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[Contest di scrittura] Fantasy Contest


Frablue

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Salve a tutti e benvenuti a questa nuova edizione del tanto atteso contest di scrittura!

 

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(si ringrazia Ghimli per il banner)

 

Di seguito il regolamento del contest:

  • Tema: come da titolo, il racconto deve essere basato sul fantasy e sui suoi sottogeneri, come Urban Fantasy, Dark Fantasy, Science Fantasy ecc. Non è permesso usare personaggi/luoghi già  esistenti in libri fantasy.
  • Struttura: il racconto deve essere inserito nei commenti di questa discussione con la seguente struttura:

     

 *Nome dell'autore*

*Titolo*

*Elaborato*

  • Comportamento da seguire: questa discussione serve unicamente a postare i propri racconti.Nessun utente dovrà  fare altri commenti, se non per pubblicare il proprio lavoro. Esiste la discussione apposita per eventuali dubbi e/o chiarimenti.
    Ricordiamo inoltre che è severamente vietato copiare elaborati altrui, pena un innalzamento del warn.​
  • Premi: i premi sono, ovviamente, Poképoints. Nello specifico:
  1. ​18 Poképoints per il Premio Assoluto - Primo classificato
  2. 10 Poképoints al Premio Assoluto - Secondo classificato
  3. 6 Poképoints al Premio Assoluto - Terzo classificato
  4. 12 Poképoints per il Premio Originalità 
  • ​Giudizio: da questa edizione in poi, avrete una giuria tutta nuova! Gli elaborati, infatti saranno giudicati da ben quattro nuovi giudici: Apollo95, Blue95, Fenryu e Lightning!

​Il contest chiuderà  domenica 11 agosto alle ore 23:59. 
​

Detto ciò, in bocca al lupo!

​

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*Alcino*
*Le Memorie del vento*

Con fare deciso un piccolo omino blu si stava dirigendo verso una grande quercia, tenendo in mano un frutto luccicante, canticchiava, con fare allegro, mentre, con gli occhi, sembrava viaggiare in mondi magici, ma non era solo, molti altri, gialli, rossi e di mille altri colori, sembrano andare verso la sua stessa direzione.

Arrivato, tramite un lungo tunnel, dentro la quercia, gli occhi del piccolo essere brillarono di gioia, davanti a lui, mille scaffali, intagliati nella quercia,nei quali moltissimi i frutti sembravano minuziosamente catalogati e ordinati, il pavimento fatto di resina antica,che alcuni, da quelle parti, chiamano "ambra", il piccolo esserino si bloccò, davanti a una specie di enorme tavolo, di fronte a lui un altro essere, tutto bianco, molto piccolo, dalla parlantina veloce e tagliente iniziò a porgli alcune domande: "Mi dicono che ti chiami Lilù, giusto?" "si" rispose lui, con un filo di voce, "Distretto cipolloide numero 3K-L.." Il piccolo essere bianco, con fare sospettoso, esaminò il gigantesco acino d' uva tenuto fra le mani dal piccolo esserino e gli disse "Sembra che li ci sia ottima uva. Bene, puoi passare, la regina ti aspetta nell' ala Sud5-Gh, susu! Non abbiamo tutto il giorno, corri!" Il piccolo esserino corse, veloce come un fulmine, salendo rampe di scale, inciampando, ruzzolando, gridando, piangendo, ma alla fine, ogni suo sforzo venne ripagato, un enorme portone, alto cinque volte più di lui, fatto di tantissime pietre preziose gli si stagliava davanti, pochi secondi e il portone, con la sua imponenza si iniziò ad aprire, neanche finì di aprirsi completamente che il piccolo essere blu si intrufolò nella piccola fessura creatasi, attraversò un lungo salone luccicante, e finalmente arrivò, li, davanti all' enorme fiore rosa chiamato "Loto", ma non era un fiore qualunque, il fiore, infatti, si aprì e rivelò al suo interno una bellissima fanciulla dalle linee dolci, gli abiti, coperti di rugiada, erano fatti di petali, la sua pelle, bianca e candida era in netto contrasto coi suoi capelli corvini, tutti arruffati in un cespuglio, con voce soave, dolce come il miele l' Lilù si sentì fare la fatidica domanda: " Vuoi essere un Pikmin?" Gli occhi del piccolo vegetale vivente si spalancarono come mai prima d' ora, iniziarono a luccicare, sempre di più fino a sfogarsi in un violento pianto e la regina disse, con fare ancora più dolce: "Lo so, questo, per te, è un momento importante, prenditi tutta il tempo che vuoi, ma mi faresti il piacere di donarmi il tuo luccicante frutto?" e allora LiLù rispose: "S-si, maestà , come lei desidera",  la regina assaggiò il frutto, e con il suo volto riuscì ad esprimere tutto il suo piacere nell' assaggiare il frutto, e così le sorse spontanea la domanda "Scommetto che ti sei impegnato cono tutte le tue forze per difenderlo dalle creature malvagie che ospitano le nostre lande pacifiche e rigogliose, non è così?" Lilù annuì "Beh, sappi che il risultato è stato a dir poco strepitoso, un frutto degno del capo delle forze di difesa Pikmin, complimenti!" Lilù, allora riprese coraggio e guardò negli occhi la regina " So che cosa volevi dirmi, e la mia risposta è sì, tu potrai diventare un Pikmin!" prese un vaso pieno di miele e glielo versò addosso Lilù si sentì bene come mai prima d' ora, il suo sogno era stato esaudito. Gli ani passarono e il Pikmin invecchiò, un giorno però un enorme essere gli si stagliò davanti, era un BossColeto, mai uno di loro si era spinto così avanti, solitamente o erano a proteggere la loro nidiata di Coleti p venivano tenuti a bada dai Pikmin esploratori, tutto, intorno a lui, tremava, la quercia era l' unica cosa che riusciva a mantenere la sua imponenza anche in questa situazione, il Pikmin gridò : "Formazione A-45/16, Chiusura d' emergenza!" Mai il suo esercito fu così spaventato, solo gli esploratori più bravi erano preparati per questa formazione, ma ci provarono comunque, un' ondata di miliardi di Pkmin si avventò come un branco di piranha sulla preda, la terra non tremava più per il Bosscoleto, ma per i Pikmin che, schiantandosi sull' essere creava miriadi di piccoli impatti, pochi minuti dopo anche la seconda ondata partì e una terza e una quarta e così via, pochi morirono, ma la zona ne risentì moltissimo, piena di buchi, non era più molto fertile. Lilù si senti colpevole di questa sua azione, troppo avventata e rischiosa, ma pochi anni dopo tutto tornò alla normalità , il terreno dava frutti ancora più rigogliosi, il Bosscoleto aveva concimato alla perfezione la zona e tutti erano molto felici, il vecchio Pikmin, ormai, stava morendo, aveva una famiglia, figli, tutto ciò di cui un Pikmin poteva essere fiero, quando morì molti, in tutto il pianeta lo festeggiarono, pochi anni dopo un gruppo di razziatori arrivò sul loro pianeta con l' intento di trovare nuove forme di energia e nutrimento, schiavizzando così tutti gli abitanti del pianeta con un misterioso fischio ipnotico...

Fine

 

EDIT: Farò una piccola FF sulle avventure del piccolo essere blu! ^_^

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*Pegasis*


*Skyfall*


Un altro giorno volgeva al termine, finalmente la noia era finita. Il cielo aveva ancora impresso  pennellate di  color rosso fuoco lasciate dal sole morente. Io stavo per avviarmi fuori dalla cittadina. Dopo aver dato un ultima controllata alla mia anima, che stava come al solito facendo i compiti, volai verso il limitare della foresta per poi scomparire, nel buio fitto. Dovevo far presto,  salivo velocemente la montagna nei suoi ripidi pendii saltando di tronco in tronco.


Arrivata in cima, un’ombra familiare a me era voltata intenta ad osservare il paesaggio. Mi feci largo nell’erba alta e profumata, aveva piovuto questa mattina. Appena ero a poca distanza la sua voce elegante entrò nelle mie orecchie.


-E tu che ti annoi stare qua, non sai proprio godere la vita.


-Mi annoio, non succede niente qui, se avessi avuto un anima che vivesse dall’altra parte…


-Ma goditela! Cerisus  ti  invidierebbe a morte se sapesse che sei qui.


Parlò ancora, io mi avvicinai andando al suo fianco,si voltò verso di me, il suo viso felino punteggiato da punti neri  era colpito dagli ultimi raggi di luce. Continuò a parlare.


-Io sono nella stessa situazione tua..


-TI sbagli Ghepardo!  Tu hai un anima che va in giro per tutto il mondo, rischiando la propria vita per vedere l’ultimo esemplare di una specie che non si sa dove sta di casa!


-Calmati ti prego, sei insopportabile quando inizi..


Mi intimò, ignorai le sue parole.


-Calmarmi?? Io?


Alzai la voce  senza avere una motivazione valida, visto che me la stavo prendendo per una sciocchezza.


-Sky, Sheba, non siamo qui per litigare…


-Ho capito, ho capito, scusa.


-Tu lo sai bene, questa apparente tranquillità  che si respira adesso, ha i giorni contati.  Ayan verrà  di nuovo a cercarti, quando la maledizione cesserà .. E dobbiamo essere pronti al peggio.


Ayan, mio fratello maggiore, tempo fa lo incolpai per un crimine imperdonabile, quello di aver portato in rovina il nostro popolo con i suoi progetti spregiudicati. Non credo che mi avrà  perdonato per quello che ho fatto. Proprio dopo di quell'accaduto, Oyeria Yayaouese mi notò, mi chiese se volevo diventare sua seguace e quindi prottetrice che abbia giurato fedeltà  alla luce, accettai. Non avevo un prottetorato, venivo chiamata qua è là  per vari problemi e questioni, e proprio grazie a questa mansione che feci amicizia con Selphinry e Senildey e con le loro anime. Viaggiai per le salinea per aiutare simili.


Proprio da quella missione, in Arlines trovarono candicati per l'ultima prottetrice, che sarei io.Per molto tempo si discusse, ero importante, ero l'ultima prottetrice, e l'anima che avrei protetto, doveva essere molto speciale, al di fuori di qualsiasi parametro di ammissione.


E' uscii alla fine che l'anima che dovevo protteggere era una ragazzina più giovane della direttrice, fu così che occupai  l’ufficio del capo  fino a che mi avesse dato delle spiegazioni valide.


Mi spiegò che quell’anima che già  la odiavo a morte non conoscendo il suo nome ma la sua età , era in qualche modo collegata con l’Oyeria Yayaouese. Sgranai gli occhi quando me lo disse, in qualche strambo modo doveva essere rinchiuso in lei qualcosa che richiamasse o comunque assomigliasse all’anima reale dell’Oyeria Yayaouese, che era la direttrice. In verità  non mi informò molto della faccenda, e fu così che dovetti andare non molto lontano dalla sede, ma lontanissima dai miei migliori amici. Non ero mai stata una tipa tranquilla, mai, e adesso che sto qua, ogni volta che mi sveglio e mi guardo intorno, penso che impazzirò un giorno o l’altro. Ghepardo e un prottetore di un anima di realtà , e molto più vecchio di me, o meglio vive prima che nascessi io. Ad ogni tramonto, a prescindere dove l’anima si trova lui viene da me, a parlarmi di qualsiasi cosa disparata. Mi raccontò le origini dell’universo, le battaglie epiche e distruttive tra l’oscurità  e la luce, dei grandi prottetori antichi, i primi prottetori che giurarono fedeltà  all’oscurità .


Sono individui assolutamente da evitarli, mi dice sempre “Meglio avere un faccia a faccia con un diavolo che uno di loro†Me li ha descritti bellissimi ma spietati come la morte, pronti a combattere fino all’ultima forza.


 Ma questa sera, e una sera particolare, dovevamo organizzarci per il rientro di Ayan. Era quasi ovvio che sarebbe venuto qui a provocarmi, ma anche a minacciarmi di fare a brandelli la mia anima, cosa che non avrei mai permesso.


-Allora quanto pensi che sia forte tuo caro fratello?


Riflettei su.


-Decisamente molto, sarà  pieno di vendetta e ira, credo che non riusciamo a tenerlo a bada…


-In qualche modo dovremmo farcela, perché siamo solo noi, non c’è nessun altro che ci può aiutare.


-Oyeria Yayaouse può, e anche suo interesse prottegere questa anima che sembra che abbia chissà  cosa…


Commentai disprezzamente, lui si voltò di nuovo.


-No ti prego... non mi dire che ancora...


-Esatto, non ci riesco, non capisco quale il mio ruolo accanto a lei!


-Oh Sky… lo dovresti averlo visto anche dai tuoi amici.


-Ma lì e tutto diverso! Qua non so…


-Ricordati Sky, devi aprire il tuo cuore, devi dialogare con lei, solo così riuscirai a trovare la sintonia, e la pace in te stessa.


Per un attimo il mio sguardo incrociò con il suo, distolsi subito guardando da un'altra parte, cercando di far nascondere il rossore che si era propagato sul viso. Gli volevo bene dopotutto, ma non volevo che lui sapesse, non amo esprimere i miei veri sentimenti. Dopo un po’ di tempo a discutere si fece notte e dovevo ritornare al mio posto.


-Rimaniamo d’accordo così Sky, buonanotte!


Se ne andò, quando si era allontanato abbastanza parlai a sottovoce…


 


-Notte Ghepardo, e che la sapienza e il sentimento ti guidano fino alla strada della luce…


L’augurio più bello che si può ricevere in tutta l’esistenza. Scesi giù per la città , i lampioni illuminavano


le strade deserte, un vento leggero spostava i rami degli alberi che suonavano una melodia malinconica.


E alla fine quel giorno arrivò, inesorabilmente.


Mi alzai presto, sarebbe stato liberato a mezzanotte quindi adesso era a scorrazzare per tutti i mondi.


Ghepardo arrivò non poco tempo dopo da quando ero sveglia, ci mettemmo sopra al tetto di casa della mia anima, che forse era sveglia o no. Rimanemmo ad aspettare, in silenzio, ero tesa non volevo parlare, pensavo a mio fratello, a tutto quello che ha passato, e la sua vendetta…la sentivo, bloccava il mio respiro, e la paura si faceva largo tra i pensieri, il panico cresceva senza controllo.


Un’ inpercetibile sprazzo di luce illuminava il cielo stellato, era segno che stava sorgendo il sole. Lentamente le stelle scomparivano, e la volta celeste si sfumava di un azzurro scuro e poi più chiaro sempre di più. Un giallo limpido inondò tutto il paesaggio, sfiorando le cime delle montagne, scoprendo le sue forme antiche plasmate dal vento e dalla pioggia di migliaia d’anni. Era un spettacolo meraviglioso, tutto quell’insieme emanava tranquillità  e pace, io lo potevo sentire quell’energia che penetrava in fondo al mio spirito, era immensa, senza confini, mi sentivo d’appartenere all’universo, adesso i miei amici erano così vicini che li potevo quasi vederli al mio fianco.


Che meravigliosa sensazione.


Ma poi l’eco risuonò per la valle, un ruggito infernale si levava fino al cielo. Ayan era arrivato.


Piegai le zampe anteriori, mettendomi in assetto di battaglia. Appena vidi in lontananza in mezzo ai boschi la sua criniera grigia che cascava dal collo, saltai e presi il volo. Ghepardo mi gridava dietro, ma non gli detti ascolto, lo raggiunsi velocemente, lui lentamente si fermava e aspettava.


Atterrai e mi avvicinai, era più grande di me, i suoi occhi erano calcati dalle notte insonni, ma ardevano di rabbia.


-Sorella che bello rivederti…


-Io un po’ meno Ayan…


-Un uccellino mi ha detto che sei entrata all’Arlines giusto?


-Giusto.


-E che da poco ti hanno assegnato un anima da proteggere giusto?


-So dove vuoi arrivare Fratello, ma non te lo permetterò mai.


Ghignò a quella frase.


-E parli tu che mi hai promesso di prottegermi da qualsiasi pericolo….


-Erano altri tempi Ayan, adesso siamo qui, e impedirò che tu non ritornerai in prigione, facendo le tue solite stupidate.


Dissi con tono deciso.


-E troppo tardi sorella, dovevi pensare alle conseguenze della tua scelta, potevi proteggermi ma hai scelto la verità  piuttosto che la complicità . E dovrai pagare per questo!


Si lanciò verso di me, lo evitai saltando per poi morderlo sulla schiena, Ghepardo ci aveva raggiunto, sbatte la testa contro il mio collo facendomi lasciare la morsa. Ayan si voltò di nuovo verso di me con un respiro affanato.


-Sei sempre stato il disonore della famiglia!


 Urlò contro di me, ringhiai come una dannata, Ghepardo cercava di tenermi mettendo una zampa sotto il mio ventre tirandomi verso a sé.


-Calmati Sky!


-Non ti ascolterà  prottetore, conosco mia sorella, risponde sempre ad una provocazione.


 Rispose con pacatezza ,era troppo per me, cerco di liberarmi dalla stretta , ma Ghepardo mi strinse ancora più forte facendomi male.


-Lasciami andare!


-No! Non ti faccio uccidere da quel psicopatico di tuo fratello!


Ma intanto Ayan, vedendo la situazione di stallo che si era venuta a creare, iniziò ad allontanarsi verso la città , sapevo dove voleva andare.


Volevo fermarlo, ma Ghepardo non voleva sentire ragioni, mi teneva avvinghiata a sé, non ho altra scelta...


Do una forte capocciata al prottetore, facendolo svenire e quindi lasciandomi libera, corro per raggiungere mio fratello.


-Non così in fretta Ayan!


Gli gridai, lui non si fermò.


-Almeno ascolta quello che ti sto per offrire fratello...


Si ferma di colpo udendo la mia frase, si voltò interessato dell’offerta.


-So che mi vuoi morta, quindi combattiamo! Se vincerai ucciddimi ma lascia stare la mia anima, se vincerò io ti lascerò andare, ma giuro se appena ti fai vivo qui, sei morto.


Lui mi guardò silenziosamente per poi sorridere malignamente.


-Accetto sorella.


Si mise in asssetto di battaglia, e anche io lo feci. Un silenzio surreale sovrasta nell’atmosfera piena di tensione, incrociai per un attimo il suo sguaro deciso e determinato. Sapevo di aver fatto una cavolata, ma misi fiducia in Ghepardo, se sarei morta e Ayan avrebbe provato lo stesso a far fuori la mia anima, Ghepardo la prottegerà  per me.


Inondata dal coraggio, saltai verso lui, fece altrettanto.


Appena siamo abbastanza vicini, arriva una zampata che mi fa cadere. Mi rialzo e lo attacco con la mia energia, scende a terra per evitare, cerca di avvicinarsi ma mi difendo bene.


Non perdo di vista mio fratello, sapevo che mi avrebbe potuto attaccarmi dietro le spalle, e lo fece.


Prontamente salto in alto e indietro, per averlo poi davanti, lo mordo di nuovo al dorso, si muove e perdo la presa, facendomi cadere.


Mi alzo ma non vedo più Ayan, guardo intorno terrorizzata, mi fermai di colpo e guardai sopra ma era troppo tardi, mi prende per il collo con le sue zanne affilate.


Con voce allegra ma allo stesso tempo cattiva mi sussurra all’orecchio.


-Hai perso sorella…


Gridai terrorrizzata, era finita, non c’era niente da fare.


Sentivo i denti affillati che penetravano nella gola, cerco di respirare ma il sangue che era entrato in bocca non me lo permette, sento la forza che scivola via, chiusi lentamente le palpebre che erano diventate pesantissime, e poi un ruggito familiare, dei rumori di lotta, il grido straziante di mio fratello e poi il nulla.


Ero ancora viva, ma non per molto tempo, sento dei passi che si avvicinano, una zampa sopra alla mia ferita, riconobbi subito chi era.


Allora cerco di aprire di nuovo gli occhi, per vederlo un ultima volta, raccolsi le mie ultime forze, ma svenni.


 


Vidi buio per parecchio tempo, fino a che iniziai a sentire dei rumori, cerco di muovermi lentamente.


-S-Sono nella terra dell’aria?


Dissi con un debole filo di voce.


-No Sky...Sei ancora insieme a me.


Era Ghepardo quello che stava parlando, tirai un sospiro di sollievo, cerco di alzarmi ma lui delicatamente con la zampa mi impone di stare per terra.


-Non sforzarti, ti devi riposare.


-La mia anima...


-Sta bene, la sto controllando io...


-Ayan? Dovè?


Ghepardo rimase in silenzio, il respiro era pesante, poi disse.


-Se non era per me, tu a quest’ora eri morta, sei stata un incosciente…


-Non avevo altra scelta, a quest’ora la mia anima era morta...


Sospirò.


-E agli altri ci hai pensato prima di decidere? Senildey,Selphinry, Pegasis, Me…


Lo disse con tono arrabbiato.


-Ghepardo…


-Lascia stare, ne parleremo quando stai meglio, adesso devo andare.


Sentivo dal suo tono che non voleva sentire di me per un bel po’.


Se ne andò lasciandomi sola.

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Ho scritto un libro di 18 pagine fantasy e sto scrivendo la continuazione. Faccio un riassunto :th_sisi:


 


BLAZIKEN


La Soglia dei Draghi


Gramenvis, un ragazzino della città  di Hergus, (nonchè figlio del capo Regnator Viridis), la città  dell'erba, era stato costretto dalla maga Cantatrix a rimanere chiuso in una cantina, perchè non poteva vedere Amplus, la stella che riscaldava il suo mondo. Un giorno, un amico di Gramenvis, Clarans, andò a casa sua, portandogli un regalo per il suo compleanno. Il regalo era di un autografo di Erbis ( Un grande personaggio di Hergus ) e un modellino di un drago. Clarans spiegò che quel drago esisteva nella realtà  e che esprimeva qualunque desiderio. Quando l'amico se ne andò, Gramenvis decise di partire la notte stessa per un viaggio che lo avrebbe portato al quel drago. Una volta evaso dalla sua cantina, Gramenvis prese un vecchio elmo per coprire i suoi occhi e arrivarono a Ignis Urbs, la città  del fuoco. Gramenvis sfidò il Magno Dicius, che si faceva chiamare Rubeo, per ottenere clemenza. Se non avesse vinto, sarebbe stato ucciso. Il re di Ignis Urbs disse a Gramenvis che per arrivare al drago si doveva andare in un posto speciale chiamato "Soglia dei Draghi" e bisognava avere dei medaglioni che doveva trovare nel suo cammino verso il Drago. Dopo un po' Gramenvis incontrò un nuovo amico, Pumilies, che narrò della sua presenza nella Compagnia della Volpe Grigia con Erbis. La Compagnia della Volpe Grigia controllava un animale molto forte, la Volpe Grigia, che aveva due forme, la forma normale, quando appariva sotto forma di gatto bianco a strisce rosse con tre code, oppure Nitens, quando era una vera volpe dal colore grigio/argenteo. I tre continuarono il viaggio e a metà  strada dovettero sfidare i Gestator Nex, i portatori di morte. Questi ultimi stavano avendo la meglio, ma nell'istante in cui stavano per colpire, apparve la Volpe Grigia, che li scacciò tutti quanti. Alla fine diede uno sguardo rapido a Gramenvis e lo sollevò in aria con degli strani poteri, facendo diventare tutti i suoi vestittiii di un colore argenteo, ma fece rimanere l'elmo com'era. Gramenvis cadde a terra svenuto. Al suo risveglio proseguirorno il viaggio. Arrivati in un paese chiamato Incantatio Doctus, il paese delle streghe, Gramenvis affrontò in un duello di magia la strega che l'aveva condannato, Cantatrix. Ebbe la meglio Gramenvis usando la sua magia più forte (chiamata "Moriturus", che in latino vuol dire:"destinato a morire"), ma svenì per lo sforzo. Al suo risveglio poteva vedere Amplus e fu felice per questo. Dopo aver superato molte altre prove in diverse città , Gramenvis arrivò alla Soglia dei Draghi. C'era un immenso portone su cui bisognava inserire i vari medaglioni. Una volta inseriti, la porta si spalancò e comparve davanti ai tre il magnifico Drago dei Desideri!  Sulla testa del Drago qualcuno suonava il flauto. Era Erbis. Questo spiegò che lui era il custode del Drago, ma doveva cambiare. Gramenvis affrontò varie prove e alla fine Erbis spiegò che l'ultima prova non era decisa da lui, ma dal destino.  Doveva prendere un bastone e incastrarlo in un'apertura dinanzi al Drago. Gramenvis lo prese e, una volta poggiato, non successe niente. Gramenvis desiderò che nel mondo non esistesse alcun male e i quattro tornarono a casa con il Drago. Gramenvis, da allora, fondò la Nuova Compagnia della Volpe Grigia e visse fantastiche avventure.


 


Questo era il RIASSUNTO del mio racconto perchè ce l'ho ed è di 18 pagine xD


Spero che vi piaccia, se vi piace lasciate un "Mi piace"!


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Ludos

I Rapimenti

Il mio nome? Il mio nome non ha importanza.


"In realtà  ha importanza..."
Ma se non lo dico fa molta più atmosfera...
"... Anche se non c'è l'atmosfera del mistero, una storia deve essere raccontata in modo da essere capita..."
E va bene. Ricominciamo.

In una valle nel terreno viveva un piuomeno. Non era una valle brutta, sporca, umida, piena di vermi e trasudo fetido, e neanche una valle arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una valle piuomeno, cioè comodissima.
Il mio nome? Io sono Spada. Spada Rubino. Sono un piuomeno, leggendaria popolazione che inventò i cognomi e gli occhiali. I piuomeno vivono nella Valle della Mezzaluna, chiamata così perché aveva la forma della mezzaluna e perché la luna della seconda notte d'inverno illumina tutto la Valle, e nient'altro. Questo perché la valle ha esattamente la stessa forma di quella luna e di una mezzaluna in generale. Quando arriva la seconda notte d'inverno, per i piuomeno inizia un nuovo anno. Un nuovo anno di prosperità , pace e invenzioni la cui metà  andrà  a finire nel fuoco dello stesso inventore, un quarto verrà  accettato come invenzione e l'altro quarto verrà  regalato al Re, che lo butterà  nel fuoco. Beh, un nuovo anno non male, eh?
Come già  detto in precedenza, i piuomeno erano inventori, molto famosi per i cognomi (che non si potevano bruciare, quindi sono stati accettati) e più avanti per gli occhiali. I piuomeno sono abbastanza bassi e sono tutti bianchi, ma non sono umanoidi. Somigliamo a degli asterischi, solo che da ogni parte tu ci guardi, abbiamo solo cinque punte. Così ci chiamano piuomeno, perché non sanno come definirci. A noi il nome piuomeno andava bene, quindi l'abbiamo adoperato. I piuomeno hanno una parte centrale, che si allunga in modo da formarci una coda, un muso che finisce con la bocca, due braccia, due gambe, e una testa che ospita due piccoli occhi. La nostra forma ci impedisce di essere bravi guerrieri, perché non abbiamo un corpo adatto a maneggiare armi. Però la Valle della Mezzaluna ha bisogno di essere protetta. Tra i piuomeno c'è una stirpe che ha sempre difeso la nostra terra. Questa stirpe porta il cognome di Rubino. Esattamente: io sono il guerriero che deve difendere la Valle. I miei genitori mi hanno chiamato Spada un po' perché era l'arma preferita di mio padre, un po' perché ero imprevedibile e deciso, proprio come una Spada. Mio padre è morto quando ero piccolo in una battaglia che non era nemmeno nostra. Infatti, col suo esercito, era andato ad aiutare i Kry contro un Minotauro Corazzato, che minacciava di distruggere il villaggio dei Kry. Il Minotauro è stato ucciso, però anche mio padre ci rimise la pelle. Adesso vivo in casa con mia madre, ed ogni giorno mi alleno con la spada di mio padre. Per uno strano caso, ha un rubino incastonato nell'impugnatura. Quello che sto per raccontare è stata la mia più grande avventura in cui non centrasse quello sbruffone di Katana.
Era un giorno come tanti altri. Il vento soffiava timido contro le finestre, come se fosse un un ragazzino che bussava timidamente alla finestra. Quel giorno mi stavo allenando contro il mio manichino quando arrivò un piuomeno correndo e tremendamente spaventato. Disse:"Spadaaaa! Spadaaaa! Aiutoooo! È sparita mia moglie!" Stava ansimando ed era sotto shock. Lo feci accomodare a casa mia, gli preparai una tazza di té per calmarlo e gli chiesi cos'era successo esattamente. Mi disse che era andato a letto con sua moglie, che si era addormentato e che al risveglio il letto era disfatto, la moglie non c'era e il pavimento era pieno di fango.
Appena ha finito di raccontarmi queste cose, arrivò un altro piuomeno. Correndo e urlando, mi disse che il figlio era scomparso. Mi definiscono abbastanza stupido, però non sono scemo: sono da anni che non succede niente di male nel villaggio, e l'ultimo reato commesso da un piuomeno è stato novantadue anni fa. I due casi potrebbero essere collegati, pensai. Proprio in quel momento arrivarono altri due piuomeno, una ragazzina che avrà  avuto tredici anni e una donna che ne aveva almeno quaranta. Erano scomparsi altri piuomeno. Ma non era finita qua: venne un altro piuomeno. Era un inventore, portava gli occhiali. Si chiamava Occhiali Asterisco. Occhiali era shockato, teneva gli occhi spalancati e guardava verso il basso. Ma camminava. Finché non fu davanti a me, non alzò lo sguardo. Disse:"Ho visto il rapitore. Mi ha rapito la figlia da sotto il naso. Era un... Morto. Era uno Pterodattilo fatto semplicemente di ossa. Non aveva altre parti. Aveva solamente un amuleto attorno al collo. Quell'amuleto brillava. È come se stesse guidando quel mostro orribile."
Gli chiesi se l'aveva seguito. Mi disse che aveva visto che era passato per la Contopianura, ma nient'altro poi.
Cosa dovevo fare? Chiesi aiuto a mia madre. Stranamente, mi disse che avevano ragione a dire che ero un po' scemo. Mi disse di andare a caccia di quel Pterocoso. In effetti, mi chiedo ancora adesso perché non ci ho pensato prima. Presi la Spada di mio padre, un po' di viveri e uscii da casa. Stavo partendo per la mia più grande avventura! Ma non ero solo. Ero all'uscita della valle, quando arrivò correndo Occhiali. Aveva uno zaino in spalla.
"Non puoi partire da solo" mi disse.
"In realtà , posso. Lo stavo facendo..." Risposi.
"Ma io ti seguirò comunque."
"Ok, puoi venire con me. Visto che hai guardato lo Pterocoso..."
"...Pterodattilo..."
"...Pterodattilo, puoi aiutarmi nella sua ricerca. Andiamo!"
E così eravamo in viaggio, nella Contopianura, per cercare quel mostro. La Contopianura è molto grande, ma si può vedere tutta dalla cima dell'unico albero che c'è. Allora decidemmo che era meglio arrampicarci per riuscire a vedere tutta la Contopianura. Ci arrampicammo e guardammo da un ramo tutto il panorama. Nella Contopianura evidentemente non c'era lo Pterodattilo.
"Strano" dissi.
"Cosa? Che non troviamo un mostro venuto dall'oltretomba in una pianura con tantissimo sole?"
"No, strano che ci siano delle uova così grandi dietro di noi"
Eravamo in un nido gigantesco, con tre grandissime uova dentro. Sentimmo un battito di ali. Ci girammo e vedemmo un rapace gigantesco. Aveva artigli affilati come rasoi e uno sguardo iniettato di sangue. Ci urlò contro e stava per prendere Occhiali col becco. Per fortuna tutti quegli allenamenti col lancio della spadarubino erano serviti a qualcosa. Così lanciai la spadarubino mirando al collo di quella belva che venne colpita nel punto desiderato. Facendo un salto, ripresi la Spada e, mentre ero in aria, giravo su me stesso con la spada tesa facendo vari tagli sul corpo del rapace. Ma non era morto. Anzi. Era molto più vivo. Con un battito d'ali il volatile generò un vento così forte che fece volare via me e Occhiali fino alla foresta Spettrale, che era il confine con la Contopianura. Cademmo sopra un arbusto abbastanza morbido, che attutì la caduta. Ci rialzammo e girandoci di spalle vedemmo un vecchio castello.
"Siamo nella Foresta Spettrale, stiamo fissando le rovine di un vecchio castello e siamo alla ricerca di una creatura dell'oltretomba. Secondo me, lo Pterodattilo si trova nel castello" disse Occhiali.
"Probabilmente hai ragione. Andiamo." Risposi io.
Stavamo camminando da almeno un'ora.
"Il castello dev'essere ancora a mezz'ora di strada." Mi informò Occhiali.
"Bene. Allora è vicino."
Ma non tutto poteva andare così liscio, pensai. E purtroppo pensai bene. In pochi secondi ci trovammo circondati da i Serpenti Alati. Sono serpenti con ali da drago. Sono molto irascibili. Sono originari del Fiume Scintillante, cosa ci fanno qua? Pensai.
Camminavamo piano piano per non far arrabbiare i serpenti. Loro non attaccano senza motivo. Per caso uno di quei serpenti notò la mia spada. Lo prese come una minaccia: iniziò ad attaccarci e gli altri lo seguirono a ruota. Iniziò la battaglia. Io ero armato, ma Occhiali no, ed era circondato da serpenti alati molto arrabbiati. Il che non è un bene. Nel suo zaino c'era una catena, e vide un ramo abbastanza grosso e secco. La sua mente da inventore gli diede una buonissima idea. Staccò il ramo, lo legò alla catena e iniziò ad agitare la sua nuova arma. Riuscì ad avere un'arma e ad allontanare i serpenti. Ma solo da lui. E non è che si arrendono. Era uno scontro molto duro.
"Se continuano ad arrivare altri serpenti, saremo sopraffatti!" Disse Occhiali.
"Allora iniziamo a volare." Risposi.
"Cosa?!?"
"Voliamo. Salta e io ti prenderò i piedi con le mani. Tu inizierai a far roteare la tua arma. Io userò la spada coi piedi."
"Ma quei serpenti hanno le ali!"
"Non sanno volare molto. Fidati!"
"Ok!"
E così facemmo. I Serpenti però mi ero dimenticato che producevano fuoco con le ali. Quando iniziarono a sbattere le ali producendo fuoco, smettemmo di volare e combattemmo. Quando bruciarono l'arma a Occhiali; avevano firmato la loro condanna. Con quell'arma infuocata e con la mia Spada riuscimmo a farli fuggire. Riprendemmo il cammino.
Dopo una mezz'oretta ci ritrovammo davanti al castello. Più che un castello io lo definirei un cumulo di sassi e pietre che in un lontano passato formavano un castello. Però castello è più corto. L'arma di Occhiali smise di andare a fuoco. Entrammo nelle rovine del castello. In giro c'erano armature di guerrieri. Ma erano solo armature. I corpi non c'erano, o se c'erano erano sparsi qua e là . Salimmo le scale. Dopo dieci minuti di camminata ci ritrovammo sulla cima di una delle due torri. Girammo lo sguardo verso l'altra torre. Vedemmo tutti i piuomeno rapiti svenuti e lo Pterodattilo che li restava a guardare. Girò la testa verso di noi. I suoi occhi rossi ci fissavano, sembra che ci tentasse di ipnotizzare. Io mi sentivo stanco e stordito... Vedevo tutto sfocato... Da quel che mi ha raccontato Occhiali, ero svenuto, come gli ostaggi. Poi capì che era colpa dello sguardo del mostro, ma a quanto pare a Occhiali non faceva effetto... Proprio perché aveva gli occhiali, che distorceva l'ipnosi del mostro. Allora mi prese con le gambe e iniziò a volare come avevamo fatto contro i serpenti verso lo Pterodattilo. Adesso c'era solo lui, gli ostaggi svenuti, io svenuto e il mostro, che iniziò a colpire Occhiali ferocemente. Stava per finirlo quando mi svegliai. Probabilmente l'effetto dell'ipnosi è durato poco perché avevo subito distolto lo sguardo. Presi la spada, e, mentre stava per infilzare Occhiali con le sue ossa appuntite, mi misi in mezzo e feci riflettere lo sguardo del mostro contro se stesso grazie alla spada. Esatto. Ho fatto si che lo Pterodattilo si ipnotizzasse da solo. Strappai dal collo del mostro l'amuleto e lo buttai nella foresta.
Aspettai che gli altri si svegliassero per poterli portare a casa. Infine si svegliarono tutti: Occhiali, sua figlia e i quattro ostaggi. Scendemmo dal castello, e con altre catene costruimmo altre armi di Occhiali. Tornammo alla Valle della Mezzaluna volando, come avevamo fatto io e Occhiali.
Alla fine tutto è bene quel che finisce bene. Io e Occhiali diventammo gli eroi della Valle, non mi chiamarono mai più stupido, adesso mi chiamano "diversamente intelligente", cosa che mi piace di più. Occhiali presentò la nuova arma come invenzione. La chiamarono Elicottero. La figlia di Occhiali imparò a inventare grazie a suo padre.
E l'amuleto? Eh, a quello ci penserà  più avanti Katana!



Chi osa rubarmi l'idea verrà  ammazzato da Katana. Grazie e spero che vi sia piaciuto ^^

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Chaos


 


Shift World: The Exiled


 


Era buio. Non una traccia di luce, non un suono. Non avvertivo nulla al di fuori di uno strano torpore, che sembrava invitarmi ad abbandonare tutti i problemi e a dormire. Mi sentii sempre più debole e stanco, e proprio in quel momento un piccolo bagliore apparve, diventando sempre più grande fino ad essere una luce abbagliante. Non capivo dov’ero, ma quella luce sembrava un luogo così invitante … Cercai di alzarmi e di muovermi verso di essa, passo dopo passo ma, proprio quando l’avevo quasi raggiunta, una strana voce mi fermò.


-Fermo! Vuoi davvero arrenderti così facilmente? Hai ancora così tante cose da fare durante la tua vita, non può finire così!- Non capivo cosa volesse dire quella voce, ma qualche secondo dopo tutto mi fu fin troppo chiaro. Il paesaggio intorno a me iniziò a cambiare, il buio sparì e al suo posto apparve una camera. Al centro vi era un letto con un ragazzo che dormiva. Apparentemente aveva 18 anni, capelli castani e corti, altezza nella media. Ma la cosa più scioccante era.. che ero io!


Non riuscivo a capire cosa stava succedendo, il ragazzo che dormiva in quel letto ero senz’altro io, anche se cresciuto di qualche anno. Infatti avevo 16 anni, mentre quel ragazzo era sicuramente un diciottenne.  Più mi sforzavo di capire cosa stesse succedendo, più la situazione diventava confusa:  Dov’ero? Come ci ero arrivato? Perché quel ragazzo era uguale a me?


Improvvisamente un fischio mi trapana le orecchie, e poco a poco si tramuta in un semi-silenzioso bip. Iniziarono ad apparire particolari che prima non c’erano, la stanza mutò completamente. E quello che vidi mi lasciò senza parole: “io†ero in un letto d’ospedale attaccato a flebo e altra roba medica di cui non conoscevo il nome esatto. Attorno a “me†c’erano quelli che avevano tutta l’aria di essere dei medici, ma parlavano troppo piano per far si che capissi qualcosa. Solo una parola fu più chiara delle altre, “comaâ€.


Un brivido attraversò il mio corpo e improvvisamente mi tornarono in mente le parole di prima, la luce, e capì tutto. Io ero morto. Due anni fa, mentre tornavo a casa, qualcuno mi afferrò e … niente, non ricordavo altro. Probabilmente quel qualcuno mi aveva ferito in maniera tale da mandarmi in coma, un coma che durava da due anni. Eppure.. quella voce aveva detto un’altra verità :  avevo ancora molte cose da fare, la mia vita non poteva finire così!


-Bene, sembra che sono riuscita a convincerti in tempo. Mi sarebbe dispiaciuto morire in modo così pietoso.- Nuovamente non capivo cosa volesse dire la voce, mi concentrai quindi nuovamente sull’immagine del me in coma. Vidi così una specie di teca di vetro vicino al letto dentro la quale era imprigionata una strana luce, mi ricordava in maniera impressionante la fatina che accompagna il protagonista del videogioco The Legend of Zelda, ma quello era un gioco appunto mentre questa era la realtà , ne ero sicuro.


La voce continuò, ormai era chiaro che proveniva dalla “fatinaâ€, ma per qualche motivo solo io la sentivo.


-Ascoltami bene, abbiamo probabilmente poco tempo prima che si accorgano che sto comunicando con te, ed è letteralmente questione di vita o di morte che tu mi ascolti fino in fondo!- Le sue parole mi confusero ancora di più, chi ci avrebbe scoperto? I medici? In effetti era strano che non si fossero accorti della teca, dovevano sapere qualcosa. Si erano appena allontanati quando …


La voce non mi lasciò il tempo di riflettere ulteriormente, poiché riprese a parlare.- Ti sembrerà  incredibile, assurdo, magari qualcosa uscito da uno dei romanzi fantasy che ti piace leggere, ma io sono l’altra te.  Il termine più specifico per definire la mia razza è Esper, un’entità  parallela che vive in un mondo in cui riuscite ad accedere per brevissimo tempo durante quei momenti che chiamate “sogniâ€. Normalmente Esper ed Umano hanno aspetto e carattere simili, motivo per il quale voi Umani credete di essere quelli nei vostri sogni. Ma la realtà  è ben diversa come puoi capire.


Rimase per qualche minuto in silenzio, probabilmente aveva capito che avrei fatto fatica a credere a quella storia poiché sembrava davvero un racconto fantasy. Ma c’era qualcosa che mi faceva credere fermamente alle sue parole, ovvero il mondo parallelo in cui vivevano, i nostri sogni. Infatti fin da piccolo i miei sogni erano stati tutt’altro che normali, ambientati in luoghi a me sconosciuti con mostri, demoni, e altre creature fantastiche. Ma la cosa più incredibile era che nei miei sogni ero una ragazza che combatteva queste creature, e per qualche motivo veniva alla fine imprigionata in un luogo indefinito. I miei avevano più volte tentato sedute psichiatriche, ma tutte senza risultato. Alla fine decisero di rinunciare e di accettare questa mia stranezza ma, ragionandoci oggi, quella doveva essere lei, l’Esper con cui stavo parlando in questo momento, l’altra me chiamata – Lumine. – Pronunciai il suo nome quasi automaticamente, e in risposta lei sembrò sorridere.


-Sono contenta che ti ricordi di me, Chaos. I nostri sogni sono stati l’unico punto di contatto che avevamo finora, ma dopo quel giorno qualcosa è cambiato. Nel giorno in cui sei caduto in coma hai perso parte della tua memoria mentre io mi sono ritrovata in queste condizioni.  La causa? L’Esiliato. È un Esper, esattamente come me, ma si è macchiato della colpa più grande: utilizzando i suoi poteri ha ucciso vari Esper, e controllato i loro Umani facendogli compiere i più svariati crimini. Omicidi, rapine, sequestri di persona, persino guerre e carestie, sono in gran parte tutti eventi causati da lui. Gli unici che non può controllare sono speciali Esper ed Umani con vite parallele. Come me e te.


Ora mi era tutto chiaro riguardo ai miei sogni. Al contrario di tutti gli altri io vivevo la vita di una persona diversa,e questo mi permetteva di ricordare molti più particolari rispetto al normale. Una normale vita con la famiglia e le persone a cui si vuole bene … Questo è quello che gran parte degli Umani sogna.  I mostri, i demoni, ecc non sono mai ricordati, tranne dai bambini che li scambiano per una loro fantasia.


-Due anni fa riuscì a liberarsi e ad uccidere o imprigionare gran parte degli Esper, prendendo il controllo di gran parte dell’umanità . Gli unici che scamparono alla sua furia fummo noi Speciali, che cercammo di combatterlo. Ma fu tutto inutile, usando gli Umani controllati uccise le nostre controparti umane eliminando anche noi di conseguenza. Ma tu incredibilmente sei sopravvissuto, nonostante quei maledetti dottori cerchino di ucciderti in ogni modo hai continuato a rimanere attaccato alla vita a tutti i costi. -


Ora capivo perché non voleva che i medici  si accorgessero di noi, e la sua storia per quanto assurda, sapevo che fosse reale. Perché la conoscevo letteralmente da quando ero nato, mi fidavo di lei come mi fidavo di me stesso, quindi decisi di aiutarla.


-Va bene, cosa devo fare per aiutarti?- Dissi.


-Oh Grazie! – Disse sorridendo - ad un certo punto mi sono preoccupata, sembravi essere sul punto di non farcela, e quindi ho deciso di parlarti per permetterti di tornare in vita e di aiutarmi a fermarlo! Ma per farcela devi credere con tutte le tue forze che puoi vivere e che qualunque cosa accadrà  proteggerai i tuoi cari, sono cose che voi Umani fate ogni giorno quasi automaticamente, ma ben pochi sanno che la forza della Vita è il potere più grande, l’unico che può fermare L’Esiliato.


Proprio in quel momento i due medici tornarono con qualcosa che sembrava tutto tranne che uno strumento medico, e che “stranamente†assomigliava più a uno strumento per la tortura. Non potevo permettergli di uccidermi e portare a termine il suo piano, dovevo reagire! In qualche modo riuscì a raccogliere le ultime forze rimanenti e il mio cuore riprese a battere normalmente, ero vivo! Mi alzai e con un calcio ben mirato ruppi la teca, liberando Lumine. Purtroppo i medici si accorsero di tutto, ed emisero uno strano stridio che mi trapanò le orecchie. Immediatamente arrivarono altri medici con strumenti di tortura, era evidente che volevano uccidermi finché ero ancora debole.


Arrendersi sarebbe stata la scelta più semplice, ma non potevo. Ripensai intensamente a tutto quello che era successo da quando ero nato, alle persone meravigliose che avevo conosciuto, alla mia vita parallela con Lumine. E fu così che il potere della Vita scaturì dal profondo del mio corpo, inondando tutta la stanza!


Dopo di che svenni, ma feci uno strano sogno. In quel sogno Lumine ritornava più forte di prima, e usando l’energia che le avevo donato sigillava nuovamente L’Esiliato, facendo così tornare in vita i suoi compagni caduti. La mattina dopo mi svegliai nuovamente in quel letto d’ospedale, con i due medici che dicevano che avevo avuto un grave colpo di febbre che mi aveva fatto svenire. Che fosse stato tutto un sogno? Naturalmente no! La notte dopo, quella dopo ancora, e anche le seguenti continuai a vedere Lumine intenta a ricostruire il suo mondo, finalmente avrebbero potuto vivere nuovamente in pace. Quanto a me, ripresi la mia normale vita, consapevole che non fossi mai solo, anche nei momenti più tristi o disperati avrei sempre avuto una carissima amica accanto.

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Shiro`


 


" Il Ricercatore Temporale "


 



Mi chiamo Hiro, sono un comune ragazzino di 16 anni e vivo nella città  di Ryuken. Ho sempre amato il mio paese e il mio futuro credo sia abbastanza semplice: mi piacerebbe diventare un ricercatore di elementi caduti nel nostro pianeta dall'immenso universo. Al momento non ho una gran carriera, ma potete star certi che presto farò la scoperta del secolo! Riuscirò a trovare un enorme meteorite, e grazie ad esso, diventerò il più giovane ricercatore al mondo. Sarò famoso, avrò denaro e tutti mi ameranno. Otterrò un po' di fama e forse, non sarò più solo come adesso. Questa era la mia vita, la normale sopravvivenza di un essere umano nella sua terra natale; a dire il vero ero un po' strano poiché non ho mai amato avere qualcuno accanto a me, se non fosse per un ragazzo chiamato Jasper appena più grande di me. Egli era l'unica persona che realmente riusciva a capirmi, avevo spesso attimi di sconforto, che grazie a lui, riuscivo ad evitare. Tutto questo, è durato fino al giorno del mio compleanno. Era una normale giornata, e come ogni anno, mio padre, ormai vedovo da qualche anno, iniziava ad organizzare i preparativi per la mia festa. Il 28 agosto avrei compiuto 17 anni, e come i normali adolescenti, avrei avuto una piccola festa circondato da parenti e dal mio migliore amico. Grazie a papà , non ho mai sentito il bisogno di una madre, anche se ammetto che a volte vorrei sentire una presenza femminile. Chissà , forse il mio vecchio riuscirà  a trovare qualche bella giovane e diventerà  la mia matrigna... Spero solo che non diventerà  il suo schiavetto. Di primo mattino, papà  mi chiamò.


<< Hiro, cosa vorresti ricevere quest'anno? Ultimamente la crisi si fa sentire per tutti, però almeno in questo giorno, puoi chiedermi qualcosa che vorresti davvero. >> Mi chiese con aria felice.


<< Beh, sai che ultimamente non ho molti interessi. La scuola inizierà  a breve, quindi se fossi un ottimo studente dovrei chiederti i fondi per poter acquistare i libri... Non questa volta! >> Risposi.


<< Non questa volta!? Che intendi? Ogni anno sei ben felice di ricevere in anticipo il denaro per poter acquistare i tuoi libri autonomamente, che è successo? Hai forse cambiato le tue ideologie ? >>


<< No, papà . Ho semplicemente iniziato a capire che finalmente inizio a diventare grande, e come tale, vorrei recarmi nella prefettura di Ryu dove sono stati recentemente ritrovati dei meteoriti! >> 


<< Mi stai forse chiedendo il permesso di andare da solo agli scavi di Ryu ? >>


<< Sì esatto, ormai sono abbastanza maturo e penso di riuscire a compiere un'esplorazione senza la tua compagnia. Potresti farmi questo regalo? Ti prego. Sai che voglio diventare un ricercatore! >>


Inizialmente mio padre esitò, però dopo varie preghiere e lusinghe da parte mia, riuscii a convincerlo. La mia partenza era prevista per la sera stessa. Mi sarei dovuto recare alla stazione di Zia Maya dove assieme al suo treno, sarei arrivato a destinazione. L'idea di poter visitare gli scavi di Ryu mi ronzava da parecchio in testa e finalmente ero riuscito ad ottenere il permesso. Salii in camera mia e preparai la borsa con tutto il necessario per poter esplorare gli scavi. Il mio zainetto non credo sia stato mai tanto pieno, avevo messo dentro di tutto! Dal cibo ai libri, dai libri ai piccoli mezzi del Kit per Ricercatori. Se non sapete di cosa si tratta, è semplicemente una valigetta dove all'interno ci sono dei piccoli attrezzi per poter svolgere il tirocinio da Ricercatore. Finito lo zaino, scesi in cucina e salutai papà  dicendo che sarei tornato dopo qualche giorno, anche se diventerò famoso, non posso certo dimenticarmi della scuola. Ho pur sempre bisogno di una qualifica. Finalmente tutto era pronto per la partenza, mi sentivo carico e l'ottimismo che avevo in quel momento era indistruttibile. Se ci fosse stato un terremoto, avrei sicuramente trovato un paio d'ali di Icaro e sarei scappato: niente poteva fermarmi. Un attimo prima di chiudere la porta, mio padre mi chiamò, credo volesse salutarmi prima della partenza.


<< Che c'è papà ? Ho forse dimenticato qualcosa? >> Chiesi 


<< No, Hiro. Il fatto è che avevo bisogno di salutarti... Questo è il primo 28 di agosto che non passeremo assieme, e un po' mi mancherai. Anche se ho la certezza che ti rivedrò molto presto >> Disse con aria triste


<< Papà ... Stai tranquillo! Io diventerò famoso, e vedrai, al mio ritorno, ti renderò una persona nuova! Hai sempre fatto tanti sacrifici per me. Sei stato un papà  e una mamma, non chiederò niente di meglio. Io ritornerò, e ovviamente, porterò con me una grandissima scoperta. Stammi bene vecchio! >>


<< Mi mancherai... Prima di andare vorrei che portassi questo amuleto con te. Era di tua madre... So che non sai molto a riguardo, però vorrei che lo portassi comunque con te. E' una collana con un piccolo Magatama. Spero ti porterà  fortuna. >>


Presi lo strano amuleto e salutai definitivamente mio padre. La strada per arrivare da Zia Maya era parecchio lunga, avrei fatto bene ad accelerare il passo. Non avrei certo passato la notte per strada. Arrivai all'imbrunire del giorno alla fermata, e la Zia stranamente non era presente. Non trovando nessuno all'interno della fermata del treno, chiesi a una signora in una panchina. Aveva uno strano abbigliamento... Per una donna della sua età , non credo sia normale utilizzare quelle strane vesti. Aveva i capelli lunghi, biondi, adornati da un meraviglioso foulard color ocra, esattamente come il Magatama regalatomi da papà . Un vestito che riprendeva il foulard, colorato di un acceso Terra di Siena coordinato persino ai suoi strani stivaletti. Probabilmente non era della città  di Ryuken... Non giudico in base all'abbigliamento, però in questo caso, credo che fosse una turista. Cosa ci sarà  da visitare nella nostra città ? Chissà . Presi coraggio, e iniziai a chiederle informazioni.


<< Mi scusi signora! >>


Non un movimento, non un respiro, sembrava quasi immobile. Non persi le speranze e riprovai.


<< Signora! Mi sente? Vorrei chiederle un'informazione! >>


<< ... >>


<< Che maleducato. E' così che trattate i visitatori? E porti persino un Magatama al collo... >>


<< Scusi? Ha forse detto qualcosa riguardo al mio ciondolo? >>


<< No, non badarci. Piuttosto, prima di chiedere un'informazione, vorrei quantomeno sapere il tuo nome giovanotto. >>


Finalmente ero riuscito a sentire la sua voce, forse non avevo perso la possibilità  di chiedere informazioni all'unica presenza umana all'interno della stazione.


<< Ecco... Il mio nome è Hiro. Ho 16 e voglio diventare un ricercatore...! >>


<< Ti ho forse chiesto l'età  e quali sono le tue speranze? Giovanotto, non conosci davvero le buone maniere. >>


<< Oh, mi scusi...>>


Non riuscivo a chiederle quello che volevo! Come faceva? Ad ogni mia risposta mi faceva sentire un piccolo bambino alla prima interrogazione nelle scuole elementari.


<< Mi scusi ancora... Senta. Saprebbe dirmi dov'è finita la Zia Maya? Io dovrei recarmi agli scavi di Ryu, e non vorrei passare la notte in questo brutto quartiere di Ryuken. >>


<< Oh, hai quindi intenzione di andare da solo? Sappi però che uno strano avvenimento ha colpito la stazione e gli scavi. Infatti tutti gli impiegati, compresi la "Zia Maya" non sono più stati ritrovati... Hai ancora intenzione di andarci? >>


Esitai inizialmente, presi però coraggio e risposi.


<< C-Certo! Ho finalmente ottenuto il permesso di mio padre, non mi fermerò dinanzi a niente. E vedrà , riuscirò a ritrovare anche la Zia Maya. Può spiegarmi quindi il modo per poter raggiungere gli scavi di Ryu? >>


<< Come desideri, Hiro. La stazione, nonostante sia priva di dipendenti, è ancora attiva, quindi non hai bisogno di pagare il biglietto. Devi semplicemente entrare nella prima locomotiva e quella ti porterà  a Ryu. Buona fortuna... >>


<< G-Grazie! >>


Mi girai per ringraziarla, e la strana signora color ocra era svanita nel nulla. Non ci pensai granché, avevo ottenuto quel che desideravo e non persi tempo. La locomotiva era parecchio vecchia, da quanti anni non veniva usata? Aveva ammaccature in ogni dove, sarà  stata partecipe di qualche conflitto mondiale. Entrai all'interno, e cercai uno scompartimento. Molti potrebbero invidiare questa faccenda, dato che il treno era completamente vuoto. Presi il primo sotto tiro, e mi sedetti. Improvvisamente si spensero le luci, e dinanzi a me, apparve un ragazzo. Non riuscivo a crederci! Come aveva fatto ad entrare? Per di più al buio. Dopo qualche secondo mi accorsi che si trattava di Jasper! Cosa faceva seduto all'interno del mio scompartimento? Un brivido attraversò il mio corpo, ma presi coraggio e cercai di parlargli. 


<< Jasper! Sei proprio tu? Come sei riuscito ad entrare nella locomotiva? >>


<< H-Hiro. Umano. 17 Anni. Aspirante ricercatore. >>


Il mio migliore amico aveva qualcosa che non andava, che gli era successo? 


<< Jasper, perché parli in questo modo? Che è successo? >>


<< H. I. R. O. Questo è il tuo nome. Jasper, umano, 18 anni, è la persona che al momento ospita me. Non sono lui, ma allo stesso tempo lo sono. Mi chiamo Ryuji. Sono un contraente e controllore dei conflitti spazio temporali, e tu, umano, sei l'attuale detentore di questo potere. I tuoi antenati, hanno sempre avuto questo potere, e tu, come ultimo erede, dovrai adempire al tuo destino. >>


<< Jasper, ma cosa stai dicendo!? Riuji; spazio tempo, controllore... Che ti è successo!? >>


<< Ripeto, il mio nome è Riuji. Jasper il tuo amico, al momento è il contenitore che ospita la mia anima. Io sono il controllore dei conflitti spazio temporali, e tu, caro, H. I. R. O sei l'attuale erede della dinastia dei Controllori Universali. >>


Tutto questo mi sembrava assurdo, certe storie si sentono solo nei manga! Com'è possibile che io detenga il controllo dei poteri spazio temporali? Chi sono i Controllori Universali. Tutto sembrava sempre più complicato.


<< Sei confuso? E' naturale. Ora ti spiegherò tutto. Tu, Hiro o H. I. R. O, sei l'erede della dinastia dei Controllori Universali, dato che, al momento, sei il detentore del Magatama Temporale. Il tuo compito, è distruggere l'attuale conflitto spazio temporale avvenuto negli scavi di Ryu anni e anni fa. Come avrai avuto modo di notare, al momento la stazione è deserta, e questa è la scena che il resto degli umani vede. Se provi a posizionare il ciondolo vicino al tuo cuore, esso inizierà  a brillare. Ti mostrerà  la vera identità  della stazione. >>


Non credevo granché alle parole di Jasper, anche se, da quel poco che ho avuto modo di capire, ora si chiama Riuji. Però spinto dalla curiosità  provai a posizionare il Magatama vicino al mio cuore. Un immenso fascio di luce mi colpì, e la mia vista diventò diversa. La stazione abbandonata, divenne subito una fiorente fermata dei treni dove tutti vi si recano.


<< Hai capito ora? La stazione della Zia Maya, è congelata in un conflitto spazio temporale avvenuto 45 anni fa. E finché non verrà  distrutto, tutto resterà  in queste condizioni. >>


Iniziai a capire la situazione, e mi resi conto che effettivamente, i poteri di cui Riuji mi parlava fossero veri. Muovendo le mani, potevo controllare il tempo. Era come avere in mano un Tamblet e guardare fotogrammi in una piccola raccolta. Potevo giocare a mio piacimento con i fatti già  avvenuti e non.  Avrei potuto persino cambiare l'ordine cronologico dei fatti, se però l'avessi fatto, la mia esistenza sarebbe potuta divenire inesistente. Se esistiamo in quest'epoca, è grazie ai fatti avvenuti nel nostro passato.


<< Vedo che inizi a capire, Hiro. Giovane erede. >>


<< Potrei chiederti un'informazione Riuji? Ora che possiedo questi strani poteri, qual'è il mio compito? >>


<< Il tuo compito, è recarti negli scavi di Ryu e distruggere Mia. Lei al momento, è la causa del congelamento spazio temporale. >>


Capii al volo che per risolvere la complicata situazione, dovevo sconfiggere la fantomatica Mia. Continuavo a non capire però acconsentii senza pensarci su due volte. Passammo tre notti all'interno della locomotiva, anche se a dir la verità , avrei potuto spostare i fotogrammi grazie ai miei nuovi poteri. Volevo però godermi il viaggio. Il 1 settembre, finalmente avevo raggiunto la destinazione: ero arrivato agli scavi di Ryu. In compagnia di Jasper, o meglio Riuji, decisi di avviarmi nel luogo dove, secondo le recenti notizie, è stato avvistato un grosso meteorite. Gli scavi avevano una strana aurea, sembrava che anche lì, il tempo si fosse interrotto. La piccola valle era desolata, e l'unica parte "colorata" era il grosso meteorite che avevamo davanti. Provai ad avvicinarmi, e notai che affianco alla grossa roccia, c'era una presenza familiare: era la donna seduta della panchina della stazione! Cosa faceva affianco al meteorite?


Strani pensieri iniziarono ad inondare la mia mente. Spinto dalla curiosità  mi avvicinai ancora un po' e cercai di parlare con la donna vestita in ocra.


<< Signora! Si ricorda di me? L'ultima volta non sono riuscito a salutarla! >>


Improvvisamente, Jasper, anzi, Riuji, si sentì male. Non capivo quello che stava succedendo.


<< Riuji! Ti senti poco bene? >>


<< G-Giovane erede, è lei. E' Mia. La mia esistenza in questo "periodo" controllato da lei, non è concessa. Io presto sparirò... >>


<< Come sparirai!? Che ne sarà  del mio amico? >>


Una lacrima scese dal mio viso. Jasper era l'unico vero amico che avevo. Non potevo sopportare l'idea che potesse accadergli qualcosa.


<< Riuji, io ora detengo il controllo spazio temporale, giusto? Sappi che farò di tutto purché Jasper ritorni in vita. Che abbia o meno riscontri con l'attuale realtà . E come prima mossa, sconfiggerò Mia. E' tutta opera sua. >>


<< Giovane Hiro, distruggila, questo è il tuo compito. >> 


Jasper si smaterializzò come se venisse colpito da un potente raggio. Io non sapevo che fare. Non ero un combattente e non sapevo utilizzare i miei poteri per scopi bellici. L'unica opzione, era parlare con Mia.


<< Mia, è questo il tuo nome quindi ? >>


<< Alla fine, giovanotto sei riuscito a raggiungere gli scavi... Cosa intendi fare? Vuoi forse distruggere un essere umano per riportare in vita il tuo migliore amico? >>


<< No, io non sono un assassino. Deterrò anche i poteri spazio temporali, ma non riuscirai mai a farmi macchiare di un peccato simile. L'unica persona a doversi pentire sei tu. Hai creato un conflitto, hai congelato un intera epoca e continui a non pentirti. Se non fermerai i tuoi poteri, la stazione non riprenderà  mai a "vivere" e le persone bloccate all'interno, resteranno congelate in eterno. Come pensi possano sentirsi le loro famiglie? >>


<< E tu, come ti senti a sapere che la donna che hai di fronte è tua madre? >>


Le lacrime, senza un motivo preciso, iniziarono a sgorgare dai miei occhi. La celebre Fontana di Trevi, in confronto era un piccolo rubinetto sgocciolante.


<< S-Sei mia madre? >>


<< Sì, sono tua madre. Ho bloccato il tempo per per 17 anni, nonostante la stazione non veda la luce da 45. E sai qual'è il motivo? La mia morte. Una madre non può permettersi di lasciare suo figlio. Avrei fatto di tutto pur di restare ancora con te. I miei poteri però, dopo la tua nascita sono diminuiti, portandomi a creare questo spazio congelato bloccato nel tempo. Non ho saputo lasciarti che quel Magatama. Il mio unico modo per poterti incontrare ancora una volta, era quello. Dal giorno del tuo diciassettesimo compleanno, dovrai occuparti dei vari casi di congelamento temporale. Diverrai un Ricercatore Temporale. So che si tratta di un arduo compito, ma sono sicura che tu, mio figlio e un futuro ricercatore, sarà  in grado di svolgere egregiamente il compito. >>


<< Ora capisco... Il congelamento della stazione, il regalo inatteso di papà , era questo in realtà  il regalo per il mio compleanno? >>


<< Esatto figlio mio. Avrei voluto vederti crescere sotto la mia ala protettiva, però purtroppo non ci sono riuscita. Spero che un giorno mi perdonerai. Io, veglierò sempre da lassù. >>


Improvvisamente, un raggio di luce colpi il meteorite e mia madre. Le parole che risuonavano nella mia testa erano " Io starò sempre al tuo fianco" e, stanco dalla lunga esperienza, persi i sensi. 


Al mio risveglio, la prima persona che vidi fu Jesper. La mia felicità  era immensa, ero riuscito a riportare tutto alla normalità . Accanto a lui, c'era una vecchia presenza che conoscevo da tempo. Era la Zia Maya. Il mio compito era quindi concluso e la stazione era nuovamente attiva. Non sono riuscito ad effettuare le ricerche negli scavi, ma ho scoperto un nuovo potere. Un compleanno come quello del diciassettesimo, non sarà  facile dimenticarlo.


Ora ho 19 anni, sono riuscito a diplomarmi e sono un Ricercatore a tutti gli effetti e il mio titolo, da ormai qualche tempo è "Il Ricercatore Temporale". L'esperienza dell'incontro con mia madre, mi ha cambiato. Da quel giorno, il mio compito è quello di disattivare i congelamenti e  di controllare che la misteriosa stazione della Zia, resti sempre attiva. Perché, sapete, se dovesse fermarsi ancora una volta, sarà  per segnare l'arrivo di un nuovo Ricercatore. Ed io, l'attuale Ricercatore Temporale, non ho intenzione di rinunciare tanto presto alla mia carica.  


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Prince


 


"The Elves"


 


Al centro della radura giaceva la carcassa di un alce. La carne martoriata fumava ancora. A Maehd e ai suoi compagni era chiaro cosa significasse: dovevano aver fatto uscire allo scoperto il cacciatore.


Il cadavere era ricoperto di tagli sanguinanti, il pesante cranio fracassato.


Maedh non conosceva nessun animale che cacciasse solo per divorare il cervello della sua preda. Un rumore sordo lo fece voltare di colpo. Era stata la neve che cadeva in vorticosi mulinelli di rami di un pino silvestre al margine della radura. L'aria era piena di cristalli di ghiaccio.


Ora il silenzio era sceso di nuovo sulla foresta. Lontano, sopra le cime degli alberi, una luce verde si librava danzando verso il cielo. Non era proprio la notte adatta per inoltrarsi nelle foreste!


<< E' solo un ramo che si è rotto sotto il peso della neve >>, disse il biondo Galad scuotendo la bianca coltre della sua mantella pesante. 


La paura era scivolata nel cuore dei quattro uomini. Tutti pensavano alle parole del vecchio che sulla cima li aveva avvertito di una bestia portatrice di morte. Il terrore li aveva assaliti, eppure non erano quattro sprovveduti deliranti per la febbre o la pazzia.


Quando l'inverno iniziava presto, il freddo si faceva sentire e la Luce delle Fate si librava danzante verso il cielo. 


Finrod incoccò una freccia nell'arco e socchiuse gli occhi, nervoso. Aveva i capelli neri, era goffo e non era mai stato di molte parole. Era un buon cacciatore, portava molta carne al villaggio. E' questo contava più di qualsiasi diceria.


Cìrdion e Driel conoscevano Maedh fin dall' infanzia. Entrambi erano pescatori. Cìridion era un tipo testardo tarchiato, con la forza di un orso, sempre di buonumore, aveva molti amici, anche se era considerato molto ingenuo. Driel era basso e dai capelli biondi, si distingueva per la sua capigliatura e per la sua statura dal resto degli abitanti, alti e mori. Talvolta veniva deriso e alcuni lo chiamavano di nascosto figlio del folletto Oro. Era una sciocchezza. Driel era un uomo dal cuore d'oro. Uno di cui ci si poteva assolutamente fidare.


Maedh era triste, pensava a Zelda, sua moglie. Di certo, in quel momento stava seduta davanti al focolare, tendendo l'orecchio fuori, nella notte.


Finrod aveva posato l'arco e aveva posato un dito sulle labbra, allarmato. Sollevò il capo come un cane da caccia che aveva appena fiutato qualcosa. Ora anche Maedh lo sentiva.


<< Forse si tratta di un Troll >> sussurrò Cìrdion, << negli inverni freddi scendono dai monti. Un Troll potrebbe stendere un alce con un pugno >>.


Finrod guardò cupamente Cìrdon e con un cenno gli fece capire di stare zitto.


Improvvisamente i rami si mossero e due uccelli bianchi si librarono sopra la radura e volarono via con un fragoroso movimento di ali.


Dalla boscaglia emerse una figura gigantesca, metà  uomo e metà  orco. La creatura era completamente piegata sotto il peso dell' enorme testa di animale e quando fece due passi apparve ancora più imponente.


La muscolatura delle braccia e delle spalle era molto sviluppata. Le mani terminavano con degli artigli scuri.


Finrod sollevò l'arco. Una freccia scoccò dalla corda. Colpì la bestia al lato della testa, lasciandole un graffio rosso. 


Cìrdion cadde in ginocchio, oscillò per un istante, per poi cadere rovesciandosi sul fianco.


Maedh intanto afferrò più saldamente la lancia. 


L'orco lo afferrò proprio in quel momento. Lui si divincolò e scagliò la lancia nel petto del mostro. La lama passò a lato della creatura, senza arrecare nessun danno.


Driel afferrò il mostro da una parte, per distarlo da Maedh che si lasciò cadere nella neve e prese un' ascia dalla cintura. Il mostro grugnì. Quindi abbassò il capo imponente e colpì il cacciatore di striscio. Una falce colpì Maedh nella parte interna della coscia, lacerò i muscoli e frantumò il corno d'argento che aveva appeso alla cintura e usava come segnale.


Con un colpo, l'Orco lo sfregiò sulla nuca facendolo catapultare tra gli arbusti. 


Mezzo intontito dal dolore, premette una mano sulla ferita, mentre con l'altra strappava delle strisce di stoffa della mantella. Altri lamenti risuonavano nella radura. Maedh ruppe un ramo da un arbustro e lo infilò nella cinta. Poi la strinse più forte, finché si fece tesa sulla parte superiore della coscia. Stava per perdere i sensi.


Le grida dalla radura ora erano cessate. 


Maedh piegò cautamente i ramoscelli dai cespugli.


I suoi compagni giacevano nella neve, senza vita.


L'Orco era curvo contro Finrod e lo colpiva ancora nel petto con la lama della falce. Maedh voleva attaccare subito il mostro, ma la sua ascia era stata scagliata via.


Tuttavia, non poteva tornare semplicemente a casa. Le sue tracce avrebbero guidato il mostro dritto al villaggio. 


Quatto quatto, strisciò all' indietro verso i cespugli. Ogni volta che un ramo si spezzava, il suo cuore si fermava. Ma la bestia non se ne accorse. 


Finalmente raggiunse un ampia distesa di detriti. L'inverno precedente era caduta una frana in quel punto. Era riuscito a percorrere solo metà  del sentiero. Il suo sguardo si posò sui margini della foresta. L'oscurità  della selva non riusciva a nascondere la Luce delle Fate, che lassù in cima al pendio splendeva come la luna piena.


Continuò a strisciare, gli occhi semichiusi per il freddo pungente. I suoi pensieri andavano solo alla sua donna. 


Strizzò le palpebre e aprì gli occhi. Era sdragliato su una roccia nuda, senza neve.  Si alzò barcollando. Le gambe non avrebbero resistito ancora a lungo.


Maedh si guardò intorno spaventato. Non c'era neve tra le rocce. Maedh pregò in silenzio i suoi dei. Frost, il signore dell' inverno, Naida, signora delle nuvole che dominava sopra i ventitrè venti.


<< Un vigliacco non merita la protezione degli Dei >> gli risuonò una voce in testa.


<< Cosa sei? La morte? >> 


<< Non sono una voce! Guardami! >>


Maedh si voltò. Percepì un respiro caldo sul viso. Poi, vide occhi grandi, neri come la pece. Erano gli occhi della bestia.


<< Un vigliacco non merita la protezione degli Dei >> 


L'uomo orco si voltò. Le sue labbra sussultarono, sembrava quasi sorridere. Sparì subito dalla vista.


Maedh chinò la testa, la Luce delle Fate stava ancora danzando nel cielo.


<< Non merito.. la protezione... di nessuno? >> Piombò nell' Oscurità . Le palpebre erano chiuse senza che lui se ne fosse accorto? 


Il buio lo allettava.


Prometteva pace.


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                                                         hydreigon106


                            


            Avventura nel mondo di Millennium 



*Devo scappare o mi raggiungeranno...quell..quelle creature...hanno...raso..al suolo Millennium!...Mi ..mi ..stanno raggiungendo devo...dev..devo fuggir...quest...questo è...un..*

<<...Un incubo,fortunatamente era solo un brutto sogno!...>>

*Il mattino seguente*

<<Ciao Gianpio dormito bene?Ti vedo ancora assonnato!>> <<No mamma,non ho dormito affatto bene,ho fatto un incubo molto strano sta notte e non ho chiuso piu' occhio!>> <<Dai vieni a tavola ho preparato una squisita colazione!>> <<Ok mamma però ora vado un momento al piano di sopra,mi sembra di aver sentito il telefono squillare!>>

*Dopo al piano di sopra*

<<Che strano un messaggio anonimo?!..Vediamo cosa c'è scritto...digita questo codice e inviamelo :250649846548°*56...che strano, sarà  qualche gioco del computer che avrò vinto?Comunque...vediamo che succede:250649846548°*56...cosa succede?cos'è questa luce?che sta succedendo?

*Una folata di vento avvolse tutta la stanza e...*

Dove sono?..Dove mi trovo?E perchè assomiglio tanto a Gold?Questo posto mi sembra cosi' familiare mi sembra di averlo già  visto..!

All'improvviso una voce rispose da lontano:<<Benvenuto hydreigon106,questo è Millennium,ma forse lei lo conosce meglio come PM o Pokèmon MIllennium!>>

<<Pokèmon Millennium?Ma è impossibile !Questo vuol dire che io sono dentro un sito Internet?>>risposi a quello strano personaggio che sembrava Diggs l'investigatario color lilla e con un'aria stranamente superraffinata.

<<Esatto!Lei è dentro Pokèmon Millennium e io sono il guardaino dell'area Playstation e Dintorni!Forse sta cercando un'altra Area?>> <<Veramente sono capitato qui non so perchè,ma visto che ci sono..mi dica dove si trova la Shoutbox!>> risposi.

<<Si mi segua,deve sapere che la Shoutbox non è come lei pensa!E' molto cambiata rispetto a come la vediamo nel monitor...>>rispose il guardiano

<<In che senso?>>chiesi

<<Entri in questa porta e veda come è...>>interrupi il guardiano:<<...bellissima!E li ci sono tutti gli amici aggiunti...!>>

<<Esatto qui si parla con tutti i propri amici e sappia che se si sta chiedendo perchè assomiglia Gold e perchè quello è il suo avatar,l'avatr è la raffigurazione di un utente!Io ora vado devo continuare a fare la guardia alla mia zona le auguro buon divertimento!>> <<Arrivederci!!...questa storia è molto strana ma vediamo che succede!>>pensai

Cosi' uscii dalla Shout e mi recai in tutte le zone e i luoghi di Millennium!Sembrava di essere in un sogno!

Ma all'improvviso tutto incominciò a d avvolgersi nell'oscurità  e ad esserne inghiottito!Non sapevo darmi una spiegazione!Cosa stava accadendo?

Tutti gli avatar stavano scappando verso una specie di dojo cosi' pensando che fosse stato un posto sicuro andai li' anch'io.

Era il Dojo Mod. ovvero dove risiedevano i Moderatori e i Supermoderatori.Tutti si dirigevano li' perchè grazie alla barriera creata da Blue95 l'oscurità  non li poteva inghiottire.Ma all'improvviso quel vortice di oscurità  si trasformò in tanti piccoli mostri che ruppero la barriera e riuscirono ad entrare nel Dojo Mod.;cosi' Hikari,Kaito,ScarletSnow,#Lucas_W,Chaos,Cydonia,Khaos e tutti gli altri Mderatori e Super Moderatori  cercarono con i loro poteri di tener lontane le creature generate dal vortice oscuro,mentre Shiro,Ken,Tg Guseppe,Ghimli,Icy flame e gli altri staffer  aiutavano gli utenti ad uscire e a scappare dal dojo.

<<Devo scappare o mi raggiungeranno...quell..quelle creature...hanno...raso..al suolo Millennium!...Mi ..mi ..stanno raggiungendo devo...dev..devo fuggir...quest...questo è ....oh no i mostri bloccano la...la..strada...!Ora come...pass..er..emo..!?>> All'improvviso una voce mi interruppe:<<Ci sono  io!bloccherò io i Banner>>era Blue95 che grazie ai suoi poteri e insieme ai suoi Lapras e Mamoswine cercò di guadagnare tempo per far evacuare glia altri.Dopo arrivarono anche i Webmaster a dare una mano e cosi' Kiyro,Quik Silver e Manuel spiegarono che i Bannern ovvero i mostri sono le gesta sbaglilate compiute dagli utenti Bannati ora venuti a vendicarsi Distruggendo il sito.

<<C'è un solo modo per fermarli usare il potere di tutti gli iscritti al sito>> disse Manuel,cosi' mi venne un'idea,mi allontanai dagli altri e poi andai verso la Shout alias Urloscatola:avete capito cosa voglio dire?

Cosi' urlai Nel'Urloscatola:<<Utenti iscritti di Millennium ci serve la vostra forza per sconfiggere i mostri alziamo le braccia la cielo e formiamo un'unica grande sfera,che come molti fan di anime e manga come voi ricorderanno è la sfera Gekindama ma qui è la Sfera di MIllennium!Aiutateci su!!>>

<<Aiutateci è l'unico odo per salvare il sito!>>risposero Vibravashiny,Dewotthero,Fan tepig e tutti i miei amici.

Nel frattempo però era arrivata Supreme Dark il capo dei Banner che stava sconfiggendo Blue95!

Tutti gli utenti cosi' capendo che era l'unico modo per sconfiggere Supreme Dark alzarono le mani al cielo formando cosi' la Sfera di MIllennium che si scaraventò contro i Banner e Suprem Dark!Il mondo di Millennium era salvo!

I guardiani delle varie zone del forum donarono a tutti gli utenti un pacco.Il pacco aperto al suo interno era vuoto,ma dal mio..Puff..usci' il Cassiere che disse:<<Utenti oggi per aver salato Millennium dalla catastrofe vi regalo a tutti Pokèpoints gratissssssss...!Festeggiamo!>>

Cosi' i festeggiamenti iniziarono e qui si conclude la nostra storia,alla fine spno ritornato a casa e digitando quel codice sono potuto tornare a Millennium,ma ci sono ancora tanti misteri da chiarire e il sogno che ho fatto è stata una premonizione comunque piu' avanti i misteri si chiairanno!Ora c'è una festa che mi aspetta con Pokèpoints gratis!

Una voce da una lontano dice:<<Ingenui ragazzini pensavate di sconfiggermi?Ma dovete ancora conoscere Mysteryus Il grande Mago!AHAhahahahhhahhahahha>> 

 

Fine


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PokéJomedyd: Felice di partecipare al suo primo "Contest di scrittura" e Spera di fare bella figura (Fa anche rima ahahah, no basta). :)

Swelliston: Week of blood

Levants, mondo di Swelliston, Galassia di Storage: 31/08/2164 ore 22:25

Questo non è un giorno come gli altri, fisso il soffitto sdraiato sul mio letto, sento le urla atroci della guerra, quella che tra qualche ora dovrò combattere anch'io per salvare la mia vita, quella della mia famiglia e di tutti quelli che mi stanno vicino.

Mi chiamo Redely, ho 15 anni, e vivo nel mondo di Swelliston nella Galassia di Storage.

Il nostro mondo è molto piccolo, formato solo da due distretti: il distretto ovest chiamato Ponents e il distretto est chiamato Levants, dove vivo io.

Swelliston, è comandato dalle Forces Sacrificing che per punizione di una ribellione armata al loro governo di 86 anni prima, obbligano tutti gli abitanti del pianeta dopo compiuti i 15 anni a combattere la "Week of blood" una terribile settimana di guerra tra i due distretti, Ponents e Levants.

La "Week of blood" si consuma dalla mezzanotte dell'1 Settembre alla mezzanotte dell'8 Settembre, gli stessi giorni della ribellione di 86 anni prima e senza distinzioni di razza o altro, siamo costretti a combattere anche a malincuore per sopravvivere, aspettando che la settimana finisca in fretta, perchè se ci rifiutiamo sarà  l'esercito delle Forces Sacrificing a venirci ad uccidere. Oggi è il 31 Agosto del 2164 e come ogni anno il rito sta per cominciare. Non riesco a dormire, non sono pronto per combattere e tra qualche ora si scatenerà  l'inferno su quel maledetto campo di battaglia, ho paura della guerra, ho paura di non rivedere più la mia famiglia, ho paura di uccidere persone come me, innocenti. Non sono pronto, ma non posso fermare la guerra, anche se nessuno odia nessuno, siamo costretti, non ce la faccio più.

L'orologio della mia camera segna le 22:50, manca sempre di meno e la mia tensione sale. Immerso nei miei pensieri sento lo scontro che si avvicina, vedo il sangue sparso a terra, sento il dolore dei familiari delle vittime, mentre ascolto le risate di quei vigliacchi delle Forces Sacrificing che si divertono a vederci morire.

Punto la sveglia alle 23:50 e chiudo gli occhi per cercare di dormire; stranamente non sto sognando incubi, anzi la mia volontà  di vivere è così forte. Sogno di giocare con i miei amici, mi sto divertendo e sento anche la loro volontà  di divertirsi, di realizzare i propri sogni; vedo la felicità  e la gioia nei loro occhi.

Mi sveglio piangendo, non sopporto l'idea di veder morire anche loro. Sono le 23:25, prendo la mia Magic-Sphere e la mia Sword-Wand ed esco di casa per provare allenarmi, anche se ormai manca poco.

Nel nostro mondo la magia è una delle forze principali: la Magic-Sphere è una sfera magica che serve a creare barriere difensive per difendersi dagli attacchi avversari, invece la Sword-Wand ha il potere di sparare laser magici puntando la spada verso la vittima.

Trovo un boschetto pieno di Trees-Ice dove posso esercitarmi. I Trees-Ice nel nostro mondo sono gli Alberi di Ghiaccio ed è anche grazie a loro che abbiamo l'acqua ogni giorno, anche se non si sciolgono facilmente.

Impugno la mia Sword-Wand. Mi concentro. Vedo un piccolo buco nell'albero. Punto la spada. Ci sono.

Redely ce la puoi fare: "VAIIIII!"

"AHHH!" Cado a terra colpito e ferito ad una spalla dal mio stesso laser. Non sono concentrato abbastanza. Apro gli occhi e vedo una mano che mi invita a rialzarmi, è Moira. Lei è la mia amica/vicina di casa e ci conosciamo fin da quando siamo nati, ha la mia stessa età . Gli voglio troppo bene e non voglio che gli facciano del male anche perchè questo è il nostro primo anno da combattenti per noi. Subito dopo ci raggiunge anche Argu, il mio migliore amico, conosciuto alle elementari e coltiviamo fin da piccoli un sogno insieme, diventare dei Magic-Ninja. I Magic-Ninja sono i giustizieri di pace del regno, sono contro la guerra e molte volte hanno cercato di fermare le Forces Sacrificing, senza risultato, sacrificando la loro vita.

Argu vedendo la mia ferita mi passa una Magic-Potion e mi aiuta a berla. Dopo un paio di minuti mi sento meglio e la ferita sulla mia spalla inizia a cicatrizzarsi.

Il nostro mondo è quasi uguale al vostro, andiamo a scuola, mangiamo le stesse cose che mangiate voi, ascoltiamo la musica... ma qua c'é anche la magia vera, una delle cose più importanti del nostro pianeta e serve per la maggior parte delle cose. Loro mi spiegano che si stanno allenando lì insieme e vogliono sconfiggere la paura di battersi, affrontando lo scontro a testa alta; subito dopo mi invitano ad unirci in battaglia, ormai manca poco. La sirena della torre magica del villaggio si illumina, c'è il richiamo e sono le 23:55. Adesso tutti sono fuori dalle case e 2 guardie della Forces Sacrificing controllano se tutto è apposto ed in regola per iniziare.

Intravedo i miei genitori e mia sorella Pam che escono di casa in mezzo alla folla e corro ad abbracciarli, forse l'ultimo

abbraccio della mia vita con loro, cerco di non piangere, ma il mio cuore lo fa.

Per le guardie delle Forces Sacrificing tutto è apposto, purtroppo si può iniziare. Una barriera di ferro chiusa si innalza

tra i 2 distretti per impedire a noi di fuggire. Sono le 23:57.

Si spengono tutte le luci tra i 2 distretti, non possiamo usare nessuna fonte di energia e ci fanno uscire dal villaggio del

distretto per entrare sul campo di battaglia. Un' altra barriera di ferro chiude i 2 villaggi e ad 800 mt del nostro piccolo

mondo, dall'altra parte del campo, vedo facce tristi ed impaurite, anche loro pronte a scontrarsi con noi, senza volerlo.

23:59:13 secondi... Mi batte il cuore, sono in mezzo a Moira e Argu, gli stringo le mani.

23:59:29 secondi... Mi infilo il Magic-Jacket per provare a parare i colpi laser.

23:59:45 secondi... Swelliston è completamente in silenzio, sembra come se il mondo si sia fermato.

Il tabellone del campo di battaglia segna 5 secondi all'inizio...... 4............

3............................... I secondi più lunghi della mia vita.

2................................................

1................................................

TO BE CONTINUED!

Perdonatemi qualche errore grammaticale, qualche ripetizione o se qualcosa vi sembra una cavolata. Ripeto che è la mia prima volta, spero vi sia piaciuto :)

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Penguin Ice


 


Il Leone d'Oro


 


 


Jakal era solo un schiavo,  ma visto che la maggior parte delle guardie reali erano già  state uccise o ferite, ora toccava anche a loro, sotto la guida degli ultimi alti ufficiali rimasti, dare la caccia al leone d’oro che stava spargendo il sangue in tutto il Regno da oramai dieci lune.


Era la seconda spedizione che Jakal affrontava, durante la precedente erano morti tutti e lui era stato l’unico superstite a fare ritorno a Castello Dolore.


Questa volta anche il diabolico Re Ignis, reso disperato dal terrore che quella belva stava seminando nel suo regno, aveva preso parte alla battuta di caccia.


Alcuni dicevano che il leone d’oro fosse un demone, altri che fosse la reincarnazione del Re Lion, l’antico sovrano assassinato da Re Ignis.


Viaggiavano da oramai tre giorni, e della belva, neppure l’ombra. Le altre pattuglie erano state sterminate molto prima e molto più vicino a Castello Dolore.


Ora si trovavano tutti intorno a un grande fuoco e stavano cenando. Il Re, nonostante fosse pieno di boria, non era uno stupido, e aveva messo numerose guardie armate di picche e archi lungo tutto il perimetro dell’accampamento.


Jakal aveva mangiato la sua razione da schiavo, solo un po’ di polenta di segale, e ora stava in disparte nella penombra. Osservava il Re bere e banchettare senza ritegno, a discapito di lui e di tutta la sua razza, resa schiava senza diritto alcuno.


Poi, mentre il banchetto stava per volgere al termine, decise che era il momento di agire, questa volta avrebbe vendicato tutta la sua stirpe, non sarebbe stato un semplice massacro.


Prese una pietra affilata dal terreno e si fece un profondo taglio nel braccio, la carne si apriva sotto il taglio duro della roccia. Il sangue prese a scorrere copioso, ma invece che cadere a terra, veniva riassorbito dalla sua pelle. Più ne veniva assorbito, più i suoi muscoli crescevano, si gonfiavano fino a quasi esplodere, si accasciò a terra, tossendo, qualcuno lo vide ma nessuno gli prestò caso. Il suo volto si allungò, divenendo un muso, e tempo un minuto la sua trasformazione si fu compiuta.


Era lì, fiero, con lo sguardo fisso sul Re. Era lui il Leone d’Oro. Due passi e un balzo e fu alla gola del Re, dilaniandola, le guardie più vicine, per il terrore, gli si gettarono addosso, ma la sua pelle era davvero dura come l’oro, e le punte delle loro lance si piegavano contro la sua forza. La maggior parte delle guardie si diede alla fuga, lui massacrò i pochi audaci rimasti e poi si addormentò quieto ai piedi della sua gente. Nei suoi sogni, erano già  uomini liberi.


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Here we go!


 


I treni di Otregarde


Uno scatto furtivo.


Un passo, un altro, un saltello,un altro ancora, un balzo in aria. Atterrai sulla mia preda in pochi attimi, affondando i denti in quella prelibatezza. Un aroma di sangue intenso mi pervase inebriandomi, mentre la mia lingua penetrava nei muscoli dell’animale, fino a raggiungere l’osso.


Sotto i miei colpi, la pantera moriva lentamente, lanciando ringhi strazianti, richieste di aiuto senza alcuna risposta, per poi lasciarsi abbandonare nella calura dell’Ade.


Riemersa dal piacere del mio pasto, pregai brevemente per l’animale da me ucciso. Una breve litania per assicurare a quel povero essere innocente un posto in Paradiso, per poi alzarmi cautamente e riprendere il cammino. La vera preda di quel giorno, però, attendeva ancora la sua fine, e non mi sarei mai ritenuta soddisfatta senza averla consumata e dilaniata.


Di nuovo.


 


Ammirai il paesaggio circostante, concentrandomi sui rumori della natura. La neve si era incuneata nelle dolci colline di Marval all’improvviso, preannunciando un inverno molto freddo. Dall’alto del colle su cui mi trovato era possibile spaziare la vista su tutta quell’immensa distesa di pascoli e alture, sommerse da un bianco strato ghiacciato, fino ad arrivare alle foreste nelle quali cacciavo, poco distante dal mio paese. Le rocce e i rivoli erano coperti e gelati dalla neve, che conferiva all’ambiente una particolare condizione di quiete infinita. Tutti i rami delle maestose sequoie parevano come soffrire sotto il peso della gelida polvere di ghiaccio, immago di una quiete fatale, mentre nel cielo si notavano le numerose striature dei camini del paese di Otregarde, il mio paese. La mia terra.


 


La regione di Marval sorge all’incrocio tra i fiumi Ervenna e Orena, due tortuosi corsi d’acqua non navigabili che nel tempo hanno profondamente modificato il territorio circostante. Un tempo Marval era una zona pianeggiante con numerosi boschi e pascoli, ma a seguito di una consistente alluvione con relativo straripamento del fiume Ervenna, la popolazione della zona, composta principalmente da maghi e creature mezzosangue, ha costruito imponenti opere di irrigazione controllata, che col tempo hanno completamente modificato ed eroso il paesaggio, rendendolo aspro e collinare. [...] Nella parte settentrionale di Marval sorge una delle poche cittadine in cui la coesistenza tra maghi e creature mezzosangue ha ottenuto nel tempo risultati invidiabili, ovvero la candida Otregarde, importante nodo di scambio commerciale e apprezzata meta turistica per la natura incontaminata che la circonda. Il Parco delle Alturie è situato a poche decine di chilometri dal paese, ed è possibile ammirare, in tale luogo, le sequoie secolari che, secondo la leggenda, furono piantate dagli antenati dell’intero Regno.


[Da “La geografia delle Terre dei maghi”]


 


Un cigolio metallico, uno sbuffo. Il rumore che stavo ardentemente aspettando.


Scattai in aria, librandomi nella pungente aria pregna di gelo e umidità , liberandomi dalle catene umane. In pochi istanti iniziai a sentire il classico sentore di nocciola amara in bocca; l’aria che penetrava tra le mie dita si fermò, stoppata da una cortina di cartilagine squamosa;  le spalle iniziarono a bruciare violentemente, e sentii i vestiti lacerarsi sotto la forza mortale delle mie ali. Il vento non mi poteva più scalfire, ero libera, libera e viva.


Aprii gli occhi: tutto era ora visibile, tutto era nitido e chiaro.


Da una galleria nascosta tra gli alberi innevati aveva fatto appena capolino un ospite tanto atteso. Una ferrosa locomotiva a vapore cigolava mestamente nella sua corsa verso la fine delle sue corse. I componenti erano candidamente dipinti di bianco e azzurro, riprendendo i colori della bandiera della regione da cui proveniva, la regione montuosa di Shinsen, regno indiscusso della magia. Subito dietro, una sola cabina male illuminata, con le finestre completamente chiuse, sbarrate con pesanti cortine di ferro e l’imperiale, il tetto della cabina, dipinto di un simpatico tono azzurro cielo.


Scattai in alto, librandomi nell’aere inquieto con una grazia inedita, ammirando il panorama della mia terra, per poi lanciarmi in picchiata verso la mia preda.


 


Tra i mezzosangue che abitano la regione di Marval, si annoverano le Arpie. Non sono esseri particolarmente comuni, ne esistono pochissime famiglie, che spesso negano la loro stessa natura, in quanto la loro reputazione è stata gravemente danneggiata nel tempo. Le Arpie sono, infatti, state da sempre le creature più sanguinarie tra tutte quelle che popolano le nostre terre: venivano infatti usate come milizie aeree nelle guerre tra regioni, riscuotendo sempre un crudele e mortale successo. Nelle credenze popolari, alle Arpie sono spesso attribuiti i crimini quotidiani come scassi e furti a causa della loro grande astuzia e capacità  fisica.


La fisionomia delle Arpie non è particolarmente complessa:esse appaiono come semplici esseri umani all’apparenza, ma possono trasformarsi se attivata una particolare ghiandola del proprio corpo, la cui espansione e secrezione di liquido velenoso è permessa solo tramite l’ormone dell’adrenalina. La trasformazione avviene grazie a particolari recettori sistemati sulla pelle che, stimolati dal liquido urticante, formano le squame della pelle, mentre la crescita repentina delle ali è permessa da una struttura chiamata “Reticolo membroalare” sistemato sulla schiena, che stimolato si espande, trasformandosi in una sottile membrana, successivamente forata da sostegni ossei espandibili tramite recettori a livello delle vertebre dorsali superiori. La coda piumata è celata in una specie di sacca a livello dei glutei, mentre le zampe si formano tramite la mutazione genetica repentina dei recettori posizionati sulle dita dei piedi. L’arpia è definibile come completa quando l’intero corpo, eccetto il torace, è ricoperto da squame. Tale condizione è raggiungibile tra i diciotto e i trentacinque anni di età .


[Da “Marval nei secoli”]


 


La littorina fischiò ancora, e in quel suono vi era un non so che di ansioso, disperato, frettoloso.


Quel rumore mi colpì come un pugno nello stomaco, riportandomi a ricordi che avrei preferito rimanessero sempre celati dentro la mia mente, ma allo stesso tempo amavo rievocare per soddisfare il mio istinto omicida. Quel bruciore nel petto, quel dolore ardente e malvagio mi straziava quotidianamente, chiedendo un riposo. Ammirai dall’alto quelle piccole cabine bianche e azzurre, scorgendo in qualche remoto spazio della mia parte umana le immagini che segnarono la mia vita anni prima, cercando di rivivere quei momenti per caricare la mia ira.


Guardai di nuovo quella maledetta littorina, con le lacrime agli occhi. Ciò che avrei fatto era riprovevole, un atto che avrebbe animato l’opinione pubblica ancora una volta, ma ormai ero abituata a quel sentimento di ribrezzo verso me stessa: ciò a cui non mi sarei mai abituata era il dolore per averlo perso.


Non ero più nulla nemmeno per me stessa.


Nessuno sarebbe mai più arrivato a Otregarde da quella maledetta regione.


 


Disastro sulla linea Shinsen – Marval


Nella giornata di ieri, sulla linea che conduce da Shinsen a Marval, si è consumata una terribile tragedia, che ha scosso gli animi di tutta la popolazione. Il treno diretto alla cittadina di Otregarde ha preso fuoco a pochi chilometri dalla cittadina. Nessun passeggero è sopravvissuto al disastro. Sul treno erano presenti ventisette persone, più il conducente e il controllore del treno. Il Tribunale dei Maghi di Marval ha già  avviato un’inchiesta sul disastro, che pare sia stato doloso. Non si conoscono attualmente dinamiche e indagati. La popolazione di Shinsen è tenuta ad indossare la cintura di lutto per i futuri dieci giorni, per commemorare questa immane tragedia, che si spera possa essere presto chiarita.


[Da “Il corriere di Shinsen”]


 


Repentinamente, sfrecciai in direzione del treno, atterrandovi sopra con un tonfo secco. Sentii la gente all’interno mormorare. Mossi qualche passo a gattoni, afferrando i corti rialzi dell’imperiale del treno, cercando di non farmi sentire, lasciando così ai passeggeri il vano sollievo di essere salvi, per far provare loro quel sentimento di speranza dolorosa che avevo provato io, quell’inutile speranza evanescente che contorna i momenti prima di ogni dolore.


Fu un attimo, e iniziai a grattare le unghie sul freddo acciaio, scrostando la vernice celeste. Uno stridio agghiacciante, che venne subito accompagnato dal panico della gente all’interno. Mi rimisi in posizione eretta, e con uno slancio deciso mi librai ancora una volta in volo.


La littorina proseguì la sua corsa verso Otregarde, accelerando. Quella reazione non mi stupì: ormai le misteriose esplosioni in quel tratto di ferrovia erano diventate un oscuro caso in tutto il Regno, un’assurda coincidenza, una maledizione. Nessuno era mai sopravvissuto per raccontare di aver visto una giovane arpia mettere tutto a soqquadro e distruggere le vite di quelle persone. Nessuno era mai arrivato a me.


 


Caro Diario,


Ho perso la mia strada in una notte d’estate. Il faro che m’illuminava, rendendo la mia vita serena, normale, allontanandomi dalle strade della perdizione. Lo amavo, e ora è morto. Non ci sono altre parole per addolcire questo amaro concetto. È morto, non è più con me.


Ricordi di quando mi disse di dover andare a Shinsen? Di quando decise di accettare quell’incarico per giovani maghi? Per me inizialmente era come morto. Non vederlo ogni giorno, non poter toccare la sua pelle e rabbrividire a ogni sua parola, non poter averlo accanto e sentire il suo respiro, non poter sfiorare i suoi capelli e baciare le sue labbra... La lontananza mi sembrava come la morte, ma ancora covavo la speranza. E questa speranza si stava finalmente concretizzando, quel giorno sarebbe tornato, l’avrei rivisto. Invece, è morto. Morto per un’esplosione. Morto senza colpa, senza avermi permesso di vederlo quell’ultima volta. Ebbene, la stoltezza degli esseri umani mi ha privato di ciò che avevo di più caro: io priverò loro di questa terra, di questo paese. Il suo ricordo non sarà  mai inquinato da altri maghi pronti a invadere Otregarde con la loro dubbia potenza. Le briglie che soavemente cingevano il mio cuore sono state sciolte con brutalità  inaudita.


Nessuno potrà  più raggiungere Otregarde da vivo.


 


Scorsi dietro gli alberi lo sbuffo di fumo della littorina, quasi una richiesta di aiuto. Era il primo treno, quel mese. Dopo i primi disastri, Otregarde era ormai divenuta un luogo dannato, una favola per i bambini cattivi. Pochi temerari vi si avvicinavano, quasi nessuno via ferrovia. Eppure, per gusto o necessità , ancora qualche folle osava timbrare quei biglietti e imboccare la strada della morte: disperati, suicidi, bisognosi, debitori.


Per loro era come firmare il biglietto per la propria morte.


Ma non me ne curavo. Non c’era lui, non ci sarebbe mai più stato.


Sbattei le ali violentemente, riprendendo il volo verso il treno, sfrecciando sui colli e beandomi dell’aria che oltrepassava le membrane delle mie ali, facendolo vibrare con un sibilo secco. Volteggiai lievemente attorno all’unica carrozza passeggeri, facendomi notare il più possibile. Ormai le urla di disperazione erano svanite nella mia follia omicida. Nessun rumore, nessun rimpianto.


Afferrai con le unghie il metallo sotto di me, lacerandolo sgraziatamente. Alcuni maghi avevano già  iniziato a preparare magie contro le disgrazie, le fiamme, i demoni. Nessuno aveva pensato a preparare magie contro un’Arpia o un qualsiasi altro essere mezzosangue, anche solo temendo di essere apostrofati come razzisti, come b*stardi, magari rischiando anche di essere radiati dal buonista Ordine dei Maghi, che imponeva il massimo rispetto verso ogni forma di vita. Una stupidaggine che aveva e avrebbe posto fine alle inutili esistenze di quegli esseri deboli, capaci solo di pronunciare una frase in latino, sentendosi poi possessori dell’intero mondo.


Divelsi l’imperiale della cabina in un solo gesto, ammirando per un attimo i suoi riflessi rilucenti alla luce lunare, per poi buttarmi all’interno del treno, atterrando con le gambe sul collo di una giovane ragazza, che recisi con gusto, per poi ammirare la testa mozzata caduta per terra, il cui sangue zampillante paralizzò in un attimo tutto il resto dei passeggeri, rotolare di nuovo sotto i miei piedi.


“Siete pochi, questa volta” sorrisi, ammirando i quattro giovani davanti a me, di cui uno, disperato, si gettò sul corpo decapitato della ragazza morta.


“La amavi” sussurrai, atona, guardando quell’atto di affetto “E la raggiungerai presto, non preoccuparti”.


“Perché fai questo?” strillò il giovane, digrignando i denti per la disperazione.


“Anche io ho amato” continuai, con la gola in fiamme “Anche io ho perso la persona a cui ho voluto più bene nella mia intera esistenza”


Scalciai la testa della giovane contro il suo amato, godendo delle urla di disperazione e di odio.


Notai che i maghi alla mia destra avevano iniziato a preparare un incantesimo contro di me, una timida luce fluorescente che sarebbe servita davvero a poco. Aprii le ali, colpendone uno in pieno petto, per poi continuare a lacerare il suo corpo fino al mento, lasciandolo cadere in un lago di sangue, gemente e agonizzante. Lo stridore delle ossa a contatto con le mie ali squamose si confuse per un attimo con il rumore delle rotaie.


“Io non ho potuto amare” continuai tranquilla, mentre mi avvicinavo all’altro mago a destra, ora paralizzato dal terrore e con una ridicola espressione boccheggiante, rivolgendomi però sempre al ragazzo steso a terra sul corpo spezzato e senza vita sua amata “Io ho perso l’amore qui, durante la prima esplosione, e ora la mia vita non ha senso”


“Trovi il senso uccidendo tutti coloro che calcano questa tratta ferroviaria?” urlò tra i denti il ragazzo â€œÈ una follia, non troverai mai pace con il sangue”


“Invece la sto trovando ora” strillai compiaciuta, affondando i miei artigli nel cuore del terzo mago, a bocca aperta tra dolore e stupore.


La parola “Demutationi”, gli morì in bocca sul nascere.


“Consolati, quell’incantesimo non funziona, ci hanno provato in molti, e hanno fatto la tua stessa fine” gli sussurro nell’orecchio, per poi sfilargli gli artigli dal cuore, lasciandolo cadere a terra, morto.


Leccai con gusto il sangue rimasto sulla mano, per poi lanciare uno schizzo di veleno in direzione della cabina del conducente, che immediatamente prese fuoco. Sorrisi, tutto stava andando perfettamente.


Il giovane si voltò verso l’incendio, attirato dalle urla del conducente e del controllore, arsi vivi nel mio dolore, per poi farsi coraggio e avvicinarsi a me.


“E va bene, uccidimi” sussurrò, con la voce straziata dal dolore “Anche io ora non ho più senso, senza di lei”. Si avvicinò per un attimo alla testa mozzata della sua amata e si chinò su di essa, baciandola dolcemente sulle gelide labbra schiuse per sempre dal rigor mortis, per poi pararsi di nuovo davanti a me.


Fu come se il mio corpo iniziasse a reagire contro la mia stessa volontà , ma cercai il più possibile di controllarmi. Gli occhi iniziarono a bruciare, quasi fosse stato il mio stesso veleno a incendiarli, ma non potevo piangere, non era questa la mia missione. Io ero una macchina da guerra, non dovevo far trasparire alcun sentimento della mia parte umana. Non dovevo.


Eppure... Eppure ero lì, davanti alla persona da uccidere, ferma a guardare quegli occhi azzurri, ripetendo un inutile mantra assassino nella mia mente completamente pervasa dall’incertezza.


“Cosa aspetti?” chiese il giovane, con voce rotta dal pianto “Uccidimi ora, non ha senso aspettare”


Tentennai, e la mia ultima vittima si avvicinò ancora di più.


“Uccidimi!” strillò, disperato, tra i singhiozzi.


Non riuscii più a trattenere il pianto, e indietreggiai, tornando umana. Il dolore di quel ragazzo era così simile al mio... Mi sentii per la prima volta davvero colpevole di una vera tragedia.


“Scusami” sussurrai, tra le lacrime â€œÈ che non potrei mai immaginare che qualcuno possa prendere il suo posto a Otregarde, io... Io ho sempre avuto paura di amare, eccetto che con lui, e perderlo è stato terribile...”


Il calore delle fiamme mi investì improvvisamente. Stavo bruciando anche io, per la mia stessa follia omicida, che lentamente pareva estinguersi in un lago di lacrime.


Fu allora che percepii un forte vento caldo sulla pelle, e successivamente una morsa infuocata per tutto il corpo. Urlai, terrorizzata. L’incendio della locomotiva aveva raggiunto la cabina passeggeri con la stessa velocità  di sempre, coadiuvato dalle vernici scadenti con cui erano dipinti gli interni, e puntava a me, a noi, per ucciderci.


E forse, sarebbe stato meglio così.


Sentii qualcosa afferrarmi il petto e buttarmi via, nella neve fredda. L’impatto col gelo fu quanto di più doloroso ricordi. Un dolore beffardo, fisico e mentale, una presa di coscienza. Ogni singolo granello di gelo era come un ago sulla mia pelle ustionata dal dolore. Lottai contro l’idea di cosa fosse davvero successo, rifiutai di capire e di accettare quella beffarda evenienza, con le lacrime agli occhi.


Schiusi le palpebre, guardandomi intorno. Poco lontano da me, la littorina, ormai ridotta a uno scheletro di ferro, bruciava ancora, al suo interno quelle poche persone che avevo ucciso, i cui corpi erano adagiati nelle lingue di fuoco, e ormai non più riconoscibili.


“No...” balbettai tra me e me, riprendendo a piangere. Quel mago mi aveva salvato, buttandomi fuori dalla cabina, senza alcun motivo.


Restai lì, sulla neve, davanti al disastro che avevo provocato, di fronte a tutti i morti sulla coscienza che chiedevano salvezza, di fronte a quell’ultimo gesto inaspettato.


Aspettai la fine, seduta a piangere.


 


Alla domanda del giudice di esporre una testimonianza che potesse scagionarla, ella rispose con voce rotta dal pianto di non avere alcuna scusa, attirando così su di lei l’attenzione e lo sconcerto dei presenti. Il Mostro di Otregarde, dunque, si pronuncia così:


“Potrei dire di essere stata coinvolta mentre cacciavo, potrei dire di aver visto il treno in fiamme e cercato di salvare la gente al suo interno, ma mentirei. Il mostro di Otregarde sono io. L’unica verità  è quella di essere stata sopraffatta dal dolore e dalla follia. Il dolore di una perdita, dell’unica perdita che non avrei mai accettato, mi ha sopraffatta completamente, e non sono mai riuscita a smaltire il conseguente senso di incompletezza. Ho dunque ceduto all’istinto, l’istinto umano di ragazza ferita e disperata, capace di tutto, e questo istinto mi ha portato a uccidere per amore, senza alcun motivo e senso ben preciso. I miei atti sono stati puramente egoistici, il donare ad altri quello che è stato dato a me, ovvero un dolore straziante, che mi ha dilaniato e mi dilania tuttora. Ho ceduto, ho perso, con lui sono morta anche io, e non ha senso che io resti a donare solo tristezza per trarne una fugace soddisfazione. Il dolore è sempre presente qui, dentro il mio cuore, che vorrei strappare via adesso, davanti a tutti voi. Sa, signor giudice, in qualche modo forse ho anche fatto del bene a queste persone. Timbrare quel biglietto significava la morte, e loro l’hanno accettata... non ho mai trovato un treno diretto a Otregarde vuoto: c’era sempre qualche disperato, qualche curioso, qualche folle come me. È difficile capire quanto la mia psicologia abbia creato, in questi mesi, quali logiche, quali ideali, ho solo la certezza di non saperlo più, come se quella notte fosse stata per me una sorta di varco, di contrappasso verso me stessa. Sono pentita, signor giudice, ma le mie parole serviranno a poco, voglio che servano a poco, perché l’unica mia voglia ora è raggiungerlo. Mi scuso con tutte le famiglie a cui ho fatto del male; so che questo non potrà  mai colmare il vuoto che ho lasciato. Accetto dunque qualsiasi vostra sentenza, sperando che il mondo possa presto fare a meno di me”.


[Da “Il mostro di Otregarde – Dalla genesi alla sentenza]


 


Ho smesso da anni di correre dietro ai treni di Otregarde. Non avrei mai potuto vincere una sfida del genere contro il destino, come non avrei mai potuto pensare di poter ancora uccidere per un misero egoismo. Il cerchio della mia disperazione si è chiuso così, con una sentenza di reclusione forzata in una clinica mentale. Il mio corpo, la mia mente, la mia anima rifiutavano quel luogo, quelle mura scrostate dall’umidità , quei falsi sorrisi di persone che supponevano di farti del bene, tanto che chiesi più volte di poter morire e tentai altrettante volte di compiere l’ultimo gesto autonomamente, ma il mio corpo da Arpia attutiva ogni caduta, bloccava ogni pugnale, rigettava ogni medicinale e veniva facilmente sanato da banali incantesimi. Fu in quel luogo di disperazione che maturai sempre più l’idea di essere ormai condannata all’eternità  al rimpianto; maledissi e pregai ardentemente per la morte di coloro che mi avevano rinchiuso tra quelle mura, arrivando a compiere riti satanici per favorire la fine dei loro giorni. Magie nere, formule astruse e bizzarre, che si concludevano con un malato senso di realizzazione, a cui seguivano infinite preghiere per purificare il mio animo.


Continuai a marcire per anni dentro quella gabbia di matti, deteriorando il mio corpo e il mio spirito, fino alle allucinazioni. E lo vedevo accanto a me, gli parlavo, il mio cuore pareva aprirsi, fino al momento in cui, con la stessa velocità  con cui la mente me lo proiettava accanto, scompariva nel cielo in una nube di vapore.


Restai a guardare lo scorrere delle nuvole per metà  della mia vita, attendendo che le mie visioni tornassero a donarmi quell’attimo di gioia immane, quando la chiave stessa era rinchiusa soltanto dentro di me.


 


Uscii dalla clinica anni e anni dopo, mutata completamente in ogni mio ambito.


Fu una strana sensazione tornare ad assaporare la libertà , anche perché non sarei mai stata libera completamente: non è possibile essere liberi da sé stessi. Sperai di dimenticarlo, di smettere di rievocare il suo volto.


Forse avrei solo dovuto accettare la realtà .


Tornai su quei binari della disperazione in una giornata d’autunno. Le foglie dei castagni, ingiallite e morte, decoravano di mille tonalità  di giallo la strada verso la stazione di Otregarde, quasi simboleggiando l’autunno interiore nel quale ero ormai sprofondata. Entrai nell’edificio, ormai rimodernato e differente rispetto ai miei ricordi, con un mazzo di crisantemi rossi. Quel luogo era ormai un dolore alla sola immaginazione, per me, eppure ritornare a guardarlo con i miei occhi mi diede la certezza che ormai quella stagione della mia esistenza fosse conclusa.


Posai il mazzo di viole sulla stele commemorativa di tutti i morti delle tragedie ferroviarie di Otregarde. Il suo nome era esattamente davanti a me, come mi chiamasse, implorasse di arrivare da lui. Appoggiai le labbra raggrinzite sulla fredda pietra, crollando in un pianto mesto e silenzioso. Le lacrime di disperazione si persero nelle pieghe della mia pelle stantia, per poi raggiungere in poche linee trasparenti il mio collo raggrinzito. Consumato il bisogno di piangere, mi sedetti su una panchina ormai arrugginita dal tempo, con un senso di stanchezza fisica e mentale mai provato prima. Presi frettolosamente una penna e un foglio, iniziando a scrivere questi pochi fogli. L’ultimo gesto della più crudele assassina di Marval.


 


“Signora, deve entrare? Se vuole, l’aiuto!”


Mi volto, è giovane controllore, affacciatosi da una cabina del treno diretto a Shinsen.


Una goccia di pioggia mi bagna la guancia. Guardo il cielo, sta per piovere.


“No” rispondo, con gli occhi lucidi “Aspetto un altro treno”


Mi alzo con sforzo immane, consumando ogni energia rimasta nel mio corpo e lasciando quei fogli sulla panchina, in attesa che qualcuno li leggesse, magari comprendendo meglio di me la mia condizione interiore. La nebbia ha ormai conquistato ogni spazio di terra attorno alla stazione. Con dolore immane, provo a muovere un piede, un altro ancora, e ancora avanti, verso il candido manto di nebbia, scomparendo agli occhi del mondo.


In quella nebbia tendente al nulla eterno, ritrovai me stessa, facendo ormai scomparire dalla mia mente quel reo tempo che anni e anni addietro mi trasformò in belva, il cui spirito guerriero ormai ha smesso di ruggire, per lasciar spazio alla consapevolezza dell’età .


E le forze, le forze perse nell’aria candida, come se ormai tutto fosse relativo e inconsistente. Una piacevole condizione di benessere a cui non ero più atta a credere, una privazione sensoriale divina.


“Arrivo”, sussurro, librandomi in volo verso la fine dei miei giorni.


Il biglietto per il Paradiso è il pentimento.


Il treno per i Cieli è la speranza.


Nella morte, finalmente, vivo.


 


 


Note dell'autore



Ho scritto il racconto per esercitarmi nel donare ai personaggi delle emozioni chiare, una certa introspettività . Proprio per questo, possiamo notare la totale assenza di riferimenti al nome o all'aspetto fisico del protagonista, ma si ha solo la descrizione della propria persona interiore. Dal dolore, al pentimento, al degrado interiore. Nel testo è possibile notare a volte qualche cosa di già  sentito. Ho inserito infatti nel brano alcuni riferimenti alla poesia "Alla Sera", di Foscolo, in quanto trovo che il concetto di "sera" e di pace interiore, ma allo stesso tempo malinconia, strida in modo sostanziale dal dolore interiore di cui è pervaso il brano. Strano che le parole della poesia, pregne di pace, possano essere inserite in un testo pregno di dolore.


Infine, il passaggio al presente finale è ovviamente voluto, come a significare, in parole spicciole, che la protagonista ha finito di scrivere il proprio racconto, concludendo la propria avventura nella storia e nella vita.


Thanks, spero di non avervi deluso, e scusate la lunghezza.



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THE GOD’S BRUSH


 



<<Luci dell'alba, portate il chiarore


mondo di sabbia, non bruciare il mio cuore.


Se il nulla ti schiaccia, tu dagli un nome.>>


 


C’era una volta, quando ancora il mondo non era stato creato e il nulla regnava sovrano, in un eterno bianco spento, un Dio solo; che solo era nato e che solo viveva, chiedendosi il perché di quella vuota esistenza.


Un giorno nella disperazione si staccò una costola e legandovi alcuni capelli creò il primo pennello.


Intinse il pennello nei riflessi che il bianco gettava, poiché era nel suo nulla che tutti i colori rimbalzavano e si mescolavano tra loro.


Ne riuscì a catturare tre e ne fece altrettante pozze profonde dal quale potesse intingere a suo piacimento.


Una pozza era accesa, luminosa e accogliente: la chiamò giallo, un suono bello e accogliente come la luce che emanava.


La seconda pozza era profonda, fredda e sinistra: a questa diede il nome di blu; un suono altrettanto pieno e fondo.


La terza pozza era forte, energica ed emanava calore: gli diede il nome di rosso, un suono forte enfatizzato dalle due “sâ€.


Aveva così creato i primi tre colori che presero quindi il nome di “colori primariâ€.


Dapprima intinse nel blu e dipinse la volta celeste. Ma quel cielo blu era troppo scuro e il Dio finiva per non vederci bene. Allora intinse nel giallo e punzecchiando il cielo creò tante piccole luci: le stelle.


Così il buio fu rischiarato ed egli poté vederci meglio.


Dopo prese il rosso e colorò sotto i suoi piedi così che potesse finalmente appoggiarli al suolo. Da subito però questi cominciarono a scottare, ed egli cadendo rovesciò il giallo nel blu che prese una nuova sfumatura spenta e primitiva. Il verde.


Il dio scoprì così che mischiando i colori tra loro poteva ottenerne di nuovi.


Cominciò a sperimentare e trovò il colore adatto alla terra; un colore ne troppo caldo ne troppo freddo, che accoglieva perfettamente la pianta dei piedi: il marrone.


Scoprì i sensuale viola, il caloroso arancione e il leggero turchese… e così via, tutti i colori del mondo cominciarono a nascere.


Però nonostante le stelle illuminassero nel loro piccolo la volta celeste, era ancora troppo buio.


Il Dio prese allora un giallo tenue e dipinse un grande cerchio tra le stelle a cui diede il nome di luna. Ma ancora non era sufficiente, quindi prese il giallo più intenso che avesse e dipinse un altro cerchio più grande dalla parte opposta alla luna. Creò così anche il sole. Questo era talmente luminoso che rischiarò tutto il cielo facendo sparire luna e stelle. Ora finalmente il Dio riuscì a vedere bene ciò che stava creando e lo trovò molto bello, ma anche molto vuoto; perché nonostante tutto lui era ancora solo.


Prese dunque il suo pennello e dipinse un essere simile a lui, ma più carino e di buona compagnia e decise di prendersene cura.


Era una bambina bellissima dalla pelle morbida e rosea. I cappelli lunghi fino alla cinta erano bui come il cielo quando ancora era privo di stelle e i suoi occhi riflettevano le luci dell’arcobaleno. Le donò una veste leggera di velluto turchese e la chiamò Eva.


Dopo tutto ciò che aveva compiuto, il Dio cominciò a sentirsi stanco e volle riposarsi, ma la luce del sole era troppo forte e non gli permetteva di dormire.


Prese nuovamente il blu della notte e ripassò sopra il sole. Ecco allora che si fece nuovamente tutto buio e luna e stelle riapparvero. Capì così, che ogni volta avrebbe dovuto spegnere e riaccendere il sole.


Avvenne dunque un giorno che il Dio venne a mancare, poiché nulla è eterno, lasciando il mondo ancora incompleto ed Eva da sola.


La ragazzina ottenne in eredità  il pennello magico del padre e cominciò ad esplorare il creato riempiendo qua e la gli spazi bianchi.


Usando la propria immaginazione creava intorno a se creature di ogni genere: scoiattoli, cani, leoni e orsi, saltavano e correvano ovunque, salutando gentilmente la bambina quando la vedevano passare.


Il preferito di Eva era una lucertola cornuta del deserto dalla quale non si separava mai.


La lucertola, che era di dimensioni spropositate rispetto alle altre della sua specie, permetteva alla ragazzina di spostarsi sulla sua groppa.


Le aveva dato il nome di “Drago†e lui portava quel nome con fierezza, poiché nessuno tra gli altri animali aveva un nome proprio.


Provò anche a creare altri esseri simili a lei e nacque una famigliola felice. Diede loro una casa e li nutrì con sconfinati frutteti.


Alla fine però preferì non rimanere con loro. Non sentiva di appartenere a quella famiglia che lei stessa aveva creato.


Tutto in quella valle di bontà  e perfezione continuava in maniera così monotona.


Ogni giorno e ogni notte la bambina saliva con Drago sulla montagna più alta per ridipingere il cielo.


Eva si annoiava a morte e ormai non sapeva più che inventarsi.


Un giorno mentre annoiandosi osservava un fringuello bere in una pozza d’acqua decise di fargli uno scherzo e cambiò il colore azzurro dell’acqua in un forte verde acceso. La bambina pensava che l uccello si sarebbe colorato tutto il becco di verde e accortosi di ciò si sarebbe messo a ridere con lei.


Il fringuello ignaro continuò a bere, finché ad un tratto stramazzò al suolo.


Eva non capiva cosa fosse successo e si avvicinò al corpicino del piccolo fringuello che non si muoveva più.


Non poteva saperlo ma aveva cambiato l’acqua in una nuova sostanza: un potente e mortale veleno.


Ogni cosa è perfetta se del suo giusto colore, solo così tutto è in armonia con la propria funzione; e il verde non era sicuramente un colore da bere.


Dopo aver creato la vita insieme al padre, ora la piccola Eva aveva creato la morte, ed aveva anche compiuto il primo male.


Non capiva il senso di quella scena, ma grosse gocce d’acqua cominciarono a scenderle dagli occhi; giù, giù lungo le guance, fino a sfracellarsi al suolo. Eccola. L’acqua che l uccellino doveva bere. L’acqua del colore giusto.


Da ogni dove cominciarono ad apparire ad uno ad uno ogni sorta di animale, che fissavano la scena interrogativi.


Animali dal bosco, dalla terra e dal cielo. Persino la famigliola umana spuntò ai margini del bosco, ma subito abbassarono lo sguardo, si voltarono e, portandosi dietro una scia di dolore, si riaddentrarono nella fitta vegetazione.


All’unisono tutti gli animali cominciarono a sputar sentenze contro la piccola.


Sempre più arrabbiati si agitavano, spingevano e avanzavano verso di lei, rimproverandola severamente.


<< state tutti zitti!>> urlò la fanciulla con quanto fiato aveva in gola.


Subito le voci cessarono; le parole sparirono.


Al loro posto: ringhi, nitriti, ruggiti, barriti, stridii ed ogni sorta di verso si levò in un caos senza fine.


Le bestie come impazzite, come attraversate da un mostro famelico si avvicinavano sempre più minacciose verso Eva. Tutti tranne il suo Drago, che le si avvolse attorno per proteggerla.


Lupi, linci e orsi addentarono la dura pelle coriacea della lucertola con una furia famelica, mentre il male si espandeva tra loro come un epidemia che oscurava le loro menti.


<<Dobbiamo andarcene di qui!>> urlò la ragazza a Drago cercando di sovrastare i versi degli animali << Ci circondano! L’unica via d’uscita è il cielo!ma come…>> folgorata da una nuova idea salì in groppa a Drago. Prese il grosso pennello legato ben stretto dietro la schiena e gli dipinse due immense ali.


<< Forza piccolo mio. Non sei più una bestia della terra, ora sei una creatura del cielo>>


Drago si alzò imponente sulle zampe posteriori ruggendo il suo amore per la piccola creatura che le sedeva in groppa.


Sbattendo le nuovi ali con forza, si alzò dal suolo mentre Eva si reggeva stretta alla cresta coriacea dell’amico e, mentre il cielo si avvicinava sempre più, laggiù gli animali continuavano ad agitarsi come tante piccole formichine su una fetta di torta.


Espandendo lo sguardo un po’ al di là  di quella scena, un intero mondo apparve ai loro occhi.


Drago ed Eva ammirarono meravigliati il paesaggio al di sotto. Al di la dei boschi, dei fiumi e del deserto colmi di colori, ancora si estendeva il bianco del nulla fino a perdersi nell’orizzonte.


Una desolazione così immensa, abbandonata a sé stessa.


Tutto aveva così poco senso ora che lo vedeva da lassù. Era tutto così poco, così insensato, che le salirono le lacrime agli occhi.


La lucertola emise un grugnito meravigliato.


<<Oh no… tu no Drago. Tu puoi parlare>> ridacchiò lei.


<<Grazie amica mia>>


<<Ora però sono veramente stanca. Voglio dormire un po’>>


<<Rabbuia il cielo così i tuoi occhi stanchi potranno riposare>>


<<No, non ce ne sarà  bisogno… Voglio isolarmi un po’. Ho bisogno di pensare e riposare in pace, lontana dal mondo. Andiamo sulla montagna più alta. Portami là >>


<<Come desideri padroncina>> accettò infine Drago solenne.


I due volarono leggeri come una nuvola che si sposta. Volarono attraverso le correnti, trasportati dal vento, fino a giungere alla montagna più alta di tutte.


Nessuno più la vide tornare e il mondo che lei ed il padre avevano creato, rimase abbandonato a sé stesso, nel caos e nella paura. Ma anche in mezzo ai mille colori della vita e della morte.


 



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                                                                   Pikapika 34


                                                          


 


                                                 *Trasformazione*


In una lontana terra desolata,viveva un cavallo, normale come tutti.Ma aveva qualcosa di speciale


,aveva un colore molto diverso dagli altri cavalli.Il colore era violetto.Lui ne era contento .Infatti si vantava come un matto,ma visto che non aveva nessuno per farglielo vedere lo mostro alla Luna.A lei 


  non piaceva quel comportamento,e decise di farli un sortilegio,quando lui non


se lo aspettava.Passarono giorni e notti, fino a quando  si preparò,fece una grande sfera nera e l'gliela lanciò contro.Dopo pochi urli,il cavallo si ritrovò con un corno viola come la pelle, ma intorno c'era un fumo spettrale.Lui 


lo volle provare, ma ogni volta che diceva "Fammi diventare più bello"...il corno fece un pugno d'ombra e glielo lanciò


contro.Egli non sapeva che fare.Decise di continuarlo a fare fino alla fine.Ma fu sempre un fallimento.Ovviamente la Luna rideva a crepapelle.Il cavallo era molto triste.Ma un brutto giorno di pioggia e nuvole coprirono la Luna.Lui chiese alle nuvole di levargli il sortilegio.Le nuvole dissero di no perchè dopotutto se  l'è  meritato.Il cavallo ripensò ai giorni di cui era vanitoso e ogni volta che li pensava diventava sempre più triste.....Un bel giorno di sole,ripenso al corno.E disse dentro di se se potesse chiedere al Sole di levargli il sortilegio dal corno.Lui ci provò.Visto che il Sole era molto generoso accettò.Con una carica di luce solare creò una palla infuocata e glela lanciò contro.Topo un po di urli e urletti si ritrovo con il corno senza fumo.Era felicissimo.Ringraziò Sole e se ne andò.Visto che il corno era così bello si volle chiamare Unicorno, per un corno solo che ha in fronte.Lo disse al Sole,alle Nuvole e persino alla Luna.Lei  era molto contenta per lui e per il suo nome.Un giorno Sole decise di farlo diventare un Pegasus  per la sua generosità ,di nascosto creò una palla di fuoco e gliela rilanciò contro.Dopo un urlo assordante l'Unicorno si ritrovo con un paio d'ali bellissime color violetto.Ringraziò sole e disse come si poteva chiamare.Il Sole disse Pegasus.Lui accettò.Lo disse di nuovo alle nuvole e alla Luna.La Luna era molto più felice di prima.E da quel giorno diventò un Pegasus felice.


                                                   FINE

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Grovyle96


 


Il vecchio errante


 



Quelle scarpe sfilacciate e malridotte battevano incessantemente sulla lunga strada in terra battuta, alzando un polverone che svaniva nell’aria, nella buia e fredda aria illuminata dalla luna, che era ad una notte dalla sua completa pienezza. Non si distingueva il colore oramai, neanche alla luce del giorno. Erano state un tempo probabilmente nere, oppure bianche. O addirittura erano sempre state marroni come la terra. Ma a lui non importava. Era un tipo solitario, difficile da descrivere: non si curava molto del suo aspetto esteriore e degli indumenti. Aveva i lunghi capelli e barba di un calcato grigio cenere, che gli donavano un aspetto antico e in un certo senso maestoso. Sotto le sopracciglia irsute, comparivano due stanchi occhi verdi, che scrutavano il buio paesaggio. Era vestito di una grande tunica marrone che gli stava un po’ grande. Camminava incessantemente, forse da ore, per una strada che attraversava una grande pianura e poi che si gettava verso un vasto ed intricato bosco. Nonostante fosse al buio, sapeva benissimo dove andare. Aiutava il suo vecchio passo con un bastone di quercia, levigato e dalla forma intricata verso il centro, ovale sulla cima.

Si fermò nel cuore del bosco, guardandosi intorno. In quel punto gli alberi si aprivano, mostrando il cielo e la luna. Il silenzio era forte, non tirava un filo di vento e gli animali dormivano, eccetto qualche bestiolina notturna il cui verso si udiva in lontananza. Ma l’uomo non era affatto tranquillo. La luce, già  debole, sparì lentamente a causa di una nuvola nera. Una specie di sibilo e una folata di vento generarono qualcosa di pesante che ringhiava e aveva due occhi gialli che osservavano il vecchio e non sembravano aver dato pietà  a nessuno in tutta la loro vita. Occhi gialli, aggressivi, che osservavano, scrutavano e sghignazzavano in profondità . Scoppiò una risata sinistra, e all’improvviso una luce illuminò il volto di quell’essere. La luce proveniva dalla cima del bastone del vecchio, come se fosse stata una magia a farlo. Il muso del lupo venne illuminato, nessuno dei due mostrava stupore. Dopo qualche attimo di silenzio l’animale cominciò a girare lentamente intorno all’uomo, come se da un momento all’altro dovesse saltargli addosso per sbranarlo.

“Fearghas – disse all’improvviso con una voce molto rauca e profonda – è quasi autunno. E ancora non hai fatto il rito della luna piena. Cosa ti prende, i fantasmi del passato ti tormentano? Hai paura che succeda come…â€

“No, Thraygh. Non ho trovato il posto giusto, ecco tutto. Ora, se permetti, devo arrivare in…†Il vecchio esitò.

Il lupo scoppiò in una fragorosa risata e la cosa fece irritare non poco l’uomo, che si girò e continuò il suo percorso, con la stessa andatura non troppo lenta e neanche veloce. Da lontano il lupo gli urlò contro “Ricorda che la sofferenza che provi è nulla in confronto a quella che ti darò ioâ€, per poi scoppiare in un fragoroso riso sinistro che sfociò in un ululato alla luna, che nel frattempo era tornata a splendere debolmente.

 

Fearghas era un druido nato parecchi secoli prima, forse l’ultimo della sua gente. Per poter rimanere in vita doveva praticare un rito ogni anno, ma solo quello estivo gli garantiva qualche anno in più rispetto agli altri. E lui non li praticava da cinque anni circa, per cui la sua stessa esistenza era in pericolo. Aveva in un certo senso una specie di rifiuto verso questi riti, probabilmente per la sofferenza a cui il lupo si riferiva.

Il bosco era finito e l’alba oramai svanita, mentre l’uomo continuava a camminare con passo svelto e deciso. Pensava. Un volto maschile gli balzò in mente e scosse la testa per cercare di dimenticarlo.

Arrivò in cima ad una collina. Questa aveva rocce grigie e lisce, disposte in modo da formare un grande  cerchio. Al centro di questo l’erba era stata bruciata e formava un altro cerchio. Da una tasca estrasse una piccola gemma color zaffiro e la mise al centro di questo piccolo cerchio. Si sedette fuori e iniziò a meditare. Quella era la preparazione al rito che doveva svolgersi tra qualche giorno. Non aveva bisogno di nutrimento e neanche di sonno: il rito, essendo magico, garantiva quel tipo di protezione.

La gemma pian piano cominciava ad acquisire luce e una volta arrivata la luna piena avrebbe raggiunto le dimensioni di una palla da calcio.

Mancava ancora un po’ prima che la luna piena arrivasse e in quel lasso di tempo pensò al suo passato.

Decise di diventare Druido perché a quei tempi i Romani, invasa la Gran Bretagna, avevano dato loro dei benefici come non pagare le tasse e non offrire servizio militare. Dopo molti anni scoprì che le pratiche dei Druidi erano molto più profonde e spirituali, grazie al suo maestro Eythor. Viaggiò per tutti gli anni della sua vita insieme a lui, compiendo i riti di allungamento della vita insieme. Il culto dei druidi prevede che dopo la morte vi sia un ricongiungimento con la natura ma quel che pochi sanno è che con quel rito si prende la forza e la vitalità  della natura, permettendo di allungare così la propria esistenza terrena.

Ma a fare il viaggio erano in tre, tra questi c’era un uomo abbastanza aggressivo e litigioso, tale Thraygh. Era il primo allievo di Eythor, e non prese affatto bene la scelta del maestro di portare con loro anche Fearghas. Lo detestava e temeva che un giorno avrebbe sbagliato un rito. Le conseguenze dello sbaglio di un rito sono catastrofiche. La perdita della vita è la conseguenza meno drastica che poteva accadere.

Meditava e pensava. Pensava ai viaggi con il suo maestro e con Thraygh. Erano partiti dal Regno Unito e avevano attraversato il mare in barca, approdando nell’odierna Svezia. Proseguirono a Nord, in Norvegia, conoscendo tutti i popoli nordici, dalla cultura simile. Rafforzarono la loro magia e, apprendendo che i luoghi dove praticare i loro riti erano sparsi nel mondo, il maestro decise di viaggiare, per confrontarsi con i maestri del mondo. Aveva anche lui da imparare e non sarebbe certo diventato più saggio se fosse rimasto chiuso nel suo ambiente. Dopo anni, andarono in Europa, conoscendo le popolazioni germaniche e celtiche. Andarono a Roma, appresero il “nuovo latinoâ€. Si recarono in Grecia e conosciuti i maestri del passato, come Omero ed Esiodo, scesero a sud, fino al deserto. Conobbero gli Egiziani e il popolo di Gerusalemme, tra cui la cultura cristiana ed ebraica. Andarono ad Oriente, conobbero i Cinesi e appresero molte cose; andarono in India, stettero a rafforzare la loro spiritualità  con i guru induisti. Tornarono ad occidente e conobbero il popolo Ottomano, entrando in contatto con la popolazione islamica. Appresero che il mondo continuava ad oriente e ritornarono indietro, sbarcando dopo anni in Giappone. Visitarono tutte le isole e, saputo di un nuovo continente, si recarono lì, con un gruppo di Giapponesi. Mentre questi ultimi se ne tornarono subito via, senza neanche lasciare tracce del passaggio, i druidi rimasero. Incantati dal nuovo mondo puro e incontaminato vollero scoprire i nativi del luogo. E in mezzo ai bisonti, fecero conoscenza dei nativi Americani. Una tribù scherzosa e simpatica, propensa alla conoscenza di culture straniere. Raccontarono loro della storia della caccia da parte degli Europei e il trio raccontò dei loro viaggi. Fu parecchio difficile comunicare perché non conoscevano le lingue. Tracciavano disegni sulla terra e si sforzavano di comprendere.

 

Fearghas si toccò la barba, la sua lunga barba grigia che non tagliava da parecchio tempo. Gli vennero in mente altri ricordi, come quando si rasò e si diede un aspetto occidentale per andare a vivere a New York, quando pescarono in Alaska tramite buchi nel ghiaccio, come quando…

Il vecchio aprì gli occhi. Aveva ricordato troppo e ciò poteva compromettere il rito. La gemma era diventata grande come una mela, mancava poco. Doveva resistere. Non doveva farsi tornare in mente quell’accaduto.

Per rilassarsi pensò alla natura e ai luoghi visitati. L’Himalaya, i fiordi, il deserto, il Mediterraneo. Il Colosseo, le isole della Grecia, la Muraglia Cinese. E ancora, il monte Fuji, le Piramidi, il Tajmahal ancora in costruzione. Si domandò cosa poteva essere diventato, dopo tanti anni. Perse i contatti con il mondo molto tempo fa e la reintegrazione fu un misero tentativo. Il mondo era troppo cambiato e per un vecchio come lui non c’era niente. Pensò a quando abbandonò New York e subito ai prati della Germania. Doveva distogliere la mente da quell’episodio ma era troppo forte, come se la maledizione di esso stesse ancora lavorando nella sua testa. Era una disperata battaglia psicologica, tanto silenziosa quanto confusionaria. Voleva urlare, pensava al rito e al suo maestro, ai riti con lui e subito ai Turchi, a quella volta che insegnarono a lui a combattere con la scimitarra, a quando osservavano la luna presso Stonehenge, il luogo chiave del culto. Pensava ai druidi rimasti, pensava a lui e gli tornò in mente il maestro, pensò al rito sbagliato. Frammenti rapidissimi costellavano la sua mente, una guerra di immagini e suoni, parole e all’improvviso, alla fine il boato. Il demone tornò a guardarlo negli occhi come quella volta. Si alzò di scatto e andò a controllare la gemma. Non c’erano state alterazioni, per fortuna. 
Ma la cosa lo turbava ugualmente. Non doveva sbagliare il rito, per nessuna cosa al mondo. E gli serviva tutto quello che aveva imparato dai guru indiani, ossia la calma in ogni situazione e il controllo spirituale. Si sedette e fece una lunga meditazione ad occhi chiusi, con ogni tanto un flash rosso accompagnato da un forte boato, simile ad un ruggito, nella sua mente. Sentiva come se le palpebre dovessero esplodere da un momento all’altro. Pensava anche alle parole dell’altra sera, quelle di Thraygh. Non riusciva a trattenere la sua mente e allora ricordò cosa imparò in Cina. Doveva far scorrere le immagini nella mente e ricordarsi il tutto, continuare a trattenere non sarebbe servito a nulla. Soprattutto se erano ricordi dolorosi. E lì, in quello spazio di verde inglese, si ricordò cosa accadde in America. Non conoscevano il luogo e decisero di fare comunque un rito, poiché la durata di quello precedente era ormai breve. Sistemarono tutto come previsto e misero la pietra nel cerchio. Il maestro fece fare il rito e i canti prima ai due suoi allievi, poi si mise lui a chiudere. La pietra prese fuoco, come sempre, mentre le pietre che facevano da perimetro brillavano di una luce blu molto chiara. L’erba si muoveva e la sfera ad un certo punto esplose. Il continente era nuovo e fare pratiche così senza studiare il terreno era una cosa molto rischiosa. Il consiglio dei druidi aveva messo in guardia tutti e aveva dato istruzioni, ma loro erano dalla parte opposta del mondo e non sapevano dell’accaduto. Esplosa la gemma, una forte luce rossa circondò il campo. Un grandissimo demone con le corna lunghe e gli occhi color lava era stato evocato. Si mise a parlare una lingua antichissima e satanica, parlata solo all’inferno e al centro della terra dai demoni. Avevano evocato qualcosa di spaventoso ed Eythor sapeva cosa aveva detto. Si mise ad urlare, per terrore e per dare forza ai compagni. Attaccò il grande mostro con una luce bianca proveniente dal suo bastone in quercia e questo cadde, facendo un grande rumore. Il cerchio era diventato come l’interno di un vulcano: le rocce si erano fuse diventando lava e dove prima c’era la gemma adesso c’era un enorme cratere. Il demone prese il maestro, poiché nessuna delle magie sembrava avere effetto e se ne ritornò con lui nel cratere, che si chiuse fragorosamente, come un tuono. Nella mente di Fearghas rimasero impressi il ruggito e gli occhi del demone, con l’indescrivibile faccia di Eythor. Un misto di terrore e dolore si leggeva nei suoi occhi celesti, mentre i capelli bianchi come la neve erano oramai uniti allo zolfo e anneriti a causa delle lingue di fuoco sprigionate dal nemico. Thraygh, una volta smesso di piangere, guardò con cattiveria il compagno e disse che era stata colpa sua. Fecero una lotta magica e vinse lui, perché aveva trovato l’avversario sconvolto. Fearghas ci teneva particolarmente al maestro e quella fu una perdita imparagonabile ad ogni tipo di sofferenza. Creò una barriera magica usando tutte le risorse che aveva e così rimase in vita e la cosa fece giurare all’altro uomo, dalla barba bruna e dalla chioma selvaggia, vendetta.

 

Fearghas, dopo aver ricordato tutto, pensò che era giunta ormai ora di concludere il rito, poiché la luna era alta nel cielo e la pietra era delle dimensioni giuste. Allargò le braccia e un venticello si sollevò, facendo muovere l’erba verde della sua terra natale. Cominciò a parlare nella lingua che aveva imparato per preparare i riti e ad ogni parola sembrava che le pietre facevano più luce. Cominciò a cantare, intonando una melodia profonda e all’apparenza malinconica, ma quello era il canto della natura. Parlava della congiunzione con i fiori, con le nuvole, con i fiumi e persino con gli animali. Quando la luce sembrava molto forte, doveva prendere il bastone  e rompere la gemma, dopo aver detto il rito finale. Si avvicinò lentamente al centro e, preso con due mani il bastone, esitò. Aveva paura. Ma la troppa paura poteva rovinare il rito e allora deciso fece uno sforzo e spinse verso il basso. Fu un attimo lunghissimo e appena il bastone sfiorò la gemma, si accorse di una presenza fuori dal cerchio. Era un uomo dal grande fisico, due braccia possenti e un corpo che sembrava roccia. Aveva una capigliatura scura e la barba incolta. Le sopracciglia calcate erano stese, gli occhi castani avevano una scintilla di malvagità  e un grosso sorriso decorava la faccia. Era a braccia conserte e aveva un grande mantello nero. Era Thraygh. Una fortissima esplosione e poi fumo, tanto fumo. Fearghas non capì e sentì lo stesso ruggito che sentì secoli prima. Il suo nemico aveva messo della cenere in mezzo al campo, della cenere usata per un rito malvagio, ma lui non se n’era accorto. E comparve una luce rossa. Si formò una cupola di energia concentrata dove all’interno c’era il vecchio debole e un essere che aveva la pelle che sembrava roccia lavica, con qualche scheggiatura da dove colava lava. Aveva gli occhi profondi e infuocati che osservavano lo stregone. Le corna erano appuntite e rocciose. Era l’antico. Lo stesso che era stato evocato quella notte. La luna sembrava rossa come il sangue e la lava cominciava a colare verso l’interno. C’era tanto fumo e il fuoco illuminava e scottava. Fearghas concentrò tutta la sua magia nel bastone e preparò un incantesimo purificatore. Il diavolo urlò alla luna come se la stesse maledicendo. Urla agghiaccianti che perforarono la mente travagliata del povero vecchio. Urla demoniache, colme di rabbia e odio, cattiveria e malvagità . Urla profonde, tuonanti e bollenti. Se il rito non fosse stato anticipato da una protezione del campo, quel grido sarebbe stato sentito da tutti i cuori del mondo, imprimendoli di una rabbia improvvisa e obbligando la gente a compiere azioni di cattiveria verso chi gli stava affianco, creando caos e disperazione, rabbia e oblio. Come se non ci fosse stato mai un momento di bontà  con nessuno. Fearghas lo sentì e impazzì. Cominciò ad urlare dalla disperazione, inginocchiandosi e scottandosi le gambe. Si mise le grandi mani nei lunghi capelli e cominciò letteralmente a strapparli. Più urlava e più sentiva dolore, più si strappava i capelli e più urlava. Il demonio guardava divertito e si avvicinò lentamente, camminando sulle sue grandi zampe lasciando impronte infuocare. Più la presenza si faceva vicina, più il cuore del druido si sentiva straziato, incatenato dall’oscurità , punto da un milione di aghi roventi e velenosi.

Da dietro, Thraygh guardava divertito e cominciò ad urlare ridendo: “Non sento niente, hahahahaha! Il maestro ha provato le stesse cose, hai capito quanto ha sofferto, eh? Capisci adesso?â€.

Si trasformò in un pipistrello e volò lontano. Probabilmente faceva male anche a lui vedere per due volte di fila lo stesso orribile spettacolo.

La voce del demone si fece sentire nuovamente: “Finiamola†disse.

Fearghas, che nella sua lingua vuol dire “uomo forteâ€, si rialzò e cercò di afferrare il bastone, con disperazione e panico. Prese il suo tempo e lanciò il potente incantesimo che prima aveva preparato. Ma questo con una barriera di fuoco lo deviò. Il vecchio vide solo luce e un dolore lancinante alla parte inferiore del corpo, alle gambe. Non se le sentiva più e urlò con tutta la sua forza. Non sentiva più nulla, solo il cuore che batteva fortissimo e per un po’ sperava esplodesse, così da ucciderlo e non soffrire più. Chiuse gli occhi.

Voleva tornare nelle pianure, voleva rivisitare il mondo. Voleva danzare, correre, ridere e sentire la gioia che un tempo provava. Aprì gli occhi e vide il caldo muso del diavolo. Questo aprì la bocca e nulla.

 

Solo la luce. Vedeva e sentiva la luce. Il vento soffiava e andava a scontrarsi con gli alberi, delicatamente. Il fruscio delle foglie era pacato e il silenzio era interrotto lievemente. Ogni male era lontano, come un ricordo annebbiato. Si era fuso con la natura, sentiva tutto. Non aveva rimpianti.


 


 


Note dell'autore


Alcuni avvenimenti e luoghi sono reali, altri no (come lo sbarco dei Giapponesi in America).


Mi sono ispirato a molti libri, come Il Signore degli Anelli e Dracula, e avvenimenti storici come il culto dei druidi, costruzione del Tajmahal e la scoperta dell'America.


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~ Flamiya ~


 


L'Arazzo di Daian


 


 


 


(Piccola premessa. Ho scritto questo raccontino basandomi su una storia vera. Spero riusciate a capire di cosa si tratta, se ci riuscite, vuol dire che ho raggiunto il mio scopo c: In ogni caso, spero vi piaccia. E vinca il migliore \ò/)


 


 



 


Vi voglio narrare l’avventura di Ardean e Daian. Vi assicuro che è tutto vero, come è vera, e potete vederla da voi, la terra di Horescim, dove vivevano.


Era un paese pacifico, governato da Re Talem, buono e saggio. Si erano lasciati alle spalle i tempi delle guerre con i popoli delle montagne per il possesso del grande fiume che scorreva tra loro. Ora dava da vivere a entrambi i regni. Ne avevano concordato l’uso rispettoso da parte di tutti.


Gli abitanti di Horescim erano persone pacifiche. Vivevano lavorando la terra e allevando animali. Per chiedere la protezione del Creatore sul loro lavoro, organizzavano ogni anno, alla prima luna piena di marzo, una grande festa, durante la quale, oltre che a pregare, s’intonavano tradizionali canti.


Si ballava sostenuti dall’allegria data dalla birra, che per l’occasione, scorreva abbondante.


La fine dell’autunno era poi il tempo di ringraziare il buon Creatore per i doni ricevuti e quindi si dava un’altra festa, durante la quale cambiavano solo le canzoni.


 


Ardean e Daian erano marito e moglie da sette primavere e si amavano come il primo giorno. Vivevano in una casetta in fondo al villaggio, poco lontano dal fiume, che in quel punto formava un’ampia curva.


Ardean era il contabile del più grande proprietario di terre del regno, il Conte Sigmund. Si occupava dell’incasso degli affitti. Era saggio e ragionevole e il suo servizio era apprezzato sia dal conte sia dai coloni, che più volte avevano potuto conoscere la sua bontà  d’animo. Succedeva spesso che non fossero pronti a pagare alla scadenza, per scarsità  di raccolto o per malattie in famiglia ma Ardean trovava sempre il modo di aiutarli.


Sua moglie Daian si occupava della casa, delle pecore e dell’orto. Sapeva come far felice suo marito, facendosi trovare sempre allegra e preparando per lui piatti semplici ma gustosi. Daian aveva una parola gentile per tutti. Amava passare del tempo al telaio e creava meravigliosi tessuti variopinti con la lana delle sue pecore. Realizzava bellissimi mantelli, che erano richiesti da tante signore del regno.


Erano una coppia felice e tutto andava bene. Ringraziavano il Creatore perché erano in salute, ma qualcosa mancava nella loro vita: non avevano avuto il dono di un figlio.


 


Un giorno Daian, parlando con la moglie del fabbro, venne a sapere che nel villaggio era arrivata la grande Maga Mirana. Si sarebbe fermata solo qualche giorno, perché era in viaggio per raggiungere la città  del grande mare. Le doti di veggenza di Mirana erano note a tutti. Sapeva leggere nel cuore delle persone, trovava sempre una soluzione ai loro problemi e poteva lenire anche i più grandi dolori.


Daian quella sera parlò col marito della sua intenzione di vedere la maga. Era sicura che da lei avrebbe ricevuto speranza o conforto e Ardean la assecondò e decise di accompagnarla.


 


Quando incontrarono Mirana, Daian spiegò lei il motivo della visita.


- Grande Mirana, siamo felici e innamorati, ma nella nostra vita manca un figlio. Abbiamo tanto pregato il Creatore per questo dono, ma non sappiamo perché ci venga negato. Ti prego, aiutaci! -


Mirana prese un piccolo bastoncino di sambuco e con questo toccò lievemente le mani di entrambi, poi fece girare il bastoncino nell’acqua di un largo catino. Osservò i movimenti nell’acqua in silenzio.


Daian e Ardean aspettarono, finché Mirana non li guardò e disse: - Ma voi avete già  una figlia! Lo vedo chiaramente. – Daian era esterrefatta e guardando il marito esclamò – No! Ti assicuro di no! - Allora la maga scrutò più profondamene nel catino, fece girare più volte il bastoncino, formando un piccolo vortice.


- Ah, adesso capisco. Io non posso dirvi altro. Quello che vi è successo è un grande segreto del Creatore. Ma c’è un modo per sapere di più. La vostra bontà  d’animo e le vostre buone intenzioni, possono permettere un viaggio che vi darà  delle risposte. Vi darò una bussola magica, dalla quale sarete guidati verso un luogo dove potrete avere le vostre risposte. -


 


Partirono il mattino dopo, il primo giorno di maggio. L’aria era chiara e fresca, come in un sogno. Portarono ognuno una piccola sacca, con il necessario per accamparsi cibo e acqua per qualche giorno. Non dissero a nessuno il vero scopo del loro viaggio. Raccontarono di dover andare in visita dalla sorella di Daian che si era ammalata.


Il cammino si rivelò più difficile del previsto. La bussola li guidava su tortuosi sentieri, a volte senza uscita e li costringeva a tornare sui loro passi, come se volesse metterli alla prova.


Verso sera decisero di accamparsi in una piccola radura, protetta da alte siepi di bacche rosse. Accesero un piccolo fuoco e cenarono. Guardando il punto dove moriva il sole, nella direzione dalla quale erano partiti, immaginavano la loro dolce casa. Si chiesero se avessero fatto bene a intraprendere questo misterioso viaggio.


Lunghi giorni dopo erano usciti dalle foreste e percorso una valle.


Avevano lasciato i territori conosciuti, molte miglia dietro. Ora si presentava davanti a loro, la soda roccia di un’alta montagna. La bussola insisteva a indiziarli verso quella parte. Invano cercavano altre strade, la bussola li riconduceva sempre lì. Che cosa dovevano fare?


- Forse siamo arrivati. – disse Ardean – Ma non c’è niente qui! -


Daian cominciò a ispezionare la roccia. Su quasi tutta la superficie si arrampicavano dei rami di edera, ma una zona era stranamente libera, pulita da muschio. Solo una piccola formica si aggirava sulla roccia. Vagava con fare apparentemente casuale ma Daian la osservava e notò che sembrava scrivesse… come sulla superficie di una lavagna. Chiamò Ardean


- Guarda! Secondo me ha un messaggio per noi!  -


Seguirono attentamente il percorso della formica e riconobbero delle parole.


- Le piccole cose possono spostare le montagne – dissero ad alta voce all’unisono.


La formica si bloccò di colpo, girò su se stessa un po’ di volte e poi entrò in un minuscolo foro nella roccia. Ardean e Daian si guardarono e insieme toccarono il punto in cui era sparita la formica. La roccia si mosse e si spalancò un varco nella montagna. Guardarono stupiti all’interno: c’era una grotta immensa, come una grande piazza. La bussola indicava loro di penetrare all’interno della caverna. Perplessi ma decisi a continuare il loro viaggio alla ricerca della verità , entrarono.


 


Sulle pareti c’erano delle insolite infiorescenze fosforescenti che illuminavano con strani riflessi l’interno della montagna. Con lo sguardo sempre sulla bussola, si affidarono a lei per iniziare questo curioso cammino.


Il sentiero spesso era interrotto da fiumiciattoli sotterranei, altre volte la strada si divideva in due percorsi e la bussola sempre li aiutava a scegliere dove andare. Ma dove? Ancora si chiesero se avessero fatto bene a partire, ma erano sicuri di aver bisogno di risposte ed erano convinti che alla fine del viaggio le avrebbero ricevute.


Adesso il sentiero era più largo e si fermarono a riposare su delle grosse pietre. Daian prese dalla sua sacca dell’acqua e del pane. Camminavano da tutto il giorno e non si erano ancora fermati a mangiare niente.


C’era caldo e umido all’interno della montagna e la stanchezza cominciava a farsi sentire.


All’improvviso la bussola che aveva tra le mani Ardean cominciò a girare, impazzita. Non indicava più nessuna direzione. – Come facciamo adesso? - chiese spaventata Daian - Resteremo imprigionati qua dentro. Non riusciremmo mai tornare indietro e non sappiamo dove andare! -


Dietro di loro un labirinto di sentieri, davanti la scelta tra un percorso in salita, stretto e tortuoso e la via del fiume sotterraneo che si allungava lento.


- Forse la bussola vuole che stiamo fermi a riposare. Sarà  notte ormai. Straiamoci vicini e al risveglio vedremo cosa fare. –


E così fecero, ma il sonno non fu riposante, anzi popolato da strani sogni.


Daian per tutto il tempo si agitò e urlò spaventata. Ardean non riuscì a calmarla né a svegliarla.


Poi improvvisamente Daian aprì gli occhi, si rivolse al marito e disse:


- Ho fatto un sogno spaventosamente reale. Ho sognato di partorire e tutto mi sembrava dolorosamente vero. Sentivo forti i dolori del travaglio e quando ero sicura che tutto fosse finito e ho cercato la mia creatura, ho visto solo una grande luce che si allontanava da me. Poi ho visto la montagna dall’alto, che sembrava una grande pancia. Una lunga scia di luce, usciva dalle sue pendici con l’acqua del fiume ed entrava in un lago, rendendolo brillante. Penso che dovremmo prendere il sentiero del fiume. Ho la sensazione che ci troveremmo fuori. -


Ardean prese la bussola dalla tasca e stupito vide che l’ago ora indicava il fiume. – E’ vero! È quella la direzione giusta! Andiamo allora. –


Daian si sentiva strana. Era come se il sogno le avesse fatto ricordare qualcosa che aveva dimenticato. Aveva uno strano senso di vuoto. Persa nei suoi pensieri, quasi non sentì le grida di Ardean. – Guarda! La luce del sole! Stiamo uscendo dalla montagna. –


Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi, era mozzafiato. Fiori di ogni tipo e colore, ravvivavano i prati coronati da alti alberi rigogliosi. Come aveva sognato Daian, un lago si apriva davanti a loro, luminoso alla luce del sole alto nel cielo. Quel luogo infondeva una grande pace. Tutti i sensi erano coinvolti: il profumo dei fiori e dei pini, il gorgogliare placido dell’acqua, la visione calmante delle numerose sfumature di verde. Restarono a bocca aperta, inoltrandosi in una radura. Si sdraiarono sull’erba, soffice e calda.


Si persero con lo sguardo nel cielo azzurro attraversato da soffici nuvole candide e dove numerose rondini giocavano tra loro. Non riuscivano a parlare, quasi commossi da quel posto così rilassante, così perfetto. Entrambi, senza saperlo, pensavano fosse un paradiso.


Non si sa quanto tempo passarono così in silenzio, in pace.


Poi, qualcosa si mosse vicino a loro, un movimento lieve. Si alzarono e videro una splendida creatura, una ragazza con lunghi capelli scuri, avvolta in una veste verde, color della giada. Emanava un fascino e una calma infinita.


Il lieve sorriso presente sul suo viso era rassicurante. Gli occhi, nocciola chiaro, trasmettevano pace e sicurezza. Teneva le mani aperte, con i palmi in alto, come a porgere tutta la pace e la gioia che aveva.


Ardean e Daian erano pervasi da una grande pace e in un filo di voce, o forse solo col pensiero, chiesero – Chi sei? –


- Io sono vostra figlia. Voi non mi avete mai conosciuta. Dovevo nascere e crescere con voi, ma il creatore ha voluto dare a me un grande privilegio, quello di guardare nel cuore delle persone e consolarle. 


Per fare questo, mi ha chiamata vicino a lui e ha fatto di me la Regina della Luce, quella che tutti invocano nei momenti più bui della vita. Io sono sempre lì a indicare la luce per uscire dal dolore.


E ora dico a voi, che non dovete essere tristi perché non sono davanti ai vostri occhi ma orgogliosi perché sono nel vostro cuore e nel cuore di tutti quelli che mi cercano.


A voi e a tutti, donerò speranza, dove c’è disperazione, sorriso dove c’è pianto e forza, dove c’è bisogno. –


Daian adesso sentiva che quella era sua figlia, sapeva che tutto quello che aveva detto, era vero. Adesso era in pace e quella rivelazione aveva riempito il vuoto che sentiva prima. La loro figlia era Regina della Luce!


- Capirete che non è da tutti intraprendere un viaggio come quello che avete fatto voi. Ciò che vi è stato rivelato, deve rimanere nei vostri cuori. Non potrete mai ritornare in questo luogo, né rivelarne l’esistenza, ma la verità  che avete appreso oggi, vi sarà  di conforto per tutta la vita. -


La dolce ragazza sparì, avvolta da una luce accecante, lasciando al suo posto, una nuvola verde fosforescente. Ardean e Daian si guardarono e si abbracciarono forte, incapaci di trattenere la forte emozione. Restarono così a lungo, senza parlarsi ma conoscendo ognuno i pensieri dell’altro. Si sentivano i genitori più orgogliosi del mondo.


- Torniamo a casa – disse Ardean. Prese la bussola che per vie più semplici li ricondusse a Horescim velocemente.


 


♦♦♦


 


La loro vita proseguì apparentemente normale. Solo loro, nei loro cuori, sapevano la verità . Daian realizzò, con grande maestria, un arazzo che raffigurava un paesaggio con alberi, fiori e un limpido cielo azzurro.


Al centro, una bellissima dama, avvolta in un manto color giada. Da qualsiasi parte della stanza si guardasse, gli occhi della dama ti fissavano intensamente. Il suo sguardo sembrava dire 'sono qui, presente nella vostra casa'.  ~



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Marko99


 


Il risveglio della Chimera


La vendetta di Ade


 




 


Potevo assaporare il gusto amaro della paura. Potevo sentire il terrore invadere anche le più oscure e nascoste parti della mia mente. Sentirmi inondare il volto dal tanfo diabolico di quella creatura è stata la sensazione più disgustosa che io abbia mai provato in tutta la mia vita.

 

La strada era buia, molto più del solito. Generalmente dall'oscurità  emergono vari poligoni luminosi, ma quella sera c'era qualcosa di strano nell'aria. Il buio s'infittiva sempre più e l'oscurità  aveva avvolto ogni angolo che i miei occhi potessero raggiungere. Iniziai a sudare e ad agitarmi, alché decisi di velocizzare il mio passo. Affannante e agitato, iniziai a correre come non avevo mai corso in vita mia. Non vedevo niente, nient'altro che non fosse una grossa parete nera che m'impediva di guardare l'orizzonte. Ero nel nulla. Correvo nel nulla. Non sapevo né da dove fossi partito né dove ero diretto, volevo solo fuggire. Più correvo e più mi convincevo che non sarei arrivato da nessuna parte. Ansimante, rallentai il passo e crollai sulle ginocchia. Iniziai a piangere, pensando che non avrei avuto futuro, se non quello che mi figurava da solo nell'oblio.  Qualche minuto più tardi, avvertii uno strano rumore, sembrava quello di un ruggito soffocato. Sollevai il mio corpo dall'asfalto con fatica e iniziai a trascinarmi verso il rumore.

Più mi avvicinavo e più sentivo vicino quello strano verso. Nella totale oscurità  apparvero due gemme rosse, di forma quasi ovale. Alla loro vista arrestai il passo e cercai di analizzare attentamente quello che mi si presentava davanti. Peccato che quei due rubini luminosi non me ne diedero neanche il tempo. Sentivo che il suo respiro si stava affievolendo e così iniziai a tranquillizzarmi; tuttavia, c'erano ancora quei due ovali rossi che non staccavano neanche per un secondo lo sguardo da me.  Dopo qualche secondo di silenzio assordante, nel quale s'intersecavano i nostri sguardi, i due occhi rosso sangue si levarono repentinamente verso l'alto, accompagnati da un forte ruggito di rabbia. Nell'oscurità , si vedeva appena una figura bluastra, simile ad un leone, saltare in alto, cercando di attaccarmi. La paura prese possesso del mio corpo e ne limitò completamente i movimenti. Ero spacciato ormai, all'interno di quel cubo nero nessuno avrebbe potuto soccorrermi. Il muso di quella creatura diabolica era vicinissimo a me,

potevo sentire il suo respiro rabbioso sulla pelle. I denti di quel mostro stavano per trafiggermi il cranio, quando qualcosa con violenza mi abbracciò lateralmente e mi spinse con sé verso sinistra. Subito dopo sentii il tuono provocato dall'atterraggio brusco di quella creatura sull'asfalto. Ancora più arrabbiato, il mostro si diresse a passi pesanti verso di noi, con intenzioni facilmente intuibili. Credevo che quella fosse davvero la fine, quando mi accorsi che la morsa che mi stringeva mi aveva liberato da una parte. La persona che mi aveva salvato la vita sfoderò dalla sua tracolla una sorta di orologio dorato, il quale risplendeva nella cupa stanza scura. Con un gesto repentino aprì l'orologio da taschino, il cui quadrante s'illuminò di un bianco accecante, il quale sommerse tutta l'aria circostante. Dopo quell'avvenimento, penso di aver perso i sensi. Riaprii gli occhi lentamente e mi ritrovai in una foresta rigogliose, ricca di vegetazione multicolore. Di fianco a quel panorama quasi rassicurante c'era un ragazzo con i capelli biondi e gli occhi azzurri, che mi stava guardando attentamente.

«Stai bene? Hai qualcosa di rotto?» disse quel ragazzo dal volto inciso da una profonda cicatrice.

Prima di rispondergli lo scrutai attentamente. Anche se accovacciato, sembrava alto e muscoloso. Indossava degli abiti decorati con una fantasia militare, eccezion fatta per la canottiera, che era colorata di un nero pece. 

«Hey, sei sicuro di star bene? Mi senti?» mi chiedeva ancora lui con tono preoccupato.

«Sì, sì, sto bene, grazie... ma... cosa mi è successo?» chiesi con la voce ancora rauca.

«Oh, no, nulla. Sei stato solo attaccato dalla Chimera, che era alquanto furiosa» rispose lui come se fosse la cosa più normale che potesse succedere ad un sedicenne di New York.

«Da una cosa? Da una chimera? Mi stai prendendo in giro per caso?» replicai alquanto sconcertato.

«No, assolutamente, non mentirei mai su una cosa del genere. Abituatici, ti capiterà  spesso d'ora in poi»

«Cosa vuoi dire, scusa? No, tutto questo deve essere un sogno, aspetterò che mi svegli per poter dimenticare tutto» risposi con impeto, anche se dentro di me la convinzione di quello che dicevo diminuiva dopo ogni parola che pronunciavo.

«Attendi quanto vuoi, non puoi sfuggire al tuo destino, Cyrus Parker» disse in tono cupo e serio.

«Tu... come fai a conoscere il mio nome?!» chiesi io preso dal panico.

«Tutti noi conosciamo la tua storia, Cyrus. Sappiamo bene chi sei e il destino che ti attende»

«Di quale destino parli? Potresti spiegarti meglio?»

«Ti spiegherò tutto a tempo debito. Ora dobbiamo andare» disse lui in tono vago.

«Ma... dove?!»

«Tu seguimi e taci. Saprai tutto quando sarà  il momento giusto»

Così, per non creare altre polemiche, decisi di seguirlo. Camminavo dietro la sua ombra, impaurito. Le poche luci delle lucciole che svolazzavano nell'aria pura m'illuminavano il volto confuso, la faccia di un ragazzo che non sapeva né dove andava né cosa andava a fare. Nel quartiere ci conosciamo quasi tutti. Difatti, quando passava qualcuno di fianco a noi, potevo osservare come la sua espressione serena diventasse incuriosita, guardandomi con un apparente sconosciuto, mai visto da queste parti. 

Sono stato sempre un ragazzo molto introverso, senza molti amici. È anche per questo che ero restìo a seguire questo ragazzo, anche se lo sarebbe stato quasi chiunque. Non so ancora se ho fatto bene a seguirlo, ma ormai non posso più tirarmi indietro. Ho avuta un'infanzia non poco difficile. Entrambi i miei genitori non mi hanno seguito mai a fondo, mi lasciavano al mio destino, senza pensare alle conseguenze che ne sarebbero scaturite. L'unico componente della famiglia che mi dava retta e mi proteggeva era mio fratello Aaron, che mi accudiva come se fossi suo figlio.

Era il mio fratellone, ad ora avrebbe avuto circa ventidue anni. Un Sabato sera di due anni fa, decise di uscire con i suoi amici. L'auto era di una sua amica, che non era proprio una tipa casa e chiesa, per intenderci. Al ritorno, anche se mio fratello era sobrio, la ragazza al volante, Valerie, aveva osato fin troppo con alcolici e droghe varie. Verso le cinque del mattino, il telefono di casa nostra squillò. Non dimenticherò mai l'espressione di mia madre quando rispose assonnata e venne a conoscenza di quell'orrore. Uscii da camera mia per andare a controllare cosa stesse succedendo e trovai mia madre seduta a terra, in lacrime.  Il telefono era ancora in mano sua, si poteva sentire ancora l'agente parlare, senza avere risposta. Mentre io cercavo di consolare mia madre, mio padre prese in mano la situazione e ci dirigemmo all'obitorio. In quella stanza tetra e grigia, c'erano due lettini, con sopra distesi due lenzuoli bianchi rigonfiati, che sembravano contenere qualcosa. La mia età  non era così tenera da non sapere cosa vi fosse celato. Piansi per tutto il tragitto da casa nostra alla camera mortuaria dell'ospedale di New York. Mia madre si fece avanti a fatica, con il viso rigato dalle lacrime amare che poco prima le avevano attraversato il volto. Tra qualche singhiozzo, mia madre raggiunse uno dei lettini, quello che le era stato indicato da un infermiere.  Con la mano tremolante, afferrò un lembo del lenzuolo perlaceo che ricopriva la salma di Aaron. Gli scoprì il volto, che, alla luce dei neon presenti nella camera, sembrava risplendere di un bianco simile a quello del candido lenzuolo che gli ricopriva il corpo. Alla vista della sua faccia martoriata dalle cicatrici, evidenti prove delle evoluzioni che aveva eseguito l'auto subito dopo che ebbe evitato un camion che gli stava venendo addosso. È stato per questo che l'automobile finì oltre il guard-rail, ruzzolando giù dalla collina dove era posta la strada che stavano percorrendo per tornare a casa. A ripensarci i miei occhi si riempiono di lacrime. Le parole di quel ragazzo mi fanno tornare indietro, nel presente, mi fanno fuggire dalla mia mente, simile a delle sabbie mobili costituite dai ricordi. Più affondi e più non sai come uscirne.

«Siamo arrivati. Questo è il quartier generale dei protettori dell'Olimpo» disse lui, con tono fiero.

«Protettori dell'Olimpo? OLIMPO? Non posso crederci... e in cosa consisterebbe esattamente questo... "mestiere"?» chiesi, con tono di sfida.

«Nell'affrontare e sconfiggere ogni minaccia che possa incombere sulla sede di tutti gli dei. Ora ti starai sicuramente chiedendo perché noi vogliamo te»

In effetti, il ragazzo non aveva affatto torto. Era proprio quello che mi stavo chiedendo. Mi sentivo alquanto confuso e, di conseguenza, mille punti interrogativi mi si presentavano per la testa.

«Be', non ti posso negare che è proprio quello che mi sto chiedendo» replicai sogghignando leggermente.

«Anch'io reagii così, per cui ti capisco. Forza, entriamo»

Di fronte a noi si stagliavano due imponenti colonne che reggevano due leoni... o almeno sembravano dei leoni. Sembrava che le estremità  delle loro code somigliassero a delle teste di serpente. Tuttavia, quella non era l'unica caratteristica che mi aveva incuriosito in quelle statue. Sembrava che una di loro mi fissasse, così mi misi ad osservarla intensamente anch'io. Assorto nel nostro incrocio di sguardi, non sentivo i richiami di quel ragazzo dagli occhi azzurri, che mi stava esortando ad entrare. Attraversammo lentamente la linea tracciata dall'unione delle due colonne ed entrammo nel centro d'addestramento. Tuttavia, io non riuscivo ancora a capire perché avevano chiamato me. Soprattutto, non riuscivo a capacitarmi dell'esistenza di questa creatura e del perché volesse proprio me. Che cosa ho fatto di male a quella bestiaccia infernale?

«Eccoci, questo è il nostro quartier generale»

«Benvenuto, Cyrus» enunciò con enfasi un uomo che si trovava poco dopo l'ingresso.

«Oh, sì, è il momento delle presentazioni. Lui è Bellerofonte, colui, che insieme a Pegaso, uccise la Chimera» disse il ragazzo. Non potevo crederci. Avevo studiato un po' la mitologia greca a scuola, ma non potevo neanche lontanamente immaginare che me la sarei ritrovata davanti, come se fosse tutto normalissimo.

«La Chimera?» chiesi io, ancora sbalordito dalla vista di un uomo che pensavo esistesse solo nella mente degli antichi greci.

«Sì, il mostro generato dall'unione di Tifone ed Echidna» rispose prontamente Bellerofonte.

«Ma non era stata uccisa?» dissi io, adottando il tono pacato che usavano loro per descrivere questo genere di situazioni, fingendo che la cosa non mi avesse sfiorato neanche un po'.

«Sì... ma purtroppo è stata risvegliata» spiegò il ragazzo biondo, con area preoccupata.

«E da chi? Se posso chiederlo...» replicai io, calando il mio tono di voce man mano che andavo avanti nel parlare.

«Certo. Hai il diritto di sapere. È stata risvegliata da Ade, il dio degli Inferi, per i suoi diabolici piani» mi disse Bellerofonte, neglio occhi del quale potevo notare la rabbia che gli cresceva dentro.

Ascoltavo e comprendevo quel che dicevano, ma tuttavia non riuscivo a trovare risposta al grattacapo che più mi ossessionava la mente. Perché la Chimera aveva attaccato proprio me?

«Bellerofonte...» iniziai rivolgendomi all'eroe «lei sa perché la Chimera voleva attaccare proprio me, vero?»

«Capisco che tu voglia sapere. Tuttavia, è meglio discuterne in una camera privata, dove nessuno potrà  ascoltarci» disse.

«Certo, andiamo» aggiunse il ragazzo, di cui non conoscevo ancora neppure il nome. 

Passeggiando tra le ramificazioni della vegetazione presente in quel posto, rallentai il passo per poter raggiungere il fianco di quel giovane protettore.

«Scusami...» dissi per richiamare l'attenzione del ragazzo.

«Dimmi pure, Cyrus» replicò prontamente.

«Non mi hai ancora rivelato il tuo nome» dissi io, con fare timido.

«Oh, certo, scusa. Io sono Alan. Sono l'assistente di Bellerofonte» mi spiegò con tono compiaciuto.

«Oh, bene, piacere di conoscerti!» risposi gentilmente.

Mentre camminavamo, osservavo tutto ciò che avevo intorno. Potevo notare alcuni ragazzi, abbigliati come Alan, che mi guardavano e bisbigliavano tra loro qualcosa, purtroppo incomprensibile per me, a quella distanza. Dopo qualche minuto giungemmo a destinazione. 

«Questo è l'ingresso del cuore del quartier generale» disse Bellerofonte, elevando le mani perché potessi ammirare la magnificenza di quell'arco scolpito.

Nello spazio racchiuso dall'arco pareva ci fosse una sorta di patina bianca, che si muoveva. Incuriosito, levai le mani per poter testare la consistenza e l'effettiva esistenza di questa fantomatica parete invisibile.

«Non farlo!» gridò Alan. Stavo per toccare quella patina movente, ma fortunatamente udii il grido di Alan prima di farlo. Â«È una barriera di protezione. Solo Bellerofonte o i protettori esperti possono attraversarla e così disattivarla»

Proprio come aveva detto Alan, Bellerofonte attraversò in tutta tranquillità  l'arco e disattivò la barriera. Seguii Bellerofonte attraverso il corridoio ornato da diverse vignette che ricordavano varie creature mitologiche, che proprio mitologiche non erano.

«Siediti, Cyrus» mi suggerì Bellerofonte. «Ti avverto, non sarà  molto facile da digerire, ma io voglio che tu sappia tutta la verità . Per prima cosa, come avrai forse capito, Ade ha risvegliato la Chimera per uccidere te. Il motivo non è proprio semplice. Vedi... Ade è sposato con Persefone, la regina degli Inferi, colei che aiuta il dio degli Inferi a gestire questi ultimi. Anche se tu ne sei completamente allo scuro, hai un legame con questa donna, più che profondo. 

I tuoi genitori ti hanno accudito e ti hanno voluto bene come se fossero stati davvero loro a metterti al mondo. Tutto ciò, purtroppo, non è affatto vero. Tu, Cyrus, sei nato dall'amore di Persefone, un amore che purtroppo non ha condiviso con Ade. In un breve periodo, Persefone, s'innamorò follemente di uno dei dannati finiti all'Inferno e lo accolse sotto la sua ala protettiva. All'insaputa di Ade, Persefone tradì quest'ultimo con il dannato di cui si era follemente innamorata. Da quell'amore sincero, Cyrus, nascesti tu. Purtroppo, poco dopo la tua nascita, ben nascosta al Signore degli Inferi, quest'ultimo venne a sapere tutto. La rabbia che conservava in corpo era immane e non poté che sfogarla sul dannato con cui Persefone lo tradì.  Lo sfortunato fu condannato a bruciare in eterno tra le fiamme degli Inferi. Ade voleva naturalmente eliminare anche l'unica prova del tradimento che c'era stato da parte di sua moglie; voleva sbarazzarsi di te. Persefone fece in tempo a proteggerti dai gesti scellerati di suo marito, e ti mandò qui, sulla Terra. Qui venisti adottato da due persone desiderose di un bambino da accudire. Quelle due persone sono i tuoi attuali genitori. Sì, sembra una storia a lieto fine, e lo sembrava anche a noi, fino a poco tempo fa. Per tutto questo tempo di tregua, Ade non stava facendo che progettare una vendetta contro il tradimento, contro di te. Così, ha escogitato di risvegliare la Chimera per ucciderti»

Non avevo parole. Tutto il fiato che avevo in corpo si dissolse, lasciandomi senza respiro. Le mie labbra si seccarono. Sembrava che il mondo mi fosse caduto addosso, e in effetti era così. Tutto quello in cui credevo non era che una grossa bugia per proteggermi. E ora? Ora che sono venuto a sapere tutto, cosa dovrei dire? Non ho parole.

«So che ora non sai cosa dire, ma vedrai che con il tempo comincerai a fartene una ragione» disse per confortarmi Bellerofonte. 

«E così... è questo il motivo per cui mi avete condotto qui. A quale scopo?»

«Per proteggerti, Cyrus. Purtroppo quella di prima non sarà  l'unica volta in cui la Chimera cercherà  di ammazzarti, come avrai capito. Qui non correrai pericoli, nulla di estraneo al campo può entrare» mi rassicurò.

Così, ancora frastornato e con la testa annebbiata dai dubbi, chiesi ad Alan dove mi avrebbero sistemato. Per rispondere al mio quesito, il giovane protettore scosse la testa, come per farmi cenno di seguirlo; così, lo feci. Mi condusse attraverso una radura, facendomi raggiungere una casetta poco distante dal cuore del quartier generale. 

«Tieni» m'invitò Alan, facendo penzolare rumorosamente la chiave che probabilmente serviva ad aprire la porta di quell'abitazione.

«Grazie...» dissi in tono basso, assorto tra i miei pensieri. Afferrai la chiave e mi voltai verso la casa per potervi accedere. Una volta girata la chiave nella serratura, aprii la porta con uno scatto repentino e alterato dalla rabbia. Feci per chiudere, quando dalla fessura che rimaneva tra me e l'esterno vedevo spuntare qualche occhio indiscreto dal retro di alcuni tronchi d'albero. Minacciai di uscire fuori e le testoline curiose si ritirarono dietro i loro nascondigli. Tra i rumori prodotti dagli elementi della foresta, potevo comunque udir sibilare i curiosi tra loro, borbottando qualcosa di incomprensibile. Stanco di fare la spia, me ne tornai dentro sbuffante. 

Mi lanciai sul letto e mi misi a pensare. A riflettere su ciò che ero appena venuto a sapere. Sono figlio della Regina degli Inferi. Mai cosa è stata più emozionante in vita mia. Per non parlare del fatto che uno degli dei più potenti della storia stava dando la caccia a me. A me. A me, che non ho mai contato nulla nella vita, neanche per i miei genitori. Eppure, essendo ora a conoscenza del fatto che i miei genitori mi abbiano adottato, non riesco a spiegarmi allora perché non mi hanno mai dato attenzioni, se per loro ero così importante. E come se non bastasse, anche un altro interrogativo mi baluginava nella mente: Aaron? Mio fratello da dov'era spuntato fuori? Troppe cose a cui dare una risposta, che probabilmente avrei faticato a rintracciare. Così, per alleviare un po' il dolore, decisi di addormentarmi. 

Qualche ora dopo, sento bussare alla porta. Non me ne accorgo subito, ci vogliono almeno tre tentativi per potermi ripescare dal mondo del sonno. Appena sveglio mi convinsi che era stato tutto un brutto sogno, ma quando mi guardai intorno le mie convinzioni caddero inesorabilmente. Mi diressi verso la porta e aprii con cautela. Era Alan, che veniva a chiamarmi per la cena. Abbandonai la capanna e seguii Alan, che mi portò in una salà  all'aperto immensa, con al centro un tizzone infuocato. Potevo sentire il calore emanato dalla fiamma intensa di quel tizzone bollente. Lo guardavo intensamente, facendo risplendere le scintille nei miei occhi. Era come un'attrazione inevitabile. Più fissavo il fuoco e più sembrava espandere le sue lingue ardenti. Non era solo una mia impressione. Improvvisamente, la fiamma si espande al punto da raggiungermi. Anche se assorto dalla magnificenza della fiamma, potevo sentire le urla degli altri che mi dicevano di allontanarmi. 

Non li ascoltai. Il fuoco mi pervase la pelle e mi trasformò in una torcia umana. Sentivo sollievo, più di quanto non ne avessi prima. Era come se fossi una calamita per le fiamme. Dissi poi un semplice "Basta" e le fiamme mi liberarono e tornarono al proprio posto, nel tizzone. Girai il volto. Potevo guardare le facce sbalordite degli altri protettori guardarmi con stupore. Occhi sbarrati, e alcuni avevano persino la bocca aperta. Passato questo strano quanto piacevole avvenimento, cenai. Tra lo stupore generale, gli altri bisbigliavano tra loro ancora più di prima, guardandomi e indicandomi. Facevo finta di nulla. Quando Alan mi accompagnò alla mia casetta, ebbi l'impeto di fargli una richiesta.

«Alan...» iniziai.

«Cyrus?»

«Ecco, vedi...» divagai «io vorrei incontrare mia madre. Intendo quella vera»

«Persefone?»

«Esatto...»

«Non se ne parla neppure, sarebbe troppo pericoloso» mi disse Alan, in tono autoritario.

«Sapevo che mi avresti dato questa risposta... e da un lato concordo con te... fa niente...» rispondo io, fingendo di essere dispiaciuto.  Sono abbastanza bravo a mentire, per cui me ne tornai nella capanna senza fare troppe storie. Mi spogliai degli abiti ancora bruciacchiati e m'infilai a letto. Non avevo affatto gettato via l'idea di incontrare la mia vera madre, colei che regna negli ardenti Inferi. Durante la notte riuscii a sonnecchiare agitato per qualche ora, dopodiché, alle prima luci dell'alba, iniziai a preparare un sacco a tracolla che trovai lì. Vi misi i viveri necessari, qualche coltello che avevo trovato nel cassetto del comodino e me lo infilai in spalla. Azionai la maniglia per uscire, quando mi ritrovai una sagoma davanti. Sobbalzai dal terrore, poi, dopo che i miei occhi si abituarono alla luce dell'esterno, la figura divenne nitida. Era Alan, che stava sogghignano silenziosamente guardandomi negli occhi.

«Sapevo che non ti saresti arreso» disse lui con il sorriso sulle labbra «è per questo che sono qui»

«Non mi lascerai andare, vero?» replicai con aria abbattuta. Stavolta non mentivo, ero davvero rassegnato.

«No»

«...» tacqui per qualche secondo, dopodiché il sorriso serrato sul volto di Alan si aprì, pronunciando delle parole che non m'aspettavo.

«Non senza di me, almeno» disse sorridendomi.

«Verresti con me?» dissi, quasi con gli occhi lucidi.

«Certo, non posso rischiare che ti faccia del male» mi rispose lui, con il suo sorriso limpido come la luce del mattino. In fondo sapevo che potevo fidarmi di lui. Così, a passi felpati e con le bocche silenti, ci dirigemmo verso l'ingresso passi lunghi. Si sentiva appena lo scricchiolare delle foglie sotto i nostri piedi. Quando arrivammo all'ingresso, il Sole uscì allo scoperto, battendo crudele.

«E ora, cosa facciamo? Dove andiamo?» chiesi io, con gli occhi socchiusi per proteggermi dal Sole battente.

«So a memoria la strada per arrivare all'Inferno, Cyrus. Ho partecipato varie volte a delle missioni laggiù, so perfettamente come accedervi. Comunque, conosco solo un punto d'accesso»

«E dove si trova?» gli chiedo curioso.

«In Italia»

«In Italia?! Sei impazzito?» reagii un po' sconvolto.

«Sì, un portale per gli Inferi si trova sulle rive del Lago d'Averno»

«E come credi che ci possiamo arrivare?» gli chiesi io, con fare sarcastico.

«Con questa» mi disse, sfilandosi dalla giacca una bussola dorata, un po' arrugginita. La riconobbi, era quella che utilizzò per teletrasportarci qui, al quartier generale. L'agitò per un secondo e, dopo esserci ritrovati in un enorme vortice bianco, atterrammo sulle rive di un lago. Mentre Alan camminava davanti, facendomi strada, io osservavo tutto il resto, quello che mi circondava. L'odore non era dei migliori e man mano che ci avvicinavamo a questo fatidico accesso, la puzza aumentava d'intensità . Assorto nell'osservazione, sbattei contro la schiena di Alan, che si era fermato poco più avanti.  Quasi come se non fosse successo nulla, si scrollò e con un dito m'indicò una profonda voragine, dalla quale parevano fuoriuscire dei vapori sulfurei. Dopo un attimo di esitazione da parte mia, ci avventurammo al suo interno. Era una profonda galleria sotterranea, costellata di tizzoni incandescenti. Quando arrivammo alla fine, per poco non sprofondai nella palude fangosa che si stagliava davanti a noi. In lontananza scorgevo una piccola imbarcazione che si allontanava. 

«Caronte è troppo lontano. Dovremo attraversare il fiume utilizzano i piccoli scogli che riaffiorano dall'acqua» annunciò un po' preoccupato.

Così, ci avviamo verso la prima pietra. A saltelli veloci, riuscimmo miracolosamente, con le suole delle scarpe buciacchiate dall'ardore delle pietre roventi, a catapultarci sull'altra riva del fiume. Ci avvicinammo ad una sorta di burrone, una sporgenza rocciosa che dava su di una discesa disseminata di rocce e di fiamme. 

«Non c'è scelta, Cyrus. Dobbiamo tornare indietro, non si può oltrepassare questo tratto senza procurarsi ustioni particolarmente pericolose» ammise in tono rassegnato.

Non volevo arrendermi. Non proprio ora che ero vicinissimo al mio traguardo. Il mio istinto mi suggerì di elevare la mano davanti a me. Questo gesto salvò le mie speranze. Le fiamme si districarono, formande due barriere perfettamente uguali. Era come se il fuoco mi ubbidisse. Ero il Mosè delle fiamme. Alan rimase a bocca aperta, ma la richiuse subito per evitare che le sue interiora si seccassero. Passammo attraverso il corridoio creatosi, arrampicandoci e dimenandoci tra una pietra e un'altra. C'eravamo quasi. In lontananza potevamo scorgere tra le fiamme la sagoma ondulante di un palazzo. Corremmo, mentre tenevo la mano davanti a me per far fuggire le fiamme al mio cospetto. Alan mi seguiva silente, quasi in un'azione di adulazione, di compiacimento. Sembrava che l'Inferno mi facesse un baffo, che tutte le trappole ardenti di Ade avessero paura di me. Tuttavia, c'era ancora una cosa che dovevo temere. La Chimera. Dove s'era nascosta. Era lì fuori a cercarmi o qui dentro, aspettando gli ordini del dio degli Inferi. Proseguimmo per un altro tratto, quando un gruppo di dannati c'assalì. Cercavamo di scrollarceli di dosso, ma più ne toglievamo e più ci assalivano. Così, mi balzò un'idea che avrebbe potuto liberarci dalla morsa appiccicosa dei condannati. Se riuscivo a comandare le fiamme, perché non provare a farle ricadere sui dannati, così da poter scappare mentre loro erano in preda all'agonia? Ci provai. Quasi come se non avessi voluto, cominciai ad ondeggiare le mani, tagliando l'aria rovente che ci stringeva in una morsa d'afa. Con uno scatto netto, poi, allargai le braccia e poi le strinsi vicine, come per far segno di imprigionare. Le fiamme, come dei soldati ubbidienti, 

ondeggiarono e si diressero a gran velocità  verso i dannati, mentre noi fuggimmo prima che le fiamme invadessero anche la nostra area. Scappammo il più velocemente possibile, prima che qualche dannato si liberasse dalla trappola incandescente che vi avevo lanciato. Guardando all'indietro, inciampai su una pietra sporgente. Finii per terra, ferendomi i palmi delle mani. Mi sollevai a fatica, guardando il sangue sgorgare dalle aperture che mi ero procurato cadendo. Credevo di essere arrivato a destinazione, difatti eravamo davanti al Palazzo. L'Inferno, purtroppo, non aveva ancora terminato di assediarmi. Le porte della grande reggia nera si aprirono in un tuono scricchiolante. Nell'aria afosa risuonò il mio nome. Cyrus Parker. Il mio nome risuonò tre volte, prima di accorgermi di essere osseravato da una grossa creatura rossicia, che si ergeva sulla punta del palazzo. Era Ade. Voleva eliminarmi. Le porte del palazzo mi si spalancarono davanti, per farmi cenno di entrare. Esitai, ma il mio desiderio era troppo forte. Entrai noncurante delle conseguenze e seguii le scale, che mi condussero da Ade. Di fianco a lui c'era la sua sposa, mia madre, Persefone. Temevo il peggio e appena Ade mi guardò negli occhi, li strinsi fortemente, senza riaprirli per una decina di secondi. Perché Ade non mi eliminava subito?

«A seguito delle varie suppliche della mia sposa, ho deciso di risparmiarti la vita. Tuttavia, non ti concederò la mia benevolenza tanto facilmente. Dovrai superare una prova» mi annunciò in tono severo «Non ho risvegliato la Chimera per ucciderti, o almeno non più. Dopo varie discussioni con Persefone, siamo giunti ad un compromesso: io non ti ucciderò. Tuttavia, sei ancora in pericolo. La prova a cui ti sottoporrò è una prova sanguinosa e violenta: una lotta mortale contro la Chimera. Se vincerai tu, io non avrò più rancori verso di te. Se invece perdessi... be', quello lo puoi immaginare»

Fissavo gli occhi rosso sangue di Ade, che mi diceva quelle parole estremamente severe. In seguito, guardai fisso negli occhi di mia madre, che sembrava impotente di fronte a questo compromesso. Ade non voleva caricarsi della responsabilità  di avermi ucciso, voleva che qualcun altro se la prendesse. Io stesso. Pochi minuti dopo, la terra sotto i nostri piedi cominciò a tremare e delle pedane di forma circolare, che sembravano essersi mimetizzate perfettamente nel resto del pavimento, ci portarono giù, in un'arena sotterranea. Mi ritrovai da solo in un campo di terra bruciata, quando Ade mi scagliò una fiamma contro. Il mio corpo prese fuoco, ma poco dopo si spense. Mi ritrovai vestito di una tuta aderente rossa, con una fantasia simile a delle fiamme. Il fuoco regnava incontrastato nell'arena e forse questo mi avrebbe aiutato molto. Il silenzio faceva da padrone, disturbato solo dal rumore delle fiamme che ardevano. Assorto nella paura, venni riportato alla realtà  tramite il rumore di un cancello che scivolava verso l'alto. Era l'apertura della gabbia dove era imprigionata la Chimera. Da lontano potevo vedere brillare i suoi occhi rossi, carichi di rabbia infusale da Ade. Quest'ultimo e la sua sposa erano seduti su dei troni posti in alto, proprio sulla gabbia della Chimera. Il bestione iniziò ad avanzare lentamente. Alternavo gli sguardi, osservando prima la Chimera, Ade e poi mia madre. Persefone si copriva gli occhi con le mani, con fare disgustato. Mi voltai verso la Chimera, che era ancora più vicina. Non sapevo come combatterla. Improvvisamente, Ade scagliò un'altra delle sue fiammate verso di me, colpendo il terreno vicino. Quando il piccolo incendio si dissolse, non rimase che una spada conficcata nel terreno. Era una di quelle spade che si vedono nei film, con il manico rosso. Con spavalderia, mi diressi verso la sede dove era locata la spada. Fu difficile recuperarla dal terreno. Fu ancora più difficile, però, acquisirne la padronanza. Era pesantissima, senza contare che non avevo mai combattuto veramente. Sapevo che sarei stato spacciato, che non avrei avuto molte speranze contro una creatura diabolica come quella. Riuscii a fatica a sollevare la lama da terra, producendo un ronzio metallico. Evidentemente quel rumore diede fastidio alla bestia, che ancora più furiosa si diresse rapidamente verso di te. Il terreno attorno a me tremava per il peso della Chimera che si sollevava e poi atterrava rumorosamente. Io tremavo molto più del terreno. Temevo che le gambe non reggessero il mio peso insieme a quello della spada e anche che le braccia non avessero abbastanza potenza da gestire quell'arma.  Indeciso e impaurito, gettai l'arma in terra e mi creai, non so come, una barriera di fiamme, in modo da decidere il da farsi nel frattempo che il mostro cercasse una via d'uscita. Impugnai di nuovo la spada, con un po' più di facilità  rispetto alla scorsa volta, e la puntai dritta davanti a me. Il mostro, dopo pochi minuti, riuscì ad evadere e saltò in alto, superando le fiamme. Atterrò con violenza, emettendo un ruggito che fece tremare l'intera arena. Avevo pronta la spada, ero sicuro di me. Con un balzo, la Chimera mi venne addosso. Mi lanciai, con tutto il mio peso, contro la Chimera, tenendo la spada in posizione orizzontale. Sfortunatamente, riuscii solo a ferirgli la coda. Con un secondo balzo, la Chimera mi bloccò sotto il suo ventre, facendomi scivolare da mano l'impugnatura della spada. Ero in trappola. Potevo assaporare il gusto amaro della paura. Potevo sentire il terrore invadere anche le più oscure e nascoste parti della mia mente. Sentirmi inondare il volto dal tanfo diabolico di quella creatura è stata la sensazione più disgustosa che io abbia mai provato in tutta la mia vita. Spalancò le sue fauci, dotate di denti in grado di frantumare anche il più duro degli ossi. I sospiri puzzolenti di quella creatura mi stavano asfissiando. Pensavo che che sarei morto prima che mi sbranasse. Ero davvero in trappola. All'improvviso, un'idea geniale mi venne in mente, ricordando la cena della sera prima. Perché non farmi ricoprire dalle fiamme, allontanando così il mostro? E così feci. Mossi le mie mani tremolanti semi-libere, facendo avvicinare a me le fiamme. Consumai tutte le mie forze per liberare un po' le mani dalle zampe che le sovrastavano. Alla fine ci riuscì. Divenni una torcia umana, proprio come il giorno prima, e la creatura si allontanò, terrorizzata dal fuoco. Mi rialzai velocemente, dolorante, e mi recai dove la spada era scivolata qualche minuto prima. Impugnai il manico con molta più facilità , quasi come se le fiamme mi dessero potere. Mi lanciai di peso contro la Chimera, la quale si stava dirigendo verso di me, con ancora più rabbia in corpo. Ci incontrammo in uno scontro mortale. No, non per me, per lei. Conficcai la lama all'interno del suo torace, dopodiché lasciai la presa e caddi in avanti. La bestia si catapultò a terra dal lato opposto. Era morta, era finalmente morta. Era gratificante, avevo vinto, avevo superato la prova del re degli Inferi. Tutte le fiamme intorno si spensero, lasciandomi in penombra. Nell'aria sentii un piccolo applauso. Era quello di Ade.

«Complimenti, sei riuscito a sconfiggere la Chimera. Per questo, ti concedo la libertà  e ti lascerò parlare per un minuto con Persefone. Un minuto solo però» disse, sempre con il suo tono severo. Mi voltai verso Alan, annuiva. Andai da lei, mentre vedevo sul suo viso scorrere qualche lacrima. Ci abbracciamo. Anche se non ci conoscevamo, sembrava che ci fossimo conosciuti da sempre.  Era il legame materno che ci univa. Dopo un abbraccio intenso, lei inziò a dirmi qualcosa.

«Cyrus, ti ho sempre voluto bene. Ti ho mandato sulla Terra per proteggerti, ma io ho sempre sperato che un giorno ci saremmo rincontrati. Ti osservo sempre, da qui, e vedo quanto sei cresciuto. Ti ho osservato tramite Aaron. Lui non era altro che la mia personificazione sulla Terra, per accudirti. Ade, però, preso dalla rabbia, lo uccise di proposito, coinvolgendolo in un incidente stradale. I poteri che possiedi, quelli con cui puoi comandare il fuoco a piacimento, li hai ereditati da me. Sappi che ti vorrò per sempre bene, figlio mio»

Mi scese una lacrima. Dopodiché Ade mi fece cenno di andarmene, il tempo era terminato. Agitò la mano e una strana luce rossa ci avvolse, mentre intravedevo mia madre, con capelli scuri e un bellissimo abito rosso, che mi salutava inviandomi un bacio. Dopodiché, il nulla. Mi ritrovai sulle rive dell'Averno, pensoso. 

«Ora che non corri più nessun pericolo, non vedo perché dovrei sorvegliarti. Stammi bene, Cyrus» disse in tono affettuoso Alan, mentre sfilava la sua bussola dalla giacca e me la mise contro. La solita luce bianca mi avvolse e mi ritrovai nella mia stanza, la mia vecchie stanza. Quella dove avevo dormito fino a poco tempo fa con Aaron, o meglio, con mia madre. Sapere di essere il figlio della regina degli Inferi mi ha scombussolato un po', ma d'altro canto, sono ancora vivo, no?

 



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                                                                                       Vibravashiny

                                                     Universi paralleli

<<No! Non mi ruberai mai i Cristalli!>>
<<Sicuro?! Io ho qualche dubbio a riguardo...>>

<<Ah!>>

<<Ti ho fatto male?! Oh povero Svain!>>

<<Lasciami star... Ah!!!!!!!!!!>>

<<Bene, ora mi prendo i Cristalli, eheh!>>

<<Mi dispiace, ma non te lo posso permettere!>>

<<Cosa?! Tu... Cosa vuoi ora?>>

<<Lordark, lascia subito i Cristalli o dovrò sbatterti in galera!>>

<<Emh... Signore, ha uccisso Svain, dovremo sbatterlo in prigione comunque...>>

<<Zitto Bob!>>

<<Ah, è così, eh?! In questo coso, byebye!>>

Una palla di fumo accecò la polizia... Dopo qualche secondo il fumo svanisce e gli agenti si guardano intorno... Finché...

<<Guardatelo, è sopra quel palazzo!>>

<<Mi dispiace, detective Bonny, ma sarà  difficile prendermi!>>

<<Haha, non penserai che farò tutto il lavoro da solo?! Ci penserà  anche il prescelto!>>

...Intanto... Nel pianeta "Terra"...

<<Ma cos'è quel coso...>>

Un portale stava attirando la curiosità  di un essere umano...

<<OK... Meglio toccarlo con un rametto>>

Il ragazzo toccò il portale con il bastone e il portale magicò risucchiò il giovane

<<Ah.... Ma dove mi trovo!? Sto dentro a quel coso?! Sì... Ehi! Perché ho un ramo al posto di un braccio... Cos'è quella luce... AAAAAAAA>>

Più tardi...

<<Matteo... Matteo, svegliati...>>

<<Eh? Chi è!? Wohohohohoho! Chi saresti te>>
Matteo si alzò in piedi

<<Sono la principessa di Imperia>>

Matteo guardò stranita la principessa e poi parlò

<<Chi?! Impericosa!?>>

<<Hihi, questo non è il tuo mondo...>>

<<Cosa!>>

Il ragazzo guardò male la principessa

<<OK... E perché mi trovo qui?!>>

<<Per salvarci... Imperia è invasa da orchi e goblin, tu però puoi salvarci, sei un umano, e la tua razza è l'unica che può controllare i Cristalli...>>

<<Emh... Cosa sarebbero i "Cristalli"?!>>

Entrò in stanza un vecchio con una tunica, una corona e un bastone...

<<Sono dei Cristalli che ti fanno avere dei poteri... Bah... I ragazzi di oggi!>>

<<Papà , non fare così, è il  prescelto!>>

<<Prescelto?! O... Mi perdoni mio signore, non intendevo offendela io... Sì, volevo offenderla, ma non cedevo fossi il prescelto...>>

Matteo guardò sbalordito il signore

<<Nah, non si preoccupi...>>

<<OK!? Quindi quando iniziamo le ricerche?>>

disse la princepessa...

<<Un secondo! Perché ho questo ramo al posto del braccio e... Chi siete voi? Come vi chiamate!>>

<<Allora... Io sono la principessa Arianna e lui è mio padre, Re...>>

il Re interruppe la principessa

<<Stop! Non si dice mai il nome di un re, porta sfiga a vita>>

Matteo rise

<<Haha! Siete simpatici!>>

Arianna, felice, disse...

<<Questi, sono i tuoi compagni di viaggio...>>

Entrò un piccolo guerriero, con armatura e spada

<<Lui è Pink... Il "piccolo e carino" guerriero... Haha>>

<<Ehi! Non mi chiamare così!>>

Esclamò Pink

<<Poi c'è lui, Girella>>

Entrò un vortice di colore verde, aveva la bocca grande e gli occhi azzurri

<<Salve mio re, salve Arianna. E lui chi sarebbe?>>

Girella guardò Matteo con il suo grande occhio azzurro

<<Fatemi indovinare... Codesto è il prescelto...>>

<<Bravissimo Girella!!!! Sai Matteo, Girella prima era un principe, il principe della nostra città  "amica", Zoart, ormai questa città  è deceduta...>>

Disse dolcemente Arinanna guardando Girella

<<Mentre lei è Crystal, la ricercatrice di Cristalli!>>

si sentì un botto provenire dall'altra stanza... E i presenti corserò a vedere cosa stava succedendo

<<Scusa Arianna, volevo preparare una torta per l'arrivo del prescelto, è già  arrivato?!>>

Chiese Crystal

<<Sì, eccolo qua... Non fare brutte figure!>>

Arinanna face posto a Matteo...

<<Oh... Mi scusi tanto mio Signore, non volevo... Oh! Non sapevo avesse la mia stessa età ... Salve..>>

Crystal si arrossì

<<Matteo, Crystal ha la tua stessa età , magari andate d'accordo>>

Esclamò Arianna...

<<D'amore e d'accordo!>>

Urlò scherzando il Re!

<<Papà !>>

Tutti guardarono male il Re

<<Eheh, stavo solo scherzando....>>

Il Re chiese scusa e Matteo cominciò a parlare

<<OK, ma perché ho questo ramo al posto del braccio!?!?!?!>>

<<Matteo, in questo momento stai controllando il Cristallo della Natura, che ho ora in mano! Se ti concentri molto puoi annullare l'aggiornamento, l'"aggiornameno" sarebbe il "potere di quel Cristallo" per ora noi ne abbiamo solo uno, quello che stai controllando in questo momento, che si chiama "braccio-ramo operpowa"... Poi in giro ne troverai altri, per esempio, una volta trovato l'aggiornamento "Gamba-Plano" e averlo messo in contatto col Cristallo della Natura, se te vuoi, puoi usare quel potere per planare sulle tue gambe, che diventeranno una foglia e...>>

Matteo interruppe la principessa, dicendo:

<<OK. non ci ho capito molto, però... Va bene... Quindi mi devo concentrare e... Ecco! Mi è ritorato il mio splendido braccio!>>

<<Stop alle chiacchere, ora partiamo!>>

esclamò Pink!

<<OK! Ragazzi, partiamo! Emh... Posso avere il Cristallo ora?!>>

Arianna diede il Cristallo della Natura a Matteo

<<Certo, tieni!>>

I nostri eroi partirono...

<<Ragazzi, ci possiamo accampare qua per sta notte?>>

Chiese Matteo

<<Ma dobbiamo prime esplorare l'area!>>

Disse Girella!

<<OK, io e Matteo andiamo di qua, mentre Girella e Pink di la...>>

Disse Crystal, guardando Matteo e arrossendosi

<<Sì... Emh... Solo che sta arrivando un carro piendo di troll!>>

sussurrò Pink

<<Dietro l'albero e poi... ATTACCO A SORPRESA! Va bene?>>

Sussurrò Matteo e tutti si nascosero dietro l'albero

<<OK. uno... due... tre... All'attacco!!!!>>

Urlò Matteo e i quattro saltarono sopra il carro

<<Prendi questo, e questo!>>

Crystal tagliò la testa a due troll con la sua spada

<<Ti faccio male, eh? Eh!?>>

Urlò Pink dando il suo scudo in faccia ad un altro mostro

<<Wooho! Mi dispiace, scusa, emh...>>

Disse Matteo infilzando per caso i troll con il suo braccio-ramo...

<<OK, ragazzi, non è rimasto nessuno... Che ne dite? ci prendiamo questo carro?>>

Chiese Girella

<<E me lo chiedi pure?>>

Rispose Crystal

<<Quindi ce lo prendiamo sì o no?>>

Richiese Girella

<<Certo! Cos'ho detto un secondo fa>>

Rispose Crystal

<<Hai detto "E me lo chiedi pure?">>
<<Ho detto anche "certo", idiota!>>

<<Idiota a chi, scusa!?>>

<<Mi dispiace interrompervi, ma dobbiamo andare, chi guida?>>

Chiese Matteo

<<Io!>>

Rispose Pink ai i quattro amici e ripartirono...

*il giorno seguente*

<<Aiuto!!!>>

Un mostro gigantesco stava attaccando la città  di Ramsick, a Nord-Ovest di Imperia...

<<Ma cos'è quell'incendio?>>

Chiese Matteo agli altri

<<Niente, è solo un Bumbolog!>>

Rispose Girella

<<E che cos'è un Bumbolog?>>
Richiese Matteo

<<I Bumbolog sono il male di ogni umano che si accumola, è praticamente impossibile fermarli, solo se un giorno il male di ogni singolo essere umano finirà , essi scompariranno...>>

Rispose Pink

<<I Bumbalog sono così giganteschi... Perché il male degli esseri umani è troppo grande...>>

Aggiunse Crystal

<<Dobbiamo lasciare che quella cittadina muori e bruci, se no moriremo anche noi...>>

Disse Girella

I ragazzi se ne andarono lontano da quella città , a Matteo lacrimavano gli occhi

<<Matteo, perché piangi>>

chiese Girella

<<Perché è colpa mia...>>

Rispose Matteo

<<Matteo, sai, io odiavo tutta la tua razza, fino a ieri, quando ti ho conosciuto, te, il tuo ottimismo, non è colpa tua se esistono i Bumbolog, non è colpa tua...>>

I due si misero a sorridere

<<Grazie Girella, grazie...>>

-Nel frattempo-

<<Sbrigatevi, dobbiamo cercare il prescelto prima che lo trovi Lordark>>

<<OK... Potrebbe stare ad Imperia!>>

<<Hai ragione...>>

<<Andiamo!>>

*il giorno seguente*

<<Buongiorno!>>

Esclamò Crystal

<<Come sta oggi il mio prescelto preferito?!>>

toccando la parte alta del naso di Matteo e ridendo

<<Bene... Crystal...>>

Rispose Matteo sconvolto

<<Sono contenta, allora, sono andata da sola alla ricerca di frutti, ma... Ho trovato solo una mela... Ti va di dividerla?>>

Chiese Crystal

<<Certo, ma non ho un coltello per tagliarla...>>

rispose Matteo.

<<Non serve il coltello per tagliarla, io la mordo da un lato e te da un alto!>>

Disse Crystal

<<OK...>>

Rispose Matteo

<<So dove vuole vuole arrivare, ma ho fame e... Tanta, poi Crystal non è così brutta, sì, un sacrificio lo posso anche fare!>>

Pensò Matteo

i due diedero un morso ai lati della mela e si toccarono le labra l'un l'atro, così si baciarono

<<Non è male, anzi, credo di essermi innamorato di Crystal>>

Pensò sempre Matteo, i due rimasero così per alcuni secondi, finché

<<Ragazzi! Ohibò! Ohibò! Ohibò!>>

Esclamò Girella, Crystal si scansò da Matteo

<<Girella... Non è come sembra o... Sì, è come sembra!>>

Disse Crystal

<<Tranquilli, non lo dirò a nessuno....>>

Rispose Girella

<<Ragazzi, dobbiamo andare, ho trovato un aggiornamento!>>

Eclamò Pink

<<Dov'è?>>

Chiese Matteo

<<Sta sopra il monte!>>

Rispose Pink

<<Allora andiamo, dai!>>

I 4 salirono sopra il monte, ma ad un certo punto...

<<Non ce la faccio più>>

Disse Pink

<<Nemmeno io>>

Disse Crystal

<<Sono stanchissimo...>>

Pensò Matteo

<<... Forse è meglio rallentare un po...>>

Continuo, pensando, Matteo

<<Rallentiamo un po, và !>>

disse Matteo

<<Ok...>>

rispose Girella

*nel frattempo*

<<Secondo i miei calcoli dovrebbero stare sopra questo monte...>>
<<Allora, dai! Andiamo!>>

*qualche ora dopo*

<<Eccoli la!>>

<<Oh no! Altri nemici...>>

disse sbuffando Crystal

<<No! Noi non siamo nemici, noi siamo gli agenti di polizia dell'universo G-B>>

Girella aprì gli occhi

<<Bonny? Sei proprio tu!>>

Bonny si raddrizzò gli occhiali

<<Girella... AMICO MIO!>>

Rispose il detective

<<Amici! Voi due?>>

Chiese Pink

<<Sentite, Lordark vi sta cercando per uccidervi!>>

Disse Bonny

<<Come facciamo a fidarci di un coniglio con occhiali e cravatta?>>

chiese offensivamente Pink

<<Pink, ti prego!>>

Girella rispose male a Pink, sottolineando un malocchio

<<Ok, OK, sto zitto!>>

disse Pink

<<Stanno venendo qui...>>

disse Bunny

<<Ahahahahahahahahahahahahaaha>>

Sì sentì questa voce che rideva e poi delle frecce colpirono tutti gli agenti di polizia, ammazzandoli, tranne Bonny

<<Eccoli...>>

sussurrò il coniglio

<<CORRIAMO!>>

urlò Matteo e tutti corserò verso la cima del monte

<<Eccolo, sta dietro di noi!>>

<<Siamo arrivati in cima! Ecco l'aggiornament...Oh!>>

Matteo riusci a prendere l'aggiornamento, che era appeso ad un albero

Il mostro era un teschio gigantesco

<<OK! Questo dev'essere l'aggiornamento per planare... Ecco... Uno... Due... Tre! Ragazzi, aggrappatevi a me>>

Matteo diventava sempre più grande e le sue gambe si stavano unendo in modo di formare una specie di foglia che serviva a planare

<< Ecco ci siamo tutti aggrappati!>>

Disse Crystal

<<No... Manca Bob...>>

sussurrò Banny

<<Eccomi qua signore!>>

Esclamò Bob

<<Ci sono, e te Pink?>>

Chiese Girella

<<Pink?>>

Urlò Crystal

<<Eccolo la!>>

Urlò Girella indicando la cima del monte

<<Ma così, verrà  ucciso da quel mostro... PINK!!!!>>

Urlò Crystal

<<Non possiamo fare niente, ormai è morto...>>

Disse Girella guardando in basso

<<Matteo... Senti, dobbiamo prendere l'ultimo aggiornameno che si trova a Sunshine, città  a Sud-Est>>

<<OK, quindi plano verso... Dov'è Sud-Est>>

Chiese Matteo

<<Tieni questa bussola!>>

Bonny diede una bussola a Matteo

<<Troppo piccola, non la vedo...>>

Disse Matteo

<<OK... Allora vai da quella parte>>

Disse Girella

<<Va bene, regetevi forte>>

*il giorno seguente*

<<Finalmente, siamo arrivati!>>

disse Matteo

<<Ah... Che bella dormita...>>

sussurrò Girella

<<Matteo, grazie per non aver dormito, senno eravamo tutti K.O. a quest''ora>>
Esclamò Crystal

<<Di niente Crystal...>>
I due diventarono tutti rossi

<<Bene! Ora andiamo, Bonny, da che parte si va?>>

Chiese Girella

<<Da quella parte, vero Bob?>>
Disse Bonny

<<Emh... Sì capo, senta, io potrei restare qua? Con la mia famiglia>>
Chiese Bob

<<OK ragazzo, un po di vacanze te le meriti!>>

Rispose Bonny

<<... Ragazzi, sbaglio o quello è un Bumbolog?>>

Chiese Matteo

<<Oh no...>>
Disse Bob

<<No qua, vai via, brutto *censura*!>>

Urlò Bob

Bob era un uccellino... Esatto, "Era"...

Il Bumbolog afferrò il povero Bob stringendolo tra i denti e uccidendolo

<<Oh no... BOOOOOB!>>

Urlò Bonny

<<Ora basta!>>

Bonny salì sulla schiena del Bumbolog e una volta arrivato sulla testa gli morse un occhio

<<WOAH!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!>>

Urlò il Bumbolog per il dolore, poi cercò di colpire Bonny con la sua grossa mano, ma il Bumbolg, ha un'inteliggenza pari a 0 e dopo un po di colpi sulla testa il Bumbolog sveni e cadde per terra. Questo causò un forte terremoto che uccise Bonny

<<Presto! Andiamo a vedere!>>

Urlò Matteo e i quattro andarono a vedere...

<<No... No.... Bonny>>

Girella sussurrò e poi pianse sul corpo di Bonny

<<Non piangere Gir... Gir...>>

Crystal mise una mano sulla spalla di Matteo e anche loro due pianserò

<<Ahaha! Mo vi ammazzo a tutti!>>

Urlò Lordark

<<Oh no.... Girella, Lordark è qui, ti prego, reagisci...>>

Urlò Matteo a Girella

<<No... Non ce la faccio...>>

Urlò Girella

<< E allora vi fara piacere che ho ammazzato il vostro caro Re e che Arianna e qui con me....>>

Disse ridendo Lordark

<<Matteo, Girella, Crystal.... Non ammazzarli, ti prego, risparmiali>>

Sussurrò Arianna

<<Ma certo, guarda come gli ammazzo!>>

Sghinniazzò Lordark

<<Ah sì, eh!>>

Arianna diede un calcio a Lordark e si liberò

<<Tieni Matteo, l'ultimo aggiornamento!>>

Matteo afferrò l'aggiornamento e lo mise in contattò con il Cristallo

<<OK... E ora cosa dovrebbe succedere?...>>

Chiese Matteo

<<Sprigiona tutta la tua energia...>>

Rispose Arianna

<<OK...>>

Matteo si trasformò, correva molto veloce, e dietro di lui lasciava una striscia verde, era diventato più forte e dalle mani lanciaa delle sfera di energiail prescelto corse verso Lordark, e gli diede dei pugni

<<Questo è per Pink!>>
<<Questo è per Bob!>>

<<Questo è per Bonny>>

<<Questo per il Re!>>

<<E questo per tutti le tue altre vittime!>>

Matteo trasformò il braccio in ramo e questa volta era più affilato del solito e sembrava anche più potente...

<<E questo e per te e tutte le tue brutte azioni che hai commesso>>

E infilzò Lordark nel cuore

<<Bravo Matteo, ce l'hai fatta!>>
Disse Girella

<<Ti aprò un altro Portale proprio qui di fronte!>>

Disse Arianna aprendo un portale

<<Addio Matteo e sappi che... Ti amerò per sempre...>>

Disse Crystal

<<Anche io Crystal...>>

I due si baciarono e Arianna disse

<<Ma che "addio e addio", Matteo può ritornare quando vuole!>>

Disse Arianna

<<Come?>>

Urlò sbalordito Matteo

<<Sì, ogni volta che farai una buona azione ti si aprirà  un portale di fronte e se vuoi, entraci e ti ritroverai nel mio castello!>>

Spiegò Arianna

<<OK, quindi... Arrivederci!>>

E Matteo scomparve nel portale...


 

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Buh, scusate per il finale abbozzato, non è il mio genere.

Non sapendo il latino, l'ho tradotto sul traslator. Chiedo venia, prendetela come un lingua a voi sconosciuta :°

Vulpah

Le lacrime di un salice piangente

Il ticchettio dei tacchi a spillo si trascinava pesantemente sull'assito di legno, risuonando a tratti per l'intero corridoio. Fece un sorriso smorzato, nella speranza di non svegliare le domestiche al piano di sopra. Alcuni borbottii seguiti da uno sbadiglio e da un frusciare di coperte.

Morse il labbro e continuò la sua camminata, fermandosi di tanto in tanto per assicurarsi che non ci fosse nessuno che la seguisse.

Stringeva con due dita la bordatura dorata della gonna affinché non inciampasse in qualche trafora di ceramica, sempre dietro l'angolo. Erano attaccate ai sudici muri di calce tramite dei perni di ottone in modo che non cadessero, rivelando in questo modo le scorte segreti di dolcetti di Anna che spesso era solita a trafugare in piena notte, quando era in preda a qualche attacco di insonnia.

Il cioccolato rinfranca il cuore e lo spirito, diceva lei per giustificarsi quelle poche volte in cui veniva scoperta da Eloisa con la bocca piena di dolciumi.

Un brusco movimento di spalle fece barcollare pericolosamente l'anfora dietro di lei. Presa da un'impeto d'ansia si girò quasi di scatto, affondando i polpastrelli all'interno del foro del vaso delimitato da una sequela di diamanti di alto prestigio, così come per l'interno, placcato in oro. Un normale borghese a venderlo avrebbe guadagnato soldi sufficienti per crogiolarsi nel lusso più assoluto, smettendo di diventare schiavo del lavoro. Non negava in cuor suo che avrebbe voluto trascorrere una giornata nei panni di un plebeo per comprendere la loro sofferenza, non dissimile dalla sua.

Inghiottì un nodo che le aveva bloccato la gola, mentre un rivolo di sudore freddo le rigò la guancia scavata sin ad arrivare sotto il mento, cadendo sul pavimento. L'assenza pressoché totale di qualsiasi genere di rumore non fece altro che enfatizzarlo maggiormente, facendo accrescere in lei una preoccupazione non trascurabile, nonostante fossero le due di notte e tutti nel castello stessero già  dormendo da un po' di tempo.

Fortunatamente, il suo timore smise di annientarle il cervello non appena sentì l’energico russare di una di loro, probabilmente Anna.

Anna era una delle domestiche più anziane, se non la più anziana. Non ricordava quanti anni avesse. Era stata una presenza costante nella sua vita, il suo caschetto geometrico, i suoi occhi piccoli e rossi, quella finestra sul mondo in tutta la sua piccolezza e freddezza.

E poi quel suo basco blu, con un paio di piume che partivano dalla sommità  del cappello sino a sfiorarle i polpacci.

Molte erano le leggende che giravano sul suo conto, come in ogni castello che si rispetti dove pullulava l'ignoranza e la superstizione.

Si pensava in fatti che lei fosse una fenice immortale, in grado di cambiare aspetto a suo piacimento e che fosse in grado di aspirare l'anima alle persone che le mostravano un affetto smisurato. Dicevano anche di averla vista girovagare per le stanze nel cuore della notte, avvicinarsi alle finestre e poi sparire in un battito d'ali. Per avvalorare le loro tesi, portavano alla regina una piuma di piccione, dicendo che appartenesse ad Anna. Fortunatamente sua madre non si poteva considerare un'allocca, e ogniqualvolta le portassero quelle piume si limitava a una sonora risata.

Eloisa guardava con scetticismo quelle dicerie da corridoio messe in giro dalle cameriere più giovani, probabilmente gelose del fatto che sua madre le desse più privilegi e che la trattasse come una sorella.

Tutte fantasie in grado di eguagliare l'immaginazione di un bambino di tre anni.

Gli angoli delle labbra si inclinarono in un'espressione più naturale, quasi sollevata dal fatto di non arrecare fastidio a nessuno.

La sua mano delicata posò le lunghe dita affusolate sopra la maniglia della porta. Fece una smorfia di ribrezzo non appena si accorse che la testa di una scultura marmorea -probabilmente un dragone- la stava fissando con uno sguardo vitreo, perso in un' inespressività  non poco inquietante.

Fece una smorfia di ribrezzo dopo aver scostato una dietro le orecchie una lunga ciocca bionda sfuggita al dominio del gel, che le era finita sull'occhio destro. Con la mano libera cercò di sistemarsi il corpetto di pizzo, in modo che riuscisse a contenere l'ampia scollatura, nascosta da un vistoso jabot cucito sul davanti. Quella mattina la sarta mise alcuni punti in più del dovuto, ne era sicura. Sospirò.

Le aveva chiesto solo di rattoppare lo strappo del corpetto molto grossolanamente, giusto per non sentire la madre che avrebbe iniziato per l'ennesima volta una delle sue interminabili tiritere sul senso di responsabilità , sul suo comportamento indisciplinato eccetera eccetera eccetera. Oltre che a realizzare una vistosa cicatrice che sembrava tranciare il vestito in due, doveva aver stretto anche le cuciture. Eloisa digrignò i denti, cercando di nascondere dietro un sorriso forzato messo ancor più in risalto dal rossetto regalatole il giorno del suo diciottesimo compleanno, il dolore che provava nel restare intrappolata in quell'ammasso di raso e fiocchi vistosi cuicitole su misura da una delle sartorie più in voga della città .

Vista da dietro sembrava il ritratto della perfezione. Una perfezione sfiorita, scomposta, sbattuta violentemente a terra. Una perfezione dopotutto, inesistente. Le spalle rigide riuscivano la tempo stesso a formare una linea aggraziata, segno delle interminabili lezioni di portamento iniziate all'età  di tre anni. Il collo lungo e sottile era leggermente inclinato in avanti, non riuscendo a reggere il peso dei diamanti incastonati sulla tiara che si avvinghiava sulla sommità  del suo capo come i rovi di una corona di spine.

I boccoli dorati cadevano dietro la schiena in un modo quasi innaturale, siccome i quantitativi industriali di lacca li avevano ridotti a una massa stopposa e inestricabile. Un paio di ciocche erano legate da un elastico bordato da zaffiri, gli stessi del medaglione che portava al collo. Una volta aperto, il viso di un giovane scudiero, probabilmente il suo promesso sposo. Una lacrima sfuggente le rigò il volto, ma lei si apprestò a stroncare la sua corsa sul nascere, asciugando la guancia con le dita. Non riusciva a restare impassibile al fatto di essere solo una bambola di porcellana appesa a un fil di ferro, in attesa che venga compiuto il suo destino.

Messa in bella mostra in una campana di vetro, il suo castello.

La gente si fermava ad ammirala silenziosamente e poi passava avanti, insofferente, incapace di comprendere che quel sorriso dipinto sul viso non era altro un modo per nascondere la sua sofferenza. Un dolore tale da riuscire a leggerlo solo negli occhi, che silenziosi mormoravano una richiesta d'aiuto che non sarebbe mai arrivata. Semplicemente perché la gente non si accorgeva mai di nulla.

Non si accorgeva della signora incinta con difficoltà  motorie, non si accorgeva dell'anziana taciturna che stringeva a sé un biglietto d'addio, non si accorgeva del cane che vagabondava per le strade in cerca dei suoi padroni, non sapendo in cuor suo di essere stato abbandonato.

La società  era diventata un crogiolo di indifferenza, la testa china immersa in chissà  quali fantasticherie lontane dalla cupa realtà  al giorno d'oggi.

Con il caos che vigeva tra i borghi malfamati, era facile diventare invisibili. Non era necessario pronunciare "Invisibilia" per vedere il corpo smaterializzarsi realmente, perdendo forma e sostanza. Era sufficiente essere una ragazza palesemente normale, camminare a passo svelto e tenere gli occhi incollati al pavimento. Magari qualcuno avrebbe potuto farla cadere, dimenticandosi di chiederle scusa, perché non l'aveva notata. Lei si sarebbe rialzata, senza più una lacrima. Ne aveva versate troppe. Non riusciva più a provare la vergogna nel guardarsi nello specchio, ripetendosi con un fil di voce che lei non era nessuno per riuscire a cambiare un destino tracciato sin dalla nascita.

"Chi nasce nobile non può morire plebeo" diceva sempre suo padre.

Eppure in cuor suo, quella era l'unica via che intendeva perseguire. Molte erano state le volte in cui avrebbe voluto enunciare l'anatema che cancella, in modo da venire dimenticata da ogni cosa, per poter cominciare una nuova vita, presentandosi come la figlia perduta di una qualsiasi famiglia sull'orlo della bancarotta. Avrebbe perso volto e nome, diventando finalmente nessuno. Avrebbe visto finalmente scomparire quel dannato appellativo che non faceva altro che ricordarle la sua stirpe nobile, la sua unica condanna.

Eppure, non era tenuta a farlo.

Il suo sarebbe rimasto un desiderio impossibile, perché quella era magia nera. E se gli altri avessero scoperto il suo segreto?

Avrebbero capito che lei non era nient'altro che una strega, un'erbaccia da estirpare, un'inutile fenomeno da baraccone. Un'essere che non aveva ragione di esistere.

La fine che tanto desiderava sarebbe stata il rogo, morendo consumata dalle sue grida stranzianti che avrebbero colmato gli spazi vuoti della sua solitudine.

E nessuno si sarebbe accorto della sua esistenza.

Strinse la maniglia di marmo in una presa ancora più forte di prima, mentre le unghie affondavano nella carne del palmo nel disperato tentativo di celare le lacrime.

- Apreum-.

Con un gesto la maniglia si portò in avanti, rivelando uno spiraglio sull'oscurità  della stanza.

Lo stesso buio che avvolgeva le sue membra, le sue paure. Eloisa cercò di inghiottire un nodo che le bloccava la gola, impedendole di piangere. Lentamente si inabissò nella stanza, con la testa china e lo sguardo impassibile. Come sempre.

Ormai non aveva più rimpianti.

Non aveva ragione di vivere.

Appogiò entrambe le mani sullo stipite della porta, spingendole in un ultimo sforzo che sarebbe rimasto tale.

Le tenebre parevano legarsi ad ogni oggetto della stanza, rendendolo informe e incapace di distinguerlo dagli altri. Il volto di Eloisa d'un tratto si rabbuiò, iniziando a mormorare qualcosa sottovoce. Quasi come se in quella stanza, oltre a lei, avesse percepito un'altra presenza. Un sorriso a denti stretti e una risatina soffocata, a tratti irritante.

"Questa è la vera essenza dell'oscurità . In assenza di luce ogni cosa diventa uguale alle altre. Siamo noi, in conflitto con noi stessi. Contro le nostre paure, contro un compito che temiamo di portare a termine perchè porteremo la delusione nei nostri cari. Non è cosi, Eloisa?".

Due occhi rossi iniziarono ad andarle incontro, sotto il ticchettio di un paio di tacchi che si trascinavano pesantemente sull'assito di legno, facendolo stridere quando andava in contro ad ogni tavola sconnessa.

Non ebbe tempo per pensare sul dafarsi. Quella finestra sul mondo sembrava mostrarle una visione più nitida della realtà . Tra non molto sarebbe morta. Lei lo sapeva, perché quello era stato il suo obbiettivo sin dal principio. Non era andato tutto secondo i suoi piani, ecco.

Avrebbe voluto morire per mano sua, aveva già  lasciato un biglietto di addio sporcandolo dei suoi insulsi pensieri, senza troppe pretese e cerimonie. Voleva andarsene in un sussulto, in un sospiro, cosicchè nessuno si sarebbe accorto della sua assenza.

Magari sarebbe sparita in un battito d'ali, accolta dalle Ombre per il suo passato sofferto.

Indietreggiò istintivamente, avendo l'accortezza di mettere un piede dietro l'altro seguendo l'andamento dell'assito di legno, per evitare di inciampare. Stava fuggendo dalla realtà , per timore di doverla affrontare ancora un'altra volta. A viso aperto, senza trucchi, né magie.

Dalla sua bocca non uscì nient'altro che un mormorio soffocato dalla paura. Avrebbe voluto reagire contro quell'essere, strozzarlo con le sue stesse mani, dirgli che tutto quello che stava dicendo era una bugia. Ma non poteva, perché aveva ragione.

Era lì, impotente al centro della stanza avvolta dalle tenebre, come se fosse quello stesso buio a inibire i suoi poteri. Le ginocchia incrociate, le gambe tremanti, consce della loro inutilità . Le braccia contorte in un'abbraccio per se stessa, mentre la testa era china, incollata al pavimento. Nei pochi attimi di silenzio inframmezzati dallo sghignazzare dell'essere informe davanti a lei, il rumore di una lacrima che cadeva sul pavimento.

"Perché ti ostini a fuggire dalla realtà , se non ti aggrada?"

Tutte scuse. Lei non stava fuggendo, stava solo cercando di mettere fine alla sua sofferenza nascondendosi dietro un gesto di vigliaccheria.

- Lux- sussurrava, con una voce rotta dal pianto che ben presto si tramutò in un grido di disperazione - Lux!-.

Davanti al viso spaurito della ragazza apparve timidamente un piccolo fuoco fatuo, che innalzava le sue fiamme ogniqualvolta Eloisa si allontanasse dalla fonte di luce. Senza rendersene conto, sfiorò con la gamba la sua vecchia toeletta.

I suoi occhi si posarono istintivamente sullo specchio adornato di diamanti, coperto da una leggera patina di polvere che le impediva di vedere il suo volto. Con due dita cercò di toglierne una parte, sfregandole una contro l'altra per togliere lo sporco.

Adesso era in grado di riuscire a vedere il suo riflesso. Non era più la gioiosa principessa di un tempo.

I suoi occhi si erano incupiti, diventando un cielo grigio, senza la speranza di trovare più un raggio di sole. Le occhiaie infossate bordavano le palpebre come se fossero ombretto in eccesso. Le era bastato intravedere i suoi occhi per capire che era diventata il fantasma di se stessa.

" Adesso capisci? Come potrebbero sentirsi i tuoi cari, vedendoti scomparire solo per un desiderio di puro egoismo?"

No.

Non poteva finire così.

Non poteva andare incontro al suo stesso destino.

Per un'istante le gambe le si intorpidirono, le ginocchia caddero al suolo. Il fuoco fatuo continuava a rimanere al centro della stanza, riuscendo a farle vedere il viso del suo persecutore.

Quegli occhi rossi, schivi e freddi, coperti in parte dalla frangia del suo caschetto… era lei. Tra le mani, una tavoletta di cioccolato ancora incartata nella stagnola.

- Anna…- mormorò con un fil di voce -… sei davvero tu?-

La gonna ingombrante fece barcollare il tavolo dietro le sue gambe, facendo cadere il suo vaso di cristallo pieno di garofani rossi.

L'acqua che prima conteneva si versò sul suo vestito, ma lei non ci fece più caso.

Ormai non ne aveva la ragione.

"Se sei una strega come dici tu, allora cambia il destino! Agita la tua bacchetta magica e distruggimi!"

Socchiuse gli occhi, nella speranza di non riaprirli più. Le palpebre erano diventate insostenibili per le sue stesse membra, non sarebbe riuscita a tenerle aperte a lungo. Gli angoli delle labbra si smussarono in un lieve sorriso. Una risata soffocata, l'ultima.

Adesso sì, che era davvero finita.

- Gemma animae, qui ex hoc saeculo remanere permittas ... placet fac!-.

I palmi della sua mano, l'una contro all'altra, iniziarono a brillare di una luce rossastra, rivelando una gemma delle dimensioni di un'uovo. La tese verso Anna, quasi come la stesse invitando a prenderla. La mano che la reggeva tremava, ed Eloisa dovette bloccare l'avambraccio con quella libera, in modo da non far cadere la gemma.

-Tienila, distruggila… volevi la mia morte, no? Ecco, quella pietra è l'unico tramite che mi tiene legata a questo corpo terreno. Distruggila ed io morirò con essa-.

"Possibile che tu sia così stupida da andare contro le leggi dell'universo?".

Anna non riusciva a credere a quelle parole. Eloisa era stata una bambina felice sin dalla nascita, i suoi genitori non le avevano fatto mancare nulla. Ogni desiderio materiale lei esprimeva, loro lo esaudivano. Eppure, sapeva che in cuor suo l'unica cosa che le mancava era quella più importante. L'affetto sincero dei suoi genitori.

Non sarebbe bastata la pozione più potente del mondo, per ottere quell'amore.

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Pikachu02


un altro mondo 



ero lì,allungata sul divano a giocare a kid icarus uprising,avevo finito il gioco e decisi di ricominciarlo.


Appena lo finii di nuovo,vidi una mano come se volesse farmi entrare in quel gioco,strinsi quella mano ma dopo non vidi più niente.


Ero svenuta e appena aprii gli occhi vidi un angelo che mi disse: <<Menomale che stai bene>>Ero sbalordita e appena lo vidi mi alzati di colpo e l'angelo mi disse<<Tu non sei di qui,vero?Come ti chiami?Io Pit>>Appena sentii quel nome rimasi sbalordita,avevo capito che mi trovavo in quel gioco a cui stavo giocando.


Mi alzai e risposi alla domanda di Pit dicendo: <<Io sono Maia,piacere di conoscerti>>.


Non ancora ci credevo che ero in quel gioco e Pit mi disse: <<Chissà  come hai fatto a venire in questo mondo>>Io rimasi zitta ma dopo un po' l'angelo mi fece salire sopra di lui e disse:<<Adesso andiamo a casa mia>>E spiccò il volo.


Appena arrivati Pit mi fece scendere e vidi una specie di dea e lei iniziò a parlare <<Pit,chi è questa ragazzina?>>Pit rispose:<<Si chiama Maia e non è di questo mondo,l'ho trovata per terra svenuta mentre camminavo>>La dea si presentò e disse:<<Io mi chiamo Palutena,piacere di conoscerti,sei silenziosa,ti vergogni di parlare vero?>>Io risposi a bassa voce di si e Pit mi incoraggiò di parlare ma io ero ancora sbalordita e pensavo:<<Che io sia qui perchè qualcuno ha chiesto il mio aiuto?Oppure perchè è il destino che io sia qui?Sono confusa>>.


Mentre mangiavamo,io iniziai a preoccuparmi per i miei genitori: non sapevano che io ero qui però sapevo che ero al sicuro.


Era ormai notte e Pit mi diede la sua camera per dormire,era tutta in ordine come se qualcuno la puliva ogni giorno.


Appena iniziai a dormire,sentii una voce che mi disse: <<Finalmente ce l'hai fatta a venire qui,ti aspettavo,tu sei l'unica che può salvare il nostro mondo dalla disperazione: mentre giocavi ho visto che ci mettevi tanta passione allora ho capito che tu eri colei che ci poteva salvare>>


Appena mi svegliai,capii che era stata telepatia e pensai: <<Chissà  chi era..>>M a non ebbi il tempo di pensarci che subito Pit mi offrii dei biscotti <<Li vuoi assaggiare,sono buoni>>,li assaggiai e gli risposi: <<Sono ottimi>>E Pit fece un sorriso.


Dopo una settimana,arrivò Palutena tutta allarmata e disse: <<Ade sta riattaccando>> E Pit rispose: <<Ma non l'avevo sconfitto?>> Ed io capii subito perchè ero lì: dovevo aiutare Pit per riuscire a sconfiggere Ade.


Pit mi fece salire sulla sua schiena e mi disse: <<Adesso ti porto con me,dobbiamo andare a sconfiggere Ade di nuovo>>.


Dopo che siamo scesi,davanti a noi c'era un altro dio che stava dando a Pit il necessario per sconfiggere Ade.


Appena preso quello strano macchinario,Pit mi portò a casa e mi disse: <<Tu rimani qui,è rischioso per te>>E se ne andò.


Dopo un po' sentii di nuovo quella voce che avevo sentito nel sogno: <<Pit è in grave pericolo,solo tu puoi salvarlo,impegnati al massimo e salva Pit.Io ti aiuterò e ti trasformerò in un angelo.>>


Mi trasformai in un angelo e di colpo si mostrò a me una dea che mi disse: <<Io sono Viridi,colei che ti ha portata in questo mondo,salva Pit e questo gioco e se fallirai tutti i giochi di kid icarus spariranno>>,


capii che il destino di quel gioco era nelle mie mani ma io ero lì da poco più di una settimana.


Arrivai e vidi subito Pit a terra: Ade lo stava per uccidere ma io intervenni immediatamente e Ade disse: <<E questa qui chi è?>>Pit,sorpreso di vedermi,disse: <<Cosa ci fai qui,Maia,è pericoloso.....Aspetta un attimo,ti sei trasformata in un angelo>>Viridi intervenne: <<Sono stata io a portare Maia in questo mondo: mentre giocava a kid icarus,sentivo il suo sentimento di divertimento quando giocava quindi ho capito che lei era l'unica che poteva salvare questo mondo>>.


Io e Pit avevamo deciso di unirci per sconfiggere Ade ma Pit cadde a terra e disse: <<Maia salva il nostro mondo,ti prego>>,Avevo capito che ero l'unica che poteva salvare il mondo di kid icarus.


Dopo tanti attacchi ero ormai esausta e Ade iniziò a prendermi in giro: << Sei solo un patetica se continui ad attaccarmi,sono troppo forte per te>>Ma io non avevo nessuna intenzione di arrendermi e inizia a brillare e Viridi disse: <<Ecco il potere di Maia,Ade,subirai una sonora sconfitta>>.


Attaccai Ade e lui si indebolì subito: era pietrificato ed io ne approfittai facendo dei colpi a raffica.


Dopo una ventina di colpi,misi al tappeto Ade che sparì nel nulla,andai verso Pit e lo portai a casa.


Mentre volavo Viridi mi disse: <<Domani ti riporto nel tuo mondo,i tuoi genitori saranno preoccupati,anche se so che vorresti rimanere>>.


Appena tornati a casa,mangiai e dopo andai a letto,non riuscivo a dormire: pensavo a domani in cui dovevo dire addio a Pit e al suo mondo.


Per levarmi quel pensiero di torno,uscii per vedere quel mondo di notte,mi sdraiai sull'erba e vidi il cielo stellato pensando a tutti i bei momenti passati in quel mondo.


Arrivò anche Pit che si sdraiò vicino a me e disse: <<Sei triste per domani,vero?I tuoi genitori saranno in ansia,ti volevo regalare questa collana,come ricordo di me,spero ti piaccia>>.


Pit aveva una faccia strana,come se volesse dirmi qualcosa ma non ne aveva il coraggio però dopo un po' io rientrai,mi sdraiai sul letto e mi misi a dormire.


Era mattina,Viridi mi stava aspettando sotto mi disse: <<Sei pronta per partire,Maia?>> io risposi di si ed iniziai a scomparire.


Arrivò di colpo Pit che disse: <<Viridi,ferma un attimo,devo dire una cosa a Maia>>,Viridi si fermò e Pit iniziò a parlare: <<Senti Maia...ttuu,mi piaci>> Io rimasi sbalordita e risposi: <<Anche tu>> Viridi però ci fermò e disse: <<Adesso Maia deve andare>>.


Mentre scomparivo,Pit mi abbracciava e piangeva però io gli dissi: <<Sarai sempre nel mio cuore,tu e questo mondo>>.


Ero di nuovo sul divano,come l'ultima volta,sembrava come se il tempo lì si fosse bloccato,era tutto come l'ultima volta.


Vidi il nintendo,lo accesi e iniziai a giocare a kid icarus pensando a tutto ciò che mi era accaduto dentro quel gioco e stringendo la collana che mi aveva regalato Pit.



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circa l’anno scorso sono andata per la prima volta a dormir a casa della mia migliore amica. (casa che ha oltre un secolo a sentire lei). comunque abbiamo passato una serata tranquilla fino alle 23.48…quando abbiamo spento la luce per andare a dormire. dormivamo in un letto matrimoniale con la testata in ferro! ero sul punto di addormentarmi quando abbiamo sentito qualcosa che batteva sul ferro..io credendo fosse lamia amica l’ho rimproverata e lei fece lo stesso. così ci prendemmo le mani…ma 2 minuti dopo risentimmo lo stesso rumore e qualcosa di assolutamente gelido che ci toccava i piedi e che saliva verso le gambe! spaventate accendemmo la luce e ci abbracciammo per la paura. la porta era chiusa…sembrava tutto normale. fino a quando il suo cane rem, un boxer che dormiva con noi sul letto non ha alzato la testa ed è sceso velocemente dal letto con la coda tra le zampe dirigendosi verso la porta che era chiusa e cominciò a sbattere contro questa porta…noi spaventate aprimmo la porta per correre in camera della mia amica dato che dormivamo nella camera della sorella. rem andò sul ciglio della porta e si fermò…poi girò la testa verso di noi e ci guardò con aria minacciosa. noi spaventate abbiamo lentamente aggirato il cane e siamo corse in camera sua…il cane ci ha seguito ma no sembrava più minaccioso bensì sembrava impaurito..camminava a testa bassa e sempre con la coda tra le zampe.. arrivate in camera sua ci siamo chiuse dentro a chiave eci siamo stese nel letto con rem ai nostri piedi che sembrava molto più tranquillo…così anche noi ci siamo calmate ma avevamo ancora un po di paura…tanto che nessuna delle due aveva il coraggio di spegnere la luce così abbiamo tenuto una piccola lucetta sul pavimento. il letto era attaccato al muro e la mia amica dormiva nella parte in cui il letto confinava con la parete mentre io dormivo nella parte esterna..quasi addormentate…io ad un certo punto grido:â€ahhhiii!!†la mia amica subito mi chiede cosa c’era..io le dissi che ero più che sicura che qualcosa mi avesse ferito sulla testa…infatti avevo un taglio di piccole dimensioni sul cuoio capelluto…ci girammo e io cominciai a guardarmi intorno…finchè non guardai per terra…ed è li che vidi la forbice della mia amica a terra e con una delle punte insanguinate ..così ne dedummo che fosse stata la forbici a procurarmi quel taglio…ma rimante tuttora il mistero: come ha fatto la forbici a tagliarmi se precedentemente era stata posata sulla scrivania che era circa ad una decina di passi dal letto? subito dopo risentimmo qualcosa di gelido sfiorarci e contemporaneamente vedemmo rem correre a nascondersi sotto il nostro letto fatto questo cominciò a piangere..dopo questo nessuna delle due riuscì più a dormire e così facemmo di tutto per tenerci sveglie fino al mattino dove raccontammo tutto ai suoi genitori. ma loro dissero: “sarà  stato di sicuro un sognoâ€! ma il taglio parlava chiaro… e loro non vollero comunque crederci e mi risposero: “sarà  un taglio che ti sei fatta in precedenzaâ€â€¦ e questo amici miei è solo un decimo di tutto quello che mi è successo…e di ciò che mi porta a credere che veramente esiste qualcuno o qualcosa di sovra umano…qualche oscura presenza…credetemi…tutto ciò ci è successo davvero



(spero che sia piaciuta.........)


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Dissidi temporanei
Science fantasy x Ucronia x High Fantasy
Le nuove tecnologie cambieranno il mondo, diceva spesso mio padre. Ero scettico, credevo che la società  non essendo cambiata nei millenni, non avesse motivo di darsi uno slancio proprio negli anni della nostra misera, piccola vita. I nostri ideali ribollivano per quella eterna, costante battaglia morale che ipocritamente giaceva sul mero denaro. Erano periodi bui, contrassegnati da carestie ed epidemie che affliggevano l’intera regione. Le persone erano succubi del loro tempo, complice di aver soffocato il loro sfuggente lusso. Così abbracciavano la morte, perché allietasse le loro sofferenze nell’immortalità  del cielo. Lì si sarebbero riconciliati con le divinità  da loro adorate, nella felicità  dell’unico mercato che rendesse ancora straordinari profitti. Desideri carnali, culti mistici o valori che fossero, non sarebbero valsi a niente dinanzi alla falce del tristo mietitore. Le speranze che l’avvenire risultasse miracolosamente migliore, brillavano come oasi in un mare di aride promesse. In un contesto così critico, rinacquero miti e leggende sepolti per ere nelle viscere della terra. Oceani inabissati, foreste infuocate, deserti ghiacciati. Reliquie dai poteri soprannaturali.

“Ah, l’inebriante profumo della scoperta. Dovrei debellare il torpore celato alla ragione dei pigri.â€
“Consideri questa gelida tundra umidiccia meglio di un focoso divano?â€
â€œÈ una percezione interiore che evidentemente ti sfugge. Il rischio di perdere…†Un' impercettibile folata d’aria proveniente dalle sue spalle lo interruppe. Frantumando il silenzio con la loro accesa conversazione, attraevano la vorace fauna della spenta boscaglia.
“Il brivido di perdere un capitale di aurei spesi per valicare i confini del…†L’espressione del suo viso mutò di colpo, un gigantesco demone albino correva impetuosamente verso la tenda. La luce del crepuscolo non delimitava nitidamente i contorni dell’animale, ma data la tumultuosa velocità  nell’incedere e la corporatura vigorosa, decretarono che fosse un affamato grizzly dalla cromatura esotica.
“Il fucile a pietra focaia non ha più colpi, e suppongo che il tuo San Jie Gun non scalfisca minimamente un orso di quel calibro†Istintivamente, colti da un’eccentrica indole umana, i due si allontanarono rapidamente nella vegetazione ricca di arbusti e licheni. In quelle ore vespertine il clima era davvero rigido, tanto da costringere qualsiasi belva ad un insolito coprifuoco. “Accidenti, spero che non abbia desunto che questo cardigan è stato tessuto al cinquanta per cento con pelliccia d’orsoâ€
Seminata la violenta fiera, compresero la gravità  della circostanza. Gli ultimi sprazzi di barlume del sole erano svaniti. Pertanto l’accesso all’accampamento, come da norma, era chiuso.
“La cittadina abitata meno distante è a nove leghe da qui. Questo presuppone che l’adattarci all’escursione termica sarà  la radice della nostra sopravvivenzaâ€
“Non fornirà  calore- disse Leon aprendo una tasca nascosta nei pantaloni imbottiti- ma irradierà  il nostro percorso verso il domani†Apparse, agli occhi increduli di Katherine, un’avveniristica torcia metallica.
“Era un brevetto di papà , una delle prodigiose invenzioni della sua mente lungimirante. Fu il regalo per la mia maturità , un oggetto con cui nutriva il suo superbo ego. Il mio utilizzo dell’estroso aggeggio era la vetrina del suo portentoso fenomeno agli occhi dell’opinione pubblicaâ€
“Sfruttava la tua fama per pubblicizzare le sue stravaganti creature a vapore, non ci trovo nulla di spregevole†Proferì con estrema eloquenza. Presagiva una reazione nel suo interlocutore, conscia di aver sfiorato un tasto dolente. Ma, inspiegabilmente, Leon non replicò. Qualcosa allettava il suo sguardo, inibendo tutti i rimanenti sensi. Un lampo elettrico diretto verso un alveo privo d’acqua.

 

“Eri un simbolo da glorificare, e sei stato ghermito dalla tua incrollabile stima†La pioggia cadeva scrosciante, satura di caduche illusioni. “Riportale qui!â€
“Lo possiamo fare. Insieme. Perdonami, non rinnegarmi†I suoi occhi lacrimavano di pietà .
“Perché ti interessa la mia clemenza?â€
“Solo in punto di… morte, si valuta il valore delle azioni della tua intera..†Tossì pesantemente. “Ricordi quella favola con i due anelli? Una versione più antica era racchiusa in una stele arcaica. Tramite il cifrario di Atbash un mio vecchio amico la decriptò, e rinvenne delle coordinate geografiche. Ma non avendo i fondi necessari- singhiozzò- affidò a me l’incarico. L’ho ripescato in Antartide… è quello dimensionale…â€Controllò il polso, poi il cuore ed infine sospirò. Davanti a lui giaceva un defunto, ma l’idea non lo turbò. Il telefono era al piano di sotto. Si strinse nelle spalle e tese il lenzuolo sul volto inerte del cadavere. Si apprestò a scendere le scale, quando scorse per un ultimo istante il corpo della sua passata ossessione giornaliera. “…Vai tu†Per un insolito, unico momento, un'illuminazione celeste lo condusse a completare il rompicapo affidatogli.

 

“Impossibile! Il canyon è stato setacciato palmo a palmo per settimane†Katherine osservava perplessa lo strapiombo, mentre si slanciavano tra le fronde di olmi e salici.
“Non con i giusti metodi di prospezione del sottosuolo†Calpestando l’erba in guttazione, si prepararono psicologicamente a saltare il dislivello che li separava dal fondale. “Solitamente con il permagelo, le radici degli alberi non affondano nel terreno. Eppure qui, sì. Dai, c’era una specie di velo trasparente, quasi fosforescente. Te lo giuro!†Effettivamente, neanche lui ne era convinto. “Tanto non abbiamo altre attività  nel raggio di cinque oreâ€
Il cielo era terso, ed era possibile notare molte tra le più famose costellazioni del firmamento. Atterrando sul terreno madido, sollevarono della polvere che andò a condensarsi, offuscando i fiochi bagliori prodotti da quella fonte luminosa artificiale. Nel loro tenue campo visivo, palparono le pareti del pendio vicine al luogo descritto da Leon, e, stupefatti, scovarono un drappo di un materiale minuto, simile alla seta.
“Esigo delle scuse†Katherine sfilò dalle tasche del cappotto una sonante banconota e, con un gesto repentino, la offrì alle dita del suo fedele compagno. Entrarono in un angusto cunicolo, che risvegliò le sopite paure claustrofobiche di entrambi. “Possediamo un notevole potenziale come speleologiâ€
Intravidero la fine della galleria, ma le loro anime valicavano già  la soglia di una realtà  diversa.
Un drago si librava con movenze angeliche in un incredibile sala, costituita da una grotta di stalattiti che progredivano sino ad inglobare l’intera cavità  della montagna. Sul suolo, scorreva un lieve torrente di liquido acido. La stabilità  dell’insenatura era un capolavoro strutturale, e architettonicamente presentava giochi di coralli e conchiglie degni del miglior ninfeo imperiale. Un asceta, in posa meditativa, salutò gli ospiti e li incoraggiò a non svenire.

 

Rovistando tra gli appunti, rievocò la fiaba tra le meningi delle sinapsi. Improvvisamente, si instaurò nel suo spirito un profondo dolore. “Per controllare l’infinito, si è dimenticato della mamma e di Sophie†Senza un anello, l’altro non fungeva a niente, e, letteralmente citando l’apologo, erano simmetricamente uguali. Ad eccezione delle capacità , in quanto uno vigilava il tempo, l’altro lo spazio. Adocchiò un planisfero e, con le informazioni tra le carte del padre, incrociò latitudine e longitudine diagonalmente opposte alle isole Orcadi, segnalando un territorio al di sopra delle steppe asiatiche.

 

L’acre fragranza di salgemma penetrava nei pori della carne, coprendo le ingenti emanazioni di miasma derivate dai putrescenti escrementi depositati in un angolo del colossale antro.
“Sono il custode del portale del tempo, nonché curatore del museo delle meraviglie perdute. Utilizzo il dono degli antenati per recuperare i capolavori sommersi dal solipsismo, dalle coscienze distorte, tentatrici dell’io†Alzò orizzontalmente il dorso della mano generando un'onda d’urto inviata ai suoi ospiti. Katherine, disorientata, sdrucciolò sulla viscida melma sottostante. Leon, trasecolato e pietrificato, balbettava.
“Siete regrediti ad un linguaggio monosillabico?â€
“Perché l’hai fatta svenire?â€
“Ti avrebbe tradito. Ho esercitato un'elementare magia elfica, volta a testare il vostro candore. Elgastr! Guidala via†Un grifone dalle fattezze adunche, planò, lanciando uno stridulo richiamo ai presenti. Esibendo la muscolatura possente e le zanne feroci, agguantò la donna al ventre, raccogliendola dall’inerzia e librandosi diretto ad un'uscita secondaria. “La fiducia va meritata. Ora, vieni†Salirono un gradino di marmo, e vagarono in un corridoio tenebroso fino a raggiungere una stanza rallegrata da tre ardenti focolari.
“Sei un folletto, un anacoreta?†Assorto nelle sue riflessioni, formò un diversivo per indovinare il temperamento del vecchio.
“Un alchimista erudito, direi. Per fortuna non mi hai aggredito, altrimenti ti avrei ucciso. Sai, hai un mordente ordinario, ma un sapore familiare.â€
“Sapore?â€
“Essendo sedentario, identifico i visitatori dall’olezzo. Questo è il...â€Rammendò tra le cicatrici del passato, la porta del salone. Era proibito oltrepassarla, e la sua bizzarra forma eclettica incuteva un inverosimile mistero. “…portaleâ€
“Cavolo. Ho sempre cercato nella mia pedante stupidità  un esile gioiello. Anche da morto, ridi di me?!â€- pensava, e rideva di gusto-“Beh, ecco spiegato tutto. I tuoi precisi disegni erano solo il frutto di un viaggio interdimensionale. La mia paranoia, però, era reale. Sei anche stato qui, ma nella tua alienata teoria meritocratica, volevi che osassi di più, che giungessi da solo alla verità â€
Il druido inserì una chiavetta nel portale, originando una rete magnetica scarlatta. Leon, calmo, parve congedarsi dallo sciamano.
“Non vuoi divenire il padrone del tempo?â€
“Mi spiace, esiste un tempo che non si può ripetereâ€


Note/Curiosità 

Vi sarete fatti delle supposizioni, se avete letto attentamente il racconto. Ho nascosto degli indizi, ma i più acuti li avranno certamente notati. Alcuni sono i misteri da svelare, che avrei lasciato volentieri all’immaginazione dei lettori e a un pragmatico ragionamento deduttivo.


1. Principalmente siamo in una realtà  di fantastoria, dove la battaglia di Teutoburgo è stata vinta dai romani, con la successiva colonizzazione dell’intero mondo. Le isole Orcadi, realmente esistenti e scoperte da Roma, gli aurei e le leghe assieme ad altri giochi di parole ne sono la testimonianza. Dato il fucile a pietra focaia e il cardigan, si deduce che siamo nell'ottocento latino circa. Il San Jie Gun è la prova dell’espansione che né dinastia Song, né i barbari sono stati capaci di fermare.
2. “Senza un anello, l’altro non fungeva a niente.†Un'evidente bugia e deviazione del padre di Leon nel raccontare la favola.  “…Vai tu†Il messaggio apparentemente paranormale, è la voce del padre di Leon arrivato da un tempo precedente, per dare un’ultima indicazione al figlio
3. “Istintivamente, colti da un’eccentrica indole umana, i due...†Una frase satirica che cela una tremenda rivelazione. Chi è il narratore? Il padre di Leon era un uomo follemente meritocratico, dunque perché non avrebbe dovuto ricompensare il suo gentile amico, che con un cifrario aveva decifrato la stele? Da cosa deriva veramente l’odore familiare sentito dall’eremita?

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A X E L F


 


I ricordi di un giovane.


 



Cosa faresti se la persona che ti sta più cara al mondo sparisse improvvisamente una notte per via di una creatura maligna?


 


Seduto sul vecchio e cigolante sgabello di legno, guardavo mia madre che con sguardo assente preparava la cena. Era una donna ancora giovane, anche se con i segni della sofferenza sul volto.


Adoravo quello sgabello, perché era tutto mio. Solo mio. Ma soprattutto adoravo quel vecchio e scheggiato pezzo di legno perché l'aveva costruito la persona più cara al mondo per me: mio padre. Pensavo.


Il giorno dopo la mia nascita, mio padre, che era un uomo forte e robusto, anche lui molto giovane, uscì di buon'ora di casa con un'ascia luccicante, e andò a tagliare il tronco dell'albero più robusto e in salute che riuscì a trovare.


Era un vecchio pino, che aveva piantato suo nonno il giorno in cui si era sposato. Aveva anche un valore affettivo.


Lavorò tutto il giorno, anche notte fonda per riuscire a finire in tempo lo sgabello per il giorno dopo, e appunto, in giorno seguente me lo regalò.


Io ovviamente ero troppo piccolo per potermici sedere sopra, ma sentivo già  tutto l'amore che ci aveva messo per costruirmelo.


Ogni giorno volevo che mia madre mi posasse sul pavimento, davanti allo sgabello, così che lo potessi ammirare per tutto il tempo che volevo. Il giorno del mio terzo compleanno finalmente mi sedetti senza nessun aiuto sopra a quella seggiola. Era molto comoda, anche se fatta di legno duro. Mi sentivo bene ogni volta che ci salivo. Poi nella nostra vecchia casa fatta interamente di legno e pietre grezze si intonava d'incanto.


Sì, tutto il piccolo villaggio era costituito da gruppi di casupole di pietra con il tetto di legno. 


Si viveva all'aria aperta, quella fresca e salutare di montagna. C'erano sempre i cinguetti degli uccellini e i versetti di tutti gli altri animali che vivevano nel bosco di querce accanto. Questo posto era molto speciale, ma succedevano sempre fatti insoliti.


La notte improvvisamente, a partire più o meno dall'ora di cena non si sentiva più un solo rumore delle creaturine che abitavano la landa. Era proibito uscire di casa, e tutto il villaggio si faceva sempre cupo, triste, sembravano sempre preoccupati. Completamente diversi da come si comportavano di giorno. Non mi avevano mai spiegato il perché di tutto ciò. Solo mio padre, per qualche motivo, rimaneva sempre allegro. Credo che anche lui dentro di sé nascondesse tanta angoscia, ma forse lo faceva solo per non farmi preoccupare. Lui era forte d'animo, molto forte.


Poi ci fu quella notte, e capii tutto. Ero intontito e incredulo.


- Marianne, rimani qui con Axel. Io vado a dare una mano agli altri uomini- disse mio padre.


Mia madre fece solo un cenno, come per far intendere di stare attento, e con il terrore negli occhi mi abbracciò forte e mi portò con lei sotto le coperte sul divano di legno, sempre costruito da mio papà .


Sentii urli, imprecazioni, gente morente. Cercavo di tendere l'orecchio fuori dalla coperta per vedere se riuscivo a percepire la voce di mio padre, ma ovviamente non riuscici a distinguerla. 


Quella notte non tornò a casa. Ero preoccupato. Anche mia madre lo era, veramente molto, ma io lo ero di più.


Continuavo a chiedere a mia madre quando e se sarebbe tornato, ma lei continuava a piangere pensando il peggio.


Era stata la creatura maligna di cui tutti parlavano e di cui tutti avevano paura quando usciva per cacciare la sera. La stessa, anche, di cui nessuno mi aveva mai rivelato l'esistenza, forse per non spaventarmi. Infatti, neanche gli altri bambini del villaggio lo sapevano.


 


Oramai sono grande. Ho sedici anni. Nonostante questo non passa un giorno in cui io non pensi che forse mio padre potrebbe tornare a casa da un momento all'altro, anche se certe volte, preso dallo sconforto penso che questo non possa mai accadere.


E come dicevo, sono qui. Seduto sull'ormai vecchio sgabello creato da mio padre, fisso mia madre che prepara la cena con sguardo assente. Tra poco, come sempre, dovremo di nuovo sbarrare le finestre e chiudere la porta a chiave.


- Mamma, pensi che questa sera quella creatura potrebbe tornare? - chiesi.


Lei sussultò, mi guardò in malo modo, fece un cenno con la testa e tornò a preparare le verdure bollite.


Era da qualche anno dopo la scomparsa di mio padre, non appena fui abbastanza forte da tenere in mano una piccola spada, che mi allenavo ogni giorno per poter affrontare la creatura e vendicare mio padre una volta che fosse tornata nel villaggio.


La aspettavo ogni sera, mi sentivo pronto a battermi, ma come ogni sera, era da quella fatidica notte che la bestia non si faceva viva.


Uno stridio proveniente dalla foresta.


- Mamma vado a vedere! Forse finalmente è la bestia e potrò scontrarmi con lei! -


- Axel noooh! - gridò mia madre con tono soffocato, ma io ero già  a due metri fuori dalla porta di casa.


Sì, era proprio lei, ne ero certo, certissimo! Finalmente avrei vendicato mio padre!


Corsi verso la foresta insieme agli altri ragazzi del villaggio, per sorprenderla prima che arrivasse al villaggio e facesse strage come l'ultima volta.


Una figura nera si stava avvicinando a grande velocità . Sembrava stesse prendendo fuoco, e infatti era proprio così. 


Quando si avvicinò abbastanza da poterla vedere con chiarezza, notai che stava letteralmente prendendo fuoco. Aveva il corpo completamente incendiato. Era impossibile avvicinarsi senza rimanerne abbrustoliti.


Con una carica e due movimenti dell'unico braccio che aveva, fracassò il cranio a due miei amici. 


Un solo braccio? Dalle informazioni ricevute avevo sentito ne possedesse almeno due. 


- Meglio così - pensai ironicamente, e non stetti più a pensarci.


Tutti gli abitanti, padri e figli, si abbatterono contro la bestia, ma tutti con un solo colpo vennero o bruciati o uccisi brutalmente. La bestia mangiava anche le persone.


Ero impietrito. Non avevo ancora attaccato e stavo ad osservare. Poi mi venne un colpo di genio. Se avessi tagliato almeno il braccio alla bestia avremmo avuto almeno un problema risolto e sarebbe stato un po' più facile attaccarla, visto che avrebbe potuto più usare le sole zanne infuocate.


Avevo portato con me anche l'arco e frecce. Ero molto bravo ad usare anche quelle.


Iniziai ad attirare l'attenzione verso di me scagliandogli frecce e nascondendomi nel buio dei cespugli del bosco per non farmi avvistare.


Il mio obiettivo era il pozzo. Se tutto fosse andato secondo i miei piani, ci sarebbe dovuto cadere dentro e rimanere incastrato per via del grosso braccio, dopodiché, immobilizzato, glielo avrei tranciato via con la spada.


Il mostro seguì il mio gioco. Iniziò a seguirmi. Si fermò proprio davanti al buco nel terreno che delimitava il pozzo.


- Dai... dai... - dicevo a bassa voce, scagliando qualche altra freccia in quella direzione.


Sentii dei passi, qualche foglia schiacciata e poi un urlo. Bingo! Il mostro aveva fatto quel che volevo io.


Prontamente uscii da dietro al tronco dell'albero in cui mi ero spostato, presi la spada e tranciai via il braccio.


Il mostro fece un urlo straziante, che mi sembrava di aver già  sentito. Venni sfregiato su una guancia da una fiamma.


Mentre mi rigiravo dal dolore e il bruciore il mostro fece in tempo ad uscire dal buco aiutandosi con le zanne e i suoi artigli nelle zampe posteriori.


Era davanti a me.


- Io ti conosco... - trombò una voce possente e inquietante, mentre il mostro con le sue fiamme illuminava il mio volto ricoperto dalle tenebre.


- Sì, io ti conosco! Sei tu l'uomo che l'ultima volta mi ha portato via un braccio! - disse, indicandomi con la testa il braccio che fin dall'inizio non aveva più.


- E ora hai fatto lo stesso anche con l'altro?! - replicò infuriato e cercando in qualche modo di caricarmi nonostante il dolore.


Cercai di fargli capire che non ero io, e subito mi venne in mente chi sarebbe potuta essere stata l'unica altra persona a tagliare l'altro braccio alla bestia: mio padre!


La bestia capì, e imbufalita iniziò a cercare di fregiarmi con le zanne. Io corsi via.


- Sì, corri, scappa davanti alla mia potenza, come ha fatto tuo padre. Tanto un giorno mi vendicherò sicuramente! - tuonò il mostro.


Mio padre era scappato dopo avergli tagliato il braccio? Poteva solo significare che mio padre era ancora vivo.


Mi fermai di colpo e presi coraggio. Caricai il mostro con la mia fidata spada e quando fui abbastanza vicino, come fosse stata una freccia, la lanciai, colpendolo in testa. Intontito la bestia andò a sbattere contro ad una casa, che prese fuoco, dopodiché finì dritto verso il pozzo, ma questa volta cadde in profondità . SI sentì un leggero sibilo e poi un tonfo.


Sbalordito dall'accaduto, andai a chiudere il pozzo con un grosso masso, cosicché non sarebbe mai più potuto uscire. 


Pensavo. Mio padre è ancora vivo.



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                                                                                *Magic Vivillon*



 


                                                                       * L' incontro inaspettato di Rina *


 



-Pedala! Pedala più forte che puoi!- A mezzogiorno del 13 maggio, questi erano i bollenti pensieri di Rina, una studentessa del primo anno di liceo. I suoi morbidi e vellutati capelli si muovevano sinuosamente al vento, tanto da parere piccoli raggi di luce discesi dal cielo. -Mia mamma non mi perdonerà  anche stavolta! È già  da  un' ora che sono uscita dalla mia scuola, e non mi sono neanche resa conto , tra una chiacchiera e l'altra, che il tempo passava inesorabilmente...- Rina era disperata e il suo viso era corrugato da una buffa espressione ,  un misto tra la disperazione e l' angoscia: per la centesima volta arrivava a casa in ritardo e, questa volta ne era sicura, sua mamma non le avrebbe risparmiato una bella punizione. Perfino la sua fidata bicicletta rossa,  talmente cotta e consumata da essere diventata rosa bambola, sembrava sbuffare e rimproverarla, ma schiacciata dal peso della ragazza, non poteva “ agitarsi†più di tanto...


Rina non cambiava mai, impulsiva e solare, pasticciona e chiacchierona, sempre pronta a prendere le difese degli altri, erano questi i motivi della sua grande popolarità  nella piccola scuola di campagna che frequentava. Era troppo presa dai suoi pensieri per accorgersi che qualcosa di terribile stava per compiersi dinnanzi ai suoi occhi verde smeraldo. - Guarda Kyky! Il cielo si è rannuvolato! Fino ad un attimo prima splendeva il sole... Che strano!- Disse la nostra amica con fare perplesso e infantile al dolce e tenero coniglietto, regalatole due anni prima da sua madre Miriam. Il piccolo amico la seguiva pure a scuola e non si separava mai da lei. In men che non si dica si scatenò un impetuoso e violento temporale seguito da fortissime raffiche di vento, di quelle che scoperchiano tetti di case e trasportano per chilometri  oggetti di tutti i tipi. Rina e Kyky furono costretti a rifugiarsi in una grotta trovata lungo i dolci fianchi di una collina. :-Beh, almeno adesso avrò una scusa per mamma...- si rincuorò Rina.


Ormai il sole era già  calato e quindi Rina e Kyky dovettero dormire nella piccola e oscura grotta della collina, della quale non si vedeva il fondo.


- Rina, Rina, svegliati!- Erano le tre del mattino e una voce femminile, da bambina, svegliò la nostra amica. - Chi sei?- Rispose la ragazza. - Adesso non posso dirtelo, però seguimi all' interno della grotta, ti spiegherò tutto.- Rina, che era una grande credulona e per questo a scuola subiva numerosi scherzi, guardò per un attimo fuori dalla grotta: il tempo non migliorava, non poteva mettersi in viaggio, così pensò che, dovunque la portasse quella voce, sarebbe stato meglio di quella caverna piena di muschi e licheni , che trasudava umidità  da tutti i buchi.


Prese Kyky e lo mise nel suo zainetto, mentre lasciò lì la bici, perchè non doveva esserle d' intralcio.


Entrò nel cuore della collina e per un' attimo, le sembrò di camminare su un tappeto di foglie che odorava di funghi e oggetti antichi. Non vedeva dove andava, ma non aveva paura, in qualche modo sentiva che una presenza benefica era accanto a lei.


Ad un certo punto una piccola luce si accese vicino alla sua spalla destra: – Eccomi! Finalmente posso farmi vedere! Scusa, ma prima eravamo nel mondo degli umani...- Rina nel vedere comparire quella piccola creatura,non più alta di venti centimetri, dalle ali azzurre e i capelli verdi, che aveva orecchie a punta e un vestito di petali scarlatti, rimase sorpresa. Capì che si trovava vicino ad una fata, una creatura magica, come quelle delle fiabe  che sua mamma le leggeva quando era piccola, durante le sere d' inverno, nel suo caldo lettino.


- Adesso ti spiego un paio di cose...- continuò la fatina :– Io mi chiamo Leaf, e sono una fata, quindi vengo dall' universo delle fate e dei folletti.- Leaf spiegò  poi alla ragazza che l' universo era diviso in numerosissimi altri mondi, e in ognuno di loro vivevano degli esseri completamente diversi da quelli dei mondi accanto. Tutti, vivevano felici, senza sapere dell' esistenza dei vicini.


- Io ne sono a conoscenza perchè, circa quattro anni fa, sono stata eletta protettrice della luce, ovvero devo controllare che ogni cosa,      nell' intero universo, funzioni e quindi, sono stata messa al corrente di tutto.- Rina ascoltava con curiosità . Leaf continuò:- Tuttavia, in questi ultimi giorni è successa una cosa terribile: il fantasma di una donna minaccia di distruggere l' universo intero, essendosi impadronito del potere oscuro di saper far scomparire ogni pianeta.- Rina rimase sconvolta e turbata:-Ma è terribile! Come mai vuole che accada tutto questo?- Leaf rispose:- Nessuno lo sa, ma tu sei stata scelta tra tutti gli umani, per via del tuo altruismo, devi placare il suo terribile odio! Ti prego, non fare più domande, ogni secondo potrebbe essere l' ultimo per il mio e il tuo mondo.-


Entrambe corsero a perdifiato fino a quando un' enorme fascio di luce  le avvolse e le accecò per un attimo.


Lo spettacolo che si aprì davanti agli occhi di Rina fu terribile: un immenso deserto di polvere e tristezza si stagliava davanti ai suoi occhi per chilometri e chilometri, nessuna forma di vita era stata risparmiata, forse era troppo tardi...


-Rina, hai visto? È terribile! Sbrigati ad andare da lei!- Disse Leaf, e come per magia Rina fu teletrasportata in un antro oscuro, privo di ogni decorazione, di colore viola scuro e tendente al nero.


Davanti alla povera ragazzina fluttuava la figura del fantasma. Rina rimase colpita dal fatto che, stranamente da come pensava, la creatura non faceva paura, si struggeva dal dolore, e sembrava un' anima dell' inferno dantesco in pena. Non aveva una forma corporea, era eterea ed evanescente.


-Mi racconti la tua storia?- Rina ormai non aveva più paura di niente.


Con molta sorpresa, il fantasma rispose alla nostra amica con tono pacato:- Se propro la vuoi conoscere... Non c' è molto da dire: circa quattrocento anni fa il mio corpo è stato bruciato sul rogo, ero sospettata di essere una strega, solo perchè avevo raccolto delle erbe in un orto sulla collina. Da allora la mia anima ha vagato per tutti i mondi senza meta, fino a qualche giorno fa, quando ho deciso di attuare il mio piano malvagio non solo contro l' umanità , ma contro tutte le creature esistenti, colpevoli di avermi condannata ingiustamente.


Rina la guardò dolcemente:- Sai bene che questo non è giusto, perchè in tutti i pianeti ci sono  persone innocenti, che pagherebbero al posto di quelle che ti hanno bruciato, faresti lo stesso sbaglio commesso tanto tempo fa nei tuoi confronti. - Rina era sicura che solo con le parole sarebbe riuscita a salvare tutti e quanti I mondi :-Tu, ragazzina non capisci niente!- Sbraitò la creatura di colpo con tono malvagio . Rina esitò un attimo. - Prendi me se vuoi, non ho paura, pur di salvare la mia gente e quella di Leaf sono pronta a sacrificarmi!-


Negli occhi del fantasma qualcosa cambiò, il suo pallido viso smorto riprese il color pesca e una bella espressione, Rina aveva fatto capire al fantasma la bellezza della vita, il suo vero significato: essere sempre pronti a tutto pur di difendere il prossimo, e amarlo anche se non lo si conosce.


-Tu, mi hai cambiata, e hai cambiato anche il destino di questi pianeti, grazie, ora posso riposare in pace!- Il fantasma scomparve, si lasciò andare verso il cielo azzurro, trasportato da una dolce brezza . - Amici elfi e fate, scusate per il male che vi ho fatto, cercherò di rimediare a tutto!- Queste furono le ultime parole della creatura.


Il deserto divenne un enorme prato pieno di ogni varietà  di fiori e popolato da ogni insetto.


Rina, in preda ad una dolce e allo stesso tempo violenta emozione, non si accorse nemmeno di venir sollevata da una nuvola di petali di girasole ed essere trasportata lontano da quel luogo.


-Dove mi trovo ora?-


Rina era proprio davanti al portone di legno di quercia della sua adorata casa, sotto un sole cocente e con il manubrio della bicicletta in mano, mentre nel cestino della bici Kyky dormiva tranquillo.


-Non può essere stato tutto un sogno! Mia mamma sarà  preoccupatissima per me! Sono stata via per uno o due giorni senza darle notizie!- Bussò con forza e sicurezza sul vecchio portone e la mamma rispose :- Finalmente! È un' ora che ti aspetto!-


Rina rimase impalata per qualche secondo, finchè capì tutto: Leaf aveva fermato il tempo!


-Cos' hai? Hai visto un fantasma?-


Rina sorrise alla domanda della madre.


- Beh, diciamo che... Te lo racconto un' altra volta!-


E così detto entrò in casa.


Nell' aria si sentirono appena le parole di Leaf :- Grazie Rina! Non ti dimenticherò mai!-


 



                                                                                                                       FINE.

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MagicianAyrton

I Supremi Elementali contro Dark Magician

Ero intento ad ammirare il paesaggio dal mio palazzo, ma non avevo più tempo per questo, essendo il supremo elementale del fuoco, dovevo controllare che tutti i regni degli elementi non cadano in rovina per mano di Dark Magician, il mio clone malvagio e senza scrupoli che cerca di dominare il mondo. Mi accingevo a scendere dai miei sudditi e a fare la mia solita passeggiata mattiniera nel parco della gioia. Una volta arrivato ho notato alcuni graziosi bambini che stavano giocando a pallone, ma subito dopo sentivo un brivido gelido sulla schiena, quando mi girai vidi un volto familiare, era MarcyWarrior, il supremo elementale del ghiaccio, dal portamento fiero e spavaldo, aveva degli occhi color nocciola e teneva sempre con sé la verga del ghiaccio, un'arma che aumentava le sue prestazioni durante la battaglia, la sua tunica azzurra con sfumature blu più dura del diamante, i suoi stivali azzurri, capaci di conferirgli supervelocità  e superslancio, guanti, di pelle per essere precisi e, nel taschino destro, un libro, per non annoiarsi, lo salutai dicendogli:
<<Come va vecchio mio? A proposito che ci fai qui?>> E lui mi rispose:
<<Tutto bene, sapevo di trovarti qui, dobbiamo andare immediatamente al palazzo degli elementi, ci sarà  un'importante riunione tra soli tre minuti, dovremo usare il teletrasporto>> Una volta usato il teletrasporto mi sono ritrovato davanti ad un portone gigantesco ornato di pietre preziose, ognuna delle quali rappresentava un elemento. Era il portone del palazzo degli elementi. Una volta entrato ho subito notato che il palazzo era molto cambiato, prima era una piccola casetta, adesso era più grande di una villa ricca di ogni comfort, disponeva anche di molte stanze adibite al soggiorno dei sudditi in difficoltà , ma la stanza più importante era quella adibita alle riunioni. Io e MarcyWarrior siamo subito entrati ed abbiamo subito notato facce amiche, come GiachyTheSage, Latios1 ed AlexTheGeneral. GiachyThesage aveva degli occhi azzurri, ma non cambiava mai, indossava sempre una tunica marroncina ed una cintura con incastonata la pietra della saggezza, lo smeraldo, indossava anche un cappello da saggio eremita, e pensare che è il membro più giovane del consiglio.
AlexTheGeneral era mio gemello, nonché il supremo elementale della tempesta, per l'esattezza, era l'ultimo dei supremi elementali, indossava una tunica grigia e color notte con taschini contenenti tutte le cianfrusaglie possibili, indossava stivali, anch'essi grigi, capaci di conferire le stesse capacità  degli stivali di MarcyWarrior, nella sua mano destra possedeva un libro, era il libro degli elementi, un libro posseduto anche da me e da MarcyWarrior.
Infine Latios1, mio vecchio amico e più grande guerriero dei regni elementali, indossava la pelliccia di un orso e possedeva la spada del guerriero saggio, costruita in tempi lontani, forse inconcepibili per la mente umana, e composta da uno strano tipo di materia, conosciuto a pochi, la materia nera, i suoi stivali di pelliccia di leone erano robusti e belli, la sua cintura era fatta di Norus, un materiale robusto e omni-contenitore, quindi capace di contenere ogni cosa.
Io ho subito chiesto:
<<Vorrei sapere il motivo di questa riunione ed il perchè di tutta questa fretta>> E Giachy rispose con aria scocciata:
<<MagicianAyrton, il motivo è Dark Magician, il tuo clone, generatosi dalla malvagità  presente su questo pianeta, ha catturato la bellissima Maga Bianca e sono sicuro che la ucciderà  se non interveniamo>> Marcywarrior è subito intervenuto bruscamente dicendo:
<<La… La … La Maga Bianca è stata catturata?! Ma come ci è riuscito?!>> Ci eravamo subito messi a pensare e, mi sono subito ricordato una cosa e la ho gridata con tutto il fiato che avevo in gola:
<<Vi ricordate che Dark Magician è il mio clone, molto probabilmente si sarà  spacciato per me usando la maschera sintetica che ha rubato dai laboratori magici>> GiachyTheSage si è subito messo a pensare ed ha esclamato
<<Beh, questa è la nostra unica occasione per sconfigger Dark Magician>> Giachy ha tirato fuori una mappa ingiallita e, anche se ero molto distante da lui, riuscivo a sentire lo sgradevole odore di muffa di quella strana e vecchia mappa, dopo questo ha subito ricominciato a parlare:
<<Dovremo attraversare la foresta oscura, dirigerci verso la valle dei guerrieri oscuri, superare la montagna oscura e arriveremo al suo castello dove dovremo liberare la Maga Bianca e sconfiggere Dark Magician>> Eravamo tutti d’accordo e siamo subito partiti per il viaggio.
Arrivati alla foresta oscura ad accoglierci abbiamo trovato del buio, non si riusciva a vedere neanche ciò che era ad un palmo di naso da noi, allora ho semplicemente schioccato le dita per creare una fiaccola e siamo proseguiti, ma ad un certo punto abbiamo visto l’albero della morte, chiamato così per la sua furia verso i passanti, perché appena qualcuno osava passargli davanti esso lo prendeva e lo stritolava a morte, Giachy propose un piano, siccome l’albero era immune agli agenti atmosferici, l’unica cosa che poteva contrastare i supremi elementali non era certo immune ad una semplice spada allora, io, MarcyWarrior, Alex e Giachy lo stavamo distraendo ma accadde un imprevisto, l’albero si accorse di Latios1 lo ha preso, lo stava stritolando a morte e dovevamo agire in fretta, allora io e Giachy abbiamo preso la spada di Latios1 e mentre Marcy e alex lo stavano distraendo noi lo abbiamo colpito nel suo cuore oscuro, è poi, apparsa una luce accecante e la foresta oscura si è trasformata in un Eden, era così bella che sembrava impossibile che quella fosse stata la foresta oscura, l’intera foresta era fatta di luce e l’albero della morte divenne l’albero della vita, mi ha detto:
<<Grazie per avermi liberato coraggiosi guerrieri e maghi vi faccio dono di questo, il frutto della vita, esso può riportare in vita una persona morta>> Abbiamo ringraziato l’albero per il dono e ci siamo incamminati verso la valle dei guerrieri oscuri. Giunti alla valle Latios1 era nascosto dietro un masso ed ha visto che i guerrieri oscuri non erano guerrieri bensì armature vuote piene di malvagità  e ferocia allora io ho detto
<<L’unico modo per battere quei guerrieri è far bruciare il male che c’è in loro>> Ed Alex ha risposto:
<< Giusto, ma come facciamo?>> e Giachy ha proposto di dare loro la fiaccola della vita, il freddo delle delusioni, la furia delle emozioni e l’intelligenza. Senza pensarci due volte Latios1 è andato all’attacco ed ha distrutto con la sua spada molti guerrieri, ed anche se pieno di ferite continuava a distruggerli e, tutti noi, tranne Giachy che ha preferito restare a riposarsi sedendosi sul tronco di un cedro leggendo “GiachyTheSage, la mia vita†abbiamo aiutato Latios1, centinaia di plotoni di guerrieri ci hanno attaccato, ma ,io, con il mio incantesimo dell'incendio, Alex con il suo incantesimo della polvere di tempesta, capace di generare tempeste se a contatto con aria, e Marcy con il suo incantesimo dell'era glaciale, abbiamo mandato KO i guerrieri e, poi, Giachy si è alzato ed ha detto prontamente:
<<Io distribuisco l’intelligenza, Ayrton, tu distribuisci la fiaccola della vita, Alex, le emozioni e Marcy le delusioni>> I guerrieri hanno subito cominciato a vivere. Dopo, siamo arrivati alla montagna oscura, la quale emanava un'aura color carbone, ma quello non era un problema, il problema era risolvere il suo complesso indovinello. La montagna ha sussultato e ,poi, ha gridato:
<<Per passare dovrete rispondere ad un indovinello, e l’indovinello è questo: chi creò il sole e la luna? Può rispondere solo uno di voi†Noi abbiamo subito guardato Giachy e lo abbiamo spinto verso i piedi della montagna, Giachy ha riflettuto e poi mi ha detto che era arrivato alla risposta, allora ha gridato alla montagna:
<<Forse non ci crederai montagna, o forse è la risposta giusta, ma il sole e la luna sono stati creati dalla NOSTRA nascita>> La montagna era furiosa, Giachy aveva risposto giusto, ma prima che la montagna crollasse Giachy precisò:
<<Il sole e la luna si sono creati con la nascita dell’uomo per il volere del fato>> Passati per il cunicolo creatosi dalla distruzione della montagna soddisfati, ci siamo incamminati .Io ormai ero alla resa dei conti con il mio clone, tutti noi siamo entrati nel castello e siamo stati accolti da tutti i nostri cloni, quello di Marcy, quello di Alex, quello di Latios1 ed addirittura quello di Giachy e, dalle scale scese Dark Magician, indossava la sua tunica oscura con sfumature nere e violacee, aveva una verga nera con incastonata la pietra oscura e incominciò a parlare:
<<Vedo che avete gia conosciuto i vostri cloni, allora avrete gia visto la maga bianca sopra di voi>> alzammo lo sguardo al cielo e vidi dentro una gabbia la maga e tutti siamo andati a combattere, il duello finale ebbe inizio darkGiachy  colpi Giachy con forza telecinetica e lo stesso lo fece Giachy,Marcywarrior colpi dark marcywarrior con una bora insomma tutti facevano le stesse tecniche ed era una lotta infinita allora decisi di usare la mia mossa finale “la fiamma dell’animaâ€e colpii dark magician ma esso era ancora vivo era inspiegabile ma lui disse “ahahahahah credevi davvero di battermi con quel trucco lo sai che lo conosco anch’io quindi e inutileâ€non credetti ai miei occhi non sapevo più che fare anche perché nessuno dei miei compagni era libero e nessuno mi poteva aiutare ma dark magician non era interessato a me era volato su verso la gabbia,latios1 tiro fuori dal suo omni-contenitore un arco e delle frecce e colpì dark magician ma esso creò uno scudo e non si fece nulla,creo una palla d’ombra e uccise la maga bianca che stava implorando aiuto,io e i miei compagni eravamo per la 1° volta disperati non sapevamo cosa fare allora presi dalla furia ci unimmo e creammo il  drago elementale con tutti i poteri degli elementi ma dark magician fece lo stesso e creò insieme hai suoi compagni dark il dark elemental dragon  io (il drago elementale) mi lanciai verso il dark elemental dragon e cercai di usare la tecnica finale “apocalisse elementale†ma lui mi blocco e mi lancio contro un fascio distruttivo,lo schivai per un pelo e usai l’apocalisse elementale e finalmente riuscii a colpirlo e intrappolai il dark elemental dragon (cioè tutti i cloni),ci dividemmo e io e Giachy

andammo verso la gabbia contenete la maga bianca e disperato iniziai a piangere dicendo che era come una madre per me,ma a Giachy torno in mente il frutto della vita e lo fece mangiare alla maga e dopo una luce accecante vedemmo la maga bianca in piedi tanta era la felicita che tornammo subito al palazzo per festeggiare,e la maga bianca disse “come si dice a si,1000 di queste avventure†e io caddi a terra come corpo morto cade.

                                                                 THE END (forse)

bè spero vi sia piaciuta 

 

Note dell'autore

in questo "tema" ho cercato di far capire che la natura (i supremi elementali) si vendica del male che c'è nel mondo (dark magician) in più mi è venuta l'idea di mettere nel "tema" nomi di alcuni utenti col loro permesso ovviamente be direi di aver detto tutto

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