provvisorio Inviato 2 dicembre, 2014 Condividi Inviato 2 dicembre, 2014 nome dell'autore: PROVVISORIOtitolo: DIALOGO DI UN BOSCAIOLO E UN MERCENARIOelaborato: - Buongiorno, io sono Erik, per gli amici (amici, è una parola! Direi piuttosto ammiratori) sono King Erik- Buongiorno, io sono Link, per gli amici “storpiatoâ€, perché fin da piccolo mi hanno sempre chiamato Lint- io ho compiuto più di mille imprese, ho diboscato più di cento foreste, ho persino tagliato quel legno di pino che nessuno riusciva nemmeno a scalfire. È da quel giorno infatti che nel mio lavoro sono conosciuto come “il re dei taglialegnaâ€- io no, io sono un semplice mercenario, che ha combattuto solamente più di cento battaglie e che ha salvato questo mondo per ben due volte. Infatti io sono conosciuto solo come il semplice “Link il salvatoreâ€- io sono colui che ha tagliato legna per un’intera città in un solo giorno; più di mille alberi caddero sotto i colpi della mia scure, e adesso vivo vendendo la legna che ho raccolto quel giorno- io no, io ho solo difeso il nostro regno dalla più grande invasione mai vista nella storia della nostra terra; solo in duecento, forse trecento, hanno incontrato la mia spada.Purtroppo adesso mi è rimasta solo la gloria di quell’impresa, e di certo non mi fa vivere!- io ho costruito la mia ascia scavandone la lama nella roccia e a mani nude- io no, la mia spada è stata solo forgiata semplicemente dal Dio che protegge la nostra città - io sono forte, robusto e vigoroso. L’inedia mi fortifica, e il freddo mi tempra; l’essere povero per me è un valore. Non ho mai voluto una famiglia, perché i legami affettivi mi avrebbero distratto dalle mie imprese. Non sono felice, ma il fatto di essere considerato un eroe del mondo mi consola.- io no, io ho sono semplicemente ricco e ho una moglie e due splendidi bambini, ed è per la loro felicità che faccio questo lavoro. Non ho mai patito né fame né freddo, e il fatto di essere un semplice salvatore del regno non mi conforta nemmeno un po’- gli umili del regno hanno avuto l’onore di conoscermi- io no, io ho avuto il grandissimo onore di conoscere e ricevere la stima solo dal nostro sovrano- io sono un boscaiolo, e sono un eroe- io sono solo un eroe, e sono un semplice mercenario- arrivederci, si consideri fortunato di avermi potuto parlare- arrivederci, è stato un onore poterle parlare Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
-Play- Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell'autore:Playmaster Titolo:L'amicizia:un bene inestimabile Elaborato:Io,umile fabbro del lontano continente di Caranthir,narro a te,o mio caro nipote, le gesta eroiche e le imprese valorose di un nobile paladino di nome Maedhros.Conosco Maedhros sin dal primo gemito che ha emesso appena uscito dalla pancia della mamma; l'ho visto crescere,maturare e infine diventare ciò che è diventato:lo stimato paladino della regione di Feanor.Da bambino era proprio come te,un ragazzino vivace,curioso e sveglio,anche se devo dire che non ha dato pochi problemi alla povera madre,rimasta vedova dopo la morte del padre in un combattimento all'ultimo sangue,in cui egli ha sacrificato la sua stessa vita per salvare la sua amata moglie. Maedhros è diventato paladino del regno grazie al suo coraggio,alla sua lealtà e al suo senso del dovere:ormai difende il suo regno da anni ed è amato e stimato dal popolo.Ha iniziato molto presto ad allenarsi con la spada e grazie agli insegnamenti del suo saggio maestro è diventato un abile spadaccino.Un giorno,accanto al suo letto,ha trovato al posto della sua tanto cara spada di legno una strana creatura la cui fisionomia rispecchiava proprio quella di una spada,sulla cui elsa vi era scritto un nome:Honedge.Da quel momento Honedge ha accompagnato Maedhros in tutte le sue battaglie e ha contribuito non poco alle sue numerose vittorie.Dopo circa un anno dal suo ritrovamento,Honedge,spinto dal desiderio di aiutare il leale paladino in una situazione alquanto pericolosa ,si è trasformato in una nuova creatura:un forte bagliore ha preceduto l'evento e allo schiarirsi di questo bagliore Honedge è come se si fosse duplicato;la nuova creatura era formata da due lame e due foderi sulle cui else vi era scritto il nome di Doublade.Dopo questa trasformazione Doublade era diventato capace di combattere da solo,come se fosse governato da una propria anima,un proprio cuore,anche se la maggior parte delle volte si lasciava maneggiare da Maedhros,uno straordinario spadaccino che negli anni aveva ancor più affinato la sua tecnica sopraffina nell'arte del combattimento.Il rapporto tra Doublade e Maedhros va sempre più,giorno dopo giorno, fortificandosi;i due ormai erano diventati inseparabili e insieme formavano una coppia formidabile.Un giorno Vardamir,un caro amico di Maedhros,si presenta alle porte del castello del paladino e chiede immediatamente udienza:l'amico capisce subito che si tratta di una cosa grave vedendo in che condizioni si trovava Vardamir:dalla sua fronte grondava sudore e i suoi occhi trasmettevano inquietudine,angoscia e apprensione.Maedhros gli concede subito il tempo necessario affinchè egli gli raccontasse tutto:ebbene il giovane paladino aveva ragione,si trattava di un'ardua faccenda da risolvere.Elros,mago temuto della regione di Larrond,regione confinante con la regione di Feanor in cui vi era il regno di Maedhros,era innamorato della sorella dell'amico Vardamir,una bellissima ragazza dai biondi capelli raccolti in una magnifica treccia,da due grandi occhi verdi e dolci lineamenti,il cui nome era Aredhel. Un giorno,in seguito ai continui rifiuti della sorella,il mago si fa prendere dalla foga e rapisce la ragazza nel bel mezzo della notte.La richiesta di Vardamir è scontata e il paladino non può rifiutare ,non può lasciare la sorella del suo caro amico nelle mani del mago di Larrond.L'alba del giorno dopo Maedrhos parte alla ricerca di Aredhel;la strada è lunga ma con l'aiuto del suo unicorno fidato e il suo drago riesce a raggiungere il castello nero del mago . L'unicorno,dalla cresta rossa e da un manto di colore blu che ricopre il dorso fino a scendere in una folta coda,anch'essa di colore blu elettrico,e il drago,la cui metà inferiore del corpo è di colore rosso e sul petto presenta un triangolo blu mentre la parte superiore è bianca,eccetto a livello della faccia in cui ricompare il rosso e spiccano i suoi grandi occhi ambrati,sono i due fedeli compagni che, insieme a Doublade, accompagnano il paladino nei suoi lunghi viaggi.Il principe ha dato anche un nome a queste due splendide creature:l'unicorno è stato chiamato Keldeo,che nell'antica lingua del suo popolo significa giustizia,mentre al drago è stato attribuito il nome di Latias.Giunti al castello nero il paladino cerca prima di trattare e convincere con le buone il mago a farsi consegnare la bella Aredhel,ma Elros,ormai fuori di sè,rifiuta qualsiasi trattativa e minaccia il paladino,ordinandogli di lasciare la sua terra prima che il sole risorga nuovamente,se non vuole che la sua terra diventi la sua tomba.Maedrhos,dopo numerosi tentativi,si arrende all'idea di trattare col mago e decide di riprendere la ragazza a modo suo:basta uno sguardo e le sue creature partono all'attacco.Latias scaglia una pioggia di meteore sul castello,distruggendo la maggior parte delle torri e parte della porta principale,una porta rinforzata in acciaio;Dopodichè un'intensa luce risplende sul corno di Keldeo e a questa luce sfavillante segue un raggio incandescente che rade al suolo i resti della porta principale e incenerisce le guardie del mago che erano accorse in difesa della porta.Una volta entrati nel castello,ad aspettarli dentro,c'è il mago con una grande creatura al suo fianco:il corpo della creatura,dalle sembianze feline, è grigio,con una lunga coda viola e le sue mani hanno tre dita e due occhi viola,occhi che riflettono la sua anima spietata e malvagia.Il mago governava questa creatura con i suoi incantesimi oscuri e non esitò un attimo quando vide Maedrhos attraversare i resti della porta principale,ormai distrutta."Mewtwo,distruggili,non avere alcuna pietà contro di loro!" al risuonar di queste parole la creatura si lanciò all'attacco:grandi sfere viola di natura psichica vennero lanciate dalle sue mani a tre dita.La potenza distruttiva delle sfere era enorme e Madrhos si trovò sin da subito in grande difficoltà .In difesa del paladino,si lanciò alla carica Keldeo,intenzionato ad infilzare col suo corno il temibile nemico:il tentativo dell'unicorno fu facilmente sventato da Mewtwo,il quale lo mise fuorigioco con una devastante aura di natura psichica sprigionata dal suo corpo.Latias,intanto,era andata a salvare la principessa,la quale era imprigionata in una torre del castello posta in una posizione più nascosta. Al suo ritorno anche il drago rosso provò a fermare la creatura dalle sembianze feline ma l'esito fu negativo:Mewtwo evitò le meteore lanciate dal drago e lanciò una sfera grigia e oscura che mise al tappeto Latias. Doublade,vista la situazione critica e le poche possibilità di vittoria,sprigionò un potentissimo campo energetico,seguito da una fortissima luce simile a quella emessa dal sole:si stava trasformando nuovamente. Scomparsa la luce Maedrhos potè ammirare la grandezza e la maestosità della nuova creatura:le due spade si erano fuse in un unico spadone dorato,la base della lama, più scura, racchiudeva un bulbo oculare con un'iride viola e una pupilla bianca lucente,ai cui lati si estendevano due braccia:una terminante in 4 filamenti simili a dita e un'altra recante uno scudo dorato circolare.Il suo nuovo nome,sempre inciso a livello dell'elsa,era Aegislash.Lo scontro riprese ed Aegislash riusci a tenere testa a Mewtwo,finchè la creatura felina non provocò una fortissima esplosione che coinvolse l'intero campo di battaglia.Al dissiparsi della luce accecante e del gran polverone alzato dall'esplosione,Maedhros,stordito e ferito,vide la giovane fanciulla a terra priva di sensi.Temette il peggio e corse subito in soccorso di Aredhel:non resprirava più,i suoi occhi sembravano essersi chiusi per sempre e la sua anima stava già per lasciare il suo corpo esanime. Aegislash era l'unico che non aveva subito alcun danno poichè, proprio prima dell'esplosione,aveva cambiato forma del corpo,coprendo interamente il suo corpo al di sotto del suo scudo maestoso.In seguito all'esplosione Mewtwo sembrava davvero stanco e in difficoltà ed Aegislash capi che quello era il momento per finirlo una volta per tutte:cambiò nuovamente forma,sfoderando il suo spadone dorato,e con un fendente poderoso,trafisse Mewtwo dritto al cuore.Il mago tentò di rianimare la sua creatura con altri incantesimi di natura oscura ma Aegislash aveva colpito dritto al cuore e non c'era più niente da fare per Mewtwo.Intanto Maedhros,cominciò a piangere vicino al corpo esanime di Aredhel:sembrava non esserci piu alcuna speranza per la fanciulla.Ma ecco che Latias,ferito e sfinito dallo scontro precedente,si avvicinò lentamente al corpo di Aredhel:una lacrima scivolò dall'occhio color ambra del dolce drago e dopo aver guardato intensamente il suo amato compagno Maedhros negli occhi,si alzò in cielo.Maedrhos non capiva,cosa aveva intenzione di fare il suo dolce drago,compagno di mille avventure?Solo pochi istanti dopo iniziò a capire:Latias aveva scelto di sacrificare la propria vita per salvare quella di Aredhel:una leggenda diceva il drago rosso era capace di donare la propria vita per salvarne un'altra,una tecnica che gli antichi chiamavano Curardore.Una sfera luminosa circondò il drago e poco dopo quella sfera avvolse il corpo della ragazza:passò un minuto prima che la ragazza apri gli occhi.Latias era svanito nel nulla:aveva sacrificato la sua vita,donato la sua vita per salvare una ragazza a cui non era nemmeno legata.Tutto per Maedhros,per donare al suo amico un nuovo barlume di speranza e un ultimo sorriso.Diverse lacrime scivolarono dagli occhi di Maedhros,lacrime di tristezza e dolore dovute al gesto del suo caro amico drago e lacrime di gioia e felicità per la ragazza che aveva riaperto gli occhi.Fatto prigioniero il mago,Maedhros e Aredhel potettero tornare nel regno del paladino,in sella al fedele unicorno e insieme ad Aegislash. "Caro nipote,la storia del nobile paladino di Caranthir termina qui:sappi che,giorno dopo giorno, sembra rivedere in te proprio il giovane Maedhros e so che un giorno diventerai un eroe,proprio come lui". Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
Xvo-Liu Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell’autore: Xvo-LiuTitolo: "Fantasy REAL life!"Elaborato:Il giorno in cui tutto iniziò, scoprii che nel pianeta Terra nessuno nutriva un vero rispetto per i paladini sarti come me. Stavo dormendo serenamente nella mia stanza, quando ad un tratto la finestra si ruppe e un sasso rimbalzò rumorosamente sul pavimento, svegliandomi di soprassalto. In quel momento, ancora divisa tra il mondo dei sogni e quello reale, udii degli insulti provenire da fuori. Tuttavia, quando mi sporsi per controllare non vidi nessuno.Mi voltai per piegarmi a raccogliere l'oggetto che aveva mandato in frantumi il vetro della mia finestra. Sembrava un comunissimo sasso, ma io pensai subito ad una meteora.Mio fratello Erik entrò di colpo nella mia stanza. A quanto pareva quel rumore doveva aver svegliato anche lui.Indossava un pigiama verde, decorato con un motivo pieno di corone d'oro tutte uguali l'una all'altra. Siccome gli piaceva comportarsi da sovrano, e io ero la sua fiera paladina, lo ascoltai con reverenza quando disse:
 "È chiaro che il cielo abbia voluto punirci per mezzo di questa meteora, tentando alla vita della mia più fedele servitrice. Per questo motivo dobbiamo comprendere cosa gli dei abbiano voluto comunicarci con tale segno.Temo proprio che oramai sia giunto il momento di rivolgermi a Lui".Sebbene non sapessi a chi si riferisse, lo scoprii presto. Infatti, dopo aver cercato col mio cellulare – preso in prestito senza chiedermelo – il numero di qualcuno su una pagina facebook di cosplay, chiamò questa persona, pregandolo di raggiungerci il più in fretta possibile.Sebbene fosse l'una di notte, colui che poteva salvarci dalla situazione in cui ci trovavamo arrivò in meno di venti minuti. La cosa che mi lasciò più a bocca aperta di lui era il fatto che indossasse il costume di una farfalla gialla dai bordi blu scuro."Salve!" disse lo strano individuo, che doveva avere più o meno venticinque anni, con un gran sorriso stampato in volto.I baffi e la barba neri, assieme alla pancetta, non rendevano esattamente l'idea di leggerezza ed eleganza femminea, che sarebbero invece dovute appartenere ad una farfalla."Lisa, questo è Franfalla, un mio vecchio amico" spiegò con aria solenne Erik. "Domani, quando ti darai malata al negozio di sartoria, dovrai girare per la città con lui cercando prove e testimoni".L'indomani non sarei voluta mancare al lavoro, ma prima che sarta ero paladina, e se il re aveva parlato, io potevo solo limitarmi ad eseguire gli ordini."Bene, ho detto tutto" disse infine mio fratello. "Anche un monarca avrà bisogno di dormire, non credete? Piuttosto, tu, Franfalla, renditi utile e fa' sì che mia sorella non prenda freddo, che domani avrà bisogno di tutte le sue energie".Dopo aver pronunciato queste parole, Erik andò a dormire nella sua stanza, e Franfalla si mise col proprio corpo, la testa e il busto fuori dalla finestra, a riempire il buco lasciato nel vetro dalla meteora, evitando così che entrassero gli spifferi d'aria. Gliene fui molto grata e mi misi a dormire più tranquilla che mai.Mi risvegliai sei ore più tardi, tutta infreddolita. Franfalla non stava più in mezzo al buco della finestra, ed ora giaceva addormentato a terra. Quando mi alzai dal letto vidi però che sul pavimento c'era una pozza di sangue e che una scheggia di vetro era infilzata nello stomaco di Franfalla.Lo scossi per risvegliarlo."Franfalla! Stai sanguinando! Svegliati!" esclamai.Il mio aiutante si svegliò con fatica, e con lo sguardo spento si staccò di netto la scheggia come se nulla fosse."Mi spiace non essere riuscito a rimanere in piedi tutta la notte" disse. "Però forse è meglio se la prossima volta usiamo il nastro adesivo per coprire il buco"."Assolutamente no!" intervenne mio fratello, entrando in quel momento nella mia stanza. "Il nastro adesivo non potrebbe mai evitare che il freddo entri, mentre la tua grassa panc... Ehi! Ma stai sanguinando!"."Pur di non farmi patire il freddo è rimasto incastrato nella finestra, sebbene fosse gravemente ferito" spiegai ad Erik, che a mio avviso si stava comportando troppo duramente con il buon Franfalla."Domani sera, allora, mio caro vecchio amico, avvolgiti il busto con dieci giri di nastro adesivo, così sarai più al sicuro dalle schegge e mia sorella dormirà al caldo" concluse Erik con tono di superiorità . "Adesso fate una buona colazione e poi partite all'avventura!".Quando uscimmo di casa, i problemi arrivarono immediatamente."Scusi, signorina" mi disse la barista sulla mezza età , con il tono di chi si sente preso in giro. "Per pagare il caffè servono degli euro. Questi Lyr di cui parli non li ho mai sentiti. E poi sembrano pezzi di carta disegnati coi pastelli"."Colori a cera" la corressi altezzosamente. "Comunque, per fortuna, mi porto dietro sempre qualche euro per evenienze come questa".Quando misi una moneta da due euro per pagare il caffè mio e quello che avevo offerto a Franfalla, ammonii la donna con alcuni versi:
 "Triste è il destino di chi non accetta il primo pagamento,la vita di colui che disprezza il Lyr sarà un vero tormento!".La donna mi guardò con gli occhi di chi stava guardando un folle e mi fece lo scontrino senza dire più una parola.Durante le due ore che seguirono, girammo per il centro della città , chiedendo a tutti i passanti se avessero visto una meteora cadere la notte prima, ma nessuno ne sapeva niente, anche se l'aria stranita con cui ci guardavano mi insospettiva parecchio. Ad un certo punto vidi che Franfalla cercava invano di nascondersi dietro di me."Che hai?" gli chiesi. "Perché non vuoi farti vedere?"."Il fatto è che là c'è la mia ex e il mio vestito ha un taglio sulla pancia. Oltretutto è ancora sporco del mio stesso sangue" mi confessò tristemente. "Non posso farmi vedere da lei in queste condizioni."."Tranquillo, è una robetta da niente. Si sistema subito" dissi con entusiasmo. " Lascia fare a me!".Siccome mi portavo sempre dietro un kit di cucito per via del mio lavoro, mi appoggiai per terra e trovai un ago, del filo giallo e un pezzo di feltro del medesimo colore abbastanza grande per coprire la ferita.In meno di un minuto avevo risolto il problema e la mia felicità aumentò a dismisura.Quando la sua ex gli passò accanto, Franfalla la salutò senza più vergognarsi, perché il suo abito da lepidottero giallo e blu era ora come nuovo.Non capii perché la ragazza fece comunque finta di non conoscerlo, mentre le sue amiche la prendevano in giro. Forse, durante la relazione, avevano avuto problemi seri di cui non sapevo nulla."Come mai si è comportata così?" gli chiesi quando se ne fu andata, cercando di apparire disinvolta."Non saprei dirtelo" rispose Franfalla. "Dopotutto i due giorni con cui sono stato con lei sono stati i più belli della mia vita..."."Mi dispiace molto" dissi, cercando di confortarlo. "Ma devo dirti che l'averti sistemato il vestito mi ha reso molto felice e credo di avere abbastanza punti felicità per possedere un animale domestico".Proprio come se l'universo avesse udito la mia richiesta, a pochi metri da noi c'era un cane scodinzolante, legato ad un palo. Il padrone era un uomo che aveva accompagnato la moglie dentro un negozio di scarpe, e pareva proprio essere triste di doversene stare lì dentro."Quell'uomo non ha abbastanza punti felicità per possedere quel cane" dissi con determinazione crescente. "Franfalla, aiutami a slegarlo. Sarò io da oggi a prendermi cura di quella povera bestiolina".Quando mi piegai sul cane, un volpino rossiccio dallo sguardo poco intelligente, dissi per calmarlo:"Ciao, piccolino! Saluta la tua nuova padrona!".Il cane mi scodinzolò e parve non importargli di essere preso in braccio da me, quando Franfalla lo slegò dal palo. Tuttavia, la cosa non piacque molto al padrone dell'animale, che avendoci visti, uscì di corsa dal negozio di scarpe per inseguirci.Per fortuna eravamo giovani e in forma. Perlomeno, io lo ero. Ma anche Franfalla, sebbene restasse dietro di me di qualche metro, non si fece catturare dall'uomo, e infine riuscimmo a seminarlo, nascondendoci in una grotta. La grotta che intendo era un sottopassaggio pieno di quelle decorazioni chiamate graffiti, che penso siano fatte dai maghi alchimisti per nascondere certi luoghi. Infatti, per quante sostanze illegali questi giovani maghi fumassero in questi sottopassaggi, nei quali era palese che venissero compiute queste malefatte, la polizia non andava mai a controllare. Da questo dedussi che quei graffiti fossero in realtà simboli alchemici di protezione.In quel momento speravamo anche noi di essere protetti, e per fortuna il volpino non abbaiava, evitando così di rivelare la nostra posizione.Scrutando meglio capii che la creaturina era una femmina e decisi di chiamarla Erika, in nome del mio re.Dopo qualche minuto che eravamo rimasti fermi con le spalle contro il muro a riprendere fiato, udimmo delle voci.Provenivano dalla grotta accanto e allora ci avvicinammo per spiare. Probabilmente gli individui che stavano parlando sapevano qualcosa della cometa. Dopotutto si trattava pur sempre di maghi alchimisti."Cosa fai?" domandò un ragazzino che indossava un cappello con la scritta SWAG. "Non te la vorrai fumare tutta tu!".I ragazzi erano in quattro e si stavano passando quella che doveva essere l'equivalente della pipa della pace dei nativi americani. Osservai quel rituale con profondo rispetto. Quale saggezza stava galoppando ora nelle loro menti simile ad un leggendario bisonte bianco?"Quella è una sostanza oscura" mi avvertì Franfalla, che pareva saperne parecchio sull'argomento. "Ottenebra il pensiero e fa compiere cose terribili. Un tempo anche io facevo parte di questi gruppi. Prima di dedicarmi al cosplay, intendo"."Ieri sera chissà se abbiamo colpito qualcuno con quel sasso!" esclamò ad un certo punto uno dei ragazzini, facendosi delle grasse risate."Magari sul telegiornale di mezzogiorno daranno la notizia speciale che un ragazzo è stato ucciso!" fece un altro, ridacchiando."Così quell'Erik imparerà a dire che il rap non è vera musica!" intervenne un altro. "È stato molto stupido da parte sua dirci dove abitasse, e quale fosse la finestra della sua stanza!".Avevo udito abbastanza. Mio fratello, il re, aveva insultato dei maghi e la loro cultura. Inoltre aveva detto loro dove si trovasse la mia stanza, spacciandola per sua. Se me lo avesse chiesto gentilmente, in qualità di paladina, gli avrei volentieri fatto da scudo, prendendomi i sassi al posto suo, ma così, non mettendomi al corrente di come stavano realmente le cose, mi sentivo ingannata.Avrei dovuto intuire che il cielo non ce c'entrava niente in quella storia, e che quella meteora era stata scagliata da un incantesimo magico di vendetta.Che dovevo fare? Anche se mi aveva ingannata, rimaneva sempre il mio re.Quando uscii allo scoperto, Franfalla gridò a bassa voce:"No! Che cosa vuoi fare?"."Passi per me, ma con questa bravata di Erik ci sei andato di mezzo anche tu, Franfalla" dissi, rivolgendomi prima a lui, poi ai ragazzi. "Sentitemi bene, venerabili maghi. Mio fratello ha ingannato sia voi che noi. Quella che avete colpito ieri sera era la mia stanza, e chi volevate punire è rimasto illeso"."La sorella di Erik? Niente male, eh?" fece uno di loro, rivolgendosi agli altri che acconsentirono col capo."Devi perdonarci" disse quello che pareva essere il loro capo, togliendosi il cappello dalla testa in segnodi rispetto. "Non avremmo mai fatto del male ad una signora. Ora dobbiamo vendicarci doppiamente. Andiamo, ragazzi!".I quattro maghi, io, Erika – che in quel momento mi pentii di aver chiamato così – e Franfalla, ci recammo a casa mia, per farla pagare a mio fratello.Fu proprio Erik, non appena arrivammo, ad aprire per caso l'uscio, e dopo averci visti, a richiuderlo spaventato.Siccome quella era anche casa mia, avevo le chiavi e quindi non fu difficile entrare dentro. Tuttavia, mio fratello poteva essere corso di sopra a chiudersi nella sua stanza, e in quella non sarei riuscita ad accedere senza sfondare la porta."Che bello 'sto orologio" disse uno dei ragazzi, che si erano sparpagliati in giro per la casa, come se Erik non fosse più il loro bersaglio principale. "Me lo presti?"."D'accordo, è di mio padre, ma se ti serve per i tuoi incantesimi sarà un piacere fartelo usare per un po'" risposi, con la mente rivolta alle scale, che avrebbero portato al piano in cui si trovava la stanza di mio fratello."Senti, zia!" esclamò un altro ragazzo. "Qui ci sono delle collane d'oro, mi servono per fare le magie, me le presti solo per oggi?"."Massì, massì, prendete tutto ciò di cui avete bisogno, ma poi saliamo che Erik è di sopra" dissi alterandomi un po'.I ragazzi fecero ciò che avevo detto loro e si intascarono tutti gli oggetti di valore e alcune banconote.Dovetti persino dire dove fosse la cassaforte e aprirla, quando mi dissero che senza i tesori dello scrigno non potevano farla pagare a mio fratello come avrebbero voluto.Consegnai anche Erika, che ormai mi stava antipatica per il nome. Tuttavia, quando ottennero tutto ciò che avevano chiesto, i quattro maghi se la diedero a gambe, gridando:"Bella, noi ce la filiamo!".Proprio in quel momento, però, la polizia si trovava davanti a casa mia e li fermò. Trovarono addosso a loro gli oggetti che avevano rubato a me – che ci furono restituiti – alcuni grammi di sostanze illegali, e il volpino rubato di cui il padrone aveva denunciato la scomparsa. Sebbene i quattro ragazzi non corrispondessero affatto alla descrizione dei rapitori data dal padrone di Erika, il suo animale era stato ritrovato e il resto non aveva più importanza."Per ingannare il nemico devi ingannare prima l'amico" disse Erik, che stava scendendo in quel momento scale."Vostra maestà !" esclamò Franfalla."Fratello!" dissi io."Mi dispiace non avervi detto tutta la verità sin dall'inizio" spiegò il re. "Tuttavia era necessario per la riuscita dell'impresa. Volevo consegnare alla legge quei delinquenti, ma solo se voi foste stati ignari di tutto sareste riusciti a farcela. Anche voi mi avete tradito portando qui quei maghi per punirmi, ma come vedete non sono arrabbiato, perché l'avevo predetto".In quel momento mi sentii davvero stupida e davvero in colpa per aver dubitato di lui. Ma era stato proprio grazie ai miei dubbi che avevo svolto il mio lavoro in maniera impeccabile.Mossi da una forte emozione, io e Franfalla stringemmo in un forte abbraccio il nostro re, che si era dimostrato un vero e proprio stratega. Quel giorno decisi che mai più avrei dubitato di lui.Franfalla, invece, fu assunto regolarmente come tappabuchi della mia finestra per tutte le notti a venire. Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
morgan_nubeleone Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell’autore: morgan_nubeleoneTitolo: La LeviatalenaElaborato: E’ un tranquillo pomeriggio di mezza estate. Qui ad Oceanica il tempo è mite, siamo riscaldati dal caldo sole e rinfrescati dalla brezza marina, che ci accarezza lieve trasportando un dolce odore di salsedine. Come ogni pomeriggio degli ultimi 20 anni, passo la giornata seduto sulla battigia, guardando l’orizzonte, che ha come sfondo il Mare dei Sette Colori, l’enorme oceano che brilla di diversi colori in base alla rifrazione del sole, alle temperature e alle stagioni. Oggi risplende di un arancione vivido, che sfuma quasi nel rosso, e i miei piedi, rugosi più per l’età che per il tempo passato a mollo, ci sguazzano dentro come vecchi pesci. E, a proposito di pesci, la mia canna da pesca rimane inerte, mossa solo dal lieve Ponentino, in attesa di essere colta da qualche pesce ingenuo. Ultimamente catturo solo tribiglie, pescetti tondi con 3 occhi, lunghi baffi e dal sapore così blando da sembrare quasi effimero, e scorvanacci, grossi pesci neri con piccole membrane che permettono loro di librarsi per qualche minuto sopra il mare, ma brutti quanto disgustosi, dalle carni talmente amare che bisogna spargerci sopra diverse sacche di zucchero per renderle accettabili al palato. Perciò ormai passo più tempo a rigettarli in mare che a fare una pescata decente, salvo qualche rara occasione in cui mi ritrovo così fortunato da pescare delle rarità , come il polpo corallo, dalla carne tenerissima e le cui zampe hanno un notevole valore, se usate per ricavarne collane e bracciali da vendere al mercato cittadino. Guardo il mare, dono ai pesci la libertà , e ripenso alle mille avventure della mia gioventù. Ne ho passate davvero di ogni genere, e non mi sorprende che spesso non venga creduto a chi mi sta ad ascoltare, io stesso non ci crederei, se non le avessi vissute sulla mia pellaccia! Solo in Nate, mio nipote, vedo brillare gli occhi di meraviglia sentendo i miei racconti, la stessa scintilla di stupore ed incanto che splendeva nei miei occhi di fronte a quegli avvenimenti, che per la maggior parte della gente del villaggio (e, ahimè, anche dal resto della mia stessa famiglia) sono ritenuti solo frutto della mia fantasia…<< Nonno, nonno! Cosa hai pescato di bello, oggi? >> Parli del diavolo… Me lo vedo arrivare di corsa, magrolino come un chiodo e la folta chioma azzurra tipica della nostra famiglia incollata alla faccia, con addosso solo un costume rosso bagnato da un recente tuffo in mare. << Se continui ad urlare così, niente! >> gli dico sorridendo. Lui per tutta risposta si butta al mio fianco, sorride e si mette un dito sulle labbra, facendomi scoppiare dalle risate. Restiamo lì, seduti sulla sabbia bianca, in silenzio per una quindicina di minuti. Poi il ragazzo inizia a pormi la stessa domanda che mi fa quasi ogni giorno, da quando ha cominciato a formare frasi di senso compiuto: << Mi racconti una tua avventura? >>. << Quale vuoi sentire? Di quando ho dato la caccia ad un Trichecorso di 3 tonnellate? Oppure di quando ho pescato l’orata dorata gigante, le cui scaglie mi hanno permesso di comprare la nostra casa e di girare il mondo? >>. << No-ooo, quelle me le hai già raccontate un sacchissimo di volte! >> Mi dice con tono annoiato, ciondolando le gambe in acqua come me. << Raccontami la tua storia più avvincente, la più pericolosa che hai vissuto! >>. << Mmm, lasciami pensare… >> dico, fingendo di dover rovistare nei libri della mia memoria, mentre arriva subito il ricordo che interessa a mio nipote. Quel momento è rimasto profondamente impresso nella mia mente, indelebile nonostante lo scorrere del tempo. << Ok, senti questa. Farà un po’ paura, quindi dimmelo se vuoi che smetta di raccontare… >>. << Ma va, nonno! Sono troppo grande per aver paura! >> mi dice dall’alto dei suoi 6 anni. << Eh! Eh! D’accordo… E’ successo un tardo pomeriggio d’estate, come adesso…Avevo 28 anni, ed ero nel pieno delle forze. Passavo la maggior parte dei miei giorni andando a caccia di bestie demoniache, che imperversavano nelle foreste del Nord, e pescando pesci-diavolo, che saccheggiavano le reti e assalivano le barche dei pescatori dei mari del Sud. Venni contattato dal sindaco di Aquamarina, detta anche la “Città delle Baie Nereâ€, proprio per cacciare un gruppo di quelle fiere, un banco di Murene Cerbero, lunghe anguille dalle tre teste serpentine, ognuna dotata di denti affilati come lame di rasoio, che faceva razzia di tutto il pescato del paese. Mi apprestai quindi a dar loro la caccia, usando le mie esche migliori, in una delle baie più frequentate da queste bestiacce, e dopo 3 giorni avevo già la barca piena di quelle orribili creature. Dopo aver ricevuto il compenso per il lavoro svolto, decisi di usare i corpi delle murene, non commestibili per l’uomo, ma considerate prelibatezze per i pesci di grandi dimensioni come gli squali mammuth e i pesci trespade, per dare la caccia alla leggenda locale: la Leviatalena. >><< La Leviatalena? >> ripete Nate, con gli occhioni spalancati. << E che cos’è? >>. Gli rispondo, riprendendo la narrazione.<< E’ una bestia leggendaria, la cui storia si racconta dalla fondazione di Aquamarina. Una gigantesca balena blu, dagli occhi luminosi e dalle zanne grandi quanto un uomo adulto, così enorme da causare tsunami e maremoti. Ovviamente ero conscio che fosse solo un mito che si tramandava da generazioni, ma all’epoca ero curioso di verificare se questo mito non avesse un fondo di verità . Perciò, spinto dalla curiosità (e da qualche bicchiere di troppo di gin doppio, ma questo è meglio non dirglielo), mi avventurai nella “Baia della divinità â€, la zona in cui, secondo i racconti, giaceva la Leviatalena in un sonno profondo. Rimasi per 4 giorni su quel guscio di noce della mia barca, la Nautila, aspettando invano l’avvento di quella creatura –o di qualche altra fiera di grosse dimensioni, per ricavarci almeno qualcosa-, e nel tardo pomeriggio del quinto giorno, quando ormai ero io stesso preda, ma della stanchezza e della noia, e stavo per rinunciare… STING! >> Nate sobbalza dalla sorpresa. << Le dieci lenze a cui erano appese le Murene Cerbero si tendono di colpo! “Deve essere bello grosso†pensai, cercando di tirare su il mio gradito ed atteso ospite, ma quelle rimanevano fisse, non c’era verso di spostarle per quanto tirassi. Finché non cominciarono a venire a galla da sole. Inizialmente pensai che l’animale avesse mangiato tutte le esche e se la fosse filata a mie spese, finché non vidi delinearsi davanti alla mia barca un’enorme ombra, che ogni secondo di più cresceva in misura. Poi l’acqua ribollì, si gonfiò, ed infine emerse la creatura più grande che avessi mai visto… >><< LA LEVIATALENA! >> grida Nate, stringendomi il braccio. Rido per la buffa espressione di sorpresa che gli leggo in volto, e continuo.<< Era davvero mastodontico, un titano blu, dagli occhi luminosi come la luna piena, le pinne gigantesche ali bianche e carnose, e la bocca… Fauci irte di gigantesche zanne perlacee, più grandi di me. Ero spaventato alla vista di quel mostro, ma allo stesso tempo eccitato. Avevo scoperto che le storie erano vere, avevo davanti una vera e propria leggenda vivente, e catturarla mi avrebbe reso l’uomo più famoso della zona, oltre che il pescatore migliore al mondo. Quindi presi tutto il coraggio in mio possesso e tirai gli arpioni che mi ero portato dietro, mentre la creatura mi guardava con pigra curiosità . Un paio di colpi semplicemente rimbalzarono, talmente era elastica la sua pelle, ma quando uno gli si conficcò poco sopra l’occhio, che avevo mirato, finalmente reagì, agitandosi come in preda alle convulsioni. Tirò e tirò, mentre l’acqua intorno a me vorticava impetuosa come se fossi al centro di un maelstrom, e la barca era urtata dalle ondate che la mole gargantuesca del gigante marino creava col suo spostamento. Come temevo, a forza di tirare spezzò la mia canna da pesca, ricavata da un albero di salice gommoso, il legno più resistente e flessibile del mondo, e per un attimo fui preso dallo sconforto. Ma le lenze, fatte col filo di una Tarantolacciaio, le più resistenti del paese del Sud, continuavano a restare prigioniere della morsa della bestia. Così, senza rifletterci troppo, le afferrai il più saldamente possibile, conscio di avere dei guanti sì robusti, fatti di cuoio di tassorso, ma non indistruttibili. Infatti dopo ore ed ore che inseguivo la Leviatalena - che per fortuna non si inabissò mai, ma semplicemente girava in circolo come se stesse cercando di scacciare una mosca fastidiosa qual io ero, mentre cercavo di farla stancare prima di finire io stesso preda della spossatezza-, i fili finirono col tranciare il cuoio, per incontrare la pelle delle mie mani. Si lacerarono facilmente, facendomi grondare le braccia di sangue, che si mescolava all’acqua che si era nel frattempo raccolta sul fondo della barca. Il dolore era a dir poco lancinante, cominciai ad urlare ed imprecare dal male, ma strinsi i denti, e ancora più forte le dita intorno alle lenze, e non mi diedi per vinto. Tirai, con la stessa intensità con cui tirava la creatura, i muscoli in tensione, i nervi in fibrillazione, il sangue che fluiva in tutto il corpo, e anche fuori dalle stimmate delle mie mani, il dolore e la stanchezza scacciati dall’adrenalina, diedi la caccia alla bestia fino a notte fonda. Stremato, ansimante, sporco di sale e sangue, cercavo di resistere tremando, ma avevo raggiunto il limite. La creatura si fermò, mi guardò come divertita, con aria di sufficienza, e si avvicinò alla barca. Ero ormai rassegnato a finire in pasto al gigante, quando sentii una voce, nella mia testa…“Allora, hai finito?†mi chiese. Rimasi di sasso, emettendo solo un << Eh? >> come risposta. Sentivo la voce della Leviatalena nella mia testa! Lo giuro su ogni preda che ho catturato in tutta la mia vita, sentivo la voce profonda e cavernosa di quell’essere come tramite telepatia! Continuò dicendo: “Io sono il signore della baia, e da millenni veglio su questo luogo. Sono passati secoli da quando l’ultimo sciocco essere umano tentò, invano, di catturarmi come se fossi un comune animale da trofeo. Da allora ho dormito, consapevole che non ci sarebbe mai stato, e mai ci sarà qualcuno in grado di vincermi, e tu sei solo l’ennesimo folle che ci ha provato.†Tremando, gli chiesi perdono per l’affronto, sicuro che mi avrebbe comunque divorato in un sol boccone, ma lui al contrario rise. “Uh! Uh! Non avere paura… Hai commesso un atto sdegnoso nei confronti di una divinità , è vero, ma hai dimostrato un coraggio ed una tenacia davvero rari, per un essere umano… Quindi ti lascerò vivere… Per questa volta…†Detto questo, tranciò con estrema facilità i fili della lenza, dimostrandomi che per tutto il tempo aveva solo giocato con me, e tornò nelle profondità degli abissi. Io tornai al villaggio, mangiai e bevvi per 4 persone, dormii per 2 giorni di seguito e tornai a casa. Non raccontai a nessuno quello che accadde, sicuro di non essere creduto, almeno finora. Nate, sei il primo a sentire questa storia. Dovresti esserne quasi onorato! Eh! Eh! >> Quando finisco il racconto, il sole sta tramontando, mischiando l’arancione del cielo con quello del mare. Nate rimane in silenzio, scrutandomi con i suoi occhioni increduli e stupefatti, finché mi chiede, balbettando: << E’… E’… tutto… vero? >>. Per tutta risposta sorrido, mi sfilo i guanti di pelle dalle mani, e gli mostro i palmi, ricoperti dalle profonde cicatrici lasciatemi dalle lenze.<< Nate, è ora di cena! Di’ anche al nonno di entrare! >> grida sua madre. Nate mi guarda ancora perplesso, poi sorride e si mette il dito sulle labbra. Poi corre in casa, ridendo. Io mi alzo lentamente, raccolgo i miei strumenti per la pesca, e guardo per un’ultima volta l’immenso mare.<< Chissà , quando sarà più grande potrei presentarlo al signore della baia… Eh! Eh! >>, e ridendo mi avvio anch’io verso casa. Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
JackFrost24 Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell’autore: Jack24Titolo: Il viaggio del destinoElaborato: Correvo, ormai da molto tempo, non mi guardavo nemmeno alle spalle, non riuscivo a pensare ad altro al di fuori di scappare.Finalmente presi coraggio e mi voltai, fortunatamente ero solo, totalmente solo in mezzo ad un enorme prateria abbandonata, ormai stremato mi fermai e accasciandomi a terra mi venne in mente se quello che avessi appena fatto fosse stata la cosa giusta, ero scappato ma d’avanti a me avevo solo il buio della notte, senza cibo ne acqua e con pochissime forze rimaste.Rimasi sdraiato su quell’erba umida dove decisi di passare la notte.La mattina seguente alle prime luci dell’alba mi alzai e continuai a camminare barcollando, senza una meta e senza sapere fino a dove sarei arrivato, fortunatamente notai in cima ad una collinetta un piccolo paesino, simile a un borgo medievale.Riuscii ad arrivarci in un ora, portato avanti solo dalla mia forte volontà , una volta arrivato entrai subito in un’osteria e mi sedetti vicino un bancone.– un pezzo di pane e un bicchiere d’acqua – esclamai tirando fuori dalla tasca una moneta d’argento, probabilmente l’ultima.– mi sembri molto affaticato – mi disse una voce, girandomi vidi una ragazza, avrà avuto più o meno la mia età , capelli biondi e molto lunghi, anche lei però sembrava mal messa.– non mi sembri in condizione di criticare – risposi in tono battagliero.Lei non disse nient’altro, continuò a bere dalla sua tazza.Una volta mangiato e bevuto, mi alzai, guardai il cameriere e dissi – ci credi che io una volte ero un falegname – poi me ne andai per la mia strada, ma appena fuori l’osteria sentii di nuovo la voce della ragazza, – Perché? Perché hai smesso di fare il falegname? –Mi girai e avvicinandomi alla ragazza esclamai – sono un Mercenario, sono stato chiamato in guerra, a combattere con le truppe della regina Lidya nelle terre di Nord Ovest, non avevo altra scelta –– come hai fatto a tornare da quel posto –– il capo del mio gruppo era mio fratello, pensava di potersi fidare di me, così tanto da mettermi al corrente di un complotto organizzato dalla sua squadra per uccidere la regina, non si sarebbe mai immaginato un rifiuto, mi ero unito ad un gruppo di traditori, ogni singola persona vicino a me non aveva la minima intenzioni di combattere per la salvezza di questa valle –– salvezza? Non esagerare, le tribù contro la regina non hanno abbastanza forza per conquistare questa valle –– allora non hai capito, mio fratello e il suo gruppo hanno fatto un accordo con quelle tribù, uccidendo la regina indeboliranno le nostre truppe, sarà uno sciok per tutti, ci prenderanno di sorpresa –– e come hanno in mente di arrivare alla regina? –Feci una piccola pausa prima di rispondere – questo non è affar tuo, non so nemmeno perché sto ancora qui a parlare con te, questa notte sono scappato da mio fratello e sicuramente mi starà cercando, addio –– aspetta – mi fermò – dove hai intenzione di andare ora –– devo arrivare alle terre di nord-ovest, ad avvertire la regina –– sei impazzito, è un viaggio pericoloso,non ci arriverai vivo al castello della regina –– grazie per l’incoraggiamento – le dissi voltando le spalle e andando via.– per questo verrò con te – io mi fermai di scatto, e senza pensarci troppo risposi – come vuoi, se non ti sta a cuore la vita … –– comunque io sono Stephy – mi disse.– Richard – risposi.– qui dove siamo di preciso – domandai, abbastanza disorientato, – siamo ancora ad est, vedi quelle montagne laggiù – disse indicando delle alte montagne all’orizzonte – da lì iniziano le terre del nord, la battaglia si sta svolgendo molto ad ovest dopo quella zona –Andammo verso il carrozziere più vicino di quel borgo, e offrendogli una moneta datagli da Stephy si convinse a portarci fino alle montagne del confine, non oltre.Saliti sulla carrozza i due cavalli iniziarono a correre, ignari del lungo viaggio che avrebbero dovuto affrontare.– come faremo una volta arrivati al confine? Saremo a piedi – disse Stephy, ma io la rassicurai, avevo già in mente un piano.Dopo 2 giorni di viaggio il cocchiere si fermò, e ci mise al corrente del fatto che stavamo per attraversare la foresta dei troll, e per ogni ora passata li dentro la tassa sarebbe raddoppiata.Ogni tanto mi affacciavo dal finestrino per vedere se tutto andasse bene, anche se riuscivo a sentire la tensione del cocchiere, non tutti entravano in quella foresta e ne uscivano tutti interi.I troll sono famosi in questa valle per il fatto che riescano a mimetizzarsi alla perfezione con la natura di questa foresta, insomma, senza saperlo potevamo addirittura passare con la carrozza sopra uno di loro, fortunatamente dopo qualche ora riuscimmo ad uscire dalla foresta senza aver nemmeno visto l’ombra di un troll.Il viaggio proseguì senza grandi problemi, una cosa che mi rimase molto impressa fu quando una mandria di centauri attraversò la strada, erano tantissimi, andavano velocissimi, ma soprattutto mi fece impressione la tanta somiglianza delle loro facce a quelle umane, anche se sotto erano dei cavalli a tutti gli effetti.Passata ormai una settimana la carrozza si fermò, eravamo arrivati ai piedi delle montagne, il confine tra i territori dell’est e quelli del nord.– da qui in avanti proseguite da soli, in cima alla montagna c’è un bivacco dove potete comprare delle armi – ci disse il cocchiere, mentre faceva girare i suoi cavalli per il viaggio di ritorno.– non serve – dissi io, subito dopo tirai fuori un coltello molto affilato e feci scendere il cocchiere – mi dispiace ma è essenziale quello che sto facendo, non mi crederai ma serve per salvare questa valle –Non riuscii a guardare negli occhi il cocchiere, mi sentivo troppo in colpa per quello che stavo facendo, non sapevo nemmeno se avrebbe superato la notte in un posto ostile come quello, una volta fatta salire Stephy andammo verso il monte, lasciando quel pover uomo solo, senza parole.– Richard, tu mi devi ancora delle spiegazioni, com’è possibile che possano uccidere la regina con tutte quelle guardie ai suoi ordini –– tu non ne hai idea, secondo te, io che sono un Mercenario, perché mi trovavo in quel borgo cosi lontano dalla battaglia, la truppa di mio fratello aveva fatto una sosta in quelle zone per cercare di risvegliare “ Ikturk†, un mostro creato con tutta la cattiveria presente in questa valle, la creatura più forte di sempre, non solo può uccidere la regina, ma può schiavizzare l’intera valle, quando io sono scappato dalle grinfie di mio fratello erano vicini al posto dove si narra stia dormendo, è probabile che lo abbiano già svegliato, è per questo che devo arrivare dalla regina il prima possibile –– Ikturk ? non ho ma sentito una cosa simile – disse lei.Prima che potessi rispondere una freccia mi passò d’avanti la faccia a pochi centimetri dalla testa, subito fermai i cavalli e scesi dalla carrozza, quattro uomini si avvicinarono, rimasi sorpreso nel veder che si trattava di mio fratello e la sua squadra.– beccato – esclamò mio fratello, aveva un sorrisetto troppo provocante, in quel momento provai un odio enorme.– cosa vuoi da me William – risposi io avvicinandomi a Stephy.– che strano vederti da queste parti, stai andando dalla regina? E ti sei trovato un’accompagnatrice, ma che bravo, se la tua intenzione era quella di andare al bivacco in cima alla montagna rimarrai deluso, lo abbiamo già saccheggiato –– lasciaci stare – esclamai io.– cosa ti è successo, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, lavoravamo come falegnami da anni, sempre insieme, e mi hai tradito –Non potevo credere a quello che aveva appena detto mio fratello – cosa stai dicendo, tu e i tuoi uomini avete tradito questa valle e io non voglio farne parte – dissi alzando la voce.– abbiamo risvegliato Ikturk … - appena sentii quelle parole rimasi pietrificato.– è questione di pochi giorni, la regina morirà , e tu non potrai farci niente, perché io te lo impedirò –, tutti i suoi uomini si avvicinarono e mi accerchiarono.– aspetta – esclamai – se lo hai svegliato, ora lui dov’è? –– sei così ingenuo, Richard, Ikturk è un demone, non ha una forma propria, in questo momento è dentro di me, quindi si può dire che ce lo hai davanti –Rimasi scioccato, ma in quello stesso momento realizzai, se il demone era dentro il corpo di mio fratello, era quella l’occasione giusta per distruggerlo, durante il suo sonno era impossibile, ma ora, uccidendo mio fratello avrei ucciso anche il demone al suo interno, rimaneva un solo problema, le quattro frecce puntate contro di me e pronte a scoccare.– fermatevi – urlò Stephy improvvisamente – non potete uccidere Richard, durante il suo viaggio ha scoperto una cosa, una cosa molto importante per voi – naturalmente stava solo perdendo tempo, ma io non sapevo comunque come uscire da quella situazione, avevo solo un coltello con me.– dubito che mio fratello abbia scoperto qualcosa di importante per noi – esclamò William.– invece è così, state a vedere – esclamò Stephy tirando fuori una specie di fischietto, io rimasi perplesso, non lo avevo mai visto prima, a giudicare dalla faccia di mio fratello e gli altri uomini anche loro non avevano la ben che minima idea.Stephy si mise in bocca il fischietto e ci soffiò sopra, emetteva un suono fastidiosissimo e anche molto strano, non avevo mai sentito una cosa simile.– basta fermati, o sarai te la prima a morire – urlò mio fratello.– questo è uno dei territori dei draghi del nord … - esclamò Stephy, - questo era un loro speciale richiamo-William non fece in tempo a rispondere che apparve davanti a noi un drago enorme, sarà stato almeno di venti metri, aveva una coda lunghissima e dei denti affilatissimi, era di un colore rosso scuro e con una cresta nera.– via – gridò mio fratello, mi accorsi che aveva già notato un secondo drago in avvicinamento con la coda dell’occhio.Stephy corse verso di me e ci rifugiammo sotto la carrozza, vedevamo solo i piedi dei soldati che si muovevano velocemente, e ogni tanto si alzavano da terra, probabilmente presi dai due draghi.– come facevi ad avere quel fischietto – bisbigliai a Stephy.– perché in occasioni come questa potrebbe tornare molto utile – mi rispose.Rimanemmo molto tempo sotto la carrozza, quando tornò la tranquillità uscimmo dal nostro rifugio, individuai i corpi dei quattro soldati, erano in condizioni mostruose, ma non c’èra mio fratello, era riuscito a scappare.Corsi subito verso la carrozza per rimettermi in viaggio ma i cavalli erano spariti, – che cosa? – domandai.– è probabile che si li siano portati via i draghi, per fare uno spuntino – mi disse Stephy.– dobbiamo trovare un modo per arrivare ad ovest, il più velocemente possibile, mio fratello è ancora in circolazione, e il demone è dentro di lui – mi fermai un attimo a riflettere – quello è un fiume e va verso ovest.– si, costeggiando quel fiume arriviamo proprio vicino al castello della regina, ma a piedi non possiamo, qui la notte le temperature scendono vertiginosamente –Notai molti alberi vicino alle sponde del fiume, corsi li e toccai il legno, - è perfetto – urlai.– che cosa? – mi domando Stephy.– io sono un falegname Stephy, non ci metterò molto a costruire una zattera con questo legno –Prendemmo una spada molto affilata da uno dei guerrieri sconfitti e iniziammo a tagliare tanti piccoli tronchi per formare una zattera, li legammo gli uni con gli altri come dei filamenti fatti dalle foglie.– funzionerà – mi auto convincevo io.Una volta finito, la feci scivolare verso il fiume, galleggiava e reggeva perfettamente, così ci salimmo e spinti dalla corrente e aiutandoci con un remo, navigavamo a velocità elevata verso il castello.Ormai si era fatta notte, il freddo iniziava a farsi sentire, ogni tanto si sentiva il rumore delle lastre si ghiaccio che venivano spaccate dal fiume, erano sottili ma il fatto che si stessero creando non era un buon segno, speravo solo che la nostra zattera non si sarebbe fermata.La mattina dopo, appena mi svegliai vidi subito un castello in lontananza, mi alzai di scatto, ero ricoperto da pezzetti di ghiaccio, poi svegliai Stephy e l’aiutai a togliersi il ghiaccio di dosso.Arrivati in prossimità del castello scendemmo dalla zattera fino ad arrivare al portone principale, un uomo ci chiese chi eravamo, dopo avergli spiegato che dovevamo parlare urgentemente con la regina, ci perquisì e poi ci fece entrare accompagnandoci.Una volta arrivati nella sala principale, dove risiedeva la regina, vidimo centinaia di persone, tra membri della servitù e guardie del corpo, quello era un periodo davvero molto pericoloso per la regina.Stephy si fermò poco prima, io avanzai verso la regina, finalmente il momento tanto atteso, poco prima di parlare notai mio fratello tra le guardie del corpo, io sbiancai all’improvviso e urlai – portate via la regina –Subito mio fratello si avvicinò a me e da lui usci una specie di ombra nero scurissimo, si disperse velocemente per tutta la sala come un gas, io e mio fratello venimmo subito presi dalle guardie, intanto “Ikturk†si fiondò velocissimo contro la regina, le guardie non fecero nemmeno in tempo a prenderla e portarla via.Nella sala regnava il caos più totale, mio fratello cadde a terra morto, il demone aveva succhiato via tutta la sua essenza vitale, non riuscii più a ritrovare Stephy, le guardie mi trascinarono fuori dalla sala, in un lungo corridoio, e mi portarono fino alle prigioni, dove rimasi per quasi un girono intero senza sapere cosa fosse successo alla regina e a Stephy.Finalmente il giorno dopo un uomo scese nelle prigioni e si fermò davanti alla mia cella.– la regina è morta – esclamò, – un demone si è impossessato del suo corpo fino a distruggerlo, per le popolazioni del nord sarà più facile impossessarsi di questa valle, ma noi faremo di tutto per impedirlo, ti è andata male traditore – disse tirando fuori la spada.Io non parlai, sapevo che era impossibile convincerlo della mia innocenza, e francamente non mi rimaneva molto per cui vivere, mentre entrava nella mia cella notai appeso al suo collo il fischio di drago di Stephy.– dov’è la ragazza a cui apparteneva quell’oggetto –, lui lo guardò e lo prese in mano – lo trovato per terra, non ho visto nessuna ragazza – esclamò.Io mi rallegrai, perché sapevo in cuor mio che Stephy era viva, e probabilmente pronta ad impedire che la nostra valle venga distrutta, allora mi inginocchia e abbassai la testa.L’uomo alzò la spada, feci solo in tempo a dire –io ho provato a salvarci, ma il destino ha voluto contro di me, buona fortuna –L’uomo scaraventò contro di me con tutta la sua forza quella spada affilatissima.Sono felice di essere riuscito a finirlo in tempo, buona fortuna a tutti Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
Kreideprinz Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell'Autore: Pokéfan98Titolo: Due vite in unaElaborato:La ruota girava incessantemente formando una luna piena, io la osservavo tenendo il filo e premendo con il piede il pedale. Il silenzio mi avvolgeva e sentii il bisogno di riempire quel vuoto cantando, cosa che ormai usavo fare tutti i giorni.Qualcuno entrò nel laboratorio tessile ma io non ci feci caso.Una voce famigliare interruppe il mio canto.«Voi avete una voce bellissima!» esclamò lei alle mie spalle.Io ruotai il capo e mi trovai davanti il Principe. Con uno scatto veloce mi alzai e mi inchinai al suo cospetto sistemandomi il lungo vestito.«No, dolce donzella» fece lui invitandomi ad alzarmi con un gesto della mano «non mi serve il vostro inchino, la vostra voce mi ha già accolto»Alle sue parole io arrossii e con una voce tremolante gli risposi.«Le voi siete troppo gentile. Di cosa avete bisogno Principe?»«Ho bisogno di vostro fratello, il Paladino» fece lui guardandomi serio «il regno ha bisogno di lui»Il suo sguardo preoccupato mi turbava, allora mi precipitai verso il piano di sopra dicendogli che lo avrei chiamato. Non appena giunsi nella camera da letto aprii in fretta l'armadio, presi i vestiti ed il cappello. Sul letto era posta una fascia. La presi e me la avvolsi attorno al busto stringendo il più possibile per nascondere le forme. Indossai tutti gli indumenti e con un gesto veloce raccolsi i capelli, fermandoli con il cappello e corsi al piano di sotto.Non appena il Principe mi vide fece un gesto con la mano per salutare.«Salve Jade! Abbiamo bisogno della vostra forza»«Principe ditemi, vi ascolto» lo invitai io.«Un drago orribile tormenta il nostro castello ormai da generazioni» cominciò lui abbassando il capo «Nessuno lo sa perché lui si precipita il primo giorno di ogni mese durante la notte, rapendo un servo di cui cibarsi. Siamo sempre riusciti a mantenere il segreto trovando scuse per le scomparse improvvise, ma ora non possiamo più sopportare tutto questo!»Dopo un momento di silenzio riprese.«Dobbiamo uccidere quel drago! Ha spezzato troppe vite e soltanto tu puoi sconfiggerlo!»Dopo quelle parole sentii nella mia anima una sensazione strana. La paura. Nonostante ciò accettai, la vita di molti innocenti dipendeva da me.Il principe mi ringraziò inchinandosi.«Partiamo subito, tra due giorni sarà il primo giorno del mese»Corsi in camera a prendere la mia armatura, testimone di molti combattimenti ma mai di uno di questa importanza. Caricai qualche provvista e le armi sul cavallo e partimmo.Il viaggio fu silenzioso, mi sentivo sola, circondata solo dai miei pensieri. La testa mi riportò i ricordi di quella che era stata la causa del mio stile di vita. La scomparsa misteriosa dei miei genitori. Io mi ripromisi che li avrei trovati e da quel momento la mia vita si divise in due. Quella della giovane sarta e quella di suo fratello, il Paladino del Re.«Ormai è buio» ruppe il silenzio il Principe Paul «fermiamoci qui per la notte»Legammo i cavalli ad un albero poco distante, consumammo i viveri e ci distendemmo.Nessuno dei due riusciva a dormire, Paul sembrava pensieroso.«Principe a cosa pensate?» chiesi io incuriosita «Vi vedo preoccupato... È per il drago?»Il Principe fissando le stelle disse: «Paladino, c'è una fanciulla nella mia testa» cominciò lui fissando le stelle «ma mio padre ha già combinato il matrimonio con la principessa di un regno vicino. Ma io non voglio sposarla!»Quelle parole mi colpirono profondamente. Anche i miei sentimenti non potevano essere svelati a nessuno, la vita da Paladino mi piaceva e non volevo mandare tutto all'aria, soprattutto se il destinatario dei miei sentimenti era proprio Paul.«Anche io sono nella vostra stessa situazione» feci io triste «Ma mi raccontate di più di lei!»«Lei è bellissima» cominciò lui sostituendo allo sguardo triste un sorriso sognante «è una semplice ragazza del villaggio, ama il suo lavoro e la sua famiglia. È una ragazza coraggiosa e con molto spirito dell'avventura e proprio questo mi attrae di lei»Un fruscio di foglie ci fece sobbalzare.«Avete sentito Jade?!» fece il Principe sospettoso guardando un cespuglio affianco a noi.«Sì Principe» confermai io «ma forse era solo il vento»Lui, non convinto della mia ipotesi, si avvicinò al cespuglio. All'improvviso uscì dalle foglie una mano scheletrica che gli afferrò il braccio con uno scatto velocissimo. Io corsi in soccorso al Principe ed iniziammo a tirare in modo da liberarlo. Ad un tratto la mano lasciò la presa e cademmo entrambi a terra.Una voce stridula dal cespuglio iniziò a ridacchiare.«Uscite subito fuori da quel cespuglio!» ordinò il Principe estraendo la spada dal fodero.«Ma neanche per un milione di monete d'oro» ridacchiò la voce «Ma piuttosto, come mai siete nei pressi della caverna del Non Ritorno?»«Questo non vi interessa!» esclamò infastidito il Principe.«Scommetto che siete venuti ad uccidere il drago...» fece la voce non molto sorpresa.«E voi come lo sapete?» chiesi io sospettosa.«Nessuno si avvicina a queste zone per timore del drago» raccontò lei abbassando il tono «Molti cavalieri sono passati di qui e non hanno più fatto ritorno, perché nessuno ha saputo placare la sua ira»«Come possiamo placarlo?» domandai in cerca della soluzione.«Solo il canto di una fanciulla riuscirà a domarlo» rispose la voce «Siete i primi a cui riferisco questo segreto»«Noi non abbiamo una fanciulla con noi» fece il Principe seccato «Quindi lo uccideremo»In realtà una fanciulla c'era, ma nessuno doveva scoprirlo.«Abbiamo perso già troppo tempo con voi, voce misteriosa» fece il Principe afferrandomi il braccio «Andiamocene Jade!»«Non uccidete la creatura o una catastrofe si abbatterà su ti voi!» minacciò la figura incognita mentre ci allontanavamo dal cespuglio.Nessuno dei due diede peso a quelle parole.La notte passò lentamente tra preoccupazioni e paure. All'alba ci incamminammo verso la Grotta del Non Ritorno, nome che non rincuorava, anzi, faceva salire il timore di non poter tornare a casa. Dopo un paio d'ore di cammino ci trovammo l'entrata della grotta. Accendemmo una torcia con delle pietre focaie ed entrammo verso quel buio che ci avrebbe portato gioia o morte.I miei passi procedevano incerti su un pavimento umido ed ogni tanto inciampavo su qualcosa che non sapevo se fossero rami o ossa.Il Principe si piegò per raccogliere qualcosa dal pavimento e poi mi porse ciò che aveva raccolto.«Vedi, quella è la collana di una delle mie tessitrici di corte» mi fece presente lui indicando la mia mano.Io avvicinai la torcia alla collana e rimasi sconvolta. Era la collana di mia madre. La mia testa iniziò a girare e barcollai. Lei e mio padre erano vittime di quel drago. Una lacrima solcò il mio viso e la speranza di ritrovare i miei genitori svanì. Un sentimento di rabbia invase il mio cuore e la mia mente. Avrei potuto avere finalmente la mia vendetta ma nulla mi avrebbe restituito la mia famiglia.Iniziai a camminare con passo convinto ed il Principe mi venne dietro silenzioso. Girammo l'angolo e si presentò davanti un drago di dimensioni mastodontiche. Il Principe sfoderò la sua spada mentre io afferrai il mio arco. Paul si fiondò sul drago e tentò di colpirlo ma esso gli diede un potente colpo di coda che lo scaraventò contro la parete ferendosi un braccio. Io, con il sangue freddo, scoccai la freccia e riuscii a colpirgli il petto, ma gli feci poco o niente. Il drago infastidito si avvicinò al Principe e lo afferrò con una zampa anteriore.«Lascialo stare!» urlai io disperata, cercando di non perdere il controllo ma il drago sembrava non avermi sentito.«Ti prego Jade» mi implorò il Principe «Aiutami!»Io non sapevo cosa fare, mi sentivo impotente di fronte a quell'enorme creatura ma ad un tratto delle parole attraversarono la mia testa:"Solo il canto di una fanciulla riuscirà a calmarlo"Avrei dovuto cantare, facendo saltare la mia copertura, ma nulla mi avrebbe portato via il mio Principe. Non me lo sarei mai perdonato.Ormai avevo preso una decisione. Respirai profondamente, tirai via il mio elmo liberando i miei lunghissimi capelli color castagna ed iniziai a cantare. La mia voce risuonava nella grotta e non appena Paul si accorse che la proveniva da me, rimase stupito.Il drago poggiò a terra il Principe e venne verso di me. Il mio cuore iniziò a battere fortissimo dal terrore ma continuai a cantare quella canzone che mia madre usava per farmi addormentare. Quella canzone piena di ricordi che aveva accompagnato la mia infanzia.La creatura si avvicinò fino ad arrivare ad un metro da me. Sentii il suo respiro scaldare la mia armatura. Lo guardai negli occhi. Quello sguardo, non so come, mi ispirava fiducia e sicurezza. Avvicinai la mia mano al suo volto e lo accarezzai. Il drago all'improvviso iniziò a brillare e la sua luce intensa illuminò tutta la grotta. Fui costretta a chiudere gli occhi e non appena li aprii trovai un uomo accasciato ai miei piedi con una freccia conficcata al petto. Quando scorsi il suo volto rimasi sconvolta.«P-padre...» balbettai io con le lacrime agli occhi.«Jane» sussurrò lui morente.«Tu eri il drago?» domandai io nonostante conoscessi già la deludente risposta.«Grazie per aver spezzato l'incantesimo che mi ha portato ad uccidere troppe persone» ansimò lui con la voce tremante «anche tua madre, ma finalmente ora troverò la pace»«No!» urlai io «Non te ne andare! Non lasciarmi di nuovo! »Lui spostò lo sguardo su Paul e sorrise.«Non sei sola piccola mia» sussurrò lentamente.Emise il suo ultimo respiro ed i suoi occhi si chiusero. Fiumi di lacrime percossero il mio viso. Tornò il silenzio tombale che poco dopo fu rotto da una voce.«Tu!» tuonò questa alle mie spalle.Io mi girai spaventata e vidi un uomo pelle ed ossa piuttosto alto che mi indicava minaccioso con il dito.«Hai ucciso la mia creatura!» urlò alzando in alto la clava, che teneva tra le mani, per colpirmi.«Non toccare la mia fanciulla!» esclamò Paul afferrando la spada e, con una mossa velocissima, la infilzò nel corpo dell'uomo. Egli si accasciò a terra e svanì, trasformandosi in polvere ed allo stesso modo il corpo di mio padre.Eravamo di nuovo soli. Paul gettò la spada a terra si avvicinò a me.«Quindi voi siete...» cominciò lui sforzandosi di tirare fuori le parole.«Una ragazza...» completai io la frase senza incrociare il suo sguardo.Velocemente mi alzai e feci per andarmene ma lui mi afferrò il braccio.«Ferma! Voi non ve ne andrete così!» esclamò il Principe avvicinandomi a sé.«Ma io vi ho mentito, dovreste odiarmi» ipotizzai io girandomi verso di lui.«E dovrei perdere così la fanciulla perfetta?!» disse lui accennando un sorriso «Una ragazza coraggiosa come te non si trova da nessuna parte! Siete voi quella fanciulla di cui parlavo, anche se non ero a conoscenza della vostra "doppia identità "»Subito dopo avvicinò le sue labbra alle mie e mi baciò. Fu il momento più bello della mia vita. Finalmente dopo un tunnel buio vidi un raggio di luce che mi avrebbe portato verso la felicità .Uscimmo dalla grotta e non appena giunti fuori mi tornò alla mente una cosa che avevo rimosso.«Ma come faremo?» chiesi preoccupata io «Tu hai già una promessa sposa...»«Jane, scappiamo!» esclamò lui salendo sul cavallo «Andiamocene nella foresta o in un altro regno, dove nessuno ci conosce e costruiamoci la nostra vita»«Sei sicuro di volerlo fare?» domandai io non molto sicura.«Sali ed andiamocene!» disse convinto sorridendomi.Ormai non mi era rimasto più nessuno e quella mi sembrava l'unica soluzione per essere finalmente felici.Allora saltai sul mio cavallo e galoppammo verso una destinazione sconosciuta. Ma ciò che ci importava era che saremmo potuti stare insieme. Devo dire che mi sono trattenuta per evitare di esagerare (ho scritto molto sì)XDMa pazienza, mi sono divertita ed è ciò che conta Spero che vi piaccia PS: spero che non ci siano errori >.< Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
Haku Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell’autore: HakuTitolo: Tsuki (Luna)Elaborato:La luna risplende nel cielo anche questa notte. Seppur la sua luce sia limpida, le tenebre nel mio cuore continuano a persistere. Seduto sul prato bagnato dall’umidità , appoggio la testa all’albero alle mie spalle e guardo la volta celeste. Ripenso a tutto ciò che mi sono lasciato alle spalle per intraprendere la vita di mercenario e mi accorgo delle lacrime che mi rigano il viso.Ad Awyer avevo sempre vissuto una vita tranquilla, circondato da persone stupende con le quali trascorrevo momenti di giubilo indimenticabili. Anche essendo solo un umile sarto, in città ero conosciuto per la mia abilità nel cucito, l’attività che mi aveva sempre affascinato, ma che nello stesso tempo aveva attirato su di me l’odio di mio padre. Egli era un valoroso Paladino, uno dei più forti della corte, temuto perfino dal re. Aveva più volte provato ad insegnarmi le tecniche basilari di spada, voleva un figlio che in futuro avesse preso il suo posto e di cui si sarebbe potuto vantare, ma questa descrizione non mi calzava affatto. A quei tempi non riuscivo neppure a tenere in mano un’arma, paralizzato dalla paura iniziavo a tremare come una foglia e al primo fendente cadevo come un ramoscello spezzato. A causa della mia debolezza mio padre non mi accettò mai, il nostro rapporto diventò arido e freddo, fino al limitarsi alle formalità che si usano con uno sconosciuto. L’avevo spesso sentito urlare contro mia madre, incolpandola ingiustamente dell’avermi deviato con “il suo negozietto di sartoria da quattro soldi†e più volte riducendola in lacrime dopo essersene andato. Allora andavo a consolarla ma, stropicciandosi gli occhi, mi diceva che andava tutto bene e sviava l’argomento su stoffe o vestiti.La situazione della famiglia ormai era irrimediabilmente incrinata.Pensavo da anni che non potesse andare peggio di così, mi sbagliavo. Arrivò quel giorno, quel giorno devastante. Il re aveva fatto riunire i cittadini in piazza proclamando un importante annuncio. Tutti fremevano nella folla, chiunque, compreso me, si domandava cosa fosse questa notizia tanto eclatante; fino a che non si sentì il rumore dei passi del bardo che si fermò al centro della piazza e lesse il comunicato. Per la guerra in corso tra Awyer e Enser erano stati inviati al fronte molti soldati tra cui il battaglione di mio padre. Proseguì dicendo che, a causa di un’imboscata tra le montagne, erano decedute tutte le unità presenti. A quel punto mi inginocchiai con lo sguardo perso nel vuoto, impetrai che quella parola non fosse pronunciata, che anche se fosse così ligio al dovere per quella volta si stesse riposando. Non fu così. Quel nome arrivò e come un fulmine a ciel sereno distrusse le nostre vite. Mio padre era deceduto. Quando anche mia madre lo venne a sapere provò un’angoscia immensa, non riesco neppure a descrivere quello che c’era nei suoi occhi in quel momento, erano emozioni troppo forti e confuse per riuscire a decifrarle. Dopo i funerali, la nostra vita riprese a scorrere più o meno normalmente; lavoravamo alla sartoria ma senza i soldi portati dal lavoro di papà si faceva sempre più difficile l’acquisto delle materie prime, più che altro si faceva sempre più difficile la semplice sopravvivenza.Con la perdita di gran parte della guardia imperiale non ci volle molto prima che Enser iniziò a marciare contro di noi. Il re che tutti veneravano si rivelò nient’altro che un incompetente, non fece nulla per mettere in salvo i suoi sudditi, si preoccupò unicamente di se stesso e del tesoro reale. Sapendo della scomparsa del sovrano i nemici ne approfittarono e, con una velocità incredibile, invasero il borgo mettendolo a ferro e fuoco. Quella notte mi segnò, ricordo ancora oggi l’angoscia e l’agonia provate nel vedere i soldati che a cavallo uccidevano senza pietà poveri innocenti. Ormai era chiaro che non ci fosse più niente da fare, nessuno avrebbe potuto salvarci; così mia madre prese la spada di mio padre e me la consegnò, successivamente mi disse di seguirla. Sgattaiolando fuori dalla casa senza essere visti, arrivammo fin sul ponte che collegava il nostro villaggio con Freyer, un’altra tranquilla cittadina con cui scambiavamo spesso merci. A quel punto mia madre si fermò senza ragione, mi si avvicinò e mi abbracciò. Lì per lì rimasi stranito e ricambiai, però notai che c’era qualcosa di strano… non era un abbraccio affettuoso o di paura, era intriso di tristezza e di rimpianto. Non ebbi neppure il tempo di finire di riordinare i miei pensieri che mi spinse, facendomi precipitare dal ponte. Caddi in acqua e quando riemersi vidi che i soldati l’avevano raggiunta e uccisa. A quella vista mi si raggelò il sangue, il mio corpo smise di muoversi, annaspai inizialmente e dopo pochi secondi la corrente ebbe la meglio.Successivamente mi risvegliai ai margini del fiume di un luogo che non conoscevo. Lentamente, stordito, mi alzai gradualmente e poi, d’improvviso, ricordai ogni cosa. Serrai i pugni, maledicendomi per non essere riuscito a salvare neppure una persona così importante per me, poi avvertii una lama metallica contro la mia gamba e vidi la spada di mio padre. La estrassi tremando e la guardai. La lama era lucente e liscia, non una sola imperfezione, non un solo graffio vi erano stati lasciati; dopotutto me lo aspettavo vista la bravura di mio padre in battaglia. Notai poi sul bordo della lamina un’incisione : “A mio figlio, il futuro paladino di sua maestà , possa questa spada vegliare sempre su di luiâ€â€¦ che stupido che era, pensai, iniziando a singhiozzare.Passarono alcuni mesi e, per poter sopravvivere, fui costretto ad affinare le mie abilità combattive. Seppur odi tutt’ora questo lavoro sono obbligato a farlo; sono un mercenario, nient’altro che un sudicio barbaro che si vende al miglior offerente per trucidare altre persone accusate di essere nel torto. Chi mi dà il diritto di togliere la vita a individui che neppure conosco? Pensavo spesso durante le notti insonni, mi chiedevo se mio padre si fosse mai posto queste domande, se credesse di essere sempre nel giusto o se nel suo cuore portasse questo enorme onere. Ma con il tempo smise di importarmi, evitavo di riflettere ulteriormente, non volevo accettare questa realtà .Improvvisamente un dolore lancinante mi riporta al presente, deduco che la ferita si sia riaperta. Cerco di controllare in che stato versa, ma mi accorgo che ormai anche i miei vestiti si sono impregnati di sangue. Sorrido fievolmente, forse è finalmente arrivata l’ora di mettere fine a questa vita vuota. Alzo di nuovo lo sguardo verso il cielo e mi perdo nella contemplazione della luna. È inutile sperare che qualcuno venga a medicarmi; all’accampamento non si saranno neppure accorti della mia assenza, dopotutto la mia unica utilità è in battaglia, successivamente smetto di esistere fino alla successiva. Ormai è inutile rincorrere mere chimere, preferisco rassegnarmi. Sento il corpo che si appesantisce, probabilmente sto per perdere i sensi a causa del dissanguamento. Con un barlume di lucidità finale, prima di svenire e affidarmi al destino, dico : "La luna è davvero bella questa notte, vero?". Beh, che dire xD In verità non è che mi piaccia molto ma oh beh, è andata così ewe Spero se non altro che risulti almeno piacevole da leggere. Buona fortuna a tutti gli altri partecipanti Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
Vale93ba Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell'autore: Vale93baTitolo:Elaborato:Mi chiamo Kin Yamamoto.Sono il paladino, nonché generale, dell'esercito del regno di Shirokabe.Non so bene il perché io senta la necessità di scrivere queste righe nel mio diario; forse sarà colpa della sempre crescente tensione e dello stress che ultimamente mi ha reso persino difficile dormire sonni tranquilli, o forse semplicemente voglio lasciare una testimonianza concreta degli avvenimenti più significativi della mia vita che mi hanno visto protagonista sino ad oggi.Sono nato in una campagna a qualche kilometro di distanza dalle mura di cinta del regno e lì ho vissuto per tutta la mia adolescenza; mio padre, un falegname e cacciatore piuttosto esperto, ha dovuto badare da solo a me in quanto persi mia madre alla nascita.Non l’ho mai conosciuta, ma avrei voluto tanto; papà diceva che era una donna dal carattere gentile e comprensivo e che mi aveva desiderato tanto. Quando fui abbastanza grande, mio padre mi portò per la prima volta tra i boschi per insegnarmi come cacciare gli animali selvatici, come distinguere i funghi commestibili da quelli velenosi, riconoscere i suoni della natura, accendere un fuoco, montare una tenda e tutte quelle nozioni indispensabili per qualsiasi cacciatore. Sembrava molto felice di condividere quella sua parte di mondo con suo figlio, e io ero contento anche solo di questo (visto e considerato che non avevo alcun interesse effettivo nel diventare un cacciatore).Continuammo quelle sessioni di caccia -che per la cronaca duravano da un pomeriggio a giornate intere- per lungo tempo e i miei miglioramenti mi avevano reso più a mio agio in mezzo alla foresta. Durante un pomeriggio d'estate però, accadde qualcosa che la mia giovane mente non avrebbe mai potuto prevedere e che non potrò mai dimenticare. Io e mio padre eravamo come sempre armati di archi e frecce, alla ricerca di tutto quello che avremmo potuto vendere a buon mercato tra selvaggina e bacche, quando all'improvviso venimmo colti alla sprovvista da un Ursaring alto più di due metri che cercò di caricarci a vista. Gli Ursaring non erano soliti andare alla ricerca di cibo in quell'area, dove al massimo avvistavamo quotidianamente pokémon di piccola taglia come Zigzagoon, Rattata o Pidgey, e la vista di quell'orso mi lasciò quasi impietrito.Fortunatamente papà ebbe il sangue freddo e i riflessi pronti per trascinarmi via dal raggio d'azione degli artigli della fiera, ma l'animale non sembrava pronto a desistere e avrebbe presto caricato entrambi. Senza esitazione, mio padre mi disse di rimanere fermo mentre lui attirava il pericoloso pokémon altrove per permettermi di fuggire verso casa; accasciato al suolo e completamente incapace di affrontare il problema, annuii per far capire di aver recepito il messaggio. L'uomo dunque si alzò di scatto premurandosi di fare molto rumore e prese a correre freneticamente tra la fitta vegetazione.L'Ursaring scattò nella stessa direzione presa da mio padre e si allontanò nel giro di pochi secondi dalle frasche nelle quali ero nascosto, lasciandomi così uno spiraglio per la fuga. Sfortunatamente non conoscevo ancora bene il bosco e nel giro di poche centinaia di metri non riuscii più a trovare un riferimento che mi facesse capire che strada prendere. Perso nel bosco e senza alcuna idea di come tornare nella mia abitazione o di rintracciare mio padre, vagai senza meta per ore e quando mi sentii troppo stanco per camminare, mi sedetti sulle radici sporgenti di un albero.La sensazione della dura corteccia umida sulla mia pelle e il vento che iniziava a diventare più pungente rendevano la mia situazione assolutamente precaria, senza contare il fatto che avevo poche bacche ancora a disposizione per nutrirmi. Tirai fuori dal mio zaino la saccoccia con i piccoli frutti colorati e la poggiai sul terreno per contarli, quando d'un tratto sentii un movimento tra le frasche poco distanti dalla mia posizione.Allarmato dalla possibile presenza di un altro pokémon pericoloso, mi misi in guardia e attesi incoccando una freccia nell'arco di legno e indirizzandola verso la fonte di quel rumore. Con mia grande sorpresa, dai cespugli emerse una creatura tutt'altro che spaventosa: sembrava una lucertola bipede dal colorito bluastro e con un rigonfiamento sul capo. Solo tempo dopo venni a conoscenza che si trattava di un Bagon.Forse invogliato dal suo aspetto poco minaccioso e dal modo in cui annusava l'aria, mi feci coraggio e avvicinai lentamente una bacca a qualche metro di distanza dalla mia posizione, posandola con cura e senza fare alcun movimento che avrebbe potuto interpretare come una minaccia. Il piccolo pokémon si mosse cautamente verso il frutto senza perdermi di vista, per poi mangiarlo con avidità . Ripetei il processo altre volte, fino a quando non presi abbastanza confidenza da nutrirlo direttamente dalle mie mani. Era una sensazione stupenda quella di stringere un legame con un pokémon selvatico, e solo allora mi resi conto di un dettaglio che non avevo mai notato prima: al collo aveva una sorta di collare con incastonata al centro una strana pietra dalle sfumature blu e rosse. Forse non era una bestia selvatica e quello era un collare che gli era stato dato dal suo padrone, ma non me ne curai troppo sul momento.Dopo poco però mi resi conto di aver finito le bacche e il piccolo rettile rimase fermo a fissarmi come se stesse aspettando il resto. A malincuore decisi di alzarmi per salutare il mio amico e muovermi, visto che la luce era calata all'orizzonte, ma mi accorsi che riuscivo a distinguere la stella polare; ricordai uno degli insegnamenti di mio padre tramite una sorta di flashback nella mia mente: se avessi seguito quella stella, sarei riuscito ad uscire dal bosco e quindi avrei trovato molto più facilmente la via di casa.Quando mossi qualche passo però, il piccolo pokémon alle mie spalle prese a saltellare seguendo le orme dei miei passi. Cercai più volte di farlo desistere dal suo intento perché sapevo che papà non approvava il tenere in casa una di quelle creature, ma in fondo speravo che cambiasse idea una volta saputo che anche grazie a quel nuovo amico ero riuscito a districarmi dal labirinto di alberi e arbusti nel quale ero prigioniero.Nel giro di poche ore ritrovai un punto di riferimento che mi condusse a casa e la gioia di mio padre nel vedermi fu incontenibile: si avvicinò abbracciandomi con tutta la forza che aveva in corpo e mi confessò che era talmente in pena che si era messo a cercarmi ore prima da solo, senza successo purtroppo. Notai inoltre la sua riluttanza nel vedermi in compagnia del piccolo Bagon, ma gli spiegai che il merito era stato anche suo se ero riuscito a tornare, e così (seppur con un certo malcontento) mi permise di tenerlo con noi a condizione che se avesse combinato qualche guaio ne avrei pagato io le conseguenze. Il tempo trascorse inesorabile, le stagioni si alternarono, e il legame tra me e Bagon divenne sempre più forte; dove mi recavo io doveva esserci anche lui e viceversa. Anche durante la caccia formavamo un team che riusciva a raggiungere risultati che da soli non avremmo mai pensato di eguagliare. Nonostante la sua piccola taglia, quelle rare volte che un pokémon selvatico pareva voler attaccare, lui riusciva in qualche modo a metterlo in fuga. Ovviamente parliamo di esemplari di poco più alti di un metro e mezzo, ma per lui era comunque un risultato.Una notte però, fui svegliato a causa di uno strano rumore che avevo udito in casa: sentivo dei passi e il rumore scricchiolante delle mensole di legno che venivano aperte e richiuse con lentezza per produrre il minor rumore possibile; mi alzai dal letto senza svegliare il mio piccolo amico e mi inoltrai nell’oscurità che regnava nella casa per capire cosa stesse succedendo ma, appena varcai la soglia della cucina e i miei occhi si abituarono all’oscurità quel tanto che bastava per vedere la presenza di un estraneo, venni improvvisamente stretto in una morsa che mi copriva la bocca per evitare che io emettessi qualche rumore.Pensai che quelli fossero dei ladri e che i rumori che avevo sentito erano prodotti dal loro frugare in cerca di preziosi o oggetti di valore; istintivamente, mi portai le mani alla bocca per provare a liberarmi, ma la stretta dell’uomo alle mie spalle era troppo forte per me. In quel momento però venne in mio soccorso Bagon che, svegliato dalla mia assenza forse, si era anch’egli mosso verso la cucina; appena le sue iridi riuscirono a vedere in che situazione mi trovavo, caricò il bruto alle mie spalle colpendolo con una testata e permettendomi di divincolarmi dalla presa per allontanarmi di qualche passo, mentre il poverino veniva per tutta risposta calciato dall’uomo. Al che sentii mio padre chiamare il mio nome a gran voce dalla sua stanza, ma prima che potessi anche solo aprire bocca, l’altro ladro aveva già estratto un grosso coltello e me lo stava puntando alla gola.Il mio silenzio insospettì papà , che si mosse con cautela verso la nostra posizione fino a quando non assistette al quadro generale della situazione. I banditi gli chiesero se avevamo dell’oro o delle pietre preziose, ma mio padre rispose negativamente, suscitando le ire di quello che mi teneva la lama a contatto con la pelle. Quel freddo gelido mi faceva venire i brividi e il mio cuore sembrava ormai impazzito e non accennava a voler smettere di battere all’impazzata. I ricordi di quei secondi successivi sono confusi nella mia mente per colpa dell’adrenalina e della immensa paura che ho provato, ma ricordo distintamente mio padre lanciare un coltellino con una rapidità a dir poco sorprendente che andò a ferire la spalla del tipo che mi teneva in cattura, lasciandomi modo di prendere le distanze da quest’ultimo.Mio padre mi ordinò con fare perentorio di scappare e io, seppur con una certa titubanza iniziale, ricordai che seguire il suo consiglio con l’Ursaring aveva dato i suoi frutti, quindi presi al volo Bagon ancora dolorante e schizzai fuori dalla porta mentre in sottofondo sentivo il cozzare delle lame e le urla degli aggressori.Stetti via tutta la notte nel bosco, mantenendomi volutamente il più lontano possibile da casa, combattendo con il freddo e l’angoscia di essere stato un peso per mio padre ancora una volta. Tornai al sorgere del sole, per trovare solo un cumulo di macerie parzialmente carbonizzate la dove si ergeva casa mia; di mio padre non vi era nemmeno traccia, ma era facile capire che, nella migliore delle ipotesi, era sotto quel cumulo bruciato. Non riuscii a stare più in piedi tutto ad un tratto, cadendo sulle mie stesse ginocchia, e la mia visione si fece istantaneamente annebbiata e bagnata, mentre le lacrime amare del dolore iniziarono a rigarmi le gote copiosamente. Bagon era ormai in grado di camminare da solo, e sentiva tutto il mio dolore come se fosse il suo, perciò cercò di consolarmi come meglio poteva, ma fu tutto inutile. Il senso di colpa che provavo per aver lasciato mio padre da solo mi attanagliava come un cappio alla gola, anche se ero certo che se fossi rimasto in quella casa, anche io ora sarei morto e sepolto.Una volta consumate tutte le mie lacrime, giurai vendetta contro quei meschini che mi avevano tolto tutto ciò che era rimasto della mia famiglia, anche se non avevo ancora i mezzi per attuarla. Senza alcun soldo e senza la sua attrezzatura da lavoro, un cacciatore/taglialegna come me poteva aspirare a ben poco rimanendo nella foresta, così decisi di dirigermi nelle mura interne della capitale del regno per provare a fare l’unica cosa che mi veniva in mente: diventare un apprendista guerriero.Solo così sarei riuscito ad avere nuovamente un tetto sulla testa e le capacità di combattimento che mi erano mancate durante quella maledetta notte. Bagon dal canto suo non sembrava contrariato all’idea, così appena ebbi modo di muovermi ci dirigemmo nella capitale e -per mia grande sorpresa- notai che molti cittadini avevano con se un pokémon. Ce ne erano di tantissimi tipi diversi che io non avevo mai visto in vita mia e la cosa mi affascinava non poco; avendo vissuto da sempre in campagna e senza aver un granché di contatto umano con persone di quel posto, ogni particolare o cosa su cui cadevano i miei occhi di (ormai) appena maggiorenne pareva fantastica e nuova. Chiedendo in giro, riuscii ad individuare un’accademia che accoglieva gratuitamente i ragazzi che aspiravano di ricoprire il ruolo di guerriero e, ultimo dettaglio ma non meno importante, accettavano anche i pokémon per addestrarli a combattere al fianco dei loro padroni. Effettivamente, se io dovevo diventare più forte, poteva farlo anche Bagon con me e così ci lanciammo in questa nuova avventura.Gli allenamenti all’inizio erano a dir poco estenuanti, ma non solo il fisico veniva temprato, bensì anche la mente in quanto seguivo regolarmente lezioni di strategia e tattica, consultavo libri che raccoglievano tutte le caratteristiche dei pokémon conosciuti (ecco dove ho capito che il mio piccolo amico era una Bagon), mi allenavo giornalmente con la spada e assieme a me combatteva anche il mio pokémon. Nel periodo in cui ero in accademia inoltre, venni a conoscenza tramite i racconti di alcuni compagni e la consultazione di alcuni libri, che coloro che avevano appiccato l’incendio nelle campagne dov’era casa mia, appartenevano a una fazione di ribelli che da anni tentavano di saccheggiare e uccidere i piccoli borghi al di fuori delle mura per indebolire il regno. Ogni volta che tentavo di ripensare agli ultimi istanti in cui avevo visto mio padre mi si formava come un nodo alla gola e un sempre crescente senso di inadeguatezza mi travolgeva, fortuna che c’era Bagon a farmi rinsavire e a darmi la forza di continuare quel percorso che avevamo scelto assieme.Gli anni passarono in fretta e riuscii a diventare un guerriero a tutti gli effetti grazie al mio impegno e quello di Bagon, che ormai era diventato un meraviglioso esemplare di Salamence che in molti in città ammiravano con stupore e invidia. Il mio piccolo amico aveva imparato a spiegare le sue ali così come io avevo imparato ad accantonare il mio iniziale desiderio di vendetta per lasciar posto ad un senso di appartenenza a quella che ormai era diventata la mia città .Da guerriero partecipai a innumerevoli campagne contro la fazione ribelle, e confesso che togliere la vita anche solo ad uno di loro mi sembrava come prendere qualcosa che fosse mio di diritto, ma il mio obbiettivo era ben più in alto: spazzarli una volta per tutte così che nessuno al di fuori delle mura della capitale dovesse provare quello che io avevo subito.Nel corso degli anni, io e Salamence ci distinguemmo per la nostra grande sintonia e forza in battaglia fino ad essere nominati paladini e quindi generali dell’intero esercito. Inoltre mi venne fatto dono dal re in persona di uno strano bracciale metallico con una pietra che mi ricordava vagamente quella che aveva il mio compagno al collo; da quella posizione era decisamente più facile indirizzare attacchi mirati per indebolire le fila nemiche e, solo ultimamente, ho ottenuto un risultato più che soddisfacente.Il capo della fazione ribelle (suppongo ormai messo alle strette dalle nostre pressioni sulle sue fila) mandò una missiva al regno dichiarando che intendeva sfidare il più abile dei combattenti in circolazione per sistemare la faccenda una volta per tutte, dando come appuntamento il giorno seguente alla stessa ora in un terreno neutrale. Non ci sarebbero stati vincitori e sconfitti, ma solo gloria e morte alla fine di quello scontro all’ultimo sangue. Ovviamente la scelta del re ricadde su di me, e io ritenni che in caso di vittoria i ribelli sarebbero presto andati allo sbaraglio senza un leader, dunque accettai l’incarico e passai l’intera nottata a studiare le informazioni in mio possesso su questo barbaro sanguinario: le mie fonti mi dicevano che il suo nome era Kai e possedeva un Hydreigon; insieme si erano macchiati di svariati crimini tra cui incendi sparsi nelle campagne e omicidio di innocenti.Non sapevo come erano andate veramente le cose, ma la prima immagine che mi balenò alla mente fu la mia vecchia casa in legno; forse quel tipo non era il colpevole, ma le prove che avevo raccolto dicevano il contrario.Il mattino seguente mi svegliai molto presto e anche Salamence non fu da meno: guardandolo negli occhi riuscivo a leggergli la voglia di combattere e di sistemare quella faccenda che ancora durante la notte mi assaliva sotto forma di incubi. Salii sul dorso del mio fido compagno e ci dirigemmo verso la zona prestabilita all’incontro. Stranamente, il mio rivale era già sul posto al mio arrivo e non aveva alcun rinforzo al seguito.Salamence calò di quota fino a toccare terra per lasciarmi scendere a circa una ventina di metri di distanza da Kai; quest’ultimo non sembrò sorpreso nel vedermi e sul suo volto era dipinto un ghigno di sfida il quale avrei volentieri voluto trafiggere con la spada per farlo smettere. Il vento soffiava impetuoso su quelle lande e l’atmosfera si sarebbe potuta tagliare senza sforzo nonostante il silenzio di ambedue le parti.Fu proprio Kai a rompere quel silenzio dichiarando che si sarebbe liberato di me senza sforzo e che, una volta finito, avrei fatto la stessa fine di mio padre. Se prima avevo qualche dubbio, dopo quelle parole potevo ritenere la sua condanna a morte siglata col sangue; sentivo nelle vene il mio di sangue ribollire e ogni singola fibra del mio corpo fremere per la voglia di saltargli al collo e trafiggerlo, ma il mio fido Salamence (seppur comprendeva la mia ira) fu abbastanza composto da farmi un cenno col capo, come per farmi capire che avrebbe fatto di tutto per aiutarmi, esattamente come aveva sempre fatto.Senza perdere tempo, l’Hydreigon iniziò a sputare fiamme da tutte e tre le sue bocche indirizzandole sia a me che al mio compagno; io scattai di lato impugnando la mia spada, mentre Salamence balzò sul posto per prendere il volo lontano dal raggio d’azione dell’attacco. Mentre il pokémon dell’avversario iniziò anch’esso a librarsi in volo all’inseguimento, io attaccai a viso aperto con un fendente il mio nemico senza lasciargli modo di colpirmi per primo. Mi stupì non poco la sua reattività , che gli permise di parare tutti i miei colpi con la sua spada visibilmente consumata.Nel frattempo, nei cieli sulle nostre teste, Salamence era intento a schivare i colpi che l’Hydreigon gli lanciava senza sosta, ma senza le mie direttive, non sarebbe andato molto lontano e prima o poi sarebbe stato colpito. Alcuni minuti dopo, mentre io ero ancora intento a scambiare colpi di spada con Kai, sentii un rantolo di dolore del mio compagno e lo vidi perdere quota fino a schiantarsi per terra e l’altro drago era terribilmente vicino e pronto a infierire. Senza esitazione, mi liberai di Kai facendo cozzare nuovamente le nostre lame tra di loro ed ingaggiando una prova di forza che evitai abilmente sferrandogli un calcio allo stomaco.Questo stratagemma mi diede tempo a sufficienza per potermi dirigere verso il mio compagno e sferrare un fendente all’Hydreigon prima che potesse fare ancora danno. La bestia a tre teste si allontanò emettendo degli stridii e io ebbi modo di avvicinarmi a Salamence per controllare la sua ferita d’ustione. Non c’era vendetta servita su un piatto d’argento che avrei valutato più del mio inseparabile compagno, colui che mi aveva visto crescere e che era cresciuto con me; l’unico che c’era sempre stato anche nei momenti di difficoltà .Improvvisamente il mio bracciale e la pietra che era da sempre al collo del mio amico iniziarono a brillare di una luce intensa; non sapevo cosa stesse accadendo, ma Salamence riuscì a tirarsi su e mi fissò con decisione. Voleva che salissi su di lui.Non me lo feci ripetere due volte e, quasi istintivamente, portai la mano opposta a carezzare la pietra al braccio destro; da quel momento sentii una strana energia pervadere il mio amico, no, pervadeva anche me oltre che lui, e le sue sembianze mutarono: le ali si unirono andando a formare un solo apparato a forma di mezza luna, anche la sua intera fisionomia corporea sembrava più aerodinamica e la ferita che aveva subito pareva essere ormai un ricordo. Non avevo mai letto su nessun libro che un esemplare della sua specie fosse capace di evolversi nuovamente e la cosa mi aveva a dir poco fatto rimanere senza parole.Ma non era quello il tempo per rimuginare; afferrai il dorso del mio compagno e questo prese a volare rapido come non lo era mai stato verso l’Hydreigon per poi colpirlo con il dorso della sua possente ala, la quale al contatto emise un rumore sordo e non vibrò nemmeno un poco, rimanendo ferma e rigida. Il drago provò, su consiglio del suo padrone, anch’egli incapace di capire cosa stesse succedendo, a colpirlo con un getto d’energia draconica, ma ormai Salamence era troppo veloce per poter essere colpito. Una volta guadagnata quota sufficiente per essere fuori dalla portata del nemico, ordinai al mio compagno di colpirli con il suo raggio di energia più potente. Salamence inspirò profondamente ed emise poi un intenso raggio di luce che fendette il cielo e colpì con un grosso boato il pokémon nemico facendolo accasciare inerme al suolo.Ero estasiato dalla potenza che aveva dimostrato il mio compagno, Kai invece pareva temerlo come non aveva mai temuto nulla e provò a scappare ormai chiaramente senza alcuna possibilità di vittoria. Ovviamente ne io ne Salamence avremmo permesso a quell’essere di passarla liscia, dunque ci dirigemmo in picchiata verso di lui per colpirlo con un possente colpo d’ala del mio drago. Una volta tramortito, la frenesia di ucciderlo e bagnare la mia lama con il suo sangue fu forte, ma poi compresi che quello non era il modo giusto. Il mio amico ed io avevamo atteso questo momento a lungo, ma non era più la vendetta a spingerci, bensì la voglia di proteggere il mondo intero da criminali come lui. Così lo legai e lo portai con me nella capitale, dove ora passa i suoi giorni… in cella, e lo farà fino a quando i suoi occhi non si chiuderanno naturalmente.Anche adesso, mentre scrivo queste righe, immagino la sua espressione adirata per quello a cui l’ho condannato, ma in fondo è il giusto prezzo per le azioni che ha commesso. Il suo esercito non durerà a lungo senza la sua guida, quindi forse questa è l’ultima delle mie avventure?... No, sono convinto che per me e Salamence ce ne siano molte altre ancora. Per esempio devo ancora scoprire cosa siano queste pietre e come facciano ad interagire tra loro… forse un giorno sarò capace di comprenderlo come comprendo il mio compagno. Allora, per la mia storia ho scelto di scrivere sottoforma di pagina di diario e l'ambientazione è prettamente "medioevale" ovvero alla Fantasy Life, però ho voluto metterci in mezzo anche l'universo Pokémon. Questi ultimi vengono tenuti fuori dalle balls perché semplicemente in quell'epoca ancora non esistono.Spero che non si riveli una lettura troppo pesante e di aver reso bene una storia che dura anni (ho saltato un po' di roba inutile e mi spiace comunque per la lunghezza immane) ma che ho dovuto condensare in poche pagine di word. Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
ZarRomanov Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell’autore: ZarRomanovTitolo: Feeling GamesElaborato: Una storia ambientata in Artasia, un piccolo regno,sembrava un giorno come tanti, ma si teneva un gran convegno;tutto il popolo era chiamato a partecipare,sento in sottofondo la fanfara risuonare.“Accorrete popolo, tutti alla sala magna!â€La gente arriva ovunque, anche dalla periferica campagna.Nel regno la vita era sempre stata molto tranquilla,eppure quel giorno qualcosa s’era acceso come da una scintilla.Si riunisce nella sala magna il popolo riunito,esce il re e parte un applauso sentito.“Signore e signori, ragazzi e ragazze,sono ben felice di vedere qui gente di tutte le razze,maghi, paladini, guerrieri, cacciatori,ma anche sarti, alchimisti, cuochi e minatori,da oggi tutti insieme del regno sarete i senatori,una nuova via, quella democratica prenderà qui piede,siamo tutti qui ad ascoltare ciò che il nostro popolo chiede.â€Lo ammetto, era bello vedere tutto il popolo felice,io, un Paladino Alchimista con in moglie una Maga Cacciatrice.La mia vita fino a quel momento era stata piatta e senza sussulti,mi son sempre sentito diverso dal mondo degli adulti,ma quel giorno la mia vita stava definitivamente per cambiare,ah, miei cari amici, mai lo avrei potuto immaginare.Squillano le trombe, il re aveva finito il gran discorso,la gente si avviava verso le campagne dal solito percorso.Sembrava tutto tranquillo, tutto si era calmato,e fu qui che entrò in gioco il fato:un assassino silenzioso si era infiltrato nel Reale Palazzo,urla di terrore arrivarono dal terrazzo.Io e la mia donna ci fissiamo in viso,ogni nostro pensiero ormai da tempo era condiviso,d’accordo entrambi raggiungemmo il terrazzo,c’era il Re che scappava da un mascherato ragazzo.Mia moglie lanciava subito un incantesimo protettore,io nel frattempo preparavo una miscela per fermare il malfattore.Lancio il composto e il ragazzo rimane sul terreno immobilizzato,mia moglie con la magia in una gabbia lo lascia intrappolato.Andiamo a prendere il re a terra stordito,lo portiamo all’interno, scioccato per esser stato tradito.Passano diversi minuti, forse addirittura ore,il Re ci accoglie in camera, e cominciò a batterci il cuore.“Oh mio fiero Paladino e consorte,per un attimo avevo visto la morte,non so come ringraziarvi, mi avete salvato,vi farò un regalo, ma dev’essere meritato.Io e mia moglie non possiamo aver figli,i lontani parenti solo sul denaro vogliono mettere gli artigli.Così abbiamo preso una difficile decisione,si terranno delle prove, considerala una missione,chi vincerà più prove diventerà il nuovo sovrano,vinci questo gioco, e prendi il Regno per mano.â€Guardo il sovrano, il cuore batte all’impazzata,sguardo fiero nel mio viso, la sfida era già iniziata.Il sovrano ridacchia soddisfatto e dice:“Oh mio fiero Paladin, trasforma la tua lei in imperatrice,una durissima sfida ti sta attendendo,un solo consiglio, l’amor prima di qualsiasi cosa stia accadendo.â€Sembrava una frase come tante ma così non era,in quel momento non ci pensavo, per me era una nuova primavera.Passarono settimane, ma il giorno della sfida era arrivato,ci ritrovammo in una collina con un paesaggio da lasciar senza fiato.Ci mettiamo sull’attenti in attesa del re,dodici prodi sudditi in fila per tre.Il re arriva accompagnato dall’esercito reale,in cielo uno spettacolo, un’aurora boreale.Tutti pronti sull’attenti,intorno a noi solo il fruscio dei venti,il re sorride ed appare spensierato,pochi secondi ed il mistero sarà svelato;“Miei sudditi scelti, la prima prova sta giungendo,se qualcuno ha paura scappi, non mi offendo.La prima prova sarà quella di caccia,dovrete uccidere un animale che è una minaccia,il tenebroso cavallo alato con tre teste,fate attenzione, con un battito alato può causar tempeste.Vi sono in tutto 6 di questi mostri nel nostro regno,uno ogni due di voi, metteteci il massimo impegno.La prima sfida era ormai stata rivelata,tutti sanno che non sarà affatto una passeggiata.Mi preparo e mi metto subito in cammino,mano per mano con mia moglie, mi starà sempre vicino,una prova di caccia, cosa c’è di meglio?Ho una moglie cacciatrice, mi basterà rimanere sveglio.Ci dirigiamo verso il confine, il mostro è stato lì avvistato,ero pronto a tutto, grazie all’alchimia mi ero preparato:gabbia creata con una miscela chimica sconosciuta,era indistruttibile, aveva la migliore tenuta!Mia moglie armata di lama e magiami tiene per mano infondendomi energia.Arriviamo al confine e ci ritroviamo il mostro davanti,tenebroso in viso ma con ali di diamanti.Impugno la spada potenziata da magia e pietre elementali,taglio le tre teste e finisco con le ali,mia moglie con un potente incantesimo lo rinchiude nella gabbia,sembrava finita ma si alza una tempesta di sabbia…Era il momento, la nostra mossa segreta,magia ed alchimia, in sottofondo una melodia lieta,se siamo insieme la nostra potenza è completa.Un vento soave si va diffondendo,la tempesta veloce va scomparendo…Erano passate poche ore e la prima sfida era stata superata,ci dirigiamo a palazzo, era solo la prima giornata,altre quattro prove ci toccava affrontare,noi sempre tranquilli, tanto nessuno ci poteva separare.Passano settimane e si svolgono le varie prove,rimane l’ultima, fissata a Venerdì nove,eravamo rimasti io insieme alla mia amata moglie,contro di noi uno strano uomo in scure spoglie…Arriva il re, la sfida era stata annunciata,sarà un duello, spada contro spada.Mi sento rincuorato, sono un grande paladino,ma sentivo di dover stare attento all’avversario, aveva occhi da assassino.Uno contro l’altro, occhi negli occhi,delle campane si sentono i rintocchi.Passano i minuti senza colpirci,il primo colpo potrebbe tradirci,era una sfida di nervi ma dovevo averla vinta,comincio ad attaccare con la mia grande grinta.Spada contro spada, colpi su colpi,i minuti passavano, forse troppi;cominciamo a farci le prime ferite,decido di sfoderare una delle mie armi preferite:spade ed alchimia, grande accoppiata,la mia spada di elettricità era da tempo equipaggiata,sfodero l’ultimo colpo, quello decisivo,colpisco l’armatura, un colpo esplosivo!Avversario a terra, la sfida sembrava finita,ma il tenebroso avversario non aveva cara la sua vita;si alza sghignazzando, più pazzo che mai,eppure le sfida sembrava chiusa ormai…Ma scompare di colpo, che gran sorpresa!Ci guardammo intorno, pensammo ad una resa.Ma arriva un fragoroso boato sul campo di sfida,poi di nuovo silenzio assordante, o forse no, ecco delle grida!Mi giro di colpo, un coltello al collo della mia amata,“Dichiara la resa o questa per lei sarà l’ultima fermata.â€Il silenzio assordante si ripropone di sottofondo,io mi sento vuoto, ma bruciare nel profondo.Sembrava vinta, ma la battaglia era stata ribaltata,mi ritrovo confuso, che fine aveva fatto la dea bendata?Mi inginocchio piangendo, avevo già scelto,dichiaro la resa, forse non ero io il prescelto,ma non era quello ciò di cui m’importava,mia moglie, una famiglia felice, tutto ciò che contava.Lo sfidante la lascia cadere sul terreno, aveva perso i sensi,la prendo e la bacio, i miei respiri sempre più intensi…Lei si risveglia, intorno non so cosa stava accadendo,c’eravamo io e lei, per me il tempo intorno non stava più scorrendo.La prendo in braccio e scappo, mi lascio tutto alle spalle,ma veniamo presto circondati da un immenso sciame di farfalle.Mi fermo spaventato, non capisco cosa stia succedendo,una carrozza davanti a noi dalla nebbia stava comparendo.Lo riconosco, certo, quello è il re,è una corona quella che porta con sé!Nemmeno un saluto, mi invita a salire,“Come pensavo, non l’hai fatta morire.â€Arriva la notte dopo una grande tempesta,ma sarebbe diventata tutt’altro che una giornata funesta.Mi bacia la mia donna, mi stringe forte al petto,all’improvviso quel giorno diventò davvero perfetto,la notizia migliore, il sogno di tutti,quello capace di scacciare i pensieri brutti.“Amore mio, non hai salvato solo me,vedi, tra nove mesi in questa famiglia saremo in tre,hai salvato tutti noi, per me sei tu il nostro vero re,non c’è cosa migliore, tu, io, ed il nostro bebè.â€Passarono una sola notte da quella giornata, la notte migliore mai passata,era il giorno della cerimonia, la nuova coppia reale doveva essere incoronata.Ci affacciamo dalla finestra, forse ancora un pochino stanchi,vediamo arrivare una splendida carrozza trainata da cavalli bianchi.Scende il re e con queste parole ci accoglie:“Oh prode Paladino, sali pure insieme a tua moglie.Vedi mio caro, questa non era certo una vera battaglia,voglio che il mio successore sia di buon cuore, non una canaglia.â€Ero confuso, ma pian piano stavo capendo:“un solo consiglio, l’amor prima di qualsiasi cosa stia accadendo.â€Ora ricordo, furono queste le sue ultime parole,se tutto intorno era una tempesta, lei era il mio sole.“Bravo ragazzo, vedo che hai capito,durante queste prove mi son molto divertito,te lo dico col cuore, ho sempre sperato vincessi tu,diventa il nuovo re, hai tutte le virtù!â€.Saliamo in carrozza, direzione Palazzo Reale,ne avevamo passate di tutti i colori, ora pronti al gran finale.La folla ci accoglie, applausi senza fine,applausi tanto forti che si sentirono oltre il confine.Una lunga cerimonia che feci fatica a seguire,forte era l’emozione, non potete capire…Signori e signore, la storia è ormai finita,solo ricordate, i vostri sentimenti sono la vostra vita. 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NekoCult Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell’autore: Mio-SamaTitolo: DelirioElaborato:Dopo una lunga e sanguinosa battaglia, riuscii a battere la Viverna. Salii vittoriosa sul suo corpo esausto e calpestandogli la faccia dissi urlando:"Finalmente sto per ucciderti. Si... io sto per ucciderti. Mi senti, stupida Viverna?! Senti il mio piede sulla tua guancia?! Ti ho rincorsa per tutto il mondo dal giorno in cui hai sterminato il mio villagio... e hai divorato mio padre sotto i miei occhi. Lui era il mio eroe, mi stava insegnando l'arte del fabbro. E tu me lo hai portato via. Non sono l'unica a cui hai tolto tutto, ho visto molti dei villaggi che hai raso al suolo e incontrato pochissimi superstiti. Ma ora ti sgozzerò con la mia spada... No, non è solo la mia spada. La spada è l'anima di un paladino, l'ho forgiata durante il mio viaggio, imprimento in essa tutto il mio dolore, la mia rabbia e il mio odio nei tuoi confronti, schifoso essere immondo! Quindi preparati ad assaggiare solo un pò di tutto il dolore che hai creato in questo mondo!!". Colpii più volte il suo viso con furia fino a sfigurarlo, ma respirava ancora. Era rimasto intatto solo uno dei suoi innumerevoli occhi. Glielo strappai con foga e lo lanciai contro un muro. Un respiro. Lo sentii... e dentro di me qualcosa si accese, o si spense non saprei ben dire. Lo decapitai. Poi gli tagliai una zampa e prima che me ne accorgessi lo avevo fatto a pezzi. Avevo promesso un trofeo alla tomba di mio padre, ma non era rimasto niente di presentabile. Notai l'occhio che avevo lanciato. Era ancora intero. Stringendo l'occhio nel palmo della mano me ne andai. Ma solo dopo, vedendomi completamente sporca di sangue capii, che la mia vita era cambiata... perchè uccidere mi aveva fatto provare un ebbrezza di cui non riuscii più a fare a meno. Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
deadmau5 Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell'autore: deadmau5Titolo: A pesca di MagikarpElaborato: Era stata la giornata più disastrosa della mia carriera da pescatore: ero stato lì per quattro ore e mezza e avrei riportato a casa soltanto un granchio, un'alga forse commestibile e un pesce tranciato a metà da uno squalo, con quella lisca in fuori che sembrava prendersi gioco di me. Ero intento a sganciare dall'amo lo stivale vecchio che avevo pescato, quando la suola si staccò con un "crack" e piombò sulla mia testa, bagnandomi con l'acqua putrida che ristagnava in quell'ammasso di cuoio da chissà quanti anni. Imprecai più forte che potevo e massaggiai le tempie, pensando a come potesse andare peggio di così, quando un'aquila mi passò di gran carriera davanti al naso scaraventandomi a terra. Quando riuscii a rimettermi in piedi la vidi allontanarsi con il granchio tra gli artigli e il pesce a metà nel becco. Era rimasta soltanto l'alga. Mi chiesi come mai il destino non mi avesse tolto anche quella, e quindi conclusi che probabilmente era tossica.Non avendo più nulla da perdere, agguantai bruscamente l'alga e la impigliai all'amo per usarla come esca. Guardai furibondo la superficie dell'acqua, liscia e splendente sotto il sole accecante di mezzogiorno. Non era forse vero che il caldo aiuta il pescatore? Se era davvero così, avrei dovuto prepararmi a quell'inverno, perché sarei morto di fame. Nelle ore successive continuai a rimanere a secco di pescato, ma almeno non ricevetti nessun altro attacco aereo né colpi alla testa da parte di oggetti indemoniati. Alla fine cedetti, avvolsi la mano intorno alla lenza e iniziai a ritirare il filo, ma in quel preciso istante sentii una tensione dall'altro capo della lenza, come se avesse abboccato qualcosa. Qualcosa di bello grosso. "L'amo si sarà impigliato con un'altra manciata di alghe" dissi tra me e me, "qua a Porto Puerto ce ne sono tantissime."Tirai ancora, e ancora, ma niente da fare: se avevo visto giusto, doveva essere un cumulo bello grosso. Allora tirai fuori le forbici e le avvicinai alla lenza, temendo che quell'ammasso inutile avrebbe spezzato la semplice canna costruita con le mie mani. Ero pronto per tagliare, quando notai qualcosa increspare la superficie dell'acqua, qualcosa di color arancio, splendente e piena di squame: un pesce. «AH!» urlai, e assunsi all'istante la posizione di pescatore esperto, che però non mi impedì di cadere peso nel fango. Ma per mia fortuna il pesce era ancora lì. Capii che non potevo aspettare oltre: rotolai con uno scatto fulmineo tra l'erba, strinsi la canna e scattai all'indietro, ingoiando tonnellate di fango mentre facevo una capriola. Fu a quel punto che il pesce balzò fuori, atterrando sulla mia schiena con un suono sordo. Il suo corpo impazzito si dimenava sulle mie vertebre indolenzite: perciò, prima di rompermi anche la schiena, lo afferrai sghignazzando, sentendo l'acqua scivolare dalle sue squame alle mie dita doloranti.Mi voltai. «E TU CHE DIAVOLO SEI?!» Quello non era un pesce. Era un mostro. Prima di pensare a qualsiasi altra cosa lo scagliai con tutte le forze verso la riva, arretrando carponi come uno psicopatico, fissando con aria disgustata quel corpo ovale ricoperto da un orrendo strato aranciato. Ma a ripugnarmi di più erano i suoi baffi giallognoli, ma anche gli occhi non scherzavano, così grandi e con delle pupille così piccole. Non avevo mai visto nulla di simile in dieci anni passati a pescare. L'avevo lanciato sull'orlo dello strapiombo che portava al laghetto. Da un lato volevo che precipitasse di sotto, ma poi pensai a quanta fama avrebbe potuto portarmi. «Chissà come ti chiami» chiesi stupidamente, alzandomi in piedi. «O forse dovrei darti io un nome, visto che sono colui che...» «Magikarp» rispose all'istante, muovendo le grosse labbra carnose. «Magikarp.» Ecco. In quel momento mi vidi di fronte a uno psicologo, a parlargli dei miei problemi con i pesci parlanti. * Non potevo mostrarlo a nessuno, quel pesce. Diamine, chi ha mai visto una roba del genere, se non nelle favole? Da piccolo mia madre mi raccontava roba del genere... ma siamo sinceri, già all'epoca pensavo che fossero tutte baggianate. Ovviamente non l'avevo mai ammesso per non ferire i sentimenti di mia madre, che ci credeva. Ma ora la questione era un'altra: mi trovavo al centro di una strada affollatissima, con una miriade di occhi puntati addosso, occhi ignari che sotto al mio mantello nascondevo una teca con un animale mitologico all'interno. Speravo vivamente con tutto il cuore che nessuno si fermasse a parlare. «Ehilà , Lore!» *censura* *censura* *censura*. Ricoprii con la stoffa una parte della teca che era scoperta e ostentai un sorriso, così finto che sembrai un fantoccio. «Chi si rivede, Tod...» «Ehi, amico... Ti vedo strano... Qualcosa non va?» «Oh, no, va tutto splendidamente! Oggi è stata un'ottima giornata per la pesca.» Mai detta bugia più grande. Era poi da vedere se andasse tutto bene. Personalmente non reputavo tale avere addosso una bestia sovrannaturale pronta a stritolarti coi suoi baffi o fare chissà quali altre mosse assassine. In ogni caso probabilmente Tod non ci cascò, e aguzzò gli occhi per fissarmi meglio. Poi mi pose una domanda che raggelò il sangue nelle mie vene. «E dove hai messo il pescato?» Non c'era tempo per pensare, ragionare. Quel pesce apparteneva soltanto a me, nessuno poteva comparire sui libri di storia al posto mio. Già vedevo il titolo: "Lore, il capostipite del dialogo tra animale ed essere umano". Non poteva andare tutto storto proprio ora. Proprio per questo, lo buttai di lato con un movimento secco, gli chiesi «Scusa» in modo sbrigativo e mi lanciai nel fitto della folla, spostando tutti con spintoni e stando attento che la teca non si svuotasse, anche se ormai ero bagnato fradicio. «Lore! Che cavolo...?» «Ti ripagherò con del pesce gratis!» E detto questo svoltai in Via Conchiglia, in direzione della mia casa. * Appoggiai la decima enciclopedia nella grossa pila davanti a me, composta dalle altre nove, e mi stiracchiai con le poche energie che mi erano rimaste. Non avevo trovato niente neanche su quella, e l'oggetto del mio mistero mi fissava imperturbabile dalla sua teca, aprendo la bocca a intervalli regolari e non battendo mai ciglia, se le aveva. Quel Magikarp o come aveva detto di chiamarsi era un gran bel mistero. Inoltre c'era un'altro aspetto che dovevo approfondire: il dialogo. Tra un'enciclopedia e l'altra avevo fatto di tutto per spingerlo a parlare, a dire altro al di fuori del proprio nome, ma niente da fare. Sapeva dire solo quello. In effetti non aveva di certo una faccia sveglia. «Ora mi stai facendo arrabbiare. Dobbiamo prepararci per un'intervista per i giornali, capisci?» «Magikarp.» «Capisco che ti chiederanno il nome, ma solo alla fine, per firmare pagine e pagine di domande personali! Perché tu avrai una marea di esperienze alle spalle, no? È per questo che fissi sempre tutti con quell'aria vissuta, vero?» «Magikarp.» «Ho capito. Adesso farò altre ricerche e ti farò sputare il rospo, prima o poi.» Scansai la grossa pila di lato e afferrai l'ultimo libro rimasto, rilegato con una graziosa copertina in pelle. «Ecco qua. Pesci rossi: specie, stili di vita e allevamento. Giuro che se non ti trovo neanche qui denuncio la casa editrice.» Detto questo mi lanciai nella lettura, analizzando ogni riga e ogni signola immagine. Ogni tanto sobbalzavo quando vedevo un pesce coi baffi, ma alla fine si rivelava sempre un pesce gatto. Stavo giusto per passare al quinto capitolo, Pesci dall'indole ottusa, quando qualcuno parlò alle mie spalle. «Mi dispiace scoraggiarti, ma tra quei cumuli di carta non troverai mai quello che cerchi. Che ne dici di un bel Pokédex?» Quel giorno stavo rischiando fin troppe volte uno schock nervoso. Senza neanche accorgermene mi ritrovai con la sedia a terra, e afferrai il bordo del tavolo per cercare un minimo di stabilità . Di conseguenza la superficie si inclinò verso di me e le enciclopedie caddero tutte quante sopra alla mia testa, una dopo l'altra. Alla fine avevo un bernoccolo così grande da sembrare il pesce stampato nell'immagine al mio fianco, un narvalo. «Scusa. In effetti sarei potuto entrare più lentamente.» Una mano entrò nel mio campo visivo per aiutarmi a rialzare. «Piacere di conoscerti, giovane pescatore.» Continuando a massaggiarmi il bernoccolo la afferrai e mi alzai in piedi, trovando a fatica equilibrio sulle gambe. Poi alzai lo sguardo e lo fissai dritto negli occhi. Era davvero un bel ragazzo. I lunghi capelli argentei gli ricadevano ordinati ai lati del viso, contornando gli occhi anch'essi grigi, e per qualche ragione ebbi l'impressione che fosse fatto di metallo. Mentre mi guardava inclinò la testa e si aprì in un sorriso, sfiorando con le dita una sofisticata spilla sul colletto. «Mi chiamo Rocco Petri. Ti chiedo di nuovo scusa per il bernoccolo, dopo ci metteremo qualche pomata. Fai spesso botte simili quando peschi?» Non seppi come interpretare la cosa, se come sarcasmo o sincera preoccupazione. Mi limitai a fissarlo in tralice. «Come sei entrato?» abbaiai subito dopo. «Ho sfondato la porta.» Rise e mostrò una pallina rossa e bianca, con un cerchio al centro. «Ci ha pensato un amico, che in fatto di braccia è messo cento volte meglio di me. Anzi, direi quattro.» C'erano troppe cose che non capivo di quel ragazzo, di quella situazione. I miei occhi guizzarono di nuovo verso di lui, le enciclopedie a terra, il pesce parlante e la sferetta che aveva in mano. Probabilmente stavo ancora dormendo, forse non mi ero mai svegliato dalla dormita di stamattina. «Piacere, Lore.» Strinsi distrattamente la sua mano e la pulii sul bordo della giacchetta, come fosse infetto. Stranamente invece di offendersi mi rivolse un sorriso ancora più grande. «Cos'è che stavi dicendo prima? Hai nominato un certo Pollenek...» «Pokédex» mi corresse lui in tono amabile. Â«È un dispositivo che registra tutti i Pokémon con cui si entra in contatto, a prescindere dalla regione di provenienza. Detto in parole più povere è il Vangelo di ogni allenatore che si rispetti, il punto di riferimento per tutti i suoi un Pokémon.» «Un Pokémon? Certo che lo so.» Ostentai un'espressione saccente. «Vuoi dire quel gamberetto trasparente che a volte mi taglia l'esca vicino all'amo, è così? Pokémon, si chiama proprio così, l'ho letto un sacco di volte...» I miei occhi indugiarono su una pagina aperta ai miei piedi. Lo vidi stampato mentre passeggiava sopra un corallo, con la scritta "Vollemon" a caratteri cubitali appena sotto. Il rossore mi invase il viso e non riuscii a trattenerlo, quindi incrociai le braccia e misi il broncio. «Ah ah, ci sono ancora molte cose che devi imparare...» mi fece notare ingiustamente lui. «Guarda. Ora ti faccio vedere cos'è il "pesce parlante" che hai pescato stamattina.» Giocherellò un po' con quell'aggeggio e alla fine aprì una scheda piena di scritte, di fianco ad un'immagine che rappresentava... Â«È lui!» esclamai, senza riuscire a trattenermi. «Proprio così. Vedi? SI chiama Magikarp. Senza offesa, ma per essere il tuo primo Pokémon non sei stato molto fortunato. Ci sono una marea di pesci più interessanti. Basculin, Seaking, Carvanha... Beh, è pur sempre un inizio, per carità ... Che mosse conosce oltre a Splash?» Per me stava parlando arabo. Mi stava riempendo la testa di cose inutili e per un attimo pensai di mandarlo fuori a calci. Mi trattenni e guardai attentamente la sua spilla. «Dove l'hai presa?» Mi interessava senza dubbio più quella. «Deve valere un sacco di soldi.» «Oh, questa? È una Megaspilla. Consente di Megaevolvere i tuoi Pokémon. Dargli energie e statistiche superiori, insomma. A Hoenn – la regione da cui provengo – non è roba per tutti, ce l'hanno soltanto gli allenatori più esperti. Uno di questi è un ragazzo molto giovane, come te, che ultimamente ha fatto grandi cose. Dovresti conoscerlo, sai, potreste andare d'accordo.» «A me basta e avanza conoscere una piattola saccente come te» sbottai in preda ai nervi, macchinando tattiche per rubargli quella spilla. «Anche perché mi hai appena detto che questo pesce è stato già scoperto, se ho capito bene.» «Oh, eccome. Anche la sua evoluzione, un bestione grosso sei metri e mezzo. Ma non perdiamoci in chiacchiere, ora. Io sono venuto qui per proporti una cosa.» Il modo in cui mi parlava, mi guardava, il sorriso ampio pieno di un'enfasi che non comprendevo. Che cosa nascondeva quel ragazzo dai capelli grigi? «Dimmi. Sono tutte orecchie.» «Ecco... non farò giri di parole. Il problema è molto semplice. Tu oggi hai visto per la prima volta un Pokémon, ma loro... non dovrebbero essere qui.» «Come sarebbero a dire? Quindi teoricamente nessuno li conosce, qui?» «Non farti strane idee. Non comparirai mai sui libri di storia, anche perché li riporteremo a Hoenn, Sinnoh, Kalos e tutte le altre regioni del mio mondo. Quindi se vuoi aiutarmi vai a tuo svantaggio, ma almeno... verrai considerato un eroe. Nel tuo piccolo, ovviamente, perché nessuno verrà a conoscenza delle tue imprese. Tutto questo deve rimanere un segreto.» Valutai attentamente l'ipotesi. Sì, perché no... In tutto quel travaglio ci sarebbe sicuramente arrivata l'occasione per mettere le mani su quella spilla... E chissà quanti verdoni avrei ricevuto con la vendita... Altro che continuare a pescare, mi aspettava una vita da nababbo... «Accetto.» Gli strinsi la mano con l'aria più convincente che riuscii a mettere insieme. «Si aiutano sempre gli amici, questo penso valga anche nel tuo paese.» «Ovviamente. Gli Allenatori Pokémon sono persone molto gentili ed altruiste.» Squadrò in silenzio il mio bernoccolo e le enciclopedie riversate disordinatamente, poi non riuscì a trattenere una risata. «Prima però ci sarebbero un bel po' di cose che dovrei insegnarti, giovane pescatore.» * Rocco Petri mi guardava con aria seria e inflessibile, le dita sottili congiunte sotto al mento. Stavamo studiando dalla notte dei tempi, o così almeno credevo. Sentivo che prima o poi la testa mi sarebbe scoppiata, tanto era piena di nomi, mosse, Evs o come diavolo si chiamavano, compatibilità dei tipi e modalità d'evoluzione. In quel momento avevo una statuina di Treecko davanti al naso, rappresentato mentre usava Foglielama su un Barboach, e trattenni l'irrefrenabile voglia di spaccarlo in mille pezzi. Stavo impazzendo per imparare tutte quelle cose, e poi cosa avrei ottenuto? Valeva davvero la pena di compromettere la mia sanità mentale per una stupida spilla? «Avanti, Lore, rispondi.» Un bagliore negli occhi di Rocco mi riportò alla realtà . Lui sembrava esaltato da tutte quelle cose, al contrario di me. Mi grattai la nuca fino a sentire dolore e guardai sofferente nella sua direzione, chiedendomi cosa avessi fatto di male. Ma non potevo tirarmi indietro proprio ora, non volevo continuare a fare il pescatore per il resto dei miei giorni. Quindi, con immenso sforzo, iniziai a fare i conti ad alta voce. «Innanzitutto la mossa del Tecco è aumentata di un terzo, perché è del suo stesso tipo.» «Perfetto. Ma si chiama Treecko. In ogni caso non ha importanza, non devi mica sapere il nome di un Pokémon per catturarlo.» Si allungò sopra al tavolo del salotto e avvicinò le due statuine a me, che mi fecero indietreggiare di riflesso. «Invece che altro sai dirmi della compatibilità ?» Li guardai attentamente. Quel Barboach mi ricordava le anguille che pescavo d'estate nella palude, quando ci eravamo tutti quanti stancati del sapore delle carpe. Non fu difficile vedere il me del passato che sguazzava nel fango per cercare di prenderne uno, tutto bagnato e impigliato nella lenza tagliente, senza sapere che a casa mia madre avrebbe sbraiato per mezz'ora buona una volta vista la giacchetta nuova e i jeans di mio padre ormai da buttare. Di conseguenza non ebbi grandi sforzi per determinare il suo tipo, così come era successo per tutti i Pokémon pesce visti finora. «Direi che è un Pokémon acqua-terra» sentenziai alla fine, rigirandomi la statuina tra le mani. Alzai gli occhi verso Rocco, che mi rivolse un'espressione entusiasta ed annuii. «Quindi?» «Quindi... l'attacco è quattro volte più efficace.» «Allora...?» Non ero mai stato portato per la matematica. Senza farmi vedere, trafficai rapidamente con la calcolatrice sotto al tavolo, poi lessi distaccatamente il numero comparso sopra. «Sei. L'attaco della lucertola è sei volte meglio.» Rocco si alzò in piedi, visibilmente felice. Probabilmente credeva che sarebbe stato difficile instruire un sempliciotto come me, ma si sbagliava. Lo vidi allontanarsi lentamente dal tavolo, camminando a lunghi passi verso la credenza e contemplare in silenzio il Magikarp nell'acquario, leggermente cresciuto rispetto a tre giorni da ma con ancora quell'espressione tonta stampata in faccia. Poi, senza preavviso, lanciò una Pokéball alle spalle, che afferrai per un soffio tra le mani. Â«È giunta l'ora della pratica.» Girò sui piedi con un movimento esperto ed estrasse una seconda sfera dalla tasca, grigia e pallida come i suoi occhi. «Ti ho appena prestato il mio Skarmory. Io invece userò il mio amato Metagross, così rivedrà per un po' la luce del sole.» In effetti era dal giorno del suo arrivo che non lo aveva fatto uscire da lì, nel giardino sul retro della casa, nascosto da tutti. Ricordavo appena come era fatto, ma come dimenticare quelle quattro braccia grosse come automobili, pronte a schiacciare il mondo intero? «Non se ne parla!» sbraitai all'istante, balzandogli contro. «Distruggerà la casa, vuoi forse ammazzarmi? E anche se sopravvivessi per miracolo di penserà mia amdre! Tu non la conosci, con la sua cucchiaretta sarebbe in grado di battere un Dragonite o un Salamance...» «Fuori c'è troppa gente, mi dispiace. E non possiamo aspettare stasera, dobbiamo partira il prima possibile. Poi c'è un motivo se ho scelto proprio Metagross tra i tanti portenti della mia squadra.» «Certo che c'è un motivo. Vuoi farmi il sedere, non è vero?» Rocco si aprì in uno dei suoi classici sorrisi. «No, Lore.» Le sue dira indugiarono sulla Megaspilla, poi la sfiorarono delicatamente con la punta dell'indice e del medio. «L'ho fatto semplicemente per mostrarti una cosa bellissima, la Megaevoluzione.» * Sono passati tre anni dal giorno in cui Rocco mi mostrò la Megaevoluzione di Metagross. Chissà , magari era proprio il quattordici di luglio, come oggi, ma non posso ricordarmelo. Inoltre, qua sul Picco Nevoso sembra tutto meno che estate, anzi, non ricordo neanche più cosa fosse. Stiamo scalando le pendici da più da due giorni e mezzo, e il dolore alle ginocchia testimonia tutto questo tempo. Non vedevo nient'altro che bianco. Con immensa fatica affondai lo stivale nella neve profonda e feci leva con tutte le forze, sentendo il freddo stringermi la caviglia. A quel punto mi girai verso Rocco, qualche metro dietro di me, infagottato nel suo giubotto sottile e rannicchiato intorno alla sciarpa di seta, tutta ricoperta di sofisticati cristalli azzurri. «Non preoccuaprti per me» mi dice. Lo sentii appena a cauda del vento che si abbatteva su di noi. «Non possiamo perderci di vista» ribattei, risistemandomi i guanti. «Cosa faremmo se sbucasse fuori un altro Mamoswine? Non ho più voglia di ruzzolare giù per cento metri, mi dispiace.» Lo sentii ridere debolmente, ma forse era un colpo di tosse. Non pensavo che soffrisse così tanto le temperature fredde, ma in fondo lui veniva da Hoenn, non era abituato a climi simili. Là c'erano solo spiagge, mare, le terme di Cuordilava, Wingull che ti volavano sulla testa, a volte lasciando anche un ricordino. Pensandoci bene mi sarebbe piaciuto andarci, una volta. Chissà quante belle ragazze, quanti posti per allenarsi. Per non parlare della pesca, sarei diventato milionario a forza di vendere pesce. Chissà perché Rocco ha deciso di allenare Pokémon Metallo, quando sarebbe stato cento volte più facile allenare quelli Acqua o Volante... In effetti è una domanda che non gli avevo mai posto, in questi tre anni di viaggio insieme... Proprio in quel momento mi raggiunge, trovando stabilità sulla mia spalla. Stavolta sento distintamente la sua risata. Â«È impensabile che io cerchi l'equilibrio sul tuo corpo» mi dice, liberando una nube di vapore. «Neanche uno Spoink senza molla lo farebbe. Ti ricordi quante botte facevi quando ci siamo conosciuti?» «Quei tempi sono andati» annunciai con aria vissuta. Estrassi il Pokédex dalla tasca e contemplai i Pokémon rimasti all'appello, ancora delle ombre scure nello sfondo reticolato. «Non sapevo neanche cosa fosse un Magikarp, diamine. Ed ora guarda qua, abbiamo praticamente finito. All'appello mancano solo uno Snorunt e un Absol.» «...che all'epoca avresti chiamato Scorrut e Abbiol» mi apostrofa lui, avvicinandosi allo schermo. «Non è divertente.» «A parte scherzi. Sei stato molto utile in questa missione, dico sul serio. È venuta a te l'idea di usare i poteri di Munna, no? Altrimenti sarebbe stato un casino, con tutti i testimoni oculari pronti a dire di aver visto un Pokémon. Ti ricordi l'ultimo? Che urlava al mondo che esisteva un uccello vegetariano?» «Farfetch'd» rido io, ripensando a quel vecchio impazzito. «Poi però è stato buono quando gli ha dato il porro in testa.» «Invece ti ricordi quella ragazzina schizzinosa? Pensava che Espurr fosse un peluches morbido ed adorabile e invece...» «SNORUNT!» Lo urlo così forte che cadiamo tutti e due insieme, fino a scomparire nella neve alta. Quando riesco ho il sedere così dolorante che sa per spaccarsi in due, ma almeno lo Snorunt è ancora là , raffreddato e tremante, a togliersi i cristalli di neve dalla pelliccia. «Ci penso io» dico autoriario, togliendo la mano dal sedere per sembrare credibile. Mi avvicino a piccoli passi, stando attento a non spaventarlo. Estraggo lentamente lo scettro dalla tasta e miro alla sua sagoma triangolare, ruotando impercettibilmente la mano. «Non userai i Pokémon?» mi bisbiglia Rocco dalle spalle, ricordandomi terribilmente la ragazzina preoccupata per il fidanzato. «No. Stavolta solo i miei poteri.» Amplifico il movimento della mano e osservo la luce dello scettro che si intensifica. «Voglio dare un senso alle mie capacità da mago. Così la farò vedere a tutti i Mercenari, Paladini e Alchimisti che si credono i padroni del mondo. Sappiamo tutti che il mio è il mestiere migliore del tuo mondo. Dovrebbero portarli pure nel tuo mondo, sai.» «Là bastano i Pokémon tranquillo. È già abbastanza difficile catturarli senza tutte queste complicatezze, fidati. Comunque non per metterti fretta, ma lo Snorunt sta scappando.» Purtroppo ha ragione. Lo vedo appena tra la bufera di neve, quindi tiro lo scettro dietro la schiena, pronuncio tutte le formule magiche e mi preparo a scagliare l'incantesimo, ma in quel preciso momento una luce rossa mi acceca gli occhi, e non vedo più niente. Quando li riapro mi accorgo che la fonte è una Pokéball, e che mi ha fregato sul tempo per catturare lo Snorunt. L'allenatore che l'ha usata, o meglio, la persona incredibilmente inquietante che mi ha battuto sul tempo, è un'altissimo uomo nero, avvolto da una toga altrettando nero e invisibile dietro al suo cappuccio dal colore ovvio. Il contrasto con la neve tutt'intorno è impressionante, e per un attimo penso che mi stia immaginando tutto. Ma poi sento distintamente la voce di Rocco. «Sei un Pokémon?» Lo vedo trafficare istericamente col Pokédex, in difficoltà . «Eppure pensavo che fosse l'ultima versione...» Di colpo l'uomo alza una mano in avanti, e mi indica. Poi, ad una velocità degna di uno Slakoth, la punta verso Rocco, ancora tutto agitato. «Voi. Torre. Cima della Montagna. Stasera.» Detto questo, ruota su se stesso con un movimento secco, una spirale di fumo si forma intorno al suo corpo e scompare nel nulla, alla stessa velocità con cui era venuto. Io e Rocco siamo sconvolti. «Chi era?» chiede Rocco. «Devo saperlo!» «Sicuramente un tizio di poche parole» ribatto. Alzo un sopracciglio e mi sento epico. «Oppure un alunno che aveva tre in italiano.» * Eccola là , la la torre di cui parlava. Non metteva certo allegria, scura com'era, ma dopotutto non potevo sperare in un rosa pompelmo o in un bel giallo canarino. Pensai che avrei trovato con difficoltà anche la porta, tanto era uniforme il colore. «Sarà questa la torre?» chiese Rocco. Ultimamente mi stava sorprendendo per la stupidità delle sue domande. Forse il freddo gli fa quest'effetto, mi dissi. Non è abituato. «Direi di sì» rispondo con una punta di sarcasmo, che sembrò non notare. «A me preoccupa il fatto che avesse una Pokéball. Significa che è uno... come te?» «Non dirlo con quel tono» esclamò lui, incrociando le braccia. «Si da il caso che ora anche tu sia un Allenatore Pokémon a tutti gli effetti, come me. E comunque no, non so come faccia ad averne una. Sembrava una Master Ball, ad ogni modo.» «Mi prendi in giro? Ma la Master Ball non è mica quella invincibile?» «Esatto. E l'ha usata per catturare uno Snorunt.<<Entriamo» taglio corto, issandomi di nuovo lo zaino sulle spalle. Il peso delle Pokéball mi stava schiacciando. «Così scopriremo anche la scuola che ha frequentato per essere così capra.» Non fu difficile raggiungere la torre: mi aspettavo qualcosa di più, da un tipo così serioso. Invece ci mancava soltanto che mettesse uno zerbino all'ingresso. Una volta dentro ci ritrovammo in un'immensa stanza circolare (nera, ovviamente), che si sviluppava intorno a una scala a chiocciola, decorata con linee e curve contorte. Ad un gesto della mia mano, iniziammo a salire. «Soffro di vertigini» protestò Rocco al decimo scalino. «Non guardare giù. Oppure pensa di essere uno Skarmory.» «Oh, fantastico. Con questo la paura scomparirà in un batter d'occhio.» Alla fine riuscimmo ad arrivare in cima, in un modo o nell'altro. A parte i piagnucolii di Rocco e lo zaino di una tonnellata e mezzo, per il resto filò tutto liscio. Quando appoggiai i piedi sul pavimento della stanza finale mi sentii come un Tentacool lasciato essiccare in spiaggia per tutta l'estate. «Eccovi. Voi. Torre. Arrivati.» A quanto pare nel frattempo non si era messo a studiare. Alzai la testa con una fatica immane e lo guardai negli occhi, o meglio, nel punto in cui avrebbero dovuto essere. Quel cappuccio mi urtava i nervi, chi si credeva di essere? «Ridacci lo Snorunt» misi subito in chiaro. «Noi stiamo facendo una missione importante, non come te, che ti diverti a catturare i Pokémon Ghiaccio per divertimento. Con una Master Ball, tra l'altro.» «Ha ragione Lore» interviene Rocco con il fiatone, ma visibilmente risollevato dopo la paura delle scale. «Io sono Rocco Petri, Campione della Lega di Hoenn. Devi obbedirmi, altrimenti...» «Altrimenti? Sei una nullità .» Quelle parole ci lasciarono di stucco, e non parliamo più. «Tu hai... detto... una frase corretta!» esclamo alla fine. «Non prendetemi in giro! Parlavo a quel modo per darmi un alone di mistero. Ma queste sono sfumature che voi imbecilli non potrete mai cogliere.» Con la sua solita lentezza, iniziò a sfilarsi la toga dal basso. «Io sono un genio, al contrario di voi.» «Dimostracelo. Quanto è efficace Fendifoglia se è usato da Treecko contro un Barboach?» Si fermò per un momento a pensare, poi continuò stizzito a sfilarsi la toga. Probabilmene non sapeva neanche di cosa stessi parlando. «Non rispondo a domande così infime.» Ormai la toga è all'altezza del petto, e lasciava intravedere abiti di una persona normale, jeans e maglietta. «E non parlo neanche con persone inette come voi. C'è troppa differenza con il mio genio. Io sono colui che ha realizzato ciò in cui tutti gli altri avevano fallito, che ha portato i Pokémon in un mondo diverso da quello d'origine!» Un gelo mi attraversò dentro. Temetti che Rocco stesse per rimanerci secco, da come balbettava. Quindi noi avremmo fatto tutto questo... per colpa di un imbecille simile? «Non è possibile» dissi, e mi lasciai cadere al suolo. Il peso delle Pokéball si abbattè su di me con ancora più forza. «Tutti questi anni passati a completare il Pokédex, a viaggiare per le terre più impervie, a beccarmi le punture di MegaBeedrill, a cancellare memorie con Munna...» Di colpo sentii lo sconforto lasciare il posto ad una rabbia folle. Devo rimediare... L'uomo che avevo davanti aveva causato tutto quel disastro... E doveva pagare... Senza riflettere, mi ci scagliai addosso e gli afferrai un braccio, poi lo morsi. Lui lanciò un urlo agghiacciante che rimbombò nella stanza, e mi spedì con un calcio in mezzo al salone scuro. «Lore, non comportarti come un Pokémon» mi rimproverò Rocco, avanzando verso l'uomo. «Risolviamo la situazione con diplomazia. Prima di tutto, ridacci quello Snorunt. A quel punto potremmo anche parlare... umanamente. Non so se mi spiego. Il mio amico qui di fianco non avrà problemi a ricorrere dei suoi denti letali.» L'uomo rise, una risata roca, profonda, inquietante. Ormai la toga stava superando il collo, il mento, la bocca... «Lore è proprio un villano. Non merita di vivere nella società , è un selvaggio. Non dimenticherò mai il giorno in cui mi hai buttato per terra, in mezzo a tutti. Mi sono vergognato per settimane, a volte arrossisco tutt'ora al solo pensiero.» La toga cadde a terra. «Tod?! Cosa...?!»Non è possibile. Tod, il mio amico di infanzia, ha elaborato un piano malvagio per portare i Pokémon in tutti i mondi possibili. Tod, il ragazzo da cui stavo nascondendo Magikarp, il mio primo Pokémon, che aveva segnato l'inizio della nostra missione stremante e pericolosa... «Esatto.» Ora riconosco la sua voce, acuta e diretta. «Ma non c'è tempo per discutere. Vai, Absol, dimostriamo di che pasta siamo fatti!» Un lampo di luce rossa ed eccolo lì, lo sguardo fiero puntato sui nostri corpi affaticati. Poi, con un movimento altrettanto solenne, Tod tira in sù la manica per mostrare un grosso bracciale nero, così largo da rischiare di uscire. A quel punto lo solleva verso il lampadario di opali sul soffitto, e Absol si trasforma nella forma Mega in una tempesta di bagliori. Non appena lo vedo penso che sia imbattibile, e quasi decido di tornare indietro ed abbandonare tutto. Ma poi mi dico che non può competere con il mio Pokémon, non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme. «Hai voglia di giocare, eh?» lo stuzzicai. «E sia. Vai, Gyarados!» Il mio amato Gyarados fa il suo ingresso nella stanza, sconvolgendo tutti con la sua imponenza. Apprezzo molto questo effetto, ma lui non sembra essere del mio stesso avviso, con la testa impigliata negli opali del lampadario. Quando utilizzo il Megabracciale che mi ha donato Rocco, poi, sembra un serpente attorcigliato dentro un barattolo, e con un latrato profondo protesta per il mio errore. È questione di un momento, Gyarados! Non ci metteremo più di cinque minuti!» Nel frattempo Rocco manda il campo il suo Metagross, che diventa Mega grazie alla Megaspilla. La Megaspilla, l'oggetto che mi ha spinto a partire. Ma ora ho tutt'altri interessi: mi trovavo nel bel mezzo di una sfida tra Mega, e avrei fatto di tutto per vincere. Per il mio mondo, per quello di Rocco, per tutti quanti i Pokémon. «Mi dispiace per quella volta, Tod» dico con espressione seria. «Avrei dovuto spingerti con più forza.» «Proprio non capisci?» sbotta lui. «I Pokémon meritano di essere clonati! Per questo l'ho fatto, e poi grazie al portale di Hoopa li ho trasferiti qua. Ma esistono anche altri stratagemmi bellissimi, come quello delle Master Ball infinite. Io sono il padrone dei trucchi nei videogiochi, capisci? E nessuno potrà fermarmi. Perché seguendo la mia dottrina i giochi verranno vinti in un batter d'occhio, mentre voi li finirete quando la vostra barba sarà più lunga del vostro corpo, se va bene.» «Proprio non capisci...» Iniziava a farmi pena, sembrava credesse in quello che diceva. «Ma ci penserò io a lucidarti le idee. Rocco, direi di inizare.» Rocco non risponde, e mi volto a guardarlo. Sta accarezzando il suo Metagross con aria distaccata, in ginocchio di fronte ai suoi occhi. «Vedi di non farti la bua Mety» gli sta dicendo a bassa voce. «No, non ha importanza che hai quattro gambe. Non puoi perderne neanche una.» «ROCCO!» sbotto, così forte che assordisco tutti. «Stai rovinando l'atmosfera di epicità che si sta creando!» Non aspetto le sue scuse e mi volto verso Tod, furibondo. «Adesso basta! Vai Gyarados, Iperraggio!» «Annientali, Absol! TUONO!» I due Pokémon si scagliano uno contro l'altro con una forza impressionante. Anche Metagross, sottraendosi alle attenzioni dell'Allenatore pedante, si butta nella mischia, e a quel punto si genera un'esplosione, così forte che le pareti della stanza tremano con dei rumori preoccupanti. L'energia mi scaglia di colpo lungo il pavimento liscio, finché non sbatto con la schiena contro una delle pareti, perdendo fiato, ma la luce è ancora troppo intensa, e non riesco a rialzarmi in piedi... Forse quella è la nostra fine, abbiamo iniziato uno scontro che non può avere né vinti né vincitori... Ma ormai è troppo tardi per rimediare... Se vogliamo risolvere la faccenda, dobbiamo farlo ora o mai più. Devo raggiungere il mio Pokémon, impartirgli nuovi ordini. Per questo, inizio lentamente a far leva sulle ginocchia, ancora dolorante. E, man a mano che strizzo gli occhi, intravedo delle piccole chiazze di colore, sempre più definite... Poi, quando riconosco le sfumature azzurre attraverso tutto quel bagliore, quando finalmente posso capire cosa sta succedendo... Mi ritrovo sdraiato a terra, a fissare le nuvole in cielo. Per un attimo mi chiedo cosa ci faccia lì, che fine abbia fatto Tod, la luce e tutto il resto, poi la realtà cade su di me come un macigno. «Un sogno» ansimo ad alta voce, completamente scioccato. E allora ripenso a quando mi sono addormentato, appena prima di pescare il Magikarp e iniziare la mia rocambolesca avventura attraverso terre inesplorate, al fianco di Rocco, a cercare tutti Pokémon per catturarli con le nostre Pokéball. Certo, ultimamente Rocco stava dando di matto, ma mi mancherà , lo ammetto. Anche perché ho scoperto che i Pokémon sono davvero una cosa meravigliosa, che esistano o meno. Proprio in quel momento, sento la lenza tendersi verso la superficie, piegando la canna fino al punto critico. Prima che si spezzi, mi avvicino mezzo addormentato e la stringo tra le mani, provando una strana sensazione di pace, di ritorno alle abitudini. «Allora ritornerò a casa con un pesce, oltre che a una storia da raccontare» mi dico a bassa voce, iniziando a tirare. Non è difficile come penso, forse tutto quel viaggio ha veramente rinforzato i miei muscoli, ma poi mi dico che dev'essere un pesce piccolo, anche perché ricordavo la sfortuna di quella giornata. Alla fine, con un colpo da maestro, ecco che la preda salta fuori, atterrando delicatamente sull'erba di fronte a me. Ci metto un po' a valutare la situazione, a capire cosa sta succedendo. «COOOSA?! UN MAGIKARP?» Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
BlueDarkrai Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell’autore: BlueDarkrai Titolo: Gelidi Riflessi Elaborato:Quando entrai nella grotta rimasi a bocca aperta dallo spettacolo: era una gioia per gli occhi, il luogo più bello che avessi mai visto. La Grotta Stalattite, il sogno di ogni avventuriero, la caverna abitata dal boss più temuto e più possente di Reveria.... il Drago Spiroghiacciato. Ed io, Nagor, Esperto Incantatore, Capogilda rispettato e Campione d'Avventure ero lì, ad osservare la bestia più potente mai conosciuta. Stava rumorosamente russando - non per nulla è un unico esemplare di una strana razza di Sonnidrago – ma la sua maestosità non ne risentiva affatto. Stalagmiti lunghe e affilate partivano da dietro le sue orecchie e, in perfetta simmetria, formavano due creste parallele; alcune parti del suo corpo erano ricoperte da uno strato ghiacciato di brina che rifletteva l'ammaliante gioco di luci che le pareti e le stalattiti generavano naturalmente. Queste ultime pendevano dal soffitto a migliaia dando l'impressione di voler cadere al minimo sussulto. Dalle narici si poteva notare che l'aria esalata formava piccolissimi cristalli di ghiaccio che andavano a tintinnare sul suolo della grotta; ma la cosa più spettacolare era che tutto intorno al suo corpo raggomitolato un confine di stalattiti delineava il suo spazio riservato. Poiché queste sarebbero dovute cadere da sole col passare degli anni, riuscii a dedurre che il drago stesse dormendo da tantissimo tempo, anche da centinaia di anni. Ciò che mi incuriosì di più, però, fu che le stalattiti erano conficcate tutt'attorno al suo corpo senza che nessuna l'avesse sfiorato... era così temuto che nemmeno la natura osava disturbarlo. Feci una ampio respiro per accumulare aria e avanzai di un passo, un altro e un altro ancora... ero vicinissimo al confine di stalattiti e, continuando a fissare il muso del mostro, espirai tutta l'aria – e la tensione – accumulata. In una frazione di secondo gli occhi del drago si spalancarono mostrando l'azzurro gelido dell'iride. Continuando ad osservare la parete pensò, si alzò, appoggiò le zampe e ruggì frantumando tutte le stalattiti conficcate attorno a lui. Il rumore fu così assordante da farmi girare la testa, le orecchie mi bruciavano. Ripreso l'equilibrio fisico e mentale sfoderai lo scettro d'ambra la cui pietra arancione opaca riflesse le chiare tonalità della grotta. Cosa non usare contro un essere ghiacciato se non la piromanzia? Mentre vidi lo Spiritello del Fuoco danzare nei riflessi dell'ambra, sentii attraversarmi le vene da un brivido caldo che mi diede una focosa ed inaspettata energia. Osservai con sguardo determinato il mostro che ricambiò con un'occhiata fugace. Passò qualche secondo. “Allora romperò io il ghiaccio!†dissi lanciando una palla di fuoco contro il drago che venne colpito in pieno. Nonostante fosse stato attaccato, l'essere rimase indifferente, sgranchiendosi i possenti arti anteriori. Poi si accovacciò e scattò verso di me tentando di graffiarmi con gli artigli delle sue zampe ma schivai l'attacco rotolando. In seguito iniziai a caricare l'attacco Lanciafiamme, rilasciandolo addosso al mostro che stavolta ruggì dal dolore. La sua reazione fu così rapida e micidiale che riuscii a spostarmi solo all'ultimo secondo ed un forte turbine ghiacciato mi colpì di striscio. La temperatura dell'attacco era così bassa che, oltre ad ustionarmi, l'intero braccio andò a fuoco: lo spiro doveva essere oltre 100 gradi sotto zero. Rotolai a terra dilaniato dal dolore e lo scettro rotolò poco più in là . Nonostante avessi perso la sensibilità , un dolore lacerante mi torturava internamente; la mia arma era rotolata a qualche centimetro da me ma dovevo prenderla. Dovevo assolutamente raggiungerla prima che il drago potesse darmi il colpo di grazia. Mi avvicinai strisciando come un verme e, sentendo un dolore indescrivibile, riuscii ad afferrare il legno del bastone. Avevo bisogno dell'Elemento della Terra per curarmi e poter continuare la battaglia. Mentre potevo vedere lo Spiritello della Natura riflesso nell'ambra, strinsi più forte che potei lo scettro ed una serie di anelli verdi mi avvolse, curandomi parzialmente le ferite. Mi alzai rapidamente e, grazie alla volontà accumulata, scagliai un Cometa Stordente. Questa colpì e stordì il drago, lasciandomi qualche secondo per carica magia per la scia di meteore, il colpo di grazia. Ma, sfortunatamente, il mostro rimase stordito per meno tempo rispetto alle mie previsioni e si scagliò infuriato contro di me cercando di uccidermi con un suo graffio letale. Per fortuna il drago era così arrabbiato da aver perso il controllo di se stesso e riuscii quindi a schivare l'attacco e a rilasciare le Comete Infuocate che s'infransero contro di lui facendolo crollare e provocando un lieve scossamento del suolo. In pochissimo tempo, però, accadde qualcosa di stupefacente. Il corpo senza vita del mostro cambiò forma e cominciò a sciogliersi, formando un piccolo lago al centro della grotta. Stupefatto per l'accaduto mi avvicinai al laghetto e vidi una scura sagoma muoversi a cerchio all'interno dell'acqua. Estrassi velocemente la canna da pesca dalla mia borsa e tirai la lenza in acqua. Le mani tremavano dall'emozione. Ero un tutt'uno con la canna quando vidi il filo muoversi e poi tendersi: aveva abboccato! Il pesce iniziò a strattonare la lenza e a dimenarsi così tanto da farmi sbilanciare in avanti; per fortuna non tanto da farmi cadere in acqua... riuscii infatti a riprendere l'equilibrio e a ribattere le sue mosse. Dopo tanta fatica avevo stancato l'animale fino a stremarlo e diedi così la strattonata di grazia che lo mandò all'aria: che pesce incredibile! Quando atterrò sbattendo sul suolo ghiacciato della caverna potei ammirarlo meglio: grosso come un luccio aveva lunghe stalagmiti che partivano dal capo e proseguivano a schiera fino alla coda ed una cresta di ghiaccio che gli attraversava la parte superiore del capo dividendolo un due metà perfettamente simmetriche. Invece di ansimare come un pesce fuor d'acqua esalava brezze ghiacciate; in poche parole... Il Drago Spiroghiacciato. Commentino: Ciao! :3 Volevo solo dirvi che ho impiegato moltissimo tempo per scrivere questo racconto e solo sapere che voi l'abbiate letto tutto sarebbe per me il massimo, se poi vi piace anche sarebbe il massimo Un 'Mi Piace' è come sempre gradito e per questo Contest di Scrittura è tutto: vi saluto...Bye Bye BlueDarkrai Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
Koarapinku Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Autore: LlamaDashTitolo: Ago e filo non tessono la felicità .Elaborato: Capitolo PrimoCorrugai la fronte e mi stropicciai gli occhi, poi istintivamente portai una mano al volto e toccai la guancia: era bagnata e appiccicosa, ricoperta da una sostanza viscida come la saliva, precisamente la saliva di un pokemon. Quando finalmente appresi cos'era (perchè come voi ben sapete, appena alzati qualsiasi cosa è difficile da metabollizare, dato che il nostro cervello si sveglia con noi, se non con qualche minuto di ritardo) arricciai il naso, mi pulii molto grossolanamente la mano sul lenzuolo e voltai la testa verso sinistra. A terra, sopra il tappeto, il mio Grimer mi fissava, con un'espressione anche abbastanza soddisfatta, aspettandosi quasi delle riconoscenze per il bel lavoro che aveva messo a punto sulla mia faccia. Cercai di vendicarmi tirandogli un calcio ben assestato, ma ovviamente senza buoni risultati, come al solito: dovreste sapere che avere dei rapporti diretti con un Grimer è alquanto difficile per via della loro "composizione". Vi viene voglia di lanciargli qualcosa contro? Picchiarli? Schiaffeggiarli? Non è possibile. La loro conformazione gelatinosa fa in maniera tale che qualsiasi cosa gli passi attraverso e, devo ammettere, è abbastanza snervante. Per questo mi limitai a dedicargli un'occhiataccia sprezzante, e subito dopo mi alzai dal letto. Il pavimento della mia camera era, ed è tuttora, interamente ricoperto da un enorme tappeto plastificato di colore azzurrino, per evitare che, a causa del problema che vi ho spiegato prima, Grimer scivoli tra le tavole di legno del parquet e cada al piano di sotto. Iniziammo ad adottare questo sistema quando Grimer iniziò a cadere puntualmente tutti i giorni o in salotto, precisamente al centro del tavolo durante i pasti, oppure nel bagno, proprio mentre uno stava facendo... quello che doveva fare. Il pavimento inoltre era pieno di aghi, fili spezzati, rolletti di tutti i colori e stoffe di ogni tipo. Anche la mia scrivania ne era piena, come qualsiasi altro mobile lì dentro. Percorsi velocemente la stanza, e mi soffermai davanti allo specchio, accanto al quale avevo posizionato tutta una serie di manichini, già vestiti e sistemati a dovere. Quelli però, non erano semplici abiti, era forse il lavoro più impegnativo e ben riuscito della mia intera carriera di stilista e sarta. Non potevo ancora crederci che io, sconosciuta e squattrinata com'ero, fossi stata convocata dalla Lega Pokemon per disegnare e realizzare le nuove divise dei Super Quattro. Ed ero talmente innamorata dei miei capolavori, che invidiavo tutti coloro che li avrebbero potuti indossare. Anche perchè, oltre a loro chi altro sarebbe venuto a conoscenza del nome di colei che aveva creato tale bellezza? Cacciai questi pensieri bui dalla testa e mi voltai verso la finestra. Puntai la mano verso le tende e feci un leggero movimento circolare con il polso: dalla punta delle mie dita scaturirono due scie luminose di colore verde chiaro, che lentamente le scostarono, mostrando il bel cielo azzurro limpido. Qualche Taillow cinguettava sui rami di un albero, stormi di Wingull volavano sopra i cespugli, in lontananza si potevano ammirare i tetti colorati di Petalipoli. Sembrava l'inizio di un'altra ennesima normalissima giornata. Con un veloce movimento del braccio (e l'aiuto della magia) scaraventai per terra tutto ciò che si trovava sul mio comodino, tranne il mio taccuino, che era proprio ciò che cercavo. Lo misi dentro la borsa, mi vestii velocemente e richiamai Grimer nella pokeball, pronta a scendere per fare colazione. Uscendo dalla stanza, non poche volte avevo rischiato di scivolare giù per le scale a causa dei residui scivolosi violacei sul pavimento, e quel giorno era una di quelle. Non so bene come feci a rialzarmi, data la lunghezza della rampa e la fragilità delle mie ossa. Fatto sta che, un po' a fatica, mi ricomposi e raccolsi la borsa. Ancora dolorante mi diressi verso la cucina, da dove proveniva un buonissimo odore di pancake, latte Mumu e anche il solito fischiettio mattutino di mia madre.-"Buongiorno cara, come hai dormito stanotte?" mi chiese, ancora girata verso i fornelli.-"Bene, solo il risveglio ha lasciato un po a desiderare."-"Non saprei proprio di chi potrebbe essere la colpa, vero Grimer?"La pokeball si mosse leggermente dentro la mia tasca, e il bottoncino bianco si illuminò."Per adesso hai combinato abbastanza guai, te lo dico io quando puoi uscire"Andai a sedermi al tavolo, con dei piccoli movimenti delle dita magicamente dai cassetti uscirono fuori tovagliette, posate e biscotti, che si andarono a posare senza far rumore davanti a me. Mia madre mi riservò un'occhiata gelida, non voleva che abusassi dei miei poteri e, cosa più importante, non voleva che si venisse a sapere in giro. A quanto pare, oltre a mio padre, ero l'unica a possederli in famiglia, poichè li avevo ereditati proprio da lui. Non vedevo mio padre da quando avevo due o tre anni forse, la mamma mi diceva sempre che era partito per una regione lontana, ed era diventato Capopalestra di una qualche cittadina sconosciuta, Fractopoli, o Fractalopoli mi sembra. Per questo non ho mai ricevuto un'adeguata educazione sulla magia, e spesso ho delle lacune. Con un ultimo movimento feci aprire la credenza, e la mia tazza preferita iniziò a levitare verso di me. A metà percorso però, una fitta alla fronte mi fece perdere la presa, e la tazza cadde al suolo, scheggiandosi. Mia madre, che stava lavando i piatti della sera prima, si girò di colpo, e nel farlo inzuppò me e tutto il resto della cucina, neanche fosse stata un Totodile che usa Idropompa.-"Cosa ti è successo, stai bene? Ti ho detto mille volte di non abusare dei tuoi trucchetti" disse, rivolgendosi a me preoccupata.-"Sì tranquilla, deve essere stato il capitombolo di prima per le scale" dicendo questo mi toccai la fronte, e notai di aver un bel bernoccolo gonfio.Mentre finivo di mangiare la mia adorata crostata alla Baccarancia, mia madre terminò le sue faccende domestiche in cucina e si sedette vicino a me, per prendersi la sua classica tazza di thè prima di scappare al lavoro.-"Allora, si sà qualcosa riguardo al tuo incarico? Ti hanno detto cosa fare ora che hai finito? Non saprei, magari manderanno qualcuno a ritirare i vestiti, oppure dovrai farli spedire da Pelipper. Certo, dopo tutto il lavoraccio che ti è toccato fare almeno potevano anche degnarsi di dire qualcosa in più, i tizi della Lega non mi sono mai piaciuti, sempre così misteriosi..."-"All'inizio mi avevano detto che sarebbe passato qualcuno a prendermi, anche se non so con quale mezzo. Ieri pomeriggio gli ho inviato una lettera per comunicargli che era tutto pronto, tempo che gli arrivi e tra qualche giorno molto probabilmente busseranno alla nostra porta"Mia madre annuì, finendo l'ultimo goccio di thè sul fondo della tazza, poi prese un tovagliolino, si pulì i lati della bocca (con quel tocco di classe che solo lei sapeva dare, anche alle azioni più insignificanti) e si alzò per andare a mettersi le scarpe.-"Sarò di ritorno al solito orario, ci sono gli avanzi di ieri da riscaldare per pranzo. Ti lascio la pokeball di Banette sul tavolino, trattamela bene e non farla bisticciare con Grimer"-"Tranquilla, ci penso io, divertiti" dissi in tono ironico.Sentii i passi di mia madre allontanarsi, poi la porta che si chiudeva. Rimasi per qualche istante immobile, in silenzio. Mi svuotai le tasche per stare più comoda, poi presi la pokeball di Banette e iniziai a rotearla fra le mani, fissandola come se non ne avessi vista mai una in vita mia. Non saprei dire quanto tempo passai in quella posizione, ma dopo quelli che sembravano essere anni, un rumore assordante mi riportò alla realtà : tutta la casa venne scossa da un forte boato, e pezzi di intonaco iniziarono a staccarsi dal soffitto. Ripresi velocemente la borsa, ci infilai dentro la pokeball che tenevo in mano e corsi istintivamente al piano di sopra. Capitolo SecondoArrivai davanti la mia camera, allungai la mano verso il pomello e trattenni il respiro. Pochi millimetri prima di arrivare a toccarlo però, la porta si aprì di colpo, e mi ritrovai davanti un ragazzo, più o meno della mia stessa età ma molto più alto di me. Aveva i capelli di un celeste molto chiaro, quasi tendente al grigio, e indossava una giacca nera molto elegante, dalla quale spuntava un enorme fazzoletto rosso: anche il resto del suo abbigliamento era interamente nero. Ero già pronta per fare una delle mie solite sfuriate isteriche, ma poi mi soffermai sui suoi occhi, dello stesso colore dei capelli, se non più chiari, quel tipo di occhi nei quali ci si potrebbe perdere dentro.-"Hey, ci sei? Sei tra noi?" mi sventolò una mano davanti alla faccia in senso ironico.-"Sì, no, volevo dire, io ci sono, ma tu non dovresti essere, mi vorresti spiegare che diavolo ci fai qui?" finalmente ero tornata in me.Lui si spostò di lato allo stipite della porta, lasciandomi vedere ciò che si trovava alle sue spalle. Un enorme buco si era aperto sulla mia parete, dove prima si trovava la finestra. Sdraiato sul pavimento, apparentemente addormentato, vi era un enorme Skarmory (grande quanto il buco che lui stesso aveva procurato). Sgranai gli occhi, mi sentivo quasi svenire, la prima cosa che il mio istinto mi disse di fare era di verificare lo stato degli abiti. Allungai il braccio verso il ragazzo misterioso, lo spintonai di forza e osservai i miei lavori, che fortunatamente sembravano ancora intatti, magari con qualche granello di polvere sopra. Tirai un enorme sospiro di sollievo.-"Mi hai fatto male, stai attenta almeno! Tranquilla, ho fatto in maniera tale che non si rovinassero, e pensare che sono qui per fare un favore a te..."Mi girai verso di lui, adirata. Mi avvicinai così tanto da ritrovarmi a pochi centimetri dal suo corpo, poi gli puntai un dito al petto.-"Sei entrato dentro casa mia, senza il mio permesso, hai distrutto la mia camera con quell'affare lì, non sò nemmeno chi sei e vorresti anche delle scuse da parte mia?"Skarmory si girò sentendosi chiamato in causa. Il ragazzo fece un sorrisetto malizioso, mi prese la mano che gli stavo puntando contro e me la baciò, facendo un inchino molto grossolano.-"Mi presento, sono Rocco Petri, e sono colui che la Lega Pokemon ha scelto per venire a ritirare te e i tuoi lavori direttamente a casa. Tu mi confermi di essere Ester, giusto? In caso contrario dovrei ripagarti il muro. Mi dispiace di aver tardato ma tua madre sembrava non voler più andarsene."Per provarmi la sua identità mi mostrò una tessera con il marchio della Lega, ma non feci in tempo a leggere il suo impiego poichè la rimise subito nella giacca. Esitai ancora un po', ma poi mi decisi.-"Sì, sono io Ester, e a dirla tutta non ti aspettavo così... presto"-"Poco male, ora prendi le tue cose, impacchetta gli abiti e mettiti qualcosa di pesante, ad alta quota fa abbastanza freddo"Svestii i manichini e ripiegai i miei lavori dentro un soffice zainetto che avevo creato per l'occasione. Controllai di avere ancora la borsa a tracolla e solo dopo metabolizzai le sue parole: ad alta quota. Lo fissai negli occhi, mi si leggeva un grande punto interrogativo sul volto.-"Sò a cosa stai pensando, cosa ti credevi, che sarei venuto con una carrozza trainata da tanti Ponyta lustrati e spazzolati?"Il disprezzo che provavo verso di lui cresceva ogni minuto di più, e sbuffai. Abbozzai un bigliettino per mia madre, dove le spiegavo tutto, e lo lasciai sulla mia scrivania. Dopodichè mi infilai la felpa e fui pronta per partire. Rocco si diresse verso Skarmory e gli si mise seduto sulla schiena, così io lo imitai. Il pokemon si alzò in volo e uscì dal buco nel muro, fermandosi a pochi metri dalla casa. Rocco si girò verso di me, mi guardò per qualche istante, ma non capii subito cosa volesse dirmi. Allungò la mano verso ciò che era rimasto della mia camera e un filo di luce blu scaturì dalle sue dita. Con mio immenso stupore, i pezzi di intonaco per terra si riassemblarono e il muro si richiuse da solo. Tutto era tornato come prima, questo ragazzo non smetteva di stupirmi. Avevo trovato qualcuno che condivideva il mio stesso segreto, ma perchè mostrarmelo così? Non accennai nulla sui miei poteri, le parole della mamma mi echeggiavano nella testa, perciò evitai. Si voltò di nuovo verso di me, e fece segno di silenzio portando il suo indice al naso. Io scossi freneticamente la testa su e giù in segno di assenso. Ci trovavamo ormai a volare sopra la foresta quando io mi resi conto di aver lasciato la pokeball con il mio Grimer sopra il tavolo della cucina, fortunatamente la mamma mi aveva lasciato la sua.-"Tranquilla mamma, mi aiuterà molto in questo viaggio" pensai.Effettivamente Rocco aveva ragione, il vento lassù era pungente, e mi scompigliava i capelli. Non avevo ancora mai volato su un pokemon, per questo non avevo mai visto la regione di Hoenn così dall'alto. A dire il vero non mi ero mai allontanata nemmeno dalla mia città . Per non cadere giù, fui costretta a rimanere aggrappata alla sua schiena per tutto il tragitto, anche se non mi dispiaceva, visto che era una buona fonte di calore. Non so quante ore precise passarono, ma il sole molto lentamente calava dietro le montagne. Il mio naso ormai era intriso del suo profumo, e quasi mi piaceva. Il cielo diventava sempre più scuro, la luna iniziava a fare capolino tra le nuvole, e qualche stella si accendeva qua e là . Ad un tratto, Skarmory iniziò a planare dolcemente verso una radura, dove le chiome degli alberi creavano come un'enorme nuvola verde. Si fece strada tra i rami, stando attento a non farci ferire, e ci fece scendere su un soffice tappeto d'erba.-"Non pensavo la Lega Pokemon si trovasse in un posto così sperduto" dissi a Rocco, un po' meravigliata.-"Perchè questa infatti non è la Lega, piccola avventuriera. Si vede che non sei mai uscita da Petalipoli, eh? Skarmory deve riposarsi, e ormai si è fatto buio. Domani mattina presto ripartiremo, credo che in serata riusciremo ad arrivare a destinazione"Quel posto era la rappresentazione vivente della pace e della tranquillità , non credevo esistesse tanta bellezza in natura. Mi assicurai subito di non aver perso nulla durante il tragitto, e fortunatamente, per la mia gioia, era tutto al suo posto. Mi sedetti per terra, ancora ipnotizzata dal paesaggio che mi trovavo intorno. Ogni tanto Rocco mi rivolgeva degli sguardi sbiechi e scrollava la testa, come se fossi stata un caso perso. Ma io non mi curavo affatto di cosa pensava o diceva: questa era la mia avventura, la prima vera avventura, e nessuno poteva rovinarmela. Mentre cercavo di accendere un fuocherello per la notte, dai cespugli, molto timorosi, iniziarono ad uscire molti esamplari di Shroomish in gruppo: di sicuro loro erano molto più di compagnia rispetto a Rocco. Mi dovetti ricredere però, poche ore dopo, durante la cena. Io cercavo di fare amicizia con Skarmory, ma con scarsi risultati, mentre lui tirava fuori dalla sua sacca quattro barattoli di non so quali cibarie. Me ne lanciò due, ma non avendomi avvertito in tempo mi caddero sui piedi, facendomi non poco male.-"Ops, scusa" disse ridendo, il che rendeva le sue scuse poco credibili.Rocco si avvicinò a Skarmory, gli aprì un barattolo davanti e glielo porse, così che il pokemon potesse iniziare a mangiare di gusto.-"Non vorrai mica far morire di fame il tuo, sbrigati a darglielo. Cosa ti credevi, che fossero entrambi per te? Dobbiamo tenerti a dieta, altrimenti mica ti entrerà ..." sbiascicò le ultime parole, come se si fosse reso conto di aver detto qualcosa che non doveva dire, e io non riuscii a comprendere il senso della frase.Comunque aveva ragione, mi ero completamente dimenticata di Banette e se le fosse successo qualcosa la mamma non me l'avrebbe perdonato. Tirai fuori velocemente la pokeball dalla tasca e la feci uscire. Si guardò intorno con un'espressione spaesatissima, quasi terrorizzata. Dopo qualche istante si voltò verso di me e i suoi occhi si illuminarono di gioia, come se non si fosse resa conto della mia presenza fino a quel momento, e mi corse incontro abbracciandomi. Rimasi abbastanza sconvolta dal suo comportamento, poichè io non la conoscevo neppure, visto che era sempre in compagnia di mia madre fuori casa. Quando mi si staccò di dosso le porsi il suo barattolo, e iniziò a mangiarne il contenuto come se fosse la cosa più buona del mondo. Rocco notò la mia espressione perplessa, ma fece finta di niente e continuò a mangiare, così anche io mi decisi a prendere il mio barattolo e mettere qualcosa nello stomaco. Il cielo ormai era completamente buio, la luna splendeva e stormi di Noctowl solcavano le fronde degli alberi, l'unica fonte di luce che rimaneva era il nostro fuoco scoppiettante. Mi sdraiai sull'erba con le braccia incrociate dietro la nuca per rilassarmi dopo tutto lo stress della giornata. Rocco si alzò dal suo posto e si distese vicino a me, anche un po' troppo vicino per i miei gusti. Il silenzio venne interrotto proprio da lui, che senza avergli chiesto niente iniziò a parlare.-"Ho visto oggi come mi guardavi mentre usavo la magia, sembra davvero che tu non l'abbia mai vista in vita tua. Se ti stessi chiedendo perchè l'ho usata davanti a te, è semplicemente perchè mi sentivo in dovere di farlo. Nemmeno la mia famiglia sa dove potrei aver ereditato questa caratteristica, a volte mi dicono che me la potrebbe aver tramandata un vecchio zio, o qualcosa del genere. Ho tante domande, molte più di te nella mia mente. Speravo di potergli dare delle risposte grazie a te, ma a quanto pare preferisci fare finta di nulla. Speravo di risvegliare qualcosa in te, davvero, lo volevo tanto. Buonanotte" detto questo si voltò dall'altra parte e si mise a dormire.Le sue parole mi rimbombarono nella testa per tutta la notte, ci misi ore per prendere sonno. Lui sapeva tutto, non stava facendo altro che mettermi alla prova cercando delle conferme, conferme che io, per paura o non so cos'altro, non gli stavo dando. Quando riuscii finalmente ad addormentarmi la notte passò velocemente e silenziosa. Capitolo TerzoSentii qualche piccola goccia sbattermi sulle palpebre, e così mi svegliai. Mi stropicciai gli occhi e istintivamente guardai di fianco a me, ma di Rocco non rimaneva che la sua sagoma incavata nell'erba. Mi guardai intorno e lo vidi mentre preparava Skarmory per la tappa finale del nostro viaggio. Banette gironzolava intorno ai cespugli, cercando qualche Shroomish da spaventare, così la richiamai dentro la pokeball. Le goccioline di pioggia mi rinfrescavano il viso e mi aiutavano a svegliarmi completamente. Raccattai da terra la borsa e lo zaino, mi sistemai la felpa e spensi il fuoco. Quella mattina non ci scambiammo nemmeno il buongiorno, ma le nostre conversazioni rimasero sempre le stesse, ovvero assenti. Salimmo in groppa su Skarmory e, sempre molto lentamente, il pokemon riprese quota. Da lassù le nuvole sembravano molto più grigie e impetuose, e la cosa mi intimoriva alquanto. Passò poco tempo quando la pioggia iniziò ad intensificarsi sempre più, e ogni tanto Skarmory produceva un verso lamentoso. Rocco però sembrava impassibile, e sembrava non aver proprio voglia di atterrare. Quando la pioggia si trasformò in un vero e proprio acquazzone, ormai era diventato troppo tardi: sotto di noi non c'era altro che distese d'acqua infinita.Ad un tratto Rocco alzò il braccio, e mi passò un paio di vecchi occhialoni, simili a quelli di un aviatore. Sempre senza parlare, accettai il dono e li indossai. Iniziai a pensare che in fondo, molto in fondo, era una persona davvero premurosa, così mi tornò in mente tutto il discorso della sera prima. A farmi tornare alla realtà però, ci pensò un enorme lampo che scese da una nuvola sopra di noi, a pochi metri di distanza. Il vento si intensificava sempre più, trombe d'aria ci impedivano di condurre un tracciato rettilineo. Per qualche istante non ci capii più niente, persi la presa e mi sembrò di cadere nel vuoto. Prontamente la mano di Rocco mi afferrò al volo facendomi tornare in sella, seppur facendomi ferire da un'ala di Skarmory. Appena mi riassestai notai che mancava qualcosa: lo zaino con i miei abiti. Iniziai a muovermi freneticamente alla loro ricerca, rendendo ancora più difficile il viaggio.-"Dobbiamo scendere da qui, ho perso i miei abiti!" urlai a pieni polmoni.-"Ho detto che dobbiamo andarcene da qui, mi è caduto lo zaino con gli abiti!" ancora nessuna risposta. Ero nel panico più totale, avrei voluto scoppiare in quello stesso istante.Non so cosa mi portò a fare ciò che vi sto per raccontare, so solo che all'improvviso dalla mia bocca scaturì un urlo così forte da provocare un enorme vortice di magia verde, che ci inghiottì completamente. Ricordo solo gli stridii strozzati di Skarmory, e la forte presa della mano di Rocco sul mio braccio. Poi il buio totale. Riaprii gli occhi di colpo, la tempesta sembrava essersi placata totalmente. Con mio grande sollievo non mi trovavo dispersa in mare, bensì su tappeto d'erba, non molto curata, ma meglio di niente. Il mio braccio destro grondava sangue, per colpa della ferita provocata dalle ali metalliche del pokemon, mentre sul mio braccio destro vi era un grande alone viola, dovuto alla mano di Rocco. Rocco. Dov'era Rocco? Cercai di mettermi in piedi, barcollavo, la testa mi scoppiava e il bernoccolo del giorno prima non migliorava la situazione. Vedevo quasi doppio, ma in lontananza riuscii a scorgere una figura riversa al suolo. Cercai di correre ma le mie gambe non me lo permettevano, facevo fatica anche solo a respirare. Finalmente raggiunsi il corpo sdraiato sull'erba, che si dimostrò poi quello del mio compagno di avventure. Si trovava con la faccia rivolta verso il suolo, così con le poche forze che mi rimanevano cercai di rivoltarlo. Dopo svariati tentativi ci riuscii, e gli scostai i suoi bellissimi capelli dal volto. A stento trattenevo le lacrime: la sua classica giacca nera era sbottonata, mostrando la maglietta intrisa di sangue, il suo volto era rigato da numerosi graffi profondi. Il suo fazzoletto rosso, che non si trovava più al suo posto, era incastrato tra le ali di Skarmory, di cui io non mi ero accorta per nulla, a pochi metri di distanza. Il pokemon aprì gli occhi, mi vide, poi abbassò gli occhi sul suo padrone. Produsse un gemito di dolore, a fatica si alzò anche lui e si diresse verso la nostra direzione. Con il suo becco affilato districò il fazzoletto dalle sue lame e me lo porse gentilmente. Finalmente aveva capito chi ero realmente. Usai il fazzoletto per ripulire le ferite sul volto di Rocco, inzuppandolo di tanto in tanto in una pozzanghera lì vicino, ma lui non sembrava riprendersi. Skarmory si sdraiò vicino a noi, e alzò un'ala per coprirci dal sole pungente che stava iniziando ad uscire. Sentii qualcosa che premeva sulla mia gamba dall'interno della tasca del pantalone. Infilai una mano dentro e tirai fuori la pokeball, che molto stranamente si stava agitando e illuminando. Premetti il bottoncino, e Banette uscì fuori tutta soddisfatta. Mi guardò per alcuni interminabili secondi, il suo sguardo era talmente profondo che riusciva a trapassarmi da parte a parte. Qualcosa brillò nei suoi occhi, poi di nuovo una fitta alla testa.-"So che vuoi farlo, nessuno te lo impedisce"-"Cosa? Chi è stato a parlare?" urlai, guardandomi intorno impaurita.-"Guardami. Non avere paura. Fa ciò che senti provenire dal tuo cuore"Quella voce proveniva dalla mia stessa testa, allora capii. Mi girai di scatto verso Banette, i suoi occhi brillarono di nuovo. Grazie a lei capii qual'era il mio destino, non ero più costretta a nasconderlo o rinnegarlo, quella era la mia vera natura. Il mio sguardo tornò di nuovo su Rocco, e lì mi decisi. Presi il suo volto tra le mani e avvicinai la mia fronte alla sua, chiudendo gli occhi. Pensai a tutti i piccoli gesti che mi aveva riservato fino a quel momento, e ai suoi bellissimi occhi. Continuai a concentrarmi, corrugai le sopracciglia, goccioline di sudore iniziarono a scendermi per tutto il corpo. Aprii lentamente gli occhi, e vidi che da ogni mio poro iniziarono ad uscire strani filamenti verdi, che si andavano ad attorcigliare intorno alle braccia, alle dita, alle gambe, e ai capelli di Rocco, che iniziò ad alzarsi al cielo come sorretto da una presenza invisibile. Rimase a mezz'aria per un tempo indefinito, poi ricominciò la sue discesa. Io ammiravo la scena ancora incredula, non credendo di essere capace di tutto questo. Rocco tornò disteso nella stessa posizione di prima e io velocemente mi avvicinai per osservare i risultati del mio incantesimo. Strinsi forte la sua mano, e lui lentamente riaprì gli occhi. Lacrime di gioia uscirono dai miei occhi, mentre Banette e Skarmory iniziarono ad agitarsi emettendo versi di giubilo. Anche lui accennò un sorriso, poi mosse le labbra cercando di dire qualcosa. Dopo vari tentativi, riuscì a produrre dei suoni.-"Ho sempre creduto in te, sapevo che ce l'avresti fatta"-"Grazie a te ce l'ho fatta, è grazie a te se ho aperto gli occhi" dissi, non riuscendo a contenere la felicità .Rocco cercò di mettersi seduto, e dopo esserci riuscito si guardò intorno.-"Aspetta, ma io questo posto lo riconosco... questa è Iridopoli!" un grande sorriso si dipinse sulla sua faccia, fece per mettersi in piedi ma le sue gambe non glielo permisero, così cadde indietro.-"Stai calmo, non devi affaticarti, almeno non da subito" mi intromisi io, poi cercai intorno a me un qualche altro elemento familiare da poter riconoscere. I miei occhi caddero su un grande cartello in lontananza che riportava lo stesso simbolo che era disegnato sulla tessera di Rocco.-"Voi mi vorreste dire... che siamo a pochi passi dalla Lega Pokemon di Hoenn? Quella vera?"-"Perchè, ne esisterebbe anche una falsa?" disse Rocco con la sua solita ironia.Skarmory emise un verso di pura gioia, confermando ciò che avevo detto poco prima.-"Deve essere tutto perfetto per quando arriveremo lì! Ma è vero... I miei abiti... Fortuna che ho il mio taccuino con tutti i miei schizzi all'interno, spero che ascoltando la nostra storia mi daranno qualche altro giorno per ricrearli con le stesse stoffe!"-"Aspetta Ester, dovrei dirti..." Rocco cercò di interrompermi.-"No, tranquillo, deve essere qui dentro" mi misi una mano nella borsa (che fortunatamente mi era rimasta a tracolla dopo l'incidente nel turbine di magia). Tutto era presente, tranne il taccuino. Cercai una, due, tre volte, ma niente. Poi mi tornò alla mentre un flashback: io che cadevo dalle scale e la borsa che si riversava a terra. Probabilmente i miei appunti erano caduti sotto una sedia, e io non li avevo visti. Il mondo mi crollò di nuovo addosso, e tutto smise di avere un senso. Cosa ci facevo ancora lì? Rocco mi prese la mano, e mi guardò negli occhi.-"Lo vuoi capire che quel taccuino non ti servirà più? Quando arriverai lì avrai tutto il tempo che vuoi per creare nuovi vestiti, per te, per me, per tutta Hoenn"Non riuscivo a capire cosa volesse dire, quel giorno si stavano susseguendo troppe strane rivelazioni. Rocco mi lasciò la mano e si alzò finalmente in piedi. Iniziò a camminare spedito verso una piccola collinetta, come se tutti i suoi mali fossero d'un tratto spariti. Si girò verso di me, facendo un segno di incoraggiamento con il braccio e aspettando che lo seguissi. Mi incamminai anche io, seguita dai due pokemon, e arrivai in cima all'altura. Rimasi letteralmente a bocca aperta. Quel piccolo ammasso di erba e terra era l'unica cosa che fino a quel momento ci aveva impedito la vista verso l'impotente ed enorme edificio della Lega Pokemon.-"Seguimi!" Urlò Rocco, e scivolò lungo il pendio. Capitolo QuartoIn men che non si dica ci trovammo davanti l'enorme portone dorato della lega, l'uno di fianco all'altra. Riportammo i pokemon nelle loro pokeball, ci scambiammo un breve sguardo e alzammo all'unisono il braccio destro verso la porta, che con un solo lieve tocco si aprì dinanzi a noi. Grandi vetrate colorate filtravano la luce all'interno del salone, pokemon di tutti i tipi insieme ai loro allenatori percorrevano in lungo e in largo l'enorme costruzione. Amici che non si vedevano da tempo, nemici di vecchia data, erano tutti riuniti lì dentro accomunati da uno stesso sogno. Appena oltrepassammo l'entrata, Rocco venne sommerso da una valanga di saluti provenienti da ogni dove, qualcuno azzardava anche una stretta di mano o una pacca sulla spalla. Mi portò poco più avanti, davanti a un divanetto, e mi fece sedere, mentre lui rimase in piedi di fronte a me. Si mise una mano in tasca, mentre con l'altra si iniziò a toccare i capelli, visibilmente in imbarazzo. Tirò fuori la mano dalla tasca, e mi porse il famoso tesserino con tutti i suoi dati. Lo rilessi velocemente, e finalmente ripercorsi con gli occhi quell'unica riga che la volta precedente non ero riuscita a decifrare. Le lettere, stampate in maiuscolo, componevano la parola "Campione". Guardai lui, poi la tessera, poi di nuovo lui, poi di nuovo la tessera. Dalla sua espressione si poteva capire che era molto divertito dalla mia reazione. Io fino a poche ore prima avevo odiato e sbraitato contro il Campione in carica della Lega senza saperlo.-"Perchè non me l'hai detto subito?" dissi incredula.-"Beh, io te l'ho fatto vedere subito, solo che tu... non ci hai fatto caso" disse lui, ridendo di gusto.-"Ma ora passiamo a te" mi guidò verso una porta, che una volta aperta rivelò dietro di essa una stanza completamente buia, e mi ci fece accomodare. Si allontanò per un paio di minuti e tornò con in mano uno strano aggeggio (il cui nome, scoprii in seguito, era "Hovolox"). Si fermò poco lontano da me, poi premette qualche pulsante su quel suo macchinario, apparentemente senza senso, e aspettò.-"Tranquilla, la tua attesa sta per finire" mi comunicò.Da una porta, opposta a quella da dove eravamo entrati, uscirono tre strane figure: un ragazzo, con un'andatatura gobba e un unico ciuffo rosso in testa, una donna molto posata, dai lunghi capelli biondo platino e un uomo abbastanza attempato, con dei lunghi baffi bianchi e un cappello da marinaro. Le mie idee diventavano sempre più confuse, non avevo la più pallida idea di chi fossero. Si presentarono in ordine, così per la prima volta conobbi Fosco, Frida e Drake. Tutti e tre si misero a fissarmi, come aspettando qualcosa da me. Capendo che io non avevo la minima idea di cosa fare, fecero loro la prima mossa, e uno per volta aprirono il palmo della loro mano verso di me. Iniziarono a volteggiare in aria filamenti fluorescenti di colore bianco, viola e rosso. Istintivamente protesi una mano verso l'alto, Rocco mi imitò. Le nostre scie magiche prima si intrecciarono tra loro, poi andarono a mescolarsi con quelle degli altri. Finalmente capii il vero motivo per il quale mi avevano convocato lì. Ora ho una famiglia, ora ho una casa. Noi siamo gli unici che possiamo portare avanti la nostra stirpe, noi siamo i veri maghi di Hoenn. Dopo la prematura scomparsa della precedente Super Quattro, la sua linfa magica li condusse a me. E' per questo che ora io sono Ester, sarta ufficiale della Lega Pokemon e centosettantesima nella stirpe magica dei Super Quattro di tipo Spettro. Note dell'Autore: Per mia fortuna sono riuscita a finirlo giusto in tempo :')Mi scuso per la lunghezza, anzi mi sarei voluta dilungare ancora di più sul finale, ma purtroppo l'ho dovuto striminzire e quindi non è d'effetto :|In bocca al lupo a tutti !Autore: LlamaDashTitolo: Ago e filo non tessono la felicità .Elaborato: Capitolo PrimoCorrugai la fronte e mi stropicciai gli occhi, poi istintivamente portai una mano al volto e toccai la guancia: era bagnata e appiccicosa, ricoperta da una sostanza viscida come la saliva, precisamente la saliva di un pokemon. Quando finalmente appresi cos'era (perchè come voi ben sapete, appena alzati qualsiasi cosa è difficile da metabollizare, dato che il nostro cervello si sveglia con noi, se non con qualche minuto di ritardo) arricciai il naso, mi pulii molto grossolanamente la mano sul lenzuolo e voltai la testa verso sinistra. A terra, sopra il tappeto, il mio Grimer mi fissava, con un'espressione anche abbastanza soddisfatta, aspettandosi quasi delle riconoscenze per il bel lavoro che aveva messo a punto sulla mia faccia. Cercai di vendicarmi tirandogli un calcio ben assestato, ma ovviamente senza buoni risultati, come al solito: dovreste sapere che avere dei rapporti diretti con un Grimer è alquanto difficile per via della loro "composizione". Vi viene voglia di lanciargli qualcosa contro? Picchiarli? Schiaffeggiarli? Non è possibile. La loro conformazione gelatinosa fa in maniera tale che qualsiasi cosa gli passi attraverso e, devo ammettere, è abbastanza snervante. Per questo mi limitai a dedicargli un'occhiataccia sprezzante, e subito dopo mi alzai dal letto. Il pavimento della mia camera era, ed è tuttora, interamente ricoperto da un enorme tappeto plastificato di colore azzurrino, per evitare che, a causa del problema che vi ho spiegato prima, Grimer scivoli tra le tavole di legno del parquet e cada al piano di sotto. Iniziammo ad adottare questo sistema quando Grimer iniziò a cadere puntualmente tutti i giorni o in salotto, precisamente al centro del tavolo durante i pasti, oppure nel bagno, proprio mentre uno stava facendo... quello che doveva fare. Il pavimento inoltre era pieno di aghi, fili spezzati, rolletti di tutti i colori e stoffe di ogni tipo. Anche la mia scrivania ne era piena, come qualsiasi altro mobile lì dentro. Percorsi velocemente la stanza, e mi soffermai davanti allo specchio, accanto al quale avevo posizionato tutta una serie di manichini, già vestiti e sistemati a dovere. Quelli però, non erano semplici abiti, era forse il lavoro più impegnativo e ben riuscito della mia intera carriera di stilista e sarta. Non potevo ancora crederci che io, sconosciuta e squattrinata com'ero, fossi stata convocata dalla Lega Pokemon per disegnare e realizzare le nuove divise dei Super Quattro. Ed ero talmente innamorata dei miei capolavori, che invidiavo tutti coloro che li avrebbero potuti indossare. Anche perchè, oltre a loro chi altro sarebbe venuto a conoscenza del nome di colei che aveva creato tale bellezza? Cacciai questi pensieri bui dalla testa e mi voltai verso la finestra. Puntai la mano verso le tende e feci un leggero movimento circolare con il polso: dalla punta delle mie dita scaturirono due scie luminose di colore verde chiaro, che lentamente le scostarono, mostrando il bel cielo azzurro limpido. Qualche Taillow cinguettava sui rami di un albero, stormi di Wingull volavano sopra i cespugli, in lontananza si potevano ammirare i tetti colorati di Petalipoli. Sembrava l'inizio di un'altra ennesima normalissima giornata. Con un veloce movimento del braccio (e l'aiuto della magia) scaraventai per terra tutto ciò che si trovava sul mio comodino, tranne il mio taccuino, che era proprio ciò che cercavo. Lo misi dentro la borsa, mi vestii velocemente e richiamai Grimer nella pokeball, pronta a scendere per fare colazione. Uscendo dalla stanza, non poche volte avevo rischiato di scivolare giù per le scale a causa dei residui scivolosi violacei sul pavimento, e quel giorno era una di quelle. Non so bene come feci a rialzarmi, data la lunghezza della rampa e la fragilità delle mie ossa. Fatto sta che, un po' a fatica, mi ricomposi e raccolsi la borsa. Ancora dolorante mi diressi verso la cucina, da dove proveniva un buonissimo odore di pancake, latte Mumu e anche il solito fischiettio mattutino di mia madre.-"Buongiorno cara, come hai dormito stanotte?" mi chiese, ancora girata verso i fornelli.-"Bene, solo il risveglio ha lasciato un po a desiderare."-"Non saprei proprio di chi potrebbe essere la colpa, vero Grimer?"La pokeball si mosse leggermente dentro la mia tasca, e il bottoncino bianco si illuminò."Per adesso hai combinato abbastanza guai, te lo dico io quando puoi uscire"Andai a sedermi al tavolo, con dei piccoli movimenti delle dita magicamente dai cassetti uscirono fuori tovagliette, posate e biscotti, che si andarono a posare senza far rumore davanti a me. Mia madre mi riservò un'occhiata gelida, non voleva che abusassi dei miei poteri e, cosa più importante, non voleva che si venisse a sapere in giro. A quanto pare, oltre a mio padre, ero l'unica a possederli in famiglia, poichè li avevo ereditati proprio da lui. Non vedevo mio padre da quando avevo due o tre anni forse, la mamma mi diceva sempre che era partito per una regione lontana, ed era diventato Capopalestra di una qualche cittadina sconosciuta, Fractopoli, o Fractalopoli mi sembra. Per questo non ho mai ricevuto un'adeguata educazione sulla magia, e spesso ho delle lacune. Con un ultimo movimento feci aprire la credenza, e la mia tazza preferita iniziò a levitare verso di me. A metà percorso però, una fitta alla fronte mi fece perdere la presa, e la tazza cadde al suolo, scheggiandosi. Mia madre, che stava lavando i piatti della sera prima, si girò di colpo, e nel farlo inzuppò me e tutto il resto della cucina, neanche fosse stata un Totodile che usa Idropompa.-"Cosa ti è successo, stai bene? Ti ho detto mille volte di non abusare dei tuoi trucchetti" disse, rivolgendosi a me preoccupata.-"Sì tranquilla, deve essere stato il capitombolo di prima per le scale" dicendo questo mi toccai la fronte, e notai di aver un bel bernoccolo gonfio.Mentre finivo di mangiare la mia adorata crostata alla Baccarancia, mia madre terminò le sue faccende domestiche in cucina e si sedette vicino a me, per prendersi la sua classica tazza di thè prima di scappare al lavoro.-"Allora, si sà qualcosa riguardo al tuo incarico? Ti hanno detto cosa fare ora che hai finito? Non saprei, magari manderanno qualcuno a ritirare i vestiti, oppure dovrai farli spedire da Pelipper. Certo, dopo tutto il lavoraccio che ti è toccato fare almeno potevano anche degnarsi di dire qualcosa in più, i tizi della Lega non mi sono mai piaciuti, sempre così misteriosi..."-"All'inizio mi avevano detto che sarebbe passato qualcuno a prendermi, anche se non so con quale mezzo. Ieri pomeriggio gli ho inviato una lettera per comunicargli che era tutto pronto, tempo che gli arrivi e tra qualche giorno molto probabilmente busseranno alla nostra porta"Mia madre annuì, finendo l'ultimo goccio di thè sul fondo della tazza, poi prese un tovagliolino, si pulì i lati della bocca (con quel tocco di classe che solo lei sapeva dare, anche alle azioni più insignificanti) e si alzò per andare a mettersi le scarpe.-"Sarò di ritorno al solito orario, ci sono gli avanzi di ieri da riscaldare per pranzo. Ti lascio la pokeball di Banette sul tavolino, trattamela bene e non farla bisticciare con Grimer"-"Tranquilla, ci penso io, divertiti" dissi in tono ironico.Sentii i passi di mia madre allontanarsi, poi la porta che si chiudeva. Rimasi per qualche istante immobile, in silenzio. Mi svuotai le tasche per stare più comoda, poi presi la pokeball di Banette e iniziai a rotearla fra le mani, fissandola come se non ne avessi vista mai una in vita mia. Non saprei dire quanto tempo passai in quella posizione, ma dopo quelli che sembravano essere anni, un rumore assordante mi riportò alla realtà : tutta la casa venne scossa da un forte boato, e pezzi di intonaco iniziarono a staccarsi dal soffitto. Ripresi velocemente la borsa, ci infilai dentro la pokeball che tenevo in mano e corsi istintivamente al piano di sopra. Capitolo SecondoArrivai davanti la mia camera, allungai la mano verso il pomello e trattenni il respiro. Pochi millimetri prima di arrivare a toccarlo però, la porta si aprì di colpo, e mi ritrovai davanti un ragazzo, più o meno della mia stessa età ma molto più alto di me. Aveva i capelli di un celeste molto chiaro, quasi tendente al grigio, e indossava una giacca nera molto elegante, dalla quale spuntava un enorme fazzoletto rosso: anche il resto del suo abbigliamento era interamente nero. Ero già pronta per fare una delle mie solite sfuriate isteriche, ma poi mi soffermai sui suoi occhi, dello stesso colore dei capelli, se non più chiari, quel tipo di occhi nei quali ci si potrebbe perdere dentro.-"Hey, ci sei? Sei tra noi?" mi sventolò una mano davanti alla faccia in senso ironico.-"Sì, no, volevo dire, io ci sono, ma tu non dovresti essere, mi vorresti spiegare che diavolo ci fai qui?" finalmente ero tornata in me.Lui si spostò di lato allo stipite della porta, lasciandomi vedere ciò che si trovava alle sue spalle. Un enorme buco si era aperto sulla mia parete, dove prima si trovava la finestra. Sdraiato sul pavimento, apparentemente addormentato, vi era un enorme Skarmory (grande quanto il buco che lui stesso aveva procurato). Sgranai gli occhi, mi sentivo quasi svenire, la prima cosa che il mio istinto mi disse di fare era di verificare lo stato degli abiti. Allungai il braccio verso il ragazzo misterioso, lo spintonai di forza e osservai i miei lavori, che fortunatamente sembravano ancora intatti, magari con qualche granello di polvere sopra. Tirai un enorme sospiro di sollievo.-"Mi hai fatto male, stai attenta almeno! Tranquilla, ho fatto in maniera tale che non si rovinassero, e pensare che sono qui per fare un favore a te..."Mi girai verso di lui, adirata. Mi avvicinai così tanto da ritrovarmi a pochi centimetri dal suo corpo, poi gli puntai un dito al petto.-"Sei entrato dentro casa mia, senza il mio permesso, hai distrutto la mia camera con quell'affare lì, non sò nemmeno chi sei e vorresti anche delle scuse da parte mia?"Skarmory si girò sentendosi chiamato in causa. Il ragazzo fece un sorrisetto malizioso, mi prese la mano che gli stavo puntando contro e me la baciò, facendo un inchino molto grossolano.-"Mi presento, sono Rocco Petri, e sono colui che la Lega Pokemon ha scelto per venire a ritirare te e i tuoi lavori direttamente a casa. Tu mi confermi di essere Ester, giusto? In caso contrario dovrei ripagarti il muro. Mi dispiace di aver tardato ma tua madre sembrava non voler più andarsene."Per provarmi la sua identità mi mostrò una tessera con il marchio della Lega, ma non feci in tempo a leggere il suo impiego poichè la rimise subito nella giacca. Esitai ancora un po', ma poi mi decisi.-"Sì, sono io Ester, e a dirla tutta non ti aspettavo così... presto"-"Poco male, ora prendi le tue cose, impacchetta gli abiti e mettiti qualcosa di pesante, ad alta quota fa abbastanza freddo"Svestii i manichini e ripiegai i miei lavori dentro un soffice zainetto che avevo creato per l'occasione. Controllai di avere ancora la borsa a tracolla e solo dopo metabolizzai le sue parole: ad alta quota. Lo fissai negli occhi, mi si leggeva un grande punto interrogativo sul volto.-"Sò a cosa stai pensando, cosa ti credevi, che sarei venuto con una carrozza trainata da tanti Ponyta lustrati e spazzolati?"Il disprezzo che provavo verso di lui cresceva ogni minuto di più, e sbuffai. Abbozzai un bigliettino per mia madre, dove le spiegavo tutto, e lo lasciai sulla mia scrivania. Dopodichè mi infilai la felpa e fui pronta per partire. Rocco si diresse verso Skarmory e gli si mise seduto sulla schiena, così io lo imitai. Il pokemon si alzò in volo e uscì dal buco nel muro, fermandosi a pochi metri dalla casa. Rocco si girò verso di me, mi guardò per qualche istante, ma non capii subito cosa volesse dirmi. Allungò la mano verso ciò che era rimasto della mia camera e un filo di luce blu scaturì dalle sue dita. Con mio immenso stupore, i pezzi di intonaco per terra si riassemblarono e il muro si richiuse da solo. Tutto era tornato come prima, questo ragazzo non smetteva di stupirmi. Avevo trovato qualcuno che condivideva il mio stesso segreto, ma perchè mostrarmelo così? Non accennai nulla sui miei poteri, le parole della mamma mi echeggiavano nella testa, perciò evitai. Si voltò di nuovo verso di me, e fece segno di silenzio portando il suo indice al naso. Io scossi freneticamente la testa su e giù in segno di assenso. Ci trovavamo ormai a volare sopra la foresta quando io mi resi conto di aver lasciato la pokeball con il mio Grimer sopra il tavolo della cucina, fortunatamente la mamma mi aveva lasciato la sua.-"Tranquilla mamma, mi aiuterà molto in questo viaggio" pensai.Effettivamente Rocco aveva ragione, il vento lassù era pungente, e mi scompigliava i capelli. Non avevo ancora mai volato su un pokemon, per questo non avevo mai visto la regione di Hoenn così dall'alto. A dire il vero non mi ero mai allontanata nemmeno dalla mia città . Per non cadere giù, fui costretta a rimanere aggrappata alla sua schiena per tutto il tragitto, anche se non mi dispiaceva, visto che era una buona fonte di calore. Non so quante ore precise passarono, ma il sole molto lentamente calava dietro le montagne. Il mio naso ormai era intriso del suo profumo, e quasi mi piaceva. Il cielo diventava sempre più scuro, la luna iniziava a fare capolino tra le nuvole, e qualche stella si accendeva qua e là . Ad un tratto, Skarmory iniziò a planare dolcemente verso una radura, dove le chiome degli alberi creavano come un'enorme nuvola verde. Si fece strada tra i rami, stando attento a non farci ferire, e ci fece scendere su un soffice tappeto d'erba.-"Non pensavo la Lega Pokemon si trovasse in un posto così sperduto" dissi a Rocco, un po' meravigliata.-"Perchè questa infatti non è la Lega, piccola avventuriera. Si vede che non sei mai uscita da Petalipoli, eh? Skarmory deve riposarsi, e ormai si è fatto buio. Domani mattina presto ripartiremo, credo che in serata riusciremo ad arrivare a destinazione"Quel posto era la rappresentazione vivente della pace e della tranquillità , non credevo esistesse tanta bellezza in natura. Mi assicurai subito di non aver perso nulla durante il tragitto, e fortunatamente, per la mia gioia, era tutto al suo posto. Mi sedetti per terra, ancora ipnotizzata dal paesaggio che mi trovavo intorno. Ogni tanto Rocco mi rivolgeva degli sguardi sbiechi e scrollava la testa, come se fossi stata un caso perso. Ma io non mi curavo affatto di cosa pensava o diceva: questa era la mia avventura, la prima vera avventura, e nessuno poteva rovinarmela. Mentre cercavo di accendere un fuocherello per la notte, dai cespugli, molto timorosi, iniziarono ad uscire molti esamplari di Shroomish in gruppo: di sicuro loro erano molto più di compagnia rispetto a Rocco. Mi dovetti ricredere però, poche ore dopo, durante la cena. Io cercavo di fare amicizia con Skarmory, ma con scarsi risultati, mentre lui tirava fuori dalla sua sacca quattro barattoli di non so quali cibarie. Me ne lanciò due, ma non avendomi avvertito in tempo mi caddero sui piedi, facendomi non poco male.-"Ops, scusa" disse ridendo, il che rendeva le sue scuse poco credibili.Rocco si avvicinò a Skarmory, gli aprì un barattolo davanti e glielo porse, così che il pokemon potesse iniziare a mangiare di gusto.-"Non vorrai mica far morire di fame il tuo, sbrigati a darglielo. Cosa ti credevi, che fossero entrambi per te? Dobbiamo tenerti a dieta, altrimenti mica ti entrerà ..." sbiascicò le ultime parole, come se si fosse reso conto di aver detto qualcosa che non doveva dire, e io non riuscii a comprendere il senso della frase.Comunque aveva ragione, mi ero completamente dimenticata di Banette e se le fosse successo qualcosa la mamma non me l'avrebbe perdonato. Tirai fuori velocemente la pokeball dalla tasca e la feci uscire. Si guardò intorno con un'espressione spaesatissima, quasi terrorizzata. Dopo qualche istante si voltò verso di me e i suoi occhi si illuminarono di gioia, come se non si fosse resa conto della mia presenza fino a quel momento, e mi corse incontro abbracciandomi. Rimasi abbastanza sconvolta dal suo comportamento, poichè io non la conoscevo neppure, visto che era sempre in compagnia di mia madre fuori casa. Quando mi si staccò di dosso le porsi il suo barattolo, e iniziò a mangiarne il contenuto come se fosse la cosa più buona del mondo. Rocco notò la mia espressione perplessa, ma fece finta di niente e continuò a mangiare, così anche io mi decisi a prendere il mio barattolo e mettere qualcosa nello stomaco. Il cielo ormai era completamente buio, la luna splendeva e stormi di Noctowl solcavano le fronde degli alberi, l'unica fonte di luce che rimaneva era il nostro fuoco scoppiettante. Mi sdraiai sull'erba con le braccia incrociate dietro la nuca per rilassarmi dopo tutto lo stress della giornata. Rocco si alzò dal suo posto e si distese vicino a me, anche un po' troppo vicino per i miei gusti. Il silenzio venne interrotto proprio da lui, che senza avergli chiesto niente iniziò a parlare.-"Ho visto oggi come mi guardavi mentre usavo la magia, sembra davvero che tu non l'abbia mai vista in vita tua. Se ti stessi chiedendo perchè l'ho usata davanti a te, è semplicemente perchè mi sentivo in dovere di farlo. Nemmeno la mia famiglia sa dove potrei aver ereditato questa caratteristica, a volte mi dicono che me la potrebbe aver tramandata un vecchio zio, o qualcosa del genere. Ho tante domande, molte più di te nella mia mente. Speravo di potergli dare delle risposte grazie a te, ma a quanto pare preferisci fare finta di nulla. Speravo di risvegliare qualcosa in te, davvero, lo volevo tanto. Buonanotte" detto questo si voltò dall'altra parte e si mise a dormire.Le sue parole mi rimbombarono nella testa per tutta la notte, ci misi ore per prendere sonno. Lui sapeva tutto, non stava facendo altro che mettermi alla prova cercando delle conferme, conferme che io, per paura o non so cos'altro, non gli stavo dando. Quando riuscii finalmente ad addormentarmi la notte passò velocemente e silenziosa. Capitolo TerzoSentii qualche piccola goccia sbattermi sulle palpebre, e così mi svegliai. Mi stropicciai gli occhi e istintivamente guardai di fianco a me, ma di Rocco non rimaneva che la sua sagoma incavata nell'erba. Mi guardai intorno e lo vidi mentre preparava Skarmory per la tappa finale del nostro viaggio. Banette gironzolava intorno ai cespugli, cercando qualche Shroomish da spaventare, così la richiamai dentro la pokeball. Le goccioline di pioggia mi rinfrescavano il viso e mi aiutavano a svegliarmi completamente. Raccattai da terra la borsa e lo zaino, mi sistemai la felpa e spensi il fuoco. Quella mattina non ci scambiammo nemmeno il buongiorno, ma le nostre conversazioni rimasero sempre le stesse, ovvero assenti. Salimmo in groppa su Skarmory e, sempre molto lentamente, il pokemon riprese quota. Da lassù le nuvole sembravano molto più grigie e impetuose, e la cosa mi intimoriva alquanto. Passò poco tempo quando la pioggia iniziò ad intensificarsi sempre più, e ogni tanto Skarmory produceva un verso lamentoso. Rocco però sembrava impassibile, e sembrava non aver proprio voglia di atterrare. Quando la pioggia si trasformò in un vero e proprio acquazzone, ormai era diventato troppo tardi: sotto di noi non c'era altro che distese d'acqua infinita.Ad un tratto Rocco alzò il braccio, e mi passò un paio di vecchi occhialoni, simili a quelli di un aviatore. Sempre senza parlare, accettai il dono e li indossai. Iniziai a pensare che in fondo, molto in fondo, era una persona davvero premurosa, così mi tornò in mente tutto il discorso della sera prima. A farmi tornare alla realtà però, ci pensò un enorme lampo che scese da una nuvola sopra di noi, a pochi metri di distanza. Il vento si intensificava sempre più, trombe d'aria ci impedivano di condurre un tracciato rettilineo. Per qualche istante non ci capii più niente, persi la presa e mi sembrò di cadere nel vuoto. Prontamente la mano di Rocco mi afferrò al volo facendomi tornare in sella, seppur facendomi ferire da un'ala di Skarmory. Appena mi riassestai notai che mancava qualcosa: lo zaino con i miei abiti. Iniziai a muovermi freneticamente alla loro ricerca, rendendo ancora più difficile il viaggio.-"Dobbiamo scendere da qui, ho perso i miei abiti!" urlai a pieni polmoni.-"Ho detto che dobbiamo andarcene da qui, mi è caduto lo zaino con gli abiti!" ancora nessuna risposta. Ero nel panico più totale, avrei voluto scoppiare in quello stesso istante.Non so cosa mi portò a fare ciò che vi sto per raccontare, so solo che all'improvviso dalla mia bocca scaturì un urlo così forte da provocare un enorme vortice di magia verde, che ci inghiottì completamente. Ricordo solo gli stridii strozzati di Skarmory, e la forte presa della mano di Rocco sul mio braccio. Poi il buio totale. Riaprii gli occhi di colpo, la tempesta sembrava essersi placata totalmente. Con mio grande sollievo non mi trovavo dispersa in mare, bensì su tappeto d'erba, non molto curata, ma meglio di niente. Il mio braccio destro grondava sangue, per colpa della ferita provocata dalle ali metalliche del pokemon, mentre sul mio braccio destro vi era un grande alone viola, dovuto alla mano di Rocco. Rocco. Dov'era Rocco? Cercai di mettermi in piedi, barcollavo, la testa mi scoppiava e il bernoccolo del giorno prima non migliorava la situazione. Vedevo quasi doppio, ma in lontananza riuscii a scorgere una figura riversa al suolo. Cercai di correre ma le mie gambe non me lo permettevano, facevo fatica anche solo a respirare. Finalmente raggiunsi il corpo sdraiato sull'erba, che si dimostrò poi quello del mio compagno di avventure. Si trovava con la faccia rivolta verso il suolo, così con le poche forze che mi rimanevano cercai di rivoltarlo. Dopo svariati tentativi ci riuscii, e gli scostai i suoi bellissimi capelli dal volto. A stento trattenevo le lacrime: la sua classica giacca nera era sbottonata, mostrando la maglietta intrisa di sangue, il suo volto era rigato da numerosi graffi profondi. Il suo fazzoletto rosso, che non si trovava più al suo posto, era incastrato tra le ali di Skarmory, di cui io non mi ero accorta per nulla, a pochi metri di distanza. Il pokemon aprì gli occhi, mi vide, poi abbassò gli occhi sul suo padrone. Produsse un gemito di dolore, a fatica si alzò anche lui e si diresse verso la nostra direzione. Con il suo becco affilato districò il fazzoletto dalle sue lame e me lo porse gentilmente. Finalmente aveva capito chi ero realmente. Usai il fazzoletto per ripulire le ferite sul volto di Rocco, inzuppandolo di tanto in tanto in una pozzanghera lì vicino, ma lui non sembrava riprendersi. Skarmory si sdraiò vicino a noi, e alzò un'ala per coprirci dal sole pungente che stava iniziando ad uscire. Sentii qualcosa che premeva sulla mia gamba dall'interno della tasca del pantalone. Infilai una mano dentro e tirai fuori la pokeball, che molto stranamente si stava agitando e illuminando. Premetti il bottoncino, e Banette uscì fuori tutta soddisfatta. Mi guardò per alcuni interminabili secondi, il suo sguardo era talmente profondo che riusciva a trapassarmi da parte a parte. Qualcosa brillò nei suoi occhi, poi di nuovo una fitta alla testa.-"So che vuoi farlo, nessuno te lo impedisce"-"Cosa? Chi è stato a parlare?" urlai, guardandomi intorno impaurita.-"Guardami. Non avere paura. Fa ciò che senti provenire dal tuo cuore"Quella voce proveniva dalla mia stessa testa, allora capii. Mi girai di scatto verso Banette, i suoi occhi brillarono di nuovo. Grazie a lei capii qual'era il mio destino, non ero più costretta a nasconderlo o rinnegarlo, quella era la mia vera natura. Il mio sguardo tornò di nuovo su Rocco, e lì mi decisi. Presi il suo volto tra le mani e avvicinai la mia fronte alla sua, chiudendo gli occhi. Pensai a tutti i piccoli gesti che mi aveva riservato fino a quel momento, e ai suoi bellissimi occhi. Continuai a concentrarmi, corrugai le sopracciglia, goccioline di sudore iniziarono a scendermi per tutto il corpo. Aprii lentamente gli occhi, e vidi che da ogni mio poro iniziarono ad uscire strani filamenti verdi, che si andavano ad attorcigliare intorno alle braccia, alle dita, alle gambe, e ai capelli di Rocco, che iniziò ad alzarsi al cielo come sorretto da una presenza invisibile. Rimase a mezz'aria per un tempo indefinito, poi ricominciò la sue discesa. Io ammiravo la scena ancora incredula, non credendo di essere capace di tutto questo. Rocco tornò disteso nella stessa posizione di prima e io velocemente mi avvicinai per osservare i risultati del mio incantesimo. Strinsi forte la sua mano, e lui lentamente riaprì gli occhi. Lacrime di gioia uscirono dai miei occhi, mentre Banette e Skarmory iniziarono ad agitarsi emettendo versi di giubilo. Anche lui accennò un sorriso, poi mosse le labbra cercando di dire qualcosa. Dopo vari tentativi, riuscì a produrre dei suoni.-"Ho sempre creduto in te, sapevo che ce l'avresti fatta"-"Grazie a te ce l'ho fatta, è grazie a te se ho aperto gli occhi" dissi, non riuscendo a contenere la felicità .Rocco cercò di mettersi seduto, e dopo esserci riuscito si guardò intorno.-"Aspetta, ma io questo posto lo riconosco... questa è Iridopoli!" un grande sorriso si dipinse sulla sua faccia, fece per mettersi in piedi ma le sue gambe non glielo permisero, così cadde indietro.-"Stai calmo, non devi affaticarti, almeno non da subito" mi intromisi io, poi cercai intorno a me un qualche altro elemento familiare da poter riconoscere. I miei occhi caddero su un grande cartello in lontananza che riportava lo stesso simbolo che era disegnato sulla tessera di Rocco.-"Voi mi vorreste dire... che siamo a pochi passi dalla Lega Pokemon di Hoenn? Quella vera?"-"Perchè, ne esisterebbe anche una falsa?" disse Rocco con la sua solita ironia.Skarmory emise un verso di pura gioia, confermando ciò che avevo detto poco prima.-"Deve essere tutto perfetto per quando arriveremo lì! Ma è vero... I miei abiti... Fortuna che ho il mio taccuino con tutti i miei schizzi all'interno, spero che ascoltando la nostra storia mi daranno qualche altro giorno per ricrearli con le stesse stoffe!"-"Aspetta Ester, dovrei dirti..." Rocco cercò di interrompermi.-"No, tranquillo, deve essere qui dentro" mi misi una mano nella borsa (che fortunatamente mi era rimasta a tracolla dopo l'incidente nel turbine di magia). Tutto era presente, tranne il taccuino. Cercai una, due, tre volte, ma niente. Poi mi tornò alla mentre un flashback: io che cadevo dalle scale e la borsa che si riversava a terra. Probabilmente i miei appunti erano caduti sotto una sedia, e io non li avevo visti. Il mondo mi crollò di nuovo addosso, e tutto smise di avere un senso. Cosa ci facevo ancora lì? Rocco mi prese la mano, e mi guardò negli occhi.-"Lo vuoi capire che quel taccuino non ti servirà più? Quando arriverai lì avrai tutto il tempo che vuoi per creare nuovi vestiti, per te, per me, per tutta Hoenn"Non riuscivo a capire cosa volesse dire, quel giorno si stavano susseguendo troppe strane rivelazioni. Rocco mi lasciò la mano e si alzò finalmente in piedi. Iniziò a camminare spedito verso una piccola collinetta, come se tutti i suoi mali fossero d'un tratto spariti. Si girò verso di me, facendo un segno di incoraggiamento con il braccio e aspettando che lo seguissi. Mi incamminai anche io, seguita dai due pokemon, e arrivai in cima all'altura. Rimasi letteralmente a bocca aperta. Quel piccolo ammasso di erba e terra era l'unica cosa che fino a quel momento ci aveva impedito la vista verso l'impotente ed enorme edificio della Lega Pokemon.-"Seguimi!" Urlò Rocco, e scivolò lungo il pendio. Capitolo QuartoIn men che non si dica ci trovammo davanti l'enorme portone dorato della lega, l'uno di fianco all'altra. Riportammo i pokemon nelle loro pokeball, ci scambiammo un breve sguardo e alzammo all'unisono il braccio destro verso la porta, che con un solo lieve tocco si aprì dinanzi a noi. Grandi vetrate colorate filtravano la luce all'interno del salone, pokemon di tutti i tipi insieme ai loro allenatori percorrevano in lungo e in largo l'enorme costruzione. Amici che non si vedevano da tempo, nemici di vecchia data, erano tutti riuniti lì dentro accomunati da uno stesso sogno. Appena oltrepassammo l'entrata, Rocco venne sommerso da una valanga di saluti provenienti da ogni dove, qualcuno azzardava anche una stretta di mano o una pacca sulla spalla. Mi portò poco più avanti, davanti a un divanetto, e mi fece sedere, mentre lui rimase in piedi di fronte a me. Si mise una mano in tasca, mentre con l'altra si iniziò a toccare i capelli, visibilmente in imbarazzo. Tirò fuori la mano dalla tasca, e mi porse il famoso tesserino con tutti i suoi dati. Lo rilessi velocemente, e finalmente ripercorsi con gli occhi quell'unica riga che la volta precedente non ero riuscita a decifrare. Le lettere, stampate in maiuscolo, componevano la parola "Campione". Guardai lui, poi la tessera, poi di nuovo lui, poi di nuovo la tessera. Dalla sua espressione si poteva capire che era molto divertito dalla mia reazione. Io fino a poche ore prima avevo odiato e sbraitato contro il Campione in carica della Lega senza saperlo.-"Perchè non me l'hai detto subito?" dissi incredula.-"Beh, io te l'ho fatto vedere subito, solo che tu... non ci hai fatto caso" disse lui, ridendo di gusto.-"Ma ora passiamo a te" mi guidò verso una porta, che una volta aperta rivelò dietro di essa una stanza completamente buia, e mi ci fece accomodare. Si allontanò per un paio di minuti e tornò con in mano uno strano aggeggio (il cui nome, scoprii in seguito, era "Hovolox"). Si fermò poco lontano da me, poi premette qualche pulsante su quel suo macchinario, apparentemente senza senso, e aspettò.-"Tranquilla, la tua attesa sta per finire" mi comunicò.Da una porta, opposta a quella da dove eravamo entrati, uscirono tre strane figure: un ragazzo, con un'andatatura gobba e un unico ciuffo rosso in testa, una donna molto posata, dai lunghi capelli biondo platino e un uomo abbastanza attempato, con dei lunghi baffi bianchi e un cappello da marinaro. Le mie idee diventavano sempre più confuse, non avevo la più pallida idea di chi fossero. Si presentarono in ordine, così per la prima volta conobbi Fosco, Frida e Drake. Tutti e tre si misero a fissarmi, come aspettando qualcosa da me. Capendo che io non avevo la minima idea di cosa fare, fecero loro la prima mossa, e uno per volta aprirono il palmo della loro mano verso di me. Iniziarono a volteggiare in aria filamenti fluorescenti di colore bianco, viola e rosso. Istintivamente protesi una mano verso l'alto, Rocco mi imitò. Le nostre scie magiche prima si intrecciarono tra loro, poi andarono a mescolarsi con quelle degli altri. Finalmente capii il vero motivo per il quale mi avevano convocato lì. Ora ho una famiglia, ora ho una casa. Noi siamo gli unici che possiamo portare avanti la nostra stirpe, noi siamo i veri maghi di Hoenn. Dopo la prematura scomparsa della precedente Super Quattro, la sua linfa magica li condusse a me. E' per questo che ora io sono Ester, sarta ufficiale della Lega Pokemon e centosettantesima nella stirpe magica dei Super Quattro di tipo Spettro. Note dell'Autore: Per mia fortuna sono riuscita a finirlo giusto in tempo :')Mi scuso per la lunghezza, anzi mi sarei voluta dilungare ancora di più sul finale, ma purtroppo l'ho dovuto striminzire e quindi non è d'effetto :|In bocca al lupo a tutti ! Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
Mighty. Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell'autore: The Mighty MawileTitolo dell'elaborato: La Magia, quella con la M maiuscola.Elaborato: La pesca è una delle mie più grandi passioni. Non sento di poter dormire tranquillamente se non ho fatto bagnare l’amo della mia canna almeno una volta. Il mio luogo preferito per praticare la pesca è un vecchio molo ormai in disuso, lungo abbastanza per permettermi di essere nell’acqua alta dove vi sono i pesci più sostanziosi rimanendo però all’asciutto. Inoltre il fondale di quel luogo è melmoso e ricco di alghe e quindi una specie di ristorante per ogni creaturina con branchie e squame.Ma, a dire il vero, non pesco per procurarmi da mangiare, sono ricco abbastanza per non morire di fame. Effettivamente io pesco per diletto ma, nonostante potrebbe sembrare una crudeltà far del male a dei poveri animali per divertimento, dopo averne preso uno, lo ributto subito in mare. Non prima però di averlo curato: basta un tocco del mio bastone per ricucire la piccola ferita causata dall’amo. Ma guarda un po’, noto ora che non mi sono ancora presentato.Sono Helio Dell’Alta Marea, Grande Teurgo delle praterie dell’Est.Sarete sicuramente confusi. Evidentemente nel vostro mondo la magia non esiste, o semplicemente non siete a conoscenza della sua esistenza. Ma non disperate, cercherò di spiegarvelo nel modo più semplice possibile!La Magia, con la M maiuscola vorrei sottolineare, è una particella quasi invisibile e impalpabile che prende forma e consistenza una volta unita alla mente umana. La Magia è materia, è essenza che scorre dentro ognuno di noi ma se non se ne fa il corretto uso non “funzionaâ€.La stregoneria anche conosciuta come incantesimo, è il prodotto di quella particella combinata ad intelletto e un catalizzatore per darle forma, espressione e potenza. Il primo incantesimo che qualunque individuo effettua è quello per trasformare un qualsiasi oggetto piccolo, leggero e trasportabile, in un catalizzatore. Può essere un bastone come può essere un libro, un pupazzo, un osso o persino un animale. Eseguendo uno speciale rito, le particelle magiche entrano nell’uomo che lo sta compiendo, pulsano di un energia incredibile, ad intermittenza. Finché, dopo un lasso di tempo dall’uno ai cinque minuti tutta questa materia penetra completamente nell’oggetto stabilito, rendendolo, appunto, magico. Come un qualcosa che brilla di luce propria e non più di luce riflessa. Il mio è un ramo nodoso trovato ai piedi di un vecchio ulivo nel mio podere.Ci sono vari tipi di incantesimo che elencherò brevemente, variano per effetto, scopo, pericolosità , sforzo fisico ed anche per linee di pensiero di chi la pratica:Esistono la Piromanzia, la Necromanzia, l’Invocazione, la Chiromanzia, l’Astrologia, la Divinazione e quella che ho scelto io, la Teurgia. Diffusa soprattutto nell’Est, dal quale provengo, è un tipo di stregoneria assolutamente non violento. Si basa su incantesimi innocui, ma che possono sicuramente servire sia chi la pratica che chi gli sta intorno, come ad esempio incantesimi curativi, che fanno levitare gli oggetti, il teletrasporto, c’è n’è persino uno in grado di far parlare all’utilizzatore qualsiasi lingua del mondo, compresa quella degli animali!Dopo questo sproloquio ritorniamo all’inizio, ovvero io che pesco. Era una mattina freschina, non troppo diversa da questa o quell’altra, ma un particolare la distingueva: l’acqua sembrava priva di vita. Ho aspettato per un’ora ma nessun pesce si faceva vivo nonostante l’abbondanza di alghe. Ero quasi sul punto di rinunciare, quando noto che qualcosa ha abboccato. Ho serrato la presa sulla canna e ho tirato con tutte le mie forze, ma non sembrava ce ne fosse il bisogno, come se quella creatura stesse andando proprio verso di me. Non c’era alcuna resistenza, riesco a sollevare la canna quando all’improvviso mi sembra di vedere un ombra che guizza in alto. Osservo l’amo e noto che non c’è nulla attaccato ad esso. Quasi per istinto mi guardo intorno, senza scorgere l’animale da nessuna parte; una vocina nella testa mi suggerisce di guardare in alto e, credetemi che non accade certo tutti i giorni, vedo la creatura che ho pescato in cielo, ferma a mezz’aria, permettendomi di scrutarla con cura: era un pesce abbastanza piccolo, non più lungo del mio braccio a dir la verità , le squame erano di un colore tale da farlo sembrare una statua di terra, sabbia e roccia, gli occhi di un azzurro simile a farlo sembrare ghiaccio. Ero lì a chiedermi cosa stesse succedendo esattamente quando il pesce scende in picchiata verso di me e mai dimenticherò quell’attimo, il mio cuore che si fermò, i suoi occhi che mi gelavano e poi il buio. Cadevo, ruzzolavo, rotolavo e sbattevo, ancora inconscio dell’accaduto, la mia mente non riusciva a focalizzarsi su nulla, era solo un caos e un nero che mi riempiva gli occhi, ma tutti quei sussulti e colpi si fermarono di punto in bianco. Mi sembrava di essere rotolato giù da una montagna e di essere finalmente arrivato a valle. Apro gli occhi chiusi per la confusione mista a paura, e noto che c’è luce, così da capire il luogo nel quale sono finito. La luce non era molta, ma abbastanza per mostrarmi una grotta gigantesca, il cui soffitto incredibilmente alto era ricamato da stalattiti perpendicolari ad un laghetto a pochi passi da me. Sul soffitto vedo anche un buco, probabilmente quello da dove sono caduto. Guardandomi intorno ho notato anche qualcosa che mi ha sorpreso: sulle pareti, sul pavimento, sott’acqua e sul soffitto vedevo delle “venature†luminescenti e pulsanti di una misteriosa energia, ma la cosa più strana era che in quel posto sentivo qualcosa di familiare, qualcosa che conosco e anche molto bene. Mi sentivo a mio agio.Ma non dovevo perdere tempo, dovevo sapere che tipo di posto fosse quello, come uscirne e soprattutto, come abbia fatto a finire in una grotta sotterranea se fino a qualche minuto prima ero su un molo a pescare. E il pesce? Cos’era successo? Rovistai nella mia sacca dalla quale tiro fuori una grossa pergamena, vuota ma speciale. La sfiorai con il bastone e sulla cartapecora comparse una mappa completa del luogo nel quale mi trovavo, e ciò che vidi mi lasciò senza parole, un’altra volta. A quanto pare ero finito dentro il pesce! Lo stesso pesce che vidi schizzare in aria e lo stesso che piombò su di me. Dunque mi aveva ingoiato? Quel pesce a quanto pare era piccolo all’esterno, ma colossale all’interno, proprio come la mia sacca, divenuta così per un mio incantesimo. “Impossibileâ€, mi dissi, pensando alle pareti, al pavimento di roccia e alle stalattiti “Se fossi dentro un pesce mi troverei nel suo stomaco, fatto di carne e sangue e resti di ci..†Non ebbi neanche il tempo di pensare a quella frase che una visione mi raggelò il sangue. Ai miei piedi, sulle rive di quel laghetto, c’erano carcasse umane e di pesci, ormai marcescenti e nauseabonde. Corpi con ossa rotte malamente, proprio al di sotto del buco nel soffitto. Non sembravano esserci altre entrate.Rivolsi nuovamente lo sguardo alla pergamena. Mi trovavo in una caverna a forma di pesce, e l’unica entrata era anche l’unica uscita, la “testa della creatura marinaâ€, e per fortuna ci si poteva arrivare a piedi da lì. Intanto un sinistro gorgoglio risuonava tra le pareti e mi rimbombava fragoroso nella mente. E quella sensazione piacevole, familiare non accennava a sparire, neanche in una situazione tanto terribile.Seguendo la mappa, mi sono voltato e mi sono incamminato in un buio ed angusto tunnel, che rappresentava il “colloâ€. Non si vedeva nulla, mi toccava proseguire tastando il terreno un po’ alla volta, con quella pulsazione che sentivo nella caverna ma anche dentro di me, come se fosse nel sangue pompato dal cuore, e quel verso, quel gorgoglio che mi seguiva come un’ombra. Ormai avevo perso la cognizione del tempo, chissà quanto tempo ho passato a camminare in quel maledetto tunnel, non vedevo, ma calpestavo e sentivo i corpi di uomini che hanno provato a fuggire, ma sono stramazzati a terra per la fame o per le ferite dalla caduta, o più semplicemente si sono arresi dinanzi al loro misero destino. Mi sentivo come se stessi attraversando i cancelli dell’inferno che le porte del paradiso allo stesso tempo, una sensazione indescrivibile che mi inquietava l’animo e mi torceva le viscere. Finalmente una luce, quella tortura finì. Non mi resi conto di quanto fossi stanco, crollai irrimediabilmente a terra, senza neanche avere la forza di rialzarmi. Alzai il capo, ero in una grotta più piccola di quella precedente, che si chiudeva ad imbuto alla fine. Ma non potei fare a meno di notare, quella cosa. Solo a vederla di sfuggita, mi sono sentito rinato. Non ero più stanco, non ero più impaurito, nulla di nulla. Mi alzai, e vidi davanti a me una colossale sfera bianca, anzi, iridea: emanava un potere enorme, pulsava di un’energia potentissima, delle particelle sfavillanti si univano ad essa, da sopra e sotto, da destra a sinistra, da sotto il pavimento, attraverso le pareti, le venature bluastre confluivano tutte verso quella cosa. Oltre questa sfera, si vedevano sui muri più avanti due buchi rotondi, come due oblò, due finestre chiuse e trasparenti. Mi avvicinai, guardai fuori e sgranai gli occhi. I miei occhi erano riempiti da blu, un blu marino, e dopo questo si scorgevano altri dettagli, coralli, pesci, alghe, rocce … “Il mare! Siamo sott’acqua!†e solo ad accennare a questo pensiero il mio cervello si illuminò di colpo, tutti i tasselli del puzzle si unirono!Mi voltai, sguardo fisso verso quella sfera che fluttuava, volteggiava e pulsava d’energia.E così esclamai: <<Quello … quello non è un cervello, non è un cuore! È un nucleo! È Magia! Magia allo stato puro! Ed è il nucleo di una Reliquia Stregata! Le Reliquie.. terra sabbia e roccia, animate da un nucleo di Magia lasciata dagli antichissimi padri della stregoneria, dispensatori di Magia che scorre in tutto il mondo conosciuto! Ecco perché è più grande all’interno, è incantata come la mia borsa! Questa.. questa sensazione, è la Magia che ho studiato per tutta la mia vita, che ho imparato a conoscere e a conviverci! Esistono allora, esistono!>>.Ero felice, di una gioia che invade il cuore e tutto il corpo, una gioia che ti lascia un sorriso sulle labbra, una contentezza da far venire le lacrime agli occhi, come incontrare il dio che tanto hai venerato per tutta la tua vita! Purtroppo però sono un essere umano, un essere vivente. Ho bisogno di cibo e di acqua per vivere, non sono eterno né immortale come il colosso nel quale mi trovavo. Dovevo, mio malgrado, andarmene. Conosco il teletrasporto. Esso può essere utilizzato solo se si conosce il luogo da cui si parte e il luogo nel quale si arriva, e quest’ultimo non può essere un luogo instabile né in movimento. Ciò significa che non avrei mai potuto tornare dentro alla Reliquia teletrasportandomi. E ciò significava avere una minima, se non nessuna, possibilità di rivederla dal vivo un’altra volta. Ero pronto. Destinazione: la mia fattoria.Ma prima di partire definitivamente, mi sedei lì per un po', davanti al nucleo di quell’entità divina, ad essere felice. Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
SamOnTheFloor Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell'autore: Lucario11 Titolo: “Nelle mani del Destinoâ€Brano tratto dalle Cronache della Piana dell'Atarno Libro II Capitolo 1-4 Elaborato:1- Tra sogno e realtà Il destino non sai mai cosa reca in serbo per la tua vita, ricordati solo di avere sempre speranza.Stavo per varcare un portale che mi avrebbe riportato nella mia terra, quella che non avevo mai conosciuto poiché ero ancora troppo piccolo per potermela ricordare. Quella terra in cui ero nato, quella terra che avevo sognato così tante volte e che pensavo fosse solo una stupida fantasia di ragazzo. Prima stentavo a credere a tutto quello che era successo, ma ora non potevo più avere dubbi: era tutto reale. Tutto era incominciato solo alcuni giorni prima: ero in villeggiatura in un paesino del Piemonte sud-occidentale in una delle vallate ai piedi delle Alpi, più precisamente nella valle del Tanaro. Un giorno, durante una passeggiata lungo uno dei sentieri che collegano i numerosi paesini della zona, vidi quello che apparentemente poteva sembrare un lampo, ma il cielo era sgombro di nuvole! Iniziai a correre e mi ritrovai lungo un sentiero che non avevo mai notato... la corsa incominciava a farsi sentire e avevo sempre più il fiatone, ma sentivo nel profondo che non potevo arrendermi... Dovevo continuare.... Correre... Correre... Raggiunsi una radura e vidi una scena orribile: era come se nell'aria fra gli alberi vi fosse uno squarcio... una finestra che dava su un altro luogo. Dall'altro lato sembrava esserci la stanza di un castello: le mura nere, le finestre in stile gotico e i pavimenti piastrellati all'antica. Sinceramente stavo pensando di sognare, come spesso mi accade, non era la prima volta che immaginavo una scena simile, ma solitamente ero conscio di dormire. Udii una voce sinistra: "E così, Lisa, pensavi davvero di poterti opporre con il tuo misero potere alla forza del Conte? Ho passato anni a forgiare la mia armatura in cristallo nero, ho intinto nella mia spada tutte le magie più oscure che sono riuscito a trovare nei libri delle biblioteche di tutti i monasteri delle pianure Occidentali. Mai in tutta la storia della Franca Contea vi era stata una tale concentrazione di Magia Oscura. E ora, l'ultimo tocco di classe, raccogliere le sei gemme dei Figli della Foresta: Uno venuto dalla forza della sorgente,dote perennemente rifiorente.Una del vento sarà figlia,virtù in lei ancora germoglia.Uno verrà dal ghiacciaio del monte,dono di vita riceverà dal sacro fonte.Una nata dall'autunno, il fiore,la gemma antica a lei donerà ardore.Uno giunge dal mondo sopitopotere di sogno non ancora svanito.Una di fuoco e fiamma unitipotenza celata agli occhi avvizziti.Lisa questa era un'antica profezia dell'ultimo oracolo degli Elfi. Secondo la profezia i sei Figli della Foresta, a cui sarebbero spettati i doni dei Santuari , avrebbero dovuto vincere una forza oscura che si sarebbe abbattuta sulla piana dell'Atarno. Eccomi, dunque: sono io. Vedi questi tre ciondoli che custodisco? Ho rinchiuso qui i doni di tre dei sei figli della profezia. Vuole il caso che due di loro siano tuo padre e tua madre. Tranquilla, loro non sono morti, ma so per certo che non potranno mai più incontrarsi.†L'uomo si abbandonò ad una profonda risata e si avvicinò alla ragazza china sul pavimento e le strappò una collana dal collo. Bisbigliò alcune parole che non riuscii a comprendere e assorbì nel ciondolo un'enorme figura indistinta contro la parete. Fatto questo, il Conte, disse: “Lisa, piccola mia, non voglio riservarti un futuro orribile, come ai tuoi genitori. Vedi, dietro di te ho aperto un portale, porta in un altro mondo. Ora... Addio.â€Le diede un calcio in pancia che la fece arretrare e lo squarcio la risucchiò, appena cadde riversa sul prato, la ragazza svenne e la finestra si richiuse con uno schiocco.Ve lo dico con tutta sincerità , stavo pensando di essere pazzo. Poteva essere veramente capitato tutto a me? Ero solo uno studente che durante l'estate lavorava nel piccolo ristorante di famiglia... insomma, una persona ordinaria!I miei genitori per alcuni affari del ristorante erano stati obbligati a rinunciare ad alcuni giorni di vacanza, ma mi avevano lasciato la libertà di restare in montagna da solo affinché l'aria più limpida potesse giovare alla mia salute, pensai, quindi, di portarla a casa mia per aiutarla.Mi avvicinai alla ragazza, Lisa – o almeno così era stata chiamata dal Conte – e notai con dispiacere che aveva alcune ferite profonde e l'istinto mi diceva che erano tagli di spada. Non avevo idea di come potevo saperlo, non avevo mai nemmeno visto una spada in tutta la mia vita!“Ah, quindi sto diventando davvero pazzo†mi dissi poiché avevo l'impressione di udire una voce nella mia testa.“Tu puoi curarla†mi diceva. “Devi solo lasciarti andare, devi immaginare di immergerti in me, in te stesso e troverai la forza di cui necessitiâ€Io non compresi cosa volesse dire, ma sentendomelo ripetere più volte, provai infine, a svuotare la mente da tutto e provare a obbedire a quella voce: era impressionante! Nella mia mente vidi la mia essenza, vidi come una specie di spiaggia su cui vi era il mio io interiore e lo comandai, obbligandolo ad immergersi. Mi sentii immediatamente cosparso da un potere immenso e assieme a quella strana voce dissi: “Curalaâ€. Sulla punta delle mie dita si creò come una nebbiolina verde che avvolse la ragazza, le richiuse le ferite e il suo respiro, fino a pochi minuti prima irregolare e spezzato, era ora calmo. La sollevai e la portai a casa mia, l'unico luogo in cui immaginavo sarebbe rimasta al sicuro. 2- Il risveglioIl giorno seguente, mentre preparavo la colazione, Lisa si svegliò e mi accorsi realmente di quanto fosse bella:era alta, una chioma di capelli castani e ricci le scendeva lungo le spalle e la schiena, oltre le anche; i suoi occhi erano di un colore verde intenso e mi ricordarono i miei, quel colore verde misto al marrone, il colore delle foglie degli alberi poco prima dell'autunno; il naso piccolo e le lentiggini... rimasi a fissarla senza parlare per alcuni minuti fino a quando mi parlò. “Sei stato tu a curare le mie ferite, quindi sei un mago anche tu? Immagino ti debba ringraziare, come ti chiami?â€â€œEro impietrito. Mago? Io? Come poteva essere vero?†pensai“Mi chiamo Samuele. Si, sono stato io a soccorrerti, ma non ho la più pallida idea di quello che sia successo. Immagino tu abbia fame, vuoi sederti? Se gradisci posso raccontarti ciò che ho vistoâ€. Mi squadrò, prima con aria dubbiosa, ma poi vidi qualcosa di più profondo nel suo sguardo: un misto tra dolcezza e speranza che mi rincuorò. La feci sedere al tavolo e le portai il pasto che avevo appena preparato: una cioccolata calda e alcuni biscotti di pasta frolla.Lo so, lo so non erano certamente i miei piatti migliori, ma quando la avevo portata a casa, durante il tragitto, ebbi la sensazione di poter comprendere ciò che voleva e di cui aveva bisogno: una persona che la aiutasse, che le fosse vicina e non è con lo sfarzo ma con la semplicità che si è vicini agli altri e così preparai la colazione più ordinaria che ero in grado di cucinare.“Prima che tu mi racconti ciò che hai visto, voglio raccontarti la mia storia†mi disse.Mi parlò di come una palla di fuoco aveva investito il suo villaggio e lei unica sopravvissuta, fu guidata da una voce misteriosa verso le montagne che circondavano la pianura dove abitavano. Trovavo alcuni caratteri familiari nei paesaggi descritti, ma non mi soffermai molto su queste piccolezze: ero troppo incantato dalla voce di Lisa, non riuscivo a non guardarla negli occhi, in quelle iridi così lontane e al contempo sole... in quegli occhi di una persona che non sapeva più cosa volesse dire confidarsi con qualcuno che poteva capirti. Continuò il discorso e mi raccontò del suo viaggio tra quelle vallate disabitate (scoprii infatti che per legge erano percorribili solo cinque strade lastricate che collegavano le piane dell'Atarno alla Franca Contea, non si poteva viaggiare su altri sentieri tra le montagne). Lei, però, li percorse ugualmente: “Avevo una guida – affermò – non potevo lasciare perdere l'unica cosa che mi era rimastaâ€. Giunse, infine, in una delle vallate più profonde e nascoste: qui, raggiunse il Santuario del Bosco e le venne dato in dono Kayr il cucciolo di drago che le era destinato. Arrivò, poi, lungo la costa del mare dove vi erano gli ultimi insediamenti degli elfi e qui venne addestrata: “Il mio compito – mi disse – era quello di sconfiggere il Conte, il sovrano della Franca Contea (o delle Pianure Occidentali, così erano chiamati quei territori dalla mia popolazione). Ma hai potuto assistere anche tu al mio fallimento, dunque ora non ci sono più speranze...â€Nel suo volto vidi tanto: paura, delusione, ma soprattutto uno sguardo senza speranza. Avevo il dovere di rincuorarla!“Lisa, ci siamo appena conosciuti, ma siamo amici. Finché saremo insieme, tu non potrai arrenderti! Ti prometto che farò il possibile per aiutarti nella tua impresa...â€â€œPer piacere, continua a parlare...â€Incominciò a piangere e per consolarla le raccontai tutto quello che mi venne in mente, tutta la mia vita...“D'altronde lei non aveva fatto la stessa cosa con me? – pensai – Mi ha raccontato tutto di lei, posso capire perfettamente quello che pensa, è giusto che anche lei possa comprendermi come io comprendo lei.â€E così le raccontai di tutta la mia vita, di come ero appassionato di fotografia, delle mie serate a imparare a cucinare nel ristorante, della scuola, dei miei amici e delle persone che invece non sopportavo... nel raccontarle tutto il sole intanto calava e si addormentò sul divano seduta vicino a me e io la guardai intensamente, per imprimere fermamente nella memoria il suo viso, ora calmo immerso nel mondo dei sogni. La sollevai e delicatamente la portai sul mio letto, nella camera in cima alla casa.“Almeno quando si sveglierà potrà ammirare le stelle dalla finestra†ero molto soddisfatto della mia idea e stavo per dirigermi in cucina, per preparare la cena, ma non ebbi il tempo di fare alcuni passi che ebbi una lancinante fitta al cranio, mi accasciai a terra e ebbi una strana sensazione; durò solo pochi istanti, ma vidi chiaramente l'immagine di una grande casa che si stagliava contro ad un profilo di tante luci e la costa. Si la costa, quella costa che a me era così familiare, la costa dove abitavo. Avrei saputo riconoscere quel panorama da qualsiasi angolazione: quello in fondo era Capo Verde con il suo faro e chiaramente si vedeva il tratto di costa ad ovest di Sanremo... il luogo della visione doveva essere a non più di qualche chilometro da casa mia; ero passato per quelle colline così tante volte... ma quella casa. Possibile che non la avessi mai notata? Era certamente da escludere la cosa, poteva essere una visione del mondo di Lisa? Anche da escludere questa opzione, sullo sfondo ho visto il faro e da quello che mi ha detto Lisa nel loro mondo non esiste l'elettricità .“Ricordati sempre a cosa devi dare priorità †diceva sempre il mio professore di matematica, chissà per quale motivo ripensai a questo in un momento così, ma mi convinsi a scendere in cucina, la cena non si sarebbe preparata da sola; per la villa misteriosa avrei avuto tempo successivamente. Presi alcune matite da disegno e un paio di cartoncini bianchi, mi sarebbero serviti più avanti. Accesi la radio a basso volume per non disturbare Lisa e accesi il fornello del gas: avevo intenzione di preparare pasta con porri e salmone e come secondo avevo già pronti dei peperoni tagliati che andavano solo riscaldati in padella. Come ogni volta che cucinavo, la mia mente si svuotava aiutandomi a ritrovare la calma. In quel frangente fu molto utile, devo ammettere che ero molto stressato da quegli avvenimenti che accaddero così all'improvviso. Mentre la cena si cuoceva sui fornelli posai sul tavolo le matite e i fogli e provai a ricreare un disegno il più fedele possibile a ciò che avevo visto e dove non ricordavo alcuni dettagli, andai in parte improvvisai e in parte ipotizzai cosa mancasse nell'immagine. Terminata l'opera non potevo dirmi deluso, effettivamente ero anche alquanto soddisfatto, non ricordavo bene solo alcuni dettagli della facciata così disegnai il tutto al tramonto in modo da avere il muro in ombra e non dover rischiare imprecisioni che potevano risultare gravi. Tanto ero preso dalla foga del disegno che non mi accorsi minimamente che Lisa si era svegliata e mi spaventai quando mi strappò il foglio dalle mani e lo osservò con attenzione. “Come hai fatto questo disegno!? Hai mai visto questa villa!? Dimmi tutto quello che sai!†era scioccata e mi urlò le tre domande con una voce spezzata, ma, cercando di mantenere la calma, provai a spiegarle tutto quello che sapevo:“Lisa, io conosco il posto perché vivo lì vicino, ma a essere sincero non avevo mai visto quella villa!†Alla mia risposta sembrò ricomporsi e mi guardò fisso negli occhi. Vidi un brillio strano e qualcosa mi disse che stava guardando nella mia mente con la magia...“Che belli i suoi occhi... no! Se lo penso ora se ne accorgerà sicuramente, concentrati! Non pensarci! Fissati sulla villa, non guardarla, non deve sapere così quello che pensoâ€Mi sembrò di vedere le sue labbra abbozzare un sorriso, ma non ne fui sicuro; comunque mi disse:“Samuele, ti prego portami in questo luogo. Mi hai promesso che non vuoi abbandonarmi, mi hai detto che vuoi aiutarmi, ora fidati.â€Avrei potuto dire qualsiasi cosa, che ci avrei pensato, che ne avremmo discusso in un momento in cui potevo risponderle con una maggiore lucidità , ma oramai il mio cervello era in tilt e le risposi:“Sarai lì entro domani sera.†Mi rispose con un affettuoso grazie e mi abbracciò. Cenammo ed andammo a dormire, le offrii con molta cavalleria il mio letto e io dormii nella brandina, o meglio, ne avevo l'intenzione, ma non mi addormentai per molto tempo. Troppi pensieri si affollavano nella mia testa: pensavo a Lisa, a quello che mi era accaduto nell'ultimo giorno, al suo buonissimo profumo, al portale, ai suoi lunghi capelli castani... Uffa, va bene, lo ammetto! Ho praticamente pensato solo a lei. E' inutile cercare di nasconderlo, mi ero innamorato di lei fin da subito. 3- Vivere tra il presente e il passatoMi svegliai, un raggio di sole filtrava dalla persiana e mi colpiva in faccia. Uscii dalle coperte e mi accorsi che Lisa non era nella stanza: mi vestii in fretta e corsi fuori per scoprire dove fosse andata. Davanti alla porta vidi le sue impronte tra l'erba ancora ricoperta di rugiada e le seguii. La trovai al limitare del bosco seduta sotto un pino che armeggiava con il suo braccialetto. Capii che stava usando la magia per cui la scrutai da dietro le foglie di un nocciolo nel tentativo di comprendere le sue intenzioni. Tocco un piccolo pendente del bracciale e quello si illuminò, sopra di esso si formò una specie di nuvola di colore lilla. Scrutai con molta attenzione perché non capivo cosa fosse. Aspettai fino a quando la nuvola rivelò il suo contenuto: volteggiavano tra le spire del vapore violaceo alcuni rettangolini; passarono alcuni secondi, ma poi compresi cosa fossero: erano fotografie! Immagini di persone e luoghi a me ignoti e proprio in quel momento vidi una lacrima che le scendeva lungo la guancia... inquadravano probabilmente familiari, amici e luoghi del suo mondo. Stavo per raggiungerla per rincuorarla e starle vicino, quando vidi che aprì la sua bisaccia e ne tirò fuori un foglio bianco: bisbigliò alcune parole magiche e sul foglio presero vita molti colori, dovetti aspettare per vedere il risultato finale, ma rimasi sorpreso! L'immagine raffigurava me, il giorno precedente, mentre ero intento a disegnare la villa, mi meravigliò l'espressione sul mio volto, un misto tra concentrazione e soddisfazione; per una sola volta, ero convinto di essere rimasto bene in una fotografia. La vidi posare la foto nella nuvola, un po' distaccata dalle altre, come a significare l'inizio di un nuovo capitolo, ma anche il termine di un altro e non sapevo se esserne felice o triste, ero troppo confuso. Tornai in casa prima che Lisa potesse accorgermi che la avevo seguita e feci finta di aver passato il tempo a preparare la colazione: “Per fortuna sono abbastanza veloce come cuoco†mi dissi. Lisa rientrò in casa e non le chiesi dove fosse stata, anzi, cercai di evitare il discorso parlandole del programma della giornata. Il luogo che oramai avevo identificato come una pineta che si estendeva tra alcuni piccoli comuni della vallata era all'incirca a un'ora e mezza di macchina, ma eravamo sprovvisti di qualsiasi mezzo. Rimaneva una sola folle idea, prendere le due biciclette che avevo nel magazzino e raggiungere la costa. “Lisa ho un'idea abbastanza precisa del luogo in cui sia situata la villa della mia visione, ma non abbiamo un mezzo per raggiungerla. L'unica idea che mi viene è sfruttare le due bici che ho in magazzino, ma passeremo comunque tutta la giornata nel percorso...â€â€œForse – mi rispose – ho una soluzione in mente... hai un paio di stivali?â€â€œCosa vorresti fare?â€â€œUn piccolo incantesimo, abbi fede.â€Volendo risparmiarmi una giornata passata su di un sellino di una bici, andai in camera e portai giù un paio di vecchi stivali.“Perfetto, prendi tutto quello che pensi ci sarà utile in cinque minuti e mettilo in una sacca.â€Corsi su e giù per la casa come un forsennato con in mano una sacca, lanciando dentro tutto quello che poteva avere una minima utilità e mi precipitai nel soggiorno sperando di non essermi scordato nulla. Trovai Lisa china sui miei stivali intenta a ricoprirli da una polverina luccicante, ma non ebbi il tempo di commentare che disse:“Ecco, ho finito!â€â€œHai finito di fare cosa?†Le risposi, oramai ero troppo curioso!Notai che anche lei si era cambiata le scarpe e indossava un paio di stivali che sembravano ricoperti dello stesso materiale. “Intanto passami quella sacca, così le faccio un incantesimo, mi sembra pesante, scomoda e piena; abbiamo bisogno sempre di spazio disponibile, ricordatelo.â€Ripensai alle foto contenute nel braccialetto e mi ripromisi di farmi insegnare l'incantesimo prima o poi.“A cosa ci servono gli stivali?â€â€œMa non è ovvio? Credevo lo avessi capito! Ora hai un paio di Stivali delle Sette Leghe!â€â€œCosa!? - risposi – Esistono realmente? Beh, voglio dire, se ne ho un paio davanti a me immagino di si, devo dire che nel vostro mondo ci sono delle cose fantastiche!â€â€œBene – mi spiegò – indossali poi usciamo in cortile, devi indicarmi la direzione verso cui dobbiamo andare; poi batti tre volte i talloni. A quel punto la magia compierà il resto.â€Tirai fuori la bussola che avevo nella sacca (che ora era diventata stranamente leggera e capiente) e indicai Sud-Ovest.“La direzione è questa! Da qui raggiungeremo le Alpi, da lì avremo una buona vista sulla costa e potremo orientarci meglio.â€Mi girai verso la giusta direzione e stavo per far battere i talloni, quando Lisa mi prese per mano e partimmo per la strana meta. 4- Un nuovo inizioAvevamo raggiunto le colline...“Quella laggiù è Sanremo, e qui ci sono i paesini di Arma, quello lì sulla costa è S. Stefano, dove abito mentre noi ci troviamo tra le colline di Terzorio. Ora, la casa dovrebbe trovarsi qui in cima, su questa collina a forma di Sella, ma io non vedo nulla.â€â€œNon è importante, Samu, qui mi so orientare anche io.â€â€œCom'è possibile? Non sei mai stata quiâ€â€œCi sono stata molte volte in sogno! Qui avevano una casa i miei genitori! Devi sapere che solo mia madre era originaria del mio mondo, mio papà era nato e vissuto qui. Tempo fa trovai delle loro lettere di quando erano ragazzi e ho compreso molto di quesot mondo; molto spesso, oltretutto, mi è capitato spesso di ritrovarmi a sognare il momento in cui i miei genitori con me hanno abbandonato questa casa per attraversare un portale... la tua visione proveniva dal mio sogno. Samu in questi giorni ho compreso il tuo potere di mago, ma non voglio rivelartelo... dovrai essere tu a scoprirlo da solo, così da scoprire anche te stesso.â€Sogno... sogno... ero certo che l'aver visto nel suo sogno fosse un tassello importante del puzzle.“Eccolo – esclamò Lisa – guarda qui!â€Mi porse un paio di occhiali e vi guardai attraverso.La villa era lì. Esisteva. E se la villa era lì, da quello che avevo fin'ora compreso della magia, era anche possibile riaprire il portale che i genitori di Lisa avevano usato, tanti anni prima, per passare nell'altro mondo.Lisa si destreggiò con qualche formula complicata e poi riuscì ad aprire un varco nella barriera magica ed entrammo nel giardino della villa, stavo per chiedere a Lisa se volesse già ricercare il portale, non ne ebbi occasione: “So dove si trova il portale, ma lo voglio aprire questa sera... ti va di esplorare la villa? Sono certa che i miei genitori abbiano lasciato qui molte cose legate alla loro gioventù e alla mia infanzia... Il Conte li ha catturati poco dopo la mia nascita e non li ho mai conosciuti. Forse qui potrò trovare qualcosa che appartenesse a loro.†Passammo così tutto il giorno, alla ricerca di ninnoli, fotografie, lettere, scarabocchi su libri, qualsiasi cosa che potesse avere importanza per Lisa e ammucchiammo tutto sul tavolo nel soggiorno.Il sole stava quasi calando, per cui decidemmo di fermarci e ritornati nella stanza vidi nuovamente Lisa armeggiare con il bracciale e trasferire tutto quello che aveva trovato nella nuvola magica. Questa volta, analizzando meglio, vidi che erano comparse altre mie foto, una mi raffigurava nascosto dietro ad un nocciolo “Beccato...†pensai, ma la maggior parte ci raffiguravano entrambi! Ne guardai una e la scelsi come preferita: ci raffigurava mentre ci tenevamo per mano e viaggiavamo con gli Stivali delle Sette Leghe. Eravamo felici, mentre ora riuscivo solamente a pensare a quello che sarebbe successo.Uscimmo fuori nel bosco dietro la casa.“Il crepuscolo, il mio momento preferito della giornata – disse Lisa – nel mio sogno l'unica visione che ho di questo mondo è il panorama che si gode da qui: la costa e le luci scintillanti delle abitazioni. L'unico ricordo che ho di una famiglia che non ha mai avuto occasione di essere unita per colpa del fato.â€â€œLisa, stavo ripensando a tutto quello che ci è capitato... mentre ho assistito allo scontro fra te e il Conte lui ha enunciato una profezia, […]Uno giunge dal mondo sopito potere di sogno non svanito. […]parla di me vero? Il mio potere è la forza dei sogni, della speranza!â€â€œSi, quindi, ti prego... non voglio obbligarti a fare qualcosa che non vuoi fare, ma ti prego di scegliere me! Vieni con me, accompagnami nel mio viaggio, sei ciò di cui ho più bisogno: la Speranza†Iniziò a piangere: “Ma prima che tu scelga, voglio affidarti questo bracciale, lo ho fatto io e lo ho permeato della stessa magia del mio... non volevo sembrare invadente, ma non sapendo quale scelta avresti fatto ho deciso di metterci sia immagini fatte in questi giorni, sia immagini che ho ripescato nella tua memoria mentre dormivi... non volevo che ti scordassi di una parte della tua vita, qualunque cosa tu avessi scelto.â€Accettai con gioia il regalo e le dissi: “Hai fatti una magia vero? Mentre oggi mi preparavo, l'ho vista sulla porta della casa, appena i miei genitori domattina torneranno qui se io avrò scelto di seguirti si scorderanno di me?â€â€œNon funziona proprio così – mi disse trattenendo le lacrime – nel caso decidessi di tornare indietro tornerebbe loro la memoria, l'ho fatto solo per non farli soffrire nel caso volessi venire con me.â€Si zittì, fece alcuni gesti e aprì il portale: “Ho fatto alcune ricerche questa mattina, il portale creato dal Conte ha distaccato momentaneamente i due mondi causando uno sbalzo temporale, tornando di là rischieremo che lui sia diventato oramai invincibile, dovevi saperlo, se verrai, rischieresti di morire.â€Si avvicinò e mi tese la mano. Io strinsi la presa, mi avvicinai a lei, la abbracciai e la baciai: “Rischierei la vita solo per la persona che amo e io ti amo Lisa.â€â€œLo soâ€E quindi eccoci qui, insieme a salutare un mondo che era, è e sarà sempre una parte di noi, del nostro passato e del nostro futuro. Pronti ad attraversare il portale.“Il fato ti avrà impedito di avere una famiglia, ma ora il destino ci ha permesso di stare insieme per l'eternità .â€Cosa il destino avrà in serbo per noi non lo so ancora, ma questa è la mia storia e non la cambierei per nulla al mondo, perché è ciò che mi rende unico, che mi rende me stesso.E proprio con questi ultimi pensieri, abbracciati, tenendoci per mano, attraversammo il portale e spero proprio che Lisa abbia fatto uno scatto magico anche di questo momento, l'inizio di una nuova vita, di una nuova storia insieme. Spero che il brano vi sia piaciuto e di essere riuscito a trasmettervi le stesse emozioni che ho provato io nell'immaginare la storia tra Lisa e Samuele.Se lo leggete, gradirei poi che (magari tramite messaggio privato) mi inviaste qualche commento.Se la trama vi ha incuriosito chiedetemi pure, la storia di Samuele e Lisa è molto più lunga e nonostante non la abbia scritta tutta spero di averla già abbastanza in mente da potervi rispondere.Grazie a tutti voi lettori Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
jaja Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell’autore: jajaTitolo: Rivoluzione degli oppressiElaborato:<<Giustiziatelo!>>"Eccolo lì. Quel tiranno che si fa chiamare "Re" che ha appena ordinato di giustiziare mio fratello solo perché nostro padre era un mago." Pensai in quel triste momento con le lacrime agli occhi. Mi incamminai per la strada di casa anticipatamente per non assistere a quella scena agghiacciante. "Tanto prima o poi verranno a cercare anche me, e finalmente mi ricongiungerò con mio fratello." Mentre pensavo, nella strada intorno a me non c'era nessuno: erano tutti in piazza ad assistere al massacro del giorno. D'un tratto si fece tutto buio: qualcuno aveva infilato la mia testa in un sacco. Quando mi resi conto di ciò che stava accadendo cominciai a tirare calci e pugni a destra e a manca, ma solo un pugno andò a segno. D'improvviso sentii una fitta dietro la testa e caddi a terra svenuta.Quando mi svegliai mi ritrovai in una stanza legata ad una sedia. Davanti a me c'erano due uomini che sussurravano qualcosa, quando si resero conto che avevo ripreso i sensi si voltarono verso di me smettendo di parlare.<<Voi chi siete?>> La mia domanda scontata ricevette una risposta inaspettata:<<Siamo rivoluzionari, vogliamo eliminare la pena capitale.>><<E cosa volete da me?>><<Sappiamo che hai perso i tuoi cari a causa del patibolo, inoltre le tue abilità potrebbero aiutarci a raggiungere il nostro scopo.>><<Abilità ? Di cosa state parlando?>>I due si guardarono per un secondo e uscirono dalla stanza. Dopo pochi minuti tornarono in compagnia di un uomo pelato con delle cicatrici sulla testa che mi liberò e disse:<<Io mi chiamo Ivan, e lei è Nixa.>> aggiunse indicando la fenice sulla sua spalla.<<Tu sei Beatrice, figlia di Fabian, il mago del fuoco.>><<Come fai a saperlo?>><<Ti conosco da quando eri piccolissima, non puoi ricordare. Ero molto amico di tuo padre, ma era più forte di me nei combattimenti di magia...>> Detto questo volse il palmo della mano verso il soffito e creò delle piccole lance di ghiaccio che scagliò contro di me. In preda al panico feci ciò che mi disse l'istinto: sollevai velocemente il braccio, come per proteggermi la faccia. Il ghiaccio non mi sfiorò neanche e spostando il braccio vidi qualcosa che mi lasciò stupefatta: era uno scudo di fuoco.<<Che cosa ho fatto?!?!>><<Hai creato uno scudo di fuoco con la magia.>><<Quindi sono una maga... Lo era anche mio fratello?>><<No, lui era una persona comune.>><<Capisco... Allora, a quanto ho capito voi rivoluzionari volete abolire la pena capitale, giusto?>><<Si, esatto.>><<Immagino che ci sia un motivo se mi avete portata qui...>><<Abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile, anche del tuo. Se accetti di aiutarci ti insegneremo a usare la magia.>>Finsi di pensarci su per qualche secondo, ma in realtà sapevo già cosa avrei risposto.<<Bene... Quando si comincia?>>Nel giro di pochi mesi imparai a usare la magia tanto da entrare nella lista dei migliori maghi dell'armata rivoluzionaria. C'erano diversi tipi di maghi: i più comuni erano specialisti dei quattro elementi principali, ovvero acqua, terra, fuoco, e aria. Più rari erano i maghi nati dall'unione di due elementi: ghiaccio, nato da acqua e aria; magma, unione di terra e fuoco; fulmine, figlio di fuoco e aria; vegetazione, generato da acqua e terra. Quello che facevamo era creare scompiglio nelle piazze pubbliche e liberare i condannati a morte, persone comuni o maghi, non c'era nessuna differenza. La mia specialità era incendiare il patibolo, e mentre erano tutti impegnati a spegnere le fiamme altri rivoluzionari mischiati tra la folla liberavano i prigionieri per poi fuggire. Non passò molto che il tiranno si rese conto di ciò che stava accadendo e rafforzò le difese durante le esecuzioni, era arrivato il momento della grande rivolta.Un giorno Ivan mi sfidò in un combattimento di magia per verificare i miei progressi. Lui attaccò per primo con una scarica diretta di lance di ghiaccio che schivai con un movimento veloce. Ivan probabilmente si rese conto che la mia velocità era superiore a quella dei suoi attacchi e, mentre ero ancora in aria per aver schivato il precedente attacco, scagliò delle lance in tutte le direzioni, non mi aspettavo un attacco del genere e mi avvolsi in una sfera di fuoco. Inevitabilmente uno dei colpi mi ferì ma, con grande sorpresa del mio maestro, ho compresso il fuoco che mi avvolgeva in una piccola sfera che scagliai contro Ivan ed esplose appena lo sfiorò.<<Oops... Forse ho esagerato...>> dissi sperando che Ivan stesse bene.<<Tranquilla, è tutto a posto...>> disse tossendo a causa del fumo dell'esplosione.<<Ammetto di essere stato sconfitto. Ora sei pronta per prendere parte alla grande rivolta contro il tiranno. In più, da oggi Nixa sarà la tua compagna. In fondo era di tuo padre adesso è giusto che stia con te.>> <<Per quando è prevista la battaglia?>><<Partiremo tra due giorni, è meglio raccogliere delle provviste per il viaggio. Mi sembra di ricordare che sei una brava pescatrice... Va' al fiume e prendi più pesci che puoi.>> disse porgendomi una scatola di esche.<<Vado immediatamente.>><<Non avere fretta...Prima fatti vedere da un medico.>> disse indicando la ferita che mi ero procurata durante la battaglia.<<Ah... hai ragione...>> dissi poggiando una mano sul braccio sanguinante.Nei due giorni successivi l'intera armata rivoluzionaria si preparò per il viaggio. Poco prima di partire, Ivan tenne un discorso per motivare l'esercito:<<È arrivato il momento che tutti aspettavamo! Fra pochi giorni porremo la parola fine alla strage di innocenti! La faremo pagare cara a quel tiranno che si diverte a giustiziare, non solo i maghi, ma, per futili motivi, anche persone innocenti!>> In risposta a questo discorso tra i presenti si levarono urla di gioia: l'esercito era pronto e motivato a combattere! Prima di arrivare a destinazione ci spostammo in silenzio fra i boschi per quattro giorni. Arrivammo al palazzo reale dove l'armata imperiale aspettava il nostro arrivo, ma sapevano di non avere speranze contro un esercito composto per la maggior parte da maghi. Io, Ivan e qualche altro prescelto restammo nascosti mentre il resto dell'esercito si gettò nella battaglia. Il nostro gruppetto scivolò all'interno del palazzo per cercare il tiranno. Durante l'avanzata verso la sala del trono a poco a poco tutti i membri del gruppo, ad eccezione di me ed Ivan, rimasero indietro per coprirci le spalle. Arrivati nell'enorme stanza il tiranno era lì ad aspettarci, ma non era solo: insieme a lui c'erano diversi maghi che in passato avevano seminato il panico tra la popolazione.<<Allora non li hai uccisi tutti... cosa gli hai fatto?>> disse Ivan, infuriato come non lo avevo mai visto prima.<<Al mio servizio ci sono i migliori alchimisti del regno... hanno preparato una pozione per cancellare la memoria e... ecco qua il mio esercito personale di maghi!>> disse concludendo con una sonora risata malvagia.A questa affermazione Ivan scattò in avanti scagliando lance di ghiaccio in direzione dei maghi nemici: pochi furono colpiti, ma quelli che scansarono l'attacco ebbero un assaggio delle mie sfere esplosive. Nove maghi resistettero al nostro attacco combinato e passarono al contrattacco: all'improvviso una pioggia di fulmini scese dal cielo sfondando il soffitto, Ivan fu colpito in pieno.<<IVAN!!!>>Il mio maestro era ferito, ma non potevo smettere di combattere. Ero arrabbiata a tal punto che esplosi. Letteralmente. Dal mio corpo uscirono delle fiammate potentissime che invasero la sala nel giro di pochi secondi. A questo punto solo un mago rimase in piedi, malconcio ma in piedi. Mi scagliai contro di lui avvolta dalle fiamme e lui fece lo stesso ma al posto delle fiamme aveva dei fulmini. Era stato lui a colpire Ivan. I pugni si scontrarono a mezz'aria e produssero un'esplosione. Entrambi eravamo a terra, con un'unica differenza: lui era svenuto e io no. Mi alzai, mi avvicinai ad Ivan e dissi:<<Stai bene?>>Non ricevetti risposta. Le lacrime cominciarono a rigate il mio volto e, singhiozzando, ritentai:<<Ivan non fare scherzi... rispondimi...>>Nulla. Presi coscienza di ciò che era accaduto e mi feci coraggio: dovevo finire quello che Ivan aveva iniziato. Mi asciugai le lacrime e mi avvicinai al trono, dietro il quale si nascondeva quel codardo del "Re". Appena si accorse che mi stavo avvicinando urlò:<<Ti prego non uccidermi!>><<Non lo farò. Non mi abbasserò al tuo livello. E poi sto combattendo per il diritto alla vita, sarebbe una contraddizione ucciderti.>>Detto questo presi il suo braccio e lo trascinai al di fuori del palazzo dove mostrai a tutti i presenti il re codardo ormai sconfitto. Tutti i presenti levarono un urlo di gioia, persino gli uomini dell'armata imperiale. In seguito portai il tiranno nelle segrete del palazzo.<<Qui passerai il resto dei tuoi giorni.>> dissi mentre lo chiudevo in una cella.Stavo tornando nel cortile, quando mi venne in mente una cosa:"Ma dov'è Nixa?"Corsi verso la sala del trono ed era lì, accanto ad Ivan. Mi avvicinai e notai un particolare alquanto bizzarro: Nixa stava piangendo.Pensai che probabilmente lo faceva perché aveva passato molto tempo con lui e quindi si era affezionata. Ma un sussurro interruppe i miei pensieri:<<...Li hai spazzati via tutti...sono fiero di te...>>Mi voltai e non credetti ai miei occhi: Ivan era vivo!<<Ma...non capisco com'è possibile?! Tu eri...>><<Morto? Si lo ero...ma Nixa mi ha riportato in vita. Le fenici sono creature immortali con poteri curativi, infatti le loro lacrime rigenerano le ferite.>>Ero felice. Ivan era vivo e il re era stato spodestato... Poteva andare meglio di così?Poco dopo lo stesso Ivan divenne il nuovo Re e per il regno cominciò una nuova era di pace e prosperità . ho scritto questo testo ispirandomi al 30 Novembre giornata mondiale contro la pena di morte per inserire un tema di attualità in un testo fantasy (ci ho messo un pò di Harry potter ma shhh ) . non avevo mai scritto qualcosa del genere e confesso che mentre scrivevo ero molto emozionata. sono sicura che ci saranno un sacco di errori ma vabbè... l'importante è partecipare spero vi piaccia! Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
yohohoho Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell'autore: ChubeTitolo: RevolutionElaborato:<<- Signorina, lei quindi cosa vorrebbe fare in un prossimo futuro?- Il futuro non mi riguarda. Io sono solo una ragazza proveniente da una famiglia che da oramai moltissime generazioni si occupa della sartoria, mentre io non me la cavo affatto bene con ago e filo. Certo, avrei un lavoro assicurato, ma non mi interessa. Non è la mia vocazione. - E come fa ad esserne così sicura?- Se le potessi mostrare cosa sono in grado di fare con arco e frecce capirebbe al volo. - Le ricordo sempre che siamo in sede di esame, mantenga un tono colloquiale.- Mi scusi, non era mia intenzione.- Torniamo al vero motivo per cui siamo qui. Ha fatto uno scritto particolare. - Lo penso anche io, il mio scopo era proprio quello di sorprende, o meglio, sconvolgere il lettore.- Si aspetta che lo legga?- No, anzi, sarebbe alquanto imbarazzante.- Questo genere di esame sono stati creati per mettere alla prova l'intelletto e la tenuta psicologica, quindi, perché no. "Un fiocco di neve cadde delicatamente sulla mia guancia rosea e gelida, mentre un ragazzo con le orecchie puntute mi fissava anche nel più piccolo movimento. Arrivò e ci misi piede, giurando che quella fosse l'ultima volta. Quel carro trasandato era sempre stato un incubo e lo sarà sempre. Se non fosse per lui, sarei dovuta andare alla miniera a piedi, o forse non ci sarei proprio. Ma chi prendo in giro. Latipac non è altro che il centro di un potere oscuro a tutti, alla povera gente ignara di tutto questo. Come sempre, scesi dal carro e assaporai il delicatissimo odore delle margherite. Frase che direbbe mia sorella. Il mondo gira così, ovviamente. Lei va a cucire, io a picconare. Indossai il casco di sicurezza e la mascherina usurata, come servisse realmente qualcosa. Ogni istante che trascorrevo in quelle gallerie la vita diventava sempre più offuscata, così come la mia visione del futuro.L'unica mia via d'uscita era la caccia. Non mi importava qual'era il tempo, cosa avevo da fare, no, non mi interessava. La sola cosa che mi congiungeva con lei. Anche se le emozioni che provavo erano sempre le medesime, non mi importava. Quelle emozioni erano speciali e non voglio ancora oggi dimenticarmele. " - Basta così- Cosa ne pensa? Vorrei un parere sincero.>> Un caldo raggio di luce mi giunse sugli occhi, costringendomi a girarmi sull'altro fianco per evitare la fastidiosa luce dell'aurora. Poco dopo però mia madre aprii le vecchie tende polverose, con l'intento di farmi alzare dal letto e lasciare quel delizioso giaciglio.Diedi un paio di morsi ad una pagnotta alle castagne, dopo di che presi il mio zaino e mi diressi alla miniera. Era una giornata abbastanza calda per essere alle porte dell'inverno. Questo mi intrise un po' di tristezza dentro. Nonostante gli ulteriori sforzi e problemi che la neve causava ogni anno, come se non bastassero quelli di ciascun giorno, io l'amavo. Quell'atmosfera, quei fiocchi, quella sensazione che si prova quando si torna a casa e corri davanti al camino scoppiettante, i sorrisi di gioia dei bambini sui loro volti ancora non sciupati dalla misera vita che conduciamo noi tutti.Quando giunsi davanti all'entrata mi consegnarono un nuovo piccone, mentre io consegnai quello che ormai era durato troppo tempo. Alla fine, mi ci ero affezionato.- Fattelo bastare. - Aggiunse l'uomo dal sapore rozzo e trasandato.Non solo feci un'espressione disgustata per il magnifico profumo che egli emanava insieme all'alito, ma annuii e sorrisi, quasi per prenderlo in giro e mostrarmi felice e spensierato, fiero del mio lavoro. Quando tornai a casa, non ci fu nessuno a salutarmi, il che era molto strano. Posai lo zaino, uscii nuovamente e corsi, come non mai.Giunsi al Borgo quanti vidi Margaret e Jane con in braccio un senzatetto gravemente ferito. Non mi faci troppe domande per capire che dovevo recarmi nella piazza. La folle era radunata e disposta in file, con gli occhi terrorizzati puntati su due figure alte e snelle ma allo stesso tempo robuste, vestite da una divisa di tonalità grigio scuro con strisce rosse come il sangue che fecero versare alle decine di persone che avevano umiliato e usato per mostrare il suo potere. Ma non il loro, quello di Latipac. - Ebbene, eccola qui. - Disse il Presidente Wons.- Eccomi qua. Non sono qui per parlare di argomenti leggeri, ma per insegnarle cosa vogliano dire i termine Giustizia, Equilibrio, Povertà , Dolore, Sofferenza. - Continui.- Queste parole hanno molto in comune, Povertà , dolore e sofferenza. Ecco cosa è e cosa provano gli abitanti dei Quadranti ogni giorno. Giustizia ed equilibrio? Magari. - A cosa vuole giungere?- Io sono un mercenario. So cosa vuole il popolo, sono a conoscenza di quello che prova, non solo perché ne faccio parte, ma perché ho un cuore e lo vedo purtroppo con i miei occhi.Chi vuole prendere in giro? Mandare i suoi sicari non servirà a niente, se non a instaurare nuove ribellioni. E lei sa cosa divengono le semplice rivolte.Rivoluzione. Non è il nostro traguardo, ma solo il nostro mezzo. Apra gli occhi, prima che sia troppo tardi. - Dove mi trovo? - chiesi- Sei nel cuore di Latipac. - Rispose. Era un uomo con la stessa divisa degli altri due, caratterizzato da uno sguardo freddo come il ghiaccio e una frusta. Era in grado di uccidermi sicuramente, anche per il fatto che mi trovavo in una situazione di salute alquanto grave. Profonde ferite e lesioni su tutto il corpo. Devono avermi preso dopo il discorso che feci a Wons. Il lato positivo, è che dimostrava che avevo assolutamente ragione. Ogni giorno le vittime nei Quadranti aumentavano, così come il popolo con la voglia di stravolgere il mondo e di liberarsi dalle catene che imprigionavano la libertà . - Devo andarmene. - Aggiunsi- Non sono fatti che mi riguardano. Mi hanno dato l'ordine di sorvegliarla e proteggerla.- Interessante, ma tra quanto potrò lasciare questo paradiso?- Non se ne accorgerà neanche, si fidi. Un altro vuoto di memoria. Ricordavo solamente quel dialogo con la guardia, niente di più dopo il mio risveglio. Sorvegliare e proteggermi. Questo era suo compito. Perché? Perché non uccidermi, senza lasciare tracce?Poco dopo giunsi alla conclusione che se facevano in tale modo, gli occhi del popolo sarebbero diventati maggiormente limpidi e cristallini, vedendo come soluzione la rivoluzione. In fondo, tutta Latipac sapeva dell'incontro fra me e il presidente. Mi risvegliai nuovamente senza sapere cosa mi era successo. Ero però a casa, sul mio letto, con, come al solito, una pagnotta di Pane del Borgo alla castagne. Scesi al piano di sotto e capii che non solo avevo accesso la miccia della rivoluzione, ma che dopo decine di secoli si poteva nuovamente respirare un vento di libertà e apprezzare ogni singolo giorno come se fosse l'ultimo. Piccola spiegazione: da come si può facilmente notare, ho scritto un testo particolare. Nella prima parte, fino al termine del tema scritto dalla ragazza, nonché sorella del protagonista della vera storia, è un sogno di tale personaggio ambientato in un mondo normale durante la Maturità di sua sorella minore. Nel suo tema la storia ha come protagonista sé stessa in un mondo alternativo, che sarà alla fine il vero mondo, non frutto dell'immaginazione, nel quale il personaggio principale è il fratello, che narra i fatti in passato accaduti al proprio nipote. Spero che vi piaccia, buona fortuna a tutti i partecipanti @Darki♥ Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
Monochromatic Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell’autore: MonochromaticTitolo: Strano ed importante.Elaborato:Introduzione -Il pensiero Vittoriosa, questo il mio nome, seppur avrei detto tutt'altro. Io so di essere una persona pigra, me ne rendo conto, ma il viaggio che mi vidi venire contro mosse il mio animo irrequito e giunsi ad importanti conclusioni che continuano a ronzare nella mia testa ancora adesso, una delle quali, ve la voglio anticipare, è che per quanto si cerchi di allontanarsi da qualcosa si giungerà sempre invitabilmente ad essa, ma non tutte queste cose sembrano portarsi dietro conseguenze nefaste nel proprio bagaglio... Racconto -Il viaggio Caposaldo dell’irrequietezza dell’animo mio non erano né quei ragni che tanto mi facevano agitare, né i bambolotti di cui tutti i bambini gioivano, ma quella sottospecie di cosa, quella donna barbuta così tarchiata da esser scambiata per il più brutto dei nani nel peggior gioco online. Quella donna, che di donna poco aveva, emanava sospirando e bestemmiando una calma glaciale che, seppur sembrava strano, nonostante calmasse tutto attorno a lei, forse per paura di ritorsioni della stessa che, diciamocelo, faceva spavento, non faceva altro che acquietare la mia calma interiore, facendo venir fuori quell’agitazione che rovinava in tutto e per tutto l’armonia creatasi all’interno di quella mia contorta mente, provocando così l’effetto contrario a quello che ardentemente desideravo: serenità .Mentre camminavo affiancata a quel mostriciattolo (e guai se me lo fossi fatto scappare difronte a lei), giocherellavo con l’elsa della spada da me forgiata. Ne andavo particolarmente fiera, al contrario della vecchia orsa che, essendo oramai una Mastra fabbro, notava ogni volta nuove imperfezioni, rinfacciandomele, oltretutto, con tono beffardo mentre si arricciava con una mano quei suoi baffi Chevron davvero orrendi e con l’altra si toccava la barba.Durante il tragitto per andare a scuola, sul mio fidato 23, ne avevo viste di tutti i colori. Rema era una città strana, ogni suo quartiere aveva il suo tizio o luogo strambo ed io, che ogni mattina salivo su quell’autobus talmente scassato che, sospettavo, avesse come minimo trent’anni, conoscevo la maggior parte delle storie su di loro: partivo da Stendardo, sede della casa del misterioso contadino assassino, poi arrivavo al Centro Vai che, per chi non lo sapesse, sta per Video&Ignoranza, successivamente Petra Rosa, dove era possibile visitare la bellezza di due fornaci abbandonate, Cavernarosa ed il suo albero anti-fulmini stregato e così via, ma mai e poi mi ero mai sognata di trovarmi davanti un essere dal senso estetico talmente ridotto da risultare persino peggio dei conduttori dei programmi per casalinghe disperate su TrueTime.- Aoh, posso sapé che stai a pensà ? Dico io, nun solo nun sa fa spade ed oggettini che pure mi nipote de tre anni, ma ora te metti pure a perde tempo? “Giusto, tarchiata, baffuta e con la voce delicata di uno scaricatore di porto, ah, la vita, che cosa meravigliosa. Ma dico io, perché a me ‘sto mostro?†mi dissi tra me e me nel lasso di tempo in cui quella aprì bocca… “Oh, le servirebbe pure una mentina….â€- Yolanda cara, a te cos’interessa?- M’interessa sì, perché mentre tu pensi io faccio tutta la faticaccia de portamme ‘sto pelandrone de Niomòs e guarda un po’, eh.Trascinato dalla barbuta era, come detto da lei, Niomòs. Se andavo lamentandomi del fatto che viaggiavo con quello scherzo della natura, non potevo fare a meno di lagnarmi ancora di più, perché con noi viaggiava il grande e potente Dio dei Sogni.Grande e potente, ma più lo si guardava e più si rideva. Quel tipo era il motivo per cui gironzolavo con la donna fabbro, ma nessuno avrebbe mai pensato che il sg. Coso invincibile e quant’altro fosse in realtà più fragile di un castello di carte. Ovviamente, si pensa, un tale svantaggio deve essere per forza compensato da qualità fuori dal comune.“Ma dove?†era l’unico pensiero che mi ronzava nella zucca. Quel tipo lì, infatti, era un dio grande e potente (e ci terrei a specificare che è lo stesso che vuole farsi chiamare così, non perché a me vada, fossi matta) solamente di nome, poi di fatto era un adulto avente la resistenza di un bambino di due anni e il buon senso di un sasso rotto, ma in fondo a me stava bene così, dopo l’orsa figurarsi se una sfigata quale la sottoscritta poteva sperare in un qualcosa di decente.- Oh, ma sei scema? Ce stai o te serve Amplifon?- No, no, ci sono, è che ripensavo all’osceno addormentato là per terra.- Eh, vedi de fantasticà un po’ de meno, co quelle braccine te la scampi a trascinà st’imbecille, ma poi non voglio sentì ragioni, appena troviamo un posto per accamparci fai tutto tu.Annuii di malavoglia e riprendemmo a camminare tra gli alberi della foresta, in cerca di un riparo per la notte.Alla fin fine camminare con quei due non mi recava poi così fastidio, ma dovevo ammettere che se c’era un qualcosa (in realtà ce ne erano molti di qualcosa, ma dettagli) che non sopportavo di Yolanda e Niomòs era il farsi beffe di me, prendendomi in giro per la statura, ticchettandomi sugli occhiali con il nasello perennemente storto, arruffandomi i capelli che già avevo arruffati di mio, i quali, dopo che loro ci passavano le mani sopra, sembravano tanto, sia per colore che per forma, un nido di rametti.“Santa me, solo io posso beffarmi della gente, che diamine!†era l’esclamazione che rimbombava nella mia testa ad ogni passo in quella foresta di alberi azzurri, anche se, prima o poi, il rimbombare al suo interno sarebbe stato dovuto ad altri problemi. SDANG! SDANG! SDANG! PFSWISH! SDANG! SDANG! SDANG!Battevo l’acciaio di quella che sarebbe divenuta la mia spada con moderata energia, immergendola ogni tanto nell’acqua ghiacciata per temprarla. All’interno della lama, come mi era stato insegnato all’Accademia dei “Giusti Paladini Perfettiniâ€, avevo posto un’anima di cristallo che io stessa avevo recuperato nel corso di uno degli esami finali.La spada era l’ultimo scoglio da superare, poi potevo dirmi Paladina a tutti gli effetti, più o meno. Non ero mai stata granché propensa ad entrare nell’Accademia, la mia pigrizia, la mia sana e genuina amica, mi imponeva di rimanere ancorata con tutte le mie forze al divano di casa. Fin qui nulla da obbiettare, difatti il problema aveva iniziato a porsi quando quel marrano del mio nuovo vicino di casa aveva iniziato a vedere programmi presentati da demoni-strappa-budella quali Filippo di Mario o Carolina Conte, ad alto volume per giunta: allora sì, avevo scelto di andarmene per conservare quelle briciole di sanità mentale che mi rimanevano, oltre al fatto che da un po’, mi faceva strano pensarci, avevo iniziato a coltivare un desiderio che il più delle volte mi portava a provare a fare delle buone azioni, anche se di rado riuscivano nel complesso. La cosa triste, però, era il fatto che l’Accademia era totalmente diversa dall’idea che avevo stampata nella testolina.Ecco quindi che, oltre alla pigrizia, il motivo per cui non amavo l’Accademia era perché non ero mai stata perfettamente allineata con la sua politica: la stabilità all’interno delle sue mura andava diffusa all’esterno, ma quella stabilità , che piano stava insinuandosi anche nella società , non mi piaceva. Ricordava una di quelle pazze utopie che poi, guarda un po’, si rivelavano le peggiori distopie mai concepite. La calma da loro voluta, oltre a rasentare la calma di un corpo morto, andava contrapponendosi con i miei mille dubbi, rendendomi un po’ un’imbucata ad una festa ultra chic.L’unica cosa che mi piaceva di quel posto era l’avere una vasta gamma di percorsi per divenire Paladini. Nel mio caso, essendo un po’ un’amante di queste per via di videogiochi e manifestazioni, avevo scelto la via iper-classica, ovvero mi ero gettata sulle armi bianche, sognando di entrare nella Compagnia del Sole, Paladini avventurieri che ricercavano i cristalli più splendenti da usare per forgiare armi.- VITTORIOSA! – il vocione arrabbiato del Mastro Fabbro tuonava in tutta la fucina – Pensa meno e metti più energia nei colpi, non vorrai che quella sottospecie di spada si spezzi prima del dovuto, no? VITTORIOSA! - VITTORIOSA!- Uh..? …! Sì, Mastro, ecco la spada! – mi alzai di scatto porgendo un… - Cuscino?- Ma guarda un po’ tu la miseriaccia. Pelandrona che non sei altro, la colazione è pronta. Muoviti a magnà che poi se dovemo move, eh?Guardai Yolanda con un’espressione interrogativa-di norma quella di sempre, ma non potevo essere biasimata più di tanto, siamo sinceri-, poi, aggiustandomi delicatamente gli occhiali, le chiesi: - Muoversi? No, no. Ti sembra che io sia tipa che si alza e poi fa tutto di fretta? – sbadigliai – Guardami, già è tanto che mi reggo in piedi, suppongo tu non abbia idea di come potrei diventare se non rispettassi i miei tem…- Oh, io so solo che ti piglio a calci nel sedere se non ti muovi!- Ho almeno il tempo per prepararmi? Devo farmi la doccia, poi mi devo lavare i denti, pettinarmi, i vestiti puliti e…- Ma dove sta ‘sta doccia? Lì ce sta ‘n fiume, se lo voi vabbé, sennò aspetti che troviamo n’osteria.- Ma sei impazzita? Io non poss…- MOVITE!- Va bene, va bene, c’è il fiume…Ci eravamo accampati in uno di quei giganteschi alberi cavi azzurri ed io, che seppur pigra non riuscivo quasi mai a dormire perfettamente, ero stata costretta a passare la notte su una scomodissima radice, sentendo, per giunta, il russare misto ad imprecazioni di quell’orso di Yolanda e Niomòs che, essendo (l’inutile) Dio dei Sogni, si divertiva ad alterare i pensieri notturni della barbuta, la quale, svegliatasi, gli aveva probabilmente assestato un bel cazzotto in faccia, dato che aveva delle tumefazioni violacee sul viso.Faceva quasi pena lì, seduto su un piccolo tronchetto, davanti ad il fuoco scaturito da uno dei marchingegni che mi avevano insegnato a costruire all’Accademia. Tremante, la poco credibile divinità stava mangiando la sbobba che Yolanda aveva preparato (anzi che gli aveva dato qualcosa da mangiare), ogni tanto soffiandosi il naso perennemente gocciolante con l’altro paio di braccia.Sin da quando l’avevo conosciuto, non molto tempo fa, avevo trovato strana quella creatura: somigliava molto ad un comune umano, si differenziava solamente per quel paio di braccia in più, un piccolo paio di corna ed un piccolo paio di ali da pennuto, non spuntatogli, poiché ancora troppo giovane.“Giovane, 5000-6000 anni, ma cosa vuoi che siano per una ehm… Divinità …†pensavo scrutandolo.Niomòs, per quel che ne sapevo sugli dei, decisamente poco, visto che i santuari con quei chierici rimbambiti non mi andavano a genio, somigliava a quella che noi umani potremmo definire “ sua madreâ€: aveva i capelli corvini, in quel momento sparati in aria, l’incarnato di un rosa pallido e gli occhi di un insolito color ametista, probabilmente la cosa migliore di quel tipo, tanto somiglianti a quelle pietre che la prima volta che lo aveva visto, Yolanda aveva tirato fuori un paio di strumenti da fabbro per cavarglieli e metterli in un gioiello. “Inutile dire che tifavo per lei in quel momento†sghignazzai tra me.- Niomòs, - alzò la testa dal cibo – sai che quel livido quasi si intona con i tuoi occhi?- Ed il sangue con i tuoi, mortale. – la sua voce, come sempre, aveva un tono di scherno. Non aveva nulla di quelle note armoniose che ti aspetteresti da un dio, una fregatura bella e buona, ma poi, ripensandoci, si intonava con il suo squallore.- Ma se sono marroni.- Sì, ma il sangue prima o poi si secca, no? –- Perdincibacco, ma come si fa a fare battute così squallide? Nemmeno io arrivo al tuo livello. – la cosa che ogni tanto mi chiedevo-e che era più che lecita-era se i suoi 5000 anni corrispondessero ad i nostri 5, poiché altrimenti era arduo trovare spiegazioni alla sua caparbietà nell’essere un decerebrato – No, no, anzi, non rispondermi.- Sai, serve un’intelligenza superiore per battute sup.. – e niente, ritornando Yolanda gli lanciò una pietra coperta di muschio verdognolo. - Perché io? Perché io e non qualcun altro? Perché devo portare con me questo fardello? Non posso farcela, mi viene la tachicardia se faccio 100 m di corsa, figuriamoci una cosa del genere. – la mia era quella che volevo che fosse una categorica negazione, ma il mio interlocutore non tardò a cogliere quella stridula nota di incertezza che oramai era una costante della mia vita.- E’ innanzitutto tuo dovere di Paladina. – mi ammonì l’interlocutore, il mio vecchio maestro prima di avere la nomina di Paladina, Innutillio. Era un omone possente, con una barba rossastra e riccioluta, il naso all’insù e gli occhi neri, strano, ma molto comprensivo, sapeva come porsi con le persone – So che non è tuo desiderio fare da accompagnatrice, ma se è vero che sei una dell’Accademia, allora fallo, noi Paladini non ci tiriamo indietro di fronte a queste cose, oltretutto sai già che se porterai a termine la cosa per il giusto verso andrà tutto a tuo favore.Scossi la testa. – Ma non sono mai stata fuori dalla città se non con l’Accademia. Non posso andare, cosa diranno i mei genitori? Sono una Paladina adesso, ma non sono ancora del tutto responsabile e tu lo sai bene.- E’ già una buona cosa ammettere di non esserlo. – mi ammonì con il suo vocione. Mi mise una mano sulla spalla – Ascoltami: sai benissimo che questo non è mai stato un posto adatto a te, ti sei addirittura rifiutata di dormire qui, hai preferito svegliarti prestissimo tutte le mattine e venire con il bus, ma proprio per questa tua determinazione ho spronato il preside affinché non ti rimandasse a casa un giorno dopo l’altro.- Tante grazie, adesso mi sento anche insultata. E poi mi chiedono perché mi attacco alla cioccolata…- mi sedetti su uno sgabello e mi massaggiai le tempie, riflettendo – Credi veramente che dovrei andare? Ma mi ha visto? - Ragazza, so che puoi arrivare a destinazione, ti ho addestrato io. - si sedette accanto a me, facendo tremare il pavimento quando si appoggiò su uno sgabello – Verrei con voi se potessi, ma come puoi ben vedere l’Accademia è in subbuglio e noi mastri non possiamo assolutamente andarcene.- Noto. – sospirai, consapevole che, nonostante non mi andasse giù, Innutillio aveva ragione, dovevo andare, ero implicata nello svolgersi degli eventi. L’uomo, per quanto fosse uno dei fautori dell’idea che l’Accademia dovesse portare stabilità al di fuori di Rema, non aveva mai accennato a quello con me, perché sapeva che mi dava fastidio, ma io, che sempre me ne ero infischiata di questa sua pazienza, avevo continuato a fare come preferivo e forse, anche in quel momento, quel mio fare non sembrava poi tanto male – Maestro, prima di comunicare la mia scelta, ho delle cose da chiarire.– egli annuì col capo – Bene: so che, come già preannunciatomi, se dovessi accettare non andrò da sola e con noi ci sarà , ovviamente, Niomòs, ma so che il viaggio potrà risultare pericoloso. Se dovesse appunto presentarsi un pericolo cosa dovrei fare? Pensare a me o proteggere gli altri?- Sai già qual è la mia risposta, va avanti. Yolanda la barbuta aveva trovato una pietra con del muschio verde sopra. Era un buon segno in quanto eravamo vicini al confine della Foresta Azzurra.Avevo uno zaino pieno di cianfrusaglie sulle spalle e lo stesso la Mastra. Niomòs, essendo fisicamente fragile-e svogliato peggio di me-, portava le sue cose facendole levitare a poca distanza dal terreno consumando così le poche forze che aveva.“Sicuramente dopo sverrà per l’ennesima volta, facendosi trascinare da Yolanda, come ieri ed il giorno prima, il giorno prima ancora e così via†pensavo guardandolo di sottecchi.Camminammo tutta la giornata, finché al tramonto non arrivammo al confine della foresta: il fiume Revete.Era un immenso fiume dalle acque torbide ed in perenne agitazione, durante i temporali si potevano addirittura creare onde alte che finivano inesorabilmente per abbattere tutti i ponti che si tentava di costruire.Il problema di quei ponti, così come di tutto al di fuori della città , era che la tecnologia al di fuori dei centri urbani era pressoché inesistente, pertanto ponti, case e strade del contado stonavano fortemente se comparati con quelli di Rema o di altre città come Dilano, essendo costruiti con mezzi grezzi.Yolanda, da buona Mastra fabbro che era, stava già tirando fuori i suoi arnesi per vedere di riuscire a combinare qualcosa con dei pezzi di ferro che si era portata appresso e del legno preso dalla foresta. Era impressionante quanto si desse da fare e quanto fosse abile nel maneggiare gli strumenti del fabbro, destrezza che io ad esempio decisamente non avevo.Non avevo idea di quanti anni la barbuta avesse, ma indubbiamente non era tanto giovane: si potevano notare numerose rughe attorno agli occhi e sulla fronte, i capelli biondicci stavano pian piano perdendo colore, ma tuttavia la pelle aveva ancora un bel colorito roseo ed i suoi occhi verdognoli erano vispi.La cosa più impensabile-e che però mi veniva ogni tanto da pensare-era che Yolanda da giovane non dovesse essere una così brutta donna, levati barba e baffi.Posai lo zaino sull’erba, un miscuglio di blu e verdi, e guardai il cielo imbrunirsi. – Cosa facciamo? Sta facendo buio, non possiamo lavorare di notte. Dobbiamo trovare un posto per accamparci.- Per una volta, stranamente, mi trovo a concordare con te, mortale. – il giovane dio sbadigliò fragorosamente, quasi sovrastando per qualche secondo il rumore dello scorrere delle acque – Tempo fa, mentre vagavo da un sogno all’altro, ho sentito dire da qualche cacciatore che il confine della foresta non è un luogo esattamente sicuro.- E che te temi? C’abbiamo la guerriera qui. – tirò fuori dei marchingegni da fabbro – E date un po’ ‘na mano, che qui non s’affitta più sennò. Tu, Vittoriosa, taglia un po’ quei tronchi, tu, mammalucco, vedi se trovi du’ fiori de Genestria, per fa’ da isolante.Niomòs scosse la testa, deciso. – Io non vado da solo a cercare dei cosi che nemmeno so che sono. O qualcuno mi accompagna o va una delle due. – si era espresso in maniera concisa, incrociando entrambe le paia di braccia al petto. Muoveva gli occhi da me a Yolanda e viceversa, cercando di sembrare il più altezzoso possibile. Non mi capacitavo del suo modo di fare e francamente dubitavo che potesse intimidire qualcuno, specialmente noi che avevamo visto di cosa era incapace, ovvero tutto.Yolanda sbuffò imprecando a bassa voce. – Stamo qui per te e nun movi nemmeno ‘n dito. Me dici che dovemo fa’ co’ te? Li sai usà li attrezzi da fabbro?Niomòs lanciò una breve occhiata agli oggetti lì per terra. – Uhm, forse in qualche sogno li ho visto utilizzare.- Va bene, ho capito. Cosa, va co’ questo a piglià le Genestrie e vedi pure se rimedi qualcosa de utile.La nota di stizza che faceva capolinea dietro al mio “sì†era lievemente evidente, ma io, da buona scocciata che ero, mi curai assai poco della mala risposta del rompiscatole dietro di me.Imbracciai quindi spada e guanti, addentrandomi a ritroso in quel turbinio di foglie azzurrine. Avevo chiesto al dio di fare più silenzio possibile, in quanto, come gli ricordai, egli stesso aveva detto che quello non era un posto sicuro. Il tramontare del Sole, poi, rendeva quella foresta un luogo veramente impervio: non era possibile scorgere nessuna sagoma ben delineata, l’unica fonte di luce erano delle piccole lucciole che svolazzavano tra un albero e l’altro ed il cristallo della mia spada. Addirittura, per non perdere la via, mi ero lasciata appresso una sottile scia di polveri luminose che noi fabbri usavamo per affilare le lame.Veniva subito da chiedersi come avremmo fatto a riconoscere i fiori con quell’oscurità , ebbene, sembrava strano, ma per una volta Niomòs si rivelava utile, in quanto vedeva perfettamente al buio, essendo uno che al buio, di norma, ci viveva.Ci accostammo ai lati di un grosso tronco cavo. – E’ questo qui il fiore? – chiese indicandomi un punto che però non vedevo.- Ha degli ampi petali violetti con delle striature rossastre?- Sì. Stanno crescendo all’interno del tronco, li vedo da uno squarcio, per prenderli si dovrà romperlo.Gettai sul tronco un po’ di polvere per far luce. Appena ebbi una visione più chiara gironzolai attorno al tronco, esaminandolo per bene. “Mi duole ammetterlo, ma suppongo che Niomòs abbia ragione†pensai dando dei piccoli colpetti sulla corteccia.- Allontanati, aprirò uno squarcio con la spada. – sollevai la lama impugnando saldamente l’elsa e chiusi gli occhi, visualizzando mentalmente il mio bersaglio, così come mi aveva insegnato il mio maestro. Mi concentrai su di esso immaginandomelo un mostro pronto a far del male alle persone, un nemico della giustizia, poi, di scatto, spalancai le palpebre e menai il fendente con tutta la mia forza… FSIU!“… E no, niente, ho fatto cileccaâ€La situazione era piuttosto comica: io che cercavo di levare la spada incastrata nel tronco ed il dio che guardava allibito la scena con un’espressione talmente delusa ed al contempo divertita che se avessi avuto con me la fotocamera penso gli avrei scattato una bella fotografia. Probabilmente in quel momento ero diventata più inutile di lui, forse.- Dimmi che io, Dio dei Sogni, sto sognando a mia volta, perché no, sei proprio patetica come Paladina.- Il tuo tono beffardo non mi aiuterà di certo… E levati da qui, forza..! – quella dannatissima spada era talmente incastrata che a momenti non avevo nemmeno il tempo di ribattere alle battutine di Niomòs, incredibile – Visto che hai la bellezza di quattro braccia, perché non mi aiuti a levarla da qui?- Mortale, io non tocco la tua spada.- Avresti potuto non volerla nemmeno quel giorno all’Accademia, adesso almeno non saremmo in questa situazione ridicola… Santo biscotto, vuoi levarti da questo tronco?! – stavo tirando quella cosa con tutte le mie forze, ma niente, non riuscivo mica a tirar fuori quel pezzo di metallo. Iniziavo a credere che Yolanda non avesse tutti i torti quando mi prendeva in giro per le braccine decisamente poco forzute…- Ringrazia che io abbia perso momentaneamente i miei poteri, quella spada mi appartiene. – notai che aveva lievemente esitato nel rispondere, quasi che la fiammella delle sue battutacce si fosse di colpo spenta, lasciando al proprio interno un vuoto freddo così come erano le sue parole. Fino a quel momento non mi era sembrato un tipo aggressivo, ma quel suo tono normalmente autoritario e beffardo in quell’attimo sembrava essere cresciuto esponenzialmente, istillando nella pace precaria del mio animo un tocco di rabbia e, forse, intimidazione, tant’è che lasciai la presa sulla spada per guardarlo, in silenzio: era in piedi, braccia conserte come suo solito, lo sguardo al cielo stellato, quasi nostalgico oserei dire, il respiro lieve e la bocca una linea sottile. Per qualche secondo quasi non sembrava il Niomòs con cui io e Yolanda avevamo viaggiato per giorni, il portamento più altezzoso del solito, la sua stessa fisionomia, contribuivano a slanciare quell’individuo, facendolo rassomigliare di più al dio capriccioso che mai avevo conosciuto, diversamente dal giovine insolente con cui avevo a che fare.Sarei rimasta anche un’ora a cercare di decifrare quell’essere statuario che in un batter d’occhio aveva preso posto il posto del poco credibile dio che rasentava quasi un mago da quattro soldi, se non fosse che dei lamenti inumani giunsero flebili alle mie orecchie.- Cos’è stato?- chiesi quasi sobbalzando. Sentire un rumore simile sapendo che ci si trova in un luogo pericoloso e non si vede nulla rende lievemente agitati.- Passi dall’offesa alla preoccupazione, francamente fatico a capirti, lo stesso per i tuoi sogni, sappilo. – con un semplice movimento del polso che mi lasciò a dir poco basita affondò la spada nel tronco, squarciandolo – Adesso che ho tirato fuori la spada prendi i fiori, nel frattempo io starò qui intorno, voglio scoprire la fonte del lamento.- Mi hai fatto venire qui per aiutarti a cercare i fiori ed adesso te ne vai a cercare un coso che potrebbe portarci solamente guai? Dov’è la coerenza?Niomòs mi puntò un dito contro: - Stammi bene a sentire, è da quando siamo partiti che non fai che lamentarti, sia di quanto sia faticoso il viaggio, sia di me e di quella sottospecie di donna-orso. Adesso, i fiori li hai, pertanto non mi sembra un buon motivo per continuare a blaterare. Tornerò in fretta, anzi, probabilmente farò prima io che tu a ritrovare la via, visto che con il vento che si sta levando la polvere sta iniziando a sparpagliarsi.Una nota di allarme mi persuase: “Come sa di ciò che penso?! Come osa saperlo senza dire nulla?!†pensai furibonda. I conti non quadravano ed io, che seppur ingenua non ero poi così tonta, non accettavo di certo un simile comportamento da parte di quello che adesso tornava ad essere il solito Niomòs.- Aspetta, come sai che io mi lamento di voi? Da qualche giorno giochi con i sogni di Yolanda per divertirti, i bagagli che fluttuano, poco fa la spada ed adesso questa rivelazione: tu puoi benissimo usufruire dei tuoi poteri. –Egli sbuffò, poi seccato rispose: - Non so chi siano i tuoi dei, mortale, ma so che in quanto “Paladina†sei spesso al di fuori della tua bella città e che spesso visiti i santuari. Possibile che fra tutti i santuari che ci sono tu non sia mai capitata nel mio? – abbassò lo sguardo sulla spada che aveva ancora in mano – Dovresti sapere che io, Niomòs, il Dio dei Sogni, quando dormo posso udire i pensieri dei viventi. Avresti dovuto saperlo, per me non sei affatto adatta a svolgere il tuo ruolo. Mi chiedo come tu abbia fatto ad impiantare quel bel cristallo nella spada. – detto ciò lasciò cadere la spada a terra, incamminandosi.“ Non sono adatta? †pensai facendomi scivolare su quel che rimaneva del tronco “ E’ così che la pensa? â€Qual era il motivo per cui io, Vittoriosa, non ero adatta per svolgere quel ruolo? Sapevo utilizzare una forgia, seppur non brillantemente, sapevo combattere, più o meno, avevo deciso io di andare all’Accademia per muovermi contro gli ingiusti ed adesso come venivo appellata?Presi la spada da terra e la osservai: la lama quasi perfetta, giusto un po’ spuntata di suo, ma quello lo era sempre stata, con all’interno la flebile luce di quell’opaco cristallo. La osservai a lungo, combattuta. Yolanda non era lì con me in quel momento, eppure ero più agitata che mai, ero dubbiosa e tutto perché quel tipo che fino a qualche ora prima si era limitato a fare da peso aveva adesso avuto anche il coraggio di dirmi ciò che non solo pensava lui, ma anche ciò che pensavo io di me, facendomi rendere conto che, probabilmente, ero una persona più malvagia di quel che sembravo, che le buone azioni che mi avevano secondariamente spinto in quel postaccio chiamato “Accademia†altri non erano che vaghi pensieri di cose che continuando così non avrei mai fatto.Ero forse io una Paladina del bene, pronta a dar pace a questo mondo con le mie azioni? A quanto pare da ciò che emergeva dalle parole altrui sui miei pensieri rasentavo più una Paladina del male che del bene, pronta a portare con la mia irrequietudine altro caos sul suolo. - Maestro, guardi, si notano dei flebili bagliori lì in fondo! – eravamo molto, molto lontani da Rema, in una grotta posta su un monte, la cui entrata, o uscita, dava su un brutto strapiombo. Mi piaceva il paesaggio, quell’ambientazione quasi surreale, ma amavo meno tutto quel buio rischiarato soltanto dalla luce di cristalli, perché da lontano e con l’eco che c’era il quel posto, sembrava di trovarsi faccia a faccia con un’animalesca creatura delle favole.- Vedo! Ragazzi, portate qui le torce, siamo vicini! – lo scalpiccio di passi ed il gocciolare dell’acqua dal soffitto andavano fondendosi col mio respiro ansioso, avanzavo lenta, una mano all’elsa ed un’altra su una torcia. Innutillio era davanti a me, avvolto nel mantello con lo stemma del Sole. Il suo passo era cauto, ma il suo stringere convulsamente la spada denotavano una certa smania di arrivare al nostro obbiettivo: cristalli da usare per forgiare spade. Quelle che stavamo cercando non erano semplici pietruzze scintillanti come tutte le altre, bensì si diceva che fossero dei contenitori di anime. Il mio maestro mi aveva raccontato che, secondo una leggenda, erano stati trafugati da un santuario secoli e secoli orsono. Francamente non mi importava tanto da dove questi provenissero, perché quel giorno avrei preso uno di quei cristalli e lo avrei utilizzato per forgiare la mia spada, dopodiché sarei divenuta Paladina a tutti gli effetti, oltretutto gli originali possessori dei cristalli dovevano essere morti, quindi francamente non mi facevo problemi.Passammo per un cunicolo stretto, ci appiattimmo alla parete al punto che sentivo tutta la guancia venire graffiata ad ogni passo. Girammo per uno o due corridoietti naturali, attraversammo persino un piccolo dirupo, man mano la luce diventava via via più intensa, il buio della grotta era dilaniato dai cristalli.Ed eccola lì, una sala del tutto illuminata. Correvo alla cieca con i fiori in tasca e la spada nel fodero, inciampavo, ma contro ogni previsione mi rialzavo ogni volta e continuavo a correre.Forse non ero la miglior Paladina che potesse esserci, forse non potevo nemmeno essere catalogata come tale, ma, ripensando più e più volte a ciò che Niomòs mi aveva detto, non potevo fare a meno, per mio difetto personale, di non ribattere.Per la testa mi gironzolava un qualcosa come “La prima cosa da fare è fargli capire che ho ragione, la seconda dargli un ceffone, la terza chiedergli scusa, in modo che non capisca se lo faccio per il ceffone o per prima†, ma anche se il mio orgoglio ruggiva a gran voce “SI’, FALLO!â€, quella rimanenza di buon senso blaterava di no e quando lo faceva acconsentivo a lei, solamente per non sentirla più lagnarsi.Nella mia testolina vi erano dialoghi del tipo: “Che facciamo?†“Non lo so buon senso, io direi di non farlo, è umiliante†“ Ma orgoglio, non possiamo non farlo!†“No buon senso, possiamo.†“Lalalalalala non ti sentoâ€Sgattaiolai dietro ad un cespuglio, mi portai anche appresso qualche rametto, scivolai sotto ad una grossa radice che mi sbarrava il cammino, ci sbattei in pieno, ma mi rialzai (ed in quel momento pensavo che avrei dovuto prendere la torcia…), superai un paio di alberi e mi fermai nei pressi di un piccolo alberello che però mi nascondeva alla perfezione.Erano perfettamente udibili dei lamenti e dal rumore del fogliame che veniva smosso freneticamente: ero quasi certa che Niomòs si trovasse nei paraggi. Mi girai per ogni dove, ma non mi sembrava di notarlo, quel che vidi però catturò notevolmente la mia attenzione: una luce arancio-rossastra in lontananza, un piccolo fuocherello senza dubbio, in direzione dell’origine dei lamenti.In questo momento il buon senso urlava a squarciagola “Torna indietro, vattene, sgommaâ€, ma insolitamente preferii ignorarlo ed affidarmi all’orgoglio che, per essere ascoltato, aveva stretto alleanza con la pericolosa amica curiosità .Muovendomi sinuosamente tra le fronde della vegetazione mi avvicinai, stavolta evitando accuratamente d’inciampare, alla fonte del fuoco. Ero nascosta dietro ad un paio di cespuglietti e da lì avevo un’ottima visuale del luogo: il fuoco, due sacchi a pelo, due cavalli legati non molto lontano, Niomòs che si spostava da un albero ad un arbusto… “Ma cosa fa lì?!â€- Psss... Niomòs… - sembrò avermi sentito, perché iniziò a guardarsi attorno. Quando finalmente mi trovò con lo sguardo mi fece il gesto di andare via, con una faccia schifata.- Dai, finiamo dopo di litigare, adesso vieni, lentamente, mi raccomando…Scosse la testa, indicandomi un punto: c’erano due uomini che stavano arrivando, chiacchierando tra loro. Erano entrambi avvolti in un mantello scuro con cappuccio, quindi era impossibile vederli in faccia. Uno dei due aveva buona parte del mantello lacerato.- Certo che stasera fa freddino, eh? – disse quello col mantello integro.- Già , persino il fuoco sembra congelarsi.Si andarono a posizionare uno di fronte all’altro, dandomi l’opportunità di vedere brevemente in faccia quello col mantello integro: una leggera barbetta, due occhiaie terribili ed un tatuaggio sulla guancia.“ Un momento, ma io quel tatuaggio lo conosco… Sì, sono sicura di averlo visto.†pensai mentre lentamente mi ritraevo nella foresta, andando a congiungermi con Niomòs che mi stava venendo contro facendo meno rumore possibile.- Andiamocene, non sembrano pericolosi, oltretutto il lamento è cessato. – disse sottovoce. – Parleremo dopo. – annuii e ce ne tornammo sulle sponde del fiume Revete. - Ma se po sapé do’ sete stati? Oh, io qui co’ tutta a calma de ‘sto monno me so messa a fabbricà nu remo co li pochi attrezzi che c’avevo ed ho pure rimediato ‘na barchetta accettabile, voi pe piglià du’ fiori du’ ore d’orologio c’avete messo. Ma dico io, oh, pe fortuna nun c’ho voglia de arrabbiamme. – non aveva tutti i torti, là a terra vi era un remo di ferro e legno, dovevo ammettere che non se la cavava poi malaccio come falegname la barbuta, ed un’imbarcazione precaria che se fossimo riusciti a superare il fiume indenni sarebbe stato un miracolo e pure il dio Niomòs avrebbe pregato qualche suo parente.- Abbiamo avuto un piccolo contrattempo, ma piccolino. – cercai di sdrammatizzare. L’orsa aveva inarcato leggermente un sopracciglio, in tono di disappunto. Quella sua espressione così composta mi mettevano a disagio, specialmente se l’occhio continuava a caderti sui suoi baffi.- La nostra Paladina ha finalmente capito di avere sbagliato lavoro… - informò Niomòs con nonchalance.- Gliel’ho sempre detto da quando semo partiti che come fabbro nun vale ‘na cicca. – avevo lo sguardo beffardo del maghetto e quello deciso di Yolanda addosso.- Io e il “grande e potente dio†abbiamo avuto una piccola…- Pensa che siamo due imbranati e che i tuoi baffi siano osceni. E’ da quando siamo partiti che ci guarda dall’alto verso il basso. – mannaggia.“Adesso Yolanda mi uccide.†Era l’unico pensiero sensato che potessi fare. Avevo istintivamente chiuso gli occhi, più o meno pronta a ricevere prima l’urlo, poi il pugno mega-galattico della donna fabbro.- Ma lei s’è vista? Anvedi oh, c’avemo miss Svitalia, oh. Va bene, mo’ dopo ‘sto perditempo moveteve che se devono spalmà lo remo e la barca de li fiori, che sennò col cavolo che c’arrivamo lì giù. – detto ciò prese i fiori ed inizio a ridurli in poltiglia con dei sassi.Io e Niomòs eravamo rimasti impalati, come deficienti. Io aspettavo un dolore tremendo, egli una tremenda risata, ma a quanto pare (e per mia fortuna) a Yolanda non interessava. Eravamo tornati in Accademia con quei magnifici cristalli. Erano tutti stupendi ed io non sapevo quale scegliere per la mia prima spada. Se avessi potuto li avrei arraffati tutti senza pensarci due volte, ma, essendo quella che si apprestava a venire una scelta importante, ci avevo riflettuto sopra per due giorni, analizzando al meglio i cristalli trovati e identificando quello che avrei utilizzato: i miei pensieri si erano concentrati su un particolare cristallo opaco, probabilmente il più “scrauso†tra tutti quelli trovati, quello che nessuno avrebbe preso se comparato agli altri. La mia non era umiltà , modestia e tutte quelle cose strane che mal si addicevano al mio essere, ma semplicemente perché quello che sembrava un grosso cristallo di sale era quello che splendeva di meno e di conseguenza mi ricordava un po’ me stessa, quella che mentre la società progredisce se ne sta buttata in un angolino buio. Ovviamente, se qualcuno me lo avesse chiesto, avrei risposto che avevo scelto proprio quello per lasciare quelli più belli all’Accademia, a mo’ di ringraziamento verso di essa, in quanto si occupa di proteggerci, portare la giustizia e tutte quelle cosine carine che piacevano ai bimbetti. Un piano diabolicamente semplice e perfetto che quasi mi stupivo di poterlo avere concepito. Avevamo unto con la poltiglia ricavata dai fiori il remo e la barca, in maniera tale da permetterci di superare il fiume, poi l’avevamo spinta sulla riva e ci eravamo saltati dentro.Le grosse braccia forzute di Yolanda le permettevano con inaspettata facilità di muovere il remo, levando alla corrente impetuosa del Revete la possibilità di ribaltare la nostra imbarcazione di fortuna.Mi tenevo ancorata alla barca più fortemente che potevo e lo stesso Niomòs, che a dirla tutta sembrava ben più spaventato di me. Era interessante notare che, nonostante il vento impetuoso e gli schizzi d’acqua gelida, Yolanda se ne stava tranquilla a remare, sembrava quasi una di quelle gondoliere che trasportava i turisti per i canali di Nevescia, mentre io, terrorizzata, non vedevo l’ora che quella traversata finisse. Forse era questo il motivo per cui quella sua calm mi inquietava così tanto: non era di per sé il suo fare calmo, anzi, spesso e volentieri si arrabbiava, ma il suo affrontare con sorprendente tranquillità gli ostacoli che le venivano contro, mettendo in risalto la mia agitazione.Nemmeno Niomòs dall’altra parte della barca mi era di consolazione, perché, pur essendo più terrorizzato di me in quel momento, avevo quella sera capito che la sua paura non era dettata più di tanto dalle proprio insicurezze, bensì dalla mancanza di fiducia negli altri, i quali lo portavano a cambiare rapidamente umore, se non personalità , facendolo passare da rilassato tonto, a dio severo, fino a fargli assumere le movenze di un bimbo dopo un film horror.Ed ecco qui che finalmente giungevo ad una conclusione che mi pareva universale: Yolanda incarnava la mia paura, gli altri, Niomòs il dubbio che da sempre mi affliggeva. Allentai un poco la presa, quasi che mi fossi tolta un mezzo peso dal cuore.“Perlomeno,†andavo pensando dopo quell’orribile constatazione “se Yolanda e Niomòs sono stati artefici della mia comprensione verso ciò che mi dilania, vuol dire che l’Accademia non dev’esser poi così male, perché è stata lei ad avermi fatto comprendere con questo viaggio i miei terrori più grandi.â€E mentre rimuginavo sentii chiamarmi con forza ed essere avvolta in un freddo abbraccio che tanto mi ricordava quella volta che avevo finto di essere un pupazzo di neve stando due ore impalata sul vialetto di casa mia. Ero solita lasciare la mia spada e la mia armatura nell’armeria dell’Accademia, in quanto sull’autobus non mi era decisamente permesso di portare armi, ma quel che successe a proposito della mia spada era veramente impensabile: quando fui chiamata da un compagno tutto agitato che farfugliava a proposito dell’arma pensai che qualcuno si fosse divertito a nasconderla, come spesso accadeva, ma fui decisamente scioccata quando mi disse che a prenderla non fu un teppistello qualsiasi, bensì un certo Niomòs che, a detta sua, sembrava essere un tipo veramente importante. Sconcertata ero scesa giù dalla collinetta dove era posta la mia casa ed andai dritta a prendere lo 093 e quindi il 23, diretta all’Accademia.Quando arrivai nei pressi dell’edificio mi venne incontro un gruppetto di persone, tra cui quello che mi aveva chiamato circa un’oretta prima. Erano tutti agitati e sporchi di quella che sembrava fuliggine, alcuni, addirittura, presentavano delle bende imbevute di sangue su braccia, gambe e testa.- Oddei, cosa è successo?! – chiesi subito allarmata non appena vidi quel gruppetto malandato.- La tua spada è esplosa! – fece uno prendendomi per le spalle ed iniziandomi a scuotere – Ha iniziato a brillare ed è esplosa! – lo guardavo attonita.- Cosa vuol dire è esplosa?!- Quel tale, Niomòs, ha cercato di estrarre il cristallo dalla spada! Vieni, corri! – disse un altro trascinandomi. Francamente ero senza parole. Sapevo che quando si tentava di estrarre un cristallo da un’arma se non si seguiva la giusta procedura c’era il rischio che questi esplodesse, ma era una roba da niente e non causava mai ferite a chi aveva cercato di estrarlo, né tantomeno danni a chi gli stava intorno o ad edifici, eppure quelli che mi avevo portato di forza all’Accademia erano feriti e dall’edificio andava alzandosi una colonna di fumo nerastro.Schivando le varie macerie che erano lì a terra, superai un paio di ambulanze, andando incontro al mio maestro, sempre più allarmata. Aveva una parte del volto lievemente ustionata e con una mano si massaggiava una guancia con un grosso livido. Stava parlando con un’altra insegnante, era una del reparto d’armi da fuoco mi sembrava di ricordare, anch’ella piuttosto malandata. Parlavano a proposito del preside, scuri in volto. La donna parlava con velata tristezza, mentre Innutillio cercava di mantenere un tono composto. Sapevo che il mio maestro ed il preside non andavano granché d’accordo, ma era palese che adesso l’omone stava trattenendosi dal parlare con emotività , presumibilmente non voleva apparire triste per non rattristire gli altri a sua volta.- Maestro Innutillio! – lo chiamai. Quello si voltò:- Vittoriosa! Hai saputo di quello che è successo? – chiese, atono.- In parte. So che la mia spada è stata presa da un certo Niomòs e che ha provato ad estrarre il cristallo, ma provandoci l’arma è esplosa. Come è potuto accadere? Sono sicura di aver rispettato tutte le regole di sicurezza quando l’ho forgiata, il Mastro fabbro l’ha approvata, ma anche se fosse non dovrebbe causare questo macello… E poi, perché quel tipo voleva il cristallo? – domandai, confusa.La donna mi rispose: - A quanto pare colui che ha preso la spada non è un uomo. – che voleva dire? Mi stava facendo intorcinare i pensieri più di prima – Dice di essere un dio, Niomòs il Dio dei Sogni per esattezza. – la guardavo con un’espressione che rasentava l’incredulità più assoluta.- Un dio, che vuole mia spada? Ma perché?- Afferma che il cristallo all’interno di essa è suo e che gli è stato rubato. – informò un tipo appena arrivato. Lo conoscevo, era uno dei vecchi allievi di Innutillio, non sapevo il suo nome, ma tutti lo chiamano “l’Insonneâ€, perché aveva sempre un vistoso paio di occhiaie. Aveva anche un tatuaggio sulla guancia.- A proposito, si è ripreso? – chiese Innutillio. Insonne fece un gesto con la mano per indicare che non era del tutto apposto. – Dice di avere momentaneamente perso i suoi poteri dopo l’esplosione. Ha ancora la spada in mano, non la molla. L’Accademia è in subbuglio, gli studenti sono spaventati e si lamentano, gli altri maestri stanno già organizzando una riunione per sistemare un po’ la situazione. Sembra che si svolgerà domani, dopo i funerali del preside.“I funerali del preside?! E’ morto?!†mi venne da pensare con immediatezza.- I-il preside è morto n-nell’esplosione?La donna annuì, sospirando. – Sembrerebbe che abbia tentato di fermare Niomòs mentre tentava di estrarre il cristallo con la forza, ma l’esplosione è avvenuta prima che lo fermasse. Fortunatamente non ci sono state altre vittime. Insonne, dimmi, chiariranno domani come sono avvenuti i fatti?- Sì. Ah, - si rivolse a me – vogliono che sia presente anche tu. Avevo la testa che minacciava di esplodere, ogni suono che arrivava alle mie orecchie entrava rimbombando e creando un’immensa baraonda pari a bilioni di bombe che scendevano bruciando il suolo bruno. Nel momento in cui aprii gli occhi, come se non bastasse, mi ritrovai davanti Yolanda ed un tizio che non avevo mai visto.Non riuscivo ad alzarmi, avevo gli arti tutti indolenziti. Doveva essermi successo qualcosa, ma francamente non ricordavo nulla. Tossii.- Coffcoff… Santo biscotto… Cosa mi è successo? – chiesi con un filo di voce.- Nun te conviene parlà che stai popo come ‘no straccio. – mi rimproverò la barbuta, con tono quasi apprensivo – Sei caduta nel Revete, nun so come, ma ce sei caduta. Io boh, nun c’ho parole. – con uno sforzo immane sollevai un braccino per massaggiarmi le tempie.“ Ohh… Diamine… Quanto vorrei un antidolorifico… †pensai.- Io l’ho vista allentare la presa e con un’ondina è caduta in acqua. La cosa che mi stupisce è che Yolanda è rimasta in piedi, come se l’acqua non si fosse abbattuta su di lei. – commentò Niomòs, avvicinandosi. – Prima che tu faccia qualche battuta infelice dopo la mia osservazione, è bene che tu ringrazi quest’uomo, Mr.Felisio - indicò il signore accanto a Yolanda – E’ lui che ci ha aiutato a ripescarti dall’acqua.Il signor Felisio era un uomo sulla cinquantina, panciuto e dalle guance rosse, aveva un cappello che mi ricordava tanto i baschi di mio nonno, ed un paio di piccoli occhiali da vista.- Ah… Grazie.- Ah, ma figurati, dovere. – sorrise, in effetti sembrava proprio un uomo bonario – Piuttosto, ce la fai ad alzarti? Tu ed i tuoi amici siete fradici, stando qui fuori vi ammalerete di sicuro. – indicò un punto – Ho una carrozza, se volete posso darvi un passaggio al paese.Yolanda mi aiutò a rialzarmi, poi io ed i miei compagni ci guardammo fugacemente ed in seguito annuimmo tutti insieme al signor Felisio. L’uomo non perse tempo ed iniziò a farci strada verso la carrozza, nascosta dietro un paio di alberi.- Signore, coffcoff, posso chiederle perché è così gentile? – gli domandai. Di norma, da tutti i film visti avevo appreso che se qualcuno era così interessato nell’aiutare una persona era per qualche scopo personale. C’era qualche anima pia, ma erano in ristretta minoranza, anche se quel signore non mi sembrava affatto malvagio.- Ho notato che hai un corpetto di cuoio, dei guanti da spadaccino, dei guanti da fabbro legati alla cintura e soprattutto una spada, quindi devi essere per forza una Paladina. – mi spiegò sorridendo mentre camminavamo – Sai, alcuni anni fa io e qualche compaesano avevamo preso l’insolita abitudine di fare tante passeggiate serali nel bosco attorno al paese e, durante una di queste, siamo stati insolitamente accerchiati da un piccolo branco di lupi. In preda al panico ci siamo messi ad urlare e per miracolo siamo stato uditi da un uomo nei paraggi, un Paladino, proprio come te. Appena vide la scena si avventò sui lupi e li uccise, salvandoci. Non approvavamo che avesse ucciso tutti quegli animali, ma ci disse che era stato costretto a farlo, perché, se non lo avesse fatto, quei lupi avrebbero generato della prole che a sua volta avrebbe figliato, compromettendo l’ordine di questo luogo. Dovevamo ammettere che era strano, ma in fondo gli eravamo immensamente grati, così ci siamo ripromessi che se avessimo incontrato un Paladino in difficoltà lo avremmo aiutato, così come quell’uomo aiutò noi. Vedrete, appena in paese sapranno del vostro arrivo saranno tutti felici! – disse facendoci entrare nella carrozza.Ci sistemammo all’interno ed io mi poggiai con la testa al finestrino, tutta rannicchiata. Avevo freddo e mi sentivo tremendamente fiaccata, probabilmente stavo già ammalandomi, grazie alle mie orribili difese immunitarie. Yolanda e Niomòs sembrava non avessero poi così freddo, anche se sospettavo il contrario, almeno per il dio.Socchiusi gli occhietti e tutto non tardò a farsi indistinto… Vedevo una me avvolta in un morbido plaid, sdraiata su un divano e con la testa su un cuscino con una federa a pois, intenta a crogiolarsi in quel bel calduccio.A guardare meglio quel divano ricordava tanto quello di casa mia, anzi, sembrava proprio quello. Non mi trovavo nella mia dimora tuttavia, infatti era come se il divano fosse sospeso nel bel mezzo del nulla. A me non sembrava importare, in fondo stavo bene così. Ogni tanto mi rigiravo, mugugnando, evidentemente non riuscivo a trovare la posizione più comoda per addormentarmi.- Hai mai pensato che non riesci ad addormentarti perché non ti senti sincera con te stessa? – chiese una voce dal timbro strano, ma discretamente piacevole all’udito.- Chi sei? La mia coscienza? – chiesi io di rimando. La me sul divano non aveva aperto bocca, probabilmente non riusciva nemmeno ad udire le parole pronunciate.- No, anzi, dubito che tu ne abbia una. – vidi una sorta di piccolo varco dimensionale comparire dal nulla e da lì sbucò successivamente un ragazzo, vestito con degli abiti eleganti che andavano contrapponendosi con il veramente poco sexy pigiama con il pinguino che indossava la me sul divano. Era di spalle e non riuscivo proprio a riconoscerlo, eppure a prima vista i suoi capelli, neri e lunghi, erano tali e quali a quelli di Niomòs, il problema però era che Niomòs aveva quattro braccia e persino delle piccole corna, cosa che quel ragazzo non aveva.- Ed allora chi sei? Potresti girarti così ti vedo in faccia?- Sul serio non riesci a riconoscermi? So che sai chi sono, siamo in un sogno in fondo.– schioccò le dita e del fumo rosato lo avvolse. Quando il fumo scomparve notai con neanche tanta sorpresa che le mie congetture erano azzeccate: era proprio Niomòs.- Prima che ti faccia la fatidica domanda “perché sei nel mio sogno?â€, come mai avevi quell’aspetto e quel tono di voce? Decisamente non sembravi tu, troppo perfetto per te. – Niomòs rise.- E’ come tu mi immagini, anche se posso svincolarmi dal tuo pensiero ed assumere il mio “normale†aspetto, in fondo sono il Dio dei Sogni, qualora te lo fossi dimenticato.- Oh, anche i sogni fallati adesso. Figurati se io ti immagino così… - lo informai, scocciata.Niomòs sospirò, quasi che avesse dovuto fornire quella spiegazione innumerevoli volte: - Tu sai che io sono un dio, ma non pensi che io sia conforme alla tua idea di dio, pertanto hai rimodellato la mia immagine, distorcendola a tuo piacimento ed hai così creato una mia figura fittizia più confacente ad i tuoi desideri. – indicò la me sul divano – Per lei vi è una cosa di simile.- Mi vedo meglio su un divano che in giro con te e Yolanda? Oh, sì, esatto.- No. – disse con fermezza – L’immagine di te sul divano non c’entra nulla con la tua pigrizia: questa tua visione è dovuta a ciò che pensi di te stessa.- Che sono pigra? – si mise una mano sulla faccia, in segno di rassegnazione.- E poi marchi le mie battute con l’aggettivo “orrendeâ€â€¦ Possibile che voi mortali non ci arriviate mai? – prese ad indicare il divano con una mano – Quella sul divano sei senza dubbio tu, ma il fatto che sei lì bella comoda denota un tuo vederti un po’ come un’egoista.Sapevo di essere un po’ egoista, ma continuavo a non capire cosa avessero a che fare il divano ed il vuoto con me. Gli dissi di andare avanti.- Non ti accorgi dell’oscurità perché stai bene sul divano, perché sei egoista e non ti importa degli altri più di tanto: ecco quindi che ci sei tu, egoista, che ti rinchiudi in te stessa, allontanandoti dagli altri che così risultano inconoscibili per te, l’oscurità , appunto.Ero perplessa, non lo negavo. – Santo biscotto, allora almeno il tuo lavoro lo sai svolgere! Ma, già che ci sei, dimmi: perché continuo a rigirarmi?- Ti rigiri e non prendi sonno perché nella parte più recondita di te sai che questo tuo lato non è affatto positivo. Non lo vuoi eliminare del tutto, perché non cerchi di alzarti, ma continui comunque a pensarci.Ascoltavo catturata le parole di Niomòs. Era strano stare lì, o meglio, stare in un punto imprecisato ed ascoltarlo, trovare finalmente un qualcosa d’interessante da condividere con uno dei miei compagni di viaggio, visto che fino a quel momento la cosa più rilevante era stato parlare di armi con Yolanda. La cosa più buffa, poi, era che mai e poi mai avrei pensato che avrei potuto discutere con uno come Niomòs di ciò che pensavo di me, poco importava se questi era un personaggio importante come un dio, perché fino a quel momento, era palese, continuavo a trattarlo sempre come un mezzo idiota.- Fa strano, – gli dissi – averti a gironzolare nella mia testa è per me inconcepibile, ma almeno non lasci peli in giro come farebbe la barba di Yolanda… Mi stupisce il fatto che tu abbia una tua utilità ed a questo punto mi viene da pensare che chi sa fare peggio il proprio lavoro sono io. – sospirai – Grazie per l’interpretazione stile cartomante, adesso però esci. Mi svegliai di sobbalzo, guardandomi attorno: Niomòs era a braccia conserte, guardava fuori dal finestrino, mentre Yolanda si lisciava i baffi con una mano ed al contempo con l’altra giocherellava con un pugnale.Eravamo in procinto di arrivare al paese, le sagome scure delle case erano visibili da dietro gli alberi. Il viaggio a quanto pare era stato tranquillo, fin troppo se quel dio burlone aveva deciso di farsi un giro nei miei sogni. Non gli dissi nulla ed egli non disse nulla a me. Continuammo a viaggiare avvolti nel silenzio, l’unico rumore era lo scalpiccio dei zoccoli dei cavalli di Felisio.Nel cielo la Luna e le stelle rischiaravano la via quel poco che bastava per far sì che si potesse procedere sulla ghiaia, creando con la vegetazione un gioco di ombre unico.Ed eccola lì, man mano avvicinarsi, quella piccola cittadina dove potevamo trovare riparo e fermarci per un paio di giorni, giusto per riprendere il nostro cammino al meglio.Quei disegni scuri sulla strada riportavano in superficie ricordi nascosti in angoli dimenticati della mia memoria, ricordi che mi facevano male, cose buffe e figuracce che avevo intenzione di dimenticare. I cavalli gradualmente rallentarono fino a fermarsi nel bel mezzo di una piazzuola con una fontana in centro.Scendemmo dalla carrozza, infreddoliti per il vento che soffiava tra quelle casette di legno e pietra. Affidando la carrozza ad un ragazzo, Felisio ci guidò velocemente verso una casa leggermente più grande delle altre. C’era un’insegna con sopra uno scudo appesa ad un paletto: “Locanda dello scudo rottoâ€.Felisio, notandomi, mi disse: - E’ la mia locanda, l’ho chiamata così perché quel Paladino aveva uno scudo in pessime condizioni. Entrate ragazzi.La locanda era a prima vista un luogo molto accogliente: c’era un bel camino con un focherello che riscaldava tutta l’aria, un paio di lampadari dall’aria vecchiotta attaccati al soffitto, il bancone, i tavoli e la gente che felicemente brindava alle gioie e beveva sui dolori. Non dava l’idea di un posto per bevoni, anzi, era quasi più ordinata di certi bar alla periferia di Rema.- Tenete, - ci diede ciascuno una chiave – sono delle piccole camere, ma non mancano di niente. Quando volete scendete, così vi porto anche da mangiare, tutto per un Paladino ed i suoi amici, restate pure quanto volete!- Felisio era entusiasta ed anche gli altri ospiti della locanda, a sentir la parola “Paladinoâ€, si erano tutti messi a parlottare tra di loro, euforici. Quanto a me ed i miei compagni, ci stavamo guardando, leggermente imbarazzati.- Signò, te ringraziamo, ma come se potemo sdebità ? C’ha aiutato a salvà questa qui, c’ha dato ‘no strappo fino allo paese e mo ce vole pure ospità a gratis. A signò, lei è un brav’omo, se c’ha qualcosa da fa noi ce stamo.L’uomo annuì, sorridendo, poi ci indicò le camere e Niomòs e Yolanda andarono, mentre io restai un secondo sotto. – Felisio, posso chiederle una cosa?- Ma certo!- Io… Potrei sapere l’identità del Paladino che l’aiutò?- In realtà non ci disse il suo nome, ma aveva la barba rossastra e gli occhi neri, cercava un cristallo particolare. Dimmi, conosci un qualcuno che gli somiglia?- Oh, no, no, non proprio, era solamente un piccolo dubbio che volevo levarmi. – mi congedai dall’uomo, salendo i gradini lentamente. Altro che levarmi dubbi, adesso ne ero imbevuta. - Non c’è nulla di meglio di un bel bagno caldo quando fuori fa freddo…Ero quasi totalmente immersa nell’acqua, stavo stupendamente. Il sonnecchiare nell’acqua calda era il mio sogno utopico, non ambivo a cose migliori, tutto quel che volevo era riposare…Avvolta in una nuvola di vapore, a momenti non riuscivo nemmeno a vedere ad un palmo dal naso, ma in fondo cosa me ne importava? Ero felice così? Sì. Allora andava bene.“Non ti accorgi dell’oscurità perché stai bene sul divano, perché sei egoista e non ti importa degli altri più di tanto.â€Le parole di Niomòs mi risuonavano nella mente, inesorabili.- Cosa volete? Andatevene, non sto facendo nulla adesso. E che diamine. – mi immersi nell’acqua, restai sotto per qualche secondo, poi riemersi lentamente. Improvvisamente mi sembrava che l’acqua fosse divenuta ghiacciata.Acchiappai gli occhiali sullo sgabello lì accanto, sbuffando. – Ho persino acconsentito a dare una mano al signor Felisio qualora gli servisse, eppure perché mi vengono in mente queste cose adesso? – levai il tappo dalla vasca e mi avvolsi nell’accappatoio, continuando a lagnarmi. Mi ero levata dalla vasca? Io mi ero alzata da quella comodità ? Sì, quella dannatissima frase continuava a punzecchiarmi, non dandomi pace.Mi avvicinai allo specchio, rimirandomi: gli occhiali appannati, il viso color cadavere, le occhiaie che sembravano fatte con un pennarello viola, gli occhi scuri, assonnati, mezzi coperti dai capelli umidi. Avevo decisamente bisogno di rilassarmi un momento in un luogo accettabile, decisamente. Ero stanca di dormire su radici e pietre…“ Ed i tuoi compagni? Non pensi che vogliano concludere il viaggio al più presto? â€Ed ecco che oltre al buon senso adesso si metteva a litigare nella mia già confusa testa anche il fantasma del Natale passato, alias la mia coscienza. Santo biscotto se iniziavo a stufarmi.Mi vestii, poi decisi di scendere, altrimenti non ne sarei più uscita. La sala dove era stato organizzata la riunione straordinaria era una sala provvisoria, sprovvista addirittura di sedie per tutti i maestri. Non ne conoscevo molti, per lo più li avevo solamente visti di sfuggita all’interno dell’Accademia.In quel momento ero accanto ad Innutillio, Insonne ed a quel tale Niomòs. Il maestro mi aveva trattenuta dallo spezzargli un braccio, quel che aveva fatto era inconcepibile. Adesso se ne stava seduto, tutto fasciato.- Ricapitolando: il cristallo nella spada dell’allieva di Innutillio sarebbe in realtà del Dio dei Sogni e questi, venendo a sapere che l’oggetto, a quanto pare smarrito da secoli, era stato ritrovato, decide di venirlo a riprendere, ma come prova a levarlo dall’arma esplode e nell’esplosione viene coinvolto il nostro preside, Pacifio. – disse una delle Mastre artigiane, rivolta all’artefice dei fatti.- Sì è così. – rispose – Il cristallo è però ancora nella spada ed io esigo riaverlo.- Un momento, - lo interruppe un Mastro fabbro, quello che mi aveva supervisionato durante la forgiatura della spada – non è chiaro il motivo per cui l’esplosione è stata così devastante. Suppongo tu ne sia al corrente. – si levò un brusio di voci che avvolse la sala.- Il cristallo nella spada, - spiegò – non è un cristallo come tutti gli altri. E’ un animoforo, ma l’anima al suo interno è ben diversa da quelle negli altri, non è di una creatura mortale. – si alzò e prese la spada dal piedistallo su cui era stata appoggiata – Più l’anima dentro è potente, più lo sarà l’esplosione, ma non pensavo che, cercando di estrarre il cristallo dalla spada, potesse questi generare un simile impatto, io… Sono stato addirittura sprovvisto dei miei poteri. In mano a voi mortali il cristallo è pericoloso, deve tornare a me.- I nostri più esperti Mastri fabbri hanno già tentato di estrarre il cristallo con i metodi tradizionali, ma questo non viene via, la stessa spada sembra uscire più forte di prima ogni volta che si prova a fonderla. Non possiamo levare il cristallo dalla spada. – lo informò la donna con cui Innutillio stava parlando il giorno prima. Avevo appreso chiamarsi Justa.- Lo necessito. Io sono un dio, non si può negarmi ciò che chiedo. Non mi importa quale sia il vostro credo e se ne abbiate uno. Io sono il figlio della Dea Madre, tutti gli dei di Svitalia sono soggetti al suo volere! – nella sala iniziarono a diffondersi voci contrastanti, c’era chi concordava con Niomòs, forse per paura, c’era chi invece pensava che non stesse dicendo la verità perché insospettito da questa sua “perdita†di potere. Io mi dichiaravo contraria: il cristallo lo avevo trovato io, la spada l’avevo forgiata io, oramai era mio, non era colpa mia se lo aveva perso o gli era stato rubato secoli fa, poteva cercarlo, non venire a prenderlo una volta trovato. Chi trova tiene, poi perché dare al colpevole di così tanto orrore ciò che vuole?- Sei un pallone gonfiato, è diverso. – notai gli sguardi dei maestri e di tutti i convocati più quello di Niomòs puntarmi contro, esterrefatti – Sai, invece di fare perno su una simile cosa, che ne dici di chiedere prima scusa e poi “per favore Vittoriosa, puoi darmi il cristallo della tua spadaâ€? – il maestro mi guardava, allibito.- Prego? Io dovrei chiedere per favore a te? Tu hai rubato ciò che è mio! – mi aveva puntato un dito contro. C’era chi guardava quello scemo là e chi guardava me. Io guardavo lui e Niomòs guardava me, carico di odio così come lo ero io.- Io non ho rubato un bel niente, io, il mio maestro ed altri compagni siamo giunti in questa grotta e lì abbiamo trovato i cristalli, non c’era nulla che ci vietasse di…- BASTA.Il peso degli sguardi si posò su un’altra persona, una persona accanto a me, dalla voce tonante ed in quel momento resa ancora più minacciosa dalla nota di rabbia che vi era stata impressa: Innutillio.- E’ inutile che litighiate, oramai il danno è stato fatto: Pacifio è morto e buona parte dell’Accademia è andata distrutta. – guardò le persone in sala, poi disse: - Nostro è il compito di portare la stabilità e la giustizia al di fuori di Rema, Dilano, Nevescia, Mucchino e tutte le città di Svitalia e del mondo e questa che voi due state mostrando non è stabilità , è conflitto ed il conflitto è male. Noi Paladini combattiamo il male, o no? – un coro di sì si levò a partire da Insonne ed i membri della Compagnia del Sole – Allora Vittoriosa, come tuo maestro voglio affidarti questa missione e, se la porterai a termine, sarai membro ufficiale della nostra compagnia: tu dovrai aiutare il Dio dei Sogni a recuperare il suo cristallo, perché è questo che noi del Sole facciamo, recuperare i cristalli più ambiti, altrimenti resterai qui e tornerai alla routine quotidiana, iniziando con il forgiare una nuova spada, poiché in entrambi i casi ti sarà tolta affinché l’armonia venga ristabilita. – guardavo il maestro con gli occhi sgranati.“ La Compagnia del Sole, io? †pensavo estasiata, ma dopo poco mi rabbuiai: se avessimo levato il cristallo dalla spada quella spada non sarebbe più esistita per me e per un Paladino separarsi dalla prima spada era un qualcosa arduo, specialmente se si stava parlando di una sentimentalista come la sottoscritta….- A te la scelta: puoi decidere di aiutare Niomòs ed entrare nella Compagnia, o restare qui. – lo guardai, dritto negli occhi, mentre stringevo le mani a pugno fino a farmi sbiancare le nocche. Sentivo Niomòs alle mie spalle sorridere beffardo. Non sapevo cosa fare.- Ho bisogno di un giorno per decidere.Il maestro annuì, poi si risedette. – Non ho altro da aggiungere.- Bene, - fece un maestro – siamo giunti ad una mezza conclusione sul cosa farne del cristallo, ma in che modo può questi essere estratto? E’ noto che l’unico luogo in cui potrebbe essere possibile ciò sembrerebbe essere sperduto, forse addirittura una leggenda. Dio, sei forse a conoscenza dell’esistenza del Santuario del Fabbro Monco? – quello scosse la testa, poi aggiunse che mai aveva sentito di un luogo simile e che probabilmente era una mera invenzione umana.“Quanta spregiudicatezza in un solo essere, mi fa ribrezzo, anche se spero che abbia ragione†pensai. Se non avessero trovato un modo per levare di lì il cristallo vi era la possibilità che la spada rimanesse a me.- In realtà qualcuno ci sarebbe… – il baricentro dell’attenzione veniva ruotato nuovamente. Era stato uno dei Mastri Fabbri appena a parlare, per l’esattezza una dei fabbri più anziani ed abili, Edna se non sbagliavo, appena arrivata, che sembrava avere fatto una lunga corsa – Scusate il ritardo, ma la mia malattia mi costringe a casa… Coff… - la fecero accomodare su una sedia. – Io so che c’è una persona che conosce quel luogo.- Chi è? – chiese subito Niomòs, estremamente interessato, come tutti, del resto. Quello lì era un luogo leggendario, io stessa dubitavo che potesse esistere, specialmente perché luoghi con nomi del genere erano troppo assurdi – Se ti riferisci al preside Pacifio… E’ morto. – la informò Innutillio.La donna ebbe un moto di tristezza, ma subito rispose: - No, non è lui. E’ Yolanda Jodel, è stata mia compagna di corso ed è colei che proprio insieme a Pacifio andò al Santuario.- Ti stai sbagliando, non ci andarono. – negò Justa.- Sì, invece, ed è questo il motivo per cui fu espulsa dall’Accademia. - Allora Niomòs, queste belle corna e le braccia? Appartieni al popolo dei Braili? Non si vedono spesso in giro da queste parti!- Ah, ehm, sì, sì, è che io amo viaggiare. – si vedeva lontano un miglio che non sapeva cosa rispondere, ma Felisio sembrava troppo buono per poter sospettare di qualcosa e, difatti, si mise a ridere.Yolanda e Niomòs mi aspettavano ad un tavolo, chiacchierando animatamente con il padrone della locanda. Sembravano felici in quel momento e sicuramente più rilassati. Avere a disposizione una camera con un vero bagno ed una vera doccia aveva sicuramente contribuito a migliorare l’umore generale, oltre che a renderci decisamente più presentabili: Yolanda si era data una spuntatina alla barba e si era persino messa un abito leggermente diverso da quei suoi soliti vestiti da fabbro. Niomòs anche si era messo indosso qualcosa di più casual e si era legato i capelli in un codino, lasciando giusto una piccola ciocca mossa che gli ricadeva sul volto. Ero stupita: sembravano quasi presentabili.- Vi disturbo? – mi sedetti su una delle sedie di legno.- Ma no, no! Io ed i tuoi amici stavamo scambiando quattro chiacchiere. Adesso che ci siete tutti: mangiate qualcosa?- Volentieri Felì, fai tu.- Bene. Da bere che vi porto?- ‘Na birra pe’ me. – l’uomo lo annotò sul taccuino.- Un bicchiere di vino, grazie.- Bene…. E tu piccola Paladina?- Un succo di frutta all’ace, per favore. – il locandiere, Yolanda, Niomòs, tutti i presenti si girarono verso di me, allibiti. – Cosa? Cosa ho fatto?- Non prendi nemmeno una birra? – mi chiese Felisio- Beh, no. Non bevo alcolici.- Aò se sei strana come Paladina… – aggiunse Yolanda, con gli altri in sala che le annuivano dietro. Felisio andò a prenderci da bere, lasciandoci soli.- Sul serio non bevi? – domandò Niomòs arricciandosi una ciocca di capelli – Ed io che pensavo bevessi ed anche tanto per fare quei sogni…- Puoi non ritirare fuori quell’argomento? – fece quel suo solito sorriso beffardo, quello che mi faceva venire voglia di pestarlo davanti a tutti. – Non mi va di parlarne…- Lo fai entrà ne li tuoi sogni? Io fossi stata te lo avrei preso a pedate nello fondoschiena. –in effetti non aveva tutti i torti, ma preferivo lasciare a lei le punizioni, più che altro perché gli faceva più male.- Comunque, tanto per la cronaca, i sogni di Yolanda sono più interessanti. – annuiva convinto, ticchettando con le dita sul tavolo. – Pensavo ci fossero solamente spade, scudi, asce, fucine, invece no, strano.- Forse nun m’hai sentito quando t’ho detto de non entrà nei miei sogni. Voi che te lo ripeto?- Suvvia donna-fabbro, stiamo solamente chiacchierando, no? – arrivò Felisio, porgendoci ciascuno la propria bevanda, poi ci salutò e spari nuovamente dietro al bancone. Niomòs prese un sorso di vino – Fidati che i suoi sono peggiori. – disse indicandomi con lo sguardo.- Wow, cosa sogni di così strano per lasciare stupito il decerebrato qui presente, se posso chiedertelo?Lei sbuffò, posando la birra sul tavolino. – Alla fine nun è nulla de rilevante… Solo la storia mia. – si allisciava la barba, annuendo con la testa. – Niomòs nun c’ha ‘na cippa da fa’.- A questo punto perché non racconti direttamente? – le chiesi. Yolanda bevve un sorso di birra, ripoggiando il boccale delicatamente sul tavolino in legno. Dubbiosa, si accinse a raccontare: - Quando c’avevo più o meno l’età tua, come penso che tu sappia già , andavo alla scola do’ vai tu, stesso indirizzo, Paladina d’armi bianche con specializzazione fabbro. – bevve un altro sorso di birra – Nun ch’andassi granché d’accordo co lì maestri, ma se c’erano un paio de persone co’ cui invece parlavo, queste erano la mia compagna de stanza, Edna, e quello che poi sarebbe divenuto il vostro preside, ma che allora era solo il maestro mio e de Edna, Pacifio. – parlava della sua amica e del preside con malinconia. Quando aveva nominato Pacifio aveva lanciato una piccola occhiata a Niomòs, il quale sembrava essersene accorto, perché era scuro in viso, ma non gli disse nulla, continuò a parlare, adesso in tono quasi solenne: - Nun me piace dillo, ma modestamente era la migliore allieva dell’Accademia e pure ora, pe’ quello che vedo che t’hanno insegnato, - disse rivolta a me – sono sicura de continuà ad esse’ la migliore. Devi sapé che pure Pacifio era n’ottimo fabbro, così come Edna, ed ambivamo tutti e tre a trovà quel posto do’ stamo andà ora. – addentò un pezzo della focaccia che in quel momento ci era stata portata da Felisio – Nun lo so mica quanto cercammo, ma fatto sta che alla fine lo trovammo. Nun so se ve ne siete accorti quando l’avete vista, ma Edna c’ha, purtroppo, ‘na malattia da quando è nata. Ebbene, s’ammalò poco prima de partì e fu costretta a stà a letto. Noi volevamo ritardà la partenza, ma ci disse di andare senza di lei, perché probabilmente, co’ quello che le era venuto, nun se sarebbe potuta alzà pe’ molto. A malincuore dunque partimmo, ma è inutile che vi racconti il viaggio. Arrivammo alla fine a questo santuario, lo sfarzo che ce stava lì mai l’avevo visto. Scoprimmo con sorpresa che quel luogo era abitato da vecchi barbuti che, come noi, spinti dalla curiosità s’erano incamminati, pe’ poi rimané là a fa’ li fabbri. – spiegò – Noi ce presentammo e spiegammo che nun volevamo nulla, solo vedé quel posto, ‘na volta fatto ce ne saremmo andati con la promessa de non rivelà nulla su quel luogo, eccetto ad Edna che c’aspettava. Fin qui tutto liscio, poi, ammetto, me venne la geniale idea de intrufolamme nelle fucine sacre pe’ vedé se veramente erano ‘no splendore come se diceva in giro. – bevve un lungo sorso di birra, lasciando il boccale vuoto – Nun me sono solo intrufolata là , ma ho provato a forgià ‘na spada con nun me ricordo quanti cristalli dentro, convinta che in quel luogo pe’ un fabbro tutto fosse possibile… Alla fine me sbagliai e de brutto, perché nun solo quella spada nun la forgiai mai, ma quei cristalli esplosero uno a presso all’altro e ‘sta reazione a catena butto giù tutto il santuario, facendo strage pure de li vecchi. Ne sopravvissero pochi, ma da quel che so da quel giorno il tempio restò disabitato, rimasero solo le fucine, dove stamo ad andà noi.- E dopo? – le chiesi. Yolanda mi guardò, seria.- Dopo fui espulsa dall’Accademia e me misi a vive lontano da Rema, a fa’ lo fabbro. La barba altri nun è che un omaggio a quelli vecchi barbuti, un omaggio che me ricorda costantemente che so’, che ho fatto e perché me trovo qui.“ Un omaggio che le ricorda chi è, cosa ha fatto e perché è qui †ripetei tra me. Yolanda il fabbro si era rivelata con una semplice frase una figura più complessa di quanto potessi pensare. Era ancora quella calma che tanto mi rendeva inquieta? Adesso quella sua calma, la sua stabilità , era da intendersi come forza di volontà , sacrificio… responsabilità ? Quella barba di cui non mi capacitavo era un segno indelebile di ciò che le era accaduto ed io, io che tanto mi ero posta al di sopra di lei, adesso andavo sentendomi sempre più imbranata… Ero affacciata alla finestra, stavo ammirando il cielo stellato. Ogni volta che uscivo dalla città mi fermavo un attimo a guardare gli astri, perché da casa mia non era possibile vederli in maniera così semplice come in quei luoghi dove non vi era inquinamento luminoso.Io ed i miei compagni ci eravamo salutati da un’oretta, durante la quale avevo impiegato il mio tempo riflettendo sugli ultimi avvenimenti: per circa una decina di giorni non era successo nulla, ma in quegli ultimi due dì erano accadute tante cose e, mi doleva affermarlo, avevo messo in discussione persino me stessa, mediante ciò che Niomòs e Yolanda dicevano e facevano, oltre ovviamente a ciò che dicevo e facevo io. I miei pensieri continuavano ad ingarbugliarsi senza sosta e più guardavo quella spada piena di bozzi ed ammaccature, addirittura spuntata, più mi convincevo che in fondo non stavo facendo poi una così brutta cosa a liberarmene, perché ciò che stavo facendo non era solamente un allontanarmi da un oggetto, ma stavo allontanandomi dall’Accademia, perché se Yolanda si era rivelata essere una costanza per il mio animo inquieto, allora significava che quel luogo in cui avevo passato qualche tempo della mia vita non era poi da lodare per avermi fatto conoscere i miei “terroriâ€, bensì era da lodare per avermi fatto capire, con un viaggio organizzato dalla stessa, che in realtà era un postaccio più di quanto pensassi, se era riuscita ad impormi così tanti pregiudizi.Sospirando rimembrai del mio arrivo in quel luogo: era una fredda mattina di Settembre, ero tutta imbacuccata in un piumino, mi muovevo faticando. I miei genitori erano con me, allibiti della mia scelta, e con noi c’era Pacifio, il quale, più dubbioso di loro, non credeva che quello fosse un posto adatto a me. Solo adesso capivo quanto quel preside avesse ragione… Tuttavia: perché ero rimasta? Avevo fatto una settimana di “prova†in quel posto, ero scoraggiata e stavo per andarmene, ma una persona mi fermò: mi voltai e vidi per la prima volta quello che poi sarebbe divenuto il mio maestro. Era stato lui a spronarmi ad andare avanti, addirittura aveva parlato, da quel che compresi prima della mia partenza, con il preside, che non era del suo stesso parere. Dovevo essergli grata o no? Gli ero grata per la costanza con cui mi aveva insegnato, ma, se, con la consapevolezza di adesso, avessi potuto tornare indietro, forse non sarei rimasta, se non per conoscere quei miei compagni di viaggio che si stavano rivelando non poi così malaccio.Socchiusi per un attimo gli occhi, respirando la brezza notturna…- AIUTO! AL MOSTRO! AL MOSTRO! – istintivamente sobbalzai, poi mi affaccia dalla finestra, in cerca di vedere.“ Possibile che io non possa mai avere un attimo di pace? †mi chiesi, scorgendo al di là di una casa un coso strano che inseguiva un paio di persone. Immediatamente tutte le luci delle case circostanti si accesero e vidi le persone bloccarsi di colpo di fronte a quella creatura, per poi urlare terrorizzate. Io francamente non ero da meno, anzi, ma l’avere accettato di affrontare il viaggio implicava prendere in mano la situazione: dovevo affrontare quel coso.Immediatamente scesi, spada alla mano. Arrivai in piazza, il mostro era accanto alla fontana, intento a buttarla giù. Era un coso orribile, aveva una testa umanoide con denti affilati che spuntavano dalle fauci, poi era tutto un miscuglio di braccia e gambe ed un paio di code che schioccavano come fruste. Quasi quasi preferivo quello ai baffi di Yolanda.- Cosa famo? – chiese a tal proposito la donna fabbro, appena arrivata. Era armata del suo martello da guerra pieghevole, devo dire un’ottima invenzione.- Bella domanda. – ed ecco arrivare anche l’altro – Quello è un Goscido, sulle palme delle mani ha delle piccole ghiandole che rilasciano acido al contatto e le code sono molto più taglienti di quel che sembra, però la cosa positiva è che è sordo ed ha un olfatto scarso, per affrontarlo vi consiglio di nascondervi e, quando possibile, saltargli addosso per fermarlo.- Penso mi sia venuta un’idea… Niomòs, sai tirare con l’arco?- Anche due, cosa hai in mente? Io e Yolanda stavamo facendoci inseguire dal mostro, intorno alla fontana. Dovevamo guadagnare abbastanza tempo affinché Niomòs salisse sul tetto per scoccare da lì delle frecce. Scartai di lato una zampata del mostro, rotolando su un fianco. Era veloce, dannatamente veloce. Yolanda gli diede una martellata su una piede, facendolo urlare di dolore, e dando a me il tempo per spostarmi dalla sua zona di presa.Vedendo che quel coso stava avvicinandosi troppo alla donna-fabbro presi una pietra e gliela lanciai contro, ottenendo così un mostro decisamente incacchiato.“ Oddei…†lo vidi venirmi contro e saltarmi addosso. Mi buttai velocemente a terra, facendo così sbattere quell’abominio contro un muro, stendendolo per un paio di secondi.- SCAPPA! – urlò Yolanda venendomi incontro per aiutarmi a rialzarmi. Non me lo feci ripetere due volte e mi tirai su per poi correre in direzione della locanda. Appena vidi Niomòs spuntare da un angolo del tetto fui immensamente felice.- SCOCCA QUELLE FRECCE! – lo vidi tendere gli archi, mirare ed infine scoccare. Le frecce partirono come fulmini, fendettero l’aria e si andarono a conficcare dritte nella testa del mostro. Il Goscido si portò le mani alla testa, emettendo un lugubre lamento, prima di stramazzare al suolo senza vita.Rimasi bloccata un paio di secondi, poi tirai un immenso sospiro di sollievo… - E’ m-morto? – chiese un uomo avvicinandosi alla carcassa, seguito da una piccola folla di persone. Io annuii. – Tornate nelle vostre case, penseremo noi al mostro… - comunicai, vedendoli piuttosto sconvolti. Non che io fossi da meno, sia chiaro, ma di mostri ne avevo già visti durante le missioni dell’Accademia. – Bruceremo il corpo lontano da qui. – detto ciò il gruppetto si disperse rapidamente.- Vado a chiede a Felisio se qualcuno ce può prestà dei buoi per trainà ‘sto coso. Tu vedi che nun s’avvicina nessuno, nun se sa mai quelle mani rilasciano ancora acido. – annuii e Yolanda tornò dentro, indicando il cadavere a Niomòs, appena arrivato. Guardò attentamente il mostro, chinandosi leggermente per osservarlo meglio, quasi ne fosse dispiaciuto.- Sai, - disse – quando ero piccolo ne avevo uno, me lo aveva regalato mia madre, poi però abbiamo dovuto abbatterlo perché impazzì. – mi avvicinai a lui, perplessa.- Questo era per te una specie di cagnolino?- Più o meno… Guarda, ha qualcosa tra le fauci. – allungò la mano e la mise nella bocca del mostro. Io personalmente non lo avrei mai fatto, più perché mi faceva ribrezzo che paura. – E’ un pezzo di stoffa. – me lo porse – C’è un disegno sopra… Un sole?- Eh?! – gli strappai l’oggetto dalle mani, infischiandomene della bava viscida che lo ricopriva. Quello era lo stemma della Compagnia del Sole!- Lo hai già visto?- E’ lo stemma della compagnia del mio maestro. – gli dissi – Ricordi quei due nella Foresta Azzurra? – gli chiesi. Niomòs annuì – Uno dei due aveva il mantello strappato, questo mostro deve averli attaccati, per questo sentivamo quei lamenti. – Niomòs scrutò con attenzione lo stemma, per poi tornare a guardare il mostro, con un’espressione di biasimo.- Questo qui è un cucciolo, di norma non dovrebbe essere aggressivo. Non credi che possano averlo portato loro?- Assolutamente no! Perché dovrebbero averlo fatto?Il dio scrollò le spalle. – Invidia, forse? Hai la possibilità di viaggiare con un dio e di visitare il Santuario del Fabbro Monco, potrebbe essere un ottimo pretesto per mandarti contro un mostro. Certo, però, ci sono mostri più forti e servizievoli dei Goscidi, se ti hanno mandato un cucciolo di questa specie è perché non ti prendono molto in considerazione.- No. No. No. – scossi la testa con vigore. Non poteva essere così, loro erano semplicemente lì per una missione o, al massimo, per proteggerci se la situazione si fosse messa male, non volevano farci del male. – Non è questo il motivo e non è vero che lo hanno mandato loro.Niomòs indicò la spada. – Se non sono invidioso vogliono semplicemente quella. Il cristallo al suo interno è il più raro che ci sia, probabilmente.- Mmmmgu…- Capisco che non ti vada giù, ma non puoi metterti a mugolare. – io lo guardavo, con aria interrogativa.- No, non credo sia così, ma io non ho detto nulla.- Ed allora chi è… - accadde tutto in pochi secondi: il mostro si rialzò di scatto, afferrando con una mano me e con un’altra Niomòs. Sguainai la spada ferendo il mostro prima che questi potesse stringere la presa ed ustionarmi mortalmente con il suo acido, poi mi arrampicai sulla sua testa, mentre il Goscido emetteva lamenti di dolore misti ad urla rabbiose.- Niomòs! – menai fendenti sul braccio che teneva il mio compagno, ma dovetti velocemente scansarmi prima di riuscire a fare qualcosa di concreto perché un altro braccio venne per afferrarmi.Scivolai sulla schiena dell’abominio, schivando per un pelo una delle code che stava per abbattersi su di me. Sentivo Niomòs urlare e cercare di liberarsi, ma non potevo avvicinarmi alla mano che lo teneva imprigionato.“ Ci sono! La testa! †pensai arrampicandomi sulla schiena del Goscido. Se non potevo fargli mollare la presa ferendolo, lo avrei ucciso, definitivamente.Il mostro si agitava ed io oscillavo paurosamente aggrappata a quella orribile pelle coriacea. Dovevo solamente infilzarlo, ma non ci riuscivo. I lamenti del mostro erano paurosamente umani, il suo portarsi gli arti alle ferite ricordava gli uomini, ma il mio amico era lì, nella morsa del Goscido. Cosa stavo facendo? Stavo esitando inutilmente. Il mostro si muoveva, ma non potevo mancare il bersaglio. Avevo semplicemente paura di uccidere, io, mi resi conto, non volevo fare del male.- VITTORIOSA! – era la voce di Yolanda. Mi parve anche di udire Felisio, ma non ne ero sicura.Sentii un “crackâ€, le ossa della mano del Goscido spezzarsi. Una nuvola di fumo liberata dalla mano del mostro si levò, avvolgendomi in una nube tossica. Stavo via via perdendo i sensi, sentii solamente che la spada mi fu levata di mano, poi uno “splat!†e non ricordai più nulla. Avevo accettato di fare da accompagnatrice per il viaggio. Saremmo dovuti partire quella mattina, aspettavamo solo il “sì†dei maestri. Ero ansiosa, avevo parlato con i miei genitori, i quali giustamente erano preoccupati. Oltretutto dovevo ancora conoscere quella che ci avrebbe guidati fino alla destinazione. Da quel che ho capito veniva da abbastanza lontano. Era arrivata solamente ieri pomeriggio, dopodiché si era subito messa a discutere con il collegio dei maestri, dal quale stavolta io ero stata esclusa.Avevo ingannato l’attesa di quella mattinata lucidando più e più volte il mio corpetto di cuoio e la spada da cui di lì a poco avrei dovuto separarmi.TOC-TOC!- Sì? – chiesi mentre continuavo a passare il lucido sulla lama.- So’ quella che deve accompagnà te e quell’altro. Movite, stamo a partì. – aprì la porta con estrema violenza, sbattendola al muro, il quale si crepò addirittura. Io la guardavo allibita: era una donna sulla cinquantina, una donna BARBUTA sulla cinquantina.- Svejate ragazzina, che dovemo da partì! - Aò, svejate Vittò, ce stai?- Ohi… Sì, sì… - ero appoggiata ad una sedia, Yolanda mi sventolava con una rivista. –… Cosa è successo? Adesso sono due volte che svengo in poco tempo… Non sono caduta in qualche fiume un’altra volta, vero?- No, no, pe’ ‘sta volta no, però sei svenuta pe’ li fumi dell’acido del Goscido, nun so se te ricordi. – era vero, ricordavo di stare sopra alla testa del Goscido, poi si sentì un “crack†e…- Niomòs dov’è? – le chiesi – Si è liberato dalla stretta del mostro, poi cosa gli è successo?- Nel lasso de tempo in cui è stato preso s’è tutto ustionato sullo torace, sta in un’altra stanza, a fasse medicà . Sai, nun lo pensavo, ma in ‘sto paesino c’hanno un mezzo ospedale, oh, molto più funzionante de quelli de Rema a momenti. – mi alzai, leggermente faticando. Era stata in parte colpa mia se il mio compagno si era fatto male, volevo almeno vedere come stava e… Scusarmi.- Devo parlargli Yolanda, per favore, accompagnami. – la donna mi aiutò a camminare fino ad una stanza poco lontana da quella piccola in cui mi trovavo. Bussammo ed una donna ci aprì, indicandoci un lettino su cui il dio se ne stava seduto, tutto fasciato e con un’espressione da cane bastonato. Non appena ci vide arrivare alzò una mano in segno di saluto, anch’essa fasciata.- E’ tutto a posto? – mi chiese girandosi verso di noi.- Io sì, ma tu mi sembri stare peggio. – indicai tutte le fasciature – E’ stata colpa mia in un certo senso. Scusa.- Sentirti dire “scusa†è un evento che ripaga il dolore. – rise beffardo – Non fa niente.- Te sei fatto tutto quello e nun fa niente? Aò, ora so sicura de potette piglià a calci. – Yolanda si incamminò, verso la porta – Qui ce potrebbe scappà la lite, io me ne vò de sotto ad aiutà quei poracci a levà il mostro che dovevamo levà noi. – e se ne andò, ridendo come un vecchio marinaio.- Adesso spieghi perché sei diventato improvvisamente buono. – gli dissi – E’ insolito che tu sia amichevole.Niomòs si affacciò ad una finestra, indicando il mostro a terra che veniva trascinato verso una zona rocciosa. Sospirò. – Sai, quando sei svenuta ho ucciso io il mostro una volta per tutte. E’ stato un bene che sia andata così ed è per questo che non sono arrabbiato, anche se la voglia di prenderti a calci non mi manca mai.- Perché dovrebbe essere un bene? – gli chiesi. Niomòs mi fece cenno di avvicinarmi alla finestra, poi mi indicò il mostro.- La morte dovrebbe essere naturale, se non per estremo bisogno un mortale non può permettersi di sottrarre la vita ad un altro. – si girò verso di me – Ho apprezzato il tuo gesto perché tu non lo hai fatto, hai esitato. Sai, quel cristallo nella tua spada è terribilmente pericoloso: il cristallo ha una volontà propria e se non si rispettano le volontà del cristallo questi si ritorce contro il suo possessore.- Di chi è l’anima dentro al cristallo Niomòs? Perché fa così? – gli chiesi, tirando fuori la spada dal fodero e porgendogliela. Egli la prese ed accarezzò il cristallo con fare malinconico.- E’ di mio padre, Vittoriosa. – io sgranai gli occhi. Nel cristallo c’era l’anima di un dio? Ero incredula – Mia madre lo intrappolò qui a seguito di qualche vicissitudine. E’ per questo che voglio il cristallo… - si risedette sul lettino, stringendo l’elsa in mano.- Ti va di raccontare? Tu ti sei messo a gironzolare nei miei sogni, così saremo pari.Niomòs sospirò, cercando di rinnegare quel moto di tristezza che lo stava iniziando ad attanagliare – Mia madre è la Dea Madre, come la chiamate voi, mentre mio padre era un semplice semi-dio, per cui non è che io sia propriamente un dio, lo sono solamente per tre quarti. – quello sarebbe stato un ottimo momento per una battuta, ma preferii non dire nulla – Mio padre aveva sempre sofferto per questa sua condizione, ma tuttavia continuava a vivere tranquillo con me accanto. Non vivevamo assieme a mia madre, perché mio padre, essendo comunque mortale, non poteva vivere nella dimensione degli dei e così mia madre, per non lasciarlo solo, gli aveva concesso di tenermi, venendoci a trovare. Il culmine della sua disperazione arrivò quando a me spuntarono le corna ed il paio di braccia in più: litigammo, perché io mi sentivo preso di mira dai mortali, così, in preda alla rabbia, gli dissi che sarei tornato da mia madre, perché egli non era adatto a crescere uno come me, perché egli non si avvicinava alla completezza neanche un po’. Mio padre si disperò a tal punto che iniziò a maturare l’idea che se voleva venire accettato dagli dei doveva per forza divenire un essere completo. – mi spiegò. I suoi occhi erano lucidi e le dita erano talmente strette attorno alla spada che pensavo potesse spezzare l’elsa. Probabilmente ero più triste io a vederlo così, essendo abituata al suo sorriso beffardo, che Niomòs a ricordare il padre – Non so come, ma trovò il modo per incanalare la mia essenza nello stesso cristallo in cui poi fu rinchiuso, così egli divenne un dio completo ed io un dio per un quarto. Si presentò quindi davanti a mia madre, mostrandole il cristallo con cui si era fuso, minacciando poi tutti che se non lo avessero trattato come loro pari avrebbe potuto fare loro la stessa cosa che aveva fatto a me. Il suo ostacolo fu però mia madre: ella era immune a quel cristallo e prima che potesse fare altro gli strappò la pietra dal petto, rinchiudendocelo. – spiegò, oramai sommerso dalle lacrime. Gli passa un fazzoletto.- Lo ha rinchiuso nel cristallo, ma i tuoi poteri? – gli chiesi – Non dirmi che tu sei rimasto..?Niomòs annuì, triste. – Sono finiti nel cristallo, con lui. Le uniche cose che mi sono rimaste sono l’immortalità e questa mia peculiarità di viaggiare nei sogni, donatami da mia madre al seguito delle vicende. – fece un lungo respiro, singhiozzando - Quando c’è stato il collegio ho preso la palla al balzo, sperando che se qualcuno fosse riuscito ad estrarre il cristallo avrebbe anche potuto aiutarmi… Se è vero che il cristallo ha una volontà propria, che sente, allora dimmi padre: perché lo hai fatto? Come hai potuto prendere sul serio ciò che ti ho detto accecato dalla rabbia?Gli strinsi un mano, amichevolmente. – Niomòs, deduco che se tua madre abbia preferito donarti questo potere di viaggiare nei sogni invece di restituirti tutti i tuoi poteri, la tua essenza, come l’hai chiamata tu, ci deve essere un motivo, non trovi?Si asciugò il viso con il dorso della mano, guardandomi negli occhi. – Tu hai ragione, un motivo c’è… Mia madre vuole che io e mio padre ci riappacifichiamo, ma egli non sembra darmi segni di questa riappacificazione. Mia madre ha inoltre aggiunto che se dovessi riuscire a rompere il cristallo e liberarlo se non riappacificati lo rinchiuderà nuovamente in un altro cristallo. Sono forzato da questo vincolo, vuole che siamo noi a decidere, non che sia un mio capriccio… Sono millenni che aspetto mio padre, vivo in preda al dubbio che non mi possa sentire…Vivere in preda al dubbio. Il dubbio era una costante nella vita di Niomòs, così come nella vita. Se prima avevo scambiato Niomòs un po’ per il mio dubbio, adesso potevo assimilarlo alla mia situazione, alla mia vita. Cos’era allora Niomòs per me? Il giovane dio era vita, il dubbio era ciò che mi spingeva a vivere.“ Senza il dubbio, †pensai “ il mondo sarebbe perfetto, stabile come l’Accademia vorrebbe, ma cos’è ciò che unisce queste caratteristiche? Una statua classica forse? †mi chiesi “ Ma una statua è morta â€Ed ecco quindi che uno degli interrogativi che mi era sorto nell’animo, il dubbio, aveva trovato risposta: l’Accademia altri non era che colei che diffondeva terrore e tutto questo lo avevo capito affrontando le mie paure, il terrore stesso che mi era stato instillato in quell’edificio lugubre.- Se in questo viaggio sei giunto ad aprirti, da scontroso che eri, io penso che tu possa riappacificarti con tuo padre, prima o poi.Niomòs sorrise, nel frattempo tirando fuori un qualcosa dalla tasca: un frammento. – Questo – disse – è un frammento che si staccò dal cristallo quando esplose nell’Accademia. Vorrei che tu mi forgiassi un pugnale con questo pezzo dentro. Se devo affrontare questo viaggio, voglio affrontarlo al meglio.- Perché io? Yolanda è un fabbro molto più abile di me.- Quando ho cercato di estrarre il cristallo sono stato respinto da esso, mentre tu sei riuscita a fonderlo in questa spada ed ad adoperarla, segno che mio padre trova in te qualcosa di positivo. – mi mise il frammento in mano – In fondo non devi essere una così cattiva persona, Vittoriosa. Riscaldai il metallo in una piccola fornace per renderlo malleabile, poi mi spostai vicino all’incudine per inserire all’interno il frammento. Lo presi e con delle pinzette lo poggiai nel punto in cui poco sotto avrei messo l’elsa. Presi il pesante martello da fabbro, tenendo ferma la lama con l’ausilio di un paio di pinze e battei, imprimendo il frammento nel metallo.Modellai il pugnale, poi continuai a battere la lama con moderato vigore e tanta cura, mentre Yolanda supervisionava ogni mia mossa e Niomòs studiava i passaggi con attenzione.Il calore era elevato, sentivo il sudore imperlarmi la fronte, le mani guantate divenire appiccicaticce. Quando immergevo la lama in acqua per temprare il metallo gli occhiali si appannavano, quando battevo con il martello sobbalzavano per il rinculo. Battevo, tempravo, battevo, tempravo. L’incudine assorbiva ogni mio colpo egregiamente ed io, che ero un fabbro principiante, miravo a migliorarmi, facendo divenire quel pugnale persino più resistente di quell’incudine.Misi la lama sulla mola ed affilai il filo, poi con una pietra finii di pulirla dalle imperfezioni visibili. Feci due piccoli buchi per inserire l’elsa e finalmente la misi dentro.Eccolo lì, il pugnale di Niomòs. Ci eravamo fermati nel paesino per un paio di giorni dopo l’attacco del Goscido, giusto il tempo per riposarci ed aiutare qualcuno, qualora ce ne fosse stato bisogno. Mentre ce ne andavamo diretti verso i monti mi fermai qualche secondo su un’altura ed ammirai per un’ultima volta dall’alto quella piccola cittadina che tanto era riuscita a fare nel mio animo, poi mi voltai e ripresi il cammino affianco ad i miei amici.Il sentiero era scosceso, ogni tanto mi ammucchiavo a terra, ma non tardavo a rialzarmi, animata da una carica che mai avevo avuto prima d’allora, anche il Sole che, alto nel cielo, picchiava sulle nostre teste sembrava non essere così opprimente mentre percorrevamo quella salita.Dopo quell’impervia stradina dovevamo addentrarci nel Monte Cenere e da lì sembrava che potevamo considerarci arrivati: il Santuario del Fabbro Monco era situato su un altopiano lì vicino.Camminammo tutto il giorno, fermandoci ogni tanto per fare una pausa e rifocillarci. Il nostro obbiettivo per quella giornata era trovare un posto sicuro per accamparci, niente luoghi in bilico o punti soggetti a frane. Continuammo a girovagare, trovandolo solamente in tarda serata: era un piccolo grottino all’apparenza sicuro, lì potevamo piantare la tenda tranquillamente e ripararci in minima parte dal temporale che aveva deciso di far capolino dopo quella bella giornata soleggiata.Piantai i picchetti della tenda mentre Niomòs accendeva il fuoco e Yolanda si accingeva a tirare fuori le cose da preparare. Passammo la serata tranquillamente, mangiammo e poi ci ritirammo nei sacchi a pelo a fare le ninne… Cavoli se stavo gelando….I due nella tenda sonnecchiavano come ghiri, solamente io ero l’unica che non riusciva ad appisolarsi. “Accopertata†uscii lentamente dalla tenda per fare un giro, visto che non riuscivo proprio ad addormentarmi. Pioveva incessantemente, il frastuono prodotto dalle singole gocce che si abbattevano sulle paresti di roccia era assordante, ma nulla, gli altri due ronfano alla grande. Mi incamminai per un piccolo cunicolo, fiaccola alla mano. I muri rocciosi mi ricordavano tanto quelli della grotta in cui avevo trovato il cristallo, perché erano incredibilmente ruvidi al tatto. Passai per un paio di strette stradine all’interno del monte, tornando indietro di tanto in tanto per non smarrire la via.Ad un certo punto mi bloccai di colpo: tra un passaggio e l’altro mi parve di aver sentito delle voci familiari. All’inizio mi ritrovai leggermente impietrita per lo spavento di sentire voci umane in quei cunicoli, poi, spinta dalla curiosità , mi avvicinai sempre più alla fonte del rumore… Passai quindi tra quelle viuzze rocciose, appiattendomi alla parete il più che potevo per non essere notata. I suoni si facevano sempre più distinti e mi parve anche di vedere il bagliore di qualche torcia. Quando arrivai nei pressi del luogo sospetto mi nascosi dietro un’enorme roccia, spiando ciò che avveniva dall’altra parte:- A quanto pare sono riusciti a scamparla. – non riuscivo a capire chi avesse parlato, dato che tutte quelle figure erano incappucciate, ma era senza dubbio una voce femminile. Mi sembrava quasi di conoscerla.- L’avevo detto io che dovevamo mandargli contro qualcosa di più pesante… - una voce nasale, mi ricordava tanto la mia durante i periodi del polline… Ma cosa voleva intendere Mr. Naso? Appizzai le orecchie:- Cosa dirà il maestro adesso? Se la prenderà sicuramente con me. – disse un altro.“ Il maestro? †mi chiesi “ Il maestro chi?! †quelle voci non solamente erano fin troppo familiari, ma adesso stavano iniziando ad insospettirmi, decisamente.- Credo che si arrabbierà … Piuttosto: pensate che se ne siano accorti?- E perché?- Perché tu, scemo che non sei altro, non hai fatto altro che infastidire quell’abominio!- Oh, già … Quello schifo mi ha anche strappato il mantello, guarda…Abominio, mantello, maestro, voci. Ah-ah-ah. No.Strinsi la roccia tanto da crearvi delle microfratture. “ Ditemi che mi stanno prendendo in giro, che sono su Ocarissima o su Giuochi a parte… †mi accasciai contro la roccia, abbattuta. La Compagnia del Sole ci stava effettivamente seguendo e per quale motivo? Eliminarci. Che volessero il cristallo? Probabile. L’unica certezza che avevo era che il maestro Innutillio, colui che nonostante tutto continuavo a rispettare, sembrava essersi rivelato un grande bugiardo. Ripensai alle parole di Felisio, quando, prima di andarmene in camera, la prima notte, gli chiesi chi fosse il Paladino che aveva salvato lui ed i suoi amici tempo addietro. “ Non ci disse il suo nome, ma aveva la barba rossastra e gli occhi neri, cercava un cristallo particolare†mi disse. In quell’istante ricordai che i brividi mi persuasero, ma adesso, adesso che ripensavo alla foresta, al mostro ed a quei tizi davanti al fuocherello, adesso non potevo più far finta di nulla, imputare il tutto a delle coincidenze, perché nel momento in cui realizzavo di essere riuscita ad affrontare parte delle mie paure ecco che ne spuntava una nuova, pronta a trafiggermi… Stavo alzandomi per tornare al campo ad avvisare Yolanda e Niomòs, ma, ovviamente, dovevo pur inciampare, figurati se le cose andavano tutte per il giusto verso. Mi venne quasi da pensare alla Legge di Muffin “ Se qualcosa può andare storto sicuro ci andrà â€, mannaggia quanto portava sfiga quella tizia…- Ehi, ma lo vedete anche voi?- Cosa?- C’è un coso che spunta dalla roccia lì!- Sembrerebbe quasi una… Coperta?- Cavolo, sì, è una coperta! Di chi è?Feci un bel respiro, dovevo rimanere paziente ed alzarmi, poi scappare senza farmi vedere. Presi la copertina, mi tirai su e, nell’attimo in cui vidi quei tre, tra cui Insonne, li salutai -l’educazione prima di tutto- ed infine scappai a gambe levate.- Inseguiamola! – sentii in lontananza. Le mie gambine erano corte, correvo alla velocità di bradipo morto, tuttavia, essendo relativamente piccola di statura, potevo sfruttare il luogo a mio favore, nascondendomi dietro un paio di rocce.E così effettivamente feci: riuscii a guadagnare un po’ di tempo e svignarmela, dritta verso l’accampamento. Con il cuore in gola percorsi a ritroso il percorso, stavolta tenendo ben sotto gli occhi la copertina in modo da non essere notata. Quando arrivai all’accampamento non potei fare a meno di notare che i due dormivano ancora beatamente. Feci irruzione nella tenda:- SVEGLIATEVI! – urlai battendo con le padelle – E’ urgente!- … Se po sapé che c’hai da urlà così tanto? Noi stavamo a dormì, sai com’è, de notte se dorme…- Stanno venendo a prenderci!- E chi ce vole?Sentii uno sbadiglio provenire dal dio rinchiuso nel sacco a pelo. – E’ qualcuno dell’Accademia. – si stiracchiò – Eri talmente sconvolta che nel sonno sentivo i tuoi pensieri a metri di distanza… Dove sono adesso?- Ci inseguono! – presi gli zaini – Mettete tutto via, dobbiamo andarcene prima che arrivino!- Troppo tardi. – io e gli altri ci girammo verso quel che rimaneva del fuoco: Insonne e gli altri due erano davanti a noi con le armi sguainate. – Voi non andrete proprio da nessuna parte. – sentenziò Insonne, avvicinandosi a noi – Vittoriosa, il maestro desidera che tu mi dia la spada.Niomòs mi guardò con un’espressione corrucciata che faceva tanto “te l’avevo dettoâ€, ma non disse nulla, si limitò a nascondere un braccio dietro la schiena, stringendo probabilmente il pugnale che aveva nel fodero. Dovevo carpire informazioni a quei tizi: i miei sospetti, quelli che –precisiamo- volevo rinnegare, sembravano essersi ritenuti veritieri. Dovevo sapere da cosa era spinto Innutillio. – Ed ha mandato te per prenderla? D’accordo che non sono un granché nel combattimento, ma questo è un insulto….Insonne strinse l’elsa della spada fino a far divenire bianche le nocche. – Il maestro si fida di me, mi ha dato il compito di eliminarti e prendere la spada, sai, il tuo è un viaggio “pericolosoâ€. Se non si fidasse sarebbe partito con noi, mentre ha preferito rimanere all’Accademia per il momento, ma non temere, arriverà .- Per arriverà intendi che lo vedrò? No, perché in quel caso non avresti fatto il tuo lavoro, eh. – sentivo Yolanda rovesciarmi insulti sottovoce e cose più leggere del tipo “se può sapé che cacchio te passa pe’ la testa? Rimbambalita che non sei altro!â€.- Cosa? No, no! Arriverà dopo che ti avremo eliminato. – si mise in posizione d’attacco – Avete delle ultime parole?- Sì. – alzai le mani, facendo finta di apprestarmi ad essere colpita, indicando una padella ai piedi di Yolanda, poi mi rivolsi agli altri due dietro ad Insonne – E voi? Permettono anche a voi di dire queste frasi da film? – quei due si guardarono, balbettando. Insonne mi guardò negli occhi nei pochi secondi che i suoi compagni presero a balbettare, poi, stufo, si girò per una frazione di secondo, giusto il tempo di fulminarli con un’occhiataccia.Mi abbassai di scatto e Yolanda afferrò la padella precedentemente indicatole, lanciandola dritta dritta in faccia a Insonne, che urlò dal dolore, lasciando cadere la spada.- AFFERRATE LE ARMI! – urlai ad i miei mentre lanciavo un boccale contro i nemici. Niomòs e Yolanda non se lo fecero ripetere due volte e, presi martello e pugnale, si lanciarono contro gli altri due.Io mi diressi verso Insonne, che nel frattempo aveva recuperato la spada. Anche egli mi venne incontro, menandomi fendenti vigorosi, ma lenti. Quella di Insonne difatti non era propriamente una spada, bensì era uno spadone, arma a due mani decisamente più pesante. Schivai i fendenti che mi mandava, girandogli attorno per farlo stancare. Ad un certo punto prese a roteare con l’arma, costringendomi a rotolare per terra per non venire colpita. Gli rotolai di fianco, afferrandogli una gamba mentre passai, sbilanciandolo. Quello perse per qualche secondo l’equilibrio, calando lo spadone a terra nella speranza di prendermi. Il colpo mi sfiorò quel poco che bastò per ferirmi un braccio. Urlai dolorante, portandomi la mano alla ferita sanguinante. – Tutto qui, VITTORIOSA?! – chiese. Insonne alzò l’arma e la calò su di me con un’espressione di trionfo sul volto.Vidi l’arma venirmi contro, inesorabile. Se anche fossi riuscita a schivarla non avrei fatto in tempo a bloccare il colpo successivo. Decisi quindi per il tutto per tutto: attaccare.Feci un grande respiro e, infischiandomene del dolore che cominciava a farsi sentire, ripensai a tutto ciò che il mio viaggio aveva comportato e mi dissi che non poteva finire adesso, sul più bello, perché il mio sogno ancora non si era realizzato.Lo spadone calò ed io lo schivai, seppur di poco, poggiando la mia spada sulla lama dell’arma e, con un balzo, mi aggrappai a Insonne, tenendolo fermo per le spalle, la lama della spada puntata al suo collo.Nel momento in cui costrinsi Insonne ad inginocchiarsi a terra sentii un tonfo: Yolanda con una mossa di body-slam si era delicatamente catapultata sugli altri due.- Bene. – dissi. – Non so per quale motivo il maestro desidera il cristallo, ma riferiscigli che ho imparato la lezione.- Sta arrivando, non pensare di farla franca. – sputò a terra – Non sei una minaccia per lui.- Non lo ero nemmeno quando gli soffiai il cristallo da sotto gli occhi. Una delle poche costanti nella mia vita accademica era stata buttata giù, anche se in compenso andavano aprendosi nuovi orizzonti: avevo riflettuto su ciò che avevo acquisito e, sorprendentemente con l’aiuto di chi adesso accompagnavo –o coloro che accompagnavano me, dipendeva da come si voleva guardare il tutto- , ero giunta alla conclusione che se il preside voleva allontanarmi da quel luogo lo faceva solamente per il mio bene e non solamente perché non credeva in me e che il maestro aveva scelto me per affrontare il viaggio perché era convinto che avrebbe potuto eliminarci senza destare sospetti, ricorrendo ad un incidente durante il cammino. Quel che il maestro del tutto ignorava però era che contro ogni aspettativa ero riuscita a fare amicizia con i miei compagni e che mai avrebbe ottenuto il cristallo per i suoi scopi, progetti dei quali non ero sicura, ma di cui avevo già un’idea.Avevamo legato Insonne e gli altri due scagnozzi nella grotta, mentre noi avevamo ripreso il cammino a marce forzate. Avevamo scalato una parete rocciosa ed attraversato innumerevoli cunicoli e stradine di montagna ed adesso, finalmente, ci trovavamo ad attraversare l’altopiano nevoso che segnava l’arrivo.Yolanda ci disse che quando lo attraversò lei era possibile notare in lontananza la figura del santuario, ma adesso che ne rimanevano solo macerie ciò non era più possibile. Ci aveva raccontato di una costruzione imponente e dall’architettura estremamente semplice all’esterno, mentre gli ambienti interni erano un tripudio di archi ed archetti, ricami e ghirigori, investiti dalla luce che proveniva da delle enormi vetrate che non era possibile visionare dalla facciata principale.Aveva poi parlato delle fucine: scorte di qualsiasi metallo e forni talmente potenti da scioglierli tutti, guanti talmente resistenti da poter permettere all’utilizzatore di toccare i metalli fusi senza subire alcun danno e molto, molto altro, tutto ciò che un fabbro avrebbe mai potuto sognare… Noi però non avevamo il tempo di ammirare tutto quello splendore, dovevamo estrarre il cristallo ed andarcene il prima possibile.A passo svelto ci muovevamo per l’altopiano innevato, silenziosi. Sembravamo dei puntini comparati con tutta quella vastità , delle piccole tremanti formichine.Ogni tanto qualche cespuglietto spuntava dal terreno, rompendo la monotonia di quel bianco con un verde sorprendentemente acceso… Ma non erano i soli: delle rovine grigiastre si vedevano in lontananza, c’eravamo quasi.Ci fermammo un attimino, guardandoci negli occhi, poi, come se fossimo nei pensieri l’uno dell’altro iniziammo a correre verso il Santuario del Fabbro Monco, speranzosi che potessimo agire senza intoppi significativi se ci fossimo lievemente affrettati.- Eccolo! Eccolo! – urlai in preda alla felicità . Lasciai lo zaino a terra e mi fiondai verso quelle macerie per cui tanto avevamo penato. – Oddei, eccoci, eccoci!- Aò, la spada me serve. – mi disse Yolanda, tendendomi la mano – Purtroppo c’è poco da festeggià , quello maestro tuo ce insegue, prima se sbrigamo mejo è, no? – le porsi la spada, ancora agitata per l’entusiasmo. Yolanda aveva perfettamente ragione, ma come si faceva a rimanere calmi? D’accordo, d’accordo, erano dei mezzi ruderi, ma cosa importava? Cavoli, avevo camminato per arrivare lì, IO avevo camminato!- Cosa farai per estrarre il cristallo? – chiese Niomòs.- Fonderà la spada e lo estrarrà con degli arnesi, poi lo farà raffreddare, immagino.- Esatto e questo è l’unico posto che c’ha forni così potenti da scioglie ‘sta cosa. – si infilò i suoi guantoni da fabbro – E’ ora de vedé se tutto ciò che se dice su ‘sto tempio è ‘na presa pe’ il sedere oppure ce sta qualcosa de vero.La vedemmo dirigersi verso un vecchio marchingegno polveroso fatto a prima vista di un metallo piuttosto strano. Doveva essere sicuramente il forno, ma non assomigliava per niente ai soliti forni che si vedevano nelle fucine.Aprì il forno, stava per inserire la spada, ma, un secondo più tardi la vedemmo volare in aria. La guardammo con occhi sgranati, era stata colpita da una freccia vagante… Già , ma chi aveva scoccato la freccia?Mi girai di colpo per guardarmi le spalle, ma non c’era nessuno che avanzava per l’altopiano e, oltretutto, la freccia non poteva provenire da quella direzione. Istintivamente ci mettemmo tutti e tre spalla a spalla, aspettando qualche segno di vita. Possibile che fossero più vicini di quel che pensassimo? Eravamo inseguiti, ma non credevo che Innutillio fosse a così poca distanza. Pensavo fosse questione di un giorno o due di vantaggio, dovevano aver per forza marciato di notte per raggiungerci.- Come volevasi dimostrare, siete caduti nella trappola. – ci girammo: la voce proveniva da oltre le rovine. C’era difatti un piccolo gruppetto di persone che stava risalendo la montagna. Innutillio era davanti al gruppo composto da circa sette-otto persone, tra cui Insonne ed i due dell’accampamento. Li avevamo legati come salami e Yolanda –non me lo sarei mai aspettato- aveva avuto la sadica idea di appenderli su uno strapiombo. Evidentemente dovevano averli trovati. – Dopo aver saputo che ne siete usciti vivi con il Goscido, ho ipotizzato che sareste arrivati per primi qui e difatti così è stato. Dovevo far in modo di accelerare i tempi e quale geniale idea se non scalare la montagna, prendendovi alla sprovvista? – disse Innutillio allargando le braccia, quasi in maniera tragica. – Grazie ancora per averci anche fatto riconciliare con il gruppo di Insonne. – il mio ex-maestro si stava avvicinando, seguito dal gruppetto. Bene o male conoscevo tutti di vista e sapevo che per la maggior parte erano tutti ex-allievi di Innutillio, adesso membri della Compagnia del Sole, mentre altri erano semplici allievi come me.Niomòs guardava con disprezzo il barbarossa e lo stesso faceva Yolanda che, ero sicura, lo stava anche mandando in un certo posto con il pensiero. – A me il cristallo.Avevo la spada ai miei piedi, la guardai un secondo, poi mi rivolsi ad Innutillio: - Perché? Spiegami il perché. Io mi sono sempre fidata di te.- Ed io ho sempre pensato che tu fossi una grande ingenua. – il piccolo plotone alle sue spalle ci fissava, armi sguainate. – Veramente credevi che avresti potuto entrare nella Compagnia del Sole? Tu che nemmeno avresti mai passato alcun esame se non avessi spinto il preside a tenerti nell’Accademia?- Pacifio era sicuramente n’omo migliore de te. C’hai pure ‘na barba brutta, oh. – Yolanda scuoteva la testa in segno di dissenso. - E pure ‘sta nullafacente de Vittoriosa è migliore de te come persona.Sentii le armi del gruppo cozzare l’una con le altre per l’agitazione. Tutti i membri indispettiti per ciò che Yolanda aveva detto della loro guida. Quello alzò la mano, per zittirli. – Cosa ne può sapere una come te? – le chiese Innutillio, girandoci attorno – Tu che, avida, hai ridotto questo posto così. Io non c’ero mai venuto, ma seguire te è come seguire Pacifio: tutto ciò che vi lasciate dietro sono impurità .- Non parlà del maestro così, sa! – Innutillio era stato allievo di Pacifio a suo tempo? Assieme a Yolanda poi?- Eravate compagni? – domandò Niomòs – Quel tipo che è morto quando ho preso il cristallo è stato il maestro di questo ladro? Quell’uomo fece scudo con il proprio corpo a dei ragazzi ed invece tu sei qui per ucciderci. Temo che tu non abbia appreso bene.Essere lì per uccidere. Cosa stava aspettando dunque? Voleva fare quella specie di monologo che tutti i cattivoni facevano? A me sinceramente sembrava più un dibattito od al massimo un dialogo, quello.Il gruppo era sempre lì immobile, mentre Inutillio continuava a girarci attorno, dando fugaci occhiate alla spada.- Quello che tu consideri un grand’uomo, dio, altri non era che la rovina di questo mondo: egli credeva che il male non andasse sradicato, bensì che le persone dovessero accettare di conviverci insieme. Non credi che sia sbagliato? – si fermò davanti a Niomòs, il quale lo guardava, carico d’astio – A questo mondo serve stabilità ! Giustizia! Serve il bene! Quell’invasato di Pacifio non capiva di stare sbagliando e guarda: tutta l’Accademia crede che sia bene fare così. Pensi sia giusto? – gli puntò un dito contro – Ma a te cosa importa in fondo? Tu sei un essere sopra a tutto, seppur adesso vulnerabile come un comune uomo.Niomòs sbuffò, guardandolo in cagnesco. Io cercavo di rimanere paziente, ma come potevo?- E’ a questo che ti serve il cristallo, Innutillio? Vuoi assoggettare l’Accademia?!- No. – si girò verso i suoi sottoposti – Quello che vogliamo è correggere.- Correggere? Perché non inizi a correggerti tu allora? – gli puntai il dito contro – Il preside ha voluto lasciarti carta bianca, probabilmente pensando di stare facendo la cosa giusta, provandoti a fare maturare da solo, ma tu hai continuato per la tua strada. Rifiutando quel che proponeva Pacifio dovresti capire che se uccidi noi fai del male e, se fai del male, sei da “correggere†anche tu. – scossi la testa – Prima di intraprendere questo viaggio ti ammiravo, ma pian piano ho iniziato a capire: l’Accademia non era il mio posto e tu, il maestro che tanto adoravo, con le tue idee altro non facevi che farmelo odiare di più, perché ciò che odio dell’Accademia, questo suo ideale di giustizia, non viene da Pacifio, ma da i tuoi pensieri ristagnanti, sappilo. Il mondo è bello perché vario e se esiste solamente il bene non si varia.Innutillio mi guardò nello stesso modo in cui mi rimproverava quando fallivo una missione o perdevo un duello. I suoi occhi neri e freddi mi avvolsero, cercando di farmi cadere nel baratro che contenevano. Io resistetti, poiché, seppur in fin dei conti ero solamente una Paladina pigra e sgangherata, quel viaggio mi aveva forgiato, così come io forgiai quella spada indistruttibile e bruttina che io portavo sempre al fianco.Cosa sperava di ottenere? Aveva veramente sperato che vedendolo tornare con il cristallo nessuno si sarebbe insospettito se avesse semplicemente detto che ci era accaduto qualcosa? E noi? Noi cosa speravamo? Speravamo di sconfiggere quel gruppetto ben armato ed addestrato, feriti e stanchi com’eravamo? Allora la domanda qual era?… In cosa speravamo? Nel legame che era venuto a crearsi tra di noi, in quella velata ironia che sempre aveva caratterizzato le nostre battute, perché dopotutto noi eravamo amici, ci volevamo bene, perché in fondo quel viaggio non sarebbe mai potuto essere pensato da soli, perché alla fin fine eravamo composti dagli stessi elementi e questo bastava per renderci un tutt’uno, uniti sia nel male che nel bene.Vedendo quei nemici avvicinarsi io e gli altri me ci stringemmo la mano, chiudendo gli occhi e levando la testa al cielo, assaporando quella brezza di montagna che andava portandoci dei fiocchi di neve. Il cristallo era lì, che ci osservava da terra.- E così questa è la fine del nostro viaggio? – chiesi, inspirando quell’aria fresca che tanto faceva bene ai miei polmoni.- Sembrerebbe de sì. Però c’è da dì che è stato bello finché è durato, no? – Yolanda, la donna barbuta.- Non lo avrei mai detto all’inizio, ma sono stato felice di stare con voi. Era tanto che i mortali non mi sembravano tali. – Niomòs, il Dio dei Sogni.Con il passare dei giorni avevo imparato a conoscerli, ad apprezzarli, e sotto sotto sospettavo che anche loro avevano fatto la stessa cosa di me. Ora eravamo là , nel bel mezzo di quel freddo altopiano, aspettando i fragorosi fendenti di quei felloni che forse avevano mal fatto proprio ciò che fuoriusciva dall’essere, quel fruscio fragrante della vita, fatto per far felici coloro che ne catturavano i filamenti, offrendo nel frattempo ad altri fantastici fratelli la possibilità di vivere forti delle proprie consapevolezze.E le spade arrivarono, ma anch’esse vennero a misurarsi con quello scoglio che faceva sciogliere persino i cuori più duri… Le lame erano state bloccate da quella che, inverosimilmente, poteva essere una barriera od un qualcosa di simile, ma che in realtà era tutt’altro. Sotto gli sguardi sconcertati dei seguaci, Innutillio balbettava, incredulo per ciò che aveva appena visto.Le nostre mani erano ancora legate quando ciò accadde, ma io, che ero lì a guardare, non volevo credere a ciò che vedevo, né, seppur ne ero a contatto, potevo afferrare la consistenza di quelle cose che si erano frapposte tra le lame e noi.Iniziai a tremare, cadendo di lì a poco sulle ginocchia, e lo stesso fece Yolanda non appena lo vide: Niomòs, quel Niomòs che tanto io quanto la donna-fabbro avevamo considerato all’inizio un inutile scansafatiche, era adesso lì inginocchiato con la spada di Innutillio in petto e le altre due, destinate a me e Yolanda, in quelle ali nerastre e spennacchiate che mai avevo visto e che, probabilmente, era la prima volta che vedevano la luce.In lacrime continuai a tenergli la mano, chiedendogli il perché.- Io… Coffcoff… - tossiva sangue - … Io l’ho fatto per voi! – e scivolò piano a terra, continuando a stringerci le mani. Innutillio aveva adesso raccolto la spada con la quale aveva la poco insolita intenzione di finirci, beffardo, ma a noi non importava, perché una parte del nostro io era crollata e questo già aveva fatto per ucciderci. Si avvicinò a noi. – E’ giunto dunque il vostro momento, ammirate il cristallo! – impugnava la spada, la quale adesso emetteva un forte bagliore argenteo. Il braccio gli tremava fortemente, il cristallo sembrava stare per fuoriuscire dalla spada per quanto la impugnava fortemente.Io, a terra, quasi sentivo le ossa della mano del giovane dio spezzarsi per la forte stretta che gli dava Yolanda, anch’essa col viso rigato. Quello era il momento, il momento più adatto per urlare, con tutte le mie forza, come mai avevo fatto prima d’ora. Cantare il mio dolore, la disperazione nel sapere che uno di colore che mi aveva allontanato dalla solitudine giaceva adesso a terra.Ed in quel momento lo sentii veramente: un “crack†deciso… Ma non era il rumore di ossa spezzate, era altro.Vidi chiaramente Innutillio cacciare un urlo di paura nel momento in cui vide il cristallo spaccarsi in tanti piccoli pezzi e far fuoriuscire da esso una figura, uno spirito, dalle fattezze umanoidi: tutti vedemmo quindi levarsi nel cielo quest’uomo avvolto da un bagliore dorato, avente occhi e capelli del medesimo colore. Illuminò il cielo, facendo sciogliere un poco la neve attorno a noi. Quell’essere ci scrutava, non accennando ad alcun espressione.- MORTALE! – la sua voce era un tuono – TU CHE HAI PRESO IL CRISTALLO: COME HAI OSATO?! – la figura guardava Innutillio ed anche noi ed il plotone lo facevamo, timorosi. Innutillio non disse nulla, fece solamente cadere a terra la spada. – HAI ALZATO LA SPADA VERSO COLUI CHE PORTA IL MIO SANGUE?!Il padre di Niomòs. Avevamo davanti il padre di Niòmos. Vidi Innutillio indietreggiare verso il plotone, ma loro, vedendolo arrivare, si scansarono. – VOI, MORTALI, COME AVETE POTUTO?! – adesso era rivolto al gruppetto intero. Tremavano come foglie, avevano posato tutti le armi a terra ed avevano alzato le mani in segno di resa.- C-chi sei tu? Il cristallo è un animoforo, l’anima non può uscire! Io ti avevo in pugno, ti controllavo! – urlò Innutillio, allibito.- I CONTENITORI POSSONO ROMPERSI SE TROPPO PIENI: LA MIA DIMORA ERA SATURA DI DISPERAZIONE PER IL TUO GESTO! IO SONO LAETUS, PADRE DEL DIO DEI SOGNI! – vedemmo comparire un portale proprio sopra le teste di Innutillio ed il gruppetto. Quelli alzarono lo sguardo, tremando – VOI, MORTALI! – ed adesso era rivolto a noi. Emanava ira da tutti i pori, altro che Laetus di nome. Il suo sguardo calava sul corpo del figlio, ancora aggrappato alla mano mia e di Yolanda – MIO FIGLIO… MIO FIGLIO E’ MORTO PER VOI. CON LA VOSTRA PRESENZA AVETE RESO FELICE IL SUO ANIMO. COSA AVRESTE FATTO VOI?- Me sarei buttata pure io pe’ quel buono a nulla de tu’ figlio. Quando entrava nei miei sogni nun me pigliava pe’ i fondelli, ma me stava a sentì, sobbarcandose de tutti li miei problemi. Perché io nun dovrei fallo? – rispose Yolanda. Ed io?Io sospirai, poi guardai negli occhi Laetus e risposi alla sua domanda: - No, – lo spirito si accigliò – all’inizio non lo avrei fatto e forse nemmeno a metà viaggio, ma adesso? Adesso forse sì, perché gli sono grata per avermi fatto dubitare di me, avermi fatto capire di stare sbagliando strada.Un minuto di silenzio. Laetus restò immobile e così facemmo noi.Il minuto passò. Lo spirito chiuse i suoi occhi dorati, rivolgendo un ultimo sguardo a me e Yolanda e soprattutto al figlio, a terra.- SEI RIUSCITO A LEGARE CON GLI UOMINI, SEI RIUSCITO A LEGARE CON GLI DEI. – allungò una mano verso il figlio – SUPPONGO CHE A TE NON IMPORTI ESSERE, TU VUOI VIVERE, CONTINUARE A GIOIRE CON QUESTE PERSONE. EBBENE FIGLIO MIO, SONO PRONTO A CREDERTI ADESSO, SONO PRONTO AD IMPORRE LA PAROLA FINE A QUESTI ANTICHI DISSAPORI. – lo spirito prese a splendere più brillante che mai – E SE NON NE HAI BISOGNO TU, NON NE HO BISOGNO NEMMENO IO.Il cielo si illuminò di una luce dorata che ci accecò per qualche secondo, nel cielo continuavano a riecheggiare parole strane, ma mi parve quasi di udire un “grazie, mortaliâ€. Epilogo -Il cielo Ricordo ancora che quando la luce scomparve dal cielo anche Laetus se n’era andato. Al suo posto vi era un grande Niomòs che non sapevo dire se fosse veramente lì o se non ci fosse.Adesso mi sembrava quasi di vederlo, quel “grande e potente dio†che sarebbe dovuto essere. Egli non batté ciglio, sollevò solamente Innutillio e gli altri da terra e li mise nel portale, che poi Niomòs ci disse condurre ad una prigione. Durante il trasporto avevo chiaramente sentito Innutillio urlare “ è la giustiziaâ€, ma non capisco se fosse quasi contento di ciò che era successo o se solamente era adirato per esserne uscito perdente, ciò che sapevo con certezza era che a me, a dirlo con sincerità , non fregava nulla.Quel che adesso mi importava era che io, Niomòs e Yolanda eravamo davanti alla forgia del Santuario del Fabbro Monco, esattamente un anno dopo che lo lasciammo.In quell’anno erano successe molte cose: io mi ero ritirata dall’Accademia, che adesso aveva come preside Justa e sembrava essere ritornata alla normalità , ed avevo deciso di prendermi un po’ di tempo per riflettere, Yolanda aveva deciso di trasferirsi a Rema per passare del tempo con l’amica Edna, insieme alla quale avevano aperto un piccolo centro di bellezza (chi l'avrebbe mai detto?), mentre Niomòs sembrava avere avuto un periodo di discussioni continue con la madre, ottenendo però ciò che voleva: tornare a convivere con il padre, il quale sarebbe stato reso immortale dalla Dea Madre… Con la sola clausola che sarebbe dovuto divenire, come lo aveva definito lui, “Guardianoâ€. Di chi o di cosa non aveva specificato, ma io avevo preferito non chiedergli nulla.Adesso eravamo tutti e tre lì, davanti alla forgia. Sostanzialmente eravamo rimasti gli stessi, anche Niomòs che era tornato alla “normalità †non era cambiato.- E’ tempo de giurà . – disse Yolanda porgendoci ciascuno un ciondolo.Quei ciondoli li avevamo ricavati dai frammenti del cristallo ed adesso era il momento di indossarli.- Giuro che onorerò la nostra amicizia ed il segno di questa sarà questo ciondolo che terrò con me affinché io non dimentichi mai. – giurò Niomòs, indossando il ciondolo.- Giuro che mai me sognerò di non esse felice e segno della felicità mia sarà ‘sto ciondolo. – disse Yolanda, mettendoselo al collo.- Giuro che imprimerò nella mia mente sia i ricordi belli sia i ricordi brutti e segno di ciò sarà questo ciondolo che ne racchiude l’essenza. – conclusi e misi il prezioso simbolo, dando un ultimo sguardo ad i miei amici ed il cielo sopra al santuario: il freddo che tingeva tutto di un azzurrino pallido, le nuvole che lo solcavano, gli uccelli… Ed alla fine, notai, colei che sognava aprì gli occhi, illuminando il cielo di una tinta mai vista. N.D.A.Scusate per l'eccessiva lunghezza, ma quando vengono idee strampalate le si deve pur scrivere, no? Comunque, il messaggio è stato modificato perché il testo non entrava tutto, spero di non aver combinato disastri >.<" Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
Saphira Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell'autore: SaphiraTitolo: La Tigre Bianca e il Lupo NeroElaborato:Sentivo la gente correre e gridare, le loro urla riempivano l'aria. Il fumo e il calore rendevano difficile respirare. Annaspavo, cercavo a tentoni una via d'uscita da quella prigione di fuoco. Vedevo solo una sagoma nera stagliarsi sulle fiamme, il mio unico pensiero, il mio unico obbiettivo. "M-mamma!" Gridai terrorizzata, la voce rotta dal pianto. Ma la figura continuava a darmi le spalle, senza accennare il minimo movimento."MAMMA!"Ma perché non si voltava? La mamma era lì, davanti a me, ne ero certa. Era lì per consolarmi, per farmi sentire meglio. Ma non mi veniva incontro. Non veniva ad abbracciarmi. Perché?"Mamma!" Tentai di nuovo di chiamarla."M-mamma?"Provai ad avvicinarmi, facendomi strada tra le macerie.Arrivai accanto a lei. Paura e orrore si impadronirono di me. Il tempo si fermò. Non sentivo più le urla venire da fuori. Iniziai a tremare. Trattenni a stento un grido. La m-mamma… l-lei… Non riuscivo a staccare gli occhi dal sangue; sangue ovunque, il suo sangue. E dal suo viso, il suo viso contorto in un'eterna smorfia di dolore. La sua mano ancora premuta sul ventre squarciato...Mi svegliai di soprassalto, sudata e ansante. Mi guardai intorno, disorientata, cercando di capire dove mi trovavo."Mamma?" Sussurrai. Ma di lei nessuna traccia. Per quanto lontano guardassi vedevo solo alberi. Respirai profondamente e cercai di calmarmi.Era solo un sogno; un sogno orrendo, ma pur sempre un sogno. Tranquilla. Dopo qualche secondo tornai in me.Ok, che ora sarà ?Guardai in alto: oltre le cime degli alberi si scorgeva un cielo blu come il mare, trapuntato di piccoli bagliori argentei. Era ancora notte fonda; non avevo dormito più di un'ora.Tesi le orecchie in ascolto, cercando rumori di passi o qualunque altro suono avesse potuto tradire la presenza di qualcuno. Silenzio. Sospirai, sollevata. Piegai la coperta e la infilai nella sacca. Estrassi da una tasca un pezzo di pane. Mi alzai in piedi e mi strinsi nel mantello. Sbocconcellando la mia misera colazione, mi incamminai verso il rifugio. Com'era assurdo pensare che solo tre mattine prima ero a casa mia, seduta accanto a mia madre, intenta a rattoppare un vecchio mantello logoro. Mamma è una sarta; no, era una sarta. E io un'apprendista. Vivevamo insieme a Papà in un villaggio di nome Ranth, sotto la collina di Collefumo. Sì, è strano come nome, ma si adatta perfettamente ad una collina dove c'è nebbia un giorno si e due no.Papà è un Protettore, una guardia scelta per una sua particolare abilità con il compito di proteggere i confini del villaggio. Lui è specializzato in metamorfosi, per questo lo hanno scelto. Tutti gli Adu possono trasformarsi, ma lui è un mago particolarmente abile: riesce a mantenere il controllo anche in altre forme.In quel momento non sapevo dove fosse: dopo l'attacco era andato incontro ai nemici per dare il tempo agli altri di scappare, ma poi non l'avevo più visto. Gli Orchi della Vetta ci attaccavano spesso, ma quella volta riuscirono a entrare a Ranth senza essere visti; incendiarono case e uccisero un sacco di persone, tra cui mia madre…Quella notte ero di guardia. Scappammo in pochi e io ero l'Adu più abile nell'arte magica. Nonostante non fossi proprio bravissima Papà mi aveva insegnato bene. Io e i combattenti migliori ci eravamo presi l'incarico di rimanere fuori dal rifugio per proteggere gli altri in caso gli orchi ci avessero trovati. I sopravvissuti erano nascosti in una grotta nel cuore di una foresta sul fianco di Collefumo; in quel momento ci sembrava un posto abbastanza sicuro. Ecco, sono quasi arrivata. Math dovrebbe essere qui per darmi il cambio. Cercai la seconda guardia fra i cespugli, ma un rumore di passi dietro di me attirò la mia attenzione. C'era qualcuno che mi seguiva; no, erano in tanti e camminavano facendo attenzione a non fare rumore. Probabilmente pensavano che non mi sarei accorta di loro, e fino a quel momento avevano avuto ragione, ma le foglie secche li avevano traditi. Erano orchi, non avevo alcun dubbio. Avevo dalla mia l'effetto sorpresa.Ok, rilassati. L'incantesimo è difficile, ma lo sai eseguire. Non è la prima volta.Concentrati. Respira. Uno…Due…Tre.Un pensiero, un attimo. Caddi carponi. La vista annebbiata. Un fuoco nel petto. Il calore si diffondeva; potevo sentirlo passare nelle membra, una vena dopo l'altra.Sudavo, ansante. Lentamente, le ossa si sistemavano; i muscoli, vibranti, si preparavano. Una morbida pelliccia cominciava a ricoprire il mio corpo tremante. Dopo pochi secondi ero pronta. Aprii gli occhi. Ringhiai.Ora farete i conti con me.Con i miei nuovi occhi riuscivo a vederli nitidamente al buio: erano una quindicina, un piccolo gruppo mandato a cercare superstiti; sarebbe stato un gioco da ragazzi spaventarli. Mi lanciai nella loro direzione, rapida come un fulmine e silenziosa come un fantasma. Riuscivo a sentire il loro lezzo, percepivo il loro respiro. Puntai verso il più grosso, probabilmente il capo, e balzai fuori dal sottobosco, atterrando proprio accanto a lui. L'orco si girò di scatto e mi guardò: vedevo il terrore nei suoi occhi. Gli altri urlarono per la sorpresa e si sparpagliarono, cercando di estrarre le armi. Senza pensarci saltai addosso all'orco e gli azzannai un braccio. I miei denti affondarono nella sua carne e dalla ferita sgorgarono fiotti di sangue caldo verdognolo. Urlò. Con l'altra mano mi afferrò il muso e mi scagliò con forza contro un tronco. Adesso il suo sguardo non tradiva più terrore, ma rabbia. Sfoderò quella che sembrava una sciabola e si lanciò nella mia direzione. Ancora stordita dal colpo mi rimisi in piedi e lo caricai a mia volta. Ci scontrammo a metà strada: io addentai il manico della sua arma, gettandola lontano, e lui mi colpì con una testata. Caddi a terra e vidi che altri quattro orchi mi venivano addosso, le sciabole nere in mano. Feci appena in tempo a spostarmi e ne evitai tre. Il quarto colpo andò a segno, ferendomi profondamente all'altezza della zampa posteriore destra. Il dolore mi accecò.Calmati. Respira. Vedevo il mio sangue sporcare il terreno. Non potevo più correre, non potevo schivare altri attacchi. La mia pelliccia scura non sarebbe bastata a nascondermi nel buio. Ero spacciata. Proprio quando avevo perso ogni speranza sentii un ruggito. Lo conoscevo quel verso. Papà ?Emisi un forte ringhio di risposta. Un attimo dopo vidi una grossa tigre bianca balzare addosso agli orchi che si trovavano vicino a me. Altri enormi felini la seguirono e in pochi secondi sconfissero i nemici rimasti. Tra loro c'era anche Math. Non potevo essere più felice.Ruppi l'incantesimo e andai, zoppicando, incontro a mio padre. Lui tornò nella sua forma originaria: un uomo alto e robusto con i capelli argentati e gli occhi lucidi scuri come la notte. Corse verso di me e mi abbracciò."Galad! Mio Dio, come sono felice di averti ritrovata!""Papà !" Scoppiai a piangere.Dopo il ritorno dei Protettori gli Adu poterono tornare al loro villaggio, dove vivono serenamente ancora oggi. Io sono entrata a far parte delle guardie qualche mese dopo, quando finalmente guarì il taglio. Ora proteggo Ranth insieme a mio padre; nessun orco osò più attaccarci da quando la Tigre Bianca e il Lupo Nero iniziarono a vegliare sul villaggio. Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
MontiShurtugal Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell’autore: MontiShur'tugalTitolo: L'eredità della leggenda.Elaborato:PrologoNotte. Una figura alta e massiccia sta camminando nell’oscurità . Un cunicolo, forse. Si sentono passi affrettati e urla, un insistente clangore metallico, da sopra la sua testa. L’essere affrettò il passo. Indossava un’armatura. Scura, inquietante. Portava un cappuccio sul capo, e le braccia scoperte, fasciate da garze sporche di un liquido viscido. Sangue, forse. D’improvviso, lo stretto tunnel si aprì in una grotta. Illuminata d’azzurro. Al centro, su una piccola colonna in pietra, finemente intarsiata, dei guanti. Guanti in acciaio. Acciaio blu. L’essere li mise, e una luce accecante proruppe da essi. L’essere emise una risata.Capitolo 1 – Risveglio Movimentato“Sveglia, dormiglione, è l’alba già da mezz’ora! Neanche avessi passato due giorni nel bosco a cacciare!â€â€¦.. Infatti il cervo che sta in dispensa si è materializzato dal nulla, penso. Mio padre sa sempre come metterti di buon’umore la mattina.Dopo essermi ripreso dalla nottataccia, vado in cucina a prendere qualcosa per colazione, e nel mentre cerco di instaurare un minimo di conversazione, in modo da non passare per uno zombie: “Comunque, ho fatto quello strano sogno anche stanotte, quello del tizio nel tunnel…†“Strano†- mi risponde - “Forse potresti fare qualche ricerca per vedere se ha un significato particolareâ€. Mugugno una frase di assenso e mentre sto per addentare del pane, papà mi dice “Vai ad aprire tu, per favore?â€. Lo guardo basito, e dico “Ma che diavolo stai….â€*THUM THUM THUM* “GUARDIA REALE, APRITE LA PORTAâ€â€¦ ecco, dovevo aspettarmelo. “Questa poi me la spieghiâ€, dico. Lui sorride divertito, del resto oramai gli rimangono solo questi trucchetti per ingannare il tempo, è un’era di pace ben diversa da quando era ragazzo. Apro la porta e vedo una persona alta più o meno quanto me, un uomo non giovanissimo, con i capelli tendenti al grigio, ma con occhi azzurri e un fisico invidiabile. Indossava una tunica rossa e gialla, semplice ma di grande effetto. L’ultima cosa che notai fu la corona che portava sulla testa. “M-maestà ?â€. Il re mi rispose come se nulla fosse: “Ah, tu devi essere il figlio di quel diavolo d’uomo! Murtagh, dico bene? Sono felice di conoscerti, tuo padre mi ha parlato spesso di te.†“S-sì, maestà , sono io. E–ecco….. p-per me è un piacere e un onore c…†mio padre mi interruppe: “Ma smettila con i convenevoli e invita quel pezzo d’asino a sedersi, Murtagh! Ormai è parecchio che non ci vediamo! Come mai nelle campagne del regno? E non dirmi che è solo per far visita a un vecchio amico perché non ci credoâ€. Il re cambiò espressione di colpo: “Purtroppo questa non è una visita di cortesia. Ho bisogno del tuo consiglio, Merlino.â€Siamo seduti a tavola: io, papà , il re e la sua guardia del corpo. Artù comincia a parlare: â€œÈ successo stanotte. Qualcuno si è infiltrato nella cittadella, senza che nessuna guardia potesse vederlo. È riuscito a penetrare in uno dei numerosi tunnel sotto il castello, poi ha sfondato un muro preciso, quello con cui avevamo bloccato l’ingresso del dungeon. Sì, Merlino, QUEL dungeonâ€, precisò, dopo aver visto l’espressione di mio padre. “Alcuni soldati lo hanno sentito, e hanno provveduto a sbarrare le grate di fuga. Due ore prima dell’alba, ha forzato lo sbarramento e ucciso le guardie. Dopodiché, si è diretto verso il castello, ne ha reclamato il possesso e mi ha lanciato un ultimatum: ho ventiquattro ore per trovare un uomo che lo sconfigga, oppure si prenderà la mia testa e il mio regno. Ovviamente crede che io non sia al suo livello, e potrebbe avere ragione.â€. Io ero esterrefatto, la guardia aveva una faccia funerea. Persino papà era preoccupato. “Ha trovato qualche reliquia?â€, chiese. “Sapeva cosa cercare, Merlino. Ha trovato i guanti dell’Elementaleâ€, rispose Artù. Non sono riuscito a trattenere la curiosità : “Ehm… cosa sono i guanti dell’Elementale?†mi rispose mio padre: “Guanti appartenuti ad un mago molto, molto potente. La sua armatura gli consentiva di controllare gli elementi: la corazza fornisce il dominio sul fuoco, i gambali il controllo della terra, l’elmo di manipolare l’acqua e i guanti permettono di controllare il fulmini. Si dice che ogni grande capitale del mondo possegga uno di questi pezzi, ma nessuno sarebbe così pazzo da rivelarlo pubblicamente. Piuttosto, Artù, sai dove sia questo mitomane? Ma soprattutto, vi ha rivelato il suo nome?â€. Ci fu uno scambio di sguardi imbarazzati tra il re e la guardia, che infine rispose: “Ha detto che aspetterà il re e il suo avversario sul suo trono. Si è definito come Gùrdan, il dominatore del Cielo.â€. Dopo una breve pausa, papà disse:“Bene, bene….. Direi che la soluzione a questo dilemma esiste, ed è proprio qui davanti a noi: Murtagh, datti una lavata e cambiati d’abito, devi sbrigare una commissione a Camelot.â€. L’attenzione del gruppo si spostò su di me.Perché mi fissano? Papà mi ha solo dato una commissione…… Aspetta…. “Stai dicendo che sono IO il campione che deve battere quel pazzo?!? Ma cosa ti salta in mente? Non so neppure reggere una spada, figuriamoci abbattere qualcuno che ha il controllo dei fulmini! È già tanto se riesco a uccidere qualche cervo e pescare qualche trota!†“In effetti – disse Artù – io contavo più sul tuo, di aiuto. Tuo figlio mi sembra un po’ gracilino per riuscire a tenere testa a un potere del genere. Le tue magie, invece, possone essere d’aiut-†“No. Ho detto che sarà Murtagh a farlo. Procurartegli una semplice cotta di maglia e una spada in ferro, non ha bisogno d’altro.†Papà è stato inamovibile per altre due ore, dice che è il mio turno di far mostra delle mie magie e che Artù si deve fidare.Che poi, quale sarebbe questa “magia†che devo mostrare ad Artù? E perché papà non è voluto venire con noi, se continua a parlarmi dei “vecchi tempiâ€? Beh, se non altro, finalmente vedrò la capitale.Capitolo 2 – FulminiIl viaggio è stato breve, in un’ora di cavallo siamo arrivati a Camelot. Il cielo era cupo, grosse nuvole nere coprivano il cielo sopra il castello, roteando su loro stesse. Un leggero vento, carico di paura, spirava dalla città . Cionondimeno, la cittadella era imponente. Le mura erano alte almeno venti metri, costruite con una pietra bianchissima e molto liscia. Dalla cima, pendevano dei drappi lunghissimi, oro e rossi, con il simbolo della casata Pendragon in nero. Ma la cosa più incredibile era il portone: alto quattro metri, in ebano, era contornato da una striscia di metallo. Al centro di entrambi i battenti, spiccava il dipinto di un drago color oro, che sputava fiamme rosse. Ne varcai la soglia meravigliato e allo stesso tempo intimorito. All’interno, le strade erano lastricate con la stessa pietra delle mura, e c’erano molte case in muratura. “Andremo prima nella caserma, in modo da procurati una spada e una maglia della tua misura†disse Artù. Abbiamo attraversato tutta la città , passando per le strade principali e molte piazze. La città era deserta. “I cittadini hanno paura – chiarì Duncan, la guardia del corpo del re – quindi preferiscono barricarsi in casa e pregare che il re risolva questa situazioneâ€.“Perché non lasciano la città ? Se la situazione dovesse sfuggirci di mano, sarebbero in pericoloâ€, dissi. La risposta mi fece rabbrividire: “Alcuni ci hanno provato. Appena hanno varcato la soglia della città , però, un fulmine è caduto su ognuno di loro. Quasi tutti sono morti sul colpo. Artù ha dato l’ordine di non uscire dalla città â€.Mi sto provando la cotta di maglia nella caserma. Era divisa in due parti, entrambe costruite da piccoli anellini agganciati uno all'altro, come a formare la trama di un tessuto. Non riesco nemmeno a immaginare la quantità di tempo necessaria a forgiare un oggetto del genere. A prima vista, sembrava leggera, ma dopo averla indossata, capisco che così non è. I miei movimenti sono goffi, impacciati, per poco non perdo l'equilibrio. "Credo che questa sia troppo pesante per te - mi spiega Duncan - vado a cercartene una più leggera, ma della stessa misura. Tu intanto dà un'occhiata alle spade". Mi sfilo l'armatura e mi guardo intorno. Vedo una rastrelliera di spade sulla parete dietro di me. Ce ne sono di tutte le forme: corte, larghe, sottili. Una è letteralmente enorme: la lama era lunga piú di un metro, ed era molto larga. Provo a sollevarla, ma la punta resta sollevata di 10 centimetri dal terreno. Assolutamente inutilizzabile. Ne trovo una che mi sembra adatta. È lunga quasi un metro, ma stretta e abbastanza leggera. L'elsa era semplice. Insomma, una normalissima spada. "Ah, una spada lunga - esclama una voce dietro di me - beh, suppongo sia la più adatta a qualcuno non avvezzo alle armi". Mi giro, e vedo Artù in un'armatura a placche, completamente dorata. Nello stesso istante, Duncan torna con la mia cotta di maglia "Sire, non pensavo combatteste anche voi", dice. La risposta di Artù é schietta: "Beh, se Murtagh fallisse, di certo il nostro avversario non mi offrirebbe una cena, quindi tanto vale essere preparato. Forza, ragazzo, cambiati, ci dirigiamo al castello".Stiamo attraversando le stanza della reggia, in direzione della sala del trono. I corridoi pullulano di soldati in tenuta da guerra. Artù sta cercando di motivarmi con un bel discorso e dandomi molti consigli, ma la paura mi attanaglia le viscere talmente violentemente che non riesco a concentrarmi su nulla, se non sui miei passi e i miei respiri. Sempre più affannosi. D'un tratto, sono costretto a bloccarmi. Davanti a me si staglia una porta in legno, intarsiata da mille fregi. Sento Artù scuotermi la spalla: "Ehi, Murtagh, calmati. Devi stare lucido. Tuo padre ci ha detto che tu lo sconfiggerai, e il Merlino che conosco io non ha mai sbagliato una previsione. Tu lo sconfiggerai, e stasera festeggeremo la vittoria tutti insieme. Ora dimmi: sei pronto a diventare un eroe?†“Lo sonoâ€.Ho spalancato la porta. All’interno, vidi un essere. Una figura alta e massiccia era seduta sul trono, ma appena ci vide, si alzo in piedi. Indossava un’armatura. Scura, inquietante. Portava un cappuccio sul capo, e alle braccia, dei guanti. Guanti in acciaio. Acciaio blu. L’essere emise una risata.“Artù, mi aspettavo di meglio da un re del tuo calibro. Mi hai portato un pulcino da spolpare nell’attesa della portata principale? Oppure vuoi essere tu, la portata principale?â€, disse. Io ero esterrefatto. “Gùrdan? TU sei Gùrdan?â€. “Beh, che vuoi, marmocchio? Un dipinto con me? Beh, lo avrai. Ovviamente ti ritrarrà morto, sotto ai miei piedi, ma in fin dei conti questi sono dettagliâ€. Beh, di certo non gli manca lo spirito, a questo Gùrdan… certo, non me lo aspettavo verde, ma non credo che bilanciare l’alimentazione sia una sua prerogativa. Provai ad assumere una posa da battaglia, e dissi: “In guardia, scimmione!â€. Gùrdan parve divertito: “Oh, ma guarda un po’, sembra che tu sia serio. Bene, giocherò con te. Iniziamo con una bella scazzottataâ€. Immediatamente, mi corre incontro, caricando un destro che sapevo non mi avrebbe fatto più rialzare. Ho provato a fare una rotolata laterale, ma mi riuscì un maldestro balzo con una rovinosa caduta finale. Non sono decisamente pronto per questo tipo di spettacolo. Anche il mio avversario sembrava essersene accorto: “Ma guarda un po’, facciamo gli acrobati?â€. Ora, sta caricando nuovamente. Stavolta è più veloce. Mi è addosso. Mentre sta sferrando il pugno, d’istinto faccio un passo laterale, facendomi colpire di striscio, sulla spalle. Il dolore è lancinante, sembra che me l’abbia lussata. Con la mano destra, però, riesco a dare un affondo. La spada si infila miracolosamente tra le placche dell’armatura, e lascia un piccolo squarcio nel costato di Gùrdan. Lui si porta le mani al fianco, fa una smorfia di dolore, e io ne approfitto per arretrare. “Questo è troppo. Un pulcino che mi ferisce. Adesso farò sul serio. Preparati a morire per volontà del nuovo dio, Gùrdan, il Dominatore del Cielo!â€. Dai suoi guanti proruppe una scintilla. Io ero in piedi, la spada floscia lungo il fianco. Chiusi gli occhi. Quell’istante mi sembrarono Secondi. Tanti secondi. Troppi secondi. Apro gli occhi, e vedo il volto di Gùrdan. È completamente bianco. Carica una seconda scintilla, questa volta più potente. Cerco protezione con le mani, chiudo nuovamente gli occhi, li riapro. Nulla è accaduto per la seconda volta. Anzi, qualcosa è successo. Uno dei drappi della sala reale ha preso fuoco. Il mio avversario ora è rosso di rabbia, gli occhi iniettati di sangue. Tra le mani tiene un enorme globo di luce, da cui escono delle piccole scintille. Io sento uno strano calore al piede. Abbasso lo sguardo. Il tappeto era bruciato, e una piccola fiamma mi lambisce il piede destro. In quel momento, capisco tutto. E so cosa fare. Gùrdan stende le mani, e la saetta si scaglia contro di me. In quel momento, rivolgo le mani e la mia spada contro di lui. Dalla sua armatura si leva il rumore di sordo, potente. Una sorta di esplosione. Un attimo dopo, lo vedo riverso a terra, privo di vita. In lontananza, sento Artù e i suoi uomini esultare, acclamarmi.Per tutta la serata di festeggiamenti, uomini, donne e bambini non hanno fatto altro che ringraziarmi. Artù mi ha persino proposto una statua nella piazza centrale della città . Ma io avevo solo una domanda da fare. A mio padre. Mi sono fatto riaccompagnare a casa a notte inoltrata. Ovviamente lui mi stava aspettando alzato. “Allora, com’è la vita da novello eroe di Camelot?â€. La sua solita ironia. “Tu lo sapevi che i suoi poteri non avrebbero funzionato, vero? Mi hai detto di usare quell’armatura appostaâ€. “Ovvio – rispose – Volevo darti un assaggio di quello che per voi mortali è magia, ma per noi Maghi è il potere della natura. L’elettricità non attraversa una cotta di maglia, e può essere incanalata da una spada. Ma se sei arrivato fin qua, devi averlo scoperto anche tuâ€. “Sai – dissi – credo che tu mi insegnerai un po’ di questa magia. In fondo, ora sono un eroe di Camelot, e tu mi devi la vita, in qualche modoâ€. “Certamente, Vossignoria. Ma ricordate che domani è il vostro turno di mungere la muccaâ€. Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
Falkon Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Nome dell'autore: FalkonTitolo: Osserva con gli occhi, ascolta col cuoreElaborato:L’interò villaggio si infuriò e mi cacciò via senza neppure darmi una possibilità di spiegare. Quello che avevo fatto non aveva scuse… In quei giorni attraversavo le terre di Raspada in cerca di un incarico alla mia altezza. Ero stufo di dare la caccia a quelle povere bestiole che invadevano le fattorie affamate. Un cacciatore come me aveva bisogno di qualcosa che lo mettesse alla prova e lo facesse tornare ad amare il suo lavoro. Un paio di mattine prima ero stato fermato da un tizio a cavallo seguito da un manipolo di soldati. "Questa bestia terrorizza i villaggi vicini e uccide il bestiame senza ritegno. Se mi porti quella bestiaccia viva ti ricompenserò per bene, ma devi fare in fretta. Portarci il luporso entro l'alba dei prossimi due soli, altrimenti sarà meglio per te che non ti faccia vedere." Quell'impresa non mi faceva paura! Non ci sarebbe stata occasione migliore per tornare in ballo. Avevo iniziato le mie ricerche accampandomi sulle montagne da dove mi dissero si riesce a scorgere quella belva mostruosa. Era tardo pomeriggio, ma dopo ore di attesa finalmente la vidi per la prima volta. Una bestia enorme dal manto grigio carbone con orecchie lunghe e un pelo folto era uscita dalla sua tana. Era lei, non c’era alcun dubbio. Avevo cucito apposta una tenda per mimetizzarmi tra le rocce grazie alla quale potevo studiare quell’essere in libertà . Qualche ora più tardi, svegliato da dei rumori, la vidi tornare dal bosco nella sua grotta con quella che sembrava la sua cena, forse un pollo selvatico stretto tra le sue fauci. Non avevo molto tempo per studiare quell’animale, così il giorno seguente sistemai una trappola che l’avrebbe immobilizzata a terra. Tornai ad accamparmi e ad aspettare che tornasse fuori a cacciare ma durante quel pomeriggio vidi un ragazzino girovagare nel bosco, con una cesta, vicino alla tana del luporso. E stranamente quell’animale apparì. Ero pronto a scoccare una freccia. Non avrei permesso che facesse del male a quel ragazzo ma notai tranquillità nel luporso. E subito dalla grotta uscì velocemente una palla di pelo he si avvicinò festoso a quel bambino. Nella cesta c’era del cibo, cibo per i due luporsi. Ma come era possibile che un bambino si avvicinasse così tanto a una creatura così temibile e pericolosa? Non c’era più molto tempo e la trappola per quel luporso era ancora pronta a scattare e io non vedevo l’ora di mettere le mani sulla mia ricompensa. Quella stessa notte si sentirono le urla strazianti dell’animale caduto in trappola. Come coyote che aspettavano di trovare la carogna incustodita, attirati da quelle urla, nel giro di un paio d’ore, in piena notte vidi avvicinarsi degli uomini. Così mi avvicinai e scoprì che era quello che mi aveva incaricato della cattura che mi diede i soldi e sistemò un carro con cui portò via l’animale. Non mi diede neanche il tempo di dir nulla ed esclamò: “uomini si torna al castello dal Re†Così tornai alla mia tenda ma dalla grotta si sentiva il cucciolo di luporsa piangere. Era appena l’alba quando sentì gli abitanti di un villaggio vicino avvicinarsi alla grotta. Tra questi vi era pure quel ragazzo. Senza un apparente motivazione erano tutti preoccupati per la scomparsa di mamma luporsa e del fatto che il suo cucciolo era rimasto solo. Che cosa voleva dire? Perché gli abitanti di un villaggio vicino si erano avvicinati alla tana di quel “mostroâ€? Perché piangevano la sua scomparsa? Dovevo saperne di più, così entrai nel villaggio. Chiedendo informazioni scoprì che gli anziani dicevano che da tempo quegli animali proteggevano il villaggio dall’attacco del drago e adesso non avevano più la sua protezione. Quell’animale infatti percepiva il drago e lo respingeva ancor prima che potesse arrivare in quelle zone e far danni. Molta gente diceva che senza la madre il cucciolo sarebbe cresciuto senza guida e sarebbe potuto diventare un pericolo per tutti, e andava quindi eliminato. Ad un tratto si sentì l’urlo assordante di un animale. Senza più la guardia del luporso il villaggio il villaggo stava per essere attaccato dal drago. Mi sentì in dovere di difendere come potevo il villaggio. Ma per quanto scagliassi freccie per cercare di allontanarlo, diverse case andarono a fuoco e molte persone si ferirono, alcune delle quali in fin di vita come il padre di quel ragazzo. Anche grazie al mio aiuto scacciammo il drago e il villaggio mi acclamò subito come l’eroe. Ma non era tempo di festeggiare. I saggi sapevano di non essere più protetti e il drago sarebbe prima o poi tornato. Fu in quel momento che dissi che avrei potuto portare indietro quell’animale ma dovetti confessare che fui proprio io a metterlo in trappola. L’interò villaggio si infuriò e mi cacciò via senza neppure darmi altra possibilità di spiegare. Quello che avevo fatto non aveva scuse… Ho fatto un disastro, pensavo nella mia testa. Non avrei mai pensato che quella creatura potesse essere così importante. Perché quell’uomo mi aveva invece detto che terrorizzava i villaggi vicini? E mentre mi allontanavo quel ragazzo mi raggiunse in lacrime: “Perché lo hai fatto?! Perché hai portato via la nostra guardiana??â€.“Mi dispiace per quello che ho fatto. Qualche tempo fa ho perso mio padre mentre era a caccia. Era l’unica cosa che ci permetteva di mangiare, ma quella volta qualcosa deve essere andato storto. Mio padre non fece più ritorno. Mia madre lavorava la stoffa e con tutte le sue forze cercò di aiutarmi, ma poi si ammalò e non avevo abbastanza soldi per curarla. Da quel momento rimasi solo. E decisi che nella mia vita avrei auto bisogno di di quanti più soldi possibili e non mi sarebbe interessato come li avrei ottenuti. Ma mi sbagliavo perché tutti i soldi del mondo non mi avrebbero portato indietro la mia famiglia. E per scusarmi di cosa ho fatto al villaggio a quel cucciolo e al tuo papà , riporterò indietro mamma luporsa, fosse l’ultima cosa che faccio†Il ragazzo prima pieno di rabbia, aveva invece un cuore grande e mi ascoltò capendo le mie ragioni e capendo che mi ero pentito e volevo rimediare. “Se vuoi veramente aiutarci a portare indietro la nostra guardiana allora verrò con te. Non si fiderebbe di qualcuno che non conosce bene. E io sono la persona più adatta†Così siamo tornati al villaggio e grazie a lui mi ascoltarono e mi aiutarono a prepararmi per il viaggio. Ma pochi credevano in me e benché la madre del ragazzino non volesse, capì che l’unica speranza era quella di riportare mamma luporsa per evitare che il drago causasse altri disastri. “Non gli succederà nulla, riporterò a casa tuo figlio e la guardiana sani e salviâ€. Raggiunto il castello io e il ragazzo eravamo riusciti a intrufolarci grazie alle vesti che ero riuscito a cucire ricordandomi di quei soldati a cavallo. Dentro al castello, in lontananza si sentivano i gemiti della mamma del cucciolo. “Dobbiamo riuscire a trovarla senza farci scoprire†diceva il ragazzo. Sembrava più maturo di quanto mi aspettassi. Eravamo riusciti a eludere le guardie e a comportarci da veri soldati. Ma quando trovammo la stanza dov’era mamma luporsa trovammo pure quell’uomo che mi aveva incaricato di catturarla e ci catturò.Ci portò davanti al Re e ci accusò di essere degli intrusi che volevano liberare quella bestia. Il Re però ci diede la possibilità di parlare e dal cuore il ragazzino spiegò la situazione del suo villaggio e quanto fosse importante quell’animale.“Che cos’è questa storia Alexander? Non avevi detto che quella creatura era pericolosa? Ti avrei posto a capo dell’esercito se fossi riuscito a togliere quella minaccia per i villaggi viciniâ€.“Ma sire, non creda a questi bugiardi, è chiaro come il sole che stanno mentendo per salvarsiâ€.“Avevo fiducia in te, ma ho sempre visto che il potere di dava alla testa e questa ne è una dimostrazione. Hai inventato quella storia solo per ottenere il titolo. Mi hai deluso. Guardie, imprigionate quell’uomo. E voi invece, siete liberi di tornare a casa con il vostro guardianoâ€. E fu così che siamo tornati al villaggio sani e salvi con mamma luporsa. Il villaggio si era ricreduto. Ero riuscito a sistemare al danno che avevo fatto e a capire una lezione importante. Le azioni dicono ciò che siamo veramente e non è mai troppo tardi per cambiare. È solo ascoltando gli altri che si può aiutare il prossimo. Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
-PeterPan- Inviato 3 dicembre, 2014 Condividi Inviato 3 dicembre, 2014 Peter Pan IL DIARIO DI HORACE WALVARERegno di Evergreen, 18 giugno 1564 È ormai trascorso un mese da quando ho ricevuto l’annuncio di entrare a far parte ufficialmente del Gruppo dei paladini reali: i Paladini della Bianca Luce.Io, umile fabbro incaricato di costruire armi e corazze per l’esercito del re, ora mi ritrovo a proteggere la casata reale degli Elveyn e ovviamente tutto il Regno.Assurdo!Purtroppo tale notizia non è accolta molto bene da Angelica. Ultimamente è strana, distaccata, quasi impaurita. Spero che riesca a condividere la mia gioia. Regno di Evergreen, 25 giugno 1564Il re ha incaricato noi paladini di partire e andare in esplorazione di un’isola ancora quasi del tutto inesplorata.Sono eccitato all’idea di compiere la mia prima missione, ma anche intimorito dal pensiero di fallire e che possa accadere qualcosa ad uno dei miei uomini.Tanti dubbi pervadono la mia mente.Forse dovrei ritirarmi finché sono in tempo.Non so proprio cosa fare.Angelica, avrei tanto bisogno di sentirti accanto a me in questo momento… Regno di Evergreen, 18 luglio 1564Ci siamo! Tutto è pronto per la partenza. Alla fine mi sono convinto. Partirò! Guiderò i miei uomini con il coraggio che mi ha sempre contraddistinto.La vita degli altri Paladini verrà prima della mia. Chiunque proverà a torcer loro un solo capello dovrà passare sul mio corpo!Chissà quante avventure ed emozioni ci aspettano.Se prima ero spaventato ora non vedo l’ora di salpare.Solo poche ore… Non penso che riuscirò a dormire stanotte.La luna mi sta coccolando col suo magico manto e le stelle mi sussurrano il nome di colei che vorrei stringer tra le mie braccia in questo momento.E mentre la mia mente vaga tra i singulti del cuore l’alba sta bussando alle porte del cielo.Sarà meglio provare a riposare un po’… Regno di Evergreen, 19 luglio 1564Infiammati dai raggi del sole siamo pronti a salpare!La popolazione ha affollato il porto e tra lacrime e urla di gioia la nave è pronta a salpare.Tra quel mare di gente sono riuscito a vedere la mia timida Angelica. Cercava di nascondersi tra specchi di lacrime eppure nei suoi occhi intimoriti percepivo qualcosa di più, qualcosa che forse avrei dovuto sapere… Da qualche parte in mezzo al mare, 5 agosto 1564Il cielo si sta facendo minaccioso e il mare trema sotto di noi.Strani singulti si perdono nei cieli offuscati dalla pioggia e bombardati da agghiaccianti lampi di luce.Ma niente ci fermerà ! Noi siamo i Paladini della Bianca Luce! Da qualche parte in mezzo al mare, 20 agosto 1564Sono più di due settimane che la tempesta non cessa, ma finalmente mare e cielo iniziano a placarsi. Abbiamo avvistato qualcosa in lontananza. Che si tratti dell’isola inesplorata? Isola X, 22 agosto 1564Siamo sull’isola. È un posto stupendo abitato da insolite creature dai colori vivaci.Buffi volatili emettono allegre melodie e accompagnano i nostri festeggiamenti.Oggi è un grande giorno! L’isola è piuttosto vasta e per ora ne abbiamo visitata solo una piccola parte.Angelica, chissà se mi stai pensando in questo momento. Vorrei tanto poter condividere con te questa mia gioia. Isola X, 27 agosto 1564Abbiamo esplorato circa mezza isola e iniziamo a sospettare che non sia disabitata.Ogni tanto ho come la sensazione che qualcuno mi stia osservando. Inoltre abbiamo rinvenuto diverse ossa umane.Molto strano…Meglio stare allerta. Isola X, 2 settembre 1564Ci hanno trovati! Sono essere immondi. Nei loro occhi intrisi di sangue si percepisce la loro perfidia.Si cibano di carne umana. Dopo averci catturati hanno ucciso brutalmente i miei compagni e se ne sono cibati.Sono rimasto io. Io! Essere ignobile che non merita di essere lasciato vivo. Non sono stato in grado di mantenere la mia promessa.Non merito di tornare sano e salvo in patria.Desidero solo veder finire questo incubo. I sensi di colpa mi stanno attanagliando e distruggendo a poco a poco. Isola X, 4 ottobre 1564È da più di un mese che mi ritrovo incatenato nell’atro di una gelida cava. Sono assettato e affamato.Mi sento debole, ma il mio corpo non vuole cedere. Nel mio cuore rimbomba l’eco di un pensiero… Angelica, vorrei tanto rivedere i tuoi occhi un ultima volta. Quegli occhi che fin dalla prima volta che li vidi mi trasmisero pace e spensieratezza. Erano gli occhi di un angelo. E io con te vorrei poter sorvolare il cielo e non smettere di amarti. Mai!Chissà cosa avresti voluto dirmi quel giorno quando hai cercato di trattenermi a te con quei tuoi occhi lacrimosi.Ora ho compreso…Avrei dovuto raggiungere tempo fa questa pagina del diario. Questa pagina avrebbe forse potuto cambiare tante cose, ma forse doveva andare così.La tua sensazione era giusta. Me ne sto andando, ma alla tristezza e alla paura che provo in questo momento si contrappone la gioia di chi ama ed è ricambiato.Prenditi cura del nostro piccolo cara Angelica. Non ci sarò quando nascerà , questo è vero, ma io vegl Purtroppo queste furono le ultime e interrotte parole di Horace Walvare, valoroso eroe che perse un occhio e le sue gambe per salvare i suoi compagni e riuscì a resistere per oltre un mese seppur dissanguato, affamato e assetato. Come un eroe lo ricorderà sempre la sua patria e suo figlio Horace II. P.s: mi scuso se il racconto non è dei miei migliori, ma fino all'ultimo non avevo intenzione di farlo per mancanza di tempo. Poi un'ora fa ho cambiato idea. Link al commento Condividi su altre piattaforme Più opzioni di condivisione...
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