Vai al commento



[Snorlax97] Pokémon Stardust (aka. remake di M&S) [FanFiction ~ Cap 0>2]


Snorlax

Post raccomandati

DtdtjA5.png

 

Here's da commentee topeec.

Lasciare commenti è bello. Le persone sono felici quando lasciate commenti. Quindi lasciate commenti.

 

Da un lato vorrei fare un prologo figo spiegando la storia di questa fanfiction, dall'altro un po' non mi va, un po' sono ormai rarissime le persone che la ricordano.

Comunque, questo è il remake (molto remake, diciamo quasi un'altra storia) della mia prima fanfiction su PM e prima fanfiction del forum, ovvero Pokémon: Moon & Stars, una delle più longeve del sito ma smessa nel 2012. A questa si integra il tentativo (fallito) di riprendere la storia con To Feel Alive, sequel di Moon & Stars del 2013.

Ora, considerando che qualcosa tipo l'80% di voi non ne ricorda nessuna delle due, fate come se questo prologo non esistesse, ma per quel 20% o meno di lettori che la ricorda, ricordatela (?). Presto arriveranno anche i vostri vecchi, cari, nabbi personaggi,

 

homeland.

 

Non ho mai desiderato trascorrere un’esistenza tormentata, districarmi tra i problemi da affrontare, le incombenze inevitabili, i dispiaceri, così come anche le gioie, della vita.

Ho sempre avuto quest’indole tranquilla e riflessiva, questa mitezza reale e apparente allo stesso tempo, la voglia di esplodere e imbrattare il mondo attorno a me con i colori della mia estrosa fantasia accostata alla pigrizia di non voler vedere altro che i soliti toni di grigio.

E in questi pensieri, ho sempre rovinato ogni mio proposito di tranquillità .

Perché sforzarsi di vivere nell’ignavia, quando il tuo animo è tormentato a priori?

Ero cresciuto in una comunità  di pescatori particolarmente restrittiva e retrograda, che guardava con diffidenza alle novità  tecnologiche, alle diversità  della regione di Holariya, puntino lontano visibile dalla cima della montagna più alta della nostra isola.

Il mio villaggio, quasi di proposito, si affacciava infatti verso il mare aperto, verso il nulla.

C’è chi cresce accettando tutto ciò che gli viene proposto, chi, per ribellione o – oserei dire – per un po’ più di coscienza, ne valuta tutti gli aspetti. Ho sempre sentito di appartenere a entrambe le categorie.

Nella terra da cui provengo, tutti amano sottomettere la propria intelligenza alla presenza di un Dio superiore, inspiegabile e inspiegato, dettato solo dalla necessità  di spiegare le tempeste, le inondazioni, le piogge forti e frequenti delle regioni tropicali come quella.

Così era nato il Dio del Mare, così erano nati i cosiddetti “Guardiani degli Oceani”, in lingua madre, i “Wosh”.

Da figlio di buon padre “Wosh” e di dolce madre “Wosh”, anche io ero cresciuto nelle più restrittive tradizioni “Wosh”, che negavano ogni contatto con tecnologia e Pokémon sino ai vent’anni, periodo in cui, a seguito della cerimonia di iniziazione alla vita adulta, ovvero l’immersione della testa in una ciotola di sangue – il sangue versato dalla comunità  nella storia perseguendo il proprio culto – dopo la quale sarei diventato di diritto un vassallo del re del villaggio di turno, tenuto a servirlo con l’aiuto di un Pokémon rigorosamente di tipo acqua. Abituato a pregare al mattino, andare a scuola per imparare i precetti del nostro popolo, andare a pescare qualche Pokémon di tipo acqua al pomeriggio e tornare la sera a onorare il padre e la madre. E tutta la flotta di sorelle e fratelli.

In un mondo in evoluzione, c’è chi regge tale situazione, ma anche chi la rigetta. Probabilmente è ormai chiara la mia categoria di appartenenza.

Decisi di partire pochi giorni prima della festa patronale, mentre nel villaggio tutta la comunità  era alle prese con i preparativi per celebrare il loro fantomatico Dio-sirenoide-alato, come amavano raffigurarlo. Non era difficile come un tempo per un giovane Wosh mettersi in contatto con il mondo esterno: la gente decisa a partire era sempre più numerosa, così come le associazioni umanitarie nella regione poco distante a condannare molte pratiche legate a quel culto.

Ma per me era diverso: non volevo fuggire, volevo cancellare di dosso quel marchio. Mi vergognavo di essere una persona simile, la vera paura era ciò che avrei potuto trovare fuori dalla mia realtà , quali pregiudizi, quali odi, quali commenti della gente.

Ricevetti una telefonata poco prima della partenza dalla donna che aveva deciso di aiutarmi in quella strana impresa, avevo solo dodici anni, ma ero abbastanza determinato da partire, maturo da conoscere, forse cresciuto davvero troppo in fretta. Uscii di casa  con poche provviste, utili solo per il lungo viaggio in barca, la tunica azzurra che vestivo ormai da anni – sempre la stessa, come da tradizione – e una buona dose di paura, che potevo tranquillamente tastare ad ogni passo.

Erano bastati pochi metri di distanza dal confine del villaggio, però, a darmi la carica per cambiare davvero vita, allontanarmi da quei luoghi e dimenticare di essere stato parte di quella follia.

Raggiunsi l’imbarco dei traghetti, dall’altra parte della mia isola di provenienza, nettamente distinta dal mio speculare paesino, meta turistica ambita e apprezzata da tutta la gente di Holariya, identificandomi come un Wosh in fuga. La gente della regione era molto accondiscendente e facile alla commozione rispetto alle persone come me, pertanto non ebbi problemi a salire sul traghetto anche senza un biglietto.

Arrivai sulle coste della regione in pieno giorno, con il tiepido sole delle latitudini più alte della mia in fronte, la tunica stropicciata in mano, finalmente svestita grazie alla gentilezza di un turista e tante speranze.

“Sei tu il ragazzo Wosh con cui ho parlato al telefono?” esclamò una donna con espressione solare.

Aveva i capelli raccolti ordinatamente in una lunga coda di cavallo e un paio di occhiali dalla montatura sottile sul naso. Ma ciò che mi colpì era il sorriso, un sincero sprazzo di bianco sul volto dalla carnagione olivastra della donna.

“Credevo fossi più grande, invece sei ancora un bambino” aggiunse, mentre arrossivo visibilmente “Forza, andiamo, troverò un posto in cui farti stare”

La seguii, e nel viaggio verso alcune collinette in lontananza venni a conoscenza del fatto che si chiamasse Ranja, e lavorasse da anni come referente per i Wosh desiderosi di cambiare vita, sempre in crescita come numero rispetto al passato.

Mi portò in un villaggio adagiato sui colli rocciosi, spioventi verso una grande città  scintillante, i cui palazzi di vetro e acciaio mi colpirono particolarmente, avendoli visti solo rare volte da quel cellulare rubato anni prima a un ignaro turista.

Ero un bambino abbastanza problematico.

E pensare che tutto ciò che volevo fosse solo un’infanzia tranquilla.

“Bene, puoi dirmi il tuo nome?” chiese la donna poco prima di scendere dall’auto, squadrandomi dallo specchietto retrovisore. Ancora tenevo la tunica stretta in mano, e la maglietta che vestivo era abbastanza stretta rispetto al mio fisico robusto per un bimbo della mia età . I capelli lunghi, come in uso nella mia comunità , erano annodati e rovinati dalla salsedine, mentre gli occhi scuri tradivano una paura repressa dietro la maschera determinata e matura.

“Ebhaar Seewach” risposi, intrecciando una ciocca tra le dita.

“Un nome poco Wosh, mi dicono” sorrise, fermandosi in una piazzetta poco distante dal centro abitato “D’ora in poi dovrai trovarti un nuovo nome, e ovviamente il cognome sarà  quello della famiglia che ti accoglierà â€

Annuii, ripensando alla mia vera famiglia. Era stupefacente quanto poco mi mancassero.

“E ovviamente dovrai abituarti a tante cose nuove, ma prima di entrare alla scuola per allenatori c’è un po’ di tempo, penso” rifletté “Hai detto di avere dieci anni, vero?”

“Sì, undici tra qualche mese”

“La scuola per allenatori inizia a quattordici anni e si protrae fino ai diciotto, quando potrai partire per il tuo viaggio, essendo maggiorenne, anche se a quanto so da te la maggiore età  non sono i diciotto anno, o sbaglio?”

“No, venti”

“Ricordavo bene” sorrise “Comunque, questa sarà  la tua nuova casa”

Ranja mi lasciò all’uscio di una bella casa in periferia. L’edera rampicante avvolgeva l’intonaco giallo dell’abitazione, dalla forma molto regolare. La proprietaria di quel gioiellino e mia affidataria era una donna sola, di nome Estia, che compresi fosse rimasta vedova in giovane età , e che per l’affetto dimostratomi riuscii a chiamare mamma molto presto.

Decisi di chiamarmi Evan. Un nome comunque abbastanza raro per quelle zone, ma certamente più normale, assumendo il cognome di mia madre da sposata. Mi parlò tante volte del marito, fino ad iniziare a percepirlo come padre anche io. La presenza di Estia nella mia vita è così diventata una cosa fondamentale. Capì subito i miei disagi e cercò di rendermi un ragazzo il più possibile simile agli altri, educandomi come avrebbe fatto con un qualsiasi ragazzo della regione, rendendomi una persona più sicura, lasciandomi una libertà  che non pensavo avrei mai ottenuto. Ora come ora mi dispiace aver abbandonato così radicalmente le mie tradizioni, ma era ciò che all’epoca desideravo più di tutto.

Nessuno, da allora, ha mai capito la mia provenienza. 


start.

 

La sveglia non è ancora suonata, ma Evan è già  seduto sul letto, con la testa leggermente reclinata verso la finestra. Fuori, la vita di Auron, il paese dove vive da ormai otto anni, non ha ancora iniziato a imprimere vitalità  alla giornata, con i suoi lontani clacson e le chiacchierate della gente del borgo vecchio della città  dove è situata la casa del giovane.

Un Fletchling si poggia sul davanzale, cinguettando allegramente.

“Avessi una Pokéball…” pensa il ragazzo, tornando ad osservare la stanzetta dove aveva trascorso i suoi pomeriggi di studio, tra cultura di Holariya e le nozioni della scuola per allenatori.

La sveglia inizia a produrre quel suo fastidioso suono, ma Evan è abbastanza pronto da zittirla al primo squillo.

“Ora di alzarsi” sussurra, appoggiando un primo piede sul parquet freddo.

Mestamente, il giovane si avvia verso il piccolo bagno della stanza, guardandosi allo specchio. Delle vistose occhiaie fanno capolino dalla sua pelle, segno di una notte trascorsa in preda all’euforia del nuovo viaggio. Dopo aver accorciato la barba e una veloce doccia, il ragazzo si avvia verso il guardaroba, dal quale estrae la roba preparata già  dal giorno prima.

Prima di uscire, Evan si fissa allo specchio per un’ultima volta prima della partenza: il colorito scuro che aveva un tempo è ormai quasi scomparso, lasciando una pelle piuttosto simile a quelle degli altri ragazzi, sebbene un po’ più scura della media;  i capelli castani, che il ragazzo aveva, un po’ per comodità  e un po’ per consapevole andar contro alla propria vita precedente, rasato per quasi tutti gli otto anni dopo il suo trasferimento, sono ora tornati ad essere più lunghi e ordinati per la partenza, così come la barba; il fisico robusto e più imponente rispetto ai ragazzi della sua età  è, però, rimasto lo stesso, per suo gran dispiacere, ma abbigliato con la maglietta della sua band preferita, lo sciarpone di seta nera e i jeans scoloriti sembra meno maestoso di quanto in realtà  sia; ultimo tocco, l’orecchino di ebano comprato, a dire il vero anche con disappunto della madre adottiva, intorno ai quattordici anni, altro tabù della propria vecchia cultura infranto consapevolmente.

Gli sarebbe mancata quella casa, indubbiamente.

 

“E mi raccomando, chiama ogni giorno” balbetta affranta Estia “Non prendere troppo freddo, dormi sempre nei Centri Pokémon e non azzardarti a improvvisare accampamenti”

“Va bene mà â€ sorride il giovane, anch’egli con le lacrime agli occhi.

“Bene…” continua lei, col fiato mozzato.

“Senti mà â€ esordisce Evan “Grazie di tutto quello che hai fatto per me, davvero, per me questi anni sono stati i migliori fino ad ora, con i loro alti e bassi, con le nostre litigate e i chiarimenti… Grazie davvero, non sarei la persona che sono adesso senza di te, spero di ricompensare tutto questo in qualche modo, in futuro, io…”

Il ragazzo non riesce a terminare la frase che la madre è già  in lacrime, avvinghiata al suo corpo.

Dopo pochi minuti, Evan è già  lontano da casa. La meta da raggiungere è la ridente cittadina costiera di Palmizia, così chiamata dal suo lungomare rigoglioso. Il ragazzo si ferma sul punto più alto della collina degradante verso il mare: il panorama davanti ai suoi occhi è spettacolare. Il verde brillante dell’erba appena bagnata dalla rugiada si congiunge, pochi metri oltre lui, con l’altrettanto pittoresco colore bianco delle scogliere che da Auron raggiungono Praria, altra meta ambita della regione a causa delle sue sgargianti fattorie e tipici fienili. Poco distante dal verdore, numerosi campi coltivati e frutteti, questi appollaiati su collinette meno aspre, fino al giallore di una cittadina non troppo distante.

“Sarà  Palmizia” riflette il ragazzo, dando un ultimo sguardo alla cartina, e rimettendosi in marcia verso la sua destinazione. Poco distante, una piccola ombra fissa il ragazzo, muovendosi tra i cespugli.

 

“Professoressa!”

Un uomo sui quarant’anni, stempiato ma dall’aria simpatica, ha aperto la porta del laboratorio di scatto, facendo sobbalzare la donna.

“Pier!” esclama lei, con l’aria vagamente spazientita “Calmati un attimo, cosa succede?”

“I Pokémon preparati per i quattro giovani allenatori in partenza oggi sono scomparsi, ne è rimasto solo… Solo uno”

“Com’è possibile?” scatta la professoressa “Erano nelle Pokéball, non possono certo aprirsi da sole!”

“Non… Non lo so” balbetta Pier iniziando a sudare, e storcendo il volto in una buffa espressione di disappunto.

“Questo è un bel problema” mugugna la donna, per poi aggiungere: “Qualcuno è già  andato a cercarli?”

“Abbiamo mandato più persone, compreso un allenatore che era già  arrivato a ritirare il Pokémon”

“Cos…”

La professoressa cerca di contenere il più possibile la rabbia.

“E dimmi, che ragionamento hai fatto per mandare allo sbaraglio un giovane senza neanche un Pokémon dietro?”

“No, quella ragazza un Pokémon lo aveva già , quindi aveva già  detto di non volerne prendere nessuno…” spiega l’uomo.

“L’hai registrata? Di chi si trattava?”

“Florence Gleaf”

“Capisco” sorride lei. Nella mente della donna, si rincorrono ora le immagini di due giovani ragazze intente a rincorrersi nei verdi campi di Praria, circondate dagli Illumise e da tanti Pokémon abitanti delle praterie “Non poteva fare altrimenti”.

 

Nel tardo pomeriggio, Evan ha finalmente raggiunto la città  di Palmizia. Il lungomare alberato è ricco di piante di tutte le varietà  tropicali possibili e immaginabili dal ragazzo, tra cui piante anche molto familiari, perché provenienti dalla sua isola d’origine.

Confuso sul da farsi, e non conoscendo la posizione del laboratorio, il ragazzo si accomoda su una lunga panchina in pietra chiara, intento ad osservare la mappa.

“Scusami, immagino tu sia uno dei giovani allenatori in partenza oggi”

Il ragazzo viene distolto dai suoi pensieri, e si volta verso la direzione di quella voce. Davanti a lui vi è un ragazzo un po’ più grande di lui, ad occhio, con i capelli rossicci e la carnagione olivastra. Il corpo, di conformazione piuttosto normale, è coperto da un lungo camice bianco, ma il sorriso simpatico contrasta nettamente con la rigida impostazione del suo abbigliamento.

“Sì” risponde, imbarazzato, Evan.

“Bene, mi chiamo Dustin, sono un ricercatore del laboratorio Pokémoon” inizia lui, con una nota di preoccupazione nella voce “Devo darti una notizia non proprio positiva”

Il giovane annuisce, con il cuore a mille.

“Tre dei quattro Pokémon in dotazione per voi allenatori sono scappati, li stiamo cercando ora”

“Oh…” sussurra Evan, abbastanza deluso.

“Mi spiace davvero molto” aggiunge Dustin “Comunque nel frattempo potresti andare già  al laboratorio, un Pokémon è rimasto, se riuscissi a fare in tempo potresti prendere quello lì”

“Ma… Non dovrei badare a roba del tipo ‘fare amicizia con il Pokémon’ e cose così?” domanda il ragazzo, un po’ deluso da quell’affermazione.

“Non necessariamente” ammette il ricercatore “I Pokémon starter sono addestrati per essere amichevoli con ogni allenatore”

“In tal caso verrò con te” esclama, risoluto, Evan “Due persone sono certamente migliori di una sola, quando si tratta di cercare qualcosa”

“Preferirei di no” replica Dustin “Non hai ancora un Pokémon, aspettami qui o al laboratorio, che troverai proseguendo sempre sul lungomare, va bene?”

“Hm…” acconsente, poco convinto, il ragazzo.

Pochi attimi dopo l’allontanamento di Dustin, infatti, Evan si mette in marcia dietro di lui, cercando di non farsi notare.

Il ragazzo legge ancora una volta l’annuncio della partenza da parte della scuola per allenatori, cercando un indizio che potesse fargli intuire quali fossero i Pokémon da consegnare, ma non trova nulla.

Già  dopo alcuni minuti, però, il ragazzo inizia a dubitare delle proprie possibilità , avendo già  perso di vista Dustin e senza conoscere esattamente cosa cercare.

Demotivato, si incammina di nuovo verso Palmizia, quando, improvvisamente, la terra sotto i suoi piedi sembra cedere.

“Porc…”

Un tonfo secco, e Evan viene travolto dalle pietre.

Dolorante, e molti metri sotto il percorso, il ragazzo si rialza, trovando come unica, possibile strada da percorrere il folto del bosco.

Nella foresta, nonostante la primavera avanzata abbia ormai portato giornate molto lunghe, sembra quasi sia calata la notte. I Pokémon insetto ronzano tutt’attorno, spaventando a morte il ragazzo, che non aveva mai avuto una particolare simpatia per quello strisciante e velenoso genere di Pokémon. E, siccome le sfortune non capitano mai da sole, si ritrova presto a fronteggiare un simpatico Scolipede, incontrato lungo la strada.

“Ecco a cosa si riferiva Dustin” ghigna amaramente, voltandosi e iniziando a correre, quando, poco distante, sente il rumore di un attacco Pokémon.

Si volta, stupefatto. Davanti a lui, un piccolo Eevee sta affrontando coraggiosamente Scolipede, nonostante la differenza di potenza tra i due Pokémon sia abissale, al momento.

“Non è questo il momento in cui avere paura” si fa coraggio Evan, avvicinandosi ad Eevee e prendendolo in braccio, portandolo via dalla lotta. Che fosse proprio quel piccoletto uno dei Pokémon da consegnare?

Il ragazzo corre velocemente, lontano da quel Pokémon che gli aveva sempre provocato un forte senso di timore, fino a raggiungere i margini della cupa foresta e venire investito dal luccichio delle onde. Palmizia, fortunatamente, non è troppo distante.

 

“Ti avevo detto di non fare niente” piagnucola Dustin, vedendo il malconcio Evan presentarsi alla porta del laboratorio “Alla fine abbiamo ritrovato tutti i Pokémon senza problemi, erano scappati per colpa di una collaboratrice un po’ disattenta” aggiunge, sorridendo con una punta di malizia verso una giovane ragazza un po’ distante da lui, che distoglie subito lo sguardo da Evan, imbarazzata.

“Io penso di aver trovato questo Eevee…” esclama allora il ragazzo, mostrando il Pokémon tenuto in braccio.

“In verità  non è un Pokémon di quelli che avevamo perso” aggiunge una voce femminile poco distante “Ma suppongo che per averti permesso di farsi portare in braccio fino ad ora possa ormai essere considerato tale”

Evan è come paralizzato davanti a quella familiare figura, ma il sorriso a trentadue denti non tarda ad apparire sul suo volto. I capelli scuri sono tenuti, come al solito ordinati e lucidi, in una pinzetta verde, mentre gli occhiali che il ragazzo ricordava sono ora stati sostituiti da una montatura spessa e tondeggiante, come in voga al momento. Ciò che è rimasto, però, immutato, è quel simpatico e rassicurante sorriso che il ragazzo aveva notato il primo momento in cui l’aveva visto, e che aveva ricordato per tutti quegli anni.

“Sono Ranja Elnath, professoressa Pokémon” continua lei, avvicinandosi e abbassando il tono di voce “Piacere di rivederti, Evan, o Ebhaar, come preferisci, spero che non ti sia già  dimenticato di me”

“Mai” sussurra il ragazzo, abbandonandosi a un caldo abbraccio.

 

 

 

gg per oggi, alla prossima settimana :D

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

DtdtjA5.png


 


road.


 


Eevee era ancora scossa da tutti quegli avvenimenti repentini. Prima la mareggiata, che la aveva separata dalla sua famiglia, con tutto quello sballottamento tra le rocce, tra gli spruzzi d’acqua, poi quel triste vagare fino ad aver raggiunto quella collinetta da cui aveva seguito, costantemente, quel ragazzo che le aveva fatto tanta simpatia. Aveva un non so che di confortante quella figura da orso abbinata a quel comportamento così non volutamente impacciato che l’aveva spinta a camminare dietro di lui e aiutarlo nel momento del bisogno, e ora, durante quel tragitto in braccio a lui, si era affezionata ancor più. D’altra parte, non aveva nessun  posto in cui tornare, avendo smarrito la strada di casa, e partire per viaggiare e conoscere il mondo e tanti altri Pokémon, e magari, finalmente, evolversi come sua mamma Vaporeon non era di certo una pessima prospettiva. Sarebbe rimasta con lui, sempre se l’avesse voluta.


 


“Dicevamo, Evan” riprende Dustin “Sono rimasti solo due Pokémon, attualmente, vuoi comunque dare un’occhiata?”


“Non credo” risponde il giovane “Penso che Eevee si sia affezionata a me, vorrei partire con lei”


“Vorrà  dire che questi due Pokémon resteranno qui” si intromette Ranja “Devi sapere che anche un altro allenatore ha rifiutato di prenderlo”


“Oh… Però ecco, non vorrei avere troppo vantaggio partendo già  con due Pokémon, insomma…” ribatte il ragazzo “Preferisco partire alla pari di tutti gli altri”


“Mi sembra giusto e non insisterò oltre” sorride Dustin, porgendo allora alcune PokéBall “Vai e fai le tue esperienze come meglio credi”


“Evan” aggiunge Ranja “Conviene comunque partire domani, ormai, potresti tornare a casa col treno, nel frattempo, sono sicuro che tua madre avrà  piacere di stare con te un altro po’”


“Ci penserò su” ribatte il ragazzo “Grazie di tutto, comunque, è stato un piacere incontrarti, Dustin, e rincontrare anche lei, professoressa”


“Buon viaggio” sorride lei, rivolgendo ancora una volta quel chiarore sul volto al giovane.


 


La notte era calata repentina, come sempre, nel periodo pre-estivo, ma Evan non aveva nessun’intenzione di raggiungere casa o un qualsiasi centro Pokémon, si sarebbe accampato, proprio come la madre gli aveva proibito, semplicemente per il gusto di stare all’aperto, ammirare le stelle e arrostire qualcosa alla brace, un qualcosa che, in quelle serate estive trascorse con Estia all’aperto, aveva sempre amato fare.


Montare una tenda non era difficile per lui sin da piccolo, abituato ai lavori manuali dalla sua infanzia Wosh, ma aveva sempre avuto l’abitudine di abbellire le sue creazioni, anche se temporanee, per trascorrere un bel soggiorno, anche se in luogo inospitale.


Si era accampato in un’area sulla strada tra Auron e Palmizia trascorsa in mattinata, diretto verso la parte più antica e da quella strada facilmente raggiungibile della sua città , dalla quale avrebbe prenotato la sua prima gara Pokémon.


La passione di Evan erano da sempre state le gare Pokémon: quel varietà  di luci, colori e suoni dedicato ai Pokémon più estrosi e agli allenatori più creativi. La creatività  era sempre stata dalla sua parte, ma un po’ meno la stravaganza. L’idea di presentarsi vestito di tutto punto e strillare al mondo le sue sgargianti esibizioni lo turbava tanto quanto l’idea di sovvertire le regole e creare un personaggio basato su diversi atteggiamenti. Alla fine, sarebbe stato sicuramente e semplicemente sé stesso.


 


Uno strillo nel cuore della notte sveglia il ragazzo che, turbato, esce dalla tenda, guardandosi attorno.


“Esciti dal mio zaino!” continua la voce di ragazza, poco distante da Evan.


“Esciti?” sussurra il ragazzo, divertito da quella strana espressione, incamminandosi con Eevee e una torcia nella foresta.


“C’è qualcuno?” continua allora la voce.


“Dove sei? Sto venendo ad aiutar… Ah” replica il ragazzo, interrompendosi non appena nota una luce poco distante.


Nella radura, scarsamente illuminata da un lume, è seduta una ragazza, ad occhio della sua stessa età , con il volto terrorizzato.


“Dormivo e quel coso è entrato nel mio zaino” balbetta, terrorizzata “Toglilo subito!”


“Va bene” sorride il ragazzo, a dire il vero un po’ teso. Si avvicina lentamente alla larga borsa verde, accostando lentamente la torcia all’orlo, dalla quale spuntano dei peli rossi.


“Oddio, un Wurmple” pensa Evan, impallidendo.


Attirato dalla luce, il Pokémon dai peli rossi inizia a muoversi, rivelando presto un colorito beige per tutto il resto del corpo. Pochi attimi dopo, una simpatica figura di volpino appare dalla borsa.


“Ma…  Che bello che sei!” sussurra sdolcinato Evan al Fennekin apparso dalla cerniera superiore.


“Non preoccuparti, è solo questo piccoletto” sorride lui, girandosi verso la ragazza.


“Appunto! Toglilo da lì, ti prego!” continua a strillare lei “Ho paura, mi incenerirà , oddio!”


“Ma è così tenero” replica lui, prendendo in braccio il piccolo Pokémon, dallo sguardo dispettoso “Non fare spaventare la signorina” continua, ricevendo in tutta risposta un morso sulla mano.


“Portalo via” esclama allora la ragazza “Per favore”


Fennekin, però, è già  a terra, pronto a lanciare un Braciere contro Evan.


“Gli va di lottare” sorride il ragazzo, emozionato per la sua prima sfida “E lotta sia, allora!”


“NON QUI, TI PREGO, NON QUI!” strilla ancora una volta la ragazza “Ti prego, odio i Pokémon di tipo Fuoco”


“Ah, era questo il problema” comprende il ragazzo, mandando in campo Eevee e facendole usare Palla Ombra, mentre il Pokémon avversario ha lanciato il suo Braciere.


“Sì, sono… Un’allenatrice di tipo erba” spiega la ragazza, mentre la lotta tra Eevee e Fennekin continua “Vengo da Praria, mi chiamo Florence, e non azzardarti a continuare ancora questa lotta”


“Possiamo parlarne dopo?” la riprende Evan “Non posso spostarlo mentre mi attacca, sai…”


Basta, però, una sola altra, ben assestata Palla Ombra per far vacillare Fennekin, momento in cui, nella foga del momento, Evan si ritrova con gesto automatico a lanciare una Pokéball.


Quel piccolo, dispettoso Pokémon l’aveva colpito sin da subito, con quel muso furbetto e il pelo lucido: sarebbe stato un ottimo alleato nelle sue sfide.


Pochi secondi, e la Pokéball smette di brillare, segnando la prima cattura del ragazzo. Poco distante, la giovane allenatrice “salvata” da Evan tira finalmente un sospiro di sollievo, iniziando a piangere mestamente.


“Dai, è tutto a posto” la conforta il ragazzo avvicinandosi. Non l’aveva ben inquadrata prima, ma poteva notare quanto fosse graziosa quella piccola figura, rannicchiata su sé stessa nella sua camicia da notte bianca e coi capelli biondi e spettinati scenderle sul viso.


“Cretino!”


Un pugno ben assestato colpisce Evan nello stomaco, lasciandolo di stucco e facendolo scivolare per terra.


“Poteva farmi del male quel coso, e l’hai lasciato attaccare e quasi bruciare la mia tenda” continua lei, furiosa. Forse non era dolce e carina come sembrava in apparenza.


“Sc… Scusa” balbetta l’aspirante coordinatore, storcendo la bocca “Ma non ti avrebbe comunque fatto nulla, è un Pokémon così piccolo e carin… Ouch”.


Un altro pugno, questa volta sulla spalla.


“Capisco” sorride “Dicevi, quindi, come ti chiami?”


“Idiota…” sussurra lei, ancora rossa di rabbia e paura “Sono Florence, allenatrice di Pokémon di tipo Erba, vengo da Praria, ho iniziato a viaggiare oggi”


“Anche io!” esclama, quindi, Evan “Anche se vorrei diventare un coordinatore, sono di… Sono di Auron”


Non avrebbe rivelato tanto facilmente la sua natura di Wosh.


 


Il giorno successivo, i due ragazzi si ritrovano sulla strada principale, entrambi diretti ad Auron. La decisione di percorrere quel tratto insieme era stata piuttosto ovvia, in quanto con obiettivi diversi ma mete comuni il loro viaggio non si sarebbe mai intrecciato negativamente.


In qualche modo, Evan è un po’ imbarazzato dall’avere una ragazza così carina come compagna di viaggio. Flo, come ama farsi chiamare lei, è senza dubbio una bella ragazza, e alla luce del giorno ciò è ancora più comprensibile: i capelli biondi e leggermente mossi le scendono sulle spalle delicatamente, leggermente tirati indietro da alcuni fermagli decorati con fiori di campo, meentre l’abbigliamento, chiaro e ampio, la fa sembrare somigliante ad un qualcosa di simile a un’ipotetica Madre Natura. Non avesse avuto quel caratteraccio mostrato la sera precedente...


Ci sarebbe stato tempo per conoscersi meglio.


 


main characters:


 


TLM9iqB.png LhBa04c.png


 


Qui i commenti ♥


Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Doppio capitolo, scusate il ritardo ma è stata la settimana del mio berdei e sono stato abbastanza occupato :S


 


meeting.


 


È ormai calata la notte su Auron, dove Evan e Flo avevano appena sostato. Il primo aveva prenotato la sua prima gara Pokémon, che pareva essere situata nelle immediate vicinanze della città  di Prexis, un’antica città  testimone del passato di Holariya, mentre la seconda aveva ricevuto le informazioni riguardo alla direzione da seguire per raggiungere la prima palestra, della città  di Saiton. Entrambe le mete erano raggiungibili da una strada pittoresca tra i cosiddetti “Monti del Sole”, ricche di grotte naturali e anfratti fioriti e rigogliosi grazie alla luce solare, filtrante dalle cime aguzze,  spesso forate dagli eventi atmosferici.


Comprato da un negoziante in mattinata il dépliant su tale meraviglia della natura, i ragazzi si erano incamminati nel tardo pomeriggio, raggiungendo così un centro Pokémon situato alle pendici dei monti.


 


“Stavo leggendo la storia dei Pokémon che abitavano queste zone” esordisce Flo, leggendo il depliant alla luce di una lampada da tavolo in una zona appartata del Centro Pokémon.


“Di che tratta?”


“Praticamente, sono questi Pokémon che prima abitavano i monti e sono completamente scomparsi” spiega lei brevemente “Tutte leggende, ma è figo, leggi qui!”


Evan si avvicina alla ragazza, scorgendo il breve trafiletto.


 


“Un tempo, questi monti erano popolati da una popolazione di Pokémon più evoluti del resto, che avevano sviluppato le proprie tradizioni e la propria lingua, e che viveva in costruzioni di legno all’interno delle cave dei Monti del Sole, così chiamati per le numerose aperture che lasciavano trasudare gli ambienti delle caverne di luce. Questi esseri, chiamati da noi oggi Glotel, o popolo degli dei della luce, dall’antica lingua Globel, ‘luce’, erano di indole pacifica e praticavano la magia. Vennero però a scontrarsi molto presto con altre popolazioni nate nelle altre zone della regione di Holariya, tra cui i Vultel, o popolo degli dei dei ghiacci, dall’antico Vull, ‘ghiaccio’, provenienti dalla penisola a nord della regione, più legati a una vita di caccia e pesca e meno acculturati, sebbene più forti fisicamente, e i Brutel, o popolo degli dei della terra, dall’antico Brull, ‘terra’, di indole violenta e incapaci di utilizzare la magia o di combattere alla pari forza dei Vultel, ma dotati di una spiccata intelligenza. Dopo secoli di contrasti, i Vultel vinsero la guerra e portarono gli altri popoli all’estinzione, per poi, però, scomparire misteriosamente anche loro.


La tragica conseguenza della lotta tra questi popoli lasciò agli uomini la possibilità  di colonizzare la regione di Holariya e stanziarsi in tutte le terre precedentemente abitate da queste popolazioni di origine mitica. Si narra, comunque, che ancora oggi un Glotel, un Vultel e un Brutel siano presenti nella regione in attesa di essere risvegliati e riappropriarsi di ciò che dall’uomo gli fu tolto. Come citato nell’antichissima ‘Filastrocca di Auron’, rinvenuta ormai più di cinquant’anni fa alle pendici dei Monti del Sole:


Suona, suona la nenia dei Glotel


Che l’antico furore si ridesterà 


Suona, suona il messaggio dei Glotel


Ciò che è stato perduto poi ritornerà 


Canta, canta la voce dei Glotel


Dentro ogni uomo egli risorgerà .


 


Buon viaggio nei Monti del Sole!”


 


“Sapendo che forse un essere mitologico vuole ucciderci tutti, quel ‘buon viaggio’ ha un non so che di ironico” commenta Evan, rivolgendosi verso l’amica, visibilmente attratta da quella storia, che si limita ad annuire.


Stanco per il cammino, il giovane si dirige dunque verso la stanza affittata per la notte.


 


I raggi del sole colpiscono Evan in pieno volto come dei pugni di luce pronti ad annerirgli gli occhi. Il ragazzo si rigira nel letto, il cuscino poggiato sgraziatamente sulla testa, socchiudendo con immane difficoltà  gli occhi.


Le dieci di mattina. Praticamente, tardissimo. Perché Florence non l’ha svegliato? Con le palpebre ancora calanti, il ragazzo scende lentamente dal letto, pettinandosi velocemente il ciuffo ribelle e grattandosi pigramente la barba, per poi, spinto ancora dalla necessità  di partire, vestirsi in un batter d’occhio e scendere al piano inferiore con tutti i suoi bagagli.


Florence non è nemmeno lì.


Perplesso, il ragazzo si dirige verso la stanza dell’amica, ma, dopo aver bussato, non riceve nessuna risposta. Vagamente preoccupato, Evan si dirige all’esterno, dove nota un piccolo nugolo di persone a lato del Centro, in una radura, probabilmente adibita a campo di battaglia.


 


“Mi ha sfidata” esclama, eccitata, Florence appena nota il suo amico “Quella ragazza lì, la vedi?”


Il ragazzo volge lo sguardo verso il punto indicato dall’amica: seduta su una panchina, una ragazza probabilmente della sua stessa età  e magra, insieme ad un ragazzino molto più piccolo e visibilmente zelante. La ragazza, con i capelli a caschetto e un maglioncino arancione un po’ sbiadito appare tesa e molto timida, ed è come se stesse litigando con il suo amico accanto.


“Lei?” chiede Evan perplesso.


“Veramente è stato quello piccoletto a obbligarla, è una degli allenatori partiti da Palmizia l’altro giorno dopo di me e te, si chiama Lada ed è di un paese che non ho ben compreso, ma non è importante” spiega Flo, per poi aggiungere “sono curiosa di vedere con che Pokémon lotterà â€.


“Io, a dire il vero” inizia il coordinatore, un po’ stupito “sono più curioso di vedere che Pokémon userai tu, non me ne hai mai parlato!”


“Di tipo erba” replica ingenuamente, e con una nota di delusione la ragazza, innescando le risate di Evan.


 


La sfida è ormai iniziata da un po’, ma per Florence e il suo Budew, il Pokémon da lei usato in quella lotta, sembra che la situazione non sia ancora perfettamente favorevole. La ragazza avversaria ha schierato un simpatico Gothita, uno dei Pokémon che la professoressa Ranja aveva concesso agli allenatori qualche giorno prima. Anche lei era quindi, come lui, una degli allenatori partiti quella settimana.


“Quindi erano Pokémon della regione di Unima” riflette Evan, un po’ intristito per aver rifiutato tali rarità .


“Budew, ora  usa Assorbimento!” urla un’altra volta Flo, mentre il suo Pokémon viene colpito per l’ennesima volta da Doppiasberla dell’avversario.


“Brava Gothita!” esulta timidamente Lada dall’altro lato del campo.


Nonostante le mosse subite ripetutamente, però, Florence pare non cedere, anzi, essere sempre più sicura di sé.


“Manca poco!” esclama l’allenatrice “Budew, continua con Paralizzante!”


“Manca poco?” pensa Evan, fissando la sua amica stranito. Un tiepido bagliore, però, attira la sua attenzione verso Budew. Il coordinatore tira un sospiro di sollievo, aveva considerato la sua amica molto meno intelligente di quanto in realtà  fosse.


Gothita non riesce a schivare l’attacco, e permette, da paralizzata, a Budew di rigenerarsi con Assorbimento. Quel bagliore di clorofilla, però, pare ormai permeare completamente il corpo del Pokémon Germoglio, che, dopo pochi attimi, rivela le nuove, bellissime sembianze di un Roselia.


“Budew è stato il primo Pokémon che ho catturato nella mia avventura, salvandolo da una mareggiata che ha colpito le coste della città  di Auron qualche giorno fa” spiega quindi Flo all’avversaria “Per questo, si è affezionato a me a tal punto di evolversi davvero molto presto, serviva solo una lotta, ormai”


L’avversaria è sbalordita da quel risvolto inaspettato. “Gothita, non badarci, usa Confusione!” urla, chiudendo gli occhi e serrando i pugni.


“Roselia, ora, un altro Assorbimento!” ordina l’allenatrice del Pokémon. Roselia, volteggiando con disinvoltura, schiva Gothita, per poi attaccare con una mossa più potente di quella ordinata: Megassorbimento.


Con l’avversario KO, la sfida tra le due ragazze è conclusa.


“Mi spiace” sorride Flo rivolgendosi all’avversaria â€œÈ stata comunque una bella lotta, spero che in futuro potremo combattere ancora”


“Sì, grazie” replica la rivale, con lo sguardo ancora abbassato “Ho capito molte cose su come addestrare meglio il mio Pokémon”


Dopo i convenevoli, le due si separano. Dagli spalti, Evan nota l’avversaria di Flo scappare via, inseguita dallo sbraitante ragazzino. La prima sconfitta è dura da digerire, ma anche normale, soprattutto per i coordinatori come lui, costretti a partecipare a gare in cui emergere è l’unica scelta possibile.


Ma lui come avrebbe reagito a una plausibile sconfitta?


 


“Senta, le dico che è una prelibatezza!” esclama un giovane concitato al bancone ristoro del Centro Pokémon, poco distante da Evan e Florence.


“Guardi, non ci interessa, non possiamo commercializzarlo…” replica il barista, stizzito.


“Ma è ottimo, forza, lo provi! Piace a bimbi ed adulti, a donne e uomini, a Pokémon belli e Pokémon brutti, piace praticamente a tutti!” canticchia il ragazzo, ammiccante.


“Per favore, se ne vada ora”


“Ma è una cosa alla quale non potete rinunciare! Questa bibita è nata per farsi amare” continua lui, imperterrito.


Quella scena diverte inspiegabilmente Evan, che non ha mai amato le persone insistenti, ma quel ragazzo con i capelli castani, gli occhi vispi di chi è furbo di natura e il Treecko sulla spalla gli appare davvero convincente.


Probabilmente accortosi dell’allenatore dalle sembianze di orso che lo sta guardando, il venditore gli si avvicina, mogio.


“Ehi, guardatore di conversazioni” esclama rivolto a Evan “Almeno tu vuoi provarlo il mio Grog™?”


 


 


purple.


 


 


E così, il ragazzo del Grogâ„¢ si era aggregato al gruppo il giorno esatto della partenza dal centro Pokémon, con un po’ di disappunto da parte di Flo, che non aveva ben compreso la provenienza e lo scopo di quella persona così gioviale.


“Mi chiamo Chris” aveva spiegato ad Evan, sorseggiando lo squisito Grogâ„¢ “Sono un allenatore, anche se non si direbbe, vengo da un paese del nord della regione di Hoenn, e teoricamente dovrei conquistare qualche medaglia da tipo… Tipo qualche anno ormai, ecco, ma il mio vero scopo è di far conoscere il mio Grogâ„¢ al mondo intero, è una sorta di fissazione”


“Si vede” aveva allora commentato il coordinatore sorridendo. I due erano andati avanti a parlare per tutta la notte davanti a una tazza di quella particolare bevanda, che pareva quasi rendere la gente più felice del solito, senza dare comunque un senso di ubriachezza vero e proprio.


Chris era, comunque, un giovane davvero molto simpatico. Gli occhi vispi e furbi notati da Evan al loro primo incontro erano, però, solo una facciata, dietro alla quale si nascondeva una grande timidezza.


 


Il giorno in cui i ragazzi arrivano finalmente a Saiton, Chris è già  parte del gruppo da quasi una settimana, trascorsa ad allenarsi insieme agli altri insieme al suo Treecko, a dire il vero già  abbastanza forte, avendo viaggiato a lungo col suo padrone.


La vista di Saiton, però, appare ai ragazzi come una cocente delusione. Dopo le idilliache visioni dei monti precedenti, la città  appare quasi come una pozza di fango spiattellata lungo i crinali delle montagne: un triste luogo dalla puzza di chiuso e di marcescente.


“Oddio” sussurra Flo, disgustata. Abituata a crescere tra le praterie della sua pianeggiante Praria, quella vista era esattamente l’ultima cosa desiderata.


“Saiton è una città  abbandonata” inizia a spiegare, quindi, Evan, che aveva trattato di quel luogo nel suo studio per cacciarsi di dosso la sua identità  Wosh, ma che inavvertitamente lo aveva trasformato in una persona anche troppo acculturata sulla sua regione per sembrare un normale ragazzo della sua età  â€œUn tempo in questa città  vi fu una palestra di tipo Veleno molto conosciuta, ma col tempo il capopalestra, ovvero Reno di Saiton, considerato originariamente quasi imbattibile, diventò sempre più debole a causa della vecchiaia, e, all’ennesima sconfitta, fu sostituito da un capopalestra di tipo Psico, Ernest “Luce divina”, per sua grande vergogna, essendo il suo Pokémon principale un raro Toxicroak, quindi doppiamente debole ai Pokémon del suo sostituto.


Il problema più grosso sorse quando, per una sorta di riscatto personale, questo vecchio capopalestra sfidò il nuovo con il suo Toxicroak e, sbalordendo tutti, vinse, soggiogando per una sorta di vendetta la città  di Saiton, che, da bella cittadina dalle caratteristiche casette in rara pietra viola, diventò… Beh, quello che è ora”


“Ma come ha fatto?” esclama, allora, la ragazza, sbalordita.


“Mh…” mugugna Evan, indeciso sul rivelare la verità  a un’amante della natura come la sua amica “Diciamo che ha vandalizzato tutto il circondario con i suoi Pokémon di tipo veleno.


“E io dovrei lottare contro questo pazzo?”


“No, no” sorride allora il coordinatore “La gente di Saiton non può certamente vivere più qui, dobbiamo dirigerci verso una sua frazione soprannominata Novana, dove ti aspetta la capopalestra di tipo… Ehm… Coleottero…”


Evan non aveva pensato, nel formulare la frase, al fatto che la ragazza accanto a lui allenasse solo Pokémon di tipo erba.


“Va bene così dai” esclama allora Florence con una strana determinazione “Dimostrerò a questa tipa che i Pokémon di tipo Erba possono vincere anche contro i coleotteri!”


“Immagino che qui non ci siano posti per commercializzare il Grogâ„¢, vero?” chiede allora Chris, scrutando la città  fantasma.


“Non direi proprio” replica l’allenatrice, ammirando schifata lo scempio di un uomo sulla natura.


“Comunque spero non ti dispiaccia Flo” inizia Evan, con un po’ di imbarazzo “Ma io non tollero i Pokémon Coleottero, quindi preferirei non venire a vedere la sfida, ti aspetterò fuori…”


“Oh, va bene”


In realtà , Flo era stranamente delusa da quell’affermazione, senza nemmeno conoscerne il reale motivo.


“Non mi serve supporto, tanto” continua, intrecciandosi una ciocca dei capelli biondi intorno al dito.


“Allora andrò a proporre il Grogâ„¢ a qualche locale anche io” sorride Chris, per beccarsi poi, di risposta, una crudele occhiataccia da Evan.


“Anzi, dai, lo proporrò alla capopalestra”.


Per la notte, i ragazzi si fermano in un Centro Pokémon poco distante dalla puzzolente cittadina. La mattina seguente, alle prime luci dell’alba, Flo è già  fuori, pronta a partire, seguita a ruota da Chris, trattato in modo simile a un tirapugni per far sfogare l’ansia all’amica.


“Beh? Evan? Dobbiamo andare” sbuffa lei, guardando l’orologio.


Chris, in tono accondiscendente, inizia a contestare: “Ma le palestre aprono alle dieci, l’ha detto ieri…”


“Non è importante!” lo interrompe Flo “In caso, noi partiamo comunque, tanto lui non vuole guardarla, la sfida, d’altra parte non dovrò necessariamente andare alla sua gara”


Detto ciò, la ragazza si incammina verso una cava vicina che, a detta dell’Infermiera di turno, dovrebbe portare alla frazione di Novana, sede della nuova capopalestra.


“Tipo coleottero” riflette tra sé e sé la giovane, da fuori determinata, ma in realtà  molto turbata da quella notizia “speriamo bene”.


 


Nemmeno il messaggino mandato da Chris ad Evan prima della partenza era riuscito a farlo svegliare.  Ancora una volta, intorno alle nove di mattina, il coordinatore si rende conto di aver fatto giusto un tantino di ritardo.


“Partiti alle sette, ci trovi a Novana. Flo arrabbiata, vieni alla sfida”.


Così recita il messaggio ricevuto sul telefono. All’idea di una sfuriata dell’amica, Evan rabbrividisce. Oltre al ritardo, anche la sua mancata presenza in palestra. Florence l’avrebbe ucciso, o ancor peggio, sarebbe andata via.


In fretta e in furia, il ragazzo si veste, quasi dimenticando il suo orecchino nero portafortuna e senza nemmeno pettinarsi o lavarsi. La barba è ormai cresciuta moltissimo, e, guardandosi allo specchio, Evan dimostra ora intorno a dieci anni più della sua età . Sceso al pianterreno, viene, per sua gran noia, stoppato dall’Infermiera Joy.


“Salve, hai un momento?”


“Non proprio…” inizia il ragazzo, trafelato.


“Non ha importanza, la federazione dei coordinatori di Holariya ti ha inviato il portafiocchi e la scheda che attesta la tua professione di coordinatore” spiega lei.


Evan si ferma, emozionato “Quindi… Da ora sono davvero un coordinatore di questa regione?”


“Certo, e mi servirebbe una tua foto” continua lei “Seguimi un attimo”


“Cos… Ora? Non mi sono nemmeno lavato” si lamenta Evan, preoccupato.


“Non ha importanza”


“Non ha importanza…” si rassegna il ragazzo, seguendo la donna.


Sul bancone, un solitario portafiocchi blu.


Link al commento
Condividi su altre piattaforme

smoke.


 


Evan esce dalla stanzetta dalle pareti bianche ancora un po’ frastornato dal flash della macchina fotografica, rigirando tra le mani la fotografia appena scattata.


Oltre il traslucido della superficie, una figura un po’ sgraziata, con i capelli arruffati e la barba folta, un paio di bracciali di cuoio sulle mani e una t-shirt chiara, con il logo, grigio e stilizzato, di una band sopra di essa.


“Non sembro per niente un coordinatore” mugugna il ragazzo tra sé e sé, ritirando l’attestato di appartenenza a quella categoria di allevatori di Pokémon.


Viene distolto dai suoi pensieri, però, dalla voce acuta dell’infermiera Joy.


“Torna subito qui!”


Evan si volta verso la porta d’ingresso, notando una piccola figura scappare via.


“Devi scusarmi, ma per mia distrazione quel Pokémon ha appena preso il tuo portafiocchi” spiega l’infermiera con voce dispiaciuta “Però puoi provare a riprenderlo, o nell’attesa di riceverne un altro iscriverti alla prossima gara…”


La donna non fa in tempo a finire il discorso che Evan è già  fuori dal Centro, a rincorrere goffamente il ladro, diretto verso il centro della città  fantasma.


“Porca miseria” sussurra il giovane, dopo aver scavalcato una barriera di divieto d’accesso, addentrandosi tra le maleodoranti case in pietra viola, discendendo lungo una ripida stradina.


Saiton, però, doveva essere davvero una bella città . Quei passaggi tortuosi, una volta, erano adornati di fiori e gente vitale, Pokémon e bambini intenti a giocare a nascondino, qualche turista venuto a immortalare le strane abitazioni.


Gli occhi di Evan sono ormai così lacrimanti da aver completamente annebbiato la vista del ragazzo che, tossendo, si appoggia a una delle abitazioni.


“Devo uscire il prima possibile da qui” riflette, ricominciando a stento a camminare, fino a raggiungere una strada più ampia delle altre, dove lo smog, più diradato, consente il respiro. Il Pokémon ladro, con il portafiocchi stretto dalla coda, giace poco distante, tossendo. Il giovane ne approfitta per strappargli l’oggetto rubato.


“Un Aipom” sorride, guardando il piccoletto, per poi prenderlo in braccio.


All’improvviso, però, l’attenzione del ragazzo viene catturata da un rumore metallico, proveniente dal fondo della strada. Con gli occhi ancora appannati dal fumo, Evan si rifugia in un vicoletto poco distante dove, vinto dalla stanchezza, cade a terra, stordito dallo smog velenoso.


“Non c’è tempo per riposarsi” sussurra allora una voce concitata poco distante dal giovane che, colto di sorpresa, sussulta, nel panico.


“Seguimi, presto! Prendi la mia mano”


A Evan pare ormai di star vivendo una specie di incubo. Con gli occhi semichiusi, la mano destra tesa e stretta a quella ruvida dello sconosciuto, la sinistra ancora al petto, con Aipom in braccio, il ragazzo sente le forse andarsene ogni momento di più, fino a cedere definitivamente.


 


“La capopalestra non è qui, al momento?”


La notizia aveva colpito Flo profondamente, e la ragazza, insieme a Chris, aveva a lungo cercato spiegazioni sulla strana assenza, senza però ricevere nessuna risposta concreta.


“Ha detto di avere un compito importantissimo da svolgere” li aveva liquidati la segretaria della palestra, dopo che la ragazza aveva dichiarato, strillando a squarcia voce, la sua intenzione di sfidare Regina, la “signora delle api”, capopalestra della ridente cittadina.


Mentre Florence, seduta su una panchina, parla al telefono con qualcuno, Chris osserva il panorama visibile da una splendida terrazza vicina alla palestra. Novana è completamente un altro mondo, rispetto a Saiton: costruita su una sporgenza di roccia al margine dei Monti dell’Alba, si affaccia su un enorme vulcano poco distante, da cui è separata da una magnifica vallata fiorita, degradante verso un’ampia prateria, oltre la quale, a detta dell’amica, si trova il mare.


“Certo che è strano che un capopalestra sia andato via così” riflette il giovane, che ormai aveva viaggiato per molto tempo, ma mai aveva notato un comportamento simile “sarà  senza dubbio successo qualcosa”.


 


Un forte odore di Pozione ridesta Evan dal suo sonno.


La stanza dove si trova è un piccolo spazio rettangolare e finemente decorato da numerosi artifici architettonici in  pietra viola, contrastanti con l’intonaco chiaro. Poco distante da lui, una strana e buffa figura.


“Spero tu stia meglio ora” sorride il vecchietto accanto a lui, aspirando flebilmente da una strana pipa di legno scuro, grossa e tozza, ma decorata con tanti piccoli inserti romboidali di colore più chiaro, ognuno impreziosito con degli strani caratteri incisi sopra. Le mani rugose della piccola figura contrastano con la faccia perfettamente liscia, ma i capelli bianchi e radi svelano la sua età  avanzata.


“Può sembrare banale, ma… Dove sono?”


“A casa mia” replica lui, per poi aggiungere, notando lo sguardo preoccupato del giovane “Quel tuo Pokémon l’ho già  curato, non preoccuparti”


“Aipom intendi? Non è un mio Pokémon” spiega Evan.


“Sì, l’ho notato” sorride imbarazzato l’uomo, aspirando ancora un’altra volta dalla pipa e grattandosi la testa “Ma pensando lo fosse penso di averlo inavvertitamente catturato con una tua Pokéball…”


A quelle parole, il ragazzo scoppia in una risata fragorosa, puntualmente bloccata da un gesto dell’ometto.


“Shh, potrebbero sentirci, sono ancora in giro” inizia l’uomo “hai rischiato molto ad avventurarti qui, dovresti stare molto più attento ai cartelli”


“Lo so, dovevo…”


“Non importa, ascoltami” lo interrompe lui “loro sono qui, e stanno cercando me, quindi devi andartene al più presto, mentre sei ancora in tempo, loro non sanno ancora che ci sei”


“Ma loro chi?” chiede Evan, già  in piedi e pronto a scappare via, con le gambe tremanti e il cuore a mille.


“L’Ordine dell’Uomo”


Nulla. Quel nome non pare suscitare proprio nulla, nessun ricordo, nessun timore nel ragazzo.


“La gente come te ancora non li conosce, ma li incontrerai molto presto lungo il tuo cammino, giovane Wosh”


“Cosa?” sussulta il giovane, iniziando a sudar freddo. Quell’uomo, da buffo, ora inizia ad inquietarlo particolarmente.


“Lo sento chiaramente, scorre insieme alla tua linfa vitale e ti ha portato fin qui” continua a vagheggiare lui “ma d’altra parte non è ancora giunto il momento, per te, al contrario di me”


Evan fissa ancora l’uomo, paralizzato dalla paura.


“Non è facile vivere una vita di rimpianti, giovane Wosh” sorride lui “Ma per te prevedo un futuro nella luce, nell’amicizia, continuando a serrare i tuoi demoni dentro il tuo corpo”


Il vecchio inizia a muoversi verso il ragazzo, fermandosi a pochi centimetri da lui. La testa tonda arriva a malapena al suo petto.


“La via per la comprensione di tutto ciò deve ancora aprirsi davanti ai tuoi occhi, che ad oggi sono ancora spenti e senza vita, ma il barlume della tua missione non tarderà  ad accendersi”


Il rumore metallico torna a rimbombare, poco distante dai due, oltre la piccola finestrella in legno smaltato, velata da tendine profumate di lavanda.


“Pare sia arrivato il momento” sussurra, mestamente, il vecchio, porgendo la pipa scura ad Evan.


“Voglio che tu tenga questa per me, fanne ciò che vuoi, ma non cederla mai a nessuno. Vorrei spiegarti tante cose e intrattenermi ancora con te per un po’, ma ci sarà  di certo qualcuno oltre me che ti suggerirà  la strada, giovane Wosh” continua lui, allontanandosi verso la porta “Ora resta qui e non fiatare, non verrà  nessuno a cercarti”


Ancora terrorizzato da quelle parole, Evan si accascia a terra. Attirato dal vociare al piano inferiore, poggia l’orecchio al pavimento, cercando di ascoltare la conversazione.


“E così non vuoi dirmi dove sia la reliquia”


“Non ne ho più avuto idea da anni e anni, ho vissuto qui per troppo tempo”


“Anche noi, lo sai bene, ma purtroppo per te, oggi, la barriera pare essersi definitivamente dileguata”


“Non c’è più spazio per me in questa battaglia, vecchio amico mio, non ho più le capacità  di un tempo”


“Menzogne! Non parlare di capacità , dov’è la reliquia? Perché  ha smesso di funzionare, d’un tratto?”


“Non saprei dirti, l’ho persa di vista tanti anni fa, te l’ho detto…”


“Persa di vista? Vuoi dire di aver vissuto una vita da cani per aver perso di vista proprio il motivo per cui hai scelto di confinarti qui? Rendere inviso il tuo nome a tutta la gente della regione?


“So che un giorno il mio nome tornerà  ad essere quello di un tempo”


“Per ora, dovrai solo venire con me e dirmi dove sia quella dannata…”


La voce più giovane tra le due, interdetta, termina il suo dialogo. Sopra la casa, un forte rumore di elicotteri. Evan, frastornato, approfitta del momento per affacciarsi verso una stanza adiacente dove, in mostra su un tavolo, sono posate la sua borsa, il portafiocchi e le Pokéball.


“Devo vedere anche cosa fare con Aipom” riflette tra sé e sé, serrando alla cintura le tre sfere più pesanti delle altre.


I rumori dei cingoli e degli elicotteri appaiono ormai lontani dalla casa, ed Evan ne approfitta per sbirciare al piano inferiore. La porta è ancora aperta, ma all’uscio non c’è più nessuno. Scendendo le scale cercando di evitare il più possibile i rumori, il ragazzo nota sulle pareti numerose foto di un uomo, basso e tozzo e con un sorriso gioviale, accanto a un maestoso Toxicroak.


Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Archiviata

La discussione è ora archiviata e chiusa ad ulteriori risposte.

Visitatore
Questa discussione è stata chiusa, non è possibile aggiungere nuove risposte.
  • Utenti nella discussione   0 utenti

    • Nessun utente registrato sta visualizzando questa pagina.
×
×
  • Crea...