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[Snorlax] Aether - Le ali della farfalla


Snorlax

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Aether

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Capitolo Primo: Mai più come prima

Rose era seduta sul davanzale. Dalle finestre in ferro della sua stanza scrutava il cielo plumbeo di Zea. Zea, la sua città . La pioggia scendeva fitta bagnando il suolo roccioso e cupo. Dall’alto del suo quinto piano, la ragazza riusciva quasi a scorgere le candide e irregolari torri della Cattedrale della Dea Pura, vanto della sua città . Proprio quella città  che lei non aveva mai visto in sedici anni di vita. Dietro le tende della stanza padronale, Rose riusciva a scorgere la figura china su un tavolo di Madame Juliet, intenta a scrivere chissà  cosa. Madame Juliet, o come tutti la conoscevano, Madalie era una donna imponente e a tratti severa sulla cinquantina, padrona della villa dove la stessa ragazza abitava, posizionata su uno dei colli più alti di Zea e circondata da un fitto bosco. Una grande e antica villa che spesso incuteva timore ai nuovi adepti, a causa delle sue decorazioni misteriose e delle sue grandi finestre arcuate. La pioggia si stava lentamente fermando, permettendo a Rose di ammirare la zona circostante. La ragazza era ormai abituata a quel panorama e ne conosceva ogni angolo, segreto o illuminazione, ma, chissà  perché, non se ne stancava mai. Forse semplicemente perché era la sua unica evasione dal mondo piatto e grigio nel quale aveva sempre mosso i suoi passi, sin dalla sua maledetta nascita.

Rose viveva in quella struttura da sempre, o almeno per quanto lei stessa ricordasse. Era un “Centro per i giovani talenti”, riservato a tutti i ragazzi dotati di un particolare potere. Rose era, appunto, uno di questi, anche se non aveva mai saputo sfruttare la minima parte, la più piccola scintilla del suo potenziale. Rose era diversa da tutti: sia gli umani, ai quali faceva paura, a causa della sua forza; sia i Figli di Kalba, come erano chiamati i “potenti”, i talentuosi, in onore della Dea della forza e dell’intelligenza, a causa della sua incapacità  nell’usare i poteri magici.

Rose era condannata all’infelicità , alla solitudine, alla differenza. Non sarebbe stata mai nessuno, si ripeteva sempre dentro di sé, quando un briciolo di speranza affiorava effimero dalla sua mente.

Le ultime luci del giorno lasciarono spazio alla cupa e misteriosa notte, mentre la pioggia continuava a martellare le orecchie della ragazza. Accadeva sempre così a Zea, costruita sulla piana dell’isola di Ecluira, umida e imprevedibile.

Con la notte, Rose si riscosse dai suoi tristi pensieri, avviandosi verso il piccolo guardaroba. Indossò il suo vestito ufficiale e si diresse verso l’uscita. Non fece però in tempo a fare un passo, che la porta si spalancò all’improvviso. Sulla soglia, la sua compagna di stanza: Hanna.

Hanna era una ragazza un anno più piccola di Rose, ma molto più sicura di sé. Prima di tutto per la sua bellezza: il corpo magro, l’altezza, i capelli biondi e gli occhi blu notte conquistavano tutti i ragazzi del Centro. Rose in un certo senso invidiava la sua coinquilina proprio per quella sua sicurezza, nonché per i suoi grandi poteri, per i quali era apprezzata da tutti gli insegnanti dell’istituto. Inutile dire che le due ragazze fossero come cane e gatto, si tolleravano a stento. Dal canto suo, Hanna si ritrovava a vivere con una ragazza da lei ritenuta “inferiore”, a causa della sua inspiegabile incapacità . Spesso si chiedeva cosa ci facesse lì quella ragazza con i capelli rossi, era impensabile.

Hanna squadrò Rose con la solita aria strafottente e la lasciò passare, senza salutare, come al solito. Senza farci ormai caso, Rose si incamminò verso la sala della mensa. Nei bui e articolati corridoi della villa erano in pochi a orientarsi, spesso si ricorreva al piccolo orologio dato in dotazione da Madalie a tutti i ragazzi, con una piccola mappa fluorescente sul quadrante. Per Rose, invece, quei corridoi erano il suo mondo. Si ricordava ancora di quando, appena arrivata, aveva provato un terribile senso di smarrimento, ma ormai l’abitudine aveva avuto la meglio sulla paura e nemmeno l’arredamento particolarmente austero ormai la riusciva ad intimorire, strisciava lungo le pareti senza farsi notare, senza che i commenti degli altri Figli di Kalba la scalfissero come legno sotto i colpi di un’ascia.

Rose scese le scale fino al primo piano, dove si trovava la grande sala della mensa. Lei era ancora costretta a mangiare con quelli più piccoli: non aveva mai superato il terzo esame ed ora viveva con i ragazzi di dieci, undici anni. Si vergognava, si vergognava terribilmente, aveva come l’impressione di essere ancora meno potente dei bambini attorno a lei, ma sapeva che se fosse uscita dalla grande villa di Madalie, tutto si sarebbe complicato, irrimediabilmente. Ed ecco l’imbarazzo, ancora. Gli occhi sprezzanti dei suoi coetanei, costretti a vivere con quell’abominio, con quella ragazza “sbagliata”.

Prima del secondo piatto, in sala si presentò Madalie, con i capelli, come al solito, acconciati in una elegante crocchia e il vestito antiquato e complesso ad evidenziare la bellezza del corpo, ancora per niente colpito dall’avanzare dell’età .

Alla sua vista tutti si alzarono in piedi con i cuori che battevano all’impazzata. Rose, ormai, aveva completamente perso la voglia di agitarsi, aveva perso tutte le speranze. Quella scena si era ripetuta già  troppe volte... Troppe...

“Presto” iniziò a dire Madalie “Dovrete affrontare il Terzo Esame, dove finalmente potrete usare il vostro potere”.

Dalla folla di bambini si levarono grida eccitate.

“L’esame si svolgerà  tra un mese e mezzo, prima di tornare a casa dalle vostre famiglie” continuò la Principale “La prova consiste in una dimostrazione di potere a vostra scelta, una piccola lotta e infine una prova scritta dove spiegherete le tecniche primarie di combattimento. Con questo, preparatevi. Domani inizierete ad allenarvi”. Così come era entrata, Madalie uscì senza ulteriori spiegazioni.

Tutti i ragazzi iniziarono a confabulare tra loro, mentre Rose riprese a mangiare tranquillamente, o quasi.

“Rose...” sussurrò una ragazzina, vicino a lei “Ci alleniamo insieme, domani? Sarebbe bello se passassi anche tu...”

Rona, una ragazza con i poteri della terra, era l’unica amica di Rose, o almeno semplicemente l’unica persona a parlarle.

“Non lo so... Non ne vale la pena” si arrese la ragazza.

“Per favore... Voglio continuare gli studi con te!” rincarò Rona, con voce lamentosa.

“Ci penserò...” sussurrò Rose con un singhiozzo. Non ce l’avrebbe mai fatta. Non c’era riuscita mai, non l’avrebbe di certo fatto. La giovane cercò di pensare ad altro, afferrando la carne nel piatto con una piccola forchetta di plastica.

Non riuscì a mettere un solo boccone in bocca che il pianto la assalì. Corse via dalla porta secondaria cercando al meglio di non farsi vedere, perdendosi infine per i corridoi che tanto amava e sentiva “suoi”.

Salita all’ultimo piano, Rose si abbandonò in un pianto disperato. Quell’ala della casa, non ancora aperta agli studenti, era vuota e tetra, ma era l’unico posto dove Rose poteva piangere in tranquillità . Lei, infatti, sapeva che se l’avesse fatto in presenza di altre persone, sarebbe stata derisa più di quanto lo fosse già  adesso. Non le era permesso mostrarsi debole ancor di più di quanto lei stessa fosse.

La sua vita era un fallimento: senza genitori, abbandonata in un orfanotrofio pochi mesi dopo la nascita, e infine salvata da Madalie. In un certo senso quest’ultima era stata sia la sua salvazione, sia la sua condanna. Ma le era grata lo stesso.

Tra le lacrime, Rose si abbandonò alla morsa del sonno, un sonno profondo che l’avrebbe cambiata. Per sempre.

Nero. Nero profondo. Un dolore in petto, forte, troppo forte per essere reale. Poi, una luce tenue di candele si accende nell’oscurità  rivelando una stanza ottagonale. Sul soffitto un disegno di una battuta di caccia, probabilmente preistorico. Al centro della sala un altare in pietra ricoperto dal muschio. Rose era all’ingresso e non credeva ai suoi occhi. In qualche modo sapeva che fosse in un sogno, e non riusciva a svegliarsi. Era troppo forte la pressione su di lei, un qualcosa di arcaico e leggendario. Poi, una voce.

“Rose”, si sentì chiamare “Finalmente sei arrivata, ti aspettavo da troppo tempo...”.

La ragazza era paralizzata, non sapeva cosa fare.

“Tu non sai niente ora, ma imparerai in futuro. Tieni a mente le mie parole, cerca di essere ragionevole e capirmi”

Rose tremava. Cosa le stava succedendo? Cos’era quel sogno così reale?

“Non essere tesa, io sono quanto di più vicino a te ci sia in questo mondo. Tu sei speciale, lo hai sempre saputo, ma lo hai negato a te stessa. Perché Juliet ti avrebbe portata qui, allora?”

“Dimmi chi sei” esclamò all’improvviso la ragazza, tremante e impaurita.

“Sono colui che ti ha dato ciò che hai di più importante, scoprirai presto il mistero di queste parole. Ascoltami adesso.”

“Non... Non mi fido di te” sussurrò Rose al nulla.

“Devi. Un qualcosa di malvagio sta per rivelarsi in questa terra di pace. La guerra di trent’anni fa non è servita a niente, ci siamo sacrificati tutti, per tornare di nuovo a dover lottare. Rose. Tu devi aiutare la nostra terra. Sei nata per questo, cresci per questo e morirai per questo. Qualcosa... Qualcosa di terribile si sta per muovere ad Aquiterra, e presto sarà  il caos. Il caos più totale, il caos millenario. Aiutaci a rinascere, è questo il tuo destino, solo noi possiamo”

“Voi chi?” rispose la ragazza urlando “Cosa dovrei fare io? Sono una fallita, la mia vita è un fallimento totale! Perché io? Chiedete a qualcun altro! Io non merito...”

Rose non riuscì a terminare la frase e scoppiò a piangere di nuovo. Stava succedendo tutto troppo in fretta, non capiva più nulla.

“Ehi, Rose” riprese la voce in tono paterno “Nessuno è perfetto. Già  il fatto che ti stia parlando vuol dire che sei speciale. Questa sala in cui ti trovi è invalicabile per ogni normale persona o figlio di Kalba. Chiunque ricevesse questo dono morirebbe... Siamo in una dimensione dannata, Rose, una dimensione più antica della nostra stessa terra di fiedra. Ora ascoltami.”

“Cosa... Cosa devo fare?” chiese Rose, arrendendosi. Sperava ancora che tutto fosse solo un sogno, ma aveva ormai perso ogni concezione della realtà . Era vero, era tutto vero, non poteva nemmeno pensare al contrario, perché i suoi stessi pensieri le ritornavano indietro come un boomerang.

“Sono pronta” sussurrò Rose, tremando.

“Non mentirmi, non lo sei ancora” rispose la voce “Devi ancora imparare a credere in te stessa, poi tutto verrà  da sé... L’autostima, Rose. E’ quella la strada che ti svelerà  la via per il mistero”

“Ma come...” iniziò la ragazza, ma venne interrotta dalla voce.

“Non è più tempo. Ora vai, vai e vivi. Tutto verrà  da sé, tutto...”

La visione iniziò a scomparire. L’altare in pietra lavica scoppiò con un fragore assordante creando un fumo verdognolo, poi fu la volta del crollo delle pareti e del soffitto, che prima di arrivare al suolo si infransero anch’essi in una nube rosata, per ultimo, il pavimento scomparve, e Rose rimase sospesa nel nulla. Nel nero fluttuavano solo due tremolanti candele. Come d’incanto, tutto il fumo nella stanza iniziò a roteare intorno ad esse. Le fiammelle rosse divennero verde speranza. Quella speranza che tanto serviva a Rose. La ragazza ne prese in mano una, scrutandone la forma e gli intarsi nella cera.

La ragazza venne attirata da un sussurro, e si voltò d’impatto, scorgendo una strana forma nel buio. Una figura umana, un giovane incappucciato con un un ampio e svolazzante mantello nero, con le mani e i piedi legati da tralci di vite. Nella mano destra, vi era una strana spada rozza e squadrata, sporca di sangue e corrosa dal tempo.

“Hiodea batauria tii”

Parole in antico Fiedrense, la lingua che si parlava a Fiedra secoli e secoli fa. Rose sentì dentro il suo cuore qualcosa di nuovo e distruttivo, il potere le fluiva come un fiume in piena. Sensazione che durò un attimo, giusto in tempo per svegliarsi.

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Essendo i capitoli "da libro", ovvero piuttosto lunghi, intorno alle dieci/dodici pagine A5 ciascuno, li suddividerò sempre in due parti. Enjoy

Capitolo Secondo: Heda ~ La biblioteca

La luce rosa dell’alba illuminò il volto ancora giovane e infantile di Rose. La ragazza si svegliò di soprassalto, completamente sudata e scossa. Si passò sulla fronte una mano, togliendo dagli occhi le ciocche di capelli rossi che la accecavano. Il sogno della notte prima era ancora vivo nella sua mente, impresso e reale. Come un riflesso comandato corse via, precipitandosi al terzo piano, in biblioteca. Normalmente i ragazzi del suo grado avevano bisogno di un permesso speciale per urgenze, la biblioteca si poteva usare solo dal quarto livello, ma Rose aveva bisogno di sapere. Tutto. La tentazione di conoscere il significato di quella misteriosa frase la possedeva e la dominava, facendole compiere quel gesto così scellerato.

La porta era aperta, stranamente. Rose entrò dentro: non c’era nessuno. “Strano” pensò “Madalie non lascerebbe mai la biblioteca aperta, è rischioso...”. La ragazza si consolò pensando che questo avrebbe comunque reso le cose più facili.

Cercò un dizionario di Fiedrense nello scomparto storico, ma non trovò nulla. Quei libri di tecniche di potere e di narrativa storica non le erano d’aiuto. Sapeva che la sua ricerca fosse più difficile che mai, non poteva restare fossilizzata alle solite stupidaggini di quei libri insulsi. Aveva bisogno di qualcosa di più grosso, di più importante. Di proibito. Decise, allora, di disobbedire di nuovo alle regole, e si diresse verso le sale più importanti e interdette a tutti i ragazzi della scuola, di qualsiasi grado ed età . Solo gli allievi di quinto grado erano a conoscenza delle stanze segrete, ma Rose ne aveva sentito parlare a causa di Hanna, che per fama non riusciva a mantenere a lungo i segreti. Le sale segrete della biblioteca erano imponenti e decorate con fregi in marmo rosa. Le alte colonne delimitavano i diversi scaffali in ebano scurissimo, colorati da alcune copertine di libri sgargianti. Sul soffitto erano presenti dei bassorilievi in calcare raffiguranti diverse scene di guerra, da queste partivano degli enormi lampadari in oro, ai quali era appesa una piccola targhetta, con inciso sopra il nome della sezione. Rose cercò dappertutto, finché non arrivò allo scomparto dei “Testi Sacri di Fiedra”. In qualche modo sapeva che il libro che cercava fosse proprio lì. Tutti i libri rilucevano d’oro, a causa delle protezioni per i libri più antichi in Tessuto Divino, un materiale infrangibile e preziosissimo. Tutta la zona profumava d’incenso e polvere, probabilmente a causa degli antichissimi libri, che nessuno sfogliava da tempo.

La porta era aperta, stranamente. Rose entrò dentro: non c’era nessuno. “Strano” pensò “Madalie non lascerebbe mai la biblioteca aperta, è rischioso...”. La ragazza si consolò pensando che questo avrebbe comunque reso le cose più facili.a luce rosa dell’alba illuminò il volto ancora giovane e infantile di Rose. La ragazza si svegliò di soprassalto, completamente sudata e scossa. Si passò sulla fronte una mano, togliendo dagli occhi le ciocche di capelli rossi che la accecavano. Il sogno della notte prima era ancora vivo nella sua mente, impresso e reale. Come un riflesso comandato corse via, precipitandosi al terzo piano, in biblioteca. Normalmente i ragazzi del suo grado avevano bisogno di un permesso speciale per urgenze, la biblioteca si poteva usare solo dal quarto livello, ma Rose aveva bisogno di sapere. Tutto. La tentazione di conoscere il significato di quella misteriosa frase la possedeva e la dominava, facendole compiere quel gesto così scellerato.

Cercò un dizionario di Fiedrense nello scomparto storico, ma non trovò nulla. Quei libri di tecniche di potere e di narrativa storica non le erano d’aiuto. Sapeva che la sua ricerca fosse più difficile che mai, non poteva restare fossilizzata alle solite stupidaggini di quei libri insulsi. Aveva bisogno di qualcosa di più grosso, di più importante. Di proibito. Decise, allora, di disobbedire di nuovo alle regole, e si diresse verso le sale più importanti e interdette a tutti i ragazzi della scuola, di qualsiasi grado ed età . Solo gli allievi di quinto grado erano a conoscenza delle stanze segrete, ma Rose ne aveva sentito parlare a causa di Hanna, che per fama non riusciva a mantenere a lungo i segreti. Le sale segrete della biblioteca erano imponenti e decorate con fregi in marmo rosa. Le alte colonne delimitavano i diversi scaffali in ebano scurissimo, colorati da alcune copertine di libri sgargianti. Sul soffitto erano presenti dei bassorilievi in calcare raffiguranti diverse scene di guerra, da queste partivano degli enormi lampadari in oro, ai quali era appesa una piccola targhetta, con inciso sopra il nome della sezione. Rose cercò dappertutto, finché non arrivò allo scomparto dei “Testi Sacri di Fiedra”. In qualche modo sapeva che il libro che cercava fosse proprio lì. Tutti i libri rilucevano d’oro, a causa delle protezioni per i libri più antichi in Tessuto Divino, un materiale infrangibile e preziosissimo. Tutta la zona profumava d’incenso e polvere, probabilmente a causa degli antichissimi libri, che nessuno sfogliava da tempo. La ragazza salì su una scaletta di legno appoggiata ad una colonna e raggiunse un punto molto alto dello scaffale, iniziando a scrutare i libri, cercando una risposta.

Scorse tutti i titoli, impiegando nella ricerca molto tempo, senza trovarne uno interessante, finchè una rivelazione, a metà  del grande scaffale, la lasciò senza fiato.

“Maudo Hiodea Diia heba - coltizia mudlite”

Non aveva la minima idea di cosa significasse quella frase, ma quella parola, “Hiodea”, l’aveva già  sentita nel suo sogno. “Hiodea batauria tii”.

Scese dalla scala e si sedette appoggiando il tomo, iniziando a togliere lentamente il Tessuto Divino.

La seconda rivelazione fu la scoperta della copertina. Il tomo, nemmeno a dirlo, era di colore verde. Verde proprio come il colore predominante in quel sogno. Vi era, inoltre, un bassorilievo in argento raffigurante una donna con in mano una rosa appena sbocciata.

Rose aprì la prima pagina e, con cura, iniziò a sfogliare il libro.

La felicità  iniziale scomparve all’improvviso. Il testo era in Fiedrense, e l’unica cosa presente in quelle pagine erano illustrazioni di piante e metodi di botanica. Boccioli, bulbi e fiori predominavano su tutto, rendendo la lettura più scorrevole, ma incomprensibile per la ragazza.

Rose era quasi sul punto di abbandonare quando, dalle ultime pagine, spuntò fuori un foglio invecchiato e macchiato di una strana bevanda di un colore lilla. Rose esultò: era nella sua lingua, sebbene un po’ ampollosa e antiquata. Iniziò a leggere avidamente, cercando delle risposte alla sua strana esperienza.

“Manuale di Heda, dea dell’erba: modalità  di colture”

“Introduzione: Heda è la divina dea dell’erba, si dice abbia avuto origine d’una piantagione di rosse rose. Vanto suo è detto esser la bontà , chi con pazienza e sensibilità  forma l’suo carattere. Heda è raffigurata come ragazzuola con un vestito candido, ed è spesso associata a cervi o felini nelle sue raffigurazioni poiché oltre alla flora, gli agricoli e i puri di cuore protegge la fauna del mondo. E’ sovente raffigurata con ali di farfalla di color rugiada, con sfarzosi decori e colori sgargianti. Heda è venerata in particolare a Portamar, Ancalla, Quar e la piccola città  di Cepa, nella terra sua di Arbilia, ove si dice sia stata originata. Heda, come ogni divinità  Fiedrense, è conservata in una sfera, ma riverbera l’animo suo negli umani chi essa ritiene adatti...”

Un rumore distrasse Rose dalla sua lettura. Dei passi molto leggeri si stavano avvicinando. Dopo, una voce minacciosa ma preoccupata.

“C’è nessuno qui?”

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Capitolo Secondo 2 : Heda ~ Le informazioni di Yahstar

Un rumore distrasse Rose dalla sua lettura. Dei passi molto leggeri si stavano avvicinando. Dopo, una voce minacciosa ma preoccupata.

“C’è nessuno qui?”

Rose, all’inizio, non riuscì a riconoscere la voce maschile dell’altra persona nella sala, ed entrò nel panico. Le si ponevano due sole possibili scelte. Fuggire o combattere... Ma combattere... Come?

La ragazza cercò allora di scappare, ma si sentì trascinare via da una forza misteriosa. Era inutile dimenarsi, non poteva muoversi in alcun modo. I piedi le scivolavano sul pavimento in legno, e la ragazza era nel panico. Vi era solo una cosa positiva: Rose conosceva, adesso,il suo aggressore. Aveva già  sentito parlare di un ragazzo con questo potere incredibile. Yahstar era un misterioso inquilino della casa, nessuno aveva mai visto il suo volto, a quanto pare, perché perennemente oscurato da un ampio cappuccio calato sulla fronte. Tutti avevano da sempre un po’ di paura di Yahstar, persino Hanna. Nessuno lo aveva mai avvicinato. Nessuno vi aveva mai parlato. La causa di questo era da ricercare nei suoi temibili e temuti poteri magici, che lo rendevano uno dei Figli di Kalba più potenti dell’istituto. In effetti, Yahstar ha la stessa età  di Rose; la ragazza ricorda ancora che nella prima classe in cui studiò nell’istituto, era insieme a lui. Dopo, al terzo livello, si dovettero separare.

“Ah, sei tu...” sussurrò Yahstar sollevato dopo aver visto la ragazza “credevo fosse un ladro...”

“Per evitare i ladri potresti chiudere la porta...” ironizzò la ragazza, per poi pentirsi subito di aver parlato.

“Giusto, potrei risolvere molti problemi” replicò in tono duro e serio Yahstar. Quella ragazza lo aveva colpito, per la prima volta qualcuno aveva osato rispondergli, senza remore o paura.

Rose, al contrario, arrossì di colpo, credendo di aver fatto una figura terribile. Stranamente, il ragazzo sembrò accorgersi delle sensazioni di Rose.

“Ehi, non ti preoccupare” la calmò Yahstar “Mi hai detto la verità , ho effettivamente dimenticato di chiudere la porta... Sai, vengo sempre a leggere al mattino, riesco a rilassarmi... Senza gli sguardi curiosi di tutta la comunità , insomma...”

“Beh, non ti preoccupare, io me ne stavo per andare” rispose Rose, un po’ intimidita.

“Non dici il vero. Lo so. Ma non ti preoccupare, non mi dai fastidio, davvero...” la tranquillizzò, per la seconda volta, Yahstar.

“Si, ma... Veramente... Non...”

“Sei un po’ ansiosa, Rose. Non ti preoccupare. Che stavi leggendo?”

Al sentire il suo nome pronunciato da Yahstar, la ragazza cedette. “Un libro in Fiedrense”

“Parli il Fiedrense?”

“Veramente... Veramente no...”

“E... Come facevi a leggere?” chiese incuriosito Yahstar. Quella buffa ragazza iniziava a piacergli, sentiva di avere con lei qualcosa in comune. Non per il suo sesto senso, ovvero percepire le emozioni delle altre persone, ma proprio perché la sentiva vicina. Forse erano entrambi emarginati, e qualcosa li legava indissolubilmente. Era come se la conoscesse da sempre, stranamente. Guardando Rose dal tavolo degli allievi di livello sei, Yahstar si era sempre chiesto cosa si provasse a non avere poteri, ma adesso, finalmente a contatto con quella strana ragazza, aveva percepito il suo incredibile senso di disagio.

“Ho letto una traduzione all’interno” rispose Rose, risvegliando il ragazzo dai suoi pensieri, e conducendolo verso la sua scrivania.

“Fammi vedere...” sussurrò Yahstar, ma le parole gli morirono in bocca, lasciando spazio alla paura “Quello... quello è un libro importantissimo! Non avresti dovuto prenderlo! E’ uno dei libri della Sequenza Dei, tra i più importanti della nostra cultura fiedrense...”

“Scusami, ma non lo sapevo...” si giustificò Rose, impallidendo.

“Mah, è normale, la Sequenza Dei si studia al quarto livello, tu sei ancora al terzo... In ogni caso, dovremmo rimetterlo a posto, non hai idea di quanto questo manoscritto sia importante per Madalie, se ci scoprisse sarebbe la fine...”

“No” si oppose Rose, fermamente “Io ho bisogno di quel libro a tutti i costi. Facciamo un patto. Tu mi spiegherai cosa sia la Sequenza Dei, ed io ti racconterò il perché io sia qui.”

“Lo sai che in questo modo potremmo essere radiati entrambi da questo istituto, vero?”

“Si, lo so” rispose.

Davanti agli occhi convinti della ragazza, Yahstar si abbandonò al peccato, iniziando a sfogliare il manuale di Heda.

“La Sequenza Dei” iniziò il ragazzo “E’ la più importante serie di manoscritti dell’intera regione di Fiedra. Molti la conoscono con il nome in fiedrense, ovvero la Syeqen Dis. Ecco, si tratta di tutti i libri allegorici dei diversi Dei del passato di Fiedra, ad esempio Heda, oppure la stessa Kalba, fino ad arrivare al Dio del Nulla, Unna. Perché libri allegorici? Perché essi, nonostante sembrino semplicemente dei manuali, dei romanzi o delle enciclopedie, racchiudono in essi il segreto della stessa divinità . Questi, naturalmente, sono delle copie degli originali. Gli originali sono intoccabili. Solo i discendenti degli stessi Dei possono sfogliare le loro pagine. In “Maudo Hiodea”, Heda stessa riverbera le sue azioni nelle azioni delle piante. Nella sezione sulle rose, ad esempio, si dice che venga narrata la stessa nascita della Dea, ma paragonandola alla nascita di un bocciolo di rosa” conclude il ragazzo “e ora tocca a te, Rose”

“Questa notte ho fatto un sogno”

Rose si sedette mestamente sulla piccola seggiola in ebano.

“Ho... Ho sognato un altare sacrificale, un uomo mi ha detto di dover credere in me stessa e, alla fine, mi ha detto la frase Hiodea Batauria Tii, e volevo cercare il suo significato, solo questo”

“Penso di poterti aiutare” commentò Yahstar “Significa ‘Che Heda ti possa benedire’, si usa nelle prove dal quarto livello in su per benedire un determinato studente. Mi stupisce, però, questo sogno, perché...”

Ad un tratto, il ragazzo si interruppe, e iniziò a guardare verso l’alto.

“Perché?” rincarò Rose.

“Zitta!” la ammonì Yahstar “Dasio sta per suonare la campana di sveglia”

Dasio. Il cerimoniere e portinaio dell’istituto, l’incaricato a suonare la campana ai diversi orari della giornata.

“Cosa facciamo?” chiese Rose, terrorizzata.

“Conosco un passaggio segreto, verso le camere di Madalie, facendo in fretta possiamo sperare di non farci notare” esclamò il ragazzo, correndo verso un quadro a muro.

Incredibilmente, il ragazzo scomparve all’interno della cornice. Rose, rimasta sola, non riuscì a capire cosa fosse successo ma, sentendo i passi di Dasio avvicinarsi verso la porta della biblioteca, imitò Yahstar, ed entrò nel misterioso quadro, ritrovandosi al penultimo piano: la residenza di Madalie. Davanti a lei, le scale. L’unica via di fuga. Velocemente, la ragazza scese nella mensa, pronta ad iniziare un nuovo giorno di scuola.

Seduta come al solito accanto a Rona, si voltò verso gli allievi di sesto livello. Dall’ombra del suo cappuccio, era come se Yahstar le avesse sorriso.

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Capitolo Terzo 1: Le origini ~ Il laboratorio

l tavolo del laboratorio era colmo di provette e flaconi, ripieni di strani liquidi; sul tavolo vi era un contenitore pieno di una sostanza stranissima, trasparente e luminosa; al centro, una sfera bianca.

Un uomo era chino su un cumulo di polvere giallastra. La esaminò a lungo e successivamente la versò nel contenitore. La sfera cambiò colore.

La sua disperata ricerca era iniziata anni prima, raccogliendo le ceneri di guerra di una persona a lui troppo cara. Era dura accettare la sua morte, ma doveva. Doveva assolutamente. E doveva farlo rinascere. Tutto ciò che restava di lui era il ricordo.

Una notte Mares Urdy, uno scienziato di Portamar, nella regione di Arbila, sognò qualcosa di strano. L’unica certezza è che il giorno dopo ne fu completamente sconvolto. Decise di consacrare la sua stessa vita a quel folle sogno e vi si aggrappò con tutta la sua forza. Era il motivo per continuare. Cercò per anni l’oggetto del suo desiderio. Lo trovò solo dopo dodici anni dal sogno nella Valle delle Paludi, ad Aquiterra, dove anni prima si svolse la mitica ultima battaglia. Mares sapeva la verità . Non sarebbe stata l’ultima. L’equilibrio della regione di Fiedra è sempre stato incerto e lo sarebbe stato per sempre, era inevitabile, solo un folle avrebbe pensato il contrario. Eppure, dopo quella grande guerra, tutti lo pensavano. Pace per sempre. Un sogno effimero e bugiardo. L’ultimo desiderio di Ren Urdy, suo fratello, eroe caduto nella battaglia finale. Quelle erano le sue ceneri e Mares sapeva come utilizzarle. Anni dopo, la fine della sua storia.

“Ania!” Gridò all’improvviso l’uomo, eccitato.

Una donna arrivò correndo. I passi incerti rimbombavano sul pavimento.

“Dica, dottore” sussurrò la donna, impaurita.

“Guarda, finalmente! La mia ricerca è giunta al termine. Ci sono riuscito... Adesso, basta solo l’ultimo tocco per ricreare la storia!”

“Dottore, lei non deve assolutamente!” urla Ania, preoccupata, guardando l’uomo che ha sempre amato.

“No, tu và  via, non tornare. Era scritto nel destino, questo mio ultimo dono. L’umanità  mi sarà  riconoscente!”

“Ma io… La prego dottore! Qualcun altro può... Io posso...”

“Ania, fa come ti dico, per favore… Lasciami solo... E’ finita... La mia esistenza è sempre stata legata alla sua, è semplicemente il mio ultimo traguardo come scienziato, come uomo e come padre.”

“Dottore…”

“ Vai! Lascia questo laboratorio, nella cassaforte c’è una lettera e i soldi che ti spettano. E’ stato un piacere e un onore lavorare con te, Ania. Lasciarti mi fa ancor più male del gesto che sto per compiere. Ti prego, vai via e... Dimenticami...”

La solitudine stringeva il dottor Urdy, ma sapeva cosa doveva fare. Era quello il suo destino, l’aveva accettato sin da quel giorno sul campo di battaglia. Quelle ceneri erano le Sue. Di un eroe incredibile, del suo unico punto fermo, in un lontano passato. Doveva farlo rivivere. Inserì la sfera luminosa, verde, nel contenitore cilindrico e si stese sul tavolo.

Il liquido bianco inizio a colare lentamente, addormentando l’inerme dottore. Ad un tratto, scattò qualcosa nel meccanismo. Uno scatto impercettibile.

Mentre le sue ultime percezioni vitali si affievolivano, Mares Urdy pensò per l’ultima volta a Ren. Si. Poteva ricreare una stirpe ormai perduta, e per questo doveva semplicemente morire. Una vita per una dea: una grande differenza, che avrebbe salvato il mondo. Hiodea doveva rivivere di nuovo, la minaccia di una nuova guerra era incombente. Solo sedici anni. Sedici anni perché l’inferno potesse ritornare ad essere la più grande condanna di Fiedra. Lentamente, mentre il contenitore si riempiva di un nuovo liquido, una vita si spegneva. Sangue. Sangue per far nascere una creatura nuova. Sangue per far nascere sua figlia dalle ceneri di Ren.

Sul tavolo da laboratorio, Mares giaceva esanime, con gli occhi rivolti al globo di luce, che pulsava di una luce vitale.

Ania ritornò, ritornò il giorno dopo.

Lo spettacolo che trovò la fece rabbrividire. Nel grande cilindro c’era una nuova vita. C’era quella creatura per cui il suo amato Mares era morto, forse inutilmente.

Ania tolse corpo senza vita del dottore la cannula che aveva risucchiato tutto il suo sangue. Aveva sempre pensato che Mares fosse poco prudente, e ne aveva appena avuto la prova. Cosa sarebbe successo a quella piccola sfera luminosa, quando sarebbe diventata umana?

Era una scelta difficile. Generare un figlio dalle ceneri di un eroe e il sangue di Mares. Un nuovo discendente di Heda, un nuovo discendente di Ren. Non era giusto creare una vita in provetta. Serviva una madre. Una madre per crescerla e amarla. Una madre per sempre.

Allora Ania prese la cannula e scelse anch’essa la sua strada.”

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Capitolo Terzo 2: Le origini ~ Visita guidata

La sveglia suonò in anticipo. Di venti minuti. Inutile precisare come si arrabbiò Hanna nei confronti dell’amica. La verità  era semplice: Rose era veramente agitata. Quella sera si sarebbe svolto il suo turno di guardia. Era una prove dell’esame, la prova che aveva sempre superato grazie ad altri, senza merito. Si trattava di andare sulla costa a difendere una casetta di vacanze di alcuni ignari abitanti di Zea dai ladri, naturalmente finti, nel cuore della notte. Ciò che Rose odiava del turno di guardia era l’obbligo di aiutare i compagni, ma lei come poteva farlo? Una volta aveva stordito un ladro con una pietra, un’altra aveva azzoppato un ragazzo di sesto livello con un legno trascinato dal mare, ma non aveva mai usato una sola volta il minimo potere, e in quella prova contava solo la forza mentale.

Rose sgattaiolò nel cucinino della sua ala e preparò un toast, pensando alla giornata che l’aspettava. La mattina, innanzitutto, sarebbe tornata in biblioteca, questa volta ufficialmente. Aspettava già  le grida di ammirazione e lo stupore di tutti i suoi compagni nel vedere gli alti e austeri scaffali in noce, le decorazioni vistose e l’odore di carta vecchia e incenso di Zea, i tomi colorati e ammuffiti dal tempo. Era di sicuro uno spettacolo incredibile, la prima volta. Rose sapeva che non li avrebbero condotti nel suo piccolo angolo di lettura, dove quella fatidica mattina aveva incontrato e letto il suo libro con Yahstar.

Non si sbagliava. Né sulle grida, né sulla visita.

Appena i ragazzi entrarono impazzirono.

Ma d'altronde chi non lo farebbe? I custodi spiegarono ogni piccolo particolare delle grandi sale principali, ma nemmeno una parola su quelle veramente interessanti. Alla domanda: “Dopo quella porta c’è un bagno?” di Rona, una delle guide rispose con calma di si, ma che non vi si poteva entrare per un guasto. Rose, naturalmente, conosceva la verità , ed era disgustata dallo sviare il discorso dei suoi superiori. Era ingiusto, fortemente ingiusto; quei ragazzi dovevano sapere cosa si celasse lì dentro.

“Ecco, ragazzi” iniziò la tutrice di storia, Madame LaRue “In questi scaffali possiamo trovare collocati numerosi libri sulla magica, antica e favolosa storia della nostra regione: Fiedra”

La donna fece cenno ai ragazzi di seguirla dall’altra parte dello scaffale.

“Questi libri sono particolari, in quanto narrano le storie sugli déi, i grandi protettori delle quattro isole. Bene, chi di voi mi saprebbe dire, adesso, a quale isola siano abbinati gli déi?” chiese la tutrice.

“Madame, io!” esclamò un ragazzino “Ecluira è dominata dalla dea Kalba, dell’intelligenza e della luce; Aquiterra è dominata da Vesma, dio di acqua e terra, Innia dal dio del fuoco e del fulmine Mutra e infine c’è Arbilia, di Heda, dea dell’erba e degli animali!”

All’ultimo nome, Rose sobbalzò. Heda. La sua dea. Heda era, quindi, protettrice di Arbilia? La ragazza dai capelli rossi iniziava a recriminarsi il fatto di non aver seguito mai attentamente le lezioni, se l’avesse fatto, avrebbe saputo qualcosa di più.

“Ne dimentichi uno” sussurrò, gelida, Madame LaRue al ragazzino che aveva risposto.

“Mi... Mi scusi, Madame...”

“Tulia, dea del vento, consacrata a Zentar, l’isola centrale” si intromise Rona, alzando la mano.

“Bene, brava” replicò, senza troppa enfasi, la tutrice “Ora avanziamo verso lo scomparto dedicato a usi e costumi di Fiedra”

Rose seguì la fila senza badare troppo alle parole di LaRue, pensando ai giorni seguenti.

“Devo prepararmi per stasera... Mi hanno messo in coppia con Omar, diamine! Probabilmente questa sera saremo in due a non passare il turno... Forse dovrei portare con me qualche cosa da lanciare agli aggressori, se no quest’anno rischierei di ricevere un voto ancora più basso, potrei anche essere espulsa...”

“... Rose, mi senti?”

La ragazza venne richiamata all’ordine dalla tutrice.

“Mentre tu eri disattenta, stavo chiedendo ai tuoi compagni, dove risieda la sede dell’Ordine del Culto di Heda”

Gli sguardi dei bambini si posero su Rose, beffardi.

“Portamar” rispose la ragazza, per niente sicura. Ricordava dalla lettura con Yahstar dei diversi centri del culto di Heda, e Portamar era tra quelli.

“Rose, è Cepa” rispose Madame LaRue “Portare attenzione alla mia disciplina ti potrebbe essere utile”.

“Non sa quanto lei abbia ragione...” pensò la ragazza, mordendosi il labbro.

“Bene, con questa ultima perla della nostra Rose, chiudiamo la visita in biblioteca” ironizzò la tutrice, tra le risa dei compagni.

Rose si sentiva presa in giro, distrutta. Quei bambini non avevano idea di cosa significasse non essere capace di niente.

Il portone della biblioteca si aprì con un lento cigolio, lasciando passare la folla di ragazzini, urlante. Rose si trascinò lentamente sul margine, seguita da Rona.

“Mi dispiace per prima...” sussurrò la ragazzina.

“Non... Non fa niente”

Ed ecco, era di nuovo sul punto di piangere, ma questa volta non poteva rifugiarsi, andare altrove; le aspettava il turno di guardia, che non avrebbe superato.

Non ne valeva la pena.

“Rona, salgo a prendere una cosa, torno... Torno tra un po’”

“Fai presto, dobbiamo partire tra mezz’ora, Rose!” rispose l’amica.

La ragazza salì le scale fino all’ultimo piano. Le luci del pomeriggio filtravano tra le enormi vetrate colorate, riempiendo l’ambiente, vuoto, di una calda luce. La ragazza si sedette mestamente su un piccolo pouf rosso, incassando la testa tra le spalle. Rose guardò il suo viso rigato dalle lacrime in uno specchio a muro, dall’altra parte del corridoio. Era un volto ancora infantile, ma gli occhi, i grandi occhi verdi erano circondati da marcate occhiaie. Forse, se fosse stata una persona normale, sarebbe stata anche più carina, ma nell’istituto, per le persone come lei, l’aspetto era l’ultima delle proprie preoccupazioni.

Rose si concedette altri minuti di calma, osservando Zea da una piccola cella bianca nella grande vetrata. Il cielo era plumbeo, di un grigio irreale, ma non pioveva. Rose si stupì: a quell’orario, era strano che il cielo fosse così cupo, inoltre senza accennare una sola goccia di pioggia.

Delle voci allarmate si susseguivano ai piani inferiori. La ragazza si voltò leggermente verso le scale, ma un fortissimo tuono fece voltare la sua testa verso la vetrata.

Era tutto nero. Zea non c’era più, e non c’erano più gli alberi, e le strade e... Nulla, solo un vuoto tetro e maestoso. Un altro tuono aggredì le orecchie di Rose, che imboccò la via delle scale, per scendere ai piani inferiori. Non riuscì a fare un passo, che la ragazza venne investita da un calcinaccio, che la fece cadere a terra, stordita. Il tetto dell’istituto iniziava a cedere, sospinto dalle raffiche di vento. Rose, con la gamba bloccata dalle macerie, rivolse lo sguardo verso l’alto. Esattamente sopra di lei, scintille elettriche iniziavano a generare un fulmine. La saetta scese repentina verso il tetto della grande villa alla periferia di Zea, diretta verso Rose.

Era la fine.

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