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Nome dell'autore: Terry_McFail


Titolo: Sara e il mare


Elaborato:


- Senti il rumore delle onde?


- Sì tesoro. È sempre bello e rilassante.


Sara mi sorrise. Era felice, e io non potevo che essere contento a mia volta di vederla così.


Le ferie estive a mia disposizione erano quasi finite, ma sia io che mia moglie avevamo tutta l’intenzione di godercele fino all’ultimo. Niente di estremamente ricercato, non avevamo mai avuto bisogno di grandi emozioni durante le vacanze. C’è chi avrebbe fatto carte false per andare alle Maldive, a Dubai o in qualche altra meta di lusso lontana dall’Italia, ma non eravamo fra questi. Sebbene il mio lavoro come avvocato penalista ci consentisse una vita agiata e quindi anche un eventuale viaggio in posti esotici o comunque costosi, avevamo sempre preferito tornare qui, sulla costa calabrese, nella villetta che una volta apparteneva ai genitori di lei e che era diventata di nostra proprietà  sei anni fa.


Il sole stava calando. Un enorme disco arancione che risplendeva sopra la vasta distesa azzurra che è il Tirreno, colorandolo di riflessi ambrati. Era stata una giornata particolarmente afosa - inevitabile da queste parti, in pieno agosto - ma con il calare della sera il caldo torrido stava per lasciare spazio ad una notte fresca e limpida, che sarebbe stata illuminata da un’infinità  di stelle e una luna quasi piena.


Si alzò un po’ di vento, portando con sé il tipico odore dello iodio, che mia madre, quando ero più piccolo, mi invitava sempre a respirare. "Fa bene ai polmoni" diceva. E aveva ragione: grazie alle sue amorevoli cure e ai lunghi periodi estivi passati proprio lungo questo mare ero riuscito a guarire dal mio principio d’asma, un fastidio che ho così dovuto sopportare fino a dodici anni, senza poi più ripresentarsi per i successivi ventiquattro.


E proprio davanti a questo mare avevo conosciuto lei. La mia Sara.


- Guarda laggiù. - le feci, indicando col dito alcuni scogli che sporgevano in lontananza - Lì è dove mi sono innamorato di te.


Sara rise. - Me lo ripeti ogni volta che passiamo di qui, lo sai?


- Certo che lo so. E te lo ripeterò anche la prossima. E la volta dopo ancora.


- Ti avevo colpito davvero a tal punto? Già  allora?


- Beh, una ragazzina di sei anni che si avventura scalando quella che nei fatti per lei è una montagna, incurante dei graffi che si sta procurando ai piedi nudi, pensando di poter tuffarsi come i grandi campioni… beh lascia un discreto ricordo nella memoria.


Ridemmo insieme. - Ero un’incosciente, lo so.


- Temeraria, non incosciente. La più temeraria di tutte.


- Ma smettila. Adulatore.


Mi chinai per stamparle un bacio sulla fronte, prima che potesse aggiungere altro. Prima che potesse dire la sua solita frase, che la stavo sopravvalutando. Da piccola era davvero la più temeraria di tutte, nonché la più testarda. Difficile farle cambiare idea, una volta che si era convinta a fare qualcosa.


- Tu però eri ancora più testardo di me. - mi canzonò lei - Ci son voluti mesi per convincerti a farti saltare.


- Ma l’hai comunque avuta vinta, mi pare. E la cicatrice che mi è rimasta sul ginocchio una volta che mi sono buttato mi pare sia una prova.


Sara rise di nuovo. - Non so come tu abbia fatto a perdonarmi per averti fatto fare qualcosa di tanto pericoloso.


- E come potevo non perdonarti? Eri talmente dispiaciuta per quello che era successo da seguirmi fino in ospedale continuando a piangere e a chiedere scusa. Eri adorabile, troppo adorabile per poter essere arrabbiati. Che poi credo che la rabbia fosse il mio ultimo pensiero, in quel momento!


Ulteriori risate. - Comunque è tutta esperienza. - ripresi - L’anno dopo mi son buttato ben volentieri più e più volte e senza conseguenze, se non ricordo male. E poi, se non fosse stato per quel tuffo con gamba rotta finale probabilmente sarei ancora un rammollito e un fifone, incapace di rischiare. Devi inavvertitamente avermi passato parte del tuo coraggio, in quell’occasione.


- Non a sufficienza per fare la prima mossa però.


- Ehi! - la guardai con disappunto - Sono stato io a farmi avanti con te, che cosa stai inventando?


- Sì, ma dieci anni più tardi.


Vero. Dannatamente vero. Tanto mi ci era voluto prima di dirle cosa provavo. In realtà  già  molto prima di allora chi ci vedeva pensava fossimo una coppia, ma io imbarazzatissimo sempre negavo. “Siamo amici, niente di più†dicevo, e fra l’imbarazzo e il mio costante senso di inadeguatezza non mi rendevo conto di quanto lei ci rimasse male, ogni volta che pronunciavo tale frase. Non pensavo potesse essere interessata a me. No, lo credevo impossibile. Non una come lei.


Durante l’adolescenza vidi molti andarle dietro. E li capivo: era meravigliosa. Da un piccolo scricciolo tutto pelle ed ossa, molto chiassosa e a tratti iperattiva, era diventata una ragazza estremamente femminile e con cui conversare era sempre piacevole e coinvolgente. Il sorriso sdentato che aveva da piccola fu presto sostituito da una fila di denti perfetti e di un bianco immacolato. I capelli, un cespuglio di ricci indomabili che le circondavano il viso, diventarono una cascata di boccoli castani che le arrivavano fino alla schiena. La pelle, che non aveva mai avuto bisogno di protezione solare e che, baciata dal sole, diventava color cioccolato, era priva di difetto, se non per due nei, uno sulla guancia e l’altro vicino all’ombelico. E poi i suoi occhi marroni… quelli non sono mai cambiati.


- Hai sempre avuto uno sguardo furbo e intelligente.


- E quello sguardo era sempre stato fisso sui tuoi due smeraldi.


- Smeraldi ciechi, apparentemente.


Non rispose subito. Mi fece prima un altro enorme sorriso. - Siamo qui ora, no?


- Già . E non potrei esserne più felice.


Mi aveva ripetuto spesso quel discorso, che anche lei si era innamorata di me estate dopo estate, ma per quanto mi sforzi di crederci non sarò mai in grado di capacitarmi di un tale sentimento nei miei confronti, nonostante potesse avere chiunque ai suoi piedi, tanto era bella d’aspetto e carattere.


Quando faccio questa domanda, i più rispondono nella stessa maniera. “Gli opposti si attraggonoâ€. In effetti, che ci possa credere o meno, quello era stato il nostro caso. Io ero quello taciturno e riflessivo, lei quella solare, impulsiva e sempre chiacchierona. Io preferivo i libri sotto l’ombrellone, lei le grandi nuotate e le gare di spruzzi. Io adoravo i dolci, lei tutto ciò che era salato, dalle arachidi alla pasta. Io ero l’amico a cui rivolgersi per un consiglio, lei l’anima della festa che non faceva annoiare mai.


- Non sai quanto sono stato fortunato a trovarti. Sei ciò che mi completa e che mi rende migliore. - dissi, e prima che potesse replicare mi abbassai di nuovo, stavolta baciandole le labbra.


Continuammo a procedere sul lungomare di Belvedere. Il paese era molto cambiato da quando ci venivamo da bambini. In origine si trattava solo di un paese di pescatori, con il porto, una pescheria e poco più. Adesso era una cittadina affollata, ben attrezzata per accogliere ogni tipo di turista che fosse venuto in vacanza, da solo o in compagnia, di qualunque lingua o etnia.


- Ehi! - esclamò ad un certo punto Sara - Quello non è…


Non dovette aggiungere altro. Sulla spiaggia, inginocchiato sulla sabbia, c’era un uomo che stava trafficando con dei cavi e quelli che sembravano razzi. Il suo aspetto però era quello di un vero e proprio lupo di mare, con barba bianca, giacca impermeabile blu e tanto di zuccotto in testa.


- Forestiero! - dissi stupito - Incredibile che sia ancora in attività . Quanti anni avrà  ormai? Ottanta?


- Eh, ma i suoi fuochi d’artificio erano magnifici. E sono più che sicura che lo siano ancora adesso.


- Possiamo restare a guardarli, se vuoi.


- Come quella volta?


- Già . Come quella volta.


Come quella vigilia di Ferragosto, passato in spiaggia intorno ad un enorme falò, con gli amici più cari, la musica e svariate casse di birra. Arrivò la mezzanotte e boom! - lo spettacolo pirotecnico di Forestiero partì. Un continuo scintillio di colori che illuminò la notte per una buona mezz’ora.


- Il proprietario dello stabilimento non aveva badato a spese.


- Già . Se n’è parlato per l’intera settimana seguente.


E per l’intera settimana seguente si parlò anche di come lei cantasse bene, accompagnata dalla mia chitarra, e di come fosse così gioiosa e piena di vita quando stava con me. Ma i nostri amici si sbagliavano: non ero io a renderla così, quella vitalità  era sempre stata dentro di lei. Era lei stessa ad essere una fonte inesauribile di energia e ottimismo, e sempre lei la riversava su tutti i presenti come le onde stesse del mare, quel magnifico mare che ora ci stava davanti e che aveva sempre fatto da sfondo al nostro amore.


Una cosa solamente era vera: io avevo avuto il privilegio di poter essere toccato da quelle onde tutti i giorni, per tutto questo tempo.


Il sole nel frattempo aveva raggiunto l’orizzonte e stava lentamente sparendo, quasi si stesse tuffando a sua volta nell’acqua, che pian piano diventava sempre più scura. Da quel Ferragosto in spiaggia erano passati dieci anni esatti. Ricordo che, ad ore di distanza dalla fine dei fuochi d’artificio, mentre tutti gli altri stavano già  dormendo, noi eravamo seduti insieme a guardare il cielo e le sue stelle, facendo progetti per il matrimonio e la nostra vita insieme.


- Scusami. - Sara interruppe i miei pensieri - Avrei un po’ sete.


- Subito.


Aprii la borsa che era legata dietro la carrozzella. Versai un po’ d’acqua nel bicchiere, infilai una cannuccia pulita e mi misi in ginocchio per aiutarla a bere.


Tutto era cominciato tre anni prima. Le cose che le scivolavano di mano sempre più frequentemente. Le gambe che si affaticavano sempre con maggiore frequenza. I tremori.


Il verdetto dei medici fu, letteralmente, una sentenza.


Sclerosi laterale amiotrofica.


La bambina iperattiva che si arrampicava sugli scogli era ora una donna costretta sulla sedia a rotelle. Gli arti completamente privi di forza. La voce che ogni giorno diventava sempre più roca e difficile da comprendere. Costretta a mangiare soltanto cibo allo stato liquido. Incapace di poter compiere i gesti più basilari da sola, come lavarsi o usare i servizi.


Amici e famiglie ci erano rimasti vicini, ma relazionarsi con loro non era più come una volta. Proprio in quel momento passò una mamma tenendo per mano suo figlio. Osservò la scena, un uomo vicino alla quarantina che teneva la cannuccia nella bocca della donna semiparalizzata, che non era in grado nemmeno di sostenere con le braccia il peso del bicchiere. Nel suo sguardo notai le stesse emozioni che provavano tutti gli altri quando ci incontravano: compassione, pena, dispiacere… paura alle volte, paura che qualcosa del genere capitasse a loro stessi o a un proprio caro.


Accelerò il passo per non dover vedere oltre, strattonando il bambino, che invece ci stava guardando con fare curioso. Probabilmente rientrando a casa, o forse anche prima di svoltare l’angolo, avrebbe chiesto come mai quella signora così magra e dai capelli tanto lunghi dovesse bere in quella maniera, mettendo la madre nuovamente a disagio.


Tutti ormai vedevano Sara come un’invalida, una persona che non era più in grado di fare niente e dal destino già  segnato, e io un povero sfortunato a cui la vita aveva riservato una grossa ingiustizia.


Ma si sbagliavano. Io non avevo subito alcuna ingiustizia.


L’avrei subita se non avessi potuto vivere la mia vita accanto ad una donna tanto straordinaria, se non avessi mai avuto il coraggio di farmi avanti e di vivere con lei per tutto questo tempo.


Dicono che il suo destino è segnato. Ma non siamo tutti destinati a morire, un giorno? Lei sa che questo accadrà  in maniera imminente, ma non si arrende. Finché il respiro le sarà  concesso, cercherà  di sfruttare al massimo tutti i giorni a disposizione. Perché, anche se non può parlare né muoversi molto, anche se ogni azione è ora per lei un’impresa, il suo spirito è sempre quello di allora.


Lei è ciò che illumina il mondo. Il mio mondo. È la persona che mi completa, ancora adesso, nonostante tutto ciò sia estremamente difficile. E la amo. La amo infinitamente.


L’amore è come il mare: immenso e meraviglioso alla vista, anche durante la peggiore della tempesta.


Non c’è cosa più vera di questa, per noi due.


Le allontano cannuccia e bicchiere. Mi sorride.


- Ti amo. - mi dice, la voce tremante.


Anche questo, come tutti gli altri con lei protagonista, sarebbe diventato un ricordo indelebile nella mia memoria.


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Nome dell’autore: Mio-Sama

Titolo:

Tuffo nel vuoto
Elaborato:

Piano 1

 

Da piccola adoravo l'estate.

<<Francesca hai preso la crema solare?>>

<<Si, mamma!>>

Giravo per casa. Entrando in ogni stanza e guardandomi attorno. Non dovevo dimenticare niente. Quando si va in spiaggia ogni piccola cosa è di sua vitale importanza.

<<Forza andiamo, papà  e Marco sono già  in macchina>>

Passammo prima a prendere la zia. Vivevamo in una città  costiera, quindi la suspense era davvero poca, ma la gioia era sempre immensa.

Appena arrivati, io e mio fratello, posavamo le borse che c'erano state affidate, lanciavamo via i sandali e correvamo verso il bagnasciuga. Saltellavamo nell'acqua gelata del mattino e poi al richiamo di nostra madre andavamo a mettere la crema solare.

Costruimmo un castello di sabbia. Mio fratello era più piccolo di me e i castelli di sabbia lo entusiasmavano. Gli piaceva pensare di essere un cavaliere il cui compito era quello di proteggere il castello. Poi arrivava il mostro marino. Mio padre usciva correndo dall'acqua e calpestava il castello distruggendolo. Noi scappavamo sul bagnasciuga e lui ci rincorreva. Di tanto in tanto calciavamo l'acqua cercando di far schizzare l'acqua verso mia padre. Lui indietreggiava facendo finta che lo bruciasse. A mio fratello non piaceva vedere il suo castello in macerie, ma giocare con mio padre non aveva prezzo.

Mi piaceva molto nuotare con i miei occhialini. Mi tuffavo facendo piccole immersioni. Scrutavo il fondale curiosa. Ma quello che più adoravo era galleggiare. Mi rilassava in modo assurdo. Potevo rimanere anche ore a galleggiare sul pelo dell'acqua. Quel giorno però fu l'ultima volta. Non ho più nuotato da allora.

Prendevo il solo sdraiata sulla spiaggia insieme a mia zia e un piccolo scarabeo nero esce fuori dalla sabbia e sale sulla mia asciugamano. Ho sempre pensato che fossero molto sbadati. Gironzolano sulla spiaggia e poi finiscono sull'asciugamano di qualcuno. Gli accarezzavo il dorso liscio e lucido. Il suo colore nero spiccava in mezzo a tutto quel giallo.

E poi all’improvviso Paf! La mano di mia madre era ancora rigida per aria. Urlavano ,ma non riuscivo a sentirli. Solo il suono dello schiaffo mi raggiunse. Mio padre spinse mia madre a terra e lei ricambiò non appena in piedi. Mia zia si alzò di scatto e corse a fermarli.

 

Piano 4

 

A mio padre piaceva portarci sulle colline. Non scendevamo mai dall'auto, ma il panorama era davvero bello. Sembrava quasi un dipinto. Cielo azzurrissimo e limpido. La steppa gialla e rossa da cui spuntavano ulivi dalle grigie foglie, brillava di luce propria. Non era la prima volta che lo ammiravo, ma ne rimanevo ugualmente incantata.

Le stradine non erano asfaltate e spesso mio padre doveva serpeggiare per evitare buche o sassi. Risalendo la collina lo spettacolo faceva venire i brividi. Le strade non avevano barriere di sicurezza ed erano molto strette. Sporgendosi di poco dal finestrino riuscivo a vedere lo strapiombo. Era elettrizzante guardare di sotto. Il vuoto sotto di me... era magnifico. Faceva un pò paura, ma non riuscivo a farne a meno. Mio padre raggiunse uno spiazzo soleggiato. Faceva davvero caldo in quella macchina anche con i finestrini aperti. L'aria condizionata era un optional ai tempi, credo.

Mio padre premeva piano l'acceleratore e avvicinava la macchia al bordo della strada.

<<Amore che fai?>>

Mia madre lo guardava preoccupata.

 

Piano 7

 

Il paraurti della macchina aveva superato il bordo.

<<Ora ci buttiamo>> - disse mio padre ridendo.

Inserisce la retromarcia. Mia madre iniziò a ridere piano. Indietreggiò e poi si mise di nuovo sul bordo ridendo. Lo fece più volte e noi ridevano sempre. La mia risata era un pò strozzata. Sarebbe bastato un soffio e saremmo finiti sul fondo. Mio fratello giocava con il suo peluche ignorandoci.

Poi d'un tratto, mio padre cambiò espressione. Divenne molto serio e avvicinandosi al limite per l'ennesima volta disse:

<<Ora ci buttiamo>>

Una smorfia di terrore attraversò il viso di mia madre.

Io mi sentii vuota per un istante e poi come sprofondare nel sedile. Il cuore mi batteva forte e aspettavo con ansia che uno dei miei genitori cominciasse a ridere.

Spostai lievemente lo sguardo su mio fratello. Continuava a giocare come se nulla fosse.

Poi finalmente mio padre rise sonoramente facendo retromarcia, si giro un attimo a guardarmi e accennò un sorriso abbassando lo sguardo.

Mia madre rise forzatamente e senza guardare mio padre disse:

<<Caro sei tremendo>>

 

Piano 9

 

In estate è bello anche sonnecchiare davanti alla televisione annoiandosi. Guardi di tutto, ma non presti attenzione a nulla. Specialmente quando i cartoni animati non sono in onda. Mio padre ci chiese se avevamo voglia di gelato. Mio fratello saltellando sul divano rispose di si. Io annui e mio padre mi accarezzò il capo e uscì di casa.

Mia madre corse da noi. Ci guardò un attimo e poi andò subito via chiudendo la porta dietro di sè. Faceva così solo quando preparava qualche sorpresa. Curiosa, aspettai un paio di minuti e poi aprii piano la porta senza farmi sentire. Mia madre era in camera sua che preparava una valigia.

Andiamo forse in vacanza? - pensai.

Richiusi piano la porta convinta che sarebbe stata una serata fantastica. Tornai sul divano vicino Marco. <<Facecca hai visto che bello?>>

Indicava la televisione sorridendo. Nonostante l'età  parlava benissimo. Solo il mio nome non sapeva pronunciare correttamente. La cosa mi faceva arrabbiare, ma adesso pagherei per sentirmi chiamare così.

<<Francesca! E' questo il nome, stupido! Fran-ce-sca>>

Lo punzecchiavo con le dita e lui rideva.

<<Ho sete>>

Mi guardava con i suoi occhioni dolci. Allora mi alzai e andai in cucina. Vidi mia madre nel balcone che alzava la valigia. Non capivo cosa stesse facendo e allora corsi da lei. Quando la raggiunsi aveva appena gettato di sotto la valigia. Era finita sul tetto della macchina di mio padre. Lui era li vicino che urlava qualcosa a mia madre. Non ricordo le parole, ma aveva un sacchetto in mano. Mio padre entrò dal portone e cercò di aprire la porta di casa. Era chiusa con un ferretto dall'interno. Mia madre mi ordinò di tornare in salotto e dopo varie urla sentii dei colpi fortissimi.

<<Boom! Boom!>> - esclamava mio fratello.

È cosi bello non capire. Mio padre batteva i pugni sulla porta e insieme a mia madre urlava. Non riesco proprio a ricordare quello che dicevano. Nonostante rimasi in piedi dietro la porta del salotto ad ascoltare, oggi non è ricordo più nulla. L'attesa sembrava interminabile. Poi finalmente la porta si aprì e vidi mia zia che sorrideva. Mi abbracciò e mi disse che era tutto apposto. Andammo in cucina per mangiare il gelato che aveva portato mio padre.

<<Si è un pò sciolto, ma è buono lo stesso vero?>> - chiese nostra zia senza mai smettere di sorridere.

<<Siiiii>> - rispose mio fratello allegro.

La zia è una persona davvero buona, ci voleva tanto bene. Vedendomi ancora  scossa, mi prese la mano che avevo appoggiato sul tavolo e mi disse:

<<Porti sempre con te il cellulare vero? Per qualsiasi cosa puoi sempre chiamarmi. Anche se sei solo triste, non farti problemi a chiamarmi, capito?>>

 

Piano 11

 

Mio padre premette l'acceleratore e la macchina cadde giù. I nostri corpi si sollevarono dai sedili e levitarono nel vuoto. Un attimo dopo Crash! La macchina si accartocciò sul fondo del precipizio e io mi svegliai in un bagno di sudore. Quell'incubo non voleva abbandonarmi. Ogni notte era così, poi mi alzavo dal letto per andare in bagno a sciacquarmi la faccia. Ma una notte vidi che mio padre dormiva sul divano. Nonostante i continui litigi, capitava raramente. Dal divano si vedeva bene tutto il corridoio, quindi se si fosse svegliato mi avrebbe vista.

Mi nascosi dietro la porta di camera mia. Avevo paura che mi scoprisse. Non ne avevo alcun motivo, ma capire quello che ci passava per la testa da bambini è sempre stato arduo. Da dietro la porta mi feci coraggio. Due belle pacche sulle guance e aprii decisa. In piedi di fronte a me c'era mio padre. Tremavo leggermente. Lui mi sorrise e mi accarezzò la testa con fare assonnacchiato. Io chinai poco la testa e corsi in bagno chiudendo velocemente la porta dietro di me.

Temevo mio padre. Non ho ancora capito perché.

 

Piano 14

 

Durante il weekend tornammo sulla collina. Non ne ero contenta per niente e dopo ne fui ancora meno. Mi mantenevo lontana dal finestrino e speravo con tutta me stessa che mio padre non rifacesse il "giochino" della volta precedente.

Tornammo di nuovo in quello spiazzo e io e mio fratello scendemmo dall’auto insieme a mio padre.

C’era un bel cespuglio di margherite lontano dai bordi.

"Raccoglietene tante per mamma e papà  e non muovetevi da qui"

Contendi incominciammo a cercare quelle più belle e colorite. Mio padre tornò in macchina e rifece quel gioco. La macchina faceva avanti e indietro lentamente. Ero contenta che ci aveva fatto scendere, anche se ripensandoci adesso, non sarei dovuta scendere.

Marco trovò una farfalla bianca. Raccolse il fiore su cui era posata e lei rimase immobile. Non credeva ai suoi occhi.

<<Lo faccio vedere alla mamma!>> - disse correndo verso la macchina gioioso. Mi girai verso di lui e cercando di fermarlo gli dissi:

<<No, papà  ha detto che non...>>

La macchina cadde giù e mio fratello gli corse dietro urlando. Allungai la mano come per afferrarlo, ma mi sentii incollata al terreno. Non riuscii a fare neanche un passo. Perché? Perché non sono corsa da lui per fermarlo? Paralizzata da non so cosa... forse terrore, forse sconcerto.

Vidi Marco andar giù con ancora il fiore in mano. La farfalla volò via. Sentii il rumore metallico della macchina che si schiantò. Caddi in ginocchio. Iniziai a tremare e poi la mia mente si annebbiò.

Forse urlai, forse piansi. Sono solo certa di aver chiamato mia zia.

<<Mamma e papà  sono... E anche Marco...>>

Non aggiunsi altro, dopo non so quanto tempo arrivò mia zia insieme alla polizia.

 

Piano 15

 

Vivo con lei da allora... Ma perché sto ripensando a tutto questo ora? Devo sbrigarmi,  non ho tempo per i ricordi estivi. Oggi ho un importante colloquio per una grossa azienda. Possiede un intero palazzo alto 20 piani solo per i suoi uffici. Sarebbe fantastico se mi assumessero! Mhh, che dolore! Mi fa male la testa. Mi sento pesante… cosa mi sta succedendo?

Apro gli occhi. Sono in una camera d'ospedale? Cosa ci faccio qui? Mia zia e accanto al mio letto.

<<Cosa sta succedendo?>>

<<Ti sei svegliata finalmente, tesoro. Non ricordi, vero?>>

Si fermò un attimo , fece un lungo respiro.

<<Sei andata al colloquio, ma hai preso l'ascensore di vetro. Non avresti dovuto...>>

<<Non è possibile che io sia salita su quell’ascensore e non capisco cosa c’entri con l’ospedale>>

<<Hai vomitato e hai avuto un attacco di panico, poi sei svenuta e hanno chiamato l’ambulanza. Ti ho raccomandato mille volte di non…>>

Adesso ricordo. Ero in ritardo e portavo i tacchi. Entrai correndo nella hall, ignorai anche la ragazza alla reception. Vidi l'ascensore e mi ci fiondai dentro. Era di vetro.

<<Se mi assumono, vedrò sicuramente un bel panorama tutti i giorni>>

Premetti il bottone con scritto sopra 15. Solo in quel momento realizzai che avevo fatto la cosa più stupida possibile. Ma ormai le porte si erano chiuse. Appoggiai la mano, come per reggermi e sentii il vetro freddo come non mai. E poi il vuoto.

 

Mio padre mi spaventava. Non voleva farmi del male, ma che senso ha se adesso ho solo il vuoto…

 

Fine

 

 

 

Ho provato a mettere lo spoiler ma non sono riuscita ;( spero vi piaccia xp buona fortuna a tutti ^^

 

 

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Zebstrika94
 
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Prologo

15 luglio 2015

 

A volte tutto sembra finire.
A volte, nel momento in cui saliamo sulla cima della nostra vita, nel preciso istante in cui possiamo dire di essere felici, tutto crolla. Crolla sotto il peso della nostra umanità , di ciò che siamo, che siamo stati e che saremo.
Semplicemente siamo troppo grandi per la vita terrena, per la vita mortale che ci è stata assegnata, limitante, insulsa... Vuota.
Già , vuota, eppure ogni singolo essere umano sulla terra non può negare quanto sia piena, non importa se di fatti piacevoli o spiacevoli, di sorrisi o di lacrime, di amore o di odio. Noi esistiamo, "Noi siamo chi siamo" recita una famosa canzone. Ma fino a che punto? Fino a dove il limite non può essere superato?
C'è un preciso momento in cui, per un piccolo istante, smettiamo di essere noi stessi? In cui ci liberiamo dalle nostre catene? In cui la nostra mente è libera di viaggiare, oltre ogni immaginazione? Là , in quel posto sconosciuto ai più, risiede la vera essenza dell'anima di una persona.
E tutto questo le stava scivolando via, mestamente, goccia dopo goccia, mentre i suoi bellissimi occhi verdi si gonfiavano poco alla volta. Un essere umano può sopportare solo una cera dose di dolore, dopo semplicemente esplode, dopo gli argini interni si rompono e questo è il risultato. E in quegli attimi cominci a sentirti freddo, morto dentro. Ma allora perché si sentiva così calda in viso?
Sul promontorio di Montjuà¯c un grande Sole rosso splendeva lontano nel cielo. Normalmente un tramonto, per essere mozzafiato, dovrebbe apparire all'orizzonte, sopra l'acqua del mare ma non questo. No, questo era diverso, questo spuntava da dietro il Parco di Gaudì, sulle piccole colline che sovrastavano Barcellona, e andava ad irradiare tutto il promontorio, facendo brillare di luce propria le splendide pietre granitiche e marmoree tipiche della zona. Per le strade del quartiere era calato il silenzio, non una sola auto imitava i rumori dei bolidi che dalla seconda metà  del '900 avevano gareggiato per trionfare nel Gran Prix locale. Mentre i turisti, stanchi ma con la voglia ancora di camminare, continuavano a spostarsi, ammirando lo Stadio Olimpico Lluys Companys e il Museo dello sport, con il viale delle celebrità , già  come ad Hollywood ma con le impronte delle scarpe di grandissimi atleti che avevano fatto e stavano facendo la storia. C'erano anche gli scarponi di un italiano, il grande Alberto Tomba, protagonista mondiale dello sci alpino nell'ultimo quindicennio del secolo.
Ma le sue attrazioni più imponenti e magnifiche erano senza dubbio il Museo Nacional d'Arte de Catalunya, immenso ricordava un tempio arabo, con le sue linee morbide, affusolate ma al contempo molto affascinanti, e la Font Mà gica, dove stavano già  cominciando gli spettacoli di giochi d'acqua a ritmo di musica. Un'esibizione unica al mondo, soprattutto se goduta al tramonto, con il Sole che lievemente cede il proprio monopolio a quell'incanto luminoso. Tuttavia non era nemmeno questo a interessare Maya, no, a questa giovane ragazza dagli occhi verdi importava solo del luogo in cui si trovava, il luogo che aveva tanto amato ma che al contempo era stato teatro della sua fine. Ed ora, col Sole alle spalle, che le conferiva grazie agli ambrati capelli un aura divina, guardava il mare. Gli ultimi gabbiani spiccavano il volo, il faro in lontananza era ormai acceso, il Sole sparito. Nell'oscurità  più totale, nella più grande solitudine, nonostante pensasse di esserne finalmente priva, sgorgò fuori un fiume di lacrime. Là , nel buio, dove nessuno poteva vederla...


 

Chapter One: The Day One

100 ore prima...

 

Maya si svegliò di soprassalto quando sentì suonare la trombetta che indicava come il volo fosse arrivato in anticipo rispetto alla tabella di marcia. La compagnia francese Ryan Air era ormai famosa per questa caratteristica e i viaggiatori sembravano apprezzare, non a caso infatti si levò un grande applauso, scaturito dalle mani più giovani, volto a ringraziare l'equipaggio.
La ragazza sbuffò per essere stata svegliata così bruscamente, ma guardando fuori dal finestrino il suo sguardo s'illuminò: finalmente erano giunti a Barcellona!
Erano le 17:46 ed erano passato poco più di quindici minuti dallo squillo delle trombe quando finalmente riuscì a raggiungere il tapirulan trasportante i suoi bagagli. Il suo bagaglio a dire il vero, un semplice trolley, non troppo grande, che sfortunatamente era stato destinato alla stiva. Ai suoi compagni di viaggio la sorte era stata meno avversa, così avevano potuto viaggiare con la valigia sopra la testa ed ora erano già  pronti. Sbuffando e sbattendo rapidamente il piede gli sembrava che il bagaglio non arrivasse mai, quando, all'improvviso, eccolo apparire nel suo grigio luccicante, in cui il simbolo della tartaruga era ben messo in risalto.
Presa la valigia si diresse con i compagni verso l'uscita.
Quello era un viaggio che loro, come classe, si erano voluti regalare dopo aver finalmente finito quell'orribile avventura chiamata liceo. Erano stati anni lunghissimi, alcuni di loro ce l'avevano fatta, altri erano andati perduti ed altri ancora erano stati trovati lungo il percorso. Loro 16 però, alla fine, ce l'avevano fatta, non importa come, non importa con quanto fossero usciti, l'unica cosa importante ora era divertirsi in una delle città  più belle d'Europa.
Una ragazza dai corvini capelli ricci le si avvicinò mentre si dirigevano al box informazioni. El Prat era un aeroporto gigantesco che si snodava su più piani. Immensi corridoi traboccavano di vetrine delle più famose marche, così come di ristoranti e fast food. Una piccola città  si snodava dentro a quel posto e vicino all'ingresso c'era un'enorme statua di cavallo in stile muscle prodotta dallo scultore colombiano Fernando Botero. L'enorme equino aveva il corpo sproporzionato, con delle zampe gigantesche e muscolose e un collo, così come la crine, praticamente inesistente. Faceva una certa impressione.
Eppure, nonostante tutto, lei ne era affascinata.
«Maya! Ma mi stai ascoltando?!» Sentì sbuffare ad un certo punto la sua riccia amica.
Era Angela, la sua migliore amica. Angela, o Angy, come era solita chiamarla, era una solare ragazza dai capelli neri e gli occhi castani. Una bellezza come poche e, ovviamente, come da copione, ciò si accompagnava ad un pessimo carattere. Non era una persona cattiva, anzi era molto dolce e più sensibile della maggior parte di persone che lei avesse mai conosciuto, però era davvero molto egocentrica: non sopportava che non le si rivolgesse l’attenzione necessaria e, a lungo andare, questo poteva risultare fastidioso ma ormai Maya vi aveva fatto l’abitudine e, con molta probabilità , non sentire Angela brontolare le sarebbe parso strano. Comunque decise di non perdere altro tempo e, prima che sbuffasse nuovamente, le chiese: «Cosa c’è Angy?»
Angela parve sorpresa da quell’improvvisa dose di attenzione, tanto da rimanere un attimo senza parole. Ma solo un attimo, infatti riprese a parlare a macchinetta sulla vacanza, su quello che le aspettava e su un mucchio di altri argomenti a cui pigramente Maya annuiva, facendo segno di essere d’accordo e di prestare attenzione. La verità  è che per la rossa tutto sembrava così futile: feste, gioie, sbronze, tutto passava in secondo piano. Lei, in quella avventura catalana, aveva un solo scopo: confidare i propri sentimenti al ragazzo che le piaceva ormai da tre anni, quando cioè era approdata in quella fantastica classe. Il tipo in questione si chiamava Andrea, era un ragazzo pelato, un po’ strafottente, ma in cui riusciva a scorgere qualcosa di buono. Sapeva che sotto quella scorza dura si nascondeva il suo principe azzurro. Il sogno di quasi tutte le liceali in poche parole, solo che, temendo di non essere abbastanza, aveva sempre evitato di dichiarare ciò che provava per lui. Tuttavia questo viaggio sarebbe stata l’ultima volta in cui lo avrebbe visto, non aveva nulla da perdere.

La giornata proseguì tranquilla, come da programma. Prendendo il treno arrivarono senza problemi in poco tempo alla fermata di Passeig de Grà cia e, dopo una piccola passeggiata, giunsero all’appartamento in cui il proprietario li stava aspettando. Il locale si trovava in Gran Via de Les Corts Catalanes, nei pressi di Plaja Tetuan, poco distante dal centro e dalla spiaggia di Barceloneta. L’abitazione che avevano prenotato si trovava al quarto piano di una palazzina storica, che, imponente, si affacciava sulla strada. I mattoni in vista ornavano il contorno di finestre e portone principale, dando all’ambiente un aspetto più elegante, nonostante fosse abbastanza mal ridotto. L’appartamento in sé non era molto grande e contava quattro camere principali e un’anticamera con due letti. Bene o male c’era un posto letto per tutti o quasi, infatti, ad un loro compagno, Luca, toccò inevitabilmente il divano letto a causa del fatto che inizialmente sarebbero dovuti essere in quindici ma poco prima di partire si era aggregata anche Lucia, una ragazza di origini napoletane, il cui padre era molto severo. Egli aveva negato il viaggio alla figlia fino all’ultimo, quando era riuscita a passare gli esami. Allora anche lui aveva dato il proprio benestare. Peccato che in questo modo Luca si ritrovasse sul divano.
A Maya non importava molto, in fondo le ragazze avevano una stanza per loro cinque, distante e riparata da quelle incasinate dei ragazzi. E poi Luca non era uno che si faceva troppi problemi, era sempre disponibile con tutti, non a caso era stato rappresentante di classe per tre anni su cinque, portando sempre ottimi risultati. Poi aveva un’ottima capacità  organizzativa, Maya era ancora stupita da come, l’anno prima, aveva organizzato una grigliata di classe, perché lei gli aveva fatto notare che sarebbe stato bello, in poco più di una settimana, preoccupandosi di preparare tutto. Anche la stessa giornata, benché non si svolgesse a casa di Luca ma in quella di Maya, visto che abitava in campagna e lo spazio non le mancava, il ragazzo era arrivato la mattina presto, prendendo le redini della situazione e dirigendo perfino lei e sua cugina. Come se non bastasse a fine giornata era stato l’ultimo a ripartire, dopo aver aiutato a rimettere tutto in ordine e a ripulire gli attrezzi. Ma la cosa che più l’aveva colpita era che non sembrasse minimamente affaticato, era felice di quello che aveva fatto, quasi non gli importasse della fatica che gli era costata. Probabilmente era parte del suo carattere, come il fatto che avesse preso il divano letto senza protestare quando chiunque altro dei presenti, lei compresa, avrebbe combattuto per non essere costretta a dormire lì.
Una volta sistemati si erano resi conto che era quasi ora di cena e non avevano niente da mettere sotto denti, così si erano divisi in tre gruppi, ognuno con il compito di recuperare qualcosa. Il primo gruppo, quello in cui erano tutte le cinque ragazze e tre dei ragazzi, Alberto, Stefano e Federico, era adibito alle cibarie come pasta, carne e qualunque cosa costasse poco e fosse commestibile, il secondo gruppo formato da Francesco, Andrea, Elia e Matteo, aveva il compito di procurarsi gli alcolici, con Luca come supervisore a controllare che non spendessero tutto il budget, mentre il terzo gruppo formato da Lorenzo, Daniel e Guido, doveva procurare erba e tabacco.
Dopo circa due orette erano seduti a tavola, con più alcol che cibo, e un piatto fumante di pasta al tonno e pomodoro per ognuno. Una volta cenato si diressero in centro, alla ricerca di qualche avventura.

 

Chapter 2: I don’t remember

86 ore prima…

 

Maya aprì gli occhi, rendendosi conto che la testa le scoppiava. Cercò di visualizzare il posto in cui si trovava ma i postumi della serata precedente le impedivano di capire dove fosse esattamente. La vista era parecchio sfocata e il buio della stanza non aiutava di certo. Se non altro sapeva di essere in qualche posto al coperto e in un letto, era già  qualcosa. Lentamente, facendo forza con la braccia e appoggiandosi poi su gomiti, si mise seduta. Il mondo sembrava girare, non amava per nulla quella sensazione. Una volta seduta si rese conto che non indossava niente, in quel preciso istante un brivido le scosse la schiena. Perché era nuda? Poco alla volta riuscì nell’intento di visualizzare la stanza in cui era, per poi rendersi conto che non era la propria camera. Una forte paura prese il sopravvento ed iniziò ad ansimare sempre più velocemente. Le conseguenze di ciò che poteva aver fatto la sera prima e soprattutto il fatto che non se lo ricordasse pesavano forte su di lei, fino a quando il tutto sgorgò in un pianto liberatorio. Mentre piangeva si accorse di non essere sola in quel letto, visto che un’altra persona si stava lentamente girando. Avrebbe voluto alzarsi in piedi, trovare la forza necessaria ad urlare e a scappare, ma non le riuscì nulla di tutto ciò: era bloccata, bloccata nel letto con uno sconosciuto.
Mentre pensava a tutto ciò e l’ansia continuava inarrestabile a crescere, sentì qualcosa toccarle la mano sinistra, quella che poggiava al centro del letto. Non era una presa violenta, anzi, era dolce e amorevole, quasi volesse rassicurarla. Questo la fece calmare leggermente, permettendole di capire che quella persona le stava anche parlando.
«Maya, va tutto bene, stai tranquilla, sono solo io.»
Continuava a ripetere questa frase come una nenia ma lei non riusciva a riconoscere la voce, senza contare che il fatto che conoscesse il suo nome la metteva ancora più a disagio. Avrebbe voluto urlare “Io chi?!†ma non voleva interrompere il flusso di quella voce che poco alla volta riusciva a calmarla, poco alla volta la faceva sentire a casa. Alla fine Maya crollò, esausta, tra le braccia di quello sconosciuto.
Lui la tenne delicatamente, non voleva rischiare che si svegliasse ma più di ogni altra cosa non voleva interrompere quel legame. I suoi occhi cerulei la guardarono intensamente, pieni di voglia, pieni di desiderio, ma maledettamente distaccati. Sapeva che non ne avrebbe mai approfittato, non ne era il tipo, a modo suo aveva la propria concezione di amore e voleva restarne fedele.
Si rese presto conto che non sarebbe potuto rimanere così in eterno, fu allora che la prese dolcemente in braccio e la portò nella sua camera, dove sarebbe stata più tranquilla. Una volta coperta con il leggero lenzuolo le diede un unico bacio, sulla fronte, amorevole, innocuo, ma pieno di significato. Dopodiché se ne tornò a dormire.

Maya si svegliò circa un’ora dopo, con meno emicrania della prima volta e rendendosi conto di trovarsi ora nel proprio letto. Non capì subito che se si trovava nella propria stanza questo voleva dire che lo sconosciuto era uno dei suoi compagni di classe ma quando collegò le due cose un senso di vergogna la assalì. Non paura, non ansia, semplice pudore. Con che coraggio si sarebbe presentata davanti ai loro occhi? Avrebbe voluto nascondersi per sempre sotto a quel lenzuolo, ora che sapeva che l’avevano toccata e vista mentre era nuda. Chissà  cosa avrebbero potuto farle? Erano dei maiali e nulla l’avrebbe stupita, ma poi si ricordò la sensazione che aveva provato toccando quella mano. Era una sensazione strana, di appartenenza, e capì che non le era stato fatto nulla, non da quella persona almeno.
Alla fine non ebbe altra scelta che farsi coraggio e dirigersi in soggiorno dagli altri che stavano già  facendo colazione.
Quando entrò notò che il divano era al proprio posto, Luca probabilmente aveva già  rimesso via il letto, la cosa non la stupì poi molto, in fondo era un tipo organizzato. Il soggiorno era molto spoglio, composto da un divano letto, un grande tavolo in legno d’acero dai lineamenti spigolosi, che però non bastava ad ospitarli tutti e sedici, e un mobiletto, sempre in chiaro legno d’acero, vuoto all’interno, sulla cui sommità  era posta una televisione samsung da 32". Sul tavolo erano presenti vari succhi, da quello alla pera, all’ACE, accompagnati da alcuni frutti, per lo più mele e banane, e da classici come latte, cereali e biscotti. Ci sarebbe stata una colazione per chiunque, di certo anche i più esigenti potevano essere soddisfatti. Attorno al tavolo erano già  sedute sei persone, Angela e cinque ragazzi, Alberto, Andrea, Federico, Luca e Stefano.
Nel preciso istante in cui entrò in soggiorno tutti si girarono verso di lei, e in quel momento si sentì attraversata da ognuno di quegli occhi, castani, cerulei, azzurri, neri, verdi che fossero. Un brivido le percorse la schiena ed iniziò a sudare freddo. Alberto si affrettò a chiederle se stesse bene e lei rispose con un flebile, e poco convincente, sì. Ma non era minimamente vero, si sentiva osservata. E nuda.
Decise che non poteva più stare ferma all’ingresso del soggiorno, la cosa più sensata da fare era raccogliere le forze e continuare. Dopo, con la calma, avrebbe parlato con Angy, se c’era qualcuno che avrebbe potuto fornirle chiarimenti su quello che era successo la sera prima era senza dubbio lei.
Avanzò lentamente verso il tavolo e nel farlo incrociò lo sguardo di Andrea, che non le aveva mai tolto gli occhi di dosso. Fu una sensazione strana, sentì qualcosa nel profondo del proprio animo: paura.
 

 

79 ore prima…

 

Erano da poco passate le due quando la compagnia si fermò finalmente a mangiare.
La mattinata era passata in giro a zonzo per la città , andando a vedere da fuori alcuni dei monumenti più famosi, quali la Casa delle Ossa, oppure i negozi lungo la Rambla, passando ad ammirare la magnifica Sagrada Familia. Bisogna dire che viaggiare in una città  turistica con i suoi compagni di classe non era il massimo. A molti non interessava nulla di visitare la città , erano lì per divertirsi, non per “fare scuolaâ€, come qualcuno lo aveva definito. E per questo la mattina presto, Federico e Stefano li avevano salutati per visitare la città  come avrebbero preferito, come dei turisti cinesi insomma. Le sarebbe piaciuto seguire un itinerario analogo ma Angy odiava camminare e lei aveva voglia di stare con la sua migliore amica, così avevano finito per aggregarsi al gruppo principale e non vedere praticamente nulla per bene. Ad un certo punto si erano ritrovati solo lei e Luca, davanti alla Sagrada Familia, a fotografarla da ogni lato, con i loro compagni rifugiati al Burger King all’angolo della strada. Luca era stato parecchio infastidito, d’altronde pure lui era una persona pragmatica, non gli piacevano i perditempo ma come lei aveva dovuto rinunciare alla visita “cinese†per stare con gli amici a cui teneva di più e perché mal sopportava Stefano. Anche nella gita a Vienna si era ritrovato in una situazione simile, per stare con i propri amici aveva rinunciato a mangiare il suo dolce preferito, la Sacher, nella capitale in cui era stata creata. Personalmente Maya di quella gita ricordava solo il fatto che era disperata per una questione con Andrea, che pareva aver trovato una ragazza, mandando quindi in frantumi il proprio sogno d’amore. Poco le era importato di Luca, o di chiunque altro. Eppure quando aveva avuto bisogno aveva chiamato Luca, quando lei e Angy si erano preoccupate per Daniel, avevano chiesto aiuto a lui, in fondo lui era questo, l’unico che ci fosse sempre quando ce n’era bisogno.
E così dopo la Sagrada Familia avevano deciso di andare a mangiare, continuare la visita in quello stato non avrebbe avuto senso. Fu così che si ritrovarono in un ristorantino molto elegante, consigliatogli dal padrone di casa, che lo aveva indicato come il posto in cui mangiare la miglior Paella di Barcellona.
Allora si sedettero al tavolo loro assegnato e ordinarono tutti il piatto caratteristico. Una volta presa l’ordinazione Maya decisa che era giunto il momento per parlare con Angy, perciò le rivolse la classica domanda: «Senti, devo andare in bagno, vieni con me?»
Quella annui senza troppe storie e in quel modo furono finalmente sole. Una volta entrate in quel bianco bagno dai classici lavandini marmorei, fu Angy a prendere per prima la parola.
«Maya, che ti succede? - esordì tra il preoccupato e lo scocciato - Sappiamo entrambe che vai sempre in bagno da sola. Cosa devi dirmi?»
La ragazza dagli occhi castani la stava fissando intensamente, mentre attendeva una risposta dalla sua migliore amica. La rossa ebbe bisogno di prendere un grande respiro prima di riuscire a rispondere.
«Vorrei sapere che è successo ieri sera. Non mi ricordo nulla e stamattina mi sono svegliata nuda nel letto di un nostro compagno di classe, che poi mi ha anche riportato in camera.»
La nera sembrava allibita ma provò comunque a rispondere: «Nulla di particolare.»
«Non mentire! Qualcosa deve essere successo, altrimenti non mi sarei svegliata in quello stato!»
Maya era chiaramente disperata, le lacrime le fluivano a flotti lungo le guance e la sua migliore amica non sapeva come comportarsi, cosa dire o come aiutarla.
«Maya, non è successo niente ieri sera, come devo dirtelo?»
«Ma…»
«Ti sei addormentata dopo aver bevuto troppo, nulla di più nulla di meno.»
«Ma allora perché io mi ricordo di essermi svegliata? E di aver sentito la mano di qualcuno sulla mia? Ed una voce che mi ripeteva di calmarmi e stare tranquilla?»
«Probabilmente la mano che dici di aver sentito è quella di Alessia che dorme nel letto matrimoniale con te e le voci non sono nient’altro che rumori confusi probabilmente dovuti a tutto quello che hai bevuto. Posso assicurarti che sei stata in camera stanotte, o almeno da quando siamo andate a dormire.»
Angy concluse la frase con un risolino, a voler sottolineare che erano andate a letto praticamente all’alba. Maya dal canto suo non aveva voglia di ridere, possibile che tutto quello che aveva provato fosse solo frutto della sbornia? Non sapeva darsi una risposta ma alternative non potevano essercene, la sua migliore amica non avrebbe avuto motivo per doverle mentire. O almeno lo sperava.
 

 

70 ore prima…

 

La conversazione con Angela aveva fatto di tutto fuorché tranquillizzare Maya che ormai si sentiva sempre più a disagio con i propri compagni, per questo aveva deciso che al pomeriggio, con la scusa che loro sarebbero andati in spiaggia, lei avrebbe fatto un giro per quei quartieri che non erano riusciti a visitare la mattina, oltre che andare alla ricerca di qualche souvenir. Però per una ragazza muoversi da sola in una città  così grande non sarebbe stata una buona idea, e con la sola compagnia di Angy aveva avuto paura si sarebbe potuto creare un ambiente non troppo piacevole, per questo motivo aveva chiesto all’unica persona che sapeva non si sarebbe rifiutata di fare un giro in città  con loro di accompagnarle: Luca. Il ragazzo si era rivelato ben felice di far loro compagnia ed aveva ammesso che anche a lui non entusiasmava l’idea di passare una giornata in spiaggia, lo trovava uno spreco: ci sarebbero sempre potuti andare in un altro momento. Solo che la richiesta lo aveva un po’ stranito, portandolo a chiedere per quale motivo gli avessero rivolto una simile domanda. Le ragazze avevano risposto sinceramente che non se la sentivano di andare in giro da sole e da allora lui non aveva più obiettato, anzi si era stampato un bel sorriso e si era goduto la gita in compagnia.
Con loro per buona parte del pomeriggio c’erano stati anche Guido e Daniel, i due amici più cari di Luca, i quali non erano andati al mare perché avevano degli acquisti da fare. Tali spese consistevano nel rifornire di erba tutta la compagnia e per fare ciò avrebbero incontrato il pusher alle cinque del pomeriggio.
Il tempo passò in fretta, girovagando per le stradine piene di negozi il gruppo passò un po’ di tempo spensierato e felice, Maya compresa. Alla fine si separarono davanti alla Catedral de la Santa Creu y Santa Eulà lia. La cattedrale è la principale di Barcellona, infatti è dedicata alla sua patrona, Eulà lia, martire in tempi romani. L’immensa costruzione si staglia su di una piazza ed è in stile gotico, suscitando da ovunque la si guardi un senso di maestosità , anche se nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che avevano provato la mattina davanti alla Sagrada Familia.
Una volta sole con Luca il pomeriggio era passato tranquillo e la sera si erano diretti, sempre loro tre, a vedere lo spettacolo della Font Magica di Montjà¯uc. La Font Magica era un’immensa fontana formata da più getti che grazie ad un gioco di luci forniva un grandioso spettacolo. Come se ciò non bastasse il tutto funzionava a ritmo di musica, sempre diversa ad ogni spettacolo. Quella sera i giochi erano iniziati con le musiche più famose dei cartoni Disney e Maya ne era felicissima poiché lei li adorava tutti. Sembrava tornata bambina mentre cantava a squarciagola le canzoni, nonostante fossero mandate in spagnolo, con Luca da una parte che timido provava a starle dietro, però per lo più cantava sotto voce, e Angy dall’altra, la quale aveva sempre snobbato i cartoni animati anche da bambina, che li guardava con aria di rimprovero.
Dopo aver fatto ciò si erano diretti a casa, dove alcuni dei loro compagni li stavano aspettando.
Ora si stavano dirigendo, seguendo Alberto, alla ricerca di qualche bar dove passare la serata. Lungo il tragitto Maya si ritrovò più volte a pensare a come in realtà  conoscesse così poco i propri compagni, nonostante ci avesse passato così tanti anni insieme. Nella sua mente il ricordo della mattina, chi avrebbe potuto farle quello? Comportarsi in quel modo poi, rimettendola a letto. Alla fin fine tutti loro avevano un segreto, un qualcosa di inconfessabile che nessun altro sapeva. Così come li aveva lei. Segreti, già , sono qualcosa di così subdolo, di così personale, che quando vengono rivelati una parte di noi cambia per sempre. Nella gita scolastica a Vienna di quell’ottobre lei aveva scoperto uno di quei segreti, o meglio, le era stato rivelato. Si trattava di Luca, il ragazzo stava visitando con lei, Angy e Chiara il museo Belvedere. In quei giorni Maya era tristissima per via di alcuni screzi con Andrea, sembrava avesse trovato l’amore della sua vita, e lei sentiva di aver perso ogni possibilità  con lui. Il risultato fu una rossa di pessimo umore, pronta a mietere vittime ovunque. Ad un certo punto doveva essere stata proprio triste, perché Luca le se era seduto accanto e aveva cominciato a parlarle, a provare a tirarla su di morale, con scarsi risultati. Era in quei momenti che il suo passato le faceva male, che capiva che tutto ciò che aveva provato l’aveva cambiata per sempre. Era sull’orlo delle lacrime, andando chiedendo se valesse la pena vivere per tutto ciò, se davvero era abbastanza per tutto quel dolore. Non sapeva nemmeno lei per quale motivo ma si era lasciata scappare un pensiero sul farla finita. In quel preciso istante Luca si era fatto serissimo, il sorriso era sparito dal volto del ragazzo, e aveva iniziato a parlarle.
«Maya, - aveva esordito guardando davanti a sé - questi discorsi non li voglio sentire mai più. Il dolore a volte può essere terribile, anzi lo è sempre, non importa la causa scatenante, quando a piangere è il cuore noi diventiamo deboli. Ma questo non deve farci pensare di poterci permettere di gettare la spugna. La vita, nel suo complesso, è qualcosa di meraviglioso, e una volta persa non possiamo tornare indietro.»
«Ma tu non capisci. È facile dire così quando non si prova quello che provo io. Come puoi capire tu?»
«Maya, tu sei arrivata in classe nostra a partire dalla terza, ma senza dubbio hai sentito dell’incidente che ho avuto in seconda mentre cercavo di sistemare la veneziana.»
La ragazza aveva annuito flebilmente.
«Bene, sai anche le conseguenze di quell’incidente, il modo in cui il mio corpo è andato irrimediabilmente rovinato: il mio braccio destro ha perso quasi tutta la sua capacità  di flettere. Tutto per quello stupido incidente.»
«Ma Luca… Ok, hai provato un dolore fisico e sai che mi spiace moltissimo per te, ma non centra nulla col tipo di dolore di cui sto parlando io…»
Il ragazzo si era girato lentamente verso di lei, incrociando il proprio sguardo penetrante con quello smorto di Maya. Dopo si era voltato, quasi non ce la facesse a reggere il confronto. Poi, un solo respiro, e aveva continuato il proprio discorso.
«Già , peccato che non sia stato un incidente. Io da quella finestra mi sono buttato.»
A Maya in quel nuvoloso pomeriggio viennese, il cielo era crollato addosso. Non aveva saputo cosa dire, cosa pensare, come potergli essere vicina. Improvvisamente il suo dolore le era parso così piccolo, vuoto, privo di significato. Ma era stato ancora Luca a parlare, mentre lei stava cercando di metabolizzare una notizia tanto grande.
«Sai, io quel giorno sono stato molto fortunato. Non credo in Dio, non è mai stato una delle mie priorità , eppure prima di saltare fuori, quando la mia vita mi sembrava finita, senza senso, mi sono rivolto a Lui. Io mi sentivo già  morto, così Gli ho chiesto di decidere cosa ne sarebbe dovuto essere di me: potevo scrivere la parola fine o avrei dovuto vivere e rimettere insieme i pezzi? A Lui la scelta. E così, dopo aver stipulato questo patto sono saltato fuori dalla finestra. Quando ho riaperto gli occhi non ci vedevo molto e le foglie degli albero mi davano l’impressione di stare in un luogo etereo. Ho avuto paura, paura di essere morto. Poi ho sentito qualcuno urlare il mio nome. Già , in quel preciso istante ho capito cosa significasse essere davvero vivi.»
Maya aveva cominciato a pendere dalle sue labbra, anche perché mai avrebbe potuto immaginare cosa si nascondeva dietro a quel ragazzo sempre disponibile e sempre sorridente. L’oscurità , aveva pensato, si nasconde sempre nelle profondità  più remote della nostra anima. Noi non sappiamo chi siamo veramente, non sappiamo dove andiamo. Siamo su questa strada chiamata mondo e tiriamo avanti, finché non finirà  la benzina o decideremo di andarci a schiantare. Il ragazzo seduto affianco a lei aveva deciso di schiantarsi, sperando di poter vivere ancora. E così facendo era rinato, come una crisalide dal proprio bozzolo. Ma ancora una volta era stato lui a parlare e a distrarla dai suoi pensieri.
«Devi promettermi che non farai mai una cosa tanto stupida. Me lo prometti?»
«S-sì, te lo prometto.»
Il sorriso era riapparso sul viso di lui.
Quel segreto l’aveva cambiata profondamente e pensieri del genere non l’avevano più sfiorata. Forse Luca le aveva salvato la vita aprendosi con lei, forse aveva fatto un gesto che richiedeva ancor più coraggio del saltar fuori dalla finestra. Ed ora avrebbe voluto avere lei quel coraggio, quel coraggio di parlare a qualcuno, quella forza necessaria ad urlare aiuto. Ci aveva provato con Angy ma il risultato l’aveva scossa ancora di più di quanto non lo fosse già .
Quella sera camminarono tanto alla ricerca di un bar, ma non furono molto fortunati, così al posto che annegare i propri dispiaceri nell’alcol, Maya si annegò nei propri pensieri.


Chapter 3: Montjuà¯c

45 ore prima…

 

Il giorno successive era passato molto velocemente tra la mattinata al mercato cittadino e il pomeriggio al mare. Una volta a casa, prima di cena, con Luca si era messa a pianificare le giornate successive: l’indomani avrebbero visitato il promontorio di Montjuà¯c. Parlandone con gli altri avevano capito che sarebbero stati solo loro due, in quanto quella gita richiedeva una sveglia che nessuno aveva voglia di mettere. Poco male, se non altro non avrebbero avuto persone che si lamentavano per il male ai piedi, oppure perché si camminava sempre, o ancora perché avevano fame. Maya mal sopportava le persone piagnucolose, soprattutto se impedivano agli altri di divertirsi.
Nel frattempo l’amnesia stava continuando e quella sera avrebbero passato la serata in spiaggia, dove si trovavano tutti i locali più frequentati dai giovani come lo Shoko, il Catwalk o il più particolare Icebar. Ovviamente la loro soluzione era più economica, vodka, tequila, rhum e quant’altro erano riusciti a trovare, da bere sulla spiaggia, ridendo e scherzando in un luogo che non conosceva limiti e orari.
La serata stava procedendo tra il divertimento generale quando all’improvviso Maya sentì di nuovo quella sensazione di paura che aveva provato la mattina del giorno precedente, quando era entrata in soggiorno e si era sentita osservata. Si guardò subito attorno, alla ricerca di qualcuno che la stesse osservando e fu allora che incrociò il suo sguardo. Gli occhi cerulei di Luca la stavano puntando.
I due si fissarono per qualche secondo, con Maya che continuava a provare quella sensazione di paura che aveva già  sentito in precedenza. Chi era in realtà  quel ragazzo? Cosa le aveva fatto per farla sentire così? In quel momento, sotto la luna, con la sabbia sulla pelle, Maya si sentì persa.

 


34 ore prima…

 

Erano circa le undici quando arrivarono al Castell de Montjuà¯c.
Il castello era stato costruito attorno alla metà  del 17° secolo ed inizialmente era un fortino volto a proteggere la città . Con il passare degli anni il fortino fu più volte danneggiato, venendo preso in più di un’occasione. Solo alla fine del 18° secolo furono atti gli interventi necessari ad ammodernare il fortino, trasformandolo in un castello e dandogli l’aspetto che si può ammirare ancora oggi.
La costruzione si trova alla cima dell’omonimo promontorio e la vista che si può ammirare dalla terrazza del castello offre la visione di tutta Barcellona. Uno spettacolo come pochi.
I due entrarono a visitare il castello dopo aver passato le precedenti due ore a ridere e scherzare. Ora Maya non sentiva più quell’aura di paura che l’aveva investita nei giorni precedenti. Solo che non riusciva a togliersi dalla mente quella sensazione di essersi svegliata in un letto non suo. Sapeva che forse era stupido, ma decise che il peggio che Luca le avrebbe potuto fare sarebbe stato risponderle gentilmente di no, che lui non ne sapeva nulla, che lei si era immaginato tutto. E se gliel’avesse detto lui allora gli avrebbe creduto. Lui non era tipo da mentire, manteneva i propri segreti, certo, ma non mentiva per fare del male o nascondere qualcosa di brutto.
Maya prese coraggio e mentre passeggiavano per il parco glielo chiese, nel modo più diretto possibile.
«Luca, l’altra notte, abbiamo fatto l’amore?»
Non sapeva perché aveva usato quelle parole, avrebbe dovuto chiedergli se sapeva qualcosa riguardo a lei nuda nel letto di qualcun altro e invece le era uscita quella frase, d’istinto.
Luca quasi mancò un passo quando la sentì. Poi scoppiò a ridere.
La ragazza si sarebbe aspettata qualsiasi reazione, tutte ma non quella. Le dava fastidio, non sopportava che lui la stesse prendendo in giro, che lui, lui le mancasse così tanto di rispetto, dopo che si era aperta, come lui aveva fatto in precedenza. E quello stupido stava lì a fissarla, divertito, mentre lei si arrabbiava sempre i più.
«Calmati Maya, - esordì lui continuando a sorridere - calmati o ti si rizzeranno i capelli se ti innervosisci tanto.»
«*censura*! Brutto figlio di *censura*! Io mi apro con te e tu, tu mi prendi così per il *censura*?!»
La ragazza stava inveendo come mai prima d’ora, arrivando anche a prenderlo a sberle. E lui la lasciava fare, lasciava che si sfogasse su di lui. Si era accorto di quanto fosse preoccupata nei giorni precedenti, di quanta ansia stesse covando. Senza che lei se ne rendesse nemmeno conto lui la stava abbracciando, stringendola forte, tanto da toglierle il respiro. La mano sinistra di lui era salda sulla schiena di lei mentre la mano destra le accarezzava dolcemente i lunghi capelli rossi, mossi.
Quell’abbraccio le stava trasmettendo una sensazione familiare, tanto che aveva lentamente smesso di urlargli contro. E poi capì.
Il buio, le urla, l’essersi svegliata di soprassalto, la paura, tanta paura, la confusione, e poi quella mano e quella voce. La sua. Ora se ne rendeva conto. Era la stessa identica sensazione di casa che aveva provato quella notte. Fu allora che lo abbracciò, non le importava cosa fosse successo prima, non le importava non ricordarsi nulla, l’unica cosa che contava davvero era che quell’abbraccio così caldo non finisse mai.
Fu lui a interrompere quella magia, parlando: «Maya, davvero pensavi avessi potuto approfittare di te l’altra sera?»
La ragazza scosse lentamente il capo, stringendo il ragazzo più forte.
«No, non l’ho mai creduto. - esordì - Forse semplicemente il mio subconscio lo sperava.»
Sospirò brevemente prima di riprendere il dialogo: «Sai, quella mattina mi sono svegliata terrorizzata, avevo molta paura e non riesco a ricordarmi perché. Il buio, il non essere dove avrei dovuto, l’essere nuda nel letto con qualcun altro. Tutto questo mi ha mandato in pappa il cervello ed ho cominciato ad agitarmi, mi ricordo solo di una mano e di una voce. Le tue. Quella sera, così come adesso, erano riuscite a calmarmi. Non so per quale motivo, però sei come un’ancora per me.»
«Mi fa piacere sentirtelo dire e purtroppo non so cosa ti sia capitato prima di giungere da me, ma posso raccontarti quello che è accaduto dopo.» Disse dolcemente il ragazzo.
«Vieni, c’è una panchina, sediamoci là .» Continuò il moro, facendo per dirigersi verso la panca, ma si sentì trattenere: era Maya che non lo voleva lasciare andare.
«Ti prego - disse lei - stiamo ancora qui, ancora così per un po’. Era da anni che non mi sentivo in questo modo, dall’ultima volta che mio padre mi ha detto di volermi bene. Voglio godermi ogni singolo istante, prima che tu sparisca, prima che te ne vada.»
«Io non me ne andrò mai a meno che non sarai tu a mandarmi via.» Rispose Luca baciandole la fronte.
«Dai, racconta.»
«Va bene. Come dicevo, quella sera non so cosa ti fosse capitato, fatto sta che sei arrivata in camera mia fradicia e tutta sporca, con i vestiti macchiati di terra. Ho pensato fossi caduta per aver bevuto troppo. Ho provato a parlarti, a sentire come stavi, a chiederti di andare in camera tua, ma eri talmente scossa da non sentire nemmeno quello che dicevo. Così ti ho fatto cenno di sederti sul letto e tu l’hai fatto, crollando addormentata subito dopo. Dovevi essere esausta, solo che non potevo lasciarti così. Ho pensato di andare a chiamare Angy ma la porta della vostra camera era chiusa a chiave, così ti ho spogliata, ripulita e asciugata. Dopodiché mi sono steso sul pavimento a dormire.»
«Ma io sono sicura di averti toccato.» Replicò lei.
Â«È vero. - ammise lui - ma mi hai toccato perché ti avevo stesa vicina la bordo del materasso, in modo da poterti stringere la mano nel caso ti fossi svegliata, fatto che in effetti è accaduto. Quando hai aperto gli occhi ho visto che ti stavi facendo prendere dall’ansia e allora ho provato a calmarti, riuscendoci. Dopo che ti sei addormentata nuovamente ho creduto che non potessi stare ancora nel mio letto, perciò sono andato a vedere se la porta della tua camera fosse aperta. Fortunatamente lo era. Allora ti ho preso e delicatamente ti ho portata a letto. Dopodiché ho provato a dormire, riuscendoci poco, grazie anche al fatto che mezz’ora dopo mi è piombata la Lucia in soggiorno.»
«Ma perché hai fatto tutto questo per me? E perché nei giorni successivi hai continuato a fissarmi?»
Maya sembrava turbata.
«Davvero non ci arrivi da sola?» Chiese il ragazzo sempre tenendola stretta in quell’abbraccio che tanto le piaceva. Non ottenendo risposta, proseguì: «Ti ho sempre tenuta sott’occhio, per questo ti sentivi osservata. Non sapevo cosa ti fosse successo la prima sera per averti scosso tanto ma qualunque cosa fosse non avrei permesso che capitasse nuovamente. Non ti ho persa di vista un solo attimo e non sono stato l’unico. Anche Angy non ti mollava mai, probabilmente l’hai fatta preoccupare parecchio.»
Maya annuì, staccandosi finalmente da quell’abbraccio, in modo da guardare Luca negli occhi.
«Mi ami?» Le uscì diretta come domanda, come quella precedente sul sesso ma questa volta il ragazzo non vacillò, rispondendo con un secco e deciso: «Da sempre.»
«Luca, cos’è per te l’amore?»
«L’amore per me è tutto. È quella cosa che ti fa svegliare la mattina, quella che ti fa addormentare la sera. L’amore può essere la tua più grande gioia e il tuo più grande dolore. Vedi Maya, secondo me non si può dare una definizione di amore, perché ognuno ha la propria. Ad esempio Amare per me significa dedicare anima e corpo per una persona, renderla più importante di noi stessi. Non importa se quella persona ricambia il nostro amore, fino a quando le vedremo il sorriso sulle labbra noi saremo felici, soprattutto se avremo contribuito a creare quel sorriso. Sai, io sono convinto che il sorriso sia l’essenza dell’anima di una persona.
Non importa quante sofferenze questa abbia provato, non importa la quantità  di dolore che quegli occhi e quel cuore hanno visto, il sorriso rivelerà  sempre la vera essenza di una persona, sarà  la parte più intima e nascosta di lei, quella parte che rivela solo alle persone a cui vuole veramente bene. Il tuo sorriso per me è stato questo. Sei stata la mia roccia, mi hai fatto andare avanti nonostante tutto. Ma mi hai fatto anche soffrire molto.»
Lo sguardo del ragazzo era diventato improvvisamente triste.
«Soffrire molto? Quando? Giuro che non volevo.» Maya era sinceramente dispiaciuta.
«Tranquilla, - riprese lui - come ti dicevo l’amore per me è anche sofferenza. Non ami se la persona verso cui è diretto il sentimento non ti spezza il cuore almeno una volta. È come se pretendessi di conoscere la luce senza aver prima assaporato il buio. Comunque è stato a Vienna, tu eri molto triste e Angy non riusciva a tirarti su di morale, così ti dissi che se ne avessi avuto voglia, io ci sarei stato per ascoltare, come amico. Che sapevi che avresti potuto dirmi tutto. La tua risposta per me fu folgorante. Mi dissi che non era vero, che noi non eravamo così amici. Anzi, non eravamo amici per nulla. In quel momento mi sentii morire. Ma capii anche che se mi ero innamorato di te avrei dovuto sopportare pure questo, che tutto ciò che stavo passando era già  scritto nel destino, che prima o poi ti avrei amata davvero, e forse tu avresti amato me.»
«Sei un tipo molto mieloso, sai?» Disse lei, quasi orgogliosa delle parole di lui.
«Suppongo sia un mio difetto di fabbrica in effetti. - ci scherzò su - Eppure è vero, io ho una visione molto romantica dell’amore, e anche molto ingenua. Ma non ci posso fare niente. Non credo in molte cose però questa per me è troppo importante per essere cinico. Io ritengo che due persone siano destinate l’una all’altra, non da un disegno divino o simili, piuttosto da un filo rosso. Conosci la leggenda giapponese del filo rosso del destino?»
La ragazza rispose negativamente.
«La leggenda narra la storia di un uomo, Wei, che aveva incessantemente cercato una moglie, non riuscendo mai a trovarla e giungendo così all’età  adulta ancora celibe. Partito per un viaggio, l’uomo si imbatté in un vecchio seduto sui gradini di un tempo che portava con sé un sacco ed un libro. Quando Wei gli chiese chi fosse, questi rispose di essere il Dio dei matrimoni. Incuriosito ma ancora scettico Wei gli disse della sua ricerca, chiedendo all’anziano cosa contenessero i suoi due oggetti. L’anziano rispose che nel primo erano contenuti dei fili rossi che avrebbe stretto ai piedi di mariti e mogli, legandoli per sempre, mentre nel secondo erano scritti i nomi di tutte le coppie. Il Dio allora guardò il libro indicando a Wei la sua futura moglie, che all’epoca aveva tre anni, dicendogli che l’avrebbe sposata quattordici anni dopo. Non credendo al vecchio, Wei fece pugnalare la piccola da un suo servo, che però non riuscì ad ucciderla causandole solo una ferita alla fronte. Quattordici anni dopo Wei si sposò con una ragazza diciassettenne che portava perennemente un fazzoletto sulla fronte. Dopo un po’ di anni Wei chiese alla moglie il motivo e questa rivelò di essere stata pugnalata da bambina e che, per vergogna, nascondeva la cicatrice. Fu allora il turno dell’uomo di ammettere le proprie colpe e, dopo la rivelazione, i due si amarono ancora di più.»
«Luca, è una leggenda bellissima.»
Il ragazzo annuì e continuò: «Già , piace molto anche a me. Praticamente sta a significare che non importa come, o cosa accada, due persone legate dal filo rosso saranno destinate l’una all’altra. Tu sei il mio filo rosso, ne sono convinto.»
La ragazza aveva le lacrime agli occhi.
«Sai, - esordì lei - io se devo essere sincera non so cosa provo per te. Avevo iniziato questa vacanza convinta dei miei sentimenti verso Andrea, sicura di ciò che provavo per lui.»
Luca la interruppe: «Andrea? Sei seria? Non l’avrei mai detto.»
«Eh sì, mi è piaciuto fin dal primo momento ma come dicevo ora non so più cosa provo. Ero sicura fosse amore ma con lui non mi sono mai sentita come con te oggi, come con te l’altra notte. Mi hai mandato in pappa il cervello. Poi ora con la storia che mi ami io non so più cosa pensare.»
«Non devi pensare a niente…» Disse abbracciandola nuovamente.
In quel momento, che lo volessero o meno, erano una cosa sola, una sola anima, due cuori uniti dal filo rosso del destino.

 

Chapter 4: Moon, Sand and Blood

20 ore prima…

 

«Ahhhhhhhh!»
Maya stava urlando con tutto il fiato che aveva in gola, cercando di dimenarsi ma Lui la stava tenendo.
La paura di cui sperava di essersi liberata dopo quella giornata con Luca ora era tornata a perseguitarla. Non si sarebbe mai aspettata una scena del genere, che qualcosa di così brutto potesse capitare a lei.
Le lacrime le stavano rigando il viso e, mentre si dimenava cercando di liberarsi, inutilmente, le riaffioravano alla mente i ricordi di poche ore prima.
 

 

22 ore prima…

 

Erano in spiaggia con tutta la compagnia e lei aveva iniziato a prendere le distanze da Luca, voleva riflettere, capire ciò che provava e continuando a stargli così vicino, a stare così bene, sapeva che non avrebbe ottenuto il risultato sperato. Per questo motivo gli aveva chiesto anche di smetterla di osservarla, anche se sapeva benissimo che era altamente inutile una richiesta di questo tipo.
Infatti Luca non le toglieva gli occhi di dosso per un solo istante, evidentemente non si fidava abbastanza di lei e questo le creò un certo dispiacere. Fu per tale motivo che si rivolse alla sua amica Angy dicendole di tenere occupato Luca per un po’, in modo che lei potesse assentarsi con Andrea. Aveva deciso che quella sera avrebbe rivelato lui ciò che aveva provato per così tanto tempo. Doveva baciarlo, stare come era stata con Luca quel giorno. Le serviva chiarezza per poter andare avanti.
La sua amica accettò senza problemi, Maya sapeva che alla ragazza era sempre piaciuto il rappresentante di classe anche se non aveva mai capito perché non si fosse fatta avanti. In fondo Angy era una ragazza bellissima, con dei fantastici capelli corvini, la pelle chiara e degli occhioni da cerbiatto. Le sue curve inoltre non erano da meno, perfette in tutte le loro misure. Più di qualche volta i ragazzi per strada si giravano a guardarla, eppure lei aveva sempre avuto paura di provarci con l’unico ragazzo che le piacesse davvero. La rossa pensò che quella sarebbe stata la sera adatta a coronare il sogno di entrambe.
Certo, il ragazzo dagli occhi cerulei diceva di essere innamorato di lei ma non sarebbe resistito molto al fascino unico di Angela.
E così fu, in meno di cinque minuti la ragazza corvina aveva preso possesso della lingua di Luca che non sembrava aver opposto troppa resistenza. Maya dovette ammettere a se stessa che vederlo con un’altra le faceva male, poco alla volta si stava rendendo conto di ciò che provava per lui, anche se era ancora convinta che il proprio cuore appartenesse ad Andrea.
Fu così che lo chiamò da parte e si diressero lungo la spiaggia, sotto il chiarore della Luna, a fare due passi. Era l’atmosfera perfetta, quella da film d’amore che ogni ragazza nel profondo di sé sogna.
Fu dopo aver parlato del più e del meno per una mezz’oretta che Maya decise di fare il primo passo. Era giunto il momento di dichiararsi, o rimanere con il rimpianto tutta la vita.
«Andrea, - esordì lei, timida - devo dirti una cosa importante.»
«Dimmi.» Rispose lui con un caldo sorriso.
«Credo di essere innamorata di te da almeno tre anni.»
«Credi? O ne sei sicura?»
«Sinceramente non lo so, non più almeno. So che quello che provo per te è qualcosa di grandioso, qualcosa che mi fa battere il cuore. Sai, oggi con Luca abbiamo parlato del significato dell’amore. Lui ha una visione globale mentre per me l’amore è qualcosa di molto più diretto. L’amore è quell’attimo in cui rimani senza fiato, è quando due sguardi si incrociano e si ferma il tempo, quando il ragazzo che ti piace ti bacia e tu ti sciogli come neve al Sole. Questo per me è l’amore, senza troppi giri di parole complicate. E tu questo mi fai, mi togli il respiro, ogni volta che mi guardi il mondo si ferma e il mio cuore inizia a correre. Perciò sì, io ti amo.»
Maya era contenta di essere riuscita a dire ciò che provava, forse le era uscito un discorso un po’ strano ma non poteva farci nulla, aveva parlato col cuore, non con la mente.
Andrea la stava fissando intensamente.
«Anche io provo amore per te. Mi sei piaciuta fin dal primo momento che ti ho vista. Non sai quante volte avrei voluto stringerti, quante baciarti, quante possederti, diventando una cosa sola. Per me l’amore è passione, è come una malattia che ti prosciuga tutte le energie, come un fiume in piena che non si può arrestare. E tu, tu hai appena rotto gli argini.»
Detto ciò Andrea la strinse forte tra le braccia, guardandola dritto negli occhi. Non c’erano luci nel tratto di spiaggia in cui si trovavano, niente persone, erano soli, lontani da sguardi indiscreti, con solo la Luna ad illuminare i loro volti. Maya sapeva che era giunto il momento, chiuse gli occhi e protese le labbra. Altrettanto fece Andrea e finalmente, dopo tanta attesa i due si baciarono. Fu un bacio appassionato, pieno di sentimento, come non ne aveva mai dati. Le loro lingue parevano danzare un tango meraviglioso e sensuale. Il mondo parve fermarsi, poi diventare di fuoco. Si sentiva sciolta da quel bacio, come se lui le avesse rubato l’anima per farla sua e sua soltanto. Lui era il suo filo rosso.
Poi la sentì, la mano che lentamente scendeva a palparle il sedere e l’avvertì di nuovo, quella sensazione di paura che l’aveva tanto perseguitata e che Luca era riuscito con difficoltà  a scacciare. Ora era con la persona che amava e quella era tornata, più forte che mai. Provò a staccarsi dal bacio ma lui non la lasciò andare. Fu allora che ricordò.
Come uno tsunami i ricordi di quell’orribile notte le tornarono alla mente. Aveva bevuto troppo, tanto da non riuscire quasi a stare in piedi ma non abbastanza da perdere i sensi. Era sulla spiaggia e con lei c’era Andrea che la toccava ovunque. Lei non voleva ma lui continuava e lei piangeva, disperata, piangeva per un amore perduto, mai iniziato, per sé stessa, mai più come prima. Piangeva perché sapeva cosa Andrea le stava facendo contro la sua volontà . Stesa per terra, con la sabbia che le entrava per ogni dove e la Luna unica spettatrice silenziosa di quello stupro, Maya aveva perso la sua verginità , la bambina dentro di lei se ne era andata per sempre.
Una volta che si ricordò ogni cosa cominciò a cercare di dimenarsi, liberarsi, ma tutto era inutile…
 

 

20 ore prima… (di nuovo)

 

Angela stava appassionatamente baciando Luca da quasi mezz’ora ormai, quando questi si accorse che Maya non era più nei paraggi. «Maledizione - pensò - me la sono fatta sfuggire!»
Si divincolò dalla ragazza con tutta la forza che aveva in corpo. Quella sembrava altamente scocciata di essere trattata in quel modo ma lui non se ne curò molto, cercando di capire in che direzione fossero andati. Aveva un brutto presentimento, come se a Maya stesse succedendo qualcosa e non sarebbe stato tranquillo fino a quando non l’avesse vista con i propri occhi. Però la riccia continuava a parlargli e non lo lasciava concentrare.
«Stai zitta, maledizione! Sto cercando di concentrarmi!»
Luca era sbottato come mai aveva fatto prima, difficilmente perdeva la pazienza ed alzava la voce.
La ragazza rimase sbigottita per un secondo ma dopo rispose alle urla con le urla.
«Tanto lei non ti ama! Ama lui! Lui! Non te! Perché non lo vuoi capire?!»
«Credi che non lo sappia? Che non mi sia accorto di come lei lo guarda? Credi che non mi faccia maledettamente male? Eppure non voglio rovinarle la serata ma solo assicurarmi che stia bene perché la amo e non mi importa se lei non mi ama. Può essere felice con chi vuole ma per esserlo deve stare bene!»
«Ma lei starà  bene! Non è certo la prima volta che scopa con Andrea.»
Luca si gelò sul posto. Ora tutto gli era chiaro. Quella notte era stata violentata, ecco perché le macchie sul suo vestito, non era fango, era sangue rappreso. Pensava che il mondo gli sarebbe crollato addosso dopo una notizia del genere ma, invece, l’unica cosa che riusciva a fare era porsi mille domande, collegare i pezzi. Perché Maya non si ricordava di ciò che era accaduto? E perché invece Angela ne era a conoscenza? Poi l’illuminazione arrivò, squarciando quel terribile e rumoroso silenzio.
«L’hai drogata.»
Non era una domanda, era una sentenza, sapeva che doveva essere andata in quel modo, sapeva che altrimenti Andrea non sarebbe mai riuscito a possederla senza lasciarle segni evidenti su tutto il corpo.
E ora Angela taceva, imbarazzata, non più spavalda.
«Sì, l’ho drogata.» Sembrava morta nel dire quella piccola frase.
«Ma perché hai fatto una cosa del genere alla tua migliore amica?»
La ragazza scoppiò in lacrime, crollando in ginocchio, non riusciva nemmeno più a reggersi in piedi. Luca non la aiutò, i suoi occhi cerulei trasudavano una rabbia omicida. Una parola sbagliata e non sapeva come avrebbe reagito. Eppure era una furia calma, che traspariva solo dal suo sguardo. Angela si sentì nuda di fronte al ragazzo che amava, nuda come non lo era mai stata. E questo le fece male al cuore.
«Perché - cominciò a dire con molta fatica - le voglio un gran bene. Sapevo che non sarebbe riuscita a dichiararsi ad Andrea, volevo solo che la droga la aiutasse, non mi sarei mai aspettata che sarebbe finita in quel modo.»
«Io ho visto tutto. - continuò in lacrime - Io ero lì, davanti a loro mentre lui la violentava, paralizzata dalla paura. Non sapevo cosa fare, come reagire. E dopo di Maya è toccato a me.»
La ragazza scoppiò nuovamente in un lungo pianto, non riusciva più a tenersi tutto dentro, a fingere che non ci fossero problemi, che tutto andava bene.
«I-Io l’ho portata da te. Sapevo che l’ami ed ero sicura ti saresti preso cura di lei. E così è stato. Poi il giorno dopo lei fortunatamente non ricordava nulla e ho pensato che fosse meglio mentirle, non serviva che provasse altro dolore.»
Luca ormai non la stava più ascoltando, sapeva solo che la ragazza che amava si trovava con il suo stupratore in un luogo isolato della spiaggia. Angela non meritava altro che di essere ignorata. Aveva pagato per quello che aveva fatto, forse nel modo peggiore possibile, ma questo non avrebbe significato che lui l’avrebbe perdonata. Anzi, ora l’avrebbe volentieri strangolata al pensiero dei guai in cui aveva nuovamente cacciato la sua amica.
Ma non poteva permettersi di continuare a pensare ad un essere simile, doveva trovare il modo di rintracciare Maya. Poi lo vide, spuntare dalla sabbia, era un piccolo filo rosso, del colore del vestito della ragazza, probabilmente spuntava e l’aveva strappato lei, affinché non si sfilasse ulteriormente.
Raccolse il filo. Ora sapeva in che direzione erano andati.
«Sto arrivando, amore mio.» Pensò prima di iniziare a correre.

Maya continuava ad urlare ma lì dove erano non c’era nessuno che potesse sentirli. Aveva provato a schiaffeggiare, mordere, graffiare, il suo stupratore ma senza ottenere alcun risultato. Ora era sulla sabbia, a guardare la Luna, dimenandosi in modo che il suo assalitore non riuscisse a completare l’atto nuovamente. Ma lui la schiacciava con il suo peso, sapeva che se non fosse arrivato qualcuno in suo soccorso non avrebbe avuto scelta che cedere alle passioni del ragazzo.
Avrebbe voluto che Luca fosse lì, a stringerla, con la sua capacità  di rassicurarla, di dirle che andava tutto bene. Ma Luca non c’era, lei lo aveva mandato via, gli aveva affibbiato Angela in modo da poter stare con la persona che credeva di amare. Ed ora era sola, tanto sola che le parve di sentirlo, sentire la sua voce dire “Sto arrivando, amore mio.†Ma sapeva che ciò non era possibile.

Ormai non sapeva da quanto tempo stesse lottando contro il duro corpo di Andrea ma questa volta fu sicura di sentire Luca urlare il suo nome. La speranza si riappropriò di lei. Sapeva che se c’era qualcuno che sarebbe corso in suo aiuto quello era il ragazzo dagli occhi cerulei. Ci credeva davvero, in lui e, per la prima volta, in loro. Avrebbe voluto baciarlo quel giorno, dirgli che lo amava, che era una stupida ed invece lo aveva trattato come un amico e lui aveva accettato, nonostante la amasse da anni e glielo avesse appena rivelato. Poteva sembrare una scelta da codardi, senza spina dorsale, ma in realtà  lei sapeva che quella decisione a lui era costata moltissimo, forse era stata una delle più difficili della sua vita.
Poi la sentì di nuovo, questa volta più forte e parve sentirla anche Andrea, giusto un attimo prima che un forte gancio destro lo colpisse diritto in volto. Il colpo fu abbastanza forte da sbalzare via il ragazzo da sopra il corpo di Maya. La ragazza fissò Luca sopra di lei che le porgeva una mano mentre l’aiutava ad alzarsi.
A un metro da loro Andrea si stava massaggiando la mascella, alzandosi fumante di rabbia.
Ma la furia negli occhi cerulei dell’altro ragazzo non era da meno. I due si guardarono, sapevano entrambi come sarebbe finita quella serata: con uno di loro steso sanguinante sulla sabbia, sotto i riflessi argentei della Luna.
«Vattene.» Fece Luca all’amata.
«No! Non ti lascerò solo!» Lei era decisa, con quello sguardo irremovibile che lui adorava.
«Come preferisci.» Disse sorridendo tra sé e sé.
«Smettetela voi due e finiamola qui! - esordì il pelato urlando - Così dopo posso riprendere da dove siamo stati interrotti.»
Luca non ci vide più e inizio a scatenare la sua furia addosso all’altro ragazzo.

I due se le suonarono per diversi minuti, cadendo a rialzandosi continuamente. L’ultimo colpo per il ragazzo dagli occhi cerulei era stato particolarmente devastante. Andrea era riuscito a colpirlo alla tempia e questo lo aveva stordito parecchio. Mentre era in ginocchio il suo avversario gongolava, stava aspettando che si rialzasse per dargli il colpo di grazia. Ma Luca era tutto fuorché fuori combattimento. Con uno sforzo immane riuscì a scaraventarsi sul ragazzo pelato gettandolo a terra e cominciando a picchiarlo selvaggiamente, come una bestia fuori controllo.
Fu Maya a fermarlo prima che commettesse qualche sciocchezza, pregandolo di smetterla e di lasciarlo perdere. Loro se ne sarebbero andati abbandonandolo lì, nella sua solitudine. Il ragazzo accettò, alzandosi e dirigendosi verso l’amata. «Sei stato fortunato.» Disse a quello steso a terra, voltandogli le spalle per sempre.
Peccato che né lui né Maya si fossero accorti che Andrea era atterrato accanto ad un grosso bastone. Fu un attimo, Maya non riuscì nemmeno ad urlare e Luca si ritrovo a terra, sulla fredda sabbia, con la testa grondante di sangue.
Andrea resosi conto di ciò che aveva fatto gettò il bastone e fuggì via disperato.
Maya si gettò sul corpo dell’amato, sussurrandogli di resistere, che ce l’avrebbe fatta. Ma oramai Luca non si trovava più in quel luogo triste, ormai aveva perso i sensi.
Delle nuvole coprirono la Luna, il sipario era definitivamente calato.

 

Chapter 5: The Darkness before dawn

3 ore prima…

 

Maya si svegliò ancora seduta nella sala d’attesa dell’ospedale. Era stata lì da quando era arrivata con l’ambulanza la notte prima. I paramedici avevano provato a farla desistere, a separarla dal corpo dell’amato quando lo avevano portato d’urgenza in ospedale ma lei non aveva voluto saperne, continuando a ripetere parole incomprensibili per i dottori come “mano†e “casaâ€. Non lo aveva mai lasciato, fino a quando, una volta arrivati, non era stata presa di forza e messa su una barella anche lei.
Da allora ogni ora arrivava un dottore a dirle come stava procedendo l’intervento. Fortunatamente era di origini italiane, così riusciva a capirlo senza doversi sforzare troppo.
Per lei la sera prima era stata terribile ma le aveva lasciato solo qualche botta, nulla di più. Aveva passato le ultime dodici ore a ritenersi una stupida per quello che aveva fatto, autoconvincendosi che quello che era successo era solamente colpa sua. Non sapeva cosa avrebbe dato per poter vedere ancora una volta quegli occhi cerulei che tanto le piacevano. Sperava e pregava di poterli vedere ancora una volta.
Fu allora che arrivò il medico, mentre si stava nuovamente perdendo in questi tristi pensieri.
«Signorina, sono venuto a informarla che l’intervento sul suo ragazzo è andato bene. Siamo riusciti a fermare l’emorragia cerebrale causata dal trauma cranico ed ora non è più in pericolo di vita. Purtroppo i danni riportati dalla doppia frattura sono stati enormi.»
«Doppia frattura? Che intende dire?» L’ansia cresceva sempre più nel petto della ragazza.
«Intendo che ha subito un doppio trauma cranico, nella parte destra all’altezza dell’osso parietale, causato dal forte colpo inferto dal bastone, e nella parte sinistra all’altezza dell’osso temporale. Probabilmente questa seconda frattura se l’è procurata cadendo a terra dopo essere stato colpito.»
«Capisco, ma adesso come sta? Si riprender�»
Alla ragazza interessava solo questo, null’altro.
Il dottore distolse per un attimo lo sguardo prima di riuscire a trovare il coraggio di rispondere.
«Il suo ragazzo non si risveglierà  mai più.»
Una freccia la colpì al cuore, come un dardo avvelenato la notizia le tolse il respiro. Il suo mondo in quel momento era finito. E soprattutto lui era finito, per colpa di lei, e di nessun altro. Scoppiò a piangere e il dottore cercò inutilmente di consolarla. Era un dolore troppo grande per essere portato, troppo difficile da digerire come un semplice boccone amaro.
Chiese al dottore se ci fossero speranze di un suo risveglio ma questi rispose negativamente. Non si sarebbe mai svegliato, i danni riportati al cervello erano stati troppo gravi. Ora erano le macchine a tenerlo in vita.
«Posso vederlo?»
La sua voce era praticamente inesistente, tanto era il dolore che provava in quel momento.
«Certamente.»
Il dottore la accompagnò nella stanza in cui lui dormiva beatamente. Faceva fatica anche a riconoscerlo conciato così. Un casco di bende sulla testa ora rasata, un tubo nella trachea e un camice bianco che gli stava malissimo. Probabilmente se avesse potuto lui ci avrebbe riso su. Era fatto così, cercava sempre di ridere, di vedere le cose dal lato positivo. Avrebbe voluto avere anche lei questa possibilità .
Il dottore fu così gentile da lasciarla sola con il ragazzo.
Avevano bisogno della loro intimità , di quell’amore che non erano riusciti a vivere, beffati dal destino. Non un bacio, non un ti amo reciproco. Nulla. L’universo era stato crudele con loro.
Lei lo guardò sempre più intensamente, capendo che non si sarebbe mai svegliato, riusciva a sentirlo dentro di sé. Pensò al significato dell’amore in quel momento, a come per lui significasse dare tutto, anche se stessi per la persona amata. Pensò a lei, ora sola in quella stanza. Pensò al fatto che lui non meritasse tutto ciò. Pensò al fatto che dovesse lasciarlo andare.
Si avvicinò al letto, accarezzandogli la testa. Gli occhi erano chiusi, sembrava stesse dormendo come un bambino. Fu allora che decise di baciarlo. Fortunatamente il tubo entrava dalla trachea e non dalla bocca, che rimaneva immobile, statica. Fu un bacio molto dolce, le loro labbra si sfiorarono appena ma questo le bastò per sentirlo dentro di lei, per sentire che era vivo nella sua anima.
Una volta che si furono dati il loro primo bacio lei gli sussurrò dolcemente un piccolo “Ti Amo.†Ovunque lui si trovasse lei era sicura che lo avrebbe sentito.
Dopodiché fece l’unica cosa che riteneva giusta: silenziò i macchinari e dopo li staccò. Fatto questo prese una sedia e si sedette accanto a lui. Gli avrebbe tenuto la mano fino alla fine, aspettando che lentamente la vita scemasse fuori dal suo corpo, facendolo sentire a casa.
 

 

Ora...

 

Nell’oscurità  più nera Maya si lasciò andare, lì, nella loro Montjuà¯c, nel luogo in cui le aveva confessato il suo amore. Quel posto per lei era diventato speciale, soprattutto adesso che lui non c’era più.

Molte volte, troppe, ci dimentichiamo di cosa sia la vita, di cosa significhi, di quanto sia importante. Ci sono persone che non lo capiranno mai, altre che invece ci proveranno, a volte riuscendoci, a volte fallendo. Eppure lui ce l’aveva fatta, in un modo strano forse, ma aveva vinto la sua battaglia, aveva capito cosa importasse davvero.
Quel ragazzo dagli occhi argentati le aveva insegnato molte cose, dalla capacità  di amare, a quella di andare avanti, a quella ancora di lasciare andare. Le sarebbe servito tutto, ora.
Eppure lui le mancava già . Sapeva di aver fatto la cosa giusta ma il senso di vuoto che provava era incolmabile. Si sentiva sola, tradita, ferita, vuota. Era piena solo di lacrime.
Cosa siamo noi? È una domanda che si era ritrovata a porsi spesso, ragionando molto su una possibile risposta. Noi siamo portatori di dolore, nel bene e nel male, anche con le migliori intenzioni, dove un essere umano va, prima o poi causerà  dispiacere a qualcuno.
Si pentì subito di questo pensiero, immaginando il ragazzo che la rimproverava dicendole che il dolore era una componente necessaria per essere felici. Come avremmo potuto apprezzare le gioie della vita senza conoscerne le sofferenze? Era fatto così, riusciva sempre a dare un senso a tutto ma adesso tutto pareva non avere più senso. Il ragazzo che pensava di amare si era rivelato uno stupratore, la sua migliore mica l’aveva tradita, la persona più importante nella sua vita era morta, per causa sua.
Non sappiamo quando la soglia del dolore diventa troppo alta. Non ce ne rendiamo conto subito, semplicemente ad un certo punto capiamo la necessità  di scrivere la parola fine.

Aveva passato tutta la notte a riflettere, a pensare, ed era giunta alla conclusione che ne aveva passate abbastanza per una vita intera, forse anche due. Sapeva di fare un torto alla persona che amava, avendo posto fine prima alla sua vita ed ora volendo farlo anche con la propria. Sapeva di infrangere quella promessa fatta in un salone del museo viennese. Ma lo riteneva necessario, lui avrebbe capito.
Si girò dirigendosi alla terrazza del castello che dava sul mare, era una vista bellissima ed era piaciuta molto ad entrambi quando ci erano andati. Le sembrava il luogo ideale dove porre fine a tutto. Lentamente salì sul bordo, pronta a compiere l’ultimo salto della propria esistenza. Le immagini della sua vita le scorrevano davanti, momenti felici, momenti tristi, gioia e dolore, odio e amore. E poi lui, lo vedeva in quel giardino, lo vedeva mentre correva da lei, erano legati e lo sapevano entrambi, peccato che lei l’avesse capito troppo tardi.
Fece un grosso respiro e mosse un passo in avanti: il vuoto l’attendeva.
«Lui non lo vorrebbe.»
Quella voce l’aveva fatta inchiodare sul posto.
«Scendi da lì, sai anche tu che l’ultima cosa che vorrebbe è vederti gettare alle ortiche la tua vita dopo che lui ha dato la sua per salvarti.»
«Tu che ne vuoi sapere, Angy?»
La ragazza dai capelli corvini si fece più avanti, cosicché Maya riuscì a vederla meglio alle prime luci dell’alba. La ragazza era visibilmente esausta e molto scossa, fu vedendola che Maya si rese conto che anche lei doveva stare malissimo visti i sentimenti che provava per Luca.
«Come stai?» Le chiese scendendo dalla muretta ed andando ad abbracciarla.
«Come credi che stia? Come te, solo che almeno tu hai la consapevolezza che lui ti amava. Io l’ultima volta che l’ho visto pensavo volesse uccidermi. E l’indifferenza finale nel suo sguardo mi ha ferita più di qualsiasi coltello.»
Le lacrime scendevano copiose lungo le guance della ragazza.
Maya non aveva mai pensato che altri avrebbero sofferto per la morte del suo amato. Certo, era una cosa logica, eppure non ci aveva fatto caso. Sembrava che dovesse importare solo a lei, ma non era così.
Strette in un caldo abbraccio le due amiche si erano ritrovate.
«Scusami, Maya. Ti prego di perdonarmi per tutto quello che ti ho fatto. L’ho fatto solo perché ti volevo bene, non mi sarei mai aspettata una situazione del genere.» Disse Angela fra le lacrime.
«Tranquilla. - rispose lei - Lui sarebbe felice di vedere che ti sei pentita di ciò che hai fatto e che mi hai evitato di commettere il più grande sbaglio della mia vita.»
«Mi sei mancata.»
«Anche tu, Angy.»
Il Sole stava cominciando a sorgere sopra il Mar Mediterraneo e i suoi riflessi poco a poco giungevano sui capelli ambrati di Maya e su quelli corvini di Angela.
«Questo è lui che ci sorride dall’alto.» Disse la seconda, asciugandosi con una mano le lacrime e ammirando l’alba all’orizzonte.
«Sai, una volta mi ha detto una cosa bellissima. Proprio l’altro giorno, qui a Montjuà¯c.»
Maya aveva incuriosito Angy che non si trattenne dal chiedere cosa le avesse detto.
«Mi ha detto che la notte ha un unico scopo: prepararti alla magnifica vista del Sole che sorge.»
«Non poteva avere più ragione.» Confermò la riccia.
«Già , andiamo a casa ora.»

 

Fine

 

Nota dell'autore: è stata chiesto di raccontare la nostra estate e posso assicurarvi che non è stato assolutamente facile visto che ho iniziato a scrivere una volta tornato a casa domenica pomeriggio. In questi tre giorni ho dato anima e corpo e spero che ne sia uscito un buon lavoro. Inoltre mi scuso sinceramente (nonostante lo status provocatorio di oggi pomeriggio) con i giudici. So bene che scrivo troppo, cercherò di migliorare. :')

Posso solo dirvi di pensare positivo, ho scritto 20 facciate in tre giorni, immaginate cosa avrei potuto fare scrivendo per tutti e quindici.  :stupid:

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