Il mercato videoludico è ormai una realtà affermata, nonché fonte di guadagno per molte aziende, che da anni se ne contendono il primato.
Anno dopo anno nascono nuove console d’avanguardia per stare al passo con i tempi e vengono offerti software sempre più complessi, grazie al supporto di diversi editori di grandi dimensioni. Piano piano, però, sta prendendo piede un nuovo servizio di diffusione: il cloud gaming.
Esso consiste nel trasmettere su qualsiasi dispositivo un videogioco scaricato su un server remoto, senza che sia necessaria una vera e propria installazione, permettendo a tutti di godere della stessa esperienza ludica.
Sulla carta si preannuncia come una funzionalità esclusiva, favorendo l’interazione tra una miriade di utenti ed il gioco multipiattaforma, superando le barriere poste dai limiti tecnici di alcuni hardware e al tempo stesso facendo perdere meno tempo agli sviluppatori, che non sono più obbligati a riadattare le loro creazioni per le diverse piattaforme (Nintendo in particolare sta adoperando tale metodo per distribuire titoli altrimenti troppo potenti per la Switch, come Kingdom Hearts 3 o Marvels’Guardian of the Galaxy).
Un’idea nobile, ma che si scontra con varie problematiche, prima fra tutte la necessità di un’ottima connessione ad Internet, in assenza della quale si rischia di comprometterne l’utilizzo per via di lag vertiginosi e crash improvvisi, specie in giochi come Picchiaduro e Sparatutto, che richiedono una rapida risposta dal sistema. Purtroppo sono pochi i Paesi con strutture adatte per garantire una certa stabilità, perciò al momento c’è ancora molta diffidenza verso questo meccanismo, sebbene stia crescendo esponenzialmente, data la diffusione dei giochi digitali ed il fatto che, a differenza di questi ultimi, non richieda un ingente spazio di archiviazione, consentendo ai consumatori di acquistare un’infinità di titoli…o quasi.
Attualmente, infatti, esistono vari cataloghi di giochi compatibili con il cloud gaming, molti dei quali, però, si celano dietro abbonamenti mensili.
Tutto ciò non può che porre dei limiti ad un sistema nato per abbatterli, senza contare il fatto che una volta chiusi i server non si avrà più la possibilità di giocare ad un dato titolo. È come se tu stessi noleggiando un videogioco, dopodiché, una volta scaduto il tempo a disposizione, lo riportassi indietro dal negoziante. Se i costi fossero convenienti non sarebbe nemmeno male come idea, dato che non tutti sono soliti rigiocare ai videogames, ma il rapporto qualità prezzo è attualmente svantaggioso per gli acquirenti, che si ritrovano a stipulare un contratto a tempo determinato che non gli garantisce alcuna sicurezza.
Penso quindi che sia necessario rilasciare ampie sessioni di prova, in modo da poter testare personalmente l’efficacia del servizio e valutarne in seguito l’acquisto, renderlo più economico e rimborsare i clienti insoddisfatti, almeno fino a che non si potenzieranno le infrastrutture dedicate e si abbasserà la latenza del segnale di trasmissione, fondamentale per una maggiore fluidità di gameplay.
È comunque innegabile che il cloud gaming sia un progetto ambizioso e che rappresenterà il futuro dei videogiochi, andando prima o poi ad abbattere definitivamente le console, dimezzando i costi di produzione hardware per gli sviluppatori, ampliando il numero di utenti e accrescendo i guadagni tramite inserzioni pubblicitarie e librerie sempre più vaste.
In aggiunta ad esso stanno avanzando sempre di più i giochi indie, progettati da studi indipendenti e con budget modesti, ma che riescono ad attirare vaste fette di pubblico.
Cuphead, Shovel Knight e Undertale sono solo alcuni tra gli esempi più noti, presentandosi come prodotti semplici ma efficaci, in linea con la società odierna, dove la gente non ha tempo da perdere e desidera immergersi senza troppe pretese in un titolo con meccaniche chiare ed intuitive, capace di stimolare la loro creatività e soddisfarli per qualche minuto. Si tratta infatti di giochi tecnicamente inferiori ai tripla A, non dotati di grafiche eccezionali né di profondità di trama, ma che comunque riescono ad intrattenerti per brevi sessioni di gioco grazie a dei gameplay originali, rispondendo ai gusti di una società iperattiva e impaziente.
Molti di essi nascono come app per dispositivi mobili, per poi approdare con insistenza sulle varie console in formato quasi esclusivamente digitale, dato che hanno un peso stimabile in qualche centinaia di megabyte e non sarebbe produttivi rilasciarli anche in versione fisica, per via degli eccessivi costi di produzione che uno sviluppatore slegato dalle grandi softwarehouse non può ovviamente sostenere; risultano tuttavia essere piuttosto proficui, sia per i loro generi differenti che per il fatto che venendo venduti a prezzi accessibili e presentando un’offerta videoludica diversificata, attirano l’attenzione di diverse tipologie di consumatori.
Inoltre, proprio per il fatto di essere indipendenti, tali sviluppatori hanno una certa libertà nell’adattare i loro giochi, andando spesso ad ascoltare le critiche dei fan e rilasciando in tempi brevi patch e aggiornamenti vari per correggere eventuali bug o migliorare alcune prestazioni. È come se la community di videogiocatori facesse parte integrante del titolo, data l’eccellente comunicazione con i propri clienti e la trasparenza generale. Questo permette inoltre di creare dei sequel sempre rispettosi nei confronti del proprio pubblico, che vede soddisfatte le sue richieste e riesce a fidelizzarsi più facilmente.
Tra i successi più clamorosi non si può non citare Minecraft, che dal lontano 2011 è stato pubblicato su ogni piattaforma esistente, affermandosi sempre di più come uno tra i videogiochi più famosi e poliedrici, in grado di appassionare tutt’oggi milioni di fan, con il quale possono ricreare- attraverso blocchi 3D di varia natura- le loro fantasie più sfrenate. Per non parlare di Rocket League, che offre delle sfide multiplayer sensazionali, unendo due tra gli sport più apprezzati, ossia il calcio e l’automobilismo, in partite al cardiopalma, dove la tattica è tutto e la prontezza di riflessi è messi a dura prova.
Questi due titoli, data la loro estrema notorietà, pur nascendo come indie, sono stati successivamente acquistati da aziende come Microsoft ed Epic Games, che ne hanno moltiplicate ulteriormente le vendite, portando con sé DLC e Season Pass e andando parzialmente a snaturarne la loro purezza.
Non c’è comunque da stupirsi, in quanto in ogni ambito a comandare è chi ha più capitale e sa fare i giusti investimenti. Il rischio di un prodotto di fama mondiale è che prima o poi qualche pezzo da novanta ci punterà gli occhi sopra e al potere dei soldi difficilmente si cede; questo è valido anche nel mondo dei videogiochi, dove un indie con una crescita esponenziale verrà prima o poi incorporato in una bighouse, piegandosi alle spietate leggi del mercato.
Ritengo dunque che i giochi indipendenti siano destinati a crescere col tempo, ma spero vivamente che a prodotti di bassa qualità tecnica ne vengano affiancati altri leggermente più complessi, finanziati magari da introiti pubblicitari e promossi da youtuber specifici, in modo tale da favorire creator emergenti senza andare a scontrarsi con i titoli delle grandi case editrici.
A differenza dei cloud gaming, che rivoluzioneranno prima o poi l’intero mondo videoludico, non è difficile comprendere che indie e tripla A viaggeranno sempre su due binari opposti, rappresentando un binomio perfetto in grado di rispondere ad una domanda digitale sempre più insistente.