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[Rachel Aori] Shipshot (11)


RachelAori

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Benvenuti, questa raccolta di oneshot è totalmente slegata dalle precedenti produzioni mie e di Andy Black, qui troverete semplicemente shipping, alcune canon, altre più insolite, alcune con le classiche coppie het, altre che potrebbero trattare shounen-ai (rapporti romantici fra ragazzi) o shoujo-ai (rapporti romantici fra ragazze). In alcuni casi si potranno avere accenni a rapporti sessuali, che comunque non verranno mai descritti nel dettaglio. Premesso tutto questo, vi auguro buona lettura!

Lighthouse - Alexandrian Shipping (Corrado/Jasmine)

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Cambia tutto.

La speranza cambia tutto.

Quando ormai credeva di non riuscire più a fare a meno del mare, lei decise di voler smettere.

Chiusa in quel faro da praticamente tutta la sua vita, Jasmine credeva di essere Rapunzel, ed aspettava qualcuno in grado di raggiungerla, di capire il suo dolore.

Quel faro, quel mare di fronte, così immenso, così ingiusto.

Gli aveva portato via quello che un tempo era la sua unica ragione di vita. Ma di tanto in tanto la sua luce illuminava un piccolo puntino di cielo.

Jasmine era davanti a quel vetro, il faro era acceso, illuminando il mare notturno, allertando i pescherecci forzuti e spauriti sul fatto che gli scogli non sentissero ragioni.

Sola, lì sopra, con la sola compagnia di Ampharos, con i suoi ricordi, e con la carica di Capopalestra di Olivinopoli che gravava sulla sua testa come la lama di una ghigliottina.

Le notti d’estate le regalavano una brezza di pietà  a liberarla dal calore possessivo d’agosto, e mentre tutto s’illuminava all’improvviso, il suo viso si rifletté nella finestrella che aveva di fronte.

Gli occhi enormi, le lacrime ad ornarli come orecchini di perle, che si scioglievano, rigandole le guance con sottili e calde linee d’acqua salata, che bruciava come un marchio a fuoco.

Si sentiva in trappola, lì sopra. Si sciolse i capelli, perché aveva i codini da tutta la giornata, e le faceva male la cute. Si massaggiò la testa, e decise che era arrivato il momento di uscire fuori da lì.

Il corpo esile, magro, sottile e delicato, si mosse leggiadro fino alla porta. Il pomello però pareva essere incandescente, e lei non aveva il coraggio di poggiare le sue piccole mani su quel pezzo d’ottone.

Si girò, piangendo ancora di più, impotente ancora di più.

Non poteva abbandonare il faro.

Non riusciva ad abbandonare quel maledetto faro. Olivinopoli la teneva prigioniera nella testa, e lei aveva bisogno di una chiave per quella cella senza sbarre.

“Ampharos...†pianse lei, girandosi verso il suo Pokémon. Quello allungò le mani, andando a toccarla.

“Perché è andato via?â€

La voce di Ampharos cercava di rincuorarla, ma non riusciva a farla sentire nient’altro che colpevole.

Quel ragazzo era andato via, e lei non aveva fatto niente per fermarlo. Era entrato nel suo letto, ed era fuggito via, come un ladro, ed aveva portato con sé la luce del suo sorriso.

Quel faro ora era più buio.

E quando è l’amore a premere, ci si sente male, perché perdere quello che riteniamo essere giusto per noi è un’ingiustizia, una cosa che non ci meritiamo e che forse non ci meriteremo mai.

Le bastava vederlo.

Le bastava toccarlo.

Voleva baciarlo, abbracciarlo, parlargli ancora una volta.

Voleva fare l’amore con lui.

Ancora una volta.

Sinnoh era lontana, e lei lo sapeva. E benché le costasse una grande fetta d’orgoglio, sapeva anche che non era entrato nel suo letto, ma nel suo cuore. E non era fuggito via.

Era stato rapito.

Dagli impegni, dalle responsabilità . Dal lavoro.

“Il lavoro...†sospirò quella.

Era giunto il momento di terminare quella lunga ed astiosa attesa. Lui sarebbe dovuto essere lì, subito, immediatamente, e lei avrebbe fatto di tutto per portarlo.

E se non fosse uscita lei da quella porta, sarebbe stato lui ad entrarci.

Isterica, si allontanò da Ampharos, e si avvicinò alla finestra, spalancandola. Lunghi riccioli di brezza baciarono la sua pelle candida, smuovendole i capelli che aveva sul collo e appiattendole la veste su quelle curve ancora incredibilmente acerbe.

“Scusatemi!†urlò, quanto più forte poteva, ancora con le lacrime agli occhi. Ormai era in crisi, e l’unica cosa che sarebbe riuscita a darle la speranza era fare quello che andava fatto.

*censura* le responsabilità , *censura* i pescherecci, *censura* tutti.

Per la prima volta nella vita, lei contava più degli altri. Afferrò la sedia pieghevole di ferro, la chiuse, e cominciò a percuotere il corpo macchina della torre, che risuonò con un tonfo freddo e metallico.

“Spegniti!†urlava ancora, caricando ancora un colpo con la sedia e sbattendola nuovamente.

“Dannazione, spegniti! Spegniti!â€

Ampharos urlava, intimorito, impaurito da quei rumori e dall’improvvisa follia razionale della sua Allenatrice.

Ancora tre colpi, e poi con un rumore secco l’enorme riflettore rotante si spense, bloccando il proprio moto. Di colpo in mare si sentì la sirena di una nave risuonare nel buio delle onde.

“Scusatemi...†sussurrò ancora, camminando in quella densa aria scura, fino a perdere coscienza sul letto, dove si addormentò.

Il sole fu il primo a darle il buongiorno. Aprì gli occhi, e fu giusto il tempo di rendersi conto di ciò che stava per accadere, che un grande sorriso prese possesso di quel piccolo volto.

“Perché hai rotto il faro?†chiese Corrado, serio, con la sigaretta tra le dita. Jasmine non rispose subito, volle prima bearsi di quella visione, quindi sospirò.

“Non sono stata io...â€

Corrado sorrise leggermente, e prese un tiro dalla sigaretta. Jasmine lo scrutava, in ogni minimo particolare, temendo ci fosse un cambiamento in lui.

E invece era sempre uguale. I soliti capelli spettinati, biondi, con quelle basette più lunghe del normale. Gli occhi azzurri, piccoli, stanchi, ridotti a due fessure. Fissavano Ampharos, acciambellato in un angolo, mentre dormiva.

“E chi è stato?â€

“Non lo so. Sono andata a dormire, e funzionava ancoraâ€

“Qualcuno dice che ti ha sentita urlareâ€

“Non è vero†si rattristì lei. “Perché sei qui?†chiese poi, con voce dolce.

Lui doveva resistere all’impulso di baciare quelle belle labbra, che tanto gli mancavano, e sorrise, sapendo quanto male mentisse lei.

“Sai perché sono qui. Devo riparare il faroâ€

“Già ... Deviâ€

Lui annuì.

“Non andare via troppo presto, però. Andiamo a prendere un gelatoâ€. Il sorriso di Jasmine lo conquistò e lo catturò. Non riuscì più a frenare la voglia, e lentamente poggiò un bacio delicato sulle sue labbra.

“Non andrò via troppo prestoâ€

Commentate pure qui le varie storie!

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Perfume - Perfume Shipping (Erika/Misty)

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Pioggia.

Era questo il suono che aveva destato la corvina capopalestra dal suo sonno. Un rumore continuo, basso, delicato come il bacio di una vergine.

Erika si spostò la lunga veste, di un verde tanto pallido da sembrare bianco con i bordi frastagliati, come il bocciolo di un fiore, e si alzò dal letto, avvicinandosi alla finestra.

Il profumo della terra bagnata invase la stanza non appena aprì il vetro, portando al suo interno poche, tiepide, gocce d’acqua.

Rimase immobile per qualche secondo, lisciandosi con una mano una ciocca di capelli. Poi si voltò verso il letto. Misty dormiva tranquilla.

Il giorno precedente era venuta da lei per una lezione all’Università  di Azzurropoli, dove anche la Capopalestra d’erba insegnava, ed aveva finito per passare la notte da lei. Avevano chiacchierato, avevano riso, si erano persino concesse un goccio d’alcool, ricordando i tempi andati, ed al termine di quell’ipotetico pigiama party erano entrambe crollate.

Di nuovo Erika volse lo sguardo al mondo esterno. L’alba stava arrivando. Sebbene le nubi coprissero il cielo, questo si faceva sempre più chiaro, mostrando una lieve linea azzurra all’orizzonte. Le piante assorbivano quella pioggia, rigenerandosi dal caldo che aveva infuriato per tutta la giornata e la stessa nottata.

Il profumo della pioggia continuava ad entrare, ma era di quello della donna sopita nel suo letto che Erika aveva bisogno.

Gli impegni da Capopalestra le tenevano unite quanto bastasse a fargliela desiderare, ma non abbastanza da permetterle di sperare. Aveva sempre soffocato tutto, temendo la reazione della ragazza.

Ma diventava sempre più difficile. La vedeva, l’aveva vista soffrire, tradita da un amore irrealizzabile tanto quanto quello che la stessa Erika provava, l’aveva confortata, l’aveva aiutata a confidarsi... E quanto aveva sperato che bastasse a placare i suoi sentimenti. Quanto aveva pregato che quella felicità  lontana da lei le bastasse.

Eppure rivederla accresceva in lei il desiderio. Ogni incontro non faceva altro che sbatterle in faccia quella voglia che le sembrava tanto impossibile da abbattere.

Si avvicinò al letto, accarezzando il profilo della dormiente con lo sguardo.

Avrebbe dato tutto ciò che aveva per poter avere quel privilegio ogni notte, per poterla guardare svegliarsi tutti i giorni, e poterla guardar ridere, piangere, invecchiare. Non c’era nulla per lei di più prezioso, nulla che non avrebbe scambiato per poterci riuscire.

Ma alla fine era proprio il coraggio che non aveva a lasciarla paralizzata. La paura, il giudizio, il peso di ciò che tutti gli altri, dall’Università  alla Lega Pokémon avrebbero potuto dire su di lei. E su Misty.

La pioggia continuava a cadere, e quell’odore penetrante non riusciva comunque ad allontanare dalla stanza quello della Capopalestra di Celestopoli. Aveva il profumo delle ninfee, dolce e intenso e sotto una punta penetrante di cloro, ormai attaccato alla sua pelle dopo le ore passate nella piscina.

Le piaceva e la incantava. Era così diverso dall’odore dei fiori della sua palestra, così diverso da quello del muschio che Erika si portava addosso.

La pioggia cadeva fuori dalla finestra, dentro al suo cuore e sui suoi occhi, in lacrime cristalline che le solcavano le guancie, scendendole sul collo e brillandovi come fili d’argento.

Quant’era bella, la donna che amava, con quel corpo reso forte dal nuoto, quei capelli rossi che nell’acqua si muovevano come fiamme, e quegli occhi, di un azzurro che il mare stesso avrebbe invidiato.

E quel profumo, che ora sapeva anche di pioggia e forse sapeva semplicemente di buono.

Le lacrime cadevano mentre qualche timido raggio di luce sfidava le nubi del temporale, invadendo la quiete della stanza. Le piante si svegliavano, i fiori aprivano le corolle e la belladinotte iniziava il suo riposo dopo la guardia della sera.

Quella pioggia timida però continuava a cadere, imperlando tutto ciò che poteva con le sue gocce, prima di venir asciugata da sole. Pioggia e lacrime, Erika non sapeva più distinguere l’una dalle altre. Sentiva il sale sulle labbra ed il freddo sulla pelle.

Si sedette sul letto, senza far rumore, sentendo solo il suo respiro sempre più frammentato. Ma non si muoveva, timorosa che persino i suoi tremori potessero svegliare l’altra.

Restò così e non seppe dire per quanto. Pian piano il pianto scomparve, permettendole di stendersi di nuovo. Il respiro tranquillo di Misty riempiva sempre più l’aria, man mano che la luce dell’alba invadeva la stanza ed il rumore della pioggia andava scemando.

Ed in quell’insieme Erika trovò nuovamente la pace. Le ansie della notte, le preoccupazioni sull’amore si attutirono di nuovo.

Ora c’era il sole, un sole bianco, come una pagina ancora da scrivere, ma stavolta Erika aveva deciso di impugnare lei stessa, nelle sue mani delicate, la penna che avrebbe scritto la storia.

Il mattino s’impose ufficialmente sulle tenebre, la rugiada evaporò pian piano, e quando Misty si svegliò trovò un sorriso ad accoglierla.

“Buongiorno, oggi ti va di restare qui a farmi compagnia?†le chiese la corvina “Vorrei poterti chiedere una cosaâ€

Misty la guardò, la luce negli occhi verdi dell’altra emanava calore, e le annuì.

Ad Erika per il momento bastava così, l’eleganza, la calma che sempre l’avevano contraddistinta avrebbero guidato le sue parole, ed in ogni caso, il ricordo di quella notte e di quel profumo non avrebbe mai abbandonato la sua memoria.

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Void - Void Cube Shipping (N/Mei)

 

Le gocce di sudore imperlavano la sua fronte. Qualcuna tra queste, tra le più irriverenti, andò in avanscoperta, percorrendo l’intera lunghezza del suo naso.

Intera lunghezza... Si faceva per dire, dato che il naso di quella ragazza era microscopico.

Una volta arrivate alla punta del naso, queste goccioline scivolavano sulle sue morbide labbra, finendo catturate dalla sua lingua.

“Che caldo...†fece Mei, detergendosi la fronte con la manica della maglietta. Era a maniche lunghe, e l’estate cominciava a farsi sentire. Forse non era più il caso di indossare quella roba. Forse avrebbe dovuto mettere una bella gonna a balze, fresca e pulita, magari con una camicetta comoda, o una canottiera.

Decise poi di fermarsi non appena vide uno spiazzo ombroso coperto dalle fronde degli alberi.

Stanca, levò la tracolla e gettò la borsa vicino ad un tronco. Poi si sedette, affondando le mani nei fili d’erba verdi e vividi.

Bastò poco, la temperatura si riassestò, e tutto tornò normale in lei. Tutto, tranne un po’ di sete, mitigata poi dall’acqua che teneva nella borraccia.

Era appena poco fuori Libecciopoli, ma i dubbi la attanagliavano.

Perché Ross le aveva consegnato quello Zorua?

Prese la sua sfera dalla cintura e lo fece uscire.

Quel Pokémon era bellissimo, oltre che molto raro. Le zampe sottili sorreggevano il suo esile peso. Alzò lo sguardo lentamente, fino ad incontrare quello di Mei. Sembrava spaesato.

“Piccolo...†sorrise lei, con quell’innato senso di attrazione che metteva nei propri interlocutori. La sua personalità  magnetica, forse, o magari la sua bellezza. Stava di fatto che riuscì ad attirare lo Zorua a lei, nonostante quello si muovesse con diffidenza.

“Calmati... Non voglio farti del male. Vieni qui, ti do una bella baccaâ€

Non appena quella mostrò lui la Baccapesca, lo conquistò. Si acciambellò sulle sue gambe, masticando con difficoltà  per via del nocciolo.

I pensieri si fecero largo nella testa della ragazza, mentre una mano accarezzava il pelo nero e fulvo del volpino.

“Chi diamine ti darebbe via?â€

Un filo di vento fece volteggiare due foglie nell’aria, che parevano inseguirsi, almeno prima di atterrare sull’erba morbida.

“Già ... È un Pokémon bellissimo. Strano che qualcuno lo abbia liberatoâ€

Mei sentì quella voce provenire dal vento, e poi vide le orecchie di Zorua alzarsi. Non l’aveva immaginato allora; quella voce c’era davvero, anche Zorua l’aveva sentita.

“Sono qui†disse ancora, ed un fruscio si espanse. Le sue gambe strusciavano contro l’erba alta che c’era alle spalle dell’albero, fino ad uscire allo scoperto. Mei girò il volto, alzandolo, e lo vide. Lui la fissava, con quegli occhi verdi.

Verdi come la speranza, come gli smeraldi e quell’erba che Mei carezzava compulsivamente.

Colmi di una malinconia che non poteva essere trascinata via.

Indossava una giacca bianca, un pantalone normale e delle scarpe verdi. Verdi, proprio come i suoi capelli, lunghissimi, ghermiti da un codino e tenuti dietro le spalle.

I lineamenti del ragazzo erano femminei e delicati, ed il suo volto pareva vitreo. Nessuna emozione trapassava quel volto, nulla ne usciva.

Zorua guardò brevemente il ragazzo, quindi si alzò in piedi, scodinzolando e avvicinandoglisi. N lo guardò, curvando leggermente la linea delle sue labbra in un sorriso quando il Pokémon prese a strusciarsi contro le sue gambe.

“Gli sei simpatico†sorrise Mei.

Lui annuì semplicemente, rapendola con lo sguardo, scrutando così tanto a fondo in lei che fu costretta ad abbassare il volto, non riuscendo a sostenere quella linea d’attenzione.

“Come ti chiami?†chiese lui, accasciandosi sulle ginocchia, davanti a lei.

“Meiâ€

“Hai un nome molto belloâ€

Lei annuì in segno di ringraziamento, quindi arrossì, nascosta dalla visiera che aveva in testa, ma abbassò ancora lo sguardo.

Fu allora che lui prese il suo mento tra le mani, facendo sì che i loro occhi si incrociassero di nuovo. Aprì la porta dei suoi pensieri, ed entrò. Quello si abbeverò di lei, dei suoi pensieri, della sua bontà  e anche della paura che in quel momento quello strano e misterioso ragazzo le faceva provare.

Fissò attentamente le sue labbra mentre pronunciò le successive parole.

“Sei pura. Mi ricordi leiâ€

Le labbra e gli occhi di Mei si spalancarono per lo stupore, quindi lui sorrise. Si avvicinò lentamente al suo volto con la testa, poggiando la fronte sulla sua.

Il vento intanto si alzava, ed il sorriso del ragazzo dai capelli verdi si allargava sempre di più. Mei rimaneva immobile, incapace di reagire, vogliosa di non farlo.

E poi quello mosse la testa, strusciando il naso contro il suo e schiudendo le labbra.

Mei chiuse gli occhi, l’ennesimo soffio di vento l’attraversò, ma quando riaprì gli occhi c’era solo lei, e quello Zorua, seduto immobile, che la guardava.

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Tea - TeaShipping (BillxMargi)

 

“Termina così il notiziario delle 21.30. Vi diamo appuntamento alla pross-â€. Bltz.

La TV faceva sempre quello strano rumore quando veniva spenta. Ed ogni volta che lo sentiva Bill si riprometteva di controllare cosa avesse, promessa che mai una volta aveva portato a termine. Dopotutto lui era un programmatore, non riparava televisori. Nemmeno nel tempo libero.

Sbuffò, lasciando cadere il telecomando sul divano. Dalla cucina arrivavano i soliti suoni, l’acqua che scorreva e le stoviglie che venivano lavate.

Quel suono lo tranquillizzava enormemente. Si alzò, magari a Margi poteva servire una mano.

Lo ammetteva, non era esattamente il tipo dalla presa solida, e spesso e volentieri, nei giorni in cui magari si sentiva particolarmente stanco, aveva finito col frantumare più piatti di quanti ricordasse di averne. Quindi la sua regola era usare, nei limiti del possibile, quanto più usa e getta potesse. Però per Margi faceva un’eccezione ed a turno si dividevano o i piatti o il rassetto della sala da pranzo.

Era una settimana intera che soggiornava da lui. Lo faceva spesso, quando suo nonno era lontano e c’era Green a badare al laboratorio.

Non poteva esattamente definire la loro come una relazione a distanza, ma per Bill ne aveva il sapore.

“Ti serve una mano, tesoro?†il tono di voce era un po’ impacciato. Quanto lo imbarazzava chiamarla così e, allo stesso tempo, quanto gli piaceva farlo.

La ragazza si girò, i capelli erano di un biondo miele, che alla luce rifletteva varie sfumature bionde e castane.

“Non preoccuparti, ho quasi fatto. Hanno detto qualcosa di interessante al telegiornale?â€

“Solite cose, la gestione della Lega è resa difficile dal gran numero di sfidanti, quando fa caldo bisogna evitare di stare troppo esposti al sole e bere molto, e, incredibilmente, bisogna anche vestirsi leggeri. Chi l’avrebbe mai detto, eh?†aveva iniziato a parlare con tono serio, ma effettivamente, raccontare notizie simili senza scendere nell’ironia spicciola era impossibile.

“Il solito servizio estivo. Fammi indovinare, è anche l’estate più calda degli ultimi vent’anni?â€

“No, pare che stavolta siano scesi a sedici.â€

Si scambiarono quelle battute sorridendosi, mentre la ragazza toglieva i lunghi, antiestetici, guanti di gomma.

Era una scena di vita quotidiana che Bill amava.

Margi che si muoveva a casa sua, che sistemava i propri asciugamani, che semplicemente se ne stava sul divano sorridente a guardare qualche fiction televisiva di pessimo livello, la quale veniva spesso presa in giro da entrambi.

In più lei aveva un futuro promettente anche come ricercatrice. Il suo aiuto nelle ricerche del nonno, al pari di quello del fratello minore, era innegabile. Bill invidiava la perfetta miscela di bellezza e intelligenza, unita ad un’innocenza unica, che quella ragazza esprimeva.

“Vuoi un bicchiere di tè?†gli fece lei.

“Oh, se ne abbiamo volentieri. So per certo che quello che avevo è finito, ma ricordo che avevi portato qualcosa quando sei arrivataâ€

Quella annuì, prendendo dal frigo due lattine di tè freddo al limone. Margi lo preferiva a tutti gli altri, visto che aveva un sapore decisamente meno dolciastro.

A Bill piaceva il sapore del tè più di quanto fosse legale ammetterlo, tanto che ne consumava scorte valide per un plotone militare, e Margi, per quanto preferisse quello caldo, era un’ottima compagnia per queste bevute serali.

Nella casa sul promontorio di Celestopoli il rumore del mare era il sottofondo di ogni serata, ma per le loro bevute diventava un protagonista.

Senza nemmeno cambiarsi dai vestiti più sciatti che usavano in casa, i due andarono sulla cima, vicino alla vista mozzafiato del precipizio. Si sedettero ad un paio di metri di distanza, abbastanza vicini da poter vedere il mare infuriare ed infrangersi sulla roccia, ma abbastanza lontani da non rischiare di cadervi.

Bevettero in silenzio, lasciando che il vento accarezzasse i loro visi.

“Tornerai a Biancavilla fra due giorni, vero?†spezzò il silenzio.

Quella s’incupì.

“Sì, anche Green avrà  da fare in quei giorni, quindi dovrò prendere in mano io le redini del laboratorio e dirigere gli altri assistenti.â€

“Capiscoâ€

Bill stringeva i pugni. Non voleva che se ne andasse. Erano entrambi felici quando erano assieme, quindi perché doveva andarsene?

L’abbracciò.

Era sempre, sempre stato impacciato, vittima di alcune prese in giro, i capelli troppo ispidi, mai in ordine, i tratti del viso comuni, infantili.

Eppure in quel momento desiderava solo essere forte. Non più elegante, non più ordinato, non più bello.

Margi lo amava così com’era, e quello che prima lo faceva sentire in imbarazzo, ora lo sfoggiava come suo punto di forza. Perché se a Margi piaceva, allora era felice di essere così.

Si staccò da quell’abbraccio solo per baciarla, solo per poterla stringere di nuovo a sé, con più forza.

Si sarebbero separati di lì ad un giorno, non c’era tempo per non toccarsi, per non sentirsi.

Per non aversi.

In quella tranquillità  serale, spezzata solo dal vento e dal rumore del mare, si unirono, non per la prima volta, ma ciò non la rendeva meno preziosa. Ogni secondo, anche se usato per ripetere azioni già  compiute, era reso irripetibile dal solo fatto che avrebbe avuto una scadenza. Quella necessità  l’uno dell’altra, resa più forte dagli impegni, dalle separazioni che ne seguivano la rafforzavano.

Bill amava Margi con tutto se stesso, le aveva ceduto tutto se stesso, e lo stesso aveva fatto lei.

Non c’era spazio per le debolezze, per le paure. Il semplice volersi rendeva tutto il resto insignificante.

Restarono l’uno attaccato all’altra, sentendo la luna alzarsi sempre di più nel cielo ed i loro respiri a rompere la quiete della musica della natura.

I “ti amo†vennero sussurrati, detti fra le risa ed il pianto. Finché non arrivò il momento di tornare.

Fu in quel momento, vendendola splendere coi raggi di luna intrappolati nei capelli e riflessi sulla pelle, che senza nemmeno rendersene conto, Bill la chiamò.

“Margi, sposami.â€

Quella strabuzzò gli occhi, inclinando la testa, ma vedendolo in viso, quel viso così infantile che tanto amava, rosso di determinazione, gli sorrise.

Fu solo una volta che si fu gettata al suo collo, che lei gli disse di sì.

Il più importante della sua vita.

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Grace - GracefulShipping (AdrianoxAlice)

 

Il piccolo Samuel soleva correre il più in fretta possibile verso la scogliera quando c’era il tramonto. Adorava vedere il sole rosa che lasciava il cielo e si immergeva nel mare.

Vedeva i colori, le varie sfumature, la luce ed il profumo. Mare e cielo, una sola ed unica realtà , divisa da una linea, la casa del sole.

Poi tutto finì, ed andò a casa. Giocò un po', mangiò, e poi si preparò per andare a dormire, quindi chiamò suo padre.

“Papà ! È l’ora della favola!â€. La voce pura e cristallina del bambino riecheggiò tra le pareti della vecchia casa sul mare, dagli intonachi bianchi ed il tetto rosso.

Samuel sentì un sospiro, quindi la televisione che si spegneva, ed i passi lunghi e pesanti del suo papà , che entrò nella sua piccola stanzetta.

“Samuelâ€

“Papà ... È l’ora della storiaâ€

“Ok†sorrise quello, poi prese un libro da una mensola, afferrò una sedia e l’avvicinò al letto, quindi si sedette.

“C’era un volta...â€

C’era una volta una sirena. Questa era bellissima, possedeva lunghi capelli color lilla, che si adagiavano delicatamente sul suo corpo, magro e bello.

Essendo una sirena, al posto delle gambe aveva un’enorme pinna dello stesso colore dei capelli.

Le piaceva nuotare, e passava le giornate ad esplorare l’oceano, cercando qualcuno che le assomigliasse.

E vagò, vagò ed ancora vagò, fino a che non arrivò alla fine del mare. Un enorme muro si stagliava sul fondale, e saliva in alto.

Lei, curiosa, decise di volerlo seguire, per vedere dove questo andasse.

E fu così che sinuosamente la sua pinna si mosse prima a destra e poi a sinistra. I capelli si appiattirono sul suo corpo, sulle spalle, sui seni scoperti, sulle braccia, fino a quando non si accorse che il muro continuava anche oltre la superficie del mare.

La sua testa fuoriuscì per un attimo dall’acqua, e guardò velocemente il muro. Continuava a salire su, sempre più su, fino al paradiso.

Ma lei era una sirena, e fuori dall’acqua non poteva respirare. Quindi tornò velocemente giù, dove la temperatura era più fresca e dove avrebbe potuto saggiare acqua ricca d’ossigeno.

Nuotava tra i Corsola ed i Luvdisc, rapita dall’immensa voglia di sapere cosa ci fosse oltre quel muro enorme, che si estendeva in larghezza per migliaia e migliaia di chilometri.

Era stranissimo. Il mare era così immenso e a lei non bastava.

Quindi decise di salire di nuovo sopra, cercando di studiare la situazione.

Contemporaneamente, un angelo dai capelli azzurri volava a centinaia di chilometri orari, mentre il sole ed il vento baciavano le ali e la pelle.

Lui era un adone. Volava, teneva le mani lungo i fianchi ed i piedi ben uniti, mentre le sue ali bianche si muovevano velocemente in maniera armoniosa ed elegante. Il suo viso era rilassato, le labbra belle morbide, gli occhi aperti, ed i capelli verdi come l’acqua della distesa che sovrastava e che tanto gli faceva paura.

Volava lungo il cielo infinito, superando stormi di Pidove a gran velocità , quando un enorme muro in lontananza lo costrinse a fermarsi.

Era immenso, altissimo, e probabilmente non avrebbe potuto fare niente per oltrepassarlo, né dall’alto né di lato.

Forse avrebbe potuto farlo da sotto, pensò, ma poi si ricordò del fatto che lui l’acqua non la potesse toccare. Era un peccato, perché al di sotto di quella tela blu non sapeva cosa ci fosse. Lui voleva sapere, la curiosità  che lo spingeva a viaggiare e a volare lontano non gli dava pace.

E fu allora che si avvicinò lentamente alla base del muro.

Il mare era cristallino, e rabbioso si scagliava contro quella parete nera, costruita in spessi e duri mattoni. Le sue ali sbattevano, facendo vibrare la superficie del mare.

E fu allora che la vide.

Un paio di occhi color lilla risaltarono luminosi nel mare azzurro.

Abbassò ancora un po’ la quota, quindi si abbassò con la testa, fino ad arrivare a pochi centimetri dai suoi occhi.

“Ciao†fece lui, salutandola con la mano.

Quegli occhi color lilla appartenevano ad una donna. Lei sorrise, e lo salutò con la mano.

“Sei un angelo anche tu?†domandò ingenuo quello.

Lei fece segno di no, fissandolo negli occhi, pietre preziose su un viso diafano.

“Io sono Adriano†fece.

Lei sorrise, e scandì con le labbra la parola “ALICE†molto lentamente.

Lui ne rimase folgorato. Era così diversa da ogni altra cosa avesse mai visto da farlo spingere oltre ogni suo limite. Si avvicinò ancora di più allo scrigno liquido e lo fece anche lei, quindi i due si scambiarono un bacio, e tutto s’illuminò, di una luce così forte che li costrinse a chiudere gli occhi, e a stringerli forte.

Fu solo quando li riaprirono che si accorsero della magia.

Adriano era diventato un tritone; all’inizio si spaventò, tutta quell’acqua gli avrebbe appesantito le ali. Ma poi guardò meglio, e vide che le ali non c’erano più. In compenso aveva una grossa pinna al posto delle gambe, che gli consentiva di nuotare più velocemente, verde acqua, proprio come i suoi capelli ed i suoi occhi.

Allora la felicità  lo assalì, aveva superato il suo limite, e quella lunga distesa azzurra ora era casa sua.

Tutto grazie a quel bacio, tutto grazie ad Alice. Doveva trovarla. Doveva ringraziarla di avergli regalato la chiave per il suo mondo.

Non sapeva dove si trovasse, era al centro del mare, dove la luce azzurra è più chiara se guardi sopra ed è più scura se guardi sotto.

Fu così che il tritone prese a nuotare, dapprima lentamente, poi più velocemente, fino a gareggiare con i Gyarados. Parlava con tutte le creature del mare, parlava con i Luvdisc ed i Corsola, con gli Sharpedo ed i Seaking, parlò anche con i Tentacruel ed i Crawdaunt, ma a chiunque chiedesse Alice era sparita. Nessuno aveva visto la sirena dai lunghi capelli viola.

Lui imperterrito cercava, e nuotò per i sette mari, finchè non si ritrovò davanti un grande muro, quel grande muro.

Diceva a sé che la cosa non fosse possibile, lui doveva oltrepassare quel muro, lui doveva trovare Alice, doveva dirle quello che provava e ringraziarla.

Ma il muro era sconfinato. Allora provò a salire a galla, ma la temperatura era troppo alta, e la sua pelle cominciò a seccarsi. Inoltre provò ad uscire, ma si rese conto di non riuscire più a respirare come quando le ali uscivano dalla sua schiena. Si rassegnò, e quindi tornò nelle profondità  marine, dove si addormentò, sconfortato per aver fallito la ricerca della donna del quale si era innamorato.

Alice invece era diventata un angelo. Bella, i capelli viola ora non erano più bagnati, ma lo stesso coprivano i suoi seni. E della pinna non c’era traccia. Ora aveva due gambe, con tanto di piccoli piedi, eleganti ed affusolati.

La cosa che però più la stupì erano le due ali piumate e bianche che uscivano dalla sua schiena.

Si trovava nel cielo, e riposava su di una nuvola. Si alzò, ed automaticamente aprì le ali. Sorrise, ora poteva volare, aveva abbandonato le oscurità  del mare e le sue sfumature di blu. Adesso era in grado di vedere il mondo dall’alto verso il basso. Si lanciò dalla nuvola, ed il vento e lo spostamento d’aria baciarono le sue guance. La temperatura si abbassò rapidamente, non era abituata a quel freddo. I capelli proiettati verso l’alto, a lasciare scoperti i seni e le nudità , ma poco le interessava.

Doveva solo trovare Adriano, l’angelo che l’aveva salvata dal mare, che l’aveva liberata dalla schiavitù delle onde monotone per regalarle il paio d’ali che indossava e l’ebbrezza di volare.

Planò nel cielo, vedendo il mare sotto di lei.

Era strano, ma sapeva che non doveva toccarlo.

Sapeva che avrebbe fatto un danno. Le sue ali non avrebbero retto al peso dell’acqua.

Tuttavia non le interessava il mare. Adriano era un angelo, e quindi si trovava nel cielo.

Volò per giorni, settimane, mesi, cercando Adriano in ogni angolo di cielo, dietro ogni nuvola, protetto da ogni nebbia, ma niente. Neanche i Pidove sapevano dove si trovasse, e fu allora che vide il grande muro davanti a lei.

Doveva superarlo, ma era troppo esteso, non ci sarebbe riuscita.

Pianse, Alice, capendo che non avrebbe mai più rivisto Adriano, quando scorse la sua figura dormiente sul fondale del mare.

“Adriano!†lo chiamava lei, ma quello non si svegliava. Rimase per giorni a chiamarlo, senza mai toccare l’acqua, quando alla fine si rassegnò. Adriano non si sarebbe svegliato, e lei non avrebbe potuto dimostrargli il suo amore.

Era un angelo perduto.

Fu così che Alice cominciò a volare, ininterrottamente, mentre le sue lacrime cadevano come gocce di pioggia nel mare salato, fino a quando non incontrò una creatura meravigliosa.

“Chi sei?†chiese Alice.

La creatura inclinò il capo, quindi emise il suo verso. “Io sono Cresselia, e regalo i sogni. Qual è il tuo sogno?â€

“Il mio sogno è poter incontrare Adriano dove né io e né lui staremo mai maleâ€

Il canto di Cresselia era armonioso. Si interruppe poco prima di parlare. “E sia†fece. “Ma prima che il tuo desiderio si avveri, tu dovrai andare a dormire. Solo così il tuo sogno diverrà  realtà â€

Alice ringraziò e volò su, sempre più su, fino a raggiungere una nuvoletta comoda e confortevole. Vi si adagiò sopra, piegando le ali, ed abbandonandosi al sonno.

Il giorno dopo Alice si svegliò. Era sicurissima di esser tornata una sirena, e invece al posto della pinna c’erano ancora le gambe. Voltò la testa, appoggiata su di un morbido guanciale, e vi vide Adriano. Anche lui però non aveva la pinna.

Alice sorrise, Adriano era lì, ed erano entrambi diventati degli angeli. Ma non avevano le ali.

Quindi capirono che Cresselia aveva donato loro il sogno di vivere la vita assieme a costo di rinunciare al mare ed al cielo. Tuttavia nei loro cuori rimase sempre radicata la loro indole, che li spingeva uno sui fondali marini ed una nella parte più alta del cielo, oltre le nuvole. E vissero per sempre felici e contenti

Samuel oramai dormiva, il suo papà  dubitava che avesse mai ascoltato quella storia fino alla fine.

Poggiò il libro sulla mensola e spense le luci di quella casa dagli intonachi bianchi ed il tetto rosso, augurando la buonanotte a tutti quanti.

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Perfetti - GenericHoennShipping (ReclutaIdroxReclutaMagma)

 

“Tu non capisci!†mi urla contro, sovrastando il boato della battaglia e il ringhiare del suo Mightyena. “Ogni anno il livello del mare aumenta, strappando lingue di terra ad umani e Pokémon! Fra meno di cento anni hai idea di cosa resterà  di questo mondo? L’incoscienza di voi del Team Idro è assurda!â€

Io sospiro e continuo la mia lotta, dando meccanicamente ordini al mio Crawdaunt.

Non è che non lo sappia.

Quando sono entrato nel team, tempo fa, ci credevo tanto quanto lei. I mari erano inquinati, le strutture umane invadevano sempre di più le zone che prima di allora erano dominio assoluto della natura. Non era questa gran bella cosa.

Possiamo dire tranquillamente che fosse, e tutt’ora è, uno schifo.

Ora, non dico che non ci credo più, ma tutto ciò mi sembra inadatto.

Orocea è la prova che il mondo può sopravvivere senza terra (non senza acqua, ma non credo che spiegarlo ad una del Magma sia in qualche modo produttivo), ma che comunque ne necessita i frutti.

Mentre mi difendo dai suoi attacchi la fisso.

I capelli neri sono coperti dal cappuccio rosso, il viso ha una rotondità  abbondante, ma piacevole. Anche il suo fisico... Si nota che quella veste serve più a coprire un’abbondanza che lei ritiene eccessiva.

Vorrei dirglielo, che quei vestiti non hanno esattamente quell’effetto, e che probabilmente starebbe meglio se non cercasse di nascondersi. Non è affatto male.

La guardo, mentre il caos regna sovrano e mi accorgo che anche lei mi guarda. Ha lo sguardo dubbioso e probabilmente starà  pensando che razza di psicopatico calvo le sia capitato davanti.

E se lo chiedesse dovrei risponderle tipo “Hey, non lo so, okay? So solo che non capisco per cosa sto combattendo e tu mi ricordi tanto il mio primo mese, solo che sei più affascinante del ragazzino rachitico, calvo e con le ossa sporgenti che ero e che sono. E che quei chili in più svaniscono di fronte ad uno sguardo come il tuo. E per sguardo non intendo seno.â€

Poi tutto all’improvviso esplode. Da sopra, dove Ivan e il loro capitano combattono, proviene un boato. Non so esattamente cosa sia, ma non mi ispira nulla di buono. Il Monte Pira crolla, collassa e scaglia via pezzi che non gli sono più utili, pezzi che ci piovono addosso come grandine di quaranta centimetri di diametro. Una grandine piuttosto dolorosa.

Scatto per scappare, ma la guardo un’ultima volta, mentre capisce che abbiamo tutti perso e che probabilmente lassù i due sono stati sconfitti dall’allenatore, quello piccolo e infame che ci ha intralciati dall’inizio di questa storia. La guardo che scoppia a piangere e che da brava Magma butta via altra acqua dagli occhi. Acqua che reputa inutile.

Tuttavia la cosa che mi spaventa è che non si muove, sta ferma mentre le pietre crollano, mentre il suo Pokémon prova a tirarla via.

Non so perché mi sia venuto in mente di farlo, ma tant’è. Le prendo la mano, inizio a correre con lei che prima protesta e che dopo, pian piano, mi segue.

Dio, quant’è calda la sua mano? Nonostante ci siano persino il mio ed il suo guanto di mezzo ne sento il calore, oppure me lo immagino. Credo sia lo stesso, alla fine è come toccare magma bollente.

Corriamo, me la trascino non so per quanto, ma so che quando mi fermo e mi butto a terra siamo all’orto di bacche del Percorso 123. Troppa strada, ecco perché mi bruciano i polmoni e mi fa male la milza.

Lei è a terra in ginocchio, respira affannosamente.

“Perché?â€

Me l’aspettavo già  da prima, questa domanda, quindi mi sono preparato.

“Perché non ha più senso. Abbiamo perso, tutti, e questo non ci rende più nemici. Quindi, davanti ad una ragazza in lacrime ed in pericolo il testosterone ha avuto il solo effetto di farmi agire da supereroe e salvarla.â€

Mi rendo conto solo dopo averla pronunciata che è una pessima risposta. Per quanto, pensandola, sembrasse la frase da rimorchio più figa del mondo.

Lei si fa una risata, asciugandosi due lacrime.

“Sei veramente pessimoâ€

“Dovresti apprezzare un uomo che mette subito le cose in chiaro, no?â€

Ci facciamo un’altra risata, mentre anche lei si lascia cadere sull’erba.

“Quindi davvero è tutto finito?â€

Faccio spallucce.

“Forse non per tutti, ma per me sì, non c’è niente di utile nei nostri piani di conquista, solo profitto per chi sta in alto e sofferenza per il resto del mondo. Me ne tiro fuoriâ€

Mi osserva mentre mi tolgo la bandana e le getto nel vento e dopo un po’ anche lei fa lo stesso con il suo cappuccio e soprabito.

“Che hai intenzione di fare?â€

“L’unica cosa per cui servono acqua e terra, ho un po’ di terreno vicino casa dei miei, voglio aprirmi il mio orto. Venderò bacche a Porto Selcepoliâ€

“Sembra interessanteâ€

“Lo sarebbe di più se ci fossi anche tu†gliela butto lì, perché mi hanno detto che la fortuna premia gli audaci e perché con questa ragazza dai capelli neri e dagli occhi di un marrone così scuro da ipnotizzarmi sento di avere il coraggio.

Forse è che siamo imperfetti tutti e due, quindi possiamo sentirci perfetti semplicemente pensando solo a noi. Forse è perché sono sempre stato incline a fare pessime figure.

Spalanca gli occhi, e mi sembra ancora più bella, e ride di nuovo, stavolta sinceramente.

“Potrei essere piuttosto abile a vendere qualcosa, se mi ci mettessiâ€

Gonfia il petto con orgoglio e quando mi alzo e le tendo la mano accetta. Improvvisamente anche la mia, solo per aver tenuto la sua, sembra più calda.

Ed è strano, perché è la cosa più bella che abbia provato finora.

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Chess - ChessShipping (BlackxWhite)

White aveva sempre reputato la domenica pomeriggio un’arma a doppio taglio. Sì, si stava a casa, non c’era nulla da fare d’impellente, e poteva rilassarsi.

I pensieri del giorno dopo tuttavia la attanagliavano, tenendo stretta la sua mente in una morsa d’angoscia.

Sbuffò, alzandosi da tavola. “Sparecchio io... dopo†fece, camminando con i piedi scalzi fino al divano di casa sua.

Le tende mal contenevano i raggi del sole, che fuoriuscivano come anguille ed illuminavano il salotto in arte povera che sua madre le aveva gentilmente concesso.

La televisione era accesa, senza volume: succedeva spesso a casa sua, le immagini la facevano sentire meno sola, nonostante sola non fosse.

Prese il portatile e lo staccò dalla carica, lasciando penzolare il cavo nero dal bordo del divano. Sciolse i capelli, mettendo i codini neri al polso, come se fossero bracciali, quindi sorrise. Stesa a pancia sotto, alzò le gambe e prese a farle dondolare mentre aspettava che il computer si accendesse.

La tv trasmetteva l’ennesimo talk show che speculava sulla morte di qualcuno, non aveva alcuna voglia di ascoltare quella roba. Poi guardò il salotto, che era leggermente in disordine, ma si rese conto di aver visto molto di peggio in quel posto.

Del resto era domenica... Ci avrebbe pensato più tardi, in quel momento la sua unica intenzione era quella di aprire EFP.

“Accedi...†disse tra sé e sé. Copiò la password da una nota che aveva sul desktop, anche perché non era in grado di ricordarsi quella serie insensata di numeri e lettere (e dubitava vivamente che qualcuno fosse in grado di farlo), la incollò nello spazio e scrisse il suo nickname: Whitywhite.

Il caricamento fu breve, ma lei si perse nei suoi pensieri, giochicchiando con un ricciolo che le si era creato accanto alla testa.

“Nuove storie...†sussurrò poi, scrollando con il mouse.

Fu in quel momento che i passi del suo lui riecheggiarono dalla cucina. “Ho messo tutto a posto†sorrise Black. Lo sguardo del ragazzo si accese quando vide White stesa sul divano.

Caotica. Lei era caotica, e per fortuna che c’era lui, altrimenti quella casa sarebbe crollata. Si fermò per un minuto a contemplare la bellezza statuaria della sua donna. Partì ad osservarla dai piedi, piccoli ed eleganti, unite alle belle gambe da un paio di caviglie delicate ed affusolate. Le curve della ragazza erano malcelate dai suoi shorts di jeans. La linea ritornò sottile seguendo l’arco della schiena, tenuta scoperta fino alle scapole da un top bianco. Le bretelle del reggiseno risaltavano sul morbido tessuto.

Lei girò la testa, sorprendendolo a fissarla. “Hey...†sorrise dolcemente.

“Ma quanto sei bella?â€

“Tanto†fece lei in maniera disinteressata, tornando a leggere dal pc. Black sorrise di nuovo, poi la sovrastò fisicamente, stendendosi su di lei. White sorrise, sentendo il corpo tonico del ragazzo dietro la schiena.

Un brivido percorse l’autostrada della sua colonna vertebrale non appena il ragazzo le baciò il collo.

“Che guardi?†chiese poi, lui.

“EFP... Incredibile...â€

“Ancora N?â€

“Già ... Non capisco per quale motivo tutti mi vedano con luiâ€

“Te l’avevo detto che forse era meglio evitarlo, quel giro sulla ruota panoramica.â€

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Mentore - EpochShipping (AgathaxYellow)

Un tempo si era lanciata verso l’amore ad occhi chiusi, bruciando come una stella cadente.

Fu solo nel mezzo del volo che si accorse di ciò che la circondava. Niente luci, niente stelle, niente era connesso.

C’era solo lei. In caduta libera.

Aprì piano gli occhi, sentendo il sole carezzarle la pelle, ormai scavata dalle rughe che le segnavano il volto.

Per la prima volta dopo tanto tempo sentiva il peso degli anni sulla sua schiena. Sedeva su una roccia, il bastone a sostenerle il busto, mentre con lo sguardo fissava avanti a sé.

Guardava quella ragazza, così giovane, così innocente, con quei lunghi capelli biondi.

Anche i suoi capelli era stati biondi, prima che gli anni glieli colorassero d’argento.

La ragazza si allenava, cercando di combinare gli attacchi dei suoi Pokémon, evolutisi appena un paio di mesi prima, contro Lance.

Avrebbe dovuto odiarla.

Avrebbe dovuto vendicare la caduta dei Super4, ma non appena le posava gli occhi addosso, quel coraggio improvvisamente le mancava.

L’aveva vista parlare con quel ragazzo, Red, che lei stessa con Lorelei aveva progettato di abbattere.

L’aveva vista fingersi uomo pur di mantenere quel’amicizia che sicuramente le stava stretta, e l’aveva vista soffrire per questo.

Era bionda, era innocente ed era vittima di un amore segreto che la divorava da dentro.

Agatha vedeva così tanto se stessa in quella bambina da sentire il proprio respiro spezzarsi.

Agatha aveva amato, aveva amato come solo le comete amano, bruciando, distruggendosi a poco a poco, lanciate nella loro folle corsa nel cosmo.

Ma poi, la bruciante passione che l’aveva travolta si era trasformata nell’odio cocente. In quell’odio, in quell’invidia che l’aveva fatta impazzire man mano che Oak creava una famiglia attorno a sé. Famiglia in cui non c’era spazio per lei.

Ed ora guardava la bambina, piena dell’innocenza che aveva avuto anche lei.

“Non credergli piccola, non affidarti a lui cosìâ€

Lo pensava, ma voleva urlarglielo. Erano ormai giorni che la osservava, che vegliava su di lei da lontano, iniziando a provare simpatia per lei, per i suoi attacchi un po’ impacciati, per le strategie ingenue ed il sorriso felice ogni volta che riusciva a portarle a termine.

Agatha aveva vegliato, aveva scacciato alcuni Pokémon che avevano puntato la ragazza, l’aveva aiutata a recuperare il suo cappello quando il vento glielo portava via. Aveva fatto tutto questo di nascosto, senza sapere cosa dire.

Perché, non poteva negarlo a se stessa, Agatha a quella bambina stava iniziando ad affezionarsi.

Forse in fondo temeva solo l’ennesimo rifiuto. Sapeva, aveva accettato, che nessuno è obbligato a ricambiare i sentimenti altrui, ma quanto faceva male quel rifiuto.

Perché per lei quella era un’espiazione per ciò che aveva fatto.

E per ciò che non aveva saputo fare.

Non aveva saputo avvicinarsi di nuovo a lui, guardarlo negli occhi e dirgli, per la prima e unica volta

“Ti amo, ti amo come non potrò mai amare di nuovo, con tutta me stessa e con tutto il mio essere. Voglio stare al tuo fianco, Oak, ora e per sempre. Accettami ti prego.â€

Avrebbe fatto l’impossibile per fargli capire quanto doloroso fosse, e sei lui l’avesse rifiutata, rifiutata con la delicatezza che quell’incedibile studioso possedeva, avrebbe fatto meno male dell’odio che l’aveva corrosa per tutti quegli anni.

Se ora avesse saputo aiutare lei, se avesse potuto aiutarla a proteggere la purezza del suo cuore, allora forse il suo errore non sarebbe stato vano, sarebbe stata esperienza da tramandare, situazioni da raccontare e di cui qualcuno avrebbe potuto far tesoro.

Il sole stava tramontando, la piccola si ritirava nella sua casa, liberando la via del ritorno anche all’anziana. Il sole le aveva scaldato le ossa, ora la donna camminava con la schiena dritta, mentre Gengar le si muoveva agile al fianco, libero di muoversi ora che la sua parte del giorno era sorta. Sarebbe stata una sosta breve, l’indomani la bambina sarebbe stata di nuovo lì e Agatha avrebbe avuto di nuovo l’occasione di osservarla, conoscere quella fanciulla che di sicuro avrebbe brillato più di lei.

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OldRival - OldRivalShipping (GreenxBlue)

La casa era buia, ed il rumore era causato solo dal ticchettio dell’orologio. La lancetta dei secondi correva smaniosa, mentre quella dei minuti, più pigra, stentava a starle dietro.

Tuttavia, proprio in quel momento si fermarono entrambe. Mezzanotte e tre quarti, e per quell’attimo d’infinito il tempo s’era spento, stanco, svanito, evaso dalle pratiche mentali.

Il silenzio rimaneva monumentale e niente si muoveva. Il buio aveva sporcato tutto di quel nero e grigio, ma poco interessava in quel momento.

Niente si muoveva.

Niente andava avanti né tornava indietro. Erano in quell’attimo particolare in cui Panta Rei non significava praticamente nulla.

E poi la corsa tra le lancette riprese, giusto nel momento in cui le chiavi girarono all’interno della serratura. La porta si spalancò, inondando della luce lunare il salotto.

Green e Blue si baciavano passionalmente, senza vedere dove andavano, senza rendersi conto di cosa facevano. Con un calcio lui sbattè la porta alle sue spalle mentre stringeva la ragazza che aveva davanti con tutto il vigore possibile, per far aderire il suo corpo a quello della bella.

Le mani scandagliavano la schiena di Blue come un cieco che legge una tavola braille.

I capelli della ragazza s’infilavano in quel bacio così intimo da far imbarazzare chiunque lo avesse guardato. Nulla poteva interromperli, difatti lei tirò in alto quei fili castani, mostrando il collo scoperto.

Green ci si gettò velocemente, mordendolo, baciandolo, tormentandolo, provocando forti brividi nel profondo del corpo della ragazza.

La camera da letto era troppo lontana. Serviva qualcosa, serviva in quel preciso istante.

Si gettarono sulla parete che avevano davanti, accanto all’arco d’ingresso per la cucina. Blue vi era poggiata di spalle mentre Green la pressava con il corpo. Le mani cercarono la zip del suo vestito celeste e una volta trovata percorsero l’intera rotaia della cerniera alla massima velocità .

Prima che il vestito cadesse alle caviglie della ragazza, quella sbottonava la camicia grigia del ragazzo. Una volta che anche l’ultimo bottone fu aperto, e che i piedi di Blue affondarono in quelle acque di cotone, le labbra della ragazza passarono lentamente dalle labbra al collo di quello, e poi ancora al petto.

Green respirava profondamente, l’odore dei capelli della sua donna lo inebriava, riempiendolo di desiderio. Le mani del ragazzo incontrarono dapprima la pancia piatta di Blue, poi salirono, in corrispondenza delle coppe del reggiseno bianco che la castana indossava. Carezzò i seni di quella, poi sganciò quell’arnese infernale sul davanti e liberò quelle meraviglie. La fame adesso si sentiva, prima strizzò tra le mani un seno, poi afferrò la donna per i fianchi, sollevandola. Lei si appoggiò con la schiena contro il muro, mentre le labbra di Green si cibavano del suo petto. Baci e leccate leggere le provocavano brividi tormentati, con il solo scopo di aumentare in lei il desiderio di unire il suo corpo a quello del ragazzo.

Green si sfilò la camicia, e sentì le gambe di Blue cingerlo attorno alla vita, mentre le braccia si chiusero ad anello attorno al collo. I loro respiri diventavano più gravosi, pesanti, e si sedimentavano nei loro padiglioni auricolari, acuendo ancora di più adrenalina e desiderio.

“Ti voglio†fece lui, quasi in un sussurro, mentre lei prese a mordergli le labbra. Una mano abile del ragazzo lo liberò dai pantaloni, lasciandolo in boxer. Il suo corpo aderì ancora contro il suo. Amò la sensazione che provò sentendo i capezzoli della ragazza sul suo petto.

“Andiamo... sul letto...†ansimò lei.

“No...â€

Gli occhi azzurri della ragazza illuminarono di nuovo la stanza, per poi richiudersi.

Fu questione di un attimo, ancora contro la parete, via quel tanga così sottile e quei boxer così stretti, e poi l’uno dentro l’altra, connettendosi misticamente tra di loro.

Lui diede dapprima una spinta molto delicata, con l’effetto di far sussultare leggermente la ragazza, aggrappata al collo di Green ed appoggiata alla parete.

“Ti amo...†sussurrò lei.

“Pure io...â€

Blue si sentì di nuovo riempire dal ragazzo, mentre le endorfine inviavano al cervello messaggi di piacere. Le dita di lei carezzavano la nuca di Green, poi la schiena, con tutti i muscoli definiti. Lo baciò, gli strinse una natica, poi sentì un’altra spinta, stavolta più forte, stavolta più energica.

Più piacevole.

Cominciarono a baciarsi, scambiandosi ossigeno prezioso come se fossero gli unici a possederne un po’, massaggiandosi a vicenda le spalle, i fianchi, il collo, il petto.

I respiri diventavano sempre più affannosi, e più le lancette si inseguivano più i loro corpi erano stanchi e sfiniti, tuttavia continuavano a darsi l’un per l’altra, perché se lo dovevano, perché lei aveva bisogno che lui fosse dentro di lei e viceversa.

Perché dovevano essere una sola cosa, almeno un’altra volta prima di morire.

Le lancette continuavano a correre, ma era passato tanto tempo. Green e Blue erano sul letto, a dormire, l’uno accanto all’altra, nudi, stanchi, sfatti.

Il sole li avrebbe svegliati qualche ora dopo, ma fino ad allora avrebbero sognato di fare l’amore, ancora e ancora, fino a quando il verde degli occhi di lui ed il blu di quelli di lei si sarebbero incontrati per dar vita al giorno e alla notte.

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Ti odio - DualRival Shipping (KomorxBelle)

 

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Mi annoio da morire.

Il laboratorio è vuoto, tu sei lontano, quasi dall’altra parte di Unima, quasi troppo lontano persino perché i miei pensieri ti raggiungano. Troppi giorni impegnati a tenerci ancora più lontani.

Quando il C-Gear squilla e leggo il tuo nome sembra come se il sole abbia iniziato a brillare più forte.

Ti odio. Ti odio. Ti odio.

Perché non ho voluto accettare la dolce bugia e ho cercato una verità  più amara.

Parli di stanchezza, di stress. So come andrà  a finire, ma devo comunque andare avanti. So che sono tonta, me lo hai sempre detto, e a volte non sono tonta come credi, ma fingere di esserlo ti fa sorridere. Fingere di esserlo ha sempre reso tutto più facile. Il tuo spiegarmi quello che succede, il tuo avvicinarti a me, mentre mi indichi meglio ciò che c’è da guardare.

Parli di come in questi giorni tu ti senta strano, di come le cose siano monotone, di come niente riesca a renderti felice, qualunque cosa tu faccia.

Nemmeno parlare con me.

Ti odio. Ti amo. Ti odio.

Perché stai decidendo arbitrariamente tutto ciò. Posso solo guardarti andar via.

Lancio il C-Gear lontano, mentre sento gli occhi riempirsi di lacrime che non riesco a fermare. Odio come mi tagli fuori dal tuo mondo, dicendo che è solo colpa tua, lasciandomi impotente a guardarti, mentre torturi te stesso, ti carichi di stress e di impegni. Odio il fatto che tutto ciò che posso fare sia aspettarti. Nonostante non sappia se tornerai o meno, nonostante se dovessi tornare mi troveresti con gli occhi arrossati, i capelli indomiti per essermi rigirata nel letto senza poter dormire.

Ti amo. Ti odio. Ti odio.

Perché questa solitudine in cui mi hai lasciata sta logorando la mia anima.

Cerco di buttarmi nel lavoro. Mi tengo impegnata, faccio ricerche, catalogo risultati. La mia testa è impegnata, ma ogni momento libero lo passo fissando il C-Gear, in attesa di un tuo cenno. Mi basta una sola lettera, anche inviata per errore. Forse cerco un pretesto, forse cerco soltanto una scusa per sentirti, perché sia tu ad iniziare. Piango ancora la notte, quando nessuno può sentirmi, e stringo il peluche che mi regalasti tempo fa, quasi volessi esorcizzare la paura di non poterti toccare mai più.

Ti odio. Ti odio. Ti amo.

Perché forse l’unica persona che non riesco a perdonare è me stessa.

Faccio tutto meccanicamente, ormai non penso nemmeno più. Stranamente la media dei miei errori è calata. Lo stesso è successo ormai da giorni al mio appetito. Musharna mi guarda triste, quasi lamentandosi di non avere più sogni da sgranocchiare. Vesto solo nelle tinte del grigio, e le occhiaie sembrano essere diventate le mie nuove migliori amiche. Vorrei che mi vedessi. Ma magari da lontano, così non noteresti quanto male io stia.

Ti amo. Ti amo. Ti odio.

Perché nonostante tutto non accetterei che tu non fossi felice.

Piano piano il tempo passa. Mi sento sempre vuota, ma riesco a guardare il cielo in modo un po’ diverso. Riesco anche a trovare la forza di mandarti un messaggio per sapere come stai. Non so se mi rispondi, non controllo, ma mi fa sentire leggera. La notte piano piano sto recuperando il sonno perso. Per i chili persi non credo mi farò problemi a lasciarli andare. Non mi sento bene, ma spero che per te sia diverso, altrimenti il mio star male non avrebbe senso.

Ti odio. Ti amo. Ti amo.

Perché ogni cosa che faccio mi fa notare la tua assenza.

Per la prima volta ci risiamo scritti a lungo. Leggerti è stato strano, come guardare tutto al rallentatore. Guardare la nostra conversazione come se fossi fuori dal mio stesso corpo. Guardo me stessa risponderti, scherzare, are battute. Scopro adesso che è un qualcosa che mi è mancato. Come mi è mancata la tua presenza. Penso che tutto ciò sia strano. Mi sei sempre mancato, mi manchi tutt’ora, ma adesso mi accorgo che non eri solo tu a mancarmi. Mi manca la sensazione di averti vicino. Mi manca persino come ti arrabbi con me quando sbaglio.

Ti amo. Ti odio. Ti amo.

Perché alla fine sono davvero rimasta ad aspettarti.

Ti scusi, dopo tanto, per quello che è successo. Ti dispiace, ti vedo chinare il capo nella videochiamata, gli occhi arrossati anche tu. Mi sento meno sola, mentre ti scoppio a piangere davanti, mentre dico quello che ho passato, mentre ti lancio anche qualche insulto, che tu accetti con un sorriso. Mi è mancato tanto anche questo. La possibilità  di sorriderci a vicenda.

Ti amo. Ti amo. Ti amo.

Perché alla fine sei tornato a prendermi.

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RedRed - RedRedShipping (RubyxFiammetta)

“Rossa come il fuoco. Era anche calda come il fuoco, io me la ricordo. Ed era la donna più bella che avessi mai visto, oggettivamente parlando. Non è importante il fatto che io abbia potuto amare altre donne nella mia vita, ma resta il fatto che i suoi occhi ardevano e che io prendevo fuoco grazie alle scintille che provocava quando le sue labbra schioccavano un bacio da lontano.

Ed il suo sorriso, quel sorriso così vivo, così pieno di vita, era in grado di farmi avvampare e sciogliere.â€

Ruby rifletteva e pensava ad alta voce a qualcosa che non c’era. Fiammetta, la Capopalestra di Cuordilava, un bellezza più unica che rara.

E poco importava se erano passati più di dieci anni dall’ultima volta che l’aveva vista; la sua ammirazione era stata un crescendo continuo, tanto che spesso aveva pensato di lasciar perdere tutto e presentarsi da lei, con la faccia tosta e la sfacciataggine di chi sa quanto vale, di chi è sicuro di ciò che vuole dalla vita.

Ora era diventato un uomo, e lei una donna. Ed immaginava già  il calore della sua pelle, l’odore dei suoi capelli, il colore dei suoi occhi.

Rossi, proprio come i suoi.

Forse avrebbe dovuto perder meno tempo, in dieci anni aveva lavorato su se stesso per riuscire a trovare il coraggio di diventare grande, e prendersi la responsabilità  di fare una domanda, di stringere una mano, di provare a dare un bacio.

Ruby era certo che lei lo volesse.

E quindi non c’era più niente da fare, lui sarebbe partito per Cuordilava, avrebbe dapprima gentilmente bussato alla porta della sua Palestra e, semmai non l’avessero fatto entrare, lui avrebbe usato la forza.

“Al cuor non si comanda†pensava, ed era vero. Tuttavia si comandano i gesti, i movimenti, i pensieri.

Cuordilava era rimasta totalmente identica, intatta, immutata nel cellophan. L'inverno lì era solo un'opinione, in quanto la temperatura costante di quel posto, almeno in quella stagione, era di venti gradi.

Il Monte Camino vegliava severo sulle casette dai tetti neri, ed in piazza tre ragazzini giocavano col pallone davanti alla fontana.

Il sole donava luce bianca, probabilmente le nuvole avrebbero fatto incetta del cielo molto presto.

I passi di Ruby si susseguivano come formiche di una colonia. Adesso però erano passi più sicuri, maturi, consapevoli.

Era diventato un allenatore, suo malgrado; aveva raggiunto gli obiettivi che si era prefissato, aveva dimenticato Sapphire e le delusioni che aveva avuto vivendo con lei, con il pensiero costante a quella bellissima donna dai capelli rossi, legati in alto sulla testa.

Arrivò fuori la palestra. Note dolci di musica e risate fuoriuscivano e la porta era semischiusa.

La aprì il tanto che bastava per guardarvi dentro: tutto era rimasto identico, stesso tetto in legno, stesse mattonelle verdi, stesse nuvole di vapore che si accumulavano in alto, stessa temperatura.

Quella, sorrise Ruby, dipendeva da Fiammetta, e lo sapeva.

Al centro della sala c'era lei. Rideva e ballava. Ballava da sola, si divertiva.

Era chiaro che fosse diventata una donna. I segni del tempo erano stati clementi con lei, sembrava ancora la ragazza appena sopra i vent'anni di dieci anni prima.

Indossava un abito lungo, color crema. I fianchi erano leggermente più larghi, i seni erano rimasti prosperosi. Un paio di ballerine dello stesso colore si muovevano in corrispondenza dei suoi passi.

Il suo sorriso era lo stesso, come anche lo sguardo, rosso e vivo.

I capelli erano sciolti, e lunghe ciocche color magenta scivolavano sulle sue spalle.

Era bellissima.

Il suo cuore si era sintonizzato su quella frequenza. Doveva assolutamente averla per sé, ottenere il diritto di poterla stringere al petto, e baciare quelle labbra esplosive e sorridenti.

"Ti amo..." sussurrò, sorridendo. Lei non lo aveva sentito, e continuava a ballare su quelle note gioiose.

Aprì un altro po' la porta e raccolse il coraggio a due mani, quindi la spalancò, decidendo di fare il suo ingresso lì.

"Permesso" fece, sorridendo. Fiammetta dapprima fermò la sua danza, sorpresa, quindi sorrise.

"Oh. Ruby! Sono anni che non ti vedo"

Il volto di Ruby però rimase contrito.

Accanto a lei c'era un uomo, della sua età , con in braccio una bambina di più o meno tre anni, dagli occhi rossi e dai capelli color magenta.

D'improvviso un rumore sordo gli fece comprendere che il suo cuore si era spezzato. L'occasione che aveva avuto era andata via, spezzata. Aveva aspettato troppo tempo, ed un uomo più fortunato le era entrato nel cuore, sloggiando i suoi ricordi come libri vecchi e stracci sporchi.

Si sentiva perso. Atterrito.

L'unica cosa che voleva era sparire. Andare via, lontano, e dimenticare tutto.

"Che ci fai da queste parti?"

"Ero... Ero venuto a fare un saluto. Ma ora vado. Vado subito".

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