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[Vulpah] Racconti sparsi


Vulpah

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Avevo intenzione di pubblicare in questo thread tutte le cose che scrivo di getto, racconti a se stanti -anche molto brevi- che finisco sempre per dimenticare in qualche parte remota delle mie cartelle.

Si, anche racconti abbastanza vecchiotti.

Sono bozze scritte abbastanza velocemente, credo che ogni due settimane rivedrò quanto scritto per vedere dove posso migliorare.

Che dire... enjoy!

 

"Help is on the way"

Help is on the way

“Cause somebody will soon arrive

Help is on the way...

They say they say help is on the way...â€

 

Solìman sapeva che in quel momento avrebbe dovuto trattenere le lacrime. Se non l’avesse fatto avrebbe ricevuto una punizione che sarebbe andata oltre il semplice pestaggio quotidiano per chi non marciava allo stesso ritmo degli altri. Doveva essere forte. Non poteva piangere perché nessuno si sarebbe avvicinato a lui per dargli la mano e tirarlo fuori da questo inferno. Perché avrebbero dovuto farlo? Non era uno di loro.

“Non preoccuparti Solìman. Qualcuno arriverà . Non so chi, non so quando, ma non ci lasceranno soliâ€

Quando per portarlo fuori dalla fila tra gli occhi ammutoliti della gente vide un braccio bianco avvinghiarsi al suo secco e scarno gli tornarono alla mente le parole che sua madre gli disse anni fa, prima di abbandonarlo con sua nonna sulla riva della spiaggia. Allora non capì quelle parole: non immaginava che non l’avrebbe mai più rivista. Si sentiva turbato nel vedere sua nonna alzare le braccia al cielo e mormorare qualcosa di strano, simile ad una preghiera, mentre cercava di trattenere le lacrime.  Sua madre non voleva sentire quelle parole, si coprì le orecchie e aumentò il passo. Lui la guardava allontanarsi in silenzio, sperava che si voltasse, ma appena scomparve quella massa scura di capelli accarezzata dolcemente dalla brezza marina ogni sua speranza cessò di esistere.

Guardava l’orizzonte, ammutolito. Era senza parole, combattuto dalla rabbia che provava perché consapevole di essere stato abbandonato. Adesso persino sua nonna aveva smesso di intonare quelle parole bizzarre, si era seduta sulla sabbia dando di spalle al nipote. L’atmosfera era combattuta in un silenzio dissacrante, riempito dall’infrangersi delle onde sugli scogli e dal vento che portava con sé l’odore della salsedine. Non avevano il coraggio di dirsi qualcosa, né di farsi coraggio: sapevano che non ce ne sarebbe stato bisogno. Incrociarono per un’istante i loro sguardi e si accorse che degli occhi di Solìman gonfi di lacrime, un fiume che presto sarebbe straripato in una landa desolata e avrebbe continuato ad espandersi, ma in silenzio.

Si sedette anche lui, dando le spalle alla scogliera che abbracciava la parte destra del litorale e che sua nonna non aveva smesso di guardare da quando la figlia se ne era andata. 

Forse, era il suo modo per distrarsi e dimenticare quanto successo. 

Erano soli, schiena contro schiena, divisi dall’invalicabile muro del silenzio. Solìman si portò le ginocchia contro il petto e appoggiò la testa su di esse, volgendola al mare. Vedendo quella distesa sconfinata l’illusione di poter essere libero un giorno era così vivida e reale… 

Non avrebbe mai immaginato che dopo anni quella promessa si fosse rivelata in realtà  una bugia. 

Chiuse gli occhi mentre uno stivale lo colpì violentemente in testa, e fu così forte che lo fece stramazzare al suolo con un tonfo sordo: non sentì ossa scricchiolare, non sentì il dolore attraversargli il corpo, non sentì nulla. Era diventato un guscio vuoto e con le ossa cave, il relitto dell’uomo che era e che non sarà  mai più.

Non pianse perché aveva versato tutte le sue lacrime da troppo tempo ormai.

Un altro calcio e la sua faccia incontrò il fango sporco. Gli avevano sempre detto di tenere la testa china di fronte ai potenti, ma non aveva mai provato quel genere di umiliazione. 

Era destabilizzante realizzare l’indifferenza della gente che camminava accanto alla sua testa. 

Quando fu lasciato solo cercò di fare forza con il braccio sinistro per girarsi e guardare il cielo. Sorrise, e tese il braccio davanti a lui nell’atto di afferrare qualcosa che non fosse aria secca. Con l’altra mano strinse il terreno umido e nero, quello a cui era sempre destinato fin dalla nascita. 

Cercava di afferrare quell’immensa distesa azzurra come il mare, forse sarebbe venuto da lì l’aiuto che tanto aspettava.

Ma non venne nessuno.

 

"Memorie di una fenice assopita"

 

Memorie di una fenice assopita

 

Ed ecco che tutto è finito.

Il palco è vuoto, orfano dei suoi spettacoli. Terribilmente muto. Riecheggia solo un suono nell'aria, monotono e ripetitivo. Le setole della scopa accarezzano dolcemente le tavole in legno. Scricchiolando, rievocano alla mente dolci ricordi, voci soppresse dall'inesorabile uragano del destino, che silenziosamente hanno fatto la storia di quel teatro. Le colonne che adornano le platee si erigono maestosamente, rivestite di una bellezza senza tempo, ma incompleta. Pare quasi che intonano inni di nostalgia, l'oro dei bassorilievi va via via a scomporsi, arrugginirsi, sfiorirsi, come se a fine spettacolo, l'intero teatro si ritrovasse in un sonno eterno. Un'ometto vestito da capo con una tuta di flanella corruga affannosamente la fronte, costernata da rughe ormai da una ventina d'anni. Socchiude gli occhi, e sorride. Adora quei momenti magici, quando l'anfiteatro è solo per lui. Passeggia spensierato tra le file di poltrone in velluto rosso, le accarezza dolcemente con la sua mano, tremante dall'emozione. Un brivido gli trapassa la schiena, talmente velocemente che non ha nemmeno il tempo di pensare. Per un instante, perde la coscienza. E da li a poco si ritrova in una sorta di trance, viaggia con la sua mente, rompendo gli schemi della realtà , spalancando le porte dell'immaginazione. Ed ecco che quel sipario si apre un'ultima volta. La platea è ancora la, in sussulto.  Gli occhi brillano di meraviglia, alcuni piangono, altri ridono innocentemente con lo stesso candore di quello di un bambino, ogni emozione è dedita a trascinarsi in un impetuoso spiraglio di piacevoli avvenimenti. La voce penetrante degli attori rimbomba in ogni dove, come una pallina da tennis senza rete. Rimbalza ossessivamente sui muri, come se fosse in cerca di un'ostacolo da infrangere. Vuole spingersi oltre le porte della sala, vuole arrivare anche ai cuori irraggiungibili.
Il custode sistema accuratamente  il cappello sul capo, alza gli occhi al cielo, e gettando mestamente lo sguardo al sontuoso lampadario di cristallo a pochi centimetri dal suo naso, sospira pesantemente. Allunga il manico della scopa verso una vecchia ragnatela dimenticata agli angoli della memoria, e l'arrotola sulla punta. 
Ogni cosa è seppellita, dimenticata dal resto del mondo, qui.
Chissà  se la fenice si sarebbe risvegliata, per incantarci con i suoi spettacoli...
Ancora per un'ultimo inchino...

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Commento solo il primo testo, magari poi leggerò il secondo

Ti chiedo una cosa: ti sei ispirata ad un anime/manga/ storia arrandom già  esistente?

Pooooi, c'è un errore bruttino quando parli della mano che tira fuori soliman per il braccio, il verbo della principale è vide soggetto soliman, per portarla invece si riferisce alla mano, mentre il soggetto dell'infinitiva deve concordare con quello della principale (cioè come hai fatto tu è salimen che compie l'azione del portare)

Poi alcuni termini imo sono usati inappropriatamente, ma vabbe, non è un tema di scuola, fottesega

Forse sono scemo io, ma non ho capito cosa dice la madre a soliman, sono quelle tra virgolette?

Qualcosa trasmette, ma mi sembra un po'troppo confusionario, la nonna non ho capito che fa, se mette a prega (?), anche a livello di sintassi

Inoltre, sebbene sia una tecnica molto apprezzabile evitare descrizioni dell'esterno a favore della dimensione interiore del protagonista, utile anche per universalizzare il racconto e il messaggio, avrei specificato un po'di più ciò che succede a soliman, dove si trova, che fa, ma poco, giusto per dare un'idea di cosa succede che non si capisce bene

Pensò però che tu abbia omesso questi particolari perché la storia è tratta da una già  esistente, ecco il perché della mia prima domanda

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Commento solo il primo testo, magari poi leggerò il secondo

Ti chiedo una cosa: ti sei ispirata ad un anime/manga/ storia arrandom già  esistente?

Pooooi, c'è un errore bruttino quando parli della mano che tira fuori soliman per il braccio, il verbo della principale è vide soggetto soliman, per portarla invece si riferisce alla mano, mentre il soggetto dell'infinitiva deve concordare con quello della principale (cioè come hai fatto tu è salimen che compie l'azione del portare)

Poi alcuni termini imo sono usati inappropriatamente, ma vabbe, non è un tema di scuola, fottesega

Forse sono scemo io, ma non ho capito cosa dice la madre a soliman, sono quelle tra virgolette?

Qualcosa trasmette, ma mi sembra un po'troppo confusionario, la nonna non ho capito che fa, se mette a prega (?), anche a livello di sintassi

Inoltre, sebbene sia una tecnica molto apprezzabile evitare descrizioni dell'esterno a favore della dimensione interiore del protagonista, utile anche per universalizzare il racconto e il messaggio, avrei specificato un po'di più ciò che succede a soliman, dove si trova, che fa, ma poco, giusto per dare un'idea di cosa succede che non si capisce bene

Pensò però che tu abbia omesso questi particolari perché la storia è tratta da una già  esistente, ecco il perché della mia prima domanda

Ugh, non l'ho riletto.

Comunque di manga anime eccetera so pochissimo, quindi no. 

Per il momento la lascio così, la devo rivedere.

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Vabbe,non commenta nessuno, lo rifaccio io

Secondo testo

Pare che intonino,no intonano, ma ti sarai distratta

Non sono un esperto di teatro, non vorrei fare il finto sapientone, ma l'anfiteatro non è l'edificio di forma ellittica (esempio il colosseo)? Forse si usa come termine tecnico per indicare un elemento del teatro, non so, dimmi tu

Bo, stesso giudizio del primo, il messaggio è chiaro e arriva, non mi piace molto la sintassi, la costruzione delle frasi, talvolta anche i termini usati, in certi punti mi sembra anche poco spontaneo

Inoltre avrei descritto meglio il teatro, perché i sentimenti che mi aspettavo tale descrizione trasmettesse non mi sono giunti, mi sono dovuto immaginare da me , crearmeli

Ma vabbe, è molto bello, complimenti

PS sai che esiste un teatro che si chiama "la fenice" a Venezia?

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