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[Contest di Scrittura] Prequel Contest


Scarecrow

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Salve e benvenuti al nuovo Contest di Scrittura!


 


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Pasqua ormai è imminente e con essa il suo simbolo, l'uovo di cioccolato: cosa meglio potrebbe ricordare il passato? In questo Contest dovrete infatti scrivere un prequel di una qualunque opera letteraria, cinematografica o di qualsiasi altra tipologia a vostra scelta!


 


Un breve riassunto delle regole fondamentali:


 


  • Tema: l'elaborato dovrà  raccontare una vicenda o una situazione avvenuta prima dei fatti narrati nell'opera scelta. Il genere o la lunghezza non influiranno sul giudizio ma la coerenza è importante, non trascuratela!
  • Struttura: il racconto dovrà  essere inserito nei commenti in questo modo:

 



*Nome dell'autore


*Titolo dell'elaborato


*Opera da cui è tratto l'elaborato


*Elaborato



 


  • Premi: di seguito la lista dei Poképoints che verranno assegnati:
  1. Primo classificato: 15 Poképoints
  2. Secondo classificato: 10 Poképoints
  3. Terzo classificato: 5 Poképoints
  4. Premio Originalità : 7 Poképoints
  5. Premio di Consolazione: 1 Poképoints
  • Giudizio: i racconti saranno valutati in questa edizione da Edward, Lightning e Snorlax97.

Ricordate che è vietato copiare gli elaborati altrui, pena l'innalzamento del livello di warn e l'espulsione dall'iniziativa.


Inoltre, non è possibile modificare il racconto dopo averlo postato!


Questa discussione serve unicamente a postare i racconti; per qualsiasi domanda o chiarimento, utilizzate la discussione apposita!


Il Contest chiuderà  il 16 aprile alle ore 23:59.


 


Vi auguriamo buona fortuna!


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Foxface


La squadra dei giocattoli


Tratto da Toy Story


Un giorno in una casa due genitori diedero alla luce il loro primo figlio,Andy.Il suo primo giocattolo fu un dinosauro di nome Rex.Andy adorava quel dinosauro:ci giocava sempre e,cosa straordinaria per un bambino piccolo,lo trattava benissimo.Quando imparò a parlare,iniziò a conversare con il suo adorato dinosauro.Una notte il Dio Giocattolo entrò in casa di Andy e sussurrò una formula magica vicino al suo orecchio.Il dinosauro si svegliò e disse al dio:"Non potevi avvisare? Stavo sognando delle dinosaure che ballavano con me in dinoteca!".Il dio allora gli rispose:"Hai preso vita!Non è meglio questo che la dinoteca?Ho premiato Andy,oltre che te,perchè è un bravo bambino e tratta bene i suoi giochi.Ma Andy non deve sapere nulla".Rex non rispose.


Andy non doveva sapere.Così rimase il suo adorato giocattolo.


Un giorno poi,al compleanno di Andy,arrivarono il salvadanaio Hamm, il cane a molla Slinky, la patata Mr.Potato,i soldatini e il loro sergente e tanti altri.Tra cui quello che sarebbe poi diventato il protagonista di tante avventure...Woody,il cowboy.


Passavano i giorni,e Rex scoprì che i suoi nuovi amici avevano preso vita come lui.Scoprì anche che Andy sembrava perferire Woody a lui...a tutti.Lo portava ovunque...


Un giorno Rex propose ai suoi amici una riunione per discutere dell'argomento che lo faceva stare sveglio ogni notte...il suo presunto rivale,Woody.I suoi compagni non ne potevano più di sentirlo! Slinky gli disse:"Woody è un nostro amico.E noi dobbiamo essere amici suoi come lui è amico nostro." .Rex,che era un giocattolo testardo,quando voleva,iniziò a urlare e offendere Woody,dicendo che era un presuntuoso che si vantava,solo per convincere i suoi amici a distruggerlo o per lo meno esiliarlo,come avevano fatto con il povero pinguino Wheezy.


Quelle urla erano troppo forti! Andy le sentì e venne a vedere.I giocattoli sarebbero stati scoperti! Ma per fortuna la mamma di Andy disse che era stata la TV.


Allora Rex si scusò con Woody e gli altri,e promise che i giocattoli sarebbero stati uniti come una grande,grande squadra.


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Nome dell'autore: ???


Nome del prequel: Il Principio


Nome dell'opera: La Bibbia


 


In principio tutto ciò che conosciamo non esisteva: c'era solo il vuoto.


Ma... In questo Vuoto vivevano due esseri superiori Ban,dalle sembianze quasi umane, e Wuenpoer,dalle sembianze scimmiesche.


I due erano nati dallo stesso Uovo e fin dalla loro nascita non hanno mai smesso di combattersi.


Ban sosteneva che bisognava riempire Il Vuoto con materia in cui potessero crearsi altre forme di vita, mentre Wuenspoer pensava che lui dovesse distruggere Ban e vivere nel nulla per l'eternità  da solo: in modo che tutto potesse essere suo e che potesse sempre fare quello che vuole ( ).


Un giorno,i due, ormai esausti dai millenni di continue battaglie, si diedero ancora battaglia: nessuno dei due poteva sapere che quella sarebbe stata l'ultima volta.


La battaglia inizio con Wuespoer che cercò di colpire Ban con una onda energetica che venne schivata.Ban ribatte con dei raggi fotonici: i due si combattevano selvaggiamente! A un certo punto però Wuenspoer colpì Ban con una sfera Genkidama.Le conseguenze furono catastrofiche. Wuenspoer esplose a causa di un collasso di energia.La sua esplosione distrusse tutto,anche il Vuoto.


Dopo l'esplosione,per un insieme di bizzarre coincidenze, si creò l'Universo e il suo primo abitante: Dio.


Dio si ricordò di coloro che vennero prima di lui così decise di onorare Ban chiamando l'esplosione Big Bang (come si può notare Dio sbagliò a scrivere il nome del suo predecessore) e onorò la memoria di Wuenspoer creando MaxerDany,il primo profeta di Wuenspoer. Millenni dopo la creazione dell’Universo Dio si sentiva solo,seppur intorno a lui ci fosse materia non esisteva nessun essere vivente.


Così Dio scelse un pianeta,la Terra, e dono ad essa il dono della vita.


Da quel giorno la vita proliferò: dagli organismi monocellulari alle scimmie,passando per  i dinosauri fino ad arrivare a noi,all’Uomo.


 


PS: si ringrazia Paolino per il consiglio che,tra l’altro, non era neanche rivolto a me.


PPS: OGNI RIFERIMENTO A UTENTI REALMENTE ESISTENTI E’ PURAMENTE          


         CAUSUALE.


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Nome dell'autore: Prince.
Nome del prequel: Wild youth.
Nome dell'opera: We are infinite. (Noi siamo infinito).



Quel giorno Charlie si svegliò di soprassalto, era un domenica di Marzo
.

Un cane correva per strada, inseguito da un ragazzo. Una lunga corda li unisce, si impiglia nelle gambe dei passanti che brontolano, si infuriano, il ragazzo non fa che mormorare <<
scusi, scusi!
>> e tra le scuse urla al cane: <<
Fermati! Stop!
>> ma quello prosegue la sua corsa.

Charlie osservava con stupore attraverso la sua finestra e all'improvviso sentì un soffio sconosciuto di tranquillità , quasi di sicurezza.

Scese di corsa, aprì la porta e guardò l'ampio cortile ma mentre si avvicinava al ragazzo in punta di piedi fu subito colto dall'impulso irrefrenabile di stringere una nuova amicizia con quel ragazzo. Era pazzesco, uno 'slalom' insensato tra curiosità  e timore, ma la smania di parlare con un'altra persona bruciava dentro Charlie.

Proprio mentre si avvicinava però, ritornò sui suoi passi lungo il viale di casa.

Ritornò nella sua camera e si buttò sul materasso che ormai pesava quanto lui. Lo trasportava sulla schiena, piegato in due, sembrava uno strascico di miseria.

Charlie voleva solo trovare un amico, nient'altro. Per un secondo dimenticò di se stesso.

Cosa doveva fare ora? Tornare a dormire o continuare a pensare a un amico? Avvertì l'eccitazione di tutti in ragazzi fuori di casa.

Ad un tratto sentì la voce del ragazzo di prima, era un'occasione da non perdere.

Scese di nuovo di casa, e lo vide.

Un ragazzo alto, capelli castani e occhi color smeraldo. Charlie aveva quattordici anni e desiderava avere un amico coetaneo.

Guardò il ragazzo per parecchio tempo finché non si fece finalmente coraggio.

Si avvicinò nuovamente al ragazzo e disse <<
Ciao, mi chiamo Charlie e abito nella casa di fronte. Scusa se ti parlo così ma volevo conoscerti.
>>

Silenzio.

<<
Ciao Charlie. Mi chiamo Michael, piacere mio.
>>

Charlie si emozionò e indietreggiò lentamente.

<<
Che ne dici di venire a casa mia?
>>

Michael rispose: <<
Scusami davvero Charlie ma mio padre mi sta aspettando a casa. Sono uscito un'oretta solo per far prendere un po' d'aria al mio cane. Mi sembri un ragazzo simpatico. Ora scusami, devo andare. >>

Michael se ne andò mentre Charlie osservava il ragazzo con ammirazione.

Per Charlie già  sapere il nome era un sollievo, un sollievo meraviglioso.

Il giorno dopo andò a scuola, era felice. Non vedeva l'ora di rincontrare quel ragazzo di nuovo.

Charlie batté le mani sulle cosce, come se avesse avuto un'ennesima riprova della sua limitata possibilità  di trovare un amico.

Tornò a casa e finalmente lo vide, ero seduto sul marciapiede davanti al cortile della casa di Charlie.

<<
Ehi Michael
>> disse <<
come va?
>>

<<
Bene. >>
Non si era mosso dalla sua posa.

Charlie tacque, ritornando sui suoi passi. Verso casa.

I giorni passarono e ormai Charlie e Michael avevano stretto amicizia.

Avevano molte cose in comune, ma Charlie non aveva ancora capito i veri problemi che circondavano la vita di Michael.

Tossicodipendenza, fumo e problemi famigliari.

Detta così sembra una cosa terribile, e lo era, ma Michael non lasciava trasparire nulla.

Charlie e Michael si incontravano ogni giorno davanti casa e parlavano di tutto, c'era complicità  tra loro.

Un poco alla volta era diventato per lui come un fratello maggiore, ma è stato questo, alla fine, a far impazzire Charlie.

Michael si suicidò a Maggio di quell'anno.

Nell'animo di Charlie si ruppe qualcosa, qualcosa di importante. Non aveva lasciato neanche un biglietto, niente. Michael fece tutto da solo, Charlie sapeva del suo problema ma non fece niente per aiutarlo.

L'estate era alle porte e Charlie si iscrisse alla scuola superiore, ma era terrorizzato dall'idea di rimanere da solo. Proprio in quel periodo si 'creò' nell'animo di Charlie un altro problema che ormai stava mangiando vivo il ragazzo, ma questa è un'altra storia.

Charlie non si dimenticò mai di Michael, era il suo migliore amico d'altronde.

Cominciò a scrivere delle lettere con mittente anonimo, si sentiva meno solo, diceva.

<<
Tra poco inizia la scuola superiore. Spero solo di non rimanere da solo e di trovare spesso nuovi amici. Ora ti saluto amico mio, ci vediamo più tardi. >>

Scrisse questo nella lettera e firmò. Si buttò nel letto e diede la buonanotte ai suoi genitori.

E anche a Michael.

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Suzanne Collins


Il Compleanno Di Katniss


The Hunger Games



Mi sveglio, oggi é il mio compleanno e mio padre mi ha promesso che,  finalmente, per il mio decimo compleanno mi avrebbe insegnato a cacciare. Sono le sette in punto, mi alzo, mi metto le pantofole, vado in bagno a lavarmi la faccia con l’acqua che esce fredda dal rubinetto e mi dirigo in cucina, dove, per colazione, mia madre mi ha preparato del pane comprato dal fornaio, del miele e dei biscotti anch’essi acquistati dal fornaio ed un bicchiere di latte di mucca, e non di capra come siamo soliti bere. Mentre mangiamo nessuno di noi, parla; terminata la colazione, vado in camera mia a prepararmi per questo grande giorno. Mi metto i miei vecchi stivali, una maglietta pesante a maniche lunghe, un paio di vecchi pantaloni e, per finire, indosso uno dei vecchi impermeabili da caccia di mio padre. Finiti i preparativi, esco dalla mia camera e vado in cucina, dove vi erano i miei genitori  che mi aspettavano insieme a Prim. Mio padre mi chiede se sono pronta ed io molto eccitata gli rispondo di sì, Prim e mia madre mi augurano buona fortuna e, finiti i convenevoli, io e mio padre usciamo dalla porta. Appena fuori dall’uscio sono investita da una ventata d’aria che mi fa rabbrividire. Ci avviamo verso la recinzione, che dovrebbe essere elettrificata 24 ore su 24 - in realtà  non lo é mai - che ci protegge dagli animali che vivono nel bosco; ci fermiamo ad ascoltare se il ronzio dell’elettricità  sia presente e dopo esserci accertati della sua assenza e che quindi il recinto non fosse una minaccia lo attraversiamo grazie ad un’apertura creata da mio padre. Una volta che ci siamo addentrati nel bosco lui mi mostra diversi alberi, poi mi chiede se ricordavo quali alberi, mi aveva fatto vedere; io gli rispondo prontamente di sì ed eseguo eccellentemente il compito assegnatomi. Ora mi fa notare che gli alberi che mi ha mostrato sono cavi e al loro interno vi sono degli archi, li ha costruiti proprio lui. Dentro un albero vi é anche un arco più piccolo degli altri costruito per me e per questa particolare occasione. Prendo l’arco e una faretra dall’albero cavo e li metto entrambi in spalla, fatto questo, mio padre m’indica un altro albero con sopra una croce incisa con un coltello e, dopo avermi mostrato la posizione da assumere per scoccare la freccia, mi dice di colpire il centro della croce ed io ci riesco al 3° tentativo tuttavia mio padre mi sollecita a provare ancora incoraggiandomi dicendomi che solo allenandomi avrei raggiunto questo risultato sempre e ogni volta al primo tentativo. Dopo una stancante mattinata di tiro con l’arco mio padre mi conduce su una piccola collinetta ove, distesa una vecchia tovaglia, ci sediamo a mangiare un buonissimo panino farcito con formaggio di capra. Mio padre, incomincia a canticchiare un grazioso motivetto apprezzato da tutte le ghiandaie imitatrici lì intorno che incominciano a canticchiare con lui. Poi, dopo aver pranzato, mio padre mi mostra una delle sue trappole; un laccio metallico legato a un ramo a un’estremità  e con l’altra, annodata a cappio ed appoggiata per terra nascosta sotto alcune foglie. Mi mostra il modo in cui funziona. E dopo ne piazza una; in seguito mi accompagna a vederne un’altra piazzata il giorno prima, ed è li che troviamo la sua preda; un coniglio di piccola taglia ormai morto. Ora vuole che sia io a provare a piazzarne una provare a piazzarne una ci provo, ma con molta fatica, alla fine ce la faccio direi che ho fatto proprio un buon lavoro. Dopo questa piccola parentesi sulle trappole, mio padre mi propone di fare una passeggiatina nel bosco. Accetto volentieri. Dopo mezz’ora di cammino raggiungiamo un piccolo stagno ed io, sorprendendo mio padre, mi getto nello stagno fangoso e lui mi chiede il perché del mio gesto, ma io non rispondo alla sua domanda e gli chiedo di entrare poiché credo che si stia benissimo nel fango e lui si getta nel fango con me. Mentre siamo occupati a sguazzare nello stagno, troviamo uno strano tipo di erba non menzionata nei libri di mia madre e mio padre decide di chiamarla Katniss, erba saetta, data la sua particolarità . Dopo aver raccolto un bel po’ di erba saetta, torniamo a casa, dove troviamo mia madre e Prim ad accoglierci alla porta. Le consegniamo l’erba saetta e la poca selvaggina e dopo ci avviamo a farci una doccia, siccome è il mio compleanno per questa volta, sarà  una doccia calda. Ceniamo con erba saetta e coniglio arrosto che trovo deliziosi e dopo ci avviamo ognuno a letto per riposarci dopo questa stremante ma bellissima giornata.



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Nome dell'autore: The Mighty Mawile.


Nome dell'elaborato: Rebel's Souls.


Opera da cui è tratto l'elaborato: Demon's Souls.


Elaborato: â€œLaggiù, nella fonte ove nasce il fiume del tempo, v’era un piccolo continente, popolato dai burberi giganti, gli instancabili nani, i misteriosi uomini ombra ed altri esseri senza nome e senza volto. Il nome di quelle terre è ormai la luce di una candela consumata nello scorrere delle ere… ma credo che si chiamasse Harnbarahl, dalla lingua degli dei: “Terre morteâ€. Oltre alle fiere razze precedentemente citate, c’era una piccola valle, contaminata da fetidi miasmi e malattie, ove gli inutili esseri umani venivano segregati, e chiunque avesse in petto l’ardore di fuggire, veniva perseguitato da freddi cavalieri, delle corazze vuote, dei Costrutti. Questi volgari sacchi di carne, chiamati umani, “vivevano†dentro a delle baracche, costruite sopra ad un lago che porta con se innumerevoli piaghe, vivendo di carcasse e di insetti morti. Codeste volgari creature, nonostante non lo meritino affatto, hanno un nome. E qui, nella Valle della Corruzione, si distingue dai loro sporchi simili un umano, il suo nome è dimenticato, ma si fece conoscere come Allant. Cosa aveva di diverso dagli altri umani, questo Allant? Niente, ma ha qualcosa che hanno gli umani, e solo gli umani. Viene bramata da molti, ma è irraggiungibile, è l’Umanità . E ciò gli diede alla testa. Il solo sapere di avere qualcosa in più dei nani, dei giganti e degli uomini ombra, gli fece credere di poter cambiare le carte in tavola: portare al dominio gli umani, superare i giganti, i nani e gli uomini ombra, e su, fino alle stelle, superando persino gli dei. Folle, rivoluzionario, eroe. Non cambia nulla. Ebbene, questo viscido lombrico fuggì dalle porte che tenevano lontano la feccia umana dal resto di Harnbarahl, ma non andò lontano. Ebbene, a fare la guardia alle porte della Valle della Corruzione, c’era una coppia di Persecutori, Costrutti creati dagli dei per impedire la fuga degli umani. Non hanno un’anima, se non quella che anima la loro corazza. Allant, nudo com’era, non poté fare nulla, e morì.


 


 


Ma successe qualcosa di molto strano. Si risvegliò dalla morte atroce che lo travolse. Era in una pianura. Un crocevia. E davanti a lui… una spada, conficcata nel terreno. Bruciava. Ma non vi era alcuna traccia di legna. Delle ossa fungevano da combustibile. Era il tramonto. Superato il raccapriccio, si sedette, e si riposò. Ma notò qualcosa di molto strano. Non sembrava avere un corpo. Aveva un aspetto etereo, come se fosse poco più di un fantasma. Cosa poteva fare? I Persecutori avranno sicuramente sparso la notizia del fuggitivo in tutti i regni. Si mise una generosa taglia sulla sua testa, tutto il mondo è contro di lui, il che è plausibile. È lui il cattivo.


Non sta aiutando nessuno, vuole solo realizzare il suo folle desiderio.


 


Scelse una delle direzioni del crocevia, che portavano in ognuno dei regni ancora fedeli al Patto dei Lord, ovvero un patto secondo il quale i 4 Lord, Seathe il Senzascaglie, la Strega di Izalith e le sue figlie, Gwyn, il dio della luce solare e Nito il primo dei morti, si impegnavano a distruggere l’ultimo Lord, il nano furtivo, spesso dimenticato, e tutto ciò che è scaturito da esso, ovvero la razza umana, perché considerato impuro e quindi non meritevole del dono della Prima Fiamma. Come prima destinazione arrivò al regno dei Nani, Stonefang, una metropoli costruita su una vasta catena montuosa, le Darrfang. Qui vagò, perennemente nascosto agli occhi della popolazione, i nani, e dei loro servi, gli uomini-lucertola. Frugando nei borghi e nell’immondizia trovò stracci con i quali vestirsi, e delle armi rudimentali, con i quali, senza alcuno scrupolo, era pronto ad eliminare sia donne che bambini, per poter ottenere il necessario per distruggere il re dei nani, Redithar, ed i suoi seguaci, i duchi. Ed uccise, e gli piaceva. Ma provò una sensazione strana ad ogni esecuzione, come se una ragazza fosse dietro di lui e ridesse. Proseguì nella città , e senza farsi alcuno scrupolo, distrusse i sovrani di Stonefang, lasciando i nani in balia degli uomini-lucertola, che approfittarono del caos per prendere il controllo. Ma non era finita qui. Il suo vero obiettivo era di eliminare tutti quanti i re dei regni aderenti al Patto dei Lord, per poi arrivare al cuore del continente, la capitale di Harnbarahl, Boletaria.


 


Proseguì nel suo cammino, arrivò nel Regno dei giganti, un enorme deserto governato da una repubblica formata da 12 giganti dalle forme più disparate, da quelle di un serpente alato a quello di un colossale guerriero. Non è dato sapere come ci è riuscito, ma fatto sta che ci riuscì.


 


Poi arrivò al regno degli uomini ombra, governato da un monarca molto religioso, che seppelliva ed onorava quelli che erano considerati eroi. Allant entrò nel regno, profanò la Cripta delle Tempeste, luogo ove venivano seppelliti gli uomini di onore, ed uccise a sangue freddo il monarca, Deior, martoriò il corpo e lo dispose sopra un altare nella cripta dove venivano sacrificati i prigionieri, come segno di disprezzo.


 


 


E infine, dopo aver eliminato i re dei regni circostanti, puntò verso Boletaria, terra di creature che non possiedono ancora un nome, ne un aspetto, ma lo cambiano a seconda della persona che li osserva,  governato da un misterioso re o meglio, regina, che nessuno è mai tornato per mostrare il suo aspetto. C’è chi dice anche che non sia mai esistita. Allant penetrò le porte del regno, uccise brutalmente le duchesse del regno, che altri non erano che le sorelle della regina, arrivò al castello reale, entrò nella sala del trono e la vide. Una ragazza, gracile, vestita di nero, gli occhi occlusi dalla cera. In un primo momento non disse nulla, poi si sentì echeggiare una voce nella sala, nonostante ella avesse la bocca chiusa. Si distinguevano chiaramente queste parole: “Le do il mio più caloroso benvenuto, Re.†E poi.. “Cercate forse il potere dell’anima?†Allant restò interdetto. Potere dell’anima? Sembrava interessante. “Allora toccate il demone dentro di me.†Ancora più stupore. Demone.. dentro di lei? Dentro a una così graziosa creatura? Non importava più. Cosa stava facendo? Ha compiuto tutti quegli orrori, e adesso è arrivato alla fine, non può fermarsi davanti a un bel faccino. Senza ripensamenti, sfoderò la “sua†spada, e trapassò la ragazza, che cadde a terra. Ma accadde qualcosa di veramente strano. Si rialzò, la ferita si rimarginò in un paio di secondi. Ancora quella voce. “Mi dispiace, ma non posso morire.†Che cosa? “Non finché sono collegata al Nexus..†e scomparve, con una risatina… la stessa che sentiva Allant ad ogni esecuzione. Ma non ci fece caso. Ce l’aveva fatta. Aveva vinto. Ha distrutto la vita di donne, bambini, anziani, sacerdoti, pur di arrivare al suo obiettivo. Proseguì per la sala, vide un balcone, si affacciò. Prese la sua spada, l’alzò, e urlò, in preda alla foga: “La vittoria.. è mia! È nostra! Io, Allant, ho sconfitto le ripugnanti creature che ci odiavano, ci perseguitavano! Ma ora tutto cambierà .. l’umanità  ha vinto! Io ho vinto! Io, un umile uomo della Valle della Corruzione, mi auto-proclamo Re Allant XII, primo re del regno di Boletaria, il re degli uomini!â€


 


 


E qui finiscono le vicende di Allant, nato verme e morto Re. Ma cosa accadde in seguito?


Re Allant trasferì tutti i suoi simili nel regno di Boletaria, sostituendoli alle creature mutaforma, che furono segregate nella Valle della Corruzione. Il Re ebbe una moglie, un figlio, e governò saggiamente il territorio, senza mai farsi sopraffare da avidità  e cupidigia, piaghe che l’avevano già  flagellato, ma ripagato. Ma non passava alcun giorno senza che lui ripensi al “Potere dell’animaâ€â€¦ passò il resto della vita a cercare risposte su questo strano Potere.. e un giorno, si dice, ci riuscì.


Qui finisce la storia, o meglio, inizia..â€


                                                                                                                               Brano tratto dal Sommo Manoscritto dei Monumentali.


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Sword


Un laureando in famiglia


Tratto da â€œUn medico in famigliaâ€


 


1995. Narra le vicende della famiglia Martini, Lele ed Elena, una coppia indaffarata che, col peso di crescere due figli, Ciccio e Maria, tentano in ogni modo di andare avanti, di superare le avversità  della vita e allo stesso tempo cercano di dare un futuro migliore ai loro figli. Lele, l’uomo di casa, studia medicina e la notte lavora al pronto soccorso vicino, soccorre gente, ammalati, e chi ha più bisogno, mentre Elena fa la casalinga in case altrui, offre servizi e altri rimedi veloci. Arrivare a fine mese è sempre più difficile, perfino con l’assegno inviato dalla Puglia da nonno Libero, e a breve una sorpresa avrebbe cambiato per sempre la vita dei Martini. Elena era incinta di una nuova vita, e un nuovo membro stava per aggiungersi alla famiglia Martini. Così, i due coniugi decisero di cercare casa, una nuova, più grande, luminosa e spaziosa. La notizia giunse anche a nonno Libero, e alla sorella di Elena, Alice. Insieme, tutti quanti girarono diversi quartieri, vie e periferie, in lungo e largo visitarono diversi posti, fino ad arrivare ai più inpensabili, come i quartieri malfamati della città . Ma, una zona in particolare ha colpito i cuori di Lele ed Elena, i due per tutto il tempo non hanno fatto altro che fantasticare sulle vicende future dei loro figli nella nuova casa, su come sarebbero stati i loro nuovi guai e le disavventure nel risolverli. E, come disse il nonno prima di ripartire per la Puglia â€œUn guaio è troppo, e due sono pochiâ€. In seguito, le condizioni di Elena si aggravarono, e fu ricoverata d’urgenza in ospedale. Nonostante i rincuoramenti e le felicitazioni dei medici, Lele Martini non si dava per vinto, era turbato ma cercava comunque di sciogliersi con i medici e di dare il suo parere personale. Le condizioni di Elena continuarono a peggiorare, e la donna sembrava alla stregua dei suoi giorni. Senza un motivo fondato, il povero Lele fu costretto a vedere sua moglie aggravarsi, senza riuscire a far nulla, impotente. Alla fine, la piccola Annuccia nacque nello stesso letto d’ospedale, ma Elena non ce la fece, e la donna perse la vita. Poco tempo dopo, il vedovo Martini realizzò il desiderio della defunta moglie di trasferirsi nella nuova casa, quella dei sogni, e in un futuro lontano avrebbe dato il nome di â€œElena†ad un nuovo genito, in ricordo dei giorni passati.


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Nome:LP97 #Mr.Mewtwo#


Titolo:Le origini della guerra


Opera da cui è tratto:Transformers


Elaborato:


Correva un anno ormai remoto,tutto ebbe origine sul pianeta Cyberton,qui gli Autobots e i Decepticons vivevano i pace ed armonia.


I Prime erano i comandanti supremi,loro tenevano l'ordine e la pace.


Gli abitanti di tale pianeta commerciavano con altri vari pianeti,e fu proprio nel pianeta Energon-5 che vi fu un particolare scambio:un essere senziente scambiò con colui che avete conosciuto come The Fallen un cubo.


Tale cubo possedeva una fonte di energia immensa,troppo grande secondo il re Prime,tanto che la mente di The Fallen fu oscurata e così lui venne spedito sulla Luna,i Decepticons contrari a ciò elessero un "loro" re:Megatron,il quale è oggi conosciuto come Galvatron.


Iniziò così un'aspra battaglia tra Autobots e Decepticons,battaglia che parve finita quando gli Autobots trasportarono l'arca sulla Luna,ma così non fu ed essa continuò nel luogo in cui oggi vi trovate:la Terra.


Spero vi piaccia ;)


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Autore: Freedom

titolo: Ancients' legends

opera da cui è tratto: final fantasy 7

Elaborato: 2000 anni fa circa, quando ancora esistevano i cetra, 7 giovani salvarono la loro terra da un'enorme catastrofe. Ma come andarono davvero le cose?

tutto comincia nella città  di Karzh (inventata, perché non conosco le città  cetra), li dove nell' isola deserta visibile a crisis core, due compagni, Cedric e Barzhac, soldati di ventura, giunsero alla locanda delle sette conchiglie, dove si farà  conoscenza di una giovane donna, Loranie.

Quel giorno era festa, ma la felice situazione cambiò drasticamente quando scoppiò un terribile incendio, e cetra dall'aspetto mostruoso attaccarono la città . I tre riusciranno a salvarsi insieme ad altri cetra fuggendo, ma anche grazie al loro potere, che petmise di controllare l'acqua del mare per salvarsi proteggendosi e uccidendo i mostri.

il giorno dopo, mentre si cerca di recuperare la situazione, faremo conoscenza di Syrio e Myra, marito e moglie, che nella salvezza degli abitanti della città .

quel giorno faranno anche una terribile scoperta: dopo aver sconfitto un mostro sbucato dal nulla, i 5 scoprono che le carne delle loro mani sinistre si sta cristallizzando.

Capiscono di essere stati infettati dal virus Jenoma, che stava imperversando in quella terra dalla caduta della meteora nell'estremo nord.

perciò, decidono di viaggiare insieme, accomunati dalle mani cristallizzate, per cercare la cura, iniziando il loro lungo viaggio.

Alla terza città , nell'attuale Gongaga, vedremo colui che in futuro, sarà  il nostro principale antagonista: Invictus, mentre parlava col preside e che fu riconosciuto da Barzhac, in quanto furono in passato commilitoni dell'esercito cetra in una battaglia contro mostri.

Invictus si mostrerà  freddo, e i nostri partiranno dalla città . Avremo un volto diverso di Invictus quando i cinque saranno nell'attuale grande piana. Lì sconfiggera il gruppo, e attraverso una magia velocizzera il processo di trasformazione.

tuttavia, il viaggio continua, e si passerà  un pò per tutta la regione, reclutando nel gruppo altre due persone: Ryon, un tipo strampalato in stile steampunk, fissato con delle ali metalliche che usa come trasporto e come arma, e Yin sei Kisaragi . Avete capito bene: è la capostipite del casato kisaragi, principessa dell'anche allora impero di Wutai, esistente da moltissimo tempo.

velocizziamo col topic: pezzo importante e poi capitoli finali:

Durante il viaggio nella zona dell'oggi nibelheim si troverॠuna casa, che si scoprirà  appartenere a Invictus: si comprenderà  tra quelle mura che Invictus, grandissimo eroe tempo fa, impazzì perché nella battaglia sopra citata, perse la moglie presente lì a causa del suo stesso esercito, e in quella casa stessa non trovò più suo figlio. Syrio leggerà  in segreto alcuni libri nascosti, e cambierà  molto il suo carattere.

epilogo: siamo infine arrivati nel palazzo di Invictus, creato vicino al cratere del pianeta attraverso neri e immensi cristalli, dove si diceva fosse anche contenuto l'antidoto del virus (in realtà  mai esistito).

Ci saranno scontri memorabili, di perdita della propria umanità , sia da parte di Invictus, trasformato in una sorta di dragi di cristallo neri, e gli stessi protagonisti, nei quali si è ormai attuato il processo di cristallizzazione. La battaglia imperversò terribilmente, e fondamentale per la vittoria del bene fu il sacrificio estremo di Myra, che si fuse del tutto con il lifestre planetario per distruggere le macchine di create da Invictus r togliendogli il suo perenne stato di indistruttibilità . Vinsero i buoni, ma Cedric, Barzhac ,Ryon (anche lui infettato) e Loranie si trasformarono del tutto in cristalli.

ma la battaglia non era ancora finita: entrò in scena nientemeno che Jenova, in combutta con lo stesso Invoctus per la distruzione del pianeta. Contro di lei potranno combattere solo Yin Sei e Syrio, si trasformato, ma con ancora la forma umana, ma in loro aiuto vennero gli eserciti mandati dal regno Cetra, già  informati dell'attacco dei 7 da loro stessi. In un ultimo gesto, anche i quattro cristalli, nonché il Lifestream stesso, andranno contro Jenova, rinchiudendola all'interno del cratere.

per sempre. Ma cosi non fu.

Finita la storia, ora considerazioni e background:

Non si hanno notizie sui cetra, perciò ho dovuto un po inventare la loro società : se era molto progredita, poteva avere un aspetto medieval-tecnologico, simil final fantasy 12;

1) Yin Sei è antenata di Yuffie.

2) Syrio è il figlio perduto di Invictus, portato via bambino da un soldato che lo aveva salvato da un mostro mentre era lontano da casa; lui stesso l'ha scoperto, ma non l' ha mai detto al padre;

3) Syrio e Myra hanno avuto una figlia durante il viaggio, Nija, dall'aspetto umano, affidata prima dello scontro finale ad una umana, loro amica e importante personaggio secondario, Maria;

4) tutti e 7 i personaggi cambiano gradualmente aspetto durante tutta la storia, divenendo sorta di scheletri neri cristallizzati con alcune zone colorate: rosso per Cedric, arancio per Barzhac, ghiaccio per Loranie, giallo per Ryon, verde per Myra. Ognuno ha anche magie assegnate: fuoco-Cedric, ghiaccio-loranie, terra-Barzhac, tuono-Ryon, sacro-Myra, non elementale- Yin sei.

Riguardo Invictus e Syrio: il primo, che, come sapete, avrà  l'aspetto di un Drago, si trasformerà  in mako nero dopo la morte. Le sue macchine che dobbiamo distruggere saranno le weapon infuse di flusso vitale.

per quanto riguarda Syrio: avrà  un destino ben diverso, perché lui diventerà  non cristallo, ma materia corrotta. A causa di ciò, è l'unico che per instabilità  di geni può cambiare aspetto in qualunque cosa. Inoltre, poveraccio lui, ha ottenuto la vita eterna, in quanto infettato anche sia di lifestream (per la moglie) e sangue nero (lo scontro col padre).

Ora credo di aver finito, scusate dei miei cento errori, e chr vinca il migliore!

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Credo che per capire questo elaborato dobbiamo almeno aver visto il film, ma doesn't matter. ^^


 


Nome dell'autore: Veronica Roth.


Titolo dell'elaborato: Il compleanno di Caleb.


Opera da cui è tratto l'elaborato: Divergent.


Elaborato:


Oggi è il compleanno di mio fratello Caleb. Mi guarda con gli occhi sgranati sprizzanti di felicità . Compie 15 anni. Essendo nati a poca distanza l'uno dall'altro tra qualche mese sarà  anche il mio compleanno. Sappiamo entrambi che il giorno della scelta si avvicina: il giorno in cui dovremmo scegliere a che fazione appartenere. Ora facciamo parte della fazione degli Abneganti. Io e mio fratello dobbiamo onorare la nostra famiglia e rimanere nella nostra fazione, ma io non mi sono mai sentita generosa e premurosa come un Abnegante che si rispetti, come mio fratello. Lui ha preso tutto da mio padre: dallo sguardo, la postura, il comportamento. Ricordo quando alla sola età  di 7 anni mi guardava con le sue occhiatacce di opposizione ogni volta che facevo qualcosa che non andava bene, come non aver prestato la mia bambola a Clara, la nostra vicina di casa, nostra coetanea. Ma io non ce la faccio: mi sento diversa.


Caleb guarda il suo regalo di compleanno: un biscotto al cioccolato. Una prelibatezza da queste parti. Noi pensiamo che tutto ciò che non serve per la sopravvivenza sia qualcosa di inutile, quindi viviamo in povertà . Le uniche volte in cui possiamo fare qualcosa di diverso è appunto durante i compleanni dove ci vengono regalate prelibatezze come un biscotto o una caramella. L'altr'anno mi hanno regalato una gomma alla fragola: l'ho conservata e masticata per mesi di nascosto ogni volta che mio padre non guardava. Mio papà  è molto severo. Lui è una persona importante nel nostro quartiere: un Abnegante modello, e spera che un giorno io o Caleb faremo le sue veci quando lui sarà  troppo anziano per fare ciò che sta facendo.


Guardo mia madre: ha gli occhi lucidi. Non mi sembrano occhi che sprizzano di felicità . A cosa starà  pensando? Sono sicura che le sue preoccupazioni sono rivolte alla scelta che dovremmo fare tra un anno. Che si sia accorta che io non sono come tutti gli altri Abneganti? Che non sono generosa, premurosa, che non mi so accontentare? Ma io sto facendo il possibile per assomigliare a tutti loro.


<Che fai? Non lo assaggi?> chiede mia madre a Caleb che ha sguardo assente rivolto verso il biscotto. 


<Certo mamma.. Emh, stavo solo assaporando il momento.> dice con tono tranquillo. Io so che in realtà  vorrebbe conservarlo, ma qui non è permesso. Inizia a dare un morso. <Ne volete un pezzo?> Prima ancora di aspettare una risposta lo spezzetta e ce ne porge una parte. Accettiamo, perché è così che si comporta un vero Abnegante, non rifiuta mai una gentilezza e non si tiene mai nulla per sé.


<Tanti auguri Caleb.> sussurro, e mangio il pezzetto di biscotto con una goccia di cioccolato attaccato. E' dolce.


Dalla finestra entra una luce che illumina il volto di mio padre: sta sorridendo.


Cosa staremo facendo tra esattamente un anno? Probabilmente quello che stiamo facendo ora, solo con più preoccupazioni per la scelta.


Sentiamo bussare alla porta. <Ti spiace andare ad aprire Beatrice?> mi chiede mia madre dolcemente. Faccio come dice lei. Apro e mi ritrovo davanti Marcus Eaton. E' un uomo molto stimato nella nostra città , nonché più importante e generosa persona tra la nostra popolazione, dopo i Pacifici, s'intende.


Marcus ha subito un trauma. Dopo che sua moglie è morta, tre anni fa, suo figlio ha cambiato fazione. Un certo Tobias, mi pare di ricordare. E' entrato a far parte degli Intrepidi. Una cosa che gli Abneganti ancora non gli anno perdonato. Non oso immaginare il dolore del padre. Due perdite in così poco tempo. Erano usciti in quel periodo pettegolezzi sui giornali pubblicati dagli Eruditi sul conto di maltrattamenti che Marcus procurava al figlio. Tutte menzogne, immagino. Probabilmente il figlio si era solo stufato di essere sempre gentile e premuroso, un po' come lo sono io, anche se non dovrei neanche pensarlo.


<Salve Beatrice!> esclama.


<Salve signor Eaton.> dico premurosamente. Ha un non so che negli occhi che mi fa provare tristezza e un pizzico di oppressione. 


<Sono venuto a nome di tutti gli Abneganti a fare i più sentiti auguri di buon compleanno a tuo fratello. E' in casa?> 


<Certamente! Entri.> lo invito.


Il pomeriggio passa con diverse chiacchierate tra Marcus e mio padre. Noi ragazzi, come vogliono le regole degli Abneganti, dobbiamo stare in silenzio e ascoltare. Questo tempo ci verrà  successivamente ripagato da parte dei nostri genitori la sera, quando noi potremmo parlare della nostra giornata e sfogarci, sempre nei limiti del regolamento. Io ascolto, ma nel frattempo la mia mente è impegnata a constatare quanto io sia diversa da tutta questa gente che mi circonda.


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Nome dell'autore:  Lucinda 91


Titolo dell'elaborato: la sventata morte di Lynne(per la 3 volta)


Opera da cui è tratto l'elaborato: Ghost Trick .


Elaborato:


Lynne  viene trovata da Sissel nel seminterrato della casa del custode morta.Sissel usandol i suoi poteri su di lei riesce a vederla molto confusa perchè non sa come è morta , ma Sissel sà  che se non la aiuterà  non riuscirà  a scoprire  chi è , allora usa i suoi poteri dei morti per tornare a quattro minuti prima della sua morte. Vedendo come morta prima di intervenire scopre che è stato un marchingegnio che funziona solo quando si accende la luce. Allora Sissel  inizia a impossessarsi degli oggetti per trovare un  modo che faccia in modo che il cupido he spara la freccia di fuoco che accende la miccia della pistola che fà  morire Lynne. Allora  si impossessa del telefone salendo al piano sovrastante dove poi si impossessa del bollitore che gli permette di raggiungere il ventilatore da soffitto dove sopra di essa c'era  una pallina e lui raggiunge una cassetta deglia attrezzi e si impossessa  prima di un  paranco che sposta e raggiunge in ordine la pallina , una torta di compleanno, e infine di una botola che  apre.Poi si impossessa nuovamente della cassetta degli attrezzi  che apre non appena  la pallina si ferma a terra . Aprendo la casseta si attiva il meccanismo che riesce a spedire la pallina contro il cipido che si gira  è la freccia lanciata va sopra la torta di compleanno dove si accendono le candeline. E dopo Sissel e Lynne tornano al loro "nuovo" presente dove Lynne  per la prima volta gli parla e dopo attraverso il nucleo  dove lei gli chiede di vedere  il programma di  un detenuto, mentre lei si incontrerà  con kamilia nel "Regno del pollo" e dopo Lynne fugge attraverso la botola mentre Sissel attraverso il telefono.


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Guest Gingaehlf

AUTORE: Caciotta (devo cambiare il nick)

TITOLO: Addio, Claire

OPERA DA CUI È STATO TRATTO: Professor Layton

ELABORATO: parla della morte di Claire. Il dialogo finale tra Layton e Claire è del gioco (nel video dei ricordi di Layton) per rimanere il più coerente possibile.

"Non lo dimenticherai vero? Il nostro passato insieme, e il nostro... Futuro perduto."

L'erba le accarezzava il viso, sospinta da una dolce brezza, scompigliandole i capelli. Il Tamigi accompagnava le sue placide giornate, fra i libri, le ricerche in laboratorio, quel continuo suono la cullava. I raggi del sole, una raggiera di luce, illuminavano i ciuffi di nuvole, come un quadro romantico, quando i cieli di Londra non erano offuscati dallo smog.

Distesa sul prato, osservava le fronde della piccola quercia che la ospitava, muoversi come aggraziate ballerine al vento. Aspettava l'autunno, per poter invitare Hershel ad una passeggiata fra le rossicce fronde di Hide Park, come infuocate.

Una voce ruppe quella pace.

-Claire! Guarda!

Un ragazzo, circa la stessa età  di Claire, stringeva soddisfatto in mano due biglietti. Indossava un completo comodo, con un cappellino da golf arancio, che nascondeva due occhi color nocciola. Brillavano di vittoria.

-Hershel! Cosa ci fai qui? Non eri dal Rettore Stone per quel faccenda della cattedra?

-Esatto. E indovina un po'?

-L'hai ottenuta?

-Si!

Claire si alzò, e fu subito accerchiata dolcemente dalle braccia di Hershel. Dopo qualche giro si fermarono, e ripresero a parlare.

-Quei biglietti?

Chiese Claire dubbiosa, scrutandoli con due occhi socchiusi.

-Per festeggiare, il Rettore Stone mi ha regalato due biglietti per la prima della "Traviata" di Verdi alla Royal Albert Hall. Due biglietti. Noi due!

-Che bello, Hershel! Dovrò comprarmi un abito adeguato!

-A questo ci penseremo dopo. Andiamo a festeggiare!

Le giornate passarono presto, con Hershel intento ad ultimare i preparativi per la nomina. Si sarebbe tenuta una una celebrazione, nell'aula conferenze della Gressenheller per l'addio al Professor Schrader, noto barone universitario.

Claire aveva approfittato di quei giorni per trovare un regalo adatto alla nomina di Hershel.

Verso le 11:00, si trovò all'incrocio fra la Queen Elizabeth Street e la Litttle Street. Nei pressi della fermata di un autobus, scorse al lato destro una stradina, che serpeggiava misteriosa fra i sobborghi londinesi. Con una nota di dubbio si avvicinò, e prese a seguirla giù, fino a predersi fra un intricato avvicendarsi di vicoli. Si vide di fronte un negozio dall'aria pittoresca, probabilmente un antiquario. Delle bambole vittoriane la fissavano, con due occhi opachi, ingialliti dal tempo, quasi a chiederle aiuto. Le loro manine in porcellana parevano vere, un corpo morto, abbandonato. Convinta di trovarsi nel posto giusto entrò, esitando sulle prime.

-Si accomodi...

-Scusi... Chi ha parlato?

Chiese Claire, non vedendo alcun uomo, oltre a lei. Un'aria di antico, di legno pregiato, di preziosi aromi orientali, un sapore dell'antico splendore vittoriano, dell'impero britannico, della gloria imperiale. Degli armadi laccati spaziavano agli angoli, mentre un lampadario fine '800 oscillava al di sopra. Appollaiato sul bancone, un gufo dall'aria minacciosa la osservava. Due occhi spenti, che il legno scolpito dava l'impressione di una mummia. Una mummia che non conosceva vita.

-Chi ha parlato?

-Se ha sentito, qualcuno deve aver pur parlato, ne conviene?

Finì, uscendo dal retrobottega. Un uomo anziano, i cui anni intagliavano quel viso, quelle rughe, quella pelle che penzolava stanca. Il tempo incombeva sui due occhi spenti, azzurro ghiaccio.

-Lei... Suppongo sia il proprietario...

-Sono io. Ha bisogno di qualcosa?

-Veramente...

Continuò Claire, guardandosi attorno, incuriosita. Quel luogo le metteva soggezione, una sensazione strana, quasi paura.

-Se si è avventurata fin qui, qualcosa l'avrà  spinta, ne conviene?

-Si. Starei cercando una tuba, un qualcosa...

L'uomo si perse nell'ombra, nell'oscurità  del retrobottega, per riapparire in seguito, impugnando una grossa scatola.

-Veda se le piace.

Azzardò, con un tono di orgoglio. Mise la scatola sul bancone. Claire si avvicinò, lentamente, sentendosi osservata da due occhi legnosi, da un gufo intagliato, da un'aria minacciosa. Aprì la scatola dubbiosa, ma alla vista di una splendida tuba ottocentesca, in perfetto stato, si ricredette.

-Mi piace. Quanto viene?

-Se le piace la prenda, e vada. Se non le piace la lasci qui, e si rimetta in cerca. A lei la scelta.

-Non... Non mi fa pagare...?

-La prenda, ed esca. Arrivederci.

Claire dubbiosa uscì, risalendo quello strano viale. Al sommo, si girò per vedere un'ultima volta quello strano luogo, ma con sorpresa non lo vide. Era scomparso, tanto che la tuba in mano fu l'unica cosa a dissuaderla dal sogno. Scomparso, sparito, volatilizzato. Confuso all'ombra, all'oscurità , al dubbio, un reticolo di vicoli che non lasciava spazio alla fantasia. Rimaneva paura, timore.

"Ogni enigma ha una soluzione"

-Cosa?

Disse Claire. Un eco, una voce ripetitiva, provenire da quel negozio. "Ogni enigma ha una soluzione". Ma quel negozio non esisteva. Le rimase questo eco nella testa, fino al ritorno.

Le ricerche presero una svolta. Qualche giorno prima della celebrazione, per la cattedra, Dimitri Allen riuscì finalmente a finire il loro alquanto pretenzioso progetto, la macchina del tempo.

-Ecco qui!

Rise Claire, porgendo la misteriosa scatola ad Hershel.

-E questo cos'è?

La guardò dubbioso.

-Aprilo e lo scoprirai.

Hershel sciolse dolcemente il nastro, e si ritrovò di fronte una bellissima tuba ottocentesca, in perfette condizioni.

-Un cappello?

-Ma sì. È per la tua nomina a professore. Congratulazioni.

-Ti...ringrazio.

-Ora sei un membro della comunità  accademica a tutti gli effetti, e non puoi certo sfigurare!

Continuò Claire, facendo indossare la tuba ad Hershel. Emise una leggera risata.

-Impressionante! Hershel, l'immagine di un vero gentiluomo!

Esclamò, squadrandolo soddisfatta. I suoi occhi brillavano di felicità , ed orgoglio.

-Un... Un vero gentiluomo dici?

Fece Hershel, dubbioso. Si levò la tuba, ma non fece in tempo che Claire lo fermò.

-No, non togliertelo. Ti sta bene, davvero, quindi lasciamo dov'è.

Claire volse lo sguardo all'orologio, e si alzò sbadatamente.

-Oh, è tardissimo, non me ne ero resa conto. Devo andare al laboratorio, oggi abbiamo in programma un esperimento molto importante. Perché non continuiamo i festeggiamenti sta sera? Oh, e promettimi che indosserai il cappello. Non è il tuo stile, ma cerca di avere una mentalità  aperta. Dopotutto, non è così che fa un gentiluomo?

Finì Claire, uscendo dalla porta. Abbozzò un sorriso, che trasparì flebile, dallo spiraglio, nella chiusura della porta. Qualche ora dopo, mentre Hershel stava preparando il discorso, ricevette una chiamata. Dopo pochi secondi, il tempi di aver capito l'accaduto, si precipitò al laboratorio. L'edificio era in fiamme, lo smog ed il fumo non lasciavano trasparire nulla. Una folla, accalcata al di fuori, che si agitava, ipersa, nel vuoto della morte. Disperata, che si guardava attorno, nella speranza di risvegliarsi da un incubo. I loro occhi, che risplendevano di paura, terrore, la disperazione riflessa nelle loro anime. Hershel si guardò attorno, quando vide un ragazzino che si dimenava, colpendo a destra e manca chi lo ostacolava.

-Cosa... Claire...

Tutto si fermò. La gente, le fiamme, la disperazione, i suoni, tutto. Scorreva come olio. Vedeva solo Claire, un'immagine sfocata, destinata a sfumarsi con le fiamme, e con la morte. Una goccia, un'innocua lacrima percorse il lasso fra l'occhio ed il mento, per poi tuffarsi nel vuoto. Qualcosa lo fece risvegliare.

-Lasciatemi passare! Voglio entrare! Voglio tornare dai miei genitori!

-Cos...

Hershel vide un ragazzo, che cercava in tutti i modi di entrare. Una guardia lo stava fermando, ma non sarebbe durata.

-Ragazzo...

-Uh?

Il ragazzino si girò, e vide Hershel.

-Cosa ti è successo?

Si inginocchiò, e gli accarezzo il capo.

-La mia... La mia mamma è la dentro! Voglio to...

-Stai calmo. Loro non lo vorrebbero. Lo vogliono vederti felice.

-Ma io... Ma io sono felice solo con loro!

Urlò il ragazzo piangendo. Si dimenò più forte, stretto fra le braccia di Hershel.

-Loro ti vogliono vedere felice qui.

Alzò gli occhi, vedendo, delineato fra le nuvole, il contorno di Claire. Si levò la tuba, e restò lì, a fissare il cielo, piangendo.

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Ecco a voi il mio prequel spero vi piaccia ♥


 


 


 


NoelFurokawa


Fondatori e la storia di Hogwarts


Harry Potter


 


Il vento spirava forte. Il suo alito gelido fendeva l’aria dell’alba. I quattro fondatori avevano fissato l’appuntamento su una collina deserta. “Messer Grifondoro! Che animo nobile e quale coraggio possedete! Grazie per avermi aiutato a scalare questa collina!†disse Priscilla Corvonero con la sua voce melodiosa e suadente. Godric Grifondoro, noto mago d’animo nobile e coraggio leonino, era arrivato per primo sul colle e osservava il panorama albeggiante. “Il solito narcisista! Madama Priscilla non si faccia ingannar da Messer Grifondoro, egli usa il suo coraggio solo per pavoneggiarsi di fronte alla vostra figura!†la voce serpentina di Salasar Serpeverde riempì l’aria mattutina e accese nell’animo di Godric una fiamma d’odio. “Per favore, Messer Serpeverde! Almeno per questa giornata, cerchi di essere più garbato nei modi e nello spirito! Oggi, infatti, è un giorno d’importanza immane che rimarrà  nella storia nei secoli avvenire!†la figura di Tosca Tassorosso, una nobile dama conosciuta da tutti per la sua lealtà  e cortesia, sbucava alla fine del gruppo. Era arrivata per ultima sulla collina e, in pochissimo tempo, aveva già  riportato la pace tra i giovani maghi. “Compagni, oggi erigeremo la nostra scuola di magia. Noi, miei cari, scriveremo una nuova era!†I quattro fondatori innalzarono le loro bacchette al cielo e crearono un castello dal nulla. Godric, Salazar e Tosca si occuparono della costruzione, mentre Priscilla, il cui genio era al di sopra di quello di ogni altro essere umano dell’epoca, impresse diversi incantesimi con lo scopo di proteggere la costruzione dagli sguardi indiscreti dei babbani. La scuola sorse al centro di un anello di catene montuose. Nacque così Hogwarts, in una mattina gelida del 993 d. C.


 


Passarono gli anni e, una volta aperta la scuola alle nuove generazioni di maghi, tra i fondatori nacquero delle incomprensioni. Fu così riunita un’assemblea tra i quattro maghi. “Ve lo ripeto! Dovremmo selezionare gli studenti in base alla loro intelligenza, saggezza e creatività ! Un ingegno smisurato per il mago è un dono grato.†la voce di Priscilla Corvonero riempiva la sala. “Giammai! Priscilla, la scuola è aperta a tutti! Non possiamo sprangare le porte!†Tosca Tassorosso, nel suo vestito giallo, rimaneva imparziale “Concordo in una migliore selezione, ma non utilizzando questo metodo barbaro! Il lavoro duro paga sempre e solo gli studenti con questa virtù saranno i benvenuti!†Priscilla Corvonero scosse il suo capo; evidentemente contraria alle idee della donna. “Signore  v’imploro di ascoltarmi; l’intelligenza e la costanza nel lavoro non sono virtù importanti come lo sono il coraggio e la nobiltà  d’animo, ecco cosa cerchiamo nei nostri allievi!†Il tono di voce di Godric era fermo, ma allo stesso tempo dolce “Quelle sono cose che cercate VOI Grifondoro! IO cerco Purosangue e valorizzerò doti come l’astuzia e la determinazione!†urlò Salazar indignato. Nella sala regnò un silenzio assordante, i quattro fondatori sapevano che avrebbero dovuto trovare una soluzione, ma in quel momento sembrava impossibile da raggiungere. Poi una voce ruppe quell’attesa angosciante. “Pur avendo uno scopo comune, abbiamo punti di vista diversi, su questo non vi è dubbio. Per questo motivo, a parer mio, dovremmo dividerci e, ognuno di noi, perseguirà  quegli ideali che sono forgiati nel suo cuore e nel suo animo. Divideremo gli alunni in quattro nobili casate: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Ciascuno degli studenti sarà  scelto in base alle sue virtù e apparterrà  alla casa più adatta. Ognuna di esse avrà  uno stemma, che rappresenterà  il Patronum del fondatore. Leone per Grifondoro, come simbolo del coraggio e di nobiltà  d’animo; tasso per Tassorosso, con il significato del duro lavoro e della lealtà ; l’aquila per Corvonero, infatti, così come questo rapace vola in alto così l’intelligenza dei suoi membri raggiungerà  vette elevate; per ultimo avremo il serpente per Serpeverde, esso rappresenterà  l’astuzia.† Priscilla e gli altri fondatori sapevano bene che quello era l’unico modo per uscire da quel turbine di litigi. “Come faremo a sapere in quale casa apparterranno i giovani maghi?†“Madama Tosca per questo non dovrà  crucciarsi, noi siamo i maghi più potenti del mondo, di conseguenza, smisteremo noi gli studenti.†Da quel giorno in avanti, a Hogwarts, si celebrò la cerimonia dello smistamento.


 


Il tempo avanzò imperterrito. “Madama Corvonero! Madama Corvonero!†La voce di Godric rimbalzava nel corridoio della scuola mentre la figura della donna si girava vero di lui “Finalmente vi ho raggiunto! Ho trovato la soluzione per quella questione …†Priscilla sapeva bene di cosa si trattava. I quattro fondatori si riunirono in assemblea. Iniziarono così ad incantare il cappello di Godric. Passarono diverse ore, ma alla fine ottennero il risultato in cui avevano sperato. L’oggetto, che prima era animato, ora aveva vita propria. “Ti chiamerai Cappello Parlante e d’ora in poi smisterai tu gli studenti in ogni casa!†disse Salasar all’oggetto. La preoccupazione dei fondatori era così risolta. Dopo la loro morte, infatti, il Cappello Parlante avrebbe svolto la cerimonia dello smistamento con la loro stessa precisione.


 


Ma, purtroppo, le liti continuarono fino a dilaniare il gruppo dei quattro fondatori. “Perché, Messer Serpeverde, fate distinzione tra maghi Mezzosangue, Sanguemarcio e Purosangue? Non siamo forse tutti uguali? Non abbiamo tutti gli stessi diritti?†Godric rimaneva fermo, il suo sguardo fisso su Salasar “VOI non capite! Mezzosangue e Sanguemarcio sono traditori del loro stesso sangue!â€. La lite proseguì a toni sempre più accesi. “Se questo è il vostro modo di pensare, andatevene! Lasciate la scuola e abbandonate l’edificio!†urlò Godric mentre Salasar usciva dalla stanza; il mantello svolazzante nell’aria. Il mago fuggì dalla scuola quello stesso giorno, ma non prima di aver lasciato un ricordo del suo passaggio. Salazar, infatti, creò la Camera dei Segreti e v’inserì un Basilisco. La Camera sarebbe rimasta sigillata fino all’arrivo dell’erede di Serpeverde. Una volta aperta, il Basilisco, avrebbe ucciso tutti i Sanguemarcio e i Mezzosangue appartenenti a quella scuola. La vendetta di Salasar si sarebbe, finalmente, compiuta.


 


Il reverendo parlava con tono piatto e senza emozioni. La bara era aperta e, al suo interno, giacevano due corpi. Il barone sanguinario e la figlia di Priscilla Corvonero erano l’uno accanto all’altra; i corpi ancora bagnati di sangue ed il pugnale ancora conficcato nel corpo dell’uomo. “Figlia mia! Amore della mia vita! Il mio sangue vorrebbe unirsi al tuo essendo così simili! Dannato sia quel diadema e dannata sia IO!†Il pianto di Priscilla proruppe e, come un fiume in piena, travolse l’animo della donna. Cosa rimaneva della sua vita? L’unico suo amore era sparito; scivolato tra le sue flebili dita come la sabbia. Ma, i due giovani, non erano veramente morti. Infatti, dai loro corpi si levò un fumo argenteo e i due divennero fantasmi. I fondatori, che compresero il dolore di Priscilla, offrirono un posto ad Hogwarts ai due giovani, che accettarono senza batter ciglio. Poi, un giorno, senza che nessuno se ne accorgesse, ai due spettri se ne aggiunsero altri: Nick Quasi Senza Testa e il Frate Grasso. Insieme divennero i Fantasmi delle quattro case.


 


Gli anni passarono e con essi anche la vita dei fondatori. La leggenda narra che siano morti nello stesso giorno, ma ovviamente non fu così. Si congedarono da questa vita in stagioni differenti: Grifondoro in autunno, Corvonero in inverno, Serpeverde in primavera e Tassorosso in estate. Questi quattro maghi lasciarono nel mondo della magia un’impronta indelebile e segnarono l’inizio di una leggenda, che viene ricordata ancora oggi.


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Nome dell'autore: Bw96


Titolo dell'elaborato : Il Dono


Opera da cui è tratto l'elaborato: Frozen- Il regno di ghiaccio


 


Tra i fiordi della Scandinavia, il piccolo regno di Arendelle era come una gemma splendente. In questo remoto regno vi era una ragazza: occhi celesti, capelli bruni, non troppo alta. Era in procinto di sposarsi. Il matrimonio era una cosa del tutto nuovo per lei. Sua sorella le raccontava che il suo di matrimonio era felicissimo ed ora che le è nata una bellissima bambina, con capelli decisamente dorati a suo dire, nonostante la gravidanza travagliata. Comunque questa ragazza era una principessa e, nonostante questo doveroso compito, per lei esisteva solo divertirsi e vedere il mondo esterno. Come abbiamo detto questa ragazza era in procinto di sposarsi, un uomo che non aveva mai visto, ne conosciuto, ma solo raccontato: Bello ma elegante, forte e virtuoso, intelligente e magnanimo. Nonostante questa descrizione la ragazza era sempre più nel panico. Perché proprio lei doveva sposarsi con uno sconosciuto? Non poteva sposarsi con una persona di cui era innamorata? Sta di fatto che i dubbi e le ansie la portarono a scappare nei boschi, il suo luogo di ristoro e riposo, in cerca di calma e serenità , in cerca di risposte. Nonostante fossimo in estate, la radura dove era andava sempre, era piena di ghiaccio e neve. Ed eccolo lì su un masso seduto, un ragazzo. Capelli biondi quasi fossero bianchi, occhi verdi e statura media. S'incontrarono. Ed a sorpresa iniziarono a parlare, nonostante quella strana situazione. La ragazza con lui si sentiva a suo agio. Ogni sua parola la attirava, la rassicurava, la divertiva, la sorprendeva, la seduceva. Quel giovane però aveva un segreto. Nelle sue mani scorre un potere che la può ferire, che la può minacciare, che la può uccidere. Lui si rivela, nonostante gli insegnamenti della madre: celarlo, domarlo, non mostrarlo. Le chiede quale sia il suo animale preferito. Lei le dice un angelo. Lui è sorpreso, gli angeli non sono animali. Lei sorride, le penne di cosa sono fatte? Lui ride, le penne non sono quelle di un uccello. Ecco che il giovane agita le mani, un angelo di ghiaccio compare. Un sorriso sul volto di lei, ancora, ancora. Una renna, un cane, un gatto, un'aquila, un pupazzo di neve. Si fa sera, è tardi. Il giovane le da appuntamento il giorno dopo. Lei accetta. Lei è in anticipo. Eccolo, lei sorride. Un altro giorno lei gli porta un cesto da picnic, mangiano, la domanda è spontanea. Questo dono passa da genitore a figlio, maschio o femmina che sia, ma solo ad un primogenito nessun altro. Lei è sorpresa questo dono potrebbe essere utile. Lui nega, questo dono è una maledizione. Lo vincola, lo lega al suo destino, lo tortura. Lei le chiede perché. Lui le dice che solo quando nascerà  un primogenito sarà  libero. Lei lo rassicura, solo insieme può controllare questo dono. Lui nega: celarlo, domarlo, non mostrarlo. Lei continua a contraddirlo. Lui si arrabbia, l'aria si fa gelida. Tutto inizia a congelarsi. Lui vede un albero congelato, lì davanti. Si calma. Si scusa e se ne va. Lei torna il giorno dopo ma non ci sta. Ogni giorno torna finché, eccolo. Lui arriva, la prende per mano, la bacia. Lei è stordita. Lui le dice che non può più vederla. Lei dice che vuole un uccellino di ghiaccio. Lui non vuole, ha paura di farle male. Lei dice che se sta sereno e felice il dono non lo prenderà  con se. Lui ci prova ma sente paura nell'usare il dono. Se prima non gli importava di usarlo, anche se pericoloso, adesso ha lei da proteggere. Lei lo abbraccia, lascia andare, è il consiglio. Lei lo bacia e se ne va, l'indomani vedrò il suo futuro sposo. Mattina dell'indomani. Ansia, eccitazione, ansia. Alto il capo, schiena dritta, petto in fuori. Annunciato, sta per entrare. Eccolo. Lei sorride. Lui, la guarda e mette una mano dietro la schiena, poi le fa vedere la mano: un uccellino di ghiaccio. La regina ansima, è ora. Il lui, ormai re, accorre, di lui,del biondo platinato rimane solo un biondo cenere.  La guardano, le sorridono. La chiamano per nome: Elsa.


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*Nome dell'autore: Asteroide pagliaccio

*Titolo dell'elaborato: Nel nome di Emirya

*Opera da cui è tratto l'elaborato: una campagna di D&D scritta da me (come Master sono noto con il nome di Drefius)

*Elaborato:

Senti il sapore del fango e della terra nella tua bocca, hai qualcosa sul viso, qualcosa batte sul tuo viso, qualcosa di bagnato e pungente. Apri gli occhi, la vista è annebbiata e degli aloni oscuri ti impediscono la visuale, poi ti accorgi: una pioggia fitta e scrosciante sta cadendo dall'alto, confondendo tutti i rumori della foresta. Tu sei sdraiata da qualche parte, sembrerebbe una foresta, non sai bene dove di preciso. Un latrato, un latrato si ripete più volte, non capisci... Forse è solo la tua immaginazione; puoi sentire le vene del tuo capo pulsare, senti il rumore nelle tue orecchie... La testa ti duole e pulsa. Ti passi una mano tra i capelli e il colore del fango si mescola ad una sostanza rossastra: sangue!

Un bagliore nella notte... Un fulmine illulmina il paesaggio: scorgi un sentiero non molto distante, nascosto da alberi antichi... Tutto è confusione nella tua mente. Ancora un latrato, più vicino questa volta. Ti guardi intorno, un cane lupo di un manto argentato ricambia il tuo sguardo e ti scruta con attenzione; il suo sguardo ti è familiare. Cerchi di mettere in ordine i tuoi pensieri: sembrerebbe esserci stato un combattimento, vedi delle frecce conficcate nel terreno e sugli alberi. Cerchi di alzarti e ti accorgi di essere debole, la testa ti gira fortemente e hai difficoltà  a stare in piedi. Ancora un lampo....questa volta più vicino, noti delle luci in lontananza, luci dell'uomo, sembrerebbe esserci un villaggio nelle vicinanze. Nella tua mente ti appare l'immaggine di una cascata, ti ricordi alti pendii e folte conifere. Può essere una traccia ma è ancora poco. Ti scruti addosso: sei vestito con abiti da viaggio, logori bagnati e un armatura di cuoio perfetto sporca di sangue. A poca distanza da te noti un bagliore metallico, uno stocco è situato vicino ad uno zaino. Tendi la mano verso di esso quando noti, nell'indice della tua mano sinistra, un anello, sembra un rubino, e con uno stemma inciso. Provi a sfilarlo... Non ci riesci. Dai uno sguardo più attento alla scritta, una specie di "G" è incisa.

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*Nome dell'autore: Peter Pan 


*Titolo dell'elaborato: La storia di Robin Hood: il ladro gentiluomo che rubava ai ricchi per dare ai poveri


*Opera da cui è tratto l'elaborato: Robin Hood (Disney)


 


        La storia di Robin Hood:


 


        il ladro gentiluomo che rubava ai ricchi per dare ai poveri


 

                                                                   

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 Una pallida luna bagnava di tenui bagliori la cittadina di Poiters, in Aquitania. Il silenzio regnava sovrano, disturbato solo dal roboante fischio del vento. Sembrava che niente potesse intaccare quella quiete eppure da lì a poco qualcosa avrebbe sconvolto la vita di molte persone. Era la calma prima della tempesta.


Eleonora, regina della regione d’Aquitania, era a palazzo assieme ai suoi due figli, Riccardo e Giovanni, aventi rispettivamente  5 e 11 anni, e alla sua dama di corte, Lady Yvonne. Come ogni notte Eleonora raccontava ai suoi piccoli delle storie e questi la stavano ad ascoltare con molta attenzione.


<<Oggi vi narrerò le gesta del prode Roland>> disse la regina. Tuttavia la sua narrazione fu immediatamente interrotta dalle grida di uno dei suoi servitori. <<Regina!Regina! Presto!>> urlò affannosamente questi irrompendo di corsa nella stanza.


Eleonora, con sguardo attonito, gli si accostò e disse: <<Che succede Arcibald?Ci sono forse dei problemi?Calmati e parla>>.


Il servitore, con voce strozzata, le rispose <<Maestà , deve scappare immediatamente! I ribelli stanno attaccando la città  e vogliono raggiungere il castello. Purtroppo  sembrano più forti del previsto e i soldati sembrano non riuscire a placare la loro furia. Presto! Seguitemi. Dobbiamo correre all’uscita secondaria e raggiungere la carovana che  vi porterà  in salvo. Coraggio, seguitemi >>.  


Gli altri allora iniziarono a seguirlo senza proferir parola. Ad un certo punto, però, Lady Yvonne rallentò la corsa e senza farsi scoprire raggiunse un’uscita differente.  Era pallida in viso e le lacrime avevano iniziato a rigarle il viso.


Cosa la preoccupava?


Era preoccupata per il suo figlioletto, Robin, e per il marito, Horace Hood.  Quest’ultimo faceva parte dell’esercito reale e quindi al momento era impegnato nella lotta contro i ribelli. Robin, invece, quando i genitori erano occupati,  veniva lasciato in affidamento al frate di corte, Fra Tuck.


L’attenzione della giovane donna fu distolta da strani gemiti. Lei si volse e cercò di capire da dove provenivano.  Vide un corpo disteso e sanguinante. Impallidì nel vedere che in realtà  quel corpo apparteneva a suo marito.


Con  gli occhi stracolmi di lacrime gli si accosto e disse: <<Horace, tranquillo, ora cercherò qualcuno che ti curi. Ti salverai, non ti preoccupare>>.


Lui, a fatica, le rispose: <<Oh, Yvanne... Mi spiace, ma devo lasciarvi… Avrei tanto voluto vedere il nostro piccolo Robin crescere… Mi spiace tanto… Mettiti in salvo! Presto! Cerca nostro figlio e scappate da qui. Per me ormai è troppo tardi. Salvatevi almeno noi… >>. Queste furono le sue ultime parole prima di esalare l’ultimo respiro.


La donna, col cuore straziato dal dolore, si diresse affannosamente verso la chiesa di Fra Tuck.


Giunta sul posto vide la chiesa in fiamme e ormai ridotta ad un cumulo di macerie.


Le ultime speranze l’avevano ormai abbandonata e si lasciò cadere sulle ginocchia tremanti. Un immane dolore le strinse il cuore.


Che ne era stato di suo figlio?


Ma ecco un nuovo raggio di speranza irradiare la giovane madre. Infatti ella udì una voce ripetere: <<Mamma! Mamma!>>. Con un rapido scatto si alzò da terra, si voltò e vide il suo piccolo Robin accanto al buon frate.


Un splendido sorriso di gioia si dipinse in viso di Yvonne che corse verso il figlioletto.


Proprio in quel momento un ribelle corse verso Robin e indirizzò verso di lui uno dei suoi dardi.


Il piccolo chiuse gli occhi per la paura e quando li riaprì vide  innanzi a lui la madre con le braccia divaricate.


Lo aveva protetto dalla freccia ed era stata colpita in pieno petto.


Il ribelle fu immediatamente raggiunto dai soldati imperiali e ucciso.


Ormai, però, per la povera Yvonne era troppo tardi. Ella cade a terra ormai esanime.  Il sangue iniziò pian piano a tingere di rosso la sua candida veste bianca.


<<No, mamma! Mamma! Alzati, ti prego. Non mi abbandonare>> urlò Robin avvicinandosi al corpo della madre. Quest’ultima, con le ultime forse, gli disse: <<Piccolo mio, non temere, io veglierò sempre su di te. Non ti lascerò mai solo. Ora va. Mettiti in salvo. Mi raccomando Fra Tuck… lo affido a te>>. Queste furono le sue ultime parole prima di raggiungere il marito appena scomparso.


Fra Tuck prese per mano il piccolo Robin e gli disse: <<Coraggio. Devi essere forte. Io ti porterò in salvo come ho promesso a tua madre. Forza, corriamo fuori dalla città . Fra Loyd ci sta aspettando. Ci porterà  nella cittadina inglese di Nottingham, di proprietà  del padre di Riccrado e Giovanni. Lì saremo in salvo>>.


I due riuscirono a raggiungere l'amico frate che li fece salire su di un carro. Qui vi erano altre persone, alcune delle quali ferite gravemente. Robin notò che tra di esse vi erano anche i piccoli Riccardo e Giovanni. Questi stavano bene, ma non smettevano di versare lacrime. La loro madre, infatti, era stata rapita dai ribelli e di lei non si sapeva più nulla. 


Raggiunta la cittadina di Nottingham il carro si fermò innanzi a una baracca ove i feriti vennero subito affidati alle cure di appositi medici. I bambini che erano rimasti senza genitori o parenti vennero condotti in una specie di orfanotrofio. Riccardo e Giovanni furono condotti alla reggia di Nottingham dove il loro padre, re Enrico II d'Inghilterra, che al momento era impegnato in trattative militari, li avrebbe raggiunti appena possibile.


Robin si sentiva solo ed era molto triste, ma a tirarlo su di morale fu un tipo alquanto bizzarro di nome Little Jon. Questi si trovava all'orfanotrofio già  da tre anni e tutti lo conoscevano in città  a causa di tutte le marachelle che combinava. Robin, lì per lì, non riusciva a rispondere alle domande che Little Jon gli poneva, ma col tempo diventarono grandi amici e compagni di bricconate. 


Una mattina Robin, mentre l'amico e tutti gli altri orfani ancora dormivano, decise di uscire e andare nella vicina foresta di Sherwood. Aveva bisogno di stare un po' solo a pensare. Gli tornarono alla mente le parole della madre, la scoperta, una volta giunto all'orfanotrofio, della scomparsa anche del padre. Già ... quel padre che aveva tanto ammirato per la sua forza ora non c'era più. Sì sentiva confuso. 


<<Bello questo posto, non è vero?>> sentì dire ad un tratto Robin. Così si voltò e vide una fanciulla dai grandi occhi azzurri in cui cominciarono ad annegare tutti i suoi turbamenti.


<<Sì, molto bello. Un posto davvero paradisiaco. Non mi dispiacerebbe venire a vivere qui un giorno>> disse Robin.


La fanciulla replicò dicendo: <<Anche a me piacerebbe, ma purtroppo non mi sarà  possibile. Sarò costretta a vivere dietro le mura di un castello. Forse questa è l'ultima volta che potrò venire qui in totale libertà >>.


I due parlarono per ore finché una donna di nobile aspetto non chiamò la fanciulla e disse, avvicinandosi ad essa e afferrandola per un braccio: <<Marian, ecco dove eri finita. Ti sembra questo il modo di sparire. Forza, torniamo a palazzo>>. 


La giovane si volse verso Robin e con occhi colmi di tristezza gli disse:<<Un giorno ci rivedremo, me lo prometti?>>.


<<Certo! Te lo prometto! Ritorneremo in questa foresta assieme. Il nostro non è un addio, ma un arrivederci>>.


E così dicendo i due si separarono...


Robin, il cui cuore batteva  all'impazzata, dopo un attimo di smarrimento tornò all'orfanotrofio ove raccontò all'amico della fanciulla incontrata poc'anzi. 


 


Trascorsero diversi anni e molte cose erano cambiate nella vita dei nostri personaggi.


Il padre di Riccardo e Giovanni era morto a seguito di una grave malattia e aveva lasciato il trono al figlio maggiore.


Giovanni iniziò ad invidiare Riccardo e a pensare ad un modo per sottrargli il posto. 


La perdita di entrambi i genitori , specialmente della madre a cui era molto legato, e l'enormi attenzioni che su di lui riponeva la servitù, cambiarono enormemente il suo modo di essere. Lo resero immaturo, arcigno, viziato e prepotente


Ad appoggiarlo nei suoi progetti di usurpazione del trono vi era l'inseparabile Sir Bis, un essere viscido e abbietto.


Riccardo, invece, su cui poggiavano grandi responsabilità , era un uomo saggio, forte e generoso. Per tali caratteristiche era stato soprannominato"Cuor di Leone".


Robin e Little Jon, nel frattempo, avevano lasciato l'orfanotrofio e si erano costruiti un rifugio nella foresta di Sherwood. Era qui che dimoravano. Si sentivano immensamente liberi in mezzo a tutto quel verde. Finalmente erano riusciti a superare le tristezze del passato e a tornare a sorridere.


Un giorno, però, assistettero ad una scena raccapricciante. 


Un uomo di nobile rango stava prendendo a calci un povero vecchio stramazzato al suolo e contorto dal dolore.


L'anziano aveva supplicato il nobile di dargli un paio di monete per poter comprare da mangiare alla famiglia che si trovava in gravi condizioni economiche e stava a digiuno da molto giorni.


Il nobile non aveva tollerato una simile richiesta e infuriato incominciò a torturare il vecchio.


Robin non ce la fece a stare in disparte e corse in aiuto del povero.


<<Che uomo siete voi che vi riducete a picchiare un anziano senza ritegno? Vergognatevi!>>. 


Tali parole corrucciarono il nobile che si preparò a colpire Robin. Tuttavia fu richiamato dalla moglie appena in tempo da evitare ulteriore spargimento di sangue.


<<Arthur! Cosa stai facendo? E' tardi, dobbiamo vederci col re. Ricordi?>> disse la donna. Il nobile sbuffando la seguì.


Robin e Little Jon portarono il ferito da Fra Tuck per farlo medicare. 


Tale episodio, però, fece riflettere molto i 2 amici che decisero di fare qualcosa. Non potevano tollerare un simile comportamento. Volevano poter dare una mano al vecchio e alla sua famiglia.


Così escogitarono di intrufolarsi, quella notte stessa, nell'abitazione del nobile e di sottrargli un po' di denaro per poterlo consegnare all'anziano uomo.


Il piano riuscì a meraviglia e quando il vecchio chiese spiegazioni circa l'origine e il motivo di tale generosa offerta Robin gli disse: <<Non ti preoccupare. Pensa solo a portare questi soldi alla tua famiglia. Non saranno molti, ma vi basteranno per andare avanti ancora per un po' di tempo>>. 


Il vecchio iniziò a spargere lacrime di gioia e si incamminò di corsa versi casa,


La notizia del furto fece il giro di tutta Nottingham. 


Qualcuno aveva riconosciuto la tunica e il berretto verdi di Robin e la sagoma massiccia di Little Jon. 


Lo sceriffo di Nottingham, un uomo spregevole e brontolone, iniziò immediatamente le ricerche.


Robin e Little Jon, però, riuscirono a non fari trovare, nascondendosi per bene nella fitta foresta.


Quella fu solo la prima di numerose altre rapine a fin di bene e conseguenti fughe.


Col tempo vennero a conoscenza delle straordinarie gesta di Robin Hood, il ladro gentiluomo che rubava ai ricchi per dare ai poveri.


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Nome dell'autore: Axshak


Titolo dell'elaborato: Lettera d'addio


Opera da cui è tratto l'elaborato: Le ali della libertà 


 


''Miei cari amici, è incredibile come vadano veloci le cose qua fuori. Ricordo che una volta quando ero ragazzo vidi una macchina, ma adesso, sono dappertutto. Sembra che all' improvviso il mondo abbia una gran fretta. Il comitato per la libertà  condizionata mi ha trovato una camera in un posto che si chiama "il birraio". E un lavoro: sono inserviente in un supermercato. È un lavoro duro. Io faccio del mio meglio ma le mani mi dolgono in continuazione. Al direttore non sono molto simpatico. Qualche volta, dopo il lavoro, vado nel parco e dò da mangiare agli uccelli. A volte penso che anche Jake potrebbe venire lì, così, per farmi un saluto, ma non l'ho mai visto. Spero che dovunque si trovi stia bene e che si sia fatto nuovi amici. Ho qualche problema a prendere sonno la notte. Faccio spesso dei brutti sogni in cui cado nel vuoto, mi sveglio spaventato e a volte mi ci vuole un pò per ricordarmi dove sono. Magari dovrei comprarmi una pistola e rapinare il supermercato così mi rimanderebbero a casa; potrei sparare al direttore giacché ci sono, tanto per andare sul sicuro. Ma credo di essere troppo vecchio ormai per fesserie del genere. Non mi piace qui; mi sono stancato di avere paura in continuazione, così ho deciso di andarmene. Non credo che se la prenderà  nessuno. A che serve un avanzo di galera come me.''


 


A me non importa la lunghezza del contenuto anche se parziale,importa la comprensione di queste righe,perchè un film così non si rivedrà  mai più.


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 Nome dell'autore : #ShinyLegend.


 

Titolo dell'elaborato : Sebastien.

 

Opera da cui è tratto l'elaborato : "Belle & Sebastien".

 

Elaborato :

 

Erano le 7 del mattino quando suonò la sveglia . Sebastien come tutti i giorni si doveva preparare per andare a scuola . <<Sebastien  , scendi che è pronta la colazione>> urlò sua madre . <<Sì mamma scendo subito , finisco di vestirmi>>rispose il giovane.  Sebastien in fretta e furia indossò i vestiti e corse in cucina a fare la colazione . <<Dai che fra pochi mesi la scuola finirà  ,  siamo ad Aprile , e fra poco arriveranno le vacanze estive , quindi dai il meglio di te.>> disse sua madre. Sebastien era un bambino di 6 anni appena a quell’epoca  , chiaro di carnagione , magrolino e alto . Dopo la morte del padre, Sebastien  non fu più lo stesso . Gli pesava andare a scuola , era testardo  e non si sapeva mai quello che gli passava per la testa . Sua madre faceva quel che poteva per renderlo felice ma al piccolo Sebastien mancava sempre qualcosa. Dopo aver passato una dura giornata di scuola il giovane Sebastien rientrò a casa. Lui non era come gli altri bambini e spesso risentiva di questa cosa. Erano passati oramai parecchie settimane , ma , quell’estate del 1939 era ricca di tensione e si pensava che presto sarebbe scoppiata una nuova guerra. All’inizio tutto sembrava tranquillo , ma la tensione salì , quando il 2 Settembre del 1939 la Francia e l’Inghilterra dichiararono guerra alla Germania. La famiglia di Sebastien aveva già  risentito della morte del padre durante la Prima Guerra Mondiale e per questo la madre di Sebastien aveva paura per la sua incolumità  e per quella di suo figlio. Poche settimane dopo lo scoppio del conflitto , alcune voci che la Germania nazista voleva invadere la Francia , fecero spaventare ancor più la madre di Sebastien , tanto che la portò a prendere decisione di trasferirsi sulla casa in montagna che possedeva il nonno acquisito di Sebastien . Era la Vigilia di Natale , e i due erano ancora una volta riuniti attorno ad un focolare a scartare i regali , quando Sebastien riprese il discorso fatto dalla madre settimane prima :  <<Mamma , dove sono i Pirenei  ?>> chiese Sebastien a sua madre . Lei cordialmente rispose : <<Sono delle altissime montagne ricoperte di neve , dove vivono tante specie di animali e piante . Sono situate fra la Francia e la Spagna , il paese a noi confinante>> .  Sebastien stupefatto tornò a scartare i regali . Passarono settimane da quel Natale , e la tensione si faceva sempre più forte. << Notizia straordinaria , l’esercito tedesco è penetrato nella Francia del Nord. E’ consigliato a tutte le persone che vivono a confine con l’Olanda di fuggire . >> annunciò la radio. La madre di Sebastien saltò dalla sedia , poi urlò  << Presto Sebastien vieni giù.>> . Sebastien chiese stupito <<Che succede mamma ?>> . La mamma preoccupata rispose << Ti ricordi quando ti ho parlato che ci saremmo trasferiti dal nonno ? Bene , in questi giorni dovremmo preparare le valige perché fra poco partiremo>> . Sebastien sentita la notizia non sapeva se essere triste o felice . Era contento di andare a vivere con il nonno , ma non si sarebbe mai aspettato un distacco così netto dalla sua confortevole casa. Passò qualche giorno , e oramai erano ultimati tutti i preparativi che precedevano il viaggio . La madre di Sebastien era triste e preoccupata. Stringeva sempre in mano la radio per sapere cosa sarebbe accaduto in quei giorni. Il tempo era trascorso in fretta. 23 Maggio 1940 , Sebastien e sua madre erano pronti alla partenza. Presero un taxi e si diressero in stazione. Vivendo in un paesino di campagna la stazione più vicina era a qualche chilometro di distanza dalla loro abitazione . Mentre attraversavano il boschetto che separava il loro paese con l’entrata della stazione , l’automobilista si fermò . Scrutarono la strada e videro  che alcuni uomini armati  , con una strana aquila ricamata sulle loro uniformi , stavano correndo di qua e di là  per il piccolo bosco. L’automobilista sbiancato dalla paura scese dalla macchina e scappò urlando . “Boom†. Si sentì uno sparo provenire da lontano. Il pover uomo cadde a terra ,  morto. <<Scappa Sebastien !!!>> Urlò sua madre . Uscirono dalla macchina , e scapparono  insieme nella foresta. I tedeschi erano vicini. Mia madre quindi mi abbracciò , mi diede un bacio in fronte e mi disse << Sebastien , ora attirerò la loro attenzione così tu potrai scappare. Arrivato alla stazione prendi il treno per Ceret e lì aspetta che il nonno ti venga a prendere . E’ un uomo con i capelli bianchi , un po’ basso. Dì che sei Sebastien e che la mamma lo saluta. Ora va figliolo e non guardare indietro>> .  Dopo aver dato il suo ultimo addio a Sebastien corse urlando verso la parte opposta di quella in qui stava correndo il giovane. Arrivato alla stazione prese appena in tempo il treno per Ceret . Dopo un lungo viaggio durato oltre 6 ore , Sebastien arriva a Ceret , dove il nonno adottivo lo stava aspettando . . .

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*Nome dell'autore: ... I produttori del gioco (?)... Comunque: Arkane Studios, Bethesda, Zenimax.... O intendevate il nick? °°

*Titolo dell'elaborato: La scoperta della vivacità 

*Opera da cui è tratto l'elaborato: Dishonored

*Elaborato:

-…E così nonna scappò dal palazzo. Siete felici che nonna vi abbia raccontato una storia, tesorini miei?-

Intorno a lei non c’era nessuno di visibile, eppure continuava a farneticare raccontando storie. La osservava tranquillo, nascosto dietro la Runa sulla toilette della vecchia donna.

Scrutava il suo muoversi fluidamente, ma, allo stesso tempo, poteva notare che c’era qualcosa di strano in lei, qualcosa di malsano, non solo nelle sue parole, ma anche nel suo modo di fare: girovagava senza meta per quello spazio che le macerie di quell’appartamento le riservavano, un luogo polveroso che cadeva a pezzi, infestato da topi e barricato con assi di legno, una bettola che sembrava essere fatta apposta per lei, eppure sapeva benissimo che non era così.

“Quand’è l’ultima volta che sei stata in una vera casa nonna Cencia? Una casa calda ed accogliente, qualcosa di tuo, non di qualcuno che hai cucinato in uno dei tuoi intrugli.â€

Nonna Cencia continuava a girovagare per le stanze di quel tugurio, imperterrita, continuando a farsi quella bella chiacchierata con i suoi amici uccellini. D’un tratto si avvicinò alla Runa che aveva messo in quella sottospecie di cortiletto dietro l’appartamento.

-Ah! Nonna lo sa che sei un birichino quando fai così! Ma non preoccuparti, nonna ha la soluzione!- Prese in mano la Runa e con un’espressione arcigna la sgridò ricordandole che non si doveva trattare male la nonna. –Oh! Ma la nonna ti vuole bene, però anche tu devi volere bene alla nonna. Tutti amavano la nonna, sai?- Tornò verso la porta con la stessa andatura fluida di prima, ma si fermò davanti ad essa ed iniziò a muovere spasmodicamente le mani. –Tutti volevano la nonna: le portavano i fiori, la invitavano ai balli, ma oh, la nonna li rifiutò tutti! Tutti!- Tacque qualche secondo, poi guardò il cielo e, furiosa, si mise ad urlare: -Ma no! No! Tu lo sai che anche nonna amava qualcuno, vero?-

L’Esterno la fissava, quasi divertito. Erano poche le persone che suscitavano interesse in lui, quelli che sapevano giocarsi le opportunità  che la vita gli offriva, quelli che accettavano di giocare con il sovrannaturale, quelli che covavano in sé quel rancore che amava tanto, erano ben pochi, eppure nonostante tutto nonna Cencia non apparteneva a nessuna di quelle.

Nonna Cencia aveva rifiutato di sposare un imperatore, nonna Cencia non giocava con la magia e soprattutto non serbava rancore. Nonna Cencia era da considerarsi un’anomalia interessante.

“I mortali sono così, cercano l’occasione migliore e non perdono tempo ad uccidere uno dei proprio simili per averla. Te sei diversa, mi piace ciò che gli altri temono di te.†Nonna Cencia tornò indietro, prese la Runa e la fissò, nostalgica ed allo stesso tempo adirata. Poteva vedere qualcosa dentro quell’oggetto mistico: c’era una sorta di visione, un sogno, qualcosa creato da lui, l’Esterno.

Ed anche l’Esterno era lì, fluttuante come al solito, immutabile e misterioso, nonostante a prima vista sembrasse un comune uomo per via del suo aspetto, quei corti capelli castani, quel viso pallido e quelle occhiaie, quei vestiti così comuni-la giacchetta beige, i pantaloni e gli stivali- era dietro la donna, la vedeva fissare la Runa e, con un cenno della mano rese quella visione talmente nitida da sembrare una storia:

 

-E così la nostra cara signora Moray ha deciso di venire a Pandyssia, eh?- Era stato un uomo in uniforme a parlare, calvo ed impettito. Aveva al fianco una pistola e stava con le mani incrociate al petto.

Si era rivolto ad una giovane donna vestita con abiti eleganti, un’aristocratica senza ombra di dubbio. Era una donna a primo impatto affascinante, portava i capelli, castano scuro, legati in uno chignon e non era truccata, la sua era una bellezza naturale. Al collo aveva una strana collana che sembrava fatta d’osso, un regalo del marito. –E perché non dovrei?- Rise. –Infondo se viene Preston posso venire anch’io.- Quello non le rispose, si limitò a farle un cenno con la mano e la fece salire sulla grossa barca che li avrebbe portati a Pandyssia, la meta del loro viaggio.

Il continente di Pandyssia era lontano dall’impero, le poche navi che vi erano approdate erano tornate a Dunwall intatte, ma i passeggeri sembravano tutti come impazziti.

Lord Moray aveva indetto una spedizione al fine di esplorare quel luogo misterioso e, data la sua posizione sociale, aveva facilmente ottenuto il permesso dall’alto. Sua moglie, Vera, aveva arbitrariamente deciso che lo avrebbe seguito ed infatti eccola lì, la donna che impaziente aspettava che la nave salpasse.

 

Stavano camminando per il misterioso continente. Erano scortati da guardie armate di spade e pistole, c’erano persino un paio di Tallboys con loro.

Pandyssia non era un luogo disabitato: c’erano una moltitudine di rovine dall’aspetto tetro, coperte da rovi e parti integranti della vegetazione ormai, anche se in tempi remoti dovevano essere stati dei stupendi e colossali santuari che sicuramente superavano in splendore architettonico l’Abbazia dell’Uomo Comune.

L’Abbazia dell’Uomo Comune a tal proposito credeva che il continente fosse abitato, o fosse stato abitato, da selvaggi e che quelle rovine altri non erano che rimasugli di ciò che gli antichi esploratori provenienti dalle loro terre avevano costruito, poiché non credevano che gente capace di far uscire di senno le persone avrebbero potuto fare qualcosa di simile.

Vera Moray d’altro canto trovava che non importasse chi o cosa aveva costruito ciò, a lei piacevano e basta, le piacevano così tanto che era rimasta lì tutto il giorno ed aveva letteralmente ordinato a tutti di fermarsi lì per la notte.

-Allestite il campo scansafatiche! Lady e Lord Moray devono stare comodi!-

-Sissignore!-

L’accampamento era stato costruito abbastanza velocemente, quindi a quell’ora avevano già  mangiato da un pezzo.

Lord Moray stava già  dormendo, mentre gli studiosi che lavoravano per Sokolov, un emergente e brillante pittore e scienziato proveniente da Tyvia, si davano da fare facendo esperimenti sugli animali che le guardie erano riuscite a catturare in quella giornata.

Quelle stesse guardie adesso stavano facendo il giro dell’accampamento, mentre altre erano intente ad ubriacarsi con Elisir clandestino o robe del genere.

Vera Moray invece non stava facendo nulla di particolare, l’unica cosa che la teneva impegnata, che la ossessionava, anzi, erano quelle rovine. Le trovava belle, belle quasi quanto lei.

Si chiedeva cosa ci fosse lì dentro, cos’era che l’affascinava così tanto.

Un sussurro. “Perché non lo scopri Vera Moray? So che mi senti… La Runa è il tramite per il diverso…† Si girò indispettita. –Chi è che parla? Se lo scopro giuro che lo farò calpestare da un Tallboy!-

Quella voce, di un uomo forse, proveniva dalle rovine. –E’ successo qualcosa? Vi ho sentito urlare.- Chiese il capitano delle guardie, lo stesso con cui aveva scambiato due parole al momento della partenza. Era sempre il primo ad accorrere, ma non per questo era un brav’uomo: appena c’era qualche pericolo si agitava e diventava violento.

 â€“Ho sentito qualcosa.- Indicò le rovine. –Da lì.-

Il capitano guardò le rovine e fece cenno ad alcuni uomini di avvicinarsi.  Parlottò un po’ con loro, poi si rivolse alla donna: –Andremo a controllare, voi restate qui.- Vera Moray le tirò un ceffone, indignata: -Ma che credete? Sarò pure una donna, ma so cavarmela meglio di quelle che voi chiamate guardie.- Prese la balestra che il capitano teneva tra le mani.

Il capitano replicò, ma lei gli rispose nuovamente con un ceffone. Continuarono così per un po’, finché il capitano acconsentì.

-E Lord Moray? Non intendete avvisarlo?-

Vera Moray si diresse velocemente verso le rovine. –Avvisatelo voi se ci tenete. Quello smidollato di mio marito non capirebbe.- Fece un commento infelice. –Voi uomini siete tutti uguali.-

 

Alla fine, come raccontato, Lady Moray era riuscita a convincere il capitano a venire con lei e le guardie. Gli aveva detto di non allarmare gli altri, ma di lasciare detto al vice-capitano dove stavano andando.

Non voleva che si creasse scompiglio, ma non voleva nemmeno darla vinta a quel capitano cocciuto: seppur alla fine non aveva insistito molto la donna sapeva per certo che stava pensando il contrario, ma non voleva che si mettesse in dubbio la sua autorità .

In quel momento stavano camminando per le rovine, ci avevano messo un po’, ma alla fine erano riusciti a farsi strada in quell’intrico di vegetazione.

Le rovine all’interno erano adorne di pitture e sculture che rappresentavano figure e caratteri apparentemente senza senso.

Ogni tanto le parve di sentire qualche sussurro e, seppur stavano allegramente borbottando, era certa che non fossero né le guardie né il capitano.

Quelle rovine sotterranee erano un intrico di porte chiuse e corridoi ciechi e, temevano, trappole.

Lady Moray procedeva a metà  del gruppetto, dietro il capitano e davanti le guardie. Era in quella posizione apparentemente più sicura non per paura, ma per pura convenienza: se fosse successo qualcosa, se fossero incappati in qualche tranello, se qualcuno li avesse seguiti, ella non sarebbe stata il primo obbiettivo.

-Deve procedere a lungo questa sottospecie di farsa, Lady Moray?- Chiese il capitano con un tono scocciato voltandosi verso la donna. La luce della fiaccola che aveva in mano gli illuminava il viso mostrando la pelata, le basette rossicce e folte ed il mentone. Gli occhi erano piccoli e scuri, ma non così tanto da non distinguere la stupidità  di quell’uomo, solito a risolvere tutto con una strillata o con le armi. –Dovete blaterare ancora a lungo capitano?- Lo spinse a procedere. Quello continuò a camminare con una certa andatura stanca.

-Preferirei tornare indietro: come le dissi prima qui è pericoloso per lei. Potrebbero esserci trappole e la sua potrebbe essere una mera superstizione.-

-Qui l’unico pericolo è la sua…- La fiaccola del capitano si spense, una folata di vento li investì.

Le guardie iniziarono a guardarsi attorno allarmate, la spada sguainata,  e lo stesso fece il capitano estraendo la pistola.

-Il vento non arriva fin qui.- Sentenziò una delle guardie.

-Procediamo.-

-Cosa? Siete impazzita? Qui non promette bene.- Vera Moray scostò il capitano. –Lo ha detto il vostro amatissimo capo: è una mera superstizione. Quello sarà  vento e non voglio sentire scuse.-

A malincuore continuarono a procedere spinti dalla Lady.

Camminarono così a lungo che le guardie iniziarono a pensare che stessero girando in tondo, finché non giunsero in una saletta con un lungo tavolo con una tovaglia rossa, coperta totalmente dalla polvere, un altare a fondo sala con una statua dalle sembianze umanoidi e numerose porte ai lati.

Il soffitto era alto, non c’erano lampadari e dato che erano sottoterra nemmeno finestre, non sarebbero riusciti a vedere nulla se non fosse stato per due grossi bracieri accesi ai lati della statua colossale.

Tra una porta e l’altra c’erano delle specie di librerie intagliate nella roccia delle pareti, ma dentro non c’era nessun libro, l’unico manoscritto cartaceo che c’era era sull’altare ai piedi della statua.

Quel luogo non sembrava essere stato utilizzato da poco tempo, eppure quei bracieri erano accesi. Se qualcuno li avesse accesi recentemente si sarebbe trovato lì, oppure in una di quelle stanze chiuse, o, ancora, nel labirinto, intento a cercare l’uscita.

Si mossero cautamente circonvallando il tavolo. Le guardie cercavano di nascondere il tremolio dei denti con il rumore dei passi, le espressioni impaurite con i baffi. Il comandante sembrava preoccupato: si muoveva lento e si teneva ben distante sia dal tavolo che dalle pareti scure.

D’altro canto era invece la donna che, indifferente ai pericoli e sotto-sotto profonda amante dell’avventura, procedeva a passo spedito verso quel grosso tomo sull’altare.

Lo prese in mano senza avvertire nessuno e lo studiò da cima a fondo: era rilegato in pelle, le veniva da pensare pelle umana, ma non voleva esagerare, ed odorava di muffa; dentro era pieno di scarabocchi incomprensibili e molte pagine erano vuote.

-Riuscite a capire?- Chiese il capitano avvicinandosi. –Non mi sembra di averne visti di simili né a Dunwall né altrove.- Vera Moray scosse la testa, non ne aveva la più pallida idea.

-Penso di doverci pensare un po’ su.-

-Vuol dire che prendiamo il libro e ce ne andiamo?-

-No, stupido.- Lo disse con una tale acidità  nella voce che se le sue parole fossero state tangibili avrebbero potuto corrodere qualunque materiale. –Preferirei restare un po’.- Indicò l’orologio che il capitano aveva nel taschino. –Tre e mezza. Abbiamo molto tempo per scoprire qualcosa.-

Una guardia se ne stava appoggiata alla parete, l’altra era in piedi ed osservava la tovaglia. Quella alla parete parlò: -Scoprire cosa Lady Moray? Credo che la stanchezza vi giochi brutti scherzi…-

Lei lo guardò, ma non proferì parola. Si limitò ad osservare lui e l’aria circostante attentamente: c’era la statua con le sembianze umanoidi, lui era appoggiato ad un piede di questa e se ne stava a braccia conserte attaccato a quella pietra levigata.

Notò che c’era una sorta di sporgenza accanto alle spalle della guardia.

-Spostati più a destra.-

-Per cosa?-

-Fallo.- Ordinò il capitano sperando che dopo di ciò se ne andassero.

-Come volete…- La guardia si spostò più a destra e, quando stette per riappoggiarsi alla statua, si sentì una specie di click: i bracieri si spensero di colpo e si sentì il rumore dello spostamento di un grosso blocco di pietra, seguito poi da un secondo click ed infine da uno splat.

-Che sta succedendo!?- Urlò il capitano cercando invano di orientarsi in quel buio che non lasciava scampo nemmeno all’immaginazione. –AHHHH!-

-Frastore? Lorai? Che diamine è accaduto?!- Si rigirò nell’ombra. –Lady, Moray, Vera, cos’è?! Avevo detto che dovevamo andarcene!-

Il fuoco dei bracieri tornò ad ardere rivelando quella macabra composizione di sangue che si era venuta a formarsi dai cadaveri delle due guardie, entrambe decapitate e le teste posate una sull’altra sull’altare.

Il capitano non si concentrò, o forse non volle farlo, sui cadaveri, ma cercava con lo sguardo Lady Moray.

 

Era lì, dall’altra parte del tavolo, aveva schizzi di sangue sui suoi vestiti preziosi ed anche le sue mani erano sporche di quello. Al collo quel ciondolo di ossa sembrava stare brillando di una luce sinistra.

Il comandante la guardava, sconvolto ed allo stesso tempo confuso: -Cosa è successo?! Perché è sporca di sangue?!-

-Non lo so, anche la vostra spada e la vostra uniforme sono sporche.- Il comandante si diede una rapida occhiata, poi tornò a guardare la donna focalizzandosi sul ciondolo. –Perché quel coso brilla? Avete attirato qualcuno?- Era impaurito, aveva la fronte imperlata di sudore e corrugata dall’ansia.

“Oh, i mortali, così legati alle loro vite terrene che non si preoccupano dei compagni a terra, ma accusano altri affinché loro non finiscano come dovrebbero.â€

Sia la donna che l’uomo alzarono gli occhi al cielo, o meglio, alla testa della statua: parlava, c’era qualcuno, qualcosa, che stava conversando con loro.

-Chi sei? Hai fatto tu questo?!-

“Io, voi, l’egoismo. La monotonia della mia esistenza sembra stare per spezzarsi, o forse no. Chiedilo alla tua amica, magari lei lo chiederà  a te.â€

Il capitano guardò Lady Moray che a sua volta lo fissava. –Chi è? Lo conosci?- Era teso, ormai non le dava più del “voi†da un pezzo. –CHI E’?-

La donna scosse la testa. –La voce, è questa la voce.-

-La voce? Quella che avete sentito?- Rise. –Ah, bene. La nostra signora ci ha portato da un fantasma omicida, ah, Frestore, Lorai, visto? C’era il fantasma! Che sciocchi, eh?- Guardò infuriato le teste dei due soldati impilate ordinatamente sull’altare.

“Perché?†Disse “Non prendete altre Rune?†Il ciondolo al collo di Vera Moray iniziò a brillare intensamente di una luce rossastra “Basterebbe poco…â€

-Quella? Quel regalo di Lord Moray?... Anche Lord Moray conosce questo tipo?- Sembrarono illuminarglisi gli occhi e, sconvolto da tutti quegli avvenimenti in un tempo così ristretto, si azzardò a formulare un’ipotesi: -Voi lo sapevate… Ci avete condotti qui con l’inganno. Siete traditori.- Le puntò la spada contro. –Lo sapete che non ci piacciono i traditori.-

Vera Moray non sapeva cosa pensare. Non le era mai successo niente da quando aveva quel ciondolo, eppure in poco più di una giornata si era tutto trasformato in un disastro. E per cosa poi? Erano sbarcati su Pandyssia, non aveva manifestato nulla, ma, arrivati a quelle rovine, ne era rimasta ipnotizzata ed aveva sentito quel tipo parlarle. Erano infestate, era il ciondolo, oppure era lei?

Allibita vide il capitano avvicinarsi minaccioso a lei. Agitava la spada e brontolava frasi strane.

“Morire o provocare morti. Essere uccisi od uccidere. E’ difficile scegliere.â€

L’uomo stava continuando ad avvicinarsi, doveva pensare in fretta. Aveva la balestra che gli aveva preso prima, ma non voleva ucciderlo, però se non l’avesse fatto egli avrebbe ucciso lei.

“Rune, Rune, Rune. Antiche, ricavate dalle ossa di balena. Dotate di poteri sovrannaturali.â€

Prese in mano la balestra e mise il dardo dentro.

“Oh, certo, gli uomini adorano le Rune, altri le disprezzano. Posso donarti le Rune, il modo di uscirne.â€

Prese la mira e nel contempo lui stava per colpirla.

“Uccidilo Vera Moray e ti regalerò delle preziosissime Rune dalla mia collezione personale.â€

 

“Diario di Lord Moray, giorno 2X, mese 1X, anno 1X7X, continente di Pandyssia

 

Non credo di riuscire a narrare per bene ciò che è accaduto, perché nemmeno io sono a conoscenza della verità  e soprattutto ho paura e, si sa, quando si ha paura si tende a distorcere ciò che ci provoca tale malessere.

Il vice-capitano era entrato nella mia tenda tutto allarmato con un gruppo di guardie e ci avevano comunicato che mia moglie, Vera, e il capitano Jullio erano entrati nelle rovine insieme ad un paio di guardie.

Vera aveva insistito ed alla fine avevano pattuito che sarebbero andati e tornati e nessuno avrebbe detto nulla, anche perché si trattava di una esplorazione veloce del luogo, alla ricerca di cosa nessuno sa.

La mattina non si erano fatti vivi, così si è ben pensato di svegliarmi ed andare alla ricerca di quegli sciagurati.

Quel che abbiamo trovato e stato raccapricciante:

Un lago di sangue, i corpi delle guardie e del capitano Jullio a terra e Vera rannicchiata ad i piedi della statua.

Tremava, era completamente sudicia e parlava di cose senza senso, voci, esterni, e delle cose… Rune, mi pare. Il ciondolo che le avevo regalato, ne aveva un altro e li chiamava entrambi Rune.

E’ ancora parecchio scossa e nessuno ha ben capito ciò che è accaduto. Sono preoccupato per lei.

 

Lord Morayâ€

 

 

“Diario di Lord Moray, giorno 2X, mese 1X, anno 1X7X, continente di Pandyssia

 

Oggi sono spariti altri due uomini, probabilmente morti. Non abbiamo trovato i cadaveri, solamente della cenere.

C’è chi ha ipotizzato di mia moglie, la cui salute mentale continua ogni giorno a peggiorare. Io ovviamente ho cercato di difenderla facendo loro notare che una donna così esile non avrebbe potuto uccidere quegli uomini e trasportarli via prima di essere scoperta, o, come qualcuno aveva ipotizzato, non avrebbe potuto bruciarli, perché avremmo visto e sentito tutti il fumo.

Nonostante ciò continuo ad avere sempre più paura: adesso i ciondoli, le cosiddette Rune, sono tre.

Per oggi è tutto, non credo di avere nient’altro da dire, se non esprimere la mia angoscia.

 

Lord Morayâ€

 

“Diario di Lord Moray, giorno 2X, mese 1X, anno 1X7X, continente di Pandyssia

 

E’ qui, ci cerca, mi cerca.

Vuole uccidermi.

Ho paura.

Le guardie non ci sono più, tutte morte, qualcuno scappato forse, ma nessuno a proteggermi.

Sto scrivendo confusamente queste poche righe. Non ho tempo. Spero che qualcuno trovi i miei diari e sappia.

Questo luogo è maledetto, tutto è maledetto, saremmo dovuti restare a Dunwall.

Penso che queste siano le mie ultime parole. Sento i passi, è questione di minuti.

Peccato, mi sarebbe piac……â€

 

Quelle erano le ultime parole di suo marito.

Ogni tanto, ma ultimamente sempre più di rado, rileggeva quegli scritti.

Dopo ciò che era successo a Pandyssia era tornata con la barca a Dunwall. Era stato un viaggio lungo ed estenuante, ma grazie al potere di quelle Rune era riuscita ad attraccare al porto.

L’avevano interrogata, ma si era rifiutata di parlare. L’avevano imprigionata, ma aveva ucciso le guardie ed era scappata.

Ora, dopo anni e anni, il ricordo non si era affievolito, anzi, raccontava fiera ai suoi tesorini di come la nonna fosse riuscita a scappare da quel palazzo.

C’era chi dopo essere scappata la evitava, la cercava, la chiamava “mattaâ€, “pazzaâ€, “megeraâ€, o altro, ma lei sapeva di aver fatto la cosa giusta: le Rune davano poteri straordinari, altro ché, finalmente grazie a quel potere era riuscita a coronare quello che segretamente era stato un suo sogno per tutta la vita. Era finalmente la donna più popolare di Dunwall, eppure nessuno la disturbava, anzi.

“Essere sulla bocca di tutti, ma al contempo evitata. Oh nonna, che cosa speciale che preservavi per te.â€

 

La vecchia donna si allontanò bruscamente dalla Runa che cadde a terra.

Fece di no agitando l’indice e con un gesto stizzito commentò il suo fare ardito: -Volevi far dispiacere la nonna? Lo sai che la nonna è triste se siete tristi voi, tesorini miei.- Si girò e fece per andarsene verso l’edificio. –Ma su, torniamo dentro, oggi la nonna vi perdona. Sapete, mi sembra di aver sentito bussare. Chi sarà ? Oh, potrebbe essere una di quelle bambine che vendono biscotti!... Come dite tesorucci? Ah, ma no, no, adesso andiamo.- Ed entrò in casa, incurante di ciò che era accaduto, felice per aver raccontato una bella storia ad i suoi uccellini.

L’Esterno osservò la Runa mentre fluttuava sopra di questa: “Nonna, nonna, nonna. Non cambi mai. Chissà , forse se non ti avessero donato quell’oggetto la tua esistenza sarebbe stata più… Monotona. Eh, Vera?â€

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Nome dell'autore: Gigo
Titolo dell'elaborato: "When everything began"

Opera da cui è tratto l'elaborato: Dark Souls II

 

Vendrick si trovava ora nel preciso centro della Fornace della Prima Fiamma, osservando con attenzione quella che era lndubbiamente una delle anime più potenti che avesse mai visto: l'Anima di Gwyn, il Lord dei Tizzoni, colui che aveva vincolato la Prima Fiamma e che aveva tentato, invano, di sacrificarsi per evitare che quest'ultima si spegnesse. Il non-morto prescelto si trovava ora difronte a una delle scelte più difficili del suo intero viaggio a Lordran: seguire le indicazioni di Frampt, succedere a Lord Gwyn e prolungare l'Era del Fuoco o abbandonare la Fornace, portando così a completa realizzazione i piani dell'altro Serpente Primordiale, Kaathe, e dare così inizio all'Era dell'Oscurità ? Quest'ultimo aveva probabilmente manipolato i cittadini di Oolacile per risvegliare Manus, ed era quindi indirettamente responsabile della distruzione di quest'ultima e della corruzione di uno dei cavalieri più valorosi che avesse mai affrontato: Artorias. Ma a che scopo seguire i consigli di Frampt; succedere a Gwyn vincolandosi alla Fiamma solo per ritardare la fine dell'Era del Fuoco, non trovando quindi una concreta soluzione al problema? Durante tutto il suo viaggio aveva sempre fatto ciò che gli era stato detto di fare, incurante delle conseguenze; ora la decisione finale spettava a lui e a lui soltanto, una decisione su cui gravava, in parte, il destino di tutta Lordran. Vendrick prese la sua decisione, e a grandi passi si avviò verso l'uscita. Ad aspettarlo vi era una schiera di Serpenti Primordiali, tra cui riconobbe Frampt e Kaathe... l'Era del Fuoco era finalmente giunta alla sua conclusione.

 

Long ago, in a walled off land far to the north.

A great king built a great kingdom.

I believe they called it Drangleic.

Perhaps you're familiar.

No, how could you be...

But one day, you will stand before its decrepit gate, without really knowing why.

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Autore: Gosh@rp-Z


Titolo dell'elaborato: Peace for now


Film da cui é tratto: Pacific Rim


Elaborato: Molti pensano che gli organismi siano nati ben dopo il raffredamento della terra, ma non fu cosi. Circa 5 milioni di anni fa extraterrestri, ormai evoluti, si scontrano contro la terra dopo che uno sciame di meteoriti gli cade addosso. Gli alieni, si sa, non sonno immortali e appena schiantati si sfracellano al suolo. Dopo un po l'acqua comincia generarsi nel pianeta e i cadaveri, sepolti nella terra e nella cenere, non si sono decomposti. Gli alieni hanno lasciati residui sul terreno che si sono moltiplicati nella crosta terrestre. Queste cellule erano in grado di aumentarsi "mangiando" le altre cellule. Ma non c'era vita ancora. Ma dopo pochi milleni cominciano a generarsi piante e animali. Le cellule hanno finalmente cominciato ad ingrandirsi. I cosidetti confini tra le placche in veritá sono i danni dell'astronave caduta dallo spazio e li si generarono gli alieni, muovendo le placche. Ormai troppo grandi per aumentare la lunghezza e avendo gia gli organi funzionanti, gli alieni si risvegliano.


 


Questo é l'unico film che mi sia venuta in mente da fare prequel decente e devo aggiungere che ho visto solo i primi 5 minuti del film. Ma tentar non nuoce! Proviamoci!


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Nome dell'autore: Indomitable Tamer TM


Titolo dell'elaborato: Un Conflitto da Scongiurare


Opera da cui è tratto l'elaborato: Ojamajo Doremi



Majokari era una bambina tranquilla e serena, se non fosse per un piccolo e semplice dettaglio, era designata a salire sul trono del Regno delle Streghe, un mondo popolato solo da donne dotate di poteri magici da poter usare a proprio piacimento con un semplice schiocco di dita, ed a ritmo di note musicali, governato da MajoDuruth che, essendo purtroppo in età  molto avanzata, molto presto sarà  costretta a lasciare il trono, proprio alla piccola Principessa.


Ma c'è un però, tutto questo accade in un periodo molto disarmonico per il regno, in quanto c'è il rischio concreto di conflitto con il Mondo dei Maghi, un mondo popolato da soli uomini con poteri magici uguali a quelli delle streghe, il fatto nascerebbe da una semplice partita a poker tra il Re dei Maghi e la precedente Regina delle Streghe, in cui il primo, essendo un pessimo giocatore e non avendo molto da scommettere, mise in palio i 3/4 del regno e, ovviamente, li perse, condannando il suo popolo alla miseria ed alla carestia, in quanto il territorio salvatosi era solo una terra desolata ed arida dove era impossibile coltivare qualsiasi cosa.


Ovviamente, sentendosi in colpa, il precedente Re abdicò e se ne andò dal regno, però i suoi sudditi non accettarono la cosa e giurarono vendetta alle Streghe, nominando un nuovo sovrano che li avrebbe guidati nella battaglia.


Quindi, per evitare un possibile rapimento della Principessa ed un'eventuale richiesta di riscatto, quest'ultima viene mandata nel Mondo degli Umani ed affidata alla strega che l'aveva vista nascere e che le avrebbe fatto da mamma “adottivaâ€, che l'avrebbe cresciuta ed educata come un normale essere umano, insegnandole ad usare la magia solo se strettamente necessario ed a non usarla in determinati casi perchè proibito “E perchè tra il mondo degli esseri umani e quello delle streghe non scorre buon sangue a causa di vecchi rancori accaduti ormai moltissimi anni fa, ma che ancora non erano stati superati da entrambe le parti, e quindi fare gli incantesimi non era visto di buon occhio da loro†le era sempre stato detto, e si ripromise che prima o poi avrebbe cambiato le cose, sarebbe riuscita a far entrare di nuovo in contatto i due mondi.


 


Passò il tempo e tutto procedeva con tranquillità , MajoKari andava a scuola come una normale bambina della sua età , studiava e giocava con i suoi amichetti, quando accadde ciò che purtroppo tutti aspettavano, la regina morì di vecchiaia, e la piccola fu costretta, suo malgrado, a separarsi dalla sua mamma ed a tornare nel regno per essere nominata Regina.


Quindi ora la situazione era ancora più delicata di prima, a governare il regno era una bambina delle elementari, che sicuramente non avrebbe potuto affrontare decisioni difficili che a malapena gli adulti sapevano risolvere, per di più sentiva la mancanza della sua mamma e non voleva smettere di fare i capricci e di calmarsi “Voglio la mia mamma, voglio la mamma!†continuava d urlare dimenandosi, “Io non farò proprio un bel niente senza di leiâ€, e le streghe del Consiglio si videro costrette a convocare la donna che le avrebbe fatto da tutrice fino alla maggiore età  e che, insieme a loro, l'avrebbe aiutata a seguire le faccende del Regno con tutto l'aiuto che poteva darle e con tutto il suo amore e la sua gentilezza, dopotutto era famosa proprio per queste sue qualità .


Ma la cosa non sfuggì al consigliere del Re, che stava osservando di nascosto tutta la scena ed informò il suo superiore che il piano poteva essere messo in atto “Capo, posso procedere?†e, una volta ottenuto il consenso, iniziò.


Quel pomeriggio la nuova Regina era impegnata con le lezioni private di gestione del Regno “Uffa, come mai devo studiare queste cose, mamma?†disse rivolta alla donna “Perchè in questo modo quando sarai grande saprai gestire tutte le difficoltà  come si conviene per una Regina, non credi, tesoro?†le rispose, accarezzandole la testa, così la piccola riprese lo studio, mentre fuori dalla stanza c'erano due guardie Reali a sorvegliare il corridoio, nel frattempo, con uno stratagemma, il perfido mago riuscì a distrarre le due sorveglianti poste all'ingresso del palazzo ed ad entrare al suo interno, si diresse verso la stanza designata, con uno schiocco di dita fece addormentare le guardie e aspettò il momento propizio e spalancò la porta, riuscì a bloccare tutte le persone al suo interno, compresa la piccola, la prese sottobraccio approfittando del fatto che non poteva reagire, e scomparve in una nuvola di fumo.


 


L'allarmismo generale si diffuse dappertutto, e le soldatesse si stavano già  preparando per il recupero della giovane sovrana....


 


Nel frattempo, nel Mondo dei Maghi....


 


“Sei un' idiota! Perchè hai rapito la Regina? Chi ti ha dato quest'assurdo ordine?†tuonava una voce, che era udibile al di fuori della struttura, tanto che le guardie che lo stavano sorvegliando si spaventarono non poco.


“Mi è stato dato dal Conte, mi è stato detto che ne avevate bisogno per iniziare una battaglia contro le Streghe e quindi...†rispose.


“ASSURDO!†disse mentre stava facendo avanti e indietro per la stanza.


“Ed ora cosa facciamo, vostra maest�†chiese dubbioso il mago.


“Dobbiamo evitare che si scateni un conflitto, mi pare ovvio. Voglio risolvere le cose pacificamente, non ci devono essere inutili spargimenti di sangue†asserì.


“Non mi sembra giusto che, per colpa di un evento che risale a millenni fa, ci sia ancora questo astio tra i nostri regni...†disse la Regina con un espressione molto più matura per la sua età .


“Non sono molto d'accordo con la tua affermazione, è vero che tutto deriva da una semplice partita a carte, e che la colpa è del precedente sovrano, ma anche prima di tutto ciò c'era un diverbio per quanto riguarda i nostri territori e la partita fu solo un maldestro tentativo di allargare i nostri confini, anche se il tuo rapimento non rientrava nei nostri piani. Volevamo solo un faccia a faccia tra noi due, ma non in questo modo!†disse con tono improvvisamente serio e furibondo.


“E quindi come intendete procedere?â€


“Arriveremo ai confini dei due mondi e lì cercheremo di trattare la vostra liberazione, poi staremo a vedereâ€.


“Vi rendete conto che ci saranno migliaia di streghe pronte a fare di tutto pur di salvarmi?!â€


Il re sapeva benissimo che la piccola era ben voluta dai suoi sudditi, ma contava sull'approccio pacifico per risolvere la questione, i suoi soldati sarebbero stati pronti ad intervenire solo in caso di bisogno e solo su un suo cenno.


 


Arrivarono al punto d'incontro qualche ora più tardi e come sospettava, ad aspettarlo c'era l'esercito capeggiato dal Consiglio delle Streghe.


Iniziò tranquillamente a spiegare il motivo del rapimento involontario della bambina e le sue ragioni in modo pacifico anche perchè il fatto che la Regina fosse serena riusciva a calmare le cose, così dopo una lunga riflessione, decisero di restituire parte dei terreni sottratti e solo allora la bambina venne liberata, anche se i maghi non furono per niente soddisfatti del risultato, tanto che promisero una futura vendetta nei loro confronti per riottenere ciò che manca.


 


Lentamente tutto tornò alla normalità , gli anni passarono felici, la Regina crebbe e governava il suo regno con saggezza, severità  e comprensione, ma una nuova minaccia si stagliò all'orizzonte.


Comparve in lontananza la famigerata e temuta Foresta Pietrificata, dimora dell'ex regina Tourbillon che, a causa di eventi dolorosi accaduti nel corso della sua vita, era arrivata ad odiare gli esseri umani a tal punto da chiudere ogni porta di contatto con il loro mondo.


Scomparve quasi subito, ma tutti capirono che era un segno, dovevano risolvere una volta per tutte questa faccenda e per farlo c'era bisogno proprio di quelle persone che, sia l'ex regina, sia le streghe più anziane tanto odiavano, ovvero gli esseri umani, quindi la Regina decise di scendere sulla Terra alla ricerca di cinque bambine, a cui affidare la delicata e pericolosa missione.


 


Una nuova avventura stava per avere inizio!



 


Alcuni riferimenti, che si notano nei discorsi, sono presi dall'Anime e si sono resi necessari per poter dare un filo logico alla storia, per poterla definire Prequel :3


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Nome dell'autore: Zebstrika94

Titolo dell'elaborato: L'avvento della Magia

Opera da cui è tratto l'elaborato: Ciclo Spada della Verità 

Elaborato:

Atticus si svegliò di soprassalto. Un incubo, un altro.

Da un po’ di tempo non riusciva più a dormire bene; lui era in grado di sentire i cambiamenti nell’aria, era il suo lavoro.

Atticus era un uomo sulla trentina, capelli biondi, lunghi su di un viso squadrato. Scendendo i suoi muscoli sembravano scolpiti dagli Dei, il suo corpo era perfetto. Come se non bastasse, era molto intelligente, un vero genio, infatti lavorava nella città  più avanzata tecnologicamente: D’Hara.

Egli era uno scienziato, molti lo definivano un mago, vista la sua bravura. Amato dagli amici, stimato dai colleghi, lo scienziato aveva trovato l’amore tra i banchi di scuola. Sara era il suo nome, una bellissima donna con dei capelli ricci corvini che ora dormiva accanto a lui.

Era stato amore a prima vista, lei era solita raccontare che la loro storia fosse iniziata solo grazie agli occhi di lui, cerulei, magnetici, che come delle calamite l’avevano attirata.

La loro era stata una storia felice fin dall’inizio e dopo quasi dieci anni di fidanzamento si erano sposati, subito dopo la laurea di entrambi in fisica nucleare.

Ripensando a quel giorno, al sorriso di lei, così spensierato, così dolce, così innamorato, Atticus ricadde nelle dolci braccia di Morfeo.

…

La mattina seguente si dovette alzare presto per andare in laboratorio, i suoi colleghi lo stavano aspettando. Dopo essersi concesso una breve doccia, saluto con un bacio la sua amata, ancora nel mondo dei sogni, e andò a lavoro.

Arrivato ai cancelli, Cern, la guardia di turno quella mattina, lo salutò con un sorriso. Cern era un omone grande e grosso eppure, quando sorrideva, sembrava un bambino di cinque anni. Aveva conosciuto poche persone così nella sua vita, e le aveva ammirate tutte. La capacità  di sorridere spensierati, nonostante il mondo sia una vera e propria catastrofe, era da lui considerata una grande, grandissima dote.

“Salve professore†Disse quello.

“Ciao Cern, Beatrice come se la passa?†Chiese Atticus in risposta.

“Bene prof., stamattina sono passato a trovarla e sembra che stia migliorando.â€

Lacrime si fecero strada dietro il sorriso di quello. Beatrice era la figlia della guardia, una solare ragazza, bellissima, diciassettenne, che due anni prima era stata investita da un camion. Non si sa come, non si sa ringraziando quale Dio, Beatrice era sopravvissuta. Purtroppo i suoi organi interni erano ridotti davvero male e, nonostante i numerosi interventi volti a migliorare la situazione, i medici non poterono far altro che indurla in coma farmacologico.

Quel giorno Cern doveva essere andato a prendere sua figlia a scuola, ma il lavoro lo aveva trattenuto. Fu così che chiese alla moglie di andarla a prendere al suo posto. Quel giorno le perse entrambe.

“Sono davvero contento. – disse Atticus con sincerità  â€“ Mi raccomando tienimi aggiornato e se c’è qualcosa che posso fare fammelo sapere.â€

Cern lo ringraziò e alzò la sbarra a livello.

Se fosse Sara ad avere un incidente? Non abbiamo ancora avuto figli, non sopporterei di perderla.

Con questi pensieri arrivò al suo ufficio. Era in una posizione strategica dentro un grande palazzo.

L’edificio ricordava un antico castello quanto era grande. Migliaia di persone lavoravano al suo interno ma solo poche avevano accesso a determinate aree, e il suo ufficio si trovava in una di queste.

Quando gli fu affidato il progetto, gli venne anche assegnato un ufficio più degno di un uomo del suo calibro e della sua importanza. Gliene venne offerto uno all’attico, dove risiedevano i “pezzi grossiâ€, ma lui rifiutò.

No, a lui non importava quanto grande o spazioso fosse il suo ufficio, gli importava solamente di quanto utile potesse risultargli. E così, scelse l’ufficio che sembrava un giardino, una serra. In realtà  quel giardino era un perfetto osservatorio astronomico, con il suo tetto in vetro e con combinazioni astronomiche che si intersecavano giusto sopra di esso. Anche le così dette linee della Terra convergevano sotto quell’ufficio. Insomma, per un fisico nucleare, o meglio per una specie di druido, sarebbe potuto sembrare importante. E che cosa è lui se non l’evoluzione di quelli che una volta venivano definiti maghi?

Aperta la porta, si trovò davanti i suoi assistenti con al loro fianco un omone, vestito completamente di nero, la sua giacca però presentava degli strani disegni dorati e argentati, sembrava indossare anche dei bracciali con gli stessi disegni. Certo era un tipo stano, ma si sa che chi segue la moda a volte può sembrarlo. Si concentrò quindi sul volto del suo “ospiteâ€. Fu allora che lo riconobbe!

Era l’unica altra persona al mondo che ne sapesse quanto lui sulle distorsioni spaziali e temporali causati dai buchi neri, il professor Eugenius Barricus.

Fu Barricus il primo a parlare, o almeno ci provò interrotto subito dagli assistenti che aspettavano Atticus allarmati.

“Professore, - fecero quelli in coro – l’abbiamo trovato.â€

Quelle parole bastarono a catalizzare l’attenzione di Atticus sui due giovani con i camici da laboratorio.

“Professor Rahl, esigo la sua attenzione!†Disse l’omone con una voce altrettanto profonda.

“Ha ragione, la prego di scusarmi ma erano dati che aspettavamo da mesi. Mi sono lasciato prendere dall’emozione. Prego, si accomodi†Rispose il professore con tono più aggraziato possibile.

Un accenno di sorriso apparve sul viso squadrato del suo ospite.

Meglio non farlo arrabbiare.
Pensò.

“Ragazzi ci vedremo quando avrò finito qui. Andate e ordinate la tabella dei dati come abbiamo concordato in precedenzaâ€

“Sì, Signore†Fecero quelli come due soldati, chiudendosi la porta alle spalle mentre uscirono di corsa.

“Ora veniamo a noi. Posso offrirle qualcosa?â€

“Una tazza di tè la prego, sono in viaggio da più di due giorni e credo mi servirebbe proprio.â€

“Linda porta due tè, per cortesia. Bene, se intanto vuole parlarmi del perché si trova qui.â€

“Grazie, lo farò molto volentieri. Inizio facendole notare che D’Hara e Aydindril distano solo poche ore di volo, tuttavia io ci ho impiegato due giorni a venire da lei. Sa dirmi perché?

“Immagino che abbia preferito non volare per qualche motivo, anche se in macchina non ci si dovrebbero impiegare più di venti ore.â€

“Ha perfettamente ragione, io, infatti, sono venuto a cavallo.â€

“A cavallo?!†Atticus era decisamente sbalordito. E chi non lo sarebbe stato?

“Sì a cavallo. E credo che il motivo della mia scelta potrebbe capirlo perfettamente se solo desse un’occhiata ai dati geologici degli ultimi mesi.â€

“Non mi dirà  che è già  iniziata, vero?â€

“Temo proprio di sì, e sono qui proprio per le sue ricerche. Tra i nostri laboratori c’è sempre stata molta rivalità , soprattutto considerando il fatto che lei ha sempre preferito lavorare da soloâ€

Questo era vero, Atticus non aveva mai amato lavorare in gruppo. Anzi riteneva che questo indebolisse uno scienziato e ne rallentasse parecchio anche la velocità  di lavoro. Per questo era sempre stato considerato una specie di eremita, affiancato solo dai suoi più stretti collaboratori.

“Ma adesso, - continuò quello – è necessario che uniamo le forze vista la grande crisi che ci sta per colpire.â€

“D’accordo, questa volta saremo tutti una grande squadra.â€

…

Erano già  passate dodici ore da quando si era alzato dal letto quella mattina e il mondo sembrava essere cambiato notevolmente. Adesso si stava dirigendo a casa, doveva recuperare degli appunti personali e avvertire sua moglie che il momento era giunto. Naturalmente ci stava andando a cavallo.

Arrivato a casa, vide che le luci erano spente, la preoccupazione lo assalì. Sara era in casa, perché mai le luci sarebbero dovute essere tutte spente?!

Corse su per le scale chiamando a gran voce sua moglie. Nessuna risposta. Aprì la porta e rabbrividì per quello che si trovò davanti.  Il tappeto era attaccato al soffitto, ridotto a brandelli; squarciati i mobili dell’ingresso e arrotolato su se stesso l’attaccapanni. Gli specchi erano illuminati e sopra vi erano attaccati tutti gli oggetti di metallo.

Il processo magnetico è cominciato. Sara dove sei?!

Aggirò la cucina, non si fidava ad entrare in un posto pieno di coltelli, non era affatto saggio, e si avvicino alla camera da letto. Sentì uno sfrigolio provenire dal suo interno. Lo sfrigolio si fece sempre più forte, così come la paura di andare avanti.

Stava sudando, le lacrime agli occhi al pensiero di quello che avrebbe potuto trovare. Si fece coraggio e spalancò la porta.

Crollò in ginocchio, il colpo fu troppo forte. Non sapeva cosa lo aveva colpito, sapeva solo che aveva fatto molto male. E poi il buio.

…

Bip, bip, bip, bip…

Questo era il suono che riusciva a sentire, l’unico. Sapeva di essere disteso, non sapeva dove. Sapeva che aveva dormito, non sapeva per quanto. Non poteva aprire gli occhi e muoversi gli risultava impossibile.

Il bip smise e arrivò il dolore. Allora riuscì a parlare, o meglio urlare. Il suo corpo voleva urlare, il suo corpo voleva svegliarsi. E si svegliò. Ansimando, gemendo, riuscì infine ad aprire gli occhi. Era in una stanza di ospedale, o almeno così sembrava. Accanto al letto le tendine erano tirate, sentiva qualcuno parlare, parlare del fatto che lui era morto.

Ma io sono vivo! Possibile che non mi sentiate?! Cosa devo fare? Pensa Atticus, pensa.

E allora gli arrivò un’idea, pazza, senza senso, che tuttavia valeva la pena provare.

Aveva appena capito di essere morto, i bip che sentiva erano quelli dell’elettrocardiogramma, il suo cuore aveva smesso di battere. Capì che probabilmente era solo spirito, elettromagnetismo, visto il fenomeno che si sarebbe verificato in quei giorni.

Allora si concentrò, se non avrebbe potuto usare il corpo avrebbe usato la mente.

Fu così che, senza nemmeno sapere ciò che aveva fatto Atticus rientrò nel suo corpo.

I bip ricominciarono, lui riuscì finalmente ad aprire gli occhi; sentiva il suo corpo, sentiva di essere vivo.

Il dottore accorse al suono della macchina e le tendine si aprirono. E lui la vide: Sara era viva e stava bene.

…

Erano passati ormai alcuni giorni da quando si era risvegliato e ormai riusciva a controllare gli oggetti con la mente. Con alcuni era più bravo, con altri faceva più fatica.

Non era stato facile per lui abituarsi ad avere questi “superpoteriâ€, ma stava scoprendo di poter fare molto più che spostare gli oggetti.

E proprio mentre si stava esercitando a farne sparire alcuni, Barricus entrò nella sua camera.

“Grazie al cielo stai bene, sono venuto appena ho saputo che ti sei svegliato.â€

“Ti ringrazio, ma so perché sei qui e la mia risposta è no.â€

“Come puoi essere così irresponsabile!Lasceresti morire il mondo piuttosto che lavorare con me!â€

“Perché mai dici questo? Io non voglio lavorare con altri, lo sai bene, ma non per questo lascerò morire il mio pianeta. In fondo questi campi elettromagnetici non stanno facendo nulla di male. Io non sono morto e, anzi, mi sono stati donati questi poteri.â€

“Forse tu non sei morto, ma hai visto quello che è successo mentre tu ti sei fatto il tuo pisolino di sei mesi?â€

Sei mesi. Eh già , così tanto aveva dormito per colpa di quella scarica. Eppure da quando si era svegliato non aveva sentito nessun dolore.

“Cosa vuoi che siano sei mesi? Se dopo ne usciamo più forti di prima?â€

“Questi sono sei mesi.†Disse il professore di Aydindril gettandogli una cartellina.

 Atticus aprì la cartellina e ciò che vi trovò dentro lo turbò molto. Erano tutti fascicoli di incidenti dovuti a questi sbalzi elettromagnetici, che creavano delle vere e proprie onde di energia che distruggevano tutto ciò che incontravano. A volte capitavano in zone isolate, su qualche montagna o in mezzo all’oceano, dove il danno era relativamente meno grave. Ma se capitava nelle grandi città  era un disastro: Phoenix, Philadelphia, Londra, Roma, Mosca, Tokio. Il danno era stato calcolato in milioni di vite umane. Grazie ad uno studio approssimativo si era arrivati a capire che la popolazione mondiale, in sei mesi, era stata dimezzata.

Un flebileâ€Non ci credo…†gli uscì dalla bocca, lasciandolo muto davanti a quel disastroso rapporto.

Dovevano trovare una soluzione, non bastava spostare le persone dalla città  alla campagna, cercando di raggruppare meno persone possibile nello stesso luogo, no quello era solo un analgesico, quando invece serviva un vaccino per la peste.

“Dobbiamo usare quello di cui i suoi assistenti le hanno parlato quella mattina.â€

Un’affermazione, non una domanda. Ma sarebbero stati in grado di farlo? Era possibile farlo?

“Sai di cosa stiamo parlando?!â€

“Lo so ma è una situazione drastica e, a mali estremi, estremi rimedi!â€

“Va bene allora, faremo inghiottire questo pianeta da un buco nero!â€

…

Erano passate ormai delle settimane da quando Barricus gli aveva fatto notare la necessità  di quel sistema e, nonostante avesse consentito, gli sembrava comunque una follia da mettere in pratica.

Quello di cui si stava parlando era di creare artificialmente in laboratorio un buco nero e di far sì che questo inghiottisse l’intero pianeta. Come se ciò non bastasse, era necessario che in un altro punto dell’universo, su un pianeta identico alla Terra, la scoperta di cui gli avevano parlato i suoi assistenti,  e che avesse già  presentato secoli fa la situazione elettromagnetica che stava creando oggi distruzione nel mondo, si attivasse lo stesso buco nero.  Facendo ciò i due pianeti si sarebbero uniti, all’interno del buco nero, grazie alla deformazione di spazio e tempo che si sarebbe venuta a creare. L’unione dei due pianeti avrebbe anche permesso uno stabilizzarsi della situazione, salvando la Terra e i suoi abitanti dalla distruzione.

Cosa sarebbe successo però se qualcosa fosse andato storto? Sarebbero potuti finire dilaniati all’interno del buco nero. Era un’incognita, qualcosa di impensabile anche nei testi di fantascienza, eppure era l’ultima opportunità  che avevano di vivere.

In compagnia dei suoi pensieri arrivò nel laboratorio, era stato mandato a chiamare a causa di alcune novità  improvvise. Il suo collega lo stava già  aspettando.

“Eccomi e scusa per il ritardo†fece appena entrato.

“Sì, ti ho mandato a chiamare, perché ci sono stati dei risvolti interessanti.â€

Risvolti interessanti?! Cosa mai poteva essere?

“Ti ricordi dei tuoi poteri? – iniziò quello e all’annuire di Atticus continuò – Be’, non sei l’unico che a quanto pare li ha ricevuti. Quindi, ho pensato di avviare uno studio in laboratorio, venendo a scoprire che soggetti specializzati in alcuni ambiti, riescono a sviluppare queste abilità . Un artigiano esperto ad esempio, da quando è venuto in contatto con questa energia elettromagnetica, è in grado di donare caratteristiche peculiari agli oggetti che crea, dall’invulnerabilità  al saper prendere fuoco senza scottare l’utilizzatore. I monaci hanno invece appreso l’abilità  di percepire le persone a chilometri di distanza solo concentrandosi. I cartomanti adesso sono in grado di prevedere il futuro. Chiunque possedesse delle abilità  particolari è ora aiutato da questo potere, al resto delle persone invece non provoca alcuna reazione.â€

“Come è possibile tutto questo?†Fece l’altro incredulo.

“Non lo so, ma, se questi sono i risultati, non credo che servirà  attuare il piano.â€

“Ne abbiamo già  parlato, la Terra sta collassando, ha bisogno di stabilizzarsi e l’unico modo è farla unire con un pianeta che ha sprigionato la stessa energia ma opposta, cosicché si riesca a neutralizzarle entrambe.â€

“Ma sai bene anche tu che la creazione teorica di questo nuovo pianeta implicherebbe esporre a questa nuova energia TUTTA la popolazione! Se qualcosa andasse storto stermineremmo la razza umana!â€

“Credi che non lo sappia?! Che mi diverta a fare questo?! Ho le tue stesse paure, le tue stesse preoccupazioni. E forse ti sei dimenticato che sarò io a dover andare sull’altro pianeta, perché sono l’unico che ha le conoscenze e le capacità , grazie a questi nuovi poteri, per attivare là  il tunnel spazio-temporale?â€

“Hai ragione, perdonami. Come vanno gli allenamenti?â€

“Bene, ora so far sparire la materia, spostarla e crearla. Sono riuscito anche a creare una palla di fuoco in grado di bruciare fino a quando non ha consumato completamente il suo bersaglio. Adesso sto lavorando nell’unire i due fulmini, bianco e nero, massima rappresentazione rispettivamente della creazione e della distruzione, per riuscire a distorcere la materia in modo da creare il varco spazio-temporale.â€

“ Pensi di riuscirci in due settimane? Sai che quello è il tempo limite per la tua partenza.â€

“Lo so, ora torno ai miei allenamenti. Se ti servo mandami a chiamare.â€

…

Le due settimane successive passarono per Atticus tra allenamenti e studi su come creare, grazie al suo nuovo potere, quel varco. Non fu facile ma alla fine riuscì a capire come dosare le due energie, senza tuttavia poter effettuare una prova, visto che probabilmente, se i calcoli fossero stati sbagliati, avrebbe fatto implodere l’intero pianeta. Aveva una sola occasione, un solo tentativo.

Intanto il mondo aveva imparato a conoscere il suo nome, già  lo chiamavano il Signore del D’Hara e alcuni più scherzosamente Lord Rahl. Lui era il loro salvatore, insieme a Barricus e a tutte le persone che stavano lavorando al progetto.

Questo lo stava aiutando ad andare avanti, avanti ora verso quella casa che dal giorno dopo non avrebbe più rivisto, avanti verso quella moglie che tanto amava e a cui avrebbe dovuto dire addio.

Arrivato a casa quella sera, la tavola era preparata a lume di candela, la tovaglia rossa, il servizio buono, il suo piatto preferito. Tutto era stato preparato con perfezione e ad attenderlo davanti ai fornelli c’era sua moglie, stava sistemando le ultime cose. Era bellissima in quel vestito da sera rosso, con uno spacco vertiginoso ed un altrettanto invitante scollatura.

Lui le si avvicinò e prese a baciarle delicatamente la schiena coperta, lei sussultò, non lo aveva sentito arrivare. Dopodiché la girò, voleva guardarla negli occhi, quegli occhi castano chiaro che cambiavano in base al tempo, ma lei glielo permise per un solo istante, subito prima di iniziare a baciarlo. Un lungo e profondo bacio, dove le loro lingue e le loro anime si univano in un bellissimo valzer, fatto di armonia e amore.

“Ti amo†Questo il flebile sussurro che uscì dalla bocca di lei.

“Anch’io. Oggi e per sempre.†Fu la risposta piena d’amore di lui.

Non seppero resistere oltre. 

Andarono in camera, per lei fu come la prima volta, per lui fu come rinascere, senza pensare al domani, senza pensare al passato, solo vivendo il presente con il più grande amore possibile.

Fu per entrambi la notte più bella delle loro vite.

…

Al mattino lui si svegliò, ancora nudo, ancora innamorato. Si alzò senza far rumore e si preparò.

Al momento di uscire si girò indietro a guardarla, era bellissima come sempre. Non ce la fece a svegliarla, a dirle addio. Le mandò un bacio e sussurrandole un dolce quanto mai sincero “Ti amoâ€, uscì per sempre dalla sua vita.

…

Arrivò puntuale alla rampa di lancio.

L’evento era stato organizzato nel più grande riserbo possibile, così come aveva voluto Barricus. E proprio lui vide lì, all’entrata della navetta, che lo aspettava con un sorriso colmo di tristezza.

Forse non erano diventati grandi amici, ma avevano passato molto tempo insieme, e insieme si erano addentrati in quella strana missione. Ora dovevano dirsi addio.

“Addio Barricus†Fece Atticus con un tono nostalgico.

“Non addio, ma arrivederci. Perché sia io che tu, che tutta l’umanità  ci rivedremo tra sei mesi. Parti come un uomo e torna come un dio.â€

…

Bisogna dire che sei mesi non passano in fretta, soprattutto se si è da soli. E, infatti, ormai sapeva controllare alla perfezione i suoi poteri, niente e nessuno lo avrebbe potuto fermare. Ogni tanto si concentrava per vedere se riusciva a percepire la scatola dell’Orden, così avevano chiamato il macchinario che riproduceva il buco nero, visto che aveva lasciato al suo interno una componente di Magia Detrattiva, cioè la componente nera. Naturalmente ci riusciva e sentiva chiaramente il potenziale distruttivo che quel macchinario sarebbe stato in grado di creare. Sembrava che ci fosse l’oscurità  stessa al suo interno.

La navicella cominciò a tremare, emettendo un suono acuto, si stava avvicinando al pianeta. Grazie alle sue abilità  non ebbe problemi a stabilizzare la navetta che così poté atterrare qualche ora più tardi sul nuovo pianeta.

…

Atterrò in una landa desolata, davvero strana da vedere. Una sola altura era presente.

Perfetta per un castello medievale. Sarebbe inespugnabile.
Pensò.

E proprio su quell’altura si diresse. Non era una scelta logica, dettata dalla ragione, no, era solo il suo istinto a guidarlo. O meglio l’energia che gli scorreva dentro.

Non ci mise molto, certo un cavallo o una macchina gli avrebbero fatto comodo, ma il viaggio fu comunque relativamente breve. Arrivato alla base dell’altura, si accorse che era stata creata da Madre Natura in modo da creare una salita morbida e graduale. Era necessario salire in cima.

E così fece, salì in cima e quando vi giunse non poté dare a meno di ammirare la splendida vista di cui si poteva godere. Era qualcosa di magico. Se avesse dovuto definire quel posto il termine che avrebbe usato sarebbe stato senza dubbio “casaâ€.

Ma non c’era tempo da perdere. Era necessario che si concentrasse su quello che doveva fare.

Richiamando tutto il potere racchiuso dentro di lui, alzò le mani al cielo. Dalla mano sinistra scaturì un enorme fulmine nero, le scintille che emanava sembravano risucchiare perfino l’aria, mentre da quella destra ne partì la controparte bianca, quella che lui chiamava Magia Aggiuntiva.

Le nubi cominciarono a raddensarsi, i suoi occhi grigi erano concentrati sull’obiettivo. Tornado apparvero all’orizzonte, i suoi piedi si piantarono sul terreno. La terra iniziò a tremare, lui ad urlare.

Era una battaglia, una battaglia tra lui e lo spazio, una battaglia che non poteva perdere. E poi accadde, i due fulmini si scontrarono, iniziando a respingersi e attrarsi nello stesso momento. In un istante, che sembrò un secolo, i suoi muscoli si dilaniarono, un dolore accecante lo investì.

Riuscì a vedere la scatola dell’Orden nel suo ufficio come aveva chiesto, poi tutto diventò bianco.

…

Ora non era più dove si trovava prima. Il bianco più puro dominava tutte le direzioni. Ora sapeva, ora aveva la conoscenza di un Dio. Sentiva di essere connesso con i due mondi al completo.

Solo adesso si accorgeva di quante forme di vita potessero esistere. Riusciva a sentire che l’elettromagnetismo del nuovo pianeta era in simbiosi perfetta con le creature che vi vivevano.

Mille domande gli vorticavano in testa, quella più insistente metteva in dubbio la moralità  delle sue gesta: per salvare un mondo è ammissibile sacrificarne un altro?

Sapeva che la risposta era no ma da quando le connessioni con i due mondi si erano attivate poteva percepirne tutte le forme di vita e si era accorto che Sara portava in grembo un figlio maschio. Suo figlio.

Atticus aveva già  in mente un nome per il bambino: Alric, sapeva che era perfetto e che quel bambino avrebbe fatto grandi cose. Era pronto a sacrificare l’umanità , i suoi amici, i suoi fami9liarai, Sara e Alric, per una questione di etica?

La risposta era, ovviamente, no e così fece quello che andava fatto, ma prima lanciò un messaggio telepatico alla popolazione terrestre.

“Popolo della Terra, sono Atticus Rahl, e ho attivato il potere dell’Orden. Come sapete il nostro pianeta stava collassando e abbiamo cercato di sistemare le cose.â€

“Per farlo dobbiamo unire il nostro pianeta ad un altro, per questo vedete tutto completamente bianco intorno a voi. A questo punto dovrete fare una scelta: rimanere sul nostro pianeta morente o vivere nella sua unione con l’altro. La scelta spetta solo a voi.â€

“Davanti ai vostri occhi apparirà  un cancello, oltrepassatelo per accettare il cambiamento, rimanete fermi per restare sulla Terra. In base alla scelta dettata dalla maggioranza, agirò di conseguenza. Ricordate però che se deciderete di restare sulla Terra una volta chiusi i cancelli potreste sparire se i due mondi si dovessero unire. Ora, decidete! Avete dieci minuti.â€

I dieci minuti passarono e quasi tutta la popolazione scelse la nuova vita.

“Bene, avete fatto la vostra scelta. Ora unirò i due mondi e chiuderò il cancello. Esso resterà  chiuso fino a quando qualcun altro non aprirà  nuovamente l’Orden.â€

Poi si rivolse solamente a Barricus e altre poche menti geniali.

“Signori, ho visto che voi acquisirete poteri simili ai miei. Purtroppo nel nuovo mondo la tecnologia non potrà  esistere, al fine di non sconvolgere il delicato equilibrio a cui siamo giunti con tanta fatica. Per rendere meno traumatico il passaggio cancellerò la memoria ad ogni essere vivente.â€

Alcune di quelle brillanti persone non fu d’accordo, altri invece appoggiarono in pieno la decisione.

“Però – continuò Atticus – non verranno toccati i sentimenti. Odio, amore, amicizia, tutto rimarrà  uguale. I ricordi verranno ricostituiti con i nuovi elementi. Ci sarà  parso di aver sempre vissuto qui.â€

“L’unico elemento tecnologico che manterrò sarà  la scatola dell’Orden, che verrà  però conosciuto come costrutto magico. Già , noi possiederemo la magia, magia derivata dalla forza elettro-magnetica. E con la magia faremo tutto ciò che prima riuscivamo a fare solo con l’ausilio della tecnologia. Sarà  un nuovo mondo, una nuova vita.â€

“Purtroppo questo non è l’unico problema. Con l’unione dei due mondi si verrà  a creare una specie di intermundi. Poiché possediamo questo potere dentro di noi, quando moriremo la nostra anima, o meglio il nostro potere elettro-magnetico, ci terrà  in vita in forma di pura energia. Questa energia andrà  a collocarsi in questo intermundi. Sarà  come una religione, dove questo mondo sotterraneo fungerà  da Inferno.â€

“Appena unirò i due mondi anche queste informazioni verranno adattate al nuovo stile di vita. Sappiate che siete stati dei grandi compagni di viaggio. Non so se ci rivedremo. Addio.â€

E così congedò anche gli scienziati.

La parte più importante però non la disse a nessuno, cioè non rivelò che adesso esistevano tre scatole dell’Orden, di cui solo una funzionante. Lasciare quel potere disponibile a tutti sarebbe stato un errore enorme.

Così, alla fine Atticus unì i due mondi. Prima però che le persone potessero abitarci dovette costruire case, villaggi, grandi città . Rimise in piedi Aydindril ed Ebinissa, e poi creò la sua casa, su quell’altura, la chiamò il Palazzo del Popolo. Una costruzione gigantesca in cui mise anche il suo vecchio “ufficioâ€, in posizione ideale per eventuali studi e incantesimi. Scelse di chiamarlo il Giardino della Vita e lo designò come l’unico luogo in cui fosse possibile aprire le scatole dell’Orden.

Infine mise un blocco alle scatole, un blocco che si sarebbe aperto solo con una chiave specifica. Spettava ai posteri creare questa chiave quando ce ne fosse stato bisogno.

Adesso non gli rimaneva che tornare a casa, così il bianco sparì.

 

Epilogo

Erano passati ormai cinque anni dall’unione dei due mondi e lui era l’unico a conoscere la verità , una volta che fosse morto la realtà  dei fatti sarebbe morta con lui.

Ormai era diventato il Signore del D’Hara, così aveva chiamato quelle terre, e il popolo lo chiamava Lord Rahl. Quel titolo un giorno sarebbe spettato a suo figlio, e al figlio di suo figlio, e così via.

Purtroppo una grave malattia lo prese poco dopo. Suo figlio fece di tutto per salvarlo, già  a cinque anni era un grande mago, ma non ci riuscì.

Atticus però se ne andò con il sorriso sulle labbra, circondato dalle persone che amava e riuscendo a vedere nel futuro, a vedere che l’Orden sarebbe stato aperto da un Cercatore di Verità , Richard Rahl.

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Nome dell'autore Pokémonmaster98


Titolo dell'elaborato  Vita o morte?


Opera da cui è tratto l'elaborato Il Signore degli Anelli


Elaborato


 



Nella Contea era il 22 Invernume dell’anno 2980 della Terza Era quando Frodo, mentre giocava con Meriadoc detto Merry e Peregrino detto Pipino, vide lungo la sponda del fiume una chiatta capovolgersi e disintegrarsi portando la morte alle due persone che vi navigavano sopra.

Frodo, assistendo impotente a tale scena, corse verso la riva quando vide riemergere a galla due corpi ormai esanimi. Due corpi che conosceva bene, quello della madre e del padre. I due corpi, privati ingiustamente della loro vita, galleggiavano beffardamente davanti allo sguardo disperato di un hobbit dodicenne senza ancora la peluria sui piedi.

Il giovane vide il corpo della madre spinto verso la riva lentamente dalle onde, mentre quello del padre rimanere accanto ai resti di quella chiatta portatrice di morte. Il cadavere materno toccò la riva dove vivevano alcune pianticelle e fu subito affiancato da un corpo pallido ancora vivo. Un hobbit scosso, che non si capacitava ancora di ciò che era successo e di cosa sarebbe derivato da questo malaugurato evento.

Una lacrima cadde dal giovane viso puerile atterrando delicatamente sul volto tanto diverso ma anche tanto simile della madre. Poi un’altra ancora toccò il viso spento con gli occhi ancora aperti, che guardavano il cielo dicendo:
perché proprio me?

Lo sguardo di quel piccolo hobbit appena dodicenne chiedeva con insistenza la stessa cosa,
perché proprio a lui?
. Cosa aveva fatto di male lui, un giovane e semplice hobbit che non era mai andato in cerca di strane avventure, che aveva sempre aiutato i genitori e che gli aveva sempre ubbidito per meritarsi tutto questo?

E quel sorriso dipinto su quel volto morto lo prendeva in giro, lo derideva.
Così impari cos’è la morte dei cari
, diceva. Frodo ne era a sua volta consapevole, ma stentava ancora a capacitarsi di quanto successo. Ci doveva essere una soluzione per curarla, sì, ci doveva essere. Si alzò di scatto correndo verso il boschetto a pochi metri di distanza, e si mise a cercare alcune di quelle erbe che la madre gli aveva insegnato a distinguere. Ma quale prendere? Indeciso e depresso dalla situazione prese diversi tipi di piante, tra cui quelle per rimanere sveglio e quelle per accelerare il battito cardiaco dato il pallore del corpo materno.

Tornò a distendersi accanto al corpo freddo senza notare che l’altro suo genitore stava per essere trasportato lontano da lui, via lungo le poche cascate del Brandivino. Si guardò intorno in cerca di un aiuto da parte degli amici nonché cugini, ma notò che di loro non vi era più traccia.
Lasciato solo con una madre e un padre svenuto
, pensava lui, anche se sapeva già  dentro di sé che lui non avrebbe mai potuto ostacolare il corso della natura. Ad altri più potenti di lui forse era concesso, ma di certo non ad un semplice e giovane hobbit.
Hobitino
mio, lo chiamavano i genitori.

Cominciò a spezzare in piccole parti le foglie raccolte pochi minuti prima e spalmò il liquidò che ne fuoriusciva sulla lingua della madre che però non dava segni di volersi svegliare.
Dannazione
, pensava lui.
Sarà  una vacanza tranquilla e felice con tutti noi insieme
, gli avevano detto loro.

Aspettò alcuni minuti tenendo entrambe le mani della madre e portandole vicino al suo piccolo cuore di un hobbit, cercando di passare quel poco calore possibile all’ormai gelato corpo della madre. I suoi occhi erano velati e cercavano ancora di mettere a fuoco quel cielo limpido sopra di lei, senza però riuscirci. Si era spento il collegamento, quel collegamento che nessuno può riaccendere semplicemente premendo un bottone.
Se gli chiudo gli occhi riposerà  meglio
, si disse. E così fece.

Stette ancora accanto al corpo esanime della madre tenendole strette strette le mani e cominciando a cantare una canzoncina che lei gli aveva insegnato quando aveva solo sei anni. Cantò dei campi coltivati della Contea, di quelle vaste piantagioni fertili. Cantò di quei piccoli laghi in cui ci si poteva specchiare come quegli specchi che emanavano una perfetta copia di se stessi. Cantò degli alberi, del cielo e degli animali che li popolano. Di quella piccola volpe salvata quella mattina di Solfeggiante con una zampa rotta, di come l’avevano guarita e nutrita. Cantò delle nuvole che raccontano tante, infinite storie. Cantò dei giorni felici, della sua nascita, di come tutto questo avesse cambiato la vita ai suoi genitori.
Sei il nostro bellissimo frutto
, gli dicevano.

Passò un’ora così, cantando. Inneggiando quel mondo perfetto, quel mondo perduto. Era bello evadere dal presente, non doverci pensare. Ben presto però dovette tornare al presente.

Uno spasimo, e poi ancora un altro. Dalla bocca del corpo materno uscì un po’ d’acqua.
Eccola, si sta riprendendo
, pensava lui. Frodo avvicinò la sua testa al volto della madre e le diede una bacio sulla fronte.

Svegliata mamma, svegliati!
le diceva, cercando di farsi forza per credere che una speranza c’era ancora. Sì, c’è sempre una speranza.

Aspettò ancora, attendendo un altro spasimo o la dolce voce che gli diceva:
vieni qui, piccolo mio, è tutto finito. Adesso ci sono io, non preoccuparti.

Si girò alzandosi a guardare verso il fiume e si accorse di non riuscire più a scorgere il corpo del padre né parte dei resti dell’imbarcazione.
Dove sei, papà , dove sei,
urlava al vento,
dove sei!

Frustato per la scomparsa del padre e per quella degli amici, si sedette nuovamente attorno al corpo della madre, stringendo le sue piccole braccia attorno alla piccola vita della madre come faceva sempre quando dormivano assieme. Era bello dormire vicini e abbracciati, Frodo lo ricordava bene. Ogni volta che faceva un incubo correva nella camera dei genitori che lo accoglievano nel loro grande e caldo letto, stringendolo entrambi forte per fargli sentire che loro erano con lui.
Loro sono sempre con me,
pensava,
sono sempre con me anche quando sono lontano da loro. Sono qui, qui dentro,
diceva toccandosi il petto proprio sopra a dove si trovava il suo cuore.
Il tuo piccolo e dolce cuoricino
, gli diceva la nonna Mirabella Tuc.

Stava chiudendo gli occhi addormentandosi quando la madre emise un altro spasimo. Frodo si voltò immediatamente verso di lei, e vide che questa volta non usciva acqua dalla sua bocca. Sangue, usciva sangue. Alla fine realizzò, una volta per tutte.
No, non è possibile, non può essere vero
, urlava colpendo l’ormai cadavere con le piccole mani da Hobbit. Urlava piangendo quelle poche lacrime rimastegli senza interrompersi, infrangendo nella sua mente giovane la speranza di vita, capendo che era la fine di come conosceva tutto ciò.

Si alzò ormai stanco di quella vita, deciso a mettere fine anche lui a quella che tutti descrivono come la cosa più bella che ci sia.
Menzogne, ecco cosa sono
, pensava,
solo stupide menzogne raccontate a quegli stupidi che ci credono
.  Afferrò una tavola di quella barca portatrice di morte ed estrasse un pezzo di metallo appuntito tagliandosi le mani e riempendo le dita di lacerazioni.
Poco importa
, si diceva,
ben presto questo dolore insopportabile avrà  fine.

Si chinò sul corpo della madre un’ultima volta, dandole l’ultimo bacio sulla guancia, l’ultimo bacio della sua corta vita. Impugnò fermamente quella che sarebbe diventata l’arma della sua morte di lì a pochi minuti e si diresse verso quella piccola rapide lontano due miglia. Si mise in piedi accanto alla riva, decidendo se buttarsi giù e lasciare il lavoro all’impetuosità  delle acque o se porre egli stesso fine alla sua sofferenza. Optò per la seconda, la caduta nell’acqua avrebbe poi pensato a portare via la sua anima e a continuare a farla navigare lungo il fiume, fino ad arrivare sul mare e giungere oltre oceano, a Valinor, nelle aule dove sono ospitate le ormai defunte anime dei mortali destinate ben presto a scomparire.

Afferrò il metallo con entrambi le mani portandolo all’altezza del petto.
Un colpo solo, ben assestato
, si disse,
un colpo solo e tutto sarà  finito. Li rivedrò presto, mamma e papà , li rivedrò presto
.

Era pronto. Il colpo di grazia, l’unico spreco di energia su quella terra che per lui ormai non valeva più niente. Addio erba, addio acqua, addio animali.
Addio hobbit, addio nonna. Io vado, raggiungo i miei genitori. Raggiungo mamma e papà .

Frodo sentì un urlo lontano che gli intimava di fermarsi, ma non gli diede ascoltò. Mosse le braccia, e il metallo perforò la sua gracile pelle senza però arrivare in fondo. Sentì perdere le forze, gli si confuse la vista. Le ginocchia non lo sorressero più, si vide precipitare verso il fondo, verso il fiume. Quel fiume, il fiume Brandivino che gli aveva portato via i genitori e che ora stava per portare via anche lui.

La ferita che aveva lacerato la carne aveva sfiorato di poco il cuore, colpendolo poco sopra l’organo vitale. Ma fu abbastanza. Vide nero e cadde giù, giù verso il fiume.
Addio vita
, disse il suo cervello, ma lui non sentì. Era finita per lui ormai.
Addio vita
.

Frodo cadde in acqua e il suo leggero corpo cominciò ad essere trasportato lentamente dalla corrente. Quel fiume che aveva reclamato la vita della madre e del padre ora reclamava anche la sua. Un fiume malvagio a volte, il Brandivino.

Galleggiò sull’acqua l’esile corpo dall’aspetto cadaverico con un pezzo di metallo conficcato in corpo che lo privava della vita e di quella insensata voglia di vivere.
Addio
era stato il suo ultimo messaggio. Una semplice e breve parola, ma carica di significato.
Addio.

 

 

I minuti che seguirono sono molto confusi, ma un uomo accorso spaventato dalle grida di Merry e Pipino che erano andati in cerca di aiuto si tuffò in quelle fredde acque fluviali e nuotò verso il giovane hobbit, portandolo a riva. La vita stava abbandonando Frodo, e il salvatore doveva agire in fretta o il giovane non si sarebbe salvato. Estrasse il pezzo di metallo dal corpo e passò sopra alcune sostanze rilasciate da alcune erbe curative che portava con sé e strinse il petto del ragazzo con una fascia leggera in modo che non perdesse altro sangue senza sapere che quella ferita, apparentemente guarita, alcuni anni dopo sarebbe stata riaperta da un’arma impregnata di un’oscura magia.

Frodo fu portato al villaggio vicino e curato, e una volta rimessosi in sesto dovette affrontare la dura verità  della morte dei genitori, ma non fu mai lasciato solo in quanto la nonna e gli altri parenti lo presero in custodia aiutandolo a superare la dolorosa perdita. Fu così che il giovane hobbit dodicenne dovette imparare cosa significa vivere la morte sui propri occhi e che scappò alla fine della vita, fino a crescere e ad essere adottato da Bilbo Baggins e sino a vivere la grande avventura in cui verrà  chiamato salvatore della Terra di Mezzo.

 

 


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*Nome dell'autore: BlueDarkrai


*Titolo dell'elaborato: Marco Pagot


*Opera da cui è tratto l'elaborato: Porco Rosso (film di Hayao Miyazaki, Studio Ghibli)


*Elaborato:


Marco Pagot naque a Milano.


I suoi genitori si erano stabiliti lì da qualche anno per cercare lavoro.


A Marco la città  non piaceva: l'aria era sporca ed il cielo opaco.


Nonostante questo rimaneva un ragazzo fantasioso, che fin da bambino sognava di volare e di poter vedere cieli limpidi e puliti.


All'età  di 16 anni Marco iniziò a frequentare dei corsi di aeronautica e due anni dopo, in occasione del suo 18° compleanno, gli venne regalato un piccolo aereo rosso.


Non era particolarmente bello, ma a lui piaceva così tanto che ci si innamorò a prima vista.


Ogni giorno lo puliva e lo lucidava; lo trattava quasi come un figlio.


Quell'anno iniziò la Prima Guerra Mondiale, ma non era ancora così preoccupante da obbligare la gente a chiudersi in casa e vivere nella paura.


La vita continuava normalmente ed a Marco venne perfino concesso di poter fare qualche volo a settimana a condizione che questi non sarebbero durati più di due ore.


Volare lo distaccava dai problemi, dalle brutte cose, dal mondo che stava là  sotto, ma soprattutto: dalla guerra.


Marco la odiava perchè lo disturbava, lo impauriva, lo minacciava e lo rattristiva.


Odiava leggere brutte notizie sul giornale.


Volando tutto questo svaniva e nella sua testa regnava solamente la tranquillità .


 


Poco tempo dopo, però, capì che anche in aria, nel cielo che lui tanto amava, la guerra c'era: e non era per niente “meglio†che in terra.


Fece questa brutta scoperta durante un suo giretto.


Stava osservando il bellissimo panorama quando sentì delle raffiche di spari.


Si girò e vide sei aerei in lontananza.


Di questi: tre erano verde marcio ed altri tre celesti.


Quelli azzurri, soprattutto da così lontano, erano difficili da individuare perchè si uniformavano al cielo.


Le raffiche si sentirono nuovamente.


All'improvviso Marco riuscì a vedere molto meglio uno dei tre aerei celesti.


Precipitava lasciando una scia di fumo nero pece.


Assomigliava a quello delle fabbriche di Milano.


L'aereo andava sempre più giù.


Per un momento le fiamme sovrastarono il fumo scuro.


Subito dopo, assieme ad un rombo assordante, l'aereo esplose frantumandosi in mille pezzi.


Nonostante le sue orecchie erano intrise da un intenso fischio, Marco poteva ancora vedere cosa accadeva.


I frammenti dell'aereo caddero in acqua.


Ognuno aveva grosse macchie nere di bruciato, anche se l'acqua aveva spento le fiamme che li avvolgevano.


Galleggiavano sul pelo del mare.


 


Il suo cervello non funzionava più.


Il suo corpo era immobilizzato dal terrore.


Continuava ad osservare da lontano la battaglia.


Un altro aereo, stavolta verde, incise una linea nera nel cielo.


L'aveva sporcato, proprio come le fabbriche di Milano sporcavano l'aira della città .


Poi esplose.


Benchè Marco avesse visto la stessa scena meno di 30 secondi prima, la paura lo assalì ancorà  più forte.


Qualche secondo dopo il suo cervello ed il suo corpo si sbloccarono.


Era come se fosse stato in coma per molto, troppo tempo.


Riusciva a malapena a muovere le proprie dita.


Si fece forza ed afferrò la cloche, virò e volò via veloce come il vento.


Quando fu a casa non disse nulla ai suoi genitori, mangiò a fatica e provò dormirci su.


 


 


Ed eccolo lì, tre anni dopo, nell'aeronautica italiana.


Aveva dei nuovi amici: tra di loro un certo Berlini si era persino sposato e Marco aveva persino fatto il testimone dello sposo!


L'allegria delle nozze, però, svanì presto.


Soltanto due giorni dopo quest'ultime dovettero tornare al fronte a causa di tutti i giorni liberi presi.


Questa volta dovevano pattugliare ad Istria.


Quell'estate e quell'anno furono gli ultimi della Prima Guerra Mondiale.


Il cielo era tranquillo.


Sopra di loro una distesa di bianche e soffici nuvole li osservava dall'alto.


Continuarono ad avanzare lentamente.


Davanti a loro comparve all'improvviso uno stormo di aerei nemici.


La battaglia fu durissima, sia loro che gli altri cadevano come mosche.


Ad un certo punto Marco rimase da solo.


C'erano troppi nemici e non ce l'avrebbe mai fatta.


Decise quindi di provare a scappare attraverso le nuvole.


Curvò verso l'alto ed entrò nella distesa di nubi.


Proiettili nemici, intanto, sfioravano le ali del suo aereo.


 


Piangere.


Questa era l'unica cosa che Marco poteva fare mentre fuggiva ed attraversava le nuvole sopra di lui.


Quando uscì dall'altra parte tutto era incredibilmente bianco ed i suoi occhi furono riempiti da una luce intensissima.


Gli ci volle un po' per recuperare la vista e quello che vide lo lasciò a bocca aperta.


Migliaia e migliaia di aerei volavano in cerchio formando una grossa ruota continuamente in movimento.


Si strofinò gli occhi ancora bagnati... ma non cambiò niente: tutto ciò che stava osservando era vero.


Alla vista gli aerei sembravano trasparenti. Surreali.


C'erano sia alleati che nemici, senza distinzione.


Marco, però, non si allarmò.


Sapeva che là  regnava la pace; in Paradiso non può essere altrimenti.


Mentre continuava a guardarsi intorno vide alcuni aerei uscire dal tappeto di nubi sotto sotto di lui.


Riconobbe i suoi amici e Berlini, ma anche alcuni nemici di prima.


<Berlini!!! Sei sano e salvo? Berlini, aspetta!!! Dove stai andando?!>


Nessuno rispose, non potevano sentirlo.


<Berlini, non andare!!! Come pensi di fare con tua moglie?! Vado io al tuo posto!!!>


Nulla da fare, sia lui che tutti gli altri aerei si unirono al cerchio.


Marco non potè far altro che continuare a guardare quell'incredibile luogo ancora per un po'; infine tornò alla base.


Dentro di sé sapeva che là  i suoi amici sarebbero stati bene.


Sapeva che saranno sempre rimasti accanto a lui.


 


Atterrò.


Le facce sconvolte dei compagni rimasti alla base lo osservavano cercando risposte.


Scese dall'aereo ed avanzò.


Marco non sapeva, però, che tutto quello che aveva passato non era nulla in confronto a ciò che gli sarebbe accaduto dopo che si fosse tolto quel maledetto casco d'aviatore.


 


Fine porco_rosso___porco_rosso_by_pandart_rou


 


Mi sono impegnato dal primo giorno del Contest all'ultimo e questo è il risultato!!! :)


Beh...spero vi sia piaciuta/vi piaccia!!! ;)


E Lasciate un Like!!! :D


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