obscuren se n’era andata.

      Mentre Bjorn si allontanava dalla casa di erba, casa non assomigliava più ad una casa. Anna vide che una nebbia si era depositata su Arendelle mentre il colore si spegneva dal mondo. Era come se la terra stessa fosse triste, impallidendo di paura. Anna allungò la mano, studiandola alla luce del sole. Sembrava ancora rosa al freddo. Guardando verso Elsa, era confortata dal fatto che lo scialle di sua madre, avvolto intorno alle spalle di Elsa, fosse ancora bordeaux, mentre i capelli di Kristoff fossero ancora del colore del grano. Il colore che si supponeva dovesse avere il grano, di corresse Anna. Ma c’era ancora tempo prima dell’alba. C’era ancora tempo per rimediare a tutto questo.

      “Sembra una foresta dopo un incendio,” disse Kristoff, osservando il terreno mentre conduceva l’orso di neve su una curva con un attento strattone delle redini.

      “Cosa vuoi dire?” chiese Elsa.

      “Il modo in cui la cenere va alla deriva,” spiegò Kristoff. “Galleggia nell’aria invece di cadere.”

      “Forse,” disse Anna, cercando di forzare allegria nelle sua parole, “questa è una buona cosa. Ho letto nella biblioteca che gli incendi boschivi sono necessari per liberare il rovo e far posto a nuova vita.”

      Kristoff scosse la testa. “Dillo alle persone che hanno perso le loro case.” schioccò le redini, e la slitta è andata più veloce.

      Anna portò il cannocchiale di ghiaccio di Elsa all’occhio, scrutando l’orizzonte in cerca di qualsiasi segno del Nattmara. Finora tutto bene. Non c’era nessun segno del lupo. Beh, nessun altro segno se non questa pallida ombra della loro casa e il timoroso battito del cuore di Anna.

      Ad eccezione di, cos’era quello? Una macchia scura sembrava muoversi dal verde slavato degli abeti rossi.

      “Elsa,” sussurrò Anna, e passò il cannocchiale a sua sorella. “Qualcosa si sta muovendo. Laggiù.”

      Elsa sbirciò da sopra la sua spalla, poi guardò nuovamente in avanti. “Hai ragione,” disse. “Credo che ci stia seguendo.”

      Kristoff spezzò più forte le redini e Bjorn virò a destra, mandando un vortice di pallide foglie bianche nell'aria. Anna guardò indietro. Anche la macchia virò a destra. Sì. Qualunque cosa fosse, li stava sicuramente seguendo. Le orecchie di Bjorn ruotarono, e poi Anna lo sentì.

      Un urlo: Ahhhhhhhhhhh! Sembrava provenire dalla direzione della macchia. E non era l’ululato freddo come le ossa del Nattmara. Questo rumore sembrava quasi umano, come se qualcuno stesse cercando di pronunciare un nome. Infatti… Ahhhhhh! Naaaaaaaa!

      “Ferma!” Anna si alzò. “È Sorenson!”

      Elsa sobbalzò. “Cosa?”

      Kristoff tirò le redini, facendo cadere Anna su Elsa mentre tornavano indietro verso lo scienziato. Mentre si avvicinavano, l’urlo diventò più chiaro. “Annaaaaa! Elsaaaaa!”

      “Sorenson!” gridò Anna, sollevata che stesse bene.

      O forse no? Lo scienziato appariva con un aspetto peggiore per l’usura. Il suo cappotto era strappato, triturato dagli artigli del Nattmara, e zoppicava, la caviglia gonfia. Ma era vivo, e non solo quello, i suoi occhi non sembravano essere color nero pece o gialli.

      “Ferma la slitta!” disse Anna, e Kristoff costrinse Bjorn a camminare.

      L’orso di neve sbuffò, protestando il cambiamento di ritmo.

      “Sorenson!” disse Anna mentre scendeva dalla slitta e si affrettava verso di lui. “Siamo così contenti di vederti! Come hai fatto a scappare?”

      “Salve a te, Anna, e a voi, Vostra Maestà,” disse Sorenson. Parlava con una cadenza strana, come se fosse riuscito in qualche modo a torcere la lingua e la caviglia. “Vi racconterò tutto fra qualche minuto.       Fatemi solo riprendere fiato.”

      “Non abbiamo davvero tempo,” disse Elsa, guardando verso il cielo. Il sole ora era sicuramente basso , si avvicinava l’ora di cena. “Che ne dici di raccontarci tutto nella slitta?”

      Annuì. “È una buona idea, ma non possiamo portare una slitta dove stiamo andando.”

      “E dove dobbiamo andare?” chiese Anna. Si è avvicinata allo zaino di Kristoff e ha cercato una stecca di ricambio. Aha! Eccola. Sapeva che Kristoff raramente usciva di casa senza. La stecca era per le emergenze sulle montagne di ghiaccio, ma a Kristoff piaceva prenderla in giro perché doveva assicurarsi di averne una a portata di mano al castello per tutte le volte che lei era riuscita a inciampare in qualcosa.

      Anna si sedette ed offrì la stecca allo scienziato. “Come sei riuscito a scappare dal Nattmara?”

      Sorenson disse. “Ho trovato un mito.”

      Le sopracciglia di Anna si alzarono. “Hai trovato la Revolute?”

      Sorenson inclinò la testa, e con la sua barba lunga, sembrava un po’ come un cane confuso. “Avete scoperto dove è nascosta?”

      Anna sorrise. “Sì! Beh, sappiamo dove cercare. È nel—”

      “Cosa hai trovato, Sorenson?” chiese Elsa, mettendosi in mezzo a loro. Aveva sistemato la sciarpa della loro madre sulle spalle come un mantello.

      “Ah, ho trovato una cura,” disse Sorenson, e batté eccitato le dita delle mani. “Ma è difficile da spiegare. Preferirei mostrarla prima a voi. Non sconfiggerà il Nattmara, ma credo che risolverà il problema della Moria agli animali e al raccolto.”

      “Cosa?” Kristoff, che era rimasto ad aspettare nella slitta, saltò fuori. “C’è una cura? Possiamo aiutare Sven?”

      “Presumibilmente, sì,” disse Sorenson. “E ce l’hanno gli Huldrefólk.”

      “Non lo so,” disse Elsa, tirando la frangia della sua sciarpa. “Loro sono nostri amici, penso, e non hanno detto nulla a proposito di aver trovato una cura.”

      “Sì,” concordò Anna. “E loro sono sicuramente nostri amici.”

      La faccia di Sorenson fece una smorfia e scosse la testa mentre sospirava. “Qualsiasi cosa vi abbiano detto è sbagliata,” disse. “Gli Huldrefólk sono ladri. Non avreste dovuto credergli.”

      “No,” disse Anna, in piedi per Echo, il Re Bibliotecario, e Obscuren. “Loro trovano cose perdute, indesiderate e trovano loro una casa. Loro trovano ‘ciò che è perduto,’ come dice il vostro libro, signore.”

      Ma Sorenson continuava a scuotere la testa, la sua lunga barba ondeggiava come uno dei gagliardetti spazzati dal vento sul castello. Nella luce che si allungava, la sua barba sembrava più bianca che argentata. “Allora il mio libro deve essersi sbagliato, perché gli Huldrefólk hanno un mito nascosto nelle loro sorgenti calde, a non più di un miglio di distanza. Ho scoperto che se un animale toccato dal Nattmara beve quell’acqua, verrà curato, anche se non si sconfigge il Nattmara entro l’alba del terzo giorno.”

      “Andiamo!” disse Kristoff, la speranza così luminosa sul suo viso che faceva male ad Anna. “Se è solo ad un miglio, potremmo prendere una tazza di acqua dalle sorgenti termali, non si sa mai, e tornare indietro senza perdere troppo tempo!”

      Il respiro rumoroso di Bjorn si faceva molto più rumoroso. L’orso voleva muoversi. Voleva andare. Eppure Anna era straziata… fino a quando non vide l’espressione sulla faccia di Kristoff.

      Il migliore amico di Kristoff era malato. E non aveva modo di sapere cosa fosse successo a Sven nel periodo in cui erano stati via, ma aveva rischiato la sua vita più e più volte solo per la possibilità di aiutare Sven a sentirsi meglio. Come poteva Anna dire di no a questo?

      “Elsa,” disse, tornando da Sorenson, che si stava ancora medicando la caviglia sulla stecca, e da Kristoff, che sembrava come se fosse pronto a partire in ogni direzione appena avesse appreso dove si trovassero queste sorgenti curative. “Io penso che dovremo prendere l’acqua, come precauzione.”

      Ancora, Elsa guardava verso il cielo e si morse il labbro. Mentre Anna vedeva sua sorella prendere un respiro profondo, sapeva che non le sarebbe piaciuto qualsiasi cosa stava per sentire.

      “Non possiamo rischiare,” disse Elsa, continuando a tenere lo sguardo sul cielo, e con i pezzetti di cenere fluttuanti che sembravano neve ma non lo erano. “Mi dispiace Kristoff, ma non possiamo. Anche se le acque termali dovessero funzionare, non c’è modo che noi possiamo portarne abbastanza per tutti in tutto il regno… e per quanto riguarda la spada?”

      Lo sguardo sulla faccia di Kristoff era insopportabile. “Quindi ora pensi che la spada sia vera?”

      “Elsa!” disse Anna, guardando tra la sorella e l’uomo che amava.

      “Io capisco la tua responsabilità verso il regno,” disse Kristoff a Elsa, “ma Sven è la mia famiglia!”

      “Kristoff,” interruppe Elsa, e i suoi occhi erano spalancati dal dolore, anche se Anna non sapeva perché sua sorella fosse arrabbiata. “Dico no perché mette in pericolo troppe persone!”

      Anna fece un respiro profondo, pronta a discutere ancora, quando Bjorn fece uscire un gran muggito.

      Girandosi di scatto, si voltò per vedere che Sorenson aveva preso il piccone di Kristoff dalla slitta e stava cercando di strappare l'orso dalla sua imbracatura.

      “Sorenson?” disse Anna, dimenticando la sua frustrazione nei confronti di Elsa, mentre intraprendeva le azioni peculiari dell'uomo. “Cosa stai facendo?”

      “Niente, niente,” disse Sorenson, scendendo a giocherellare con una fibbia. Ma mentre si piegava, Anna notò qualcosa cadere dalla sua tasca.

      Se il mondo fosse stato del suo colore normale—toni scuri di smeraldo mescolati al ricco blu delle montagne e ai colori dell'autunno in arrivo—non lo avrebbe mai notato. Ma il mondo era diventato bianco cenere, quindi quello che è caduto dalla tasca di Sorenson spiccava come una macchia. Ed era sabbia.

      Sabbia nera.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 21

 

NATT—NATT,” BALBETTÒ ANNA, cercando di far uscire l’avvertimento.

      Già, mentre guardava, la sabbia volteggiava dagli occhi di Sorenson per rivelare non iridi marrone scuro come aveva pensato Anna, ma occhi del colore della giacca di un calabrone. E poi la sabbia è volata nel cuore di Sorenson. Un posto dove il Nattmara si appollaierà fino al tramonto. I troll tremano all’ululato del Nattmara mentre il Nattmara fugge dal sole come un’ombra. Ma gli incubi potevano ancora fare del male, anche durante il giorno.

      “Nattmara!” disse finalmente Anna, ed era come se il suo grido avesse rotto una sorta di strano incantesimo. Un momento fa, si era sentita completamente sospesa fuori di sé, e ora si stava muovendo più veloce di quanto riuscisse a pensare. “Correte!”

      Ma Kristoff e Elsa avevano già visto quello che Anna non era stata in grado di dire. Kristoff fece un salto di corsa al posto di guida della slitta mentre Elsa afferrò la mano di Anna e la tirò al sicuro all’interno.

      “Andiamo!” urlò Kristoff, e Bjorn, già profondamente infelice per la pausa dalla corsa e nervoso intorno all'uomo che non ha avuto un buon odore, partì.

      “Vai! Vai! Vai!” gridò Anna quando fu in grado di muovere ancora la bocca. Si è girata appena in tempo per vedere Sorenson mostrare i denti, e poi ha allungato la mano nella tasca del cappotto e ha tirato fuori una fiala scintillante di polvere violetta—la Polvere di Combustione Altamente Infiammabile e Molto Pericolosa. Lo scienziato, ora il pupazzo del Nattmara, ha sollevato la fiala nell’aria.

      “VELOCE!” urlò Anna, proprio mentre l’esplosione si avvicinava a loro, mancando a malapena la slitta.

      Hanno perso il controllo, la corsa era tutt’altro che scorrevole, perché la caduta era ancora all’inizio, e il terreno era appena duro da permettere alla slitta di correre. Qualsiasi altra slitta non sarebbe stata in grado di attraversare il terreno accidentato della boscaglia, e rocce, ma una slitta fatta da Elsa era più scivolosa del normale, e due volte più veloce.

      Un'altra fiala di polvere fischiò all'orecchio di Anna, e lei si voltò poco prima che il fuoco violetto potesse inghiottirla. Con la coda dell’occhio, vide Elsa alzare le mani.

      “No!” gridò Anna. “Non puoi! Questo renderà il Nattmara più grande e potente!”

      Elsa abbassò le mani, e Anna si voltò in avanti.

      “Quello cos’è?” chiese Anna, indicando una linea scura nel terreno che incombeva davanti.

      “Quello,” disse Kristoff con un sobbalzo, “è un canyon. Un canyon molto, molto, molto ampio.”

      Un altro fischio nell’aria. Un’altra esplosione.

      “Dobbiamo seminarlo!” urlò Anna. “Veloce! Veloce! Saremo in grado di superare il canyon!”

      “No, non possiamo!” urlò Elsa. “Siamo troppo pesanti!”

      La linea scura era più spessa ora, il baratro più vicino e largo. Ancora pochi secondi prima di poter tentare di superarlo, di tentare di sorvolare la profonda trincea.

      “Elsa, tieni!” Kristoff mise le redini nelle mani di Elsa prima di girarsi verso Anna. “Penso di poter tenere a bada Sorenson fino al tramonto,” disse, guardandola dritta negli occhi. “Dì a Sven che ho detto che deve ascoltarti.” Le sue parole sono arrivate troppo veloci, ed il significato troppo lentamente,

      Anna scosse la testa. “Aspetta, che?”

      Ma poi Kristoff la stava baciando. Le sue labbra premute verso di lei, calde e leggere e forti come una promessa… ma una promessa per cosa? Prima che Anna potesse raccogliere i suoi pensieri e mettere insieme ciò che lui le diceva, le sue labbra erano diventate improvvisamente fredde di nuovo. Il bacio, finito.

      E Kristoff si girò allontanandosi da lei, in equilibrio sul bordo della slitta…

      “No!” Anna rimase senza fiato mentre le sue parole divennero chiare.

      Ma era troppo tardi. Kristoff saltò fuori dalla slitta, e Anna gridò.

      “Cosa è successo?” urlò Elsa, distogliendo gli occhi dall’abisso e guardando indietro proprio mentre Kristoff atterrava sul terreno, entrambe le ginocchia piegate per assorbire l’impatto, cercando in qualche modo in stare in piedi. E poi sparì, correndo verso Sorenson.

      “KRISTOFF!” gridò Anna. Ma senza il suo peso aggiunto, la slitta scivolava più veloce.

      Le pesanti zampe dell'orso hanno fatto volare il fango mentre si dirigeva a tutta birra verso la voragine, portando Anna sempre più lontano da Kristoff.

      “KRISTOFF!” urlò ancora Anna. “KRISTOFF! TORNA INDIETRO!”

      Ma Sorenson lo aveva visto. Il vecchio alzò il piccone di Kristoff, le sue due estremità uncinate brillavano come zanne di lupo mentre si muoveva verso Kristoff, che ora era armato solo con un ramo d'albero caduto. In qualsiasi altra circostanza, il vincitore della lotta sarebbe stato indiscutibile. Kristoff era giovane, forte come un bue, e fresco da un'Estate di traino di blocchi di ghiaccio su e giù per la montagna e dal fare lavori manuali intorno al castello, mentre Sorenson si è fatto stregare dall'età, il suo viso una mappa stropicciata, i suoi arti corti e sottili da anni di studio sedentario.

      Ma il Nattmara aveva prestato a Sorenson la sua grazia predatoria e il suo istinto spietato. Sorenson si muoveva come l'olio caldo, veloce e crepitante, garantiva di causare dolore, scorreva così velocemente che era difficile dire se Sorenson fosse ora uomo o lupo o entrambi. La caviglia gonfia non lo rallentava.

      Sorenson si abbatté con il piccone rubato, Kristoff si è allontanato di un soffio dall'essere tagliato in due. Ha avuto a malapena il tempo di alzare lo sguardo prima che Sorenson fosse nuovamente su di lui. Il piccone si muoveva sempre più in basso con la destrezza di un ago da cucito. Eppure, Anna poteva vedere i capelli ispidi e gialli di Kristoff che intingeva e schivava, rimboccava e rotolava, proprio come i troll l'avevano addestrato a fare. Anna voleva saltare dalla slitta e correre al suo fianco più di ogni altra cosa.

      “Torniamo indietro?” chiese Elsa, la sorella più grande stava chiedendo alla sorella più piccola cosa fare. E di tutti i tempi, Anna pensò.

      Il mantello di Elsa si spezzò nel vento, e anche se sembrava scossa, lei teneva ancora le redini scintillanti con la stessa fermezza di quando teneva lo scettro dell'incoronazione. Erano quasi sopra al baratro.       “Devi dirmelo, ora!”

      . Con tutto il cuore, Anna voleva strappare le redini dalle mani di Elsa e riportare l’orso verso Kristoff e Sorenson posseduto-dal-Nattmara. Ma non poteva. Non voleva.

      Le ombre erano già lunghe. Presto sarebbe arrivata la notte—e poi ci sarebbe stata l’alba. La terza alba, l’ultima alba se Anna non avesse ottenuto prima la Revolute. Kristoff le aveva fatto un regalo—una possibilità di cancellare quello che aveva fatto. E non poteva lasciare che andasse sprecato.

      “Continua.” gracidò Anna, anche se il suo cuore si spezzò. Lacrime calde le scendevano sulle guance, mescolandosi con la cenere del cielo mentre Elsa stringeva le redini e Bjorn saltava.

      Il cuore di Anna le sprofondò nello stomaco mentre si alzavano sopra la voragine.

      Per un lungo momento, sembravano penzolare nell’aria, sospesi da niente di più spesso della seta di un ragno sulla bocca spalancata della terra. Se non ce l'avessero fatta ad attraversarla, le rocce appuntite a centinaia di metri di profondità le avrebbero masticate e disintegrate.

      Anna cercò di aggrapparsi ad uno dei lati della slitta, ma la creazione di Elsa era impeccabile. Non c'era nessun pezzo di ghiaccio che potesse afferrare. Nessun nodo irregolare che potesse stringere. E allora Anna si aggrappò all’unica cosa che poteva: sua sorella.

      I secondi sembravano passare, eppure l'altra parte sembrava sempre lontana. E poi, con un tonfo sordo, le zampe dell'orso si posarono di nuovo a terra, e la slitta e le sorelle sbatterono dietro di luicon forza. Ce l’avevano fatta.

      “Anna, non riesco a respirare!” strillò Elsa.

      Anna lasciò andare sua sorella, girandosi per vedere cosa era successo a Kristoff. Poteva solo riuscire a distinguere due figure oltre la voragine, ma non poteva più dire quale sfocatura fosse il piccone e quale il ramo. Si rimpicciolirono e divennero più piccoli, mentre l'orso allungò i suoi passi e il terreno volava via, ma lei tenne gli occhi sulle figure in lotta.

      Anna sapeva che questo ballo non poteva durare a lungo. In poche ore, il sole sarebbe sceso dietro l'orizzonte, e il Nattmara avrebbe smesso di nascondersi nel corpo di Sorenson e avrebbe ripreso tutta la sua potenza come il temibile lupo.

      O avrebbe posseduto Kristoff prima di allora? Kristoff sarebbe soffocato da una realtà da incubo? Avrebbe vissuto nel suo paesaggio horror, dove non c'erano troll o renne, né silenziosi solchi di montagna, o Anna. Un mondo da incubo che potrebbe durare per sempre, a meno che lei ed Elsa non riescano a fermarlo prima.

      “Possiamo andare più veloci?” La gola di Anna era così stretta che la sua domanda era appena più di un sussurro. Infatti, non era sicura di aver detto nulla dopotutto. Si sentiva tanto subostanziale quanto un'ombra e altrettanto utile. Non era sicura che Elsa l’avesse sentita fino a quando non sentì la mano di sua sorella stringere le sue.

      “Andremo più veloce del vento,” promise Elsa, entrambe le mani sulle redini.

      Sono scivolate attraverso il terreno roccioso delle montagne, sfrecciando ad un ritmo vertiginoso fino a quando la corsa selvaggia di Bjorn si è conclusa a ridosso di una scogliera. Un fiume si precipitava nelle vicinanze guadagnando velocità e suono mentre si affrettava verso il bordo della montagna. Avevano raggiunto le cascate—e l’entrata al Passaggio dei Giganti di Terra, verso il tumulo di Aren.

      “Ci siamo.” Elsa scese dalla slitta. “Sbrigati!”

      Abbassando lo sguardo, Anna poteva distinguere chiaramente la forma del Castello di Arendelle. La bolla di ghiaccio che Elsa aveva così accuratamente e splendidamente creato si era frantumato, lasciando frammenti di ghiaccio appuntito intorno ad esso, un terreno pericoloso come un vetro rotto. Accanto ad esso, Anna poteva vedere il villaggio, il colore delle sue case ancora allegro, nonostante il terrore che Anna sapeva che ora ospitava. Ma alla fine, vide con sollievo, la cupola di ghiaccio che Elsa aveva realizzato per il villaggio reggeva ancora.

      Guardò verso il porto. Anche la nave reale non c’era più, e Anna sperava che Sven, Olaf, e gli abitanti fossero molto lontani ora, e al sicuro. Non avrebbe potuto sopportare che una singola anima in più venisse ferita a causa sua. Perché Kristoff… No. Non poteva pensare a Kristoff. Non adesso.

      Scendendo dalla slitta, aiutò Elsa a liberare l’orso di neve dall’imbracatura. Senza di essa, Bjorn sembrava dieci volte più feroce e dieci volte più selvaggio, e Anna era consapevole del fatto che con una sola zampa poteva schiacciarla facilmente come lei poteva schiacciare un croco. Ma poi, l’orso si scuoteva, il suo pelo increspato come alghe, e premette il suo freddo naso nella mano di Anna. Lui suffò e Anna ha gettato le braccia intorno alla sua gorgiera innevata.

      “Grazie!” disse, spremendo Bjorn e permettendo a se stessa un momento di stupore. Stava abbracciando un orso. Stava abbracciando un orso!

      Elsa concordò. “Sì, grazie, Bjorn.”

      Bjorn attese un ultima stretta da parte di Anna, e guardò verso Elsa. Sembrava fare un cenno con la testa nella sua direzione. Ma poi si allontanò—e corse nella direzione del Nattmara, e Anna capì.

      Le aveva aiutate al meglio che aveva potuto, e ora voleva tentare di richiamare il Nattmara lontano da loro mentre cercavano al Revolute.

      “Andiamo,” disse Anna, l’eccitazione cresceva nel suo petto mentre di dirigeva verso la cascata. “Se abbiamo ragione, stiamo per sistemare ogni cosa!”

      Elsa avvolse più strettamente lo scialle attorno alle sue spalle. “Ma se sbagliassimo, allora…”

      Anna era contenta che Elsa non avesse finito il suo pensiero, perché non avrebbe potuto sopportare di sentirlo.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 22

 

SI SBAGLIAVANO.

      Anna si era sbagliata.

      Nella luce della torcia che Elsa aveva trovato ed acceso, Anna guardò di nuovo lo scafo vuoto della barca del drago, un grumo che le riempiva la gola.

      Una volta, ci sarebbero potuti essere mucchi d'oro, ceramiche, mantelli rigogliosi e vasetti di spezie rare per aiutare a mandare Aren il guerriero nel suo valoroso viaggio.

      Una volta, ci sarebbe potuto essere uno splendido luogo di legno lucido, un luogo di riposo adatto per Aren e la sua possente spada.

      Ma ora le tavole marce erano a malapena resistenti da contenere un'impronta polverosa, per non parlare di un mito. Elsa stava nello scafo con Anna, rovesciando un piccolo ciuffo di terra con la punta del suo stivale. Una nuvola di polvere si alzò nell’aria, e Anna starnutì.

      “Siamo arrivate troppo tardi,” disse Elsa mentre avanzava su quello che dovevano essere i resti di un remo, “di mille anni, più o meno. Forse la Revolute si trovava qui una volta—forse questo è stato l’ultimo luogo di riposo di Aren, ma…” Si è allontanata, con gli occhi che si soffermavano sui buchi del vecchio legno poroso. “Io penso che questa barca sia rimasta vuota per molto, molto tempo.”

      No. Erano arrivate così lontano, avevano rischiato troppo.

      “La Revolute è qui attorno,” disse Anna, calciando un altro mucchio di sporcizia con il suo stivale solo per rivelare… ancora più sporcizia. Sapeva che molte barche avevano uno scompartimento a tenuta stagna sul pavimento, ma aveva cercato e non aveva trovato nulla. “Deve essere qui!”

      Ma anche se lo diceva, Anna sapeva che non era necessariamente vero. Infatti, niente doveva essere da nessuna parte. Se solo si dovesse contare qualcosa, una grande tempesta non avrebbe mai incontrato la nave di Mamma e Papà. Significherebbe che la vita di Re Runeard non sarebbe stata presa dal pericoloso popolo del Nord, e che le giovani Elsa e Anna avrebbero conosciuto il nonno. Significherebbe che Sven non avrebbe mai preso la Moria, e che Anna non avrebbe mai chiamato un Nattmara al regno manifestandolo dalle sue paure e dai suoi incubi.

      All’improvviso, era fin troppo. Anna sentì il peso di tutta la terra, del mare e del castello cadere sulle sue spalle e schiacciarla, spegnendo la sua ultima speranza. Non aveva trovato la Revolute e non l’avrebbe mai fatto. Non sarebbe mai stata in grado di sconfiggere il Nattmara. Non avrebbe più visto Kristoff o Olaf o Sven. Scese dalla barca e abbassò la testa nelle mani, e le lacrime iniziarono a scendere.

      “Oh, Anna,” disse Elsa, mentre la seguiva.

      Anna sentì una pressione sulla sua spalla mentre sua sorella si accovacciava accanto a lei alla luce tremolante della torcia.

      “Ti prego, ti prego, ti prego non piangere.” disse Elsa. “Non è colpa tua. Se avessi svolto un lavoro migliore, avrei riconosciuto i segni, e avremmo potuto fermare il Nattmara prima che tu lo chiamassi nel regno.”

      Anna sapeva che Elsa stava cercando di essere confortante, ma le sue parole facevano solo sentire Anna cento volte peggio. Erano solo un’ulteriore prova che Elsa non aveva più bisogno di Anna—che, in effetti, Elsa potrebbe anche stare meglio senza Anna.

      Anna trascinò via il viso dalle mani, e appoggiandosi al muro scabro, poggiò la testa all'indietro e guardò in alto la polena del drago, la sua bocca aperta in un eterno ringhio, incapace di impedire ai ladri di rubare i suoi tesori. Anna chiuse gli occhi, chiudendo i suoi accusatori occhi di legno.

      Forse sarebbe stato meglio per Elsa e tutta Arendelle se il drago di legno potesse prendere vita e inghiottire Anna e il suo grosso disappunto, proprio come il lupo l’aveva inghiottita nel suo incubo. Non era esattamente sicura di cosa farebbe, ma… I pensieri fuggitivi di Anna si fermarono mentre un'idea si aggrappava a loro. Guardò nuovamente verso il drago di legno, la bocca aperta.

      “Elsa!” Anna si alzò in piedi.

      Elsa alzò la torcia mentre anche lei si alzava. “Cosa c’è, Anna?”

      “Penso di sapere dove sia la spada!” E senza aspettare l’interruzione di sua sorella, Anna continuò ad andare avanti. “Stavamo solo cercando nello scafo della barca, perché è dove qualcuno finisce quando viene mangiato—nella pancia del drago, o nella barca. Ma il mito non dice che il drago ha mangiato Aren, dice—”

      “Che è stato inghiottito,” disse Elsa, con gli occhi spalancati. “La Revolute potrebbe essere nascosta nella bocca del drago!”

      Anna concordò. “Esattamente!”

      La bocca ringhiante del drago si trovava a diversi metri sopra la loro testa. Solitamente, Elsa sarebbe stata in grado di ondeggiare le sue mani e creare una scalinata fatta di ghiaccio. Ma non erano più sotto la protezione degli Huldrefólk. Se Elsa usasse anche solo un pizzico della sua magia, il Nattmara sarebbe arrivato da loro in pochi secondi.

      Anche arrampicarsi sul collo del drago non era un’opzione. La barca aveva centinaia, forse anche migliaia di anni, e il legno scrostato, scheggiato aveva tanti buchi quanti una spugna. L'intera cosa sembrava che potesse crollare se Anna ci avesse respirato sopra.

      Elsa ha piantato la torcia nel terreno e si è accovacciò. “Va bene, salta su.”

      “Cosa?” Anna guardava sua sorella, confusa.

      “Dobbiamo arrivare lassù. Penso che potrai farcela se sali sulla mia schiena.”

      “A cavalluccio? Davvero?” disse Anna, il sorriso le scoppiava in faccia. “Non me ne hai offerto uno da prima che i cancelli si chiudessero.”

      “Beh,” disse Elsa con un sorriso, “Credo di dovertene almeno un altro.”

      Togliendosi gli stivali, Anna salì sulla schiena di sua sorella. Poi, bilanciandosi contro lo scafo di legno, mise i piedi sulle spalle di Elsa e si mise in posizione eretta così che fosse faccia a faccia con il drago.

      Anche se da secoli l'aveva ripulita dalla maggior parte dei suoi dettagli, da vicino Anna riusciva ancora a vedere i segni del tratteggio che accennavano alle squame e l'espressione del drago. Dal basso, l’espressione sembrava essere di una bestia rabbiosa e ringhiante, ma ora, Anna pensava che forse non era arrabbiata, solo protettiva. I nervi gorgogliavano in tutto il corpo di Anna.

      Era questo. Il loro unico tentativo. La loro ultima possibilità.

      La Revolute Blade, la stessa cosa che aveva scavato Arenfjord e creato una casa per un popolo errante. Una spada forgiata da un raggio di sole ricurvo con un insolito potere, un regalo dal sole stesso. Avrebbero sconfitto il Nattmara. Avrebbero curato il raccolto, gli animali e le persone dalla Moria, e liberato tutti quelli che amava dai loro stessi terrificanti incubi.

      “Ce l’hai?” chiese Elsa da sotto ai piedi.

      Ops. La mente di Anna stava correndo di nuovo.

      “No, non ancora!” disse Anna, trattenendo i suoi pensieri galoppanti.

      “Beh, sbrigati! Non pesi esattamente allo stesso modo di quando avevi cinque anni.”

      No, Anna non aveva cinque anni. Era capace di fare guai seri, ma era anche in grado di sistemarli. E quindi, allungò la mano nella bocca del drago.

      All’inizio, non c’era nulla. Accigliata, Anna si appoggiò più a fondo nella fauce spalancata del drago, il suo gomito scomparve, seguito dal resto del braccio, fino a quando il legno non colpì l'ascella. La preoccupazione si insinuò in lei. Se la testa del drago fosse vuota, aveva bisogno di strisciare fino in fondo? Non era sicura di potersi adattare. Se solo Olaf fosse lì, sarebbe stato in grado di mandare la sua mano più in fondo. O anche Sven sarebbe stato d’aiuto, con il suo naso sensibile. Ma non c’erano, così Anna avrebbe dovuto farlo da sola.

      “Anna,” disse Elsa, “il tuo piede sta iniziando a scavare nella mia spalla.”

      “Scusa,” rispose Anna. “Ancora un attimo.”

      Facendo un respiro per bilanciarsi, si alzò in punta di piedi, allungandosi, fino a quando il suo dito sfiorò qualcosa di freddo e di liscio come il metallo. Qualcosa che le entrava comodamente nel palmo della mano mentre lo avvolgeva. Qualcosa che ha mandato una nota di anticipazione attraverso di lei. Anna tirò.

      All’inizio, ci fu resistenza, e poi un sussurro di metallo, un rumore che sembrava quasi come il sospiro di un drago mentre il suo segreto si svelava. E poi la mano di Anna tornò nella luce arancione ondeggiante della torcia.

      Potrebbe davvero essere così?

      L'elsa è stata realizzata in oro, e al centro del pomolo, come un sole in miniatura, si trovava un diamante giallo. L'oro del paramano era stato lavorato per assomigliare a piccoli raggi di sole, che portavano alla lama.

      E la lama… era realizzata di un metallo blu-nero—lo stesso colore del meteorite nella torre d’osservazione di Sorenson. Si incurvava, la leggera forma a S che rispecchiava l'insenatura di Arenfjord, dove il mito diceva che Aren aveva fatto il leggendario taglio.

      Ma Anna difficilmente osava credere che quello che aveva in mano fosse ciò di cui aveva bisogno. Non prima di essere scesa con cautela dalla schiena di Elsa. Non prima che Elsa strappasse un pezzo di stoffa dal suo vestito spaccato e cominciasse a lucidare la parte superiore della lama, proprio sotto dove incontrava l'elsa. Non fino a quando riuscì a leggere le lettere che avevano inciso sulla spada stessa, Anna credette:

 

R-E-V-O-L-U-T-E

 

      L’avevano trovata. L'intagliatrice del primo fiordo.

      Il mito e la soluzione.

      La Revolute Blade.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo 23

 

CE L’ABBIAMO FATTA!” Urlò Anna, dimenticandosi del bisogno di rimanere in silenzio ed abbracciando Elsa.

       “Attenta!” Elsa spostò lontano la spada. “Non vorrai accidentalmente farci del male.”

       Anche se l'avvertimento di Elsa non era poi così divertente, per qualche motivo ha piantato un seme di umorismo in Anna. Una risatina è scivolata fuori, e poi, una fioritura di risate. E invece di cercare di intrappolarle, Anna si è lasciata trasportare, gettando indietro la testa e ridendo a lungo e a voce alta. Elsa sembrava confusa, il che faceva ridere ancora di più Anna.

       Poi, sempre più lentamente, le labbra di Elsa cominciarono a girarsi verso l'alto, e lei ridacchiò; poi anche lei rise, forte e libera. Le loro risate echeggiavano nel Passaggio dei Giganti di Terra, delimitando e rimbalzando, rattoppando il minuscolo strappo nel cuore di Anna causato da continue preoccupazioni.

       Perché Anna l’aveva fatto. Aveva dimostrato a Elsa che aveva ancora bisogno della sua sorellina che aveva commesso degli errori. Aveva dimostrato di essere in grado di realizzare esattamente ciò che aveva pianificato di fare.

       All'improvviso, Elsa smise di ridere, e fu solo la risata di Anna che rimbalzò tra i muri, suonando solitaria.

       “Ehi,” disse Anna, un po’ senza fiato. “Cosa c’è che non va?”

       Elsa mise un dito sulle labbra, e Anna ascoltò. Senza la barriera protettiva delle risate, ora poteva sentire un altro suono provenire da oltre la cascata e il passaggio. Un lungo e basso urlo arrabbiato.

       Il Nattmara si stava avvicinando.

       “Dobbiamo uscire da qui,” disse Anna, rimettendosi gli stivali. “Altrimenti ci intrappolerà nel tunnel.”

       “D’accordo.” concordò Anna. Stava già stringendo la fascia intorno alla sua treccia. “Ma Anna, io penso—”

       “Che abbiamo bisogno di un piano,” disse Anna, completando la risposta di sua sorella, come facevano spesso. “Sì, hai ragione! Il piano—il-piano-il-piano-il-piano… Userai la tua magia per distrarre il Nattmara—solo per un secondo o due!—e poi io lo sorprenderò con la Revolute. Questa è un’idea brillante, Elsa!”

       “Ma io—” iniziò Elsa, ed era tutto quello che Anna rius a capire, perché aveva già strappato la Revolute dalla mano di Elsa e aveva iniziato a correre lungo il passaggio verso l'uscita e il Nattmara. La paura le scorreva nelle vene, eppure aveva la Revolute

       Aveva speranza.

       Anna strinse saldamente l'elsa, il diamante giallo che le premeva in mano. Faceva quasi male, ma lei continuava a correre, confidando nella forza del mito e confidando che la sorella la seguisse con un colpo di ghiaccio o un turbine di vento forte. La cascata ancora ghiacciata scintillava davanti a sé, e Anna si spremette sulla stretta sporgenza ed uscì dal passaggio solo per fermarsi sui suoi passi. Perché la terra che si estendeva davanti a lei non era la casa che conosceva.

       La sua casa aveva un allegro villaggio con case dipinte, un fiordo pieno di ricche acque blu e una vivace esposizione di colori autunnali che avrebbero fatto ingelosire il suo set di pittura. Ma la terra di fronte a lei era sbiancato di bianco, come se questa realtà fosse stata cancellata per far posto all'incubo che si stava insinuando per l'eternità. Come nuvole di tempesta che rotolano dentro, il Nattmara si aggirava ai margini del villaggio.

       Quando Anna aveva notato la prima volta il lupo nella Sala Grande, era più grande di qualsiasi altro lupo che avesse mai visto, ma non in modo anormale. Poi sarebbe diventato due volte più grande di un lupo normale, poi grande come un toro, poi grande come una collinetta. Ma adesso, i suoi occhi erano allo stesso livello delle finestre del secondo piano delle case a schiera del villaggio.

       Era esattamente come Sorenson aveva predetto. Ogni ora che passava in cui il Nattmara non veniva bandito, sarebbe cresciuto in forza e taglia mentre si ingozzava della paura che aveva travolto la terra. Ogni passo della zampa sembrava coprire un miglio e, ovunque passasse, gli alberi si allontanavano da esso, come se anche loro potessero dormire e sognare e non volessero nessuna delle offerte del Nattmara. Come se anche i pioppi e le tremule e gli abeti rossi volessero scappare.

       Anna aveva pensato che il Nattmara sarebbe venuto direttamente da lei, la sua evocatrice accidentale, ma invece di fare a pezzi il sentiero che lo porterebbe alla cascata e verso la Revolute, il Nattmara si girò… e torno indietro verso il villaggio.

       Nel tempo che ci volle ad Anna per sbattere le palpebre, l’enorme lupo era arrivato al bordo della cupola di ghiaccio protettiva posta sopra al villaggio. Ripresosi sulle zampe posteriori, ha colpito la cupola con una pesante zampata.

       THUMP!

       Il ghiaccio è rimasto intero e liscio. La cupola funzionava—ma per quanto tempo? Il Nattmara colpì ancora.

       THUMP!

       Anna si accigliò. Quel tonfo era stato seguito da uno scricchiolio? Il Nattmara aveva solo bisogno di creare una fessura sottile come un capello per essere in grado di attraversare la barriera di Elsa nella sua forma di sabbia nera.

       “Anna!” disse Elsa, uscendo fuori da dietro la cascata per unirsi ad Anna sul cornicione che si affaccia sul villaggio. “Ho bisogno di te per—”

       “Dobbiamo andare ad aiutarli!” urlò Anna, la disperazione rendeva la sua voce stridula. Gli abitanti—loro non avevano idea del pericolo che correvano. Erano tutti addormentati!Fece un passo avanti per correre—ma il suo piede rimase fermo, radicati sul terreno come se fossero bloccati.

       Cosa? Anna abbassò lo sguardo per vedere un motivo di pizzo gelato che si alzava da terra, unendosi insieme come anelli su una catena e avvolgendo il piede. Mentre Anna era a bocca aperta, qualcosa tirava la Revolute, e senza pensare, Anna la lasciò andare. Troppo tardi, si rese conto di quello che aveva fatto. Guardandosi indietro, vide Elsa in piedi di fronte a lei, che teneva la spada di Aren con entrambe le mani. Non assomigliava più alla sorella più grande di Anna, e nemmeno ad una regina. Assomigliava ad un soldato.

       “Elsa,” Le sue parole suonavano piccole anche alle sue stesse orecchie. “Cosa stai facendo?”

       “Mi dispiace,” disse Elsa, e Anna poteva percepire la verità nelle sue parole, ma comunque, Elsa non fece nessun cenno per fermare l’avanzata del ghiaccio. Ha girato intorno ad Anna, facendo la spola avanti e indietro su se stessa come un filo su un telaio per formare un arazzo bianco, che sale sempre più in alto. “Non sono riuscita a proteggere il regno,” disse Elsa. “ma non deluderò anche te!”

       Fallito? Anna non capiva di cosa stesse parlando Elsa. Elsa non ha mai fallito in nulla.

       “Elsa,” disse Anna mentre i cristalli di gelo si sparpagliavano sulla sua testa, danzando in un tetto a cupola. “non ho bisogno di essere protetta!”

       Era come se l'intero essere di Anna si fosse contratto e fosse crollato su se stesso, come un buco nero o un abisso oscuro. Si sentiva come se fosse diventata non più grande di una testa di spillo. L'ultimo anello di ghiaccio scattò in posizione, finendo non con un arazzo, ma con una tenda a forma di bolla. Anna scoprì che riusciva a muovere di nuovo i piedi, la catena del gelo che l'aveva tenuta a terra strisciava via per intrecciarsi nella struttura. Non importava, comunque, se Anna potesse muovere o meno i piedi, perché Elsa non si era disturbata a creare una porta.

       “Ti voglio bene,” disse Elsa, che per un attimo sembrava fosse più giovane di Anna o anche di Echo. E poi iniziò a correre, sfrecciando lungo il sentiero sterrato verso il villaggio in basso, la Revolute un luccichio ricurvo nella sua mano.

       “Torna indietro!” urlò Anna. “Elsa!” Ha battuto i pugni contro la bolla, ma i muri erano così resistenti, così duri, così freddi, che ogni pugno sembrava un morso. I legami di gelo hanno tenuto duro, tenendo Anna rinchiusa lontana.

       Anna era inutile mentre osservava Elsa raggiungere la fine del sentiero e correre verso il Nattmara. Inutile mentre il Nattmara colse l'odore di Elsa e si voltò verso la sorella, e i suoi spaventosi artigli si estesero. E inutile mentre Elsa avanzava a passo di marcia, pronta per diventare il grande sovrano di cui Arendelle aveva bisogno… proprio come aveva fatto Aren. Ma andrà tutto bene. Andrà tutto bene, andrà tutto bene, andrà tutto bene.

       Elsa brandiva il mito che avrebbe sconfitto il mito. Teneva nella sua mano la lama crescente che aveva creato la loro casa sull’Arenfjord. Se la Revolute poteva farlo, sicuramente avrebbe potuto sconfiggere un Nattmara evocato da una spaventata sorellina. Immobile, Anna trattenne il respiro mentre guardava, troppo lontana per aiutare, e allo stesso tempo troppo vicina, perché riusciva a vedere tutto.

       Un ululato di vento si è scontrato con l'ululato del lupo mentre Elsa intercettava il Nattmara alla base del Ponte degli Archi. Elsa sembrava una bambola di fronte al mostruoso lupo, che era cresciuto così alto che le sue orecchie erano arrivate all’altezza delle bandiere del castello che sventolavano. Anche dalla distanza, Anna poteva vedere lo scivolo di saliva che scendeva dalla fauci del Nattmara che iniziava a circondare sua sorella, i suoi grandi occhi gialli puntati su Elsa.

       Questo era centinaia di volte peggiore di ogni incubo di Anna. In tutti i suoi incubi tranne l’ultimo, aveva avuto una specie di controllo. Era sempre stata in grado in qualche modo di trovare una via d’uscita, o distrarre la creatura abbastanza a lungo da potersi svegliare. Ma anche se Anna potesse liberarsi dalla bolla di ghiaccio, non sarebbe in grado di svegliarsi.

       Il lupo e sua sorella si circondarono l’un l’altro.

       Il mantello e lo scialle di Elsa sbattevano nelle grandi raffiche di vento mentre volteggiava una mano e stringeva Revolute con l'altra. Ma qualcosa non tornava. Anche se Elsa stava controllando le raffiche di ghiaccio, non importava in quale decisione decidesse di mandare la neve e il ghiaccio, il lupo la costringeva a far tornare indietro la sua magia in modo che i suoi capelli e i suoi soffi d'aria gelida e magica le entrassero costantemente negli occhi. Non c’era modo per Elsa per vedere chiaramente.

       E poi il Nattmara attaccò.

       Elsa e la Revolute volavano via, i denti del Nattmara che mordevano il nulla. Si ritirò per un momento, poi provò di nuovo. Questa volta, un terribile stridio riempì l’aria mentre una zanna raschiava la lama. O forse lo stridio era il grido della stessa Anna. Perché Elsa ora giaceva tra le gigantesche zampe del Nattmara, distese come un ragno, con gli arti storti, e la mano vuota.

       La Revolute volava attraverso l’aria, una vena blu-nera, e atterrò diversi metri dietro di Elsa. Anna vide la mano di Elsa allungarsi, cercando di sentire la spada senza distogliere lo sguardo dal Nattmara.

       “REVOLUTE!” gridò Anna, anche se sapeva che Elsa non sarebbe stata in grado di sentirla. “ALLA TUA SINISTRA!”

       Il Nattmara si leccava le fauci, le zanne in bilico sopra Elsa.

       Per un momento, Anna vide in dettaglio lo scintillio degli artigli del Nattmara e si alzò nel petto della sorella mentre Elsa prendeva un respiro profondo.

       Poi, il Nattmara si scagliò.

       Ma nell’attimo che ci è voluto ad Anna per sbattere le palpebre, anche Elsa si scagliò. Afferrò l’elsa della Revolute. In un movimento fluido, la teneva di fronte a sé—l’antica lama brillava nella luce del sole che tramontava—e la spinse dentro al palato della bocca del Nattmara.

       Anna attese che il Nattmara cadesse e si disintegrasse in polvere, sconfitto infine dal mito, proprio come Sorenson aveva detto che sarebbe successo.

Invece, il mondo rallentò e si fermò mentre il Nattmara mordeva. E la Revolute—la grande, mitica spada dell’antico eroe Aren, la spada che aveva scavato Arenfjord dalle montagne, ucciso bestie, e conquistato gli incubi—si frantumò come vetro. I pezzi della lama del meteorite scintillavano mentre sprizzavano inutilmente al suolo, piovendo su Elsa, che ora era rimasta completamente senza difese di fronte al Nattmara.

       “ELSA!” ruggì Anna, colpendo la sua prigione di ghiaccio. “ELSA! Usa la tua magia!”

       Forse era un inganno del vento, ma Elsa sembrava aver girato la testa in direzione della cascata. Per un secondo, sembrava quasi che Elsa la stesse guardando. Abbassando lo sguardo, Anna vide che la bolla di ghiaccio aveva iniziato a dissolversi nell’aria—non va bene! Se la magia di Elsa si stava dissolvendo, questo significava che anche Elsa si stava indebolendo.

       Ma Anna ora era libera!

       Iniziò a correre lungo il sentiero anche se sapeva che non avrebbe fatto in tempo, ma comunque, doveva provarci. Elsa avrebbe—no, Elsa ha—fatto lo stesso per lei.

       Il Nattmara tirò indietro la sua testa di leviatano e ululò la sua vittoria. E mentre si alzò ancora una volta sopra la sorella, la sua pelliccia bianca si trasformò in un nero scintillante mentre il Nattmara mutava in una nuvola di sabbia che si stagliava netta sul paesaggio sbiadito. I pezzi vorticarono insieme, formando una colonna rotante.

       E poi la sabbia si abbatté sul petto di Elsa… e scomparve.

       “Elsa!” singhiozzò Anna, inciampando nel campo. “Elsa!”

       Sua sorella si distese a terra, e suoi occhi chiusi e i suoi biondi capelli che si staccano dalla treccia e si rovesciano sulle foglie cadute. Sparsi intorno a lei come un'aureola spezzata c'erano i frammenti blu-neri di quella che una volta era stata la grande spada Revolute.

       E anche se Anna sapeva quello che sarebbe successo, non era ancora preparata per quando le palpebre di Elsa si sarebbero aperte per rivelare occhi gialli luminosi.

       Lo stomaco di Anna diventò pesante alla vista degli occhi del lupo nel viso familiare della sorella. Il suo passo rallentò. “Elsa?” disse esitante.

       Elsa aprì la bocca … e urlò.

       E poi alzò le mani, facendo esplodere Arendelle con i suoi poteri, la sua solita bianca neve e bianco ghiaccio erano ora cambiati in neve nera e ghiaccio nero.

       No, non neve nera o ghiaccio nero. Sabbia nera.

       Mentre Elsa continuava ad urlare, il suono travolse Anna, scavandola come l'ululato del lupo,finché non rimase nulla, se non l'urlo di Elsa dentro di lei, risuonando nella cassa toracica, echeggiando ancora e ancora nel suo completo vuoto. Nella sua assoluta solitudine.

       La Revolute era frantumata, e gli occhi di Elsa erano gialli.

       “Elsa,” singhiozzò Anna, non sapendo cosa fare. “Elsa… Elsa…Elsa!”

       Ma la figura che era stata sua sorella nemmeno si girò a guardarla.

       Con un grande sussulto, Anna raccolse i frammenti della spada nella tasca del mantello—una speranza futile. Perché la Revolute, la famosa spada del mito, non era abbastanza per sconfiggere la bestia del mito. Il mito non era più un mito. E il suono dell’urlo di Elsa—o era l’ululato del lupo?—la trascinò nei punti neri che si riunivano ai margini della sua visione. Anna non sapeva cosa fosse cosa, ma gli incubi fecero irruzione e la trascinavano giù.

       “Elsa,” riuscì ad urlare un’ultima volta. Non sapeva più cosa fosse reale e cosa fosse un incubo, o se ora erano davvero una cosa sola, Anna vide Elsa finalmente girarsi verso di lei.

       Elsa alzò le mani, e la sabbia nera esplose dai suoi palmi verso Anna.

       L'oscurità ha turbinato intorno ad Anna, e poi, alla fine, non c'è stato più niente.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Archiviata

La discussione è ora archiviata e chiusa ad ulteriori risposte.

Visitatore
Questa discussione è stata chiusa, non è possibile aggiungere nuove risposte.
  • Utenti nella discussione   0 utenti

    • Nessun utente registrato sta visualizzando questa pagina.
×
×
  • Crea...