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[Contest di scrittura] Miglior scrittore dell'anno [Fase Elaborati]


Snorlax

Post raccomandati

A seguito di alcune incomprensioni segnalatemi da alcuni utenti, sono stato costretto ad aprire una diversa discussione per la fase del contest dedicata agli elaborati.




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Ripeto il Regolamento del contest:

  • Tematica: Il contest è a tema NATALE, ma a questa parola ne verranno abbinate altre, legate agli altri contest svolti durante l'anno. Ogni singolo partecipante avrà  una parola abbinata casualmente al tema Natale. Ad esempio, qualcuno potrebbe avere Natale-Horror, e dovrà  trattare il Natale considerando anche l'aspetto dell'Horror. In caso del tema Natale abbinato ad un Keyword Contest, è possibile scegliere tra le tre parole chiave quale usare. In caso di Natale-Inspired, si deve, coerentemente alle regole dell'Inspired Contest, parlare di un libro, una canzone, un film o un personaggio particolare abbinato alla festività . Oltre alle tematiche da contest, alcuni potrebbero trovare, abbinato alla parola "Natale", anche un tipo di testo. Alcuni fortunati avranno anche il tema "Solo Natale", in cui dovranno solo e semplicemente parlare del Natale. Queste parole/tipologie di contest sono state già  sorteggiate dai giudici del contest. Passiamo subito alla scoperta dei temi abbinati ai partecipanti.

Di seguito gli ammessi:


Zebstrika94, Natale- Horror
Vulpah, Natale- Poesia

Flamiya, Natale- Amore
D r e a m, Natale- Autunno-Passato-Colori
IcyFlame, Natale- Racconto
OmgQueen, Natale- Primavera-Donna-Fiori
Chris23, Natale- Inspired
Fen, Natale- Poesia
Pokémonmaster98, Natale- Sorriso
BlackZekrom95, Natale- Amore
HyperSamurott, Natale- Pokémon Millennium-Bianco e Nero 2-Italia
ScarletSnow, Natale- Inspired
Saphira, Solo Natale
Nijugo, Natale- Sorriso
Lightning, Natale- Autunno-Passato-Colori
Blue95, Natale- Estate

MasterOctillery, Natale- Estate
TGiuseppe94, Natale- Autobiografia
Marko99, Solo Natale
Cherrim93, Natale- Pokémon Millennium-Bianco e Nero 2-Italia
Samuel, Natale- Horror

  • Struttura: Il racconto/poesia dev'essere inserito nei commenti, specificando il titolo e l'autore come nell'esempio:

*Nome dell'autore*


*Titolo*


*Elaborato*

  • Lunghezza: Non c'è un limite di lunghezza a ciò che i vuole scrivere. Il testo dovrà  essere composto da una sola parte, dunque non si potranno scrivere fanfiction a puntate.
  • Premi: Oltre, naturalmente, ai PokéPoints, che in questo contest saranno molto più numerosi che nei precedenti, lo "Scrittore dell'anno" potrà  ricevere una speciale bambola come quelle che si possono comprare nel Mercatino PP, che vi identificherà  come scrittori migliori dell'anno. Un ulteriore premio dello "Scrittore dell'anno" è quello di poter importantizzare un topic, quale un racconto o la propria fanfiction per tutto l'anno in carica.

    Passiamo ai PokéPoints!

    Il miglior scrittore dell'anno vincerà : 24 PP
    Il secondo classificato vincerà : 20 PP
    Il terzo classificato vincerà : 16 PP
    Premio Speciale misterioso: 10 PP
    Secondo Premio Speciale misterioso: 8 PP
  • Giudizio: I vostri lavori saranno giudicati da tre giudici: Lance94, Grovyle96 e Vinnie.

Ecco qui, dunque, le persone in questa lista potranno postare qui il loro racconto/poesia/testo.
Ricordo che il contest scade il 30/12/12 alle ore 12.00. Affrettatevi! I premi in palio sono molto allettanti!

Di seguito, riporto gli elaborati di due utenti che avevano compreso il regolamento ed editato il messaggio dell'iscrizione.




Fen


La magica notte



Quando penso al Natale
avverto una strana sensazione
son sicuro che non faccia male
si avvicina alla passione

I volti arrossati dei bambini
che si accingono a preparare il loro abete
i loro occhi brillano di tanti puntini
come fossero ricolmi di stelle comete

I vecchietti che ogni giorno si interrogano sul mondo
perchè da quando erano piccini tutto è cambiato
ma poi il loro viso si apre in un sorriso giocondo
perchè sanno che il natale è rimasto immutato

Le passeggiate per la città , dove tutto risplende
di neve, di luce, di allegria della gente
che trepidante e arrossata in viso attende
la notte più bella dell'anno, il momento saliente

Dove tutti nutrono sentimenti puri e sinceri
gli animi son caldi, gli auguri, i regali
sorrisi e volti che sempre son forieri
di risate allegre, ricche e gioviali

Anche le persone meno fortunate
quella notte riescono a sperare
almeno quel giorno non si sentiranno abbandonate
ogni tristezza quella notte può cancellare

Gli innamorati che si prendono le mani, tenendole strette
mentre i loro cuori palpitano velocemente
e i respiri persi nel freddo sprigionano nuvolette
che poi spariscono in un bacio innocente

La notte di natale, dove non esiste differenza
ogni persona la aspetta eccitata
tutti sono felici, di ombre alcuna parvenza
perchè quella è una notte fatata.


 

Vulpah

(Un)happy Xmas


Arruffa la sua schiena nuvolosa,


sui tetti un gatto grigio si adagia.
Gemmèa
soave, un pinnacolo di fatiscente
calore.

Avvicini, alle tue labbra,
profumo di cacao, avvolgente come
la dolcezza dell’esalazione, ultimo respiro.
E in un attimo, il tuo animo
si rischiara.

Davanti a te
scende lieve, la neve.
Candore soffice, assassino.

S’innalzano
le strade in festa,
risuonan grida di pargoli.

Pare
udir tumulto di cavalli,
in nuova veste insigniti.
Privati del loro nome, del loro colore,
della loro dignità .

Lungi, dalla loro patria,
da tempo immemore,
non rasentano del suolo natio.
Il gentil sorriso fanciullesco,
d’un pargolo al salir
della loro groppa,
fa dimenticare loro
ogni sofferenza.

Par effimero del Natal il candore,
sulle tue soffici membra,
un gentile usignolo
che mai più ritornerà .

Forse,
il suo significato profondo,
non fece breccia nella tua
ruvida pietra.
Proprio lì,
sulla destra del cor tuo.

Quella leggendaria figura senza tempo,
acclamata in tutte le lingue del mondo,
pareva agli occhi tuoi
un ingente pretesto
per veder esauditi
desii incoscienti, futili.

Oh, incosciente fanciulla!
Che in un mare di bugie annegasti!
Ammaliata con arguzia sagace
dalla moral pagana
che ti inculcarono.

E in un attimo
trafigge la freccia
esile fuscello.

Oggi è il giorno
d’uno che ha dato amore all’umanità .
Non pretese di essere seguito,
ma la folla intorno a lui era molta.

Eppure,
in questi tempi bui, del
Natale c'è solo la
salma, pasto
di famelici imprenditori.

Girotondo di bugie senza
capo né coda né inizio
né fine.

E tu continuerai a nutrirlo,
solo per vedere il sorriso negli
occhi di tuo figlio.
Fulgida bellezza senza tempo,
di questo tuo Natale infelice l’
unica gioia.

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Zebstrika94

Un regalo costoso

Finalmente tornai a casa. Non era stata una bella giornata. Tutto era andato per il verso sbagliato da quando avevo deciso di comprare le decorazioni natalizie. Così il mio capo, pensando stessi male, mi ha dato il resto della giornata libera.

Ed eccomi arrivato a casa. Quanto mi piaceva. Si trovava in cima a una collina circondata da dei bellissimi papaveri rossi. Stavo per entrare quando mi accorsi di non avere le chiavi. Dovevo essermele dimenticate in salotto questa mattina. Fortunatamente le mie figlie avevano voluto nasconderne un paio di riserva nel portico.

Fa tanto film americano, dicevano loro.

Non sono mai stato così felice di imitare un americano.

Entrai. Tutto era in ordine. Mia moglie Cathleen doveva aver sistemato tutto prima di andare a lavoro.

Visto che mancava ancora qualche ora al rientro a casa di Cath e delle ragazze volli far loro una sorpresa. Decisi di preparare l’albero di Natale, con addobbi e tutto il resto.

Mi misi al lavoro e, una stella filante di qua, una stella filante di là , ultimai l’albero in poche ore.

Quando mancava ormai solo di mettere il puntone sentii degli strani rumori provenire dalla cucina.

Corsi a vedere. Tutti i coltelli erano caduti per terra. Non feci in tempo a rimettere tutte le lame al loro posto che udii un rumore provenire dal salotto. Un rumore di vetro in frantumi.

Corsi a vedere. Il lampadario di fine Ottocento a cui Cathleen era molto attaccata, infatti era della sua trisnonna, in frantumi sul pavimento.

“Strano – pensai, poi alzai lo sguardo – Non può essere!â€

Sul muro era apparsa una scritta: BRUCIA TUTTE LE DECORAZIONI NATALIZIE O IO BRUCERÒ TE!!!

Scritta alquanto insolita di un bel color rosso sangue.

La mia mente mi continuava a far pensare ad uno scherzo, magari delle mie figlie. Ma poi mi ricordai di quello che ci aveva detto il signore che abitava qui prima di noi.

“Mai in settant’anni ho festeggiato il Natale dentro quella casa. Da quando mia madre morì. Lei adorava il Natale, quindi non volle prestare ascolto ai pettegolezzi del paese. Tutti coloro che addobbavano per festeggiare il Natale venivano trovati morti dentro al camino. E così fu anche per leiâ€

A questa breve storia seguirono parecchi singhiozzi da parte dell’uomo. Poi si fece forza e continuò: “In paese si raccontava che un bambino era stato ucciso dal padre perché la madre voleva a tutti i costi un regalo costoso. Il bambino era una spesa troppo grande. Così lo bruciarono con la legna nel camino.â€

Inorridii al solo pensiero. Mi ricordai un ultimo particolare: non c’era luce in quella casa.

Fortunatamente a casa mia la luce non mancava mai e le scuri erano tutte aperte. Mi feci una grassa risata pensando a quanto fossi suggestionabile.

Non feci a tempo a finire di ridere che le scuri si chiusero tutte contemporaneamente.

Sentii un rumore dalla cucina. Impaurito, andai a vedere. Scorsi un’ombra. La luce saltò.

Urlai, sentii una risata echeggiare. Urla di un bambino. Lo scoppiettio di un fuoco nel camino.

Puzza di carne bruciata.

Il panico prese il sopravvento. Provai a sfondare le scuri e la porta. Le urla di bambino continuavano a risuonare nell’aria. La puzza di bruciato mi provocava conati di vomito.

Corsi al lavandino. L’acqua fresca mi fece tornare un po’ di lucidità .

Cercai il telefonino. Non lo trovai. Doveva essermi caduto mentre addobbavo l’albero.

Pensai a dove tenevamo la torcia. In salotto. Lasciai perdere.

Il generatore era in cantina. Luogo apparentemente sicuro. Andai. Il generatore non funzionava.

Le urla continuavano. Non sapevo cosa fare. Un coltello mi passò molto vicino.

Corsi fuori dalla cantina. Decisi di non andare in cucina. Troppi coltelli.

Feci per salire le scale ma una lama arrivò da quella direzione. Rimaneva solo il salotto.

Entrai in salotto e chiusi la porta. Con mia grande sorpresa vidi una luce.

Veniva dal camino. Se vedevo una luce, voleva dire che era malridotto. Forse avrei potuto aprire un varco. Era folle ma era la mia unica speranza.

Per proteggermi dai coltelli spostai il divano davanti al camino. Ero al sicuro adesso. All’interno del camino. Cercai in tutti i modi di abbattere la sottile muratura ma niente.

Ad un certo punto uno strano calore mi pervase.

Scosso da questa nuova situazione mi accorsi che la luce che vedevo era quella del mio telefonino.

Allora capii.

Le parole del vecchio mi risuonarono in testa: “Così lo bruciarono con la legna nel camino.â€

Preso dal panico provai a spostare il divano ma fu tutto inutile.

Una fiammata divampò.

“AAAAAAAHHHHHH!!!!!!!!â€

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:(

So che è breve, ma ho davvero poco tempo XD Ma soprattutto mancavo di ispirazione, proprio zero

IcyFlame

L'albero

Era sera. Stavano per suonare i dodici rintocchi che segnavano la mezzanotte, e quindi l'arrivo di Natale. In questi tempi l'arrivo del nuovo giorno, per i bambini, sono i regali, che si trovano sotto l'albero. L'albero di Natale, che è forse il simbolo più significativo della festività .

22 Dicembre

-Mamma, mamma. Quest'anno facciamo l'albero?- chiedeva una vocina

-No, Lily. Non abbiamo tempo- fece la madre.

-Ma mamma, è da tre anni che non lo facciamo... l'albero in cantina ce l'abbiamo...

-Lily, devi capire che non possiamo farlo. L'albero oramai è vecchio, spoglio.

-Ma l'albero è il simbolo del Natale. Tutti i miei amici lo fanno! Se non vuoi fare quello vecchio, comprane un'altro!

-Non possiamo comprarne un altro, e tu lo sai. Non possiamo permettercelo. Già  è tanto che zia ci ospiti qui per una settimana, devi capire...- disse abbracciando la figlia

-Ma mamma..!

La piccolina scappò via dall'abbraccio della madre, in qualche posto della piccola casa, scontenta e arrabbiata. Non era nata povera, ma dopo la morte del padre le cose precipitarono, e la madre non trovava lavoro. Perchè suo padre doveva essere morto? Non chiedeva tanto, ma aspettava sempre le feste natalizie. Dovrebbero essere dei tempi felici, allegri. Non chiedeva regali, ma si ricordava quando, tre anni prima, facevano l'albero. La madre era sempre allegra, metteva gli addobbi con un sorriso smagliante, insieme al padre, che parlava con lei animatamente. Lei prendeva sempre la stella e il padre la prendeva in braccio, facendole mettere l'addobbo giallo. Purtroppo quello era il passato. Ed era lontano, erano lontani i bei tempi, i tempi del padre, in cui erano tutti felici, e la malinconia non regnava la loro vita. La madre sempre triste, sempre a dire che aveva fatto tanti sacrifici per lei, e aveva speso tanti soldi per istruirla e farla diventare una persona migliore. Non era così, prima. Decise allora di tornare dalla madre, e sperava di farle ricordare i bei tempi.

-Mamma...- chiese Lily

-Sì..?- rispose la madre

-Scusa per averti fatto arrabbiare. E' solo che da quando papi è morto non si sente più il Natale com'era prima.

-Lo so, lo so piccola. Anche io vorrei farti sentire il Natale, vorrei andare insieme a te a comprare un albero, ma sai che non si può. Vorrei avere papà  qui vicino, ma non si può. Vorrei festeggiare insieme ai parenti, ma non si può. E' tardi ora, vai a dormire. Buonanotte, piccola.

-Ok, ciao mamma.

23 Dicembre

-Lily, sveglia, c'è una sorpresa.

-Mamma, ma non è Natale oggi.

-Sì, però sembra che Babbo Natale sia arrivato in anticipo quest'anno- sorrise.

Sorrideva. Dopo tanto tempo lo faceva. Forse era il segno che qualcosa stava cambiando

-Vieni in soggiorno- disse la madre

Il piccolo soggiorno era proprio affianco alla camera della madre e della figlia. Appena aperta la porta, Lily saltò dalla gioia, vedendo un dettaglio che pochi potrebbero adocchiare subito. Un piccolo alberello nell'angolino. Poco addobbato, ma segno che il Natale stava arrivando

-Mami, grazie!- esclamò Lily saltandole addosso

Era sera. Stavano per suonare i dodici rintocchi che segnavano la mezzanotte, e quindi l'arrivo di Natale. In questi tempi l'arrivo del nuovo giorno, per i bambini, sono i regali, che si trovano sotto l'albero. Ma per alcune persone, come Lily, di regali sotto l'albero non ci sono. E' proprio l'albero che conta.

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by secsi @Combo 

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Marko99

La cravatta magica

Congelato. Sì, ero congelato. L'unica parte ancora viva del mio corpo era la mia mano, che continuava a muoversi facendo scivolare la punta della penna sul foglio, sporcandolo con i miei insulsi pensieri.

Perché proprio io avrei dovuto vincere quel concorso, perché? D'altronde mi era andato tutto male nel corso della vita. Come potevo soltanto sfiorare quel pensiero, quel sogno di gloria.

I fiocchi di neve, di un bianco perlaceo, continuarono a turbinare intorno alla mia bianca cute, che appariva oramai morta.

Stanco e congelato, riuscii ad alzarmi da quel gradino, freddo come ghiaccio, dirigendomi verso la porta di casa mia, affamato. Calpestai per qualche secondo lo zerbino per asciugarmi le suole delle scarpe e, con la mano congelata, afferrai la maniglia della porta, la azionai ed entrai in casa.

«Mamma, sono a casa!» - urlai, muovendo le labbra ancora pallide per il gelo.

«Steve! Dai, liberati di tutti quei cappotti, la cena è quasi pronta!» - rispose mia madre, occupata a rifinire la cena.

Mi liberai di talmente tanti indumenti, che, quando riuscii a togliermeli tutti, la cena era già  a tavola.

«Steve, oggi abbiamo un ospite! Comportati bene, mi raccomando!» La voce di mia madre raggiunse il mio apparato uditivo, mettendomi in allarme. Stanco com'ero, non avrei mai voluto un ospite.

«Ok, mamma...» - risposi con tono notevolmente annoiato.

Mi diressi verso la mia camera con passo pesante, quasi a imprimere la mia malavoglia. Aprii l'armadio e afferrai il cravattino d'occasione che i miei mi avevano regalato per il mio quarto Natale. Quella fu l'ultima volta che vidi mio padre così felice.

Lasciai la presa e il cravattino sprofondò nell'ocurità , sotto l'armadio. Mi sedetti sul bordo del letto e, in quello stesso istante, un fiume di lacrime cominciò a scrosciare sotto i miei occhi. Nella mia mente riaffiorarono ricordi di cui volevo sbarazzarmi a tutti i costi.

«Figliolo, scappa! Presto, scappa!» Rimasi immobile. I miei occhi erano talmente lucidi da riflettere la scena che si stava presentando davanti a loro. Non riuscivo a muovermi. Era come se i miei piedi fossero incollati all'asfalto. Volevo salvarlo, ma non ce la facevo.

Scossi violentemente la testa, intento a far svanire quei ricordi che mi facevano stare male. Mi risvegliai da quel dolore sentendo il suono del campanello. Era l'ospite. Mi affrettai a calarmi per cercare il cravattino che avevo perso, mio portafortuna con gli ospiti. Lo trovai e, percorrendo le scale, lo avvolsi intorno al colletto della camicia.

«Buonasera!» - esordì l'ospite. Era un uomo di media altezza, non molto vecchio. Indossava giacca e cravatta. Una cravatta a dir poco stravagante. Presentava dei fiocchi di neve appoggiati su uno sfondo blu. Quella fantasia mi rilassò.

Discesi l'ultima rampa di scale, dopodiché salutai:

«Salve»

«Salve figliolo!» - mi rispose con enfasi l'uomo - «Come ti chiami?»

«Io sono Steve...» - risposi annoiato.

Per un attimo ci fu un silenzio tombale. Tutto tacque, tranne il fievole fuocherello che cuoceva le castagne.

«Oh, Steve, lui è il signor Parks!» - esordì mia madre, spezzando il silenzio che si era creato poco prima - «E' un professore di scuole medie, l'ho conosciuto qualche giorno fa»

Annuii sorridendo distrattamente. Mentre tutto scorreva, per me il tempo si era fermato. Fissai con estrema attenzione le castagne che cuocevano a fuoco lento. I miei occhi divennero lucidi. Tutto mi ricordava il mio caro padre, che andò via soltanto per colpa mia.

Non seppi salvarlo. Quei maligni ricordi riaffiorarono nuovamente, facendomi sprofondare in un mesto buco nero. Stavo rivivendo i miei ricordi all'interno della mia mente. Nessuno, fuori, poteva immaginare quello che stavo pensando. Ero come in trans.

Due uomini incappucciati, armati di pistole, catturarono mio padre e rubarono tutto quello che avevamo comperato per quella che sarebbe stata la nostra miglior Vigilia di Natale; ma non fu così, purtroppo.

«Steve! Dai, su, siediti, la cena è pronta!». La voce di mia madre interruppe i miei pensieri, facendomi tornare nel mondo reale. Ancora frastornato, mi sedetti, ero di fronte a quel professore. Ci guardammo per qualche secondo negli occhi. Lo scambio di sguardi venne arrestato dai piatti che, con estrema leggiadrìa, furono posati da mia madre dinanzi ai nostri petti.

«Su, mangiamo!» - disse mia madre, esortandoci a cibarci di quel giallognolo brodo di pollo. Il profumo di quel brodo mi metteva sempre di buon umore. Un po' imbarazzato, feci per afferrare il cucchiaio, alche il signor Parks mi bloccò dicendo:

«Figliolo, cosa vuoi fare da grande?». Alzai di scatto il capo e, per non sembrare sgarbato, sorrisi.

«Ehm...» - tentennai, non avendo una risposta soddisfacente - «Ecco... io... non lo so»

«Beh, allora, dimmi... cosa ti piace fare?» - mi chiese - «Cosa fai di solito?»

Tutte quelle domande stavano iniziando a stancarmi. Purtroppo una delle caratteristiche che mi contraddistingue è proprio l'impulsività . Sapevo che i miei nervi non avrebbero retto ad una parola di più, pronunciata da quel professore curiosone. Così sbottai.

«Senta, le posso fare io una domanda?»

Appena ebbe compreso le parole da me pronunciate, mia madre sbarrò gli occhi in segno di allarme.

«Perché vuole sapere tutte queste cose sul mio conto?»

Sapevo che si sarebbe arrabbiata per quello che avevo appena chiesto, ma decisi di continuare lo stesso.

«Beh, vedi figliolo...» - rispose il professor Parks - «Ti sto facendo queste domande perché... mi piacerebbe conoscerti»

In quel momento, un grosso punto interrogativo comparve tra i miei pensieri. Avevo voglia di chiedergli il motivo, ma, per non essere di nuovo scortese, annuii. Qualcosa, in quell'uomo, mi donava sicurezza ma nello stesso tempo molta agitazione. Mia madre interruppe il colloquio invitandoci a continuare il pasto.

Alla fine della cena, il Professor Parks si levò dalla sua postazione e fece per sganciare il cappotto dall'attaccapanni. Mia madre si avvicinò per aiutarlo e io, non sapendo cosa fare, mi alzai e attesi che il professore salutasse per poter ricambiare.

«Ottima cena, Millie. Una delle migliori che io abbia mai assaggiato!»

«La ringrazio, Edward. Sarò ben felice di ospitarla di nuovo!»

«Arrivederci professore...» - dissi con tono notevolmente annoiato. Appena terminai di pronunciare quelle parole, si udì il forte suono delle campanelle poste sull'uscio. La porta, dopo pochi secondi, si richiuse oscurando il paesaggio innevato che si presentava davanti ai miei stanchi occhi.

«Simpatico, vero?» - disse mia madre con tono divertito. Non sapevo bene cosa rispondere, ma pur di tornarmene in camera, scelsi di assecondarla rispondendole:

«Certo, molto...»

Mi avviai verso la scalinata, a passi lunghi, quasi per evitare che mia madre mi trascinasse di nuovo giù. Salii con fretta e decisione le scale, le quali mi portarono in camera. Sfilai il cravattino dal colletto della camicia, dopodiché lo riposi nel guardaroba. Afferrai il mio blocco note, mi sfilai le scarpe e mi catapultai sul letto, in attesa d'ispirazione. Fissai a lungo il soffitto, in cerca di un incentivo a continuare quel racconto.

Puntavo alla vittoria, quel concorso regionale era importante per me. L'immagine fissa del soffitto della mia stanza cominciò a farsi sfocato. I miei occhi si serrarono in cerca di un periodo di sonno indisturbato. Era tanto che non dormivo così bene.

Il mio lungo sonno fu interrotto dallo squillante richiamo della cena. Il profumo di quelle castagne sarebbe riuscito a risvegliare anche una mummia. Mi levai dal letto stordito, infilai le ciabatte e discesi la scalinata.

Avanzai stordito nel salotto buio, finché una luce accecante mi abbagliò. L'illuminazione proveniva dal grande abete appena addobbato da mia madre, la quale lo stava ammirando con grande fierezza.

«Oh, alla buon'ora!» - esordì con enfasi mia madre.

«Per quanto tempo ho dormito?» - chiesi frastornato.

«Tutto il pomeriggio, Steve! Eri proprio stanco, vero?» - disse - «Ti piace l'albero di Natale che ho appena addobbato?»

Fissai con estrema attenzione quell'abete pieno di fronzoli rossi e dorati. Sul pavimento, accanto al vaso contenente le radici della pianta, si potevano distinguere i pochi aghi caduti dall'abete, segno dell'inizio del periodo natalizio.

Questo avvenimento mi rendeva triste e pensieroso, da quando avevo perso il mio papà . Era stato proprio in quel periodo che la gelida mano della morte aveva afferrato mio padre, costretto a seguirla senza via d'uscita. Dopo qualche secondo, con grande sforzo, risposi alla domanda postami da mia madre.

«Certo, è molto bello...»

Mi avviai verso il tavolo da pranzo, per trascorrere un'altra cena in compagnia di mia madre. Mancavano pochi giorni al Natale e lo spazio sotto l'albero era occupato solo dagli aghi d'abete caduti. Volevo convincere me stesso che il Natale fosse una festività  gioiosa, ma il mio cuore la pensava in ben altro modo. La morte di mio padre mi ha procurato una ferita profonda, che neanche la magia del Natale è in grado di ricucire.

Dopo aver terminato la cena, decisi di tornare in camera. Speravo che l'essermi rifocillato mi avrebbe aiutato a trovare l'ispirazione necessaria a terminare il racconto. Afferrai il mio blocco note e lo fissai intensamente. Nulla, la mia mente era concentrata su tutt'altro che il racconto. Quel punto interrogativo che copriva la storia di quel professore oscurava tutti gli altri pensieri vaganti nella mia testa. Avevo il bisogno, il dovere di conoscere tutto di quell'uomo!

Era un amico di mia madre, non avrei potuto permettere che quell'uomo la trattasse in modo sgarbato, anche se fino ad allora non era accaduto nulla di particolarmente disturbante. Decisi di addormentarmi e farmi abbracciare nuovamente dalle calde braccia del mio letto. Fuori nevicava, un clima adeguato al periodo in cui ci trovavamo. Mi recai verso la sala da bagno, di modo che potessi lavarmi i denti prima di coricarmi; afferrai lo spazzolino, di un arancione quasi fluorescente, poi lo strofinai velocemente contro i denti, riempendoli di schiuma prodotta dal dentifricio appena applicato.

Dopo essere uscito dal bagno ancora con il sapore di menta piperita insito nella mia bocca, mi avvicinai al mio letto, spensi la luce e mi rimboccai le coperte, con la speranza di poter scoprire di più su quell'uomo, il giorno dopo.

L'indomani mi svegliai euforico, pimpante. Non feci in tempo a capire dov'ero che ero già  al piano di sotto con una ciambella in una mano e una tazza di latte macchiato nell'altra. Risucchiai come un aspirapolvere la colazione, dopodiché corsi verso la porta strappando il cappotto ad un ramo dell'appendiabiti. Discesi gli scalini esterni e iniziai a percorrere il marciapiede a passo svelto, quasi a raggiungere qualcosa che da lì a poco sarebbe scomparso. Ero sulle tracce del Professor Parks, dovevo raccogliere una grande quantità  di indizi per ricostruire una sua possibile "storia". Cominciai a girarmi intorno e ad addentrarmi nel paese.

D'improvviso un bagliore multicolore m'investì, scaldandomi la pelle. Mi ritrovai nel bel mezzo di una fiera natalizia, in cui tutto era incentrato sul Natale. Bastoncini di zucchero, calze ripiene, abeti, presepi, luminarie, chioschi di vario genere e molto altro. Mi voltai, assorto tra i miei pensieri. Il profumo di quelle castagne pareva quasi pedinarmi, me lo ritrovavo sempre attorno. Aguzzando la vista mi accorsi che poco dietro di me vi era un chioschetto di legno, presieduto da un simpatico vecchietto con le gote arrossate per il calore emanato dal fuocherello che cuoceva le castagne. Mi accorsi poco dopo che quelle non erano castagne normali.

Quelle caldarroste, infatti, erano così grandi da potersi paragonare a delle palline da ping pong. Erano talmente invitanti che fui costretto a cercare nelle mie tasche qualche spicciolo per acquistarne un paio, almeno. Perquisii cappotto e pantaloni, ma riuscii a trovare soltanto un bottone e cinque pallottoline di cotone. Continuai a cercare, mentre quel vecchietto mi fissava con uno sguardo allegro e spensierato, mettendomi in soggezione. Ad un certo punto l'anziano mercante mi chiamò a se elevando la sua mano rugosa e piena di geloni. Io, imbarazzato, mi guardai attorno, pensando indicasse qualcun altro, anche se sapevo bene che indicava proprio me.

Mi avvicinai cautamente. Appena lo raggiunsi, il mercante inserì dieci caldarroste in un sacchetto di carta, dopodiché lo porse dinanzi al mio petto. Io, esitante, afferrai con la mano tremolante il sacchetto, alche l'anziano signore mi rivolse la parola.

«Figliolo» - disse - «non devi temere tutto ciò che non conosci. A volte è proprio l'ignoranza del prossimo a rinchiudere le persone in se stesse»

«G-grazie s-signore...» - risposi tentennante - «Come posso ripagarvi per questo favore?»

«Non devi ripagarmi...» - disse - «Mi basta che tu mi abbia conosciuto, Steve...»

Notai qualcosa di familiare in quell'uomo. Mi feci le stesse domande che mi posi quando incontrai il professor Parks. Cosa voleva da me?

«Come conosce il mio nome?» - chiesi. Non appena terminai di pronunciare quella domanda, una nube di polvere si elevò dal terreno, oscurando la mia visuale. Chiusi gli occhi per ripararmi e quando li riaprii il mercante con le sue castagne non c'era più. A terra c'era solo un biglietto indirizzato a me.

All'interno vi era un messaggio:

Non tutto vien per nuocere.

Steve, non arrenderti mai.

Se vuoi una cosa, prenditela, anche a costo di ferirti.

Ti sarò sempre accanto.

La lettura di quel breve messaggio mi aprì il cuore. Quelle parole mi misero in uno stato di agitazione mai provato prima. Non potevo credere a quello che stavo leggendo; chi era costui? Cosa voleva da me?

Questo momento di agitazione mi distolse per un momento dal mio obbiettivo principale, dopdiché ripresi nella mia investigazione. Ora, insieme alla ricerca del professore, si era unito al sommario degli obbiettivi la ricerca dell'autore di quel messaggio.

M'incamminai per le vie addobbate a festa, dando saltuariamente uno sguardo alle leccornie natalizie messe in vendita dai vari commercianti. Ero tentato, ma non potevo acquistare nulla. Arrivai dinanzi alla prima scuola media, dopo la mia, presente nella città .

Chiesi ad un collaboratore del professor Parks, ma costui mi rispose di non aver mai visto né sentito questo fantomatico insegnante. Rassegnato, uscii e mi diressi verso l'ultima scuola media rimanente nella zona. Arrivato dinanzi all'istituto, entrai percorrendo un lungo corridoio scoperto immerso in un prato colorato di bianco. La neve continuava a cadere velocemente, sospinta dal vento che mi soffiava tra i capelli.

Raggiunsi l'ingresso, ma mi arrestai alla vista di un grosso albero natalizio occupante tutta l'area centrale. L'albero era addobato con delle piccole pergamene colorate e varie decorazioni di carta. Mi guardai intorno, dopodiché, spinto dalla curiosità , strappai una pergamena rossa da un ramo dell'abete e la lessi. Vi era un messaggio di auguri per il padre dell'autore, il quale si era spento proprio come il mio. Iniziai a lacrimare, bagnando il foglio di carta. Avvertii dei passi avvicinarsi a me, alche soffocai il dolore e mi asciugai le gote bagnate.

«E tu cosa ci fai qui?» - disse un collaboratore che passava di lì - «Sei un nuovo alunno?»

«Io? No» - replicai - «Cercavo un certo professore di nome Edward Parks, lo conosce?»

«Edward Parks, dici?» - disse grattandosi il capo - «Sì, dovrebbe esserci un professor Parks qui. Seguimi!»

Seguii quell'uomo, il quale mi condusse in un'aula al piano superiore dell'edificio. Il collaboratore vi entrò e ne uscì seguito dall'insegnante in questione.

«Questo è il professor Parks» - disse - «Lo riconosci?»

Lo guardai attentamente, ma notai appena lo vidi che non era lui.

«No, mi spiace» - dissi rassegnato - «Il signore non assomiglia affatto al professore che intendevo. Ringrazio comunque entrambi per la disponibilità Â»

Feci per andare via, quando fui bloccato dal richiamo di quel collaboratore.

«Scusa, ragazzo» - esordì - «ho trovato questa cravatta davanti all'ingresso. E' tua?»

La guardai attentamente. Notai quasi subito che quella fantasia mi era familiare. Infatti mi ricordai che era uguale alla fantasia che appariva sulla cravatta del professor Parks.

«Ehm...» - dissi tentennando - «Sì, è mia! L'avrò persa entrando qui»

«Ah, bene, ecco a te» - disse l'uomo, "restituendomi" la cravatta del professore fantasma. Lo ringraziai, dopodiché mi avviai verso l'esterno.

Continuai il mio viaggio, ma già  sapevo che non avrei trovato traccia di quel fantomatico Parks, che sembrava non essere mai esistito; ma una prova della sua esistenza l'avevo: la cravatta! Camminando incontrai un barbone con un cartello appeso al collo. Lo guardai distaccatamente, proseguendo noncurante, ma fui bloccato da un freno che m'impediva di continuare a camminare. Mi voltai e vidi che quel pover'uomo tendere la mano verso la mia caviglia, tenendo ben stretto un lembo del pantalone.

«Mi scusi!» - dissi innervosito - «Potrebbe lasciare la presa, per favore?»

Il barbone sembrava infischiarsene delle mie lamentele e continuava a tener salda la mano sul mio pantalone. Alla fine, stufato, m'infuriai e tirai via la gamba dalla morsa di quell'uomo.

«Cosa vuole da me?!» - dissi urlando. Il barbone sorrise, dopodiché mi disse:

«Ragazzo» - iniziò - «non devi temere tutto ciò che non conosci. A volte è proprio l'ignoranza del prossimo a rinchiudere le persone in se stesse»

«Ma cosa...» Quella frase mi sembrò davvero familiare poiché era stata pronunciata qualche tempo prima dal mercante, anch'esso scomparso misteriosamente. Mi chiedevo agitato del significato di quell'affermazione. Cosa ebbi mai fatto per meritarmi ciò?

Corsi via spaventato dall'atteggiamento ambiguo di quell'individuo.

«Non scappare dinanzi alle realtà  diverse dalla tua!» - continuò inseguendomi con la voce - «Non tutto vien per nuocere!»

A quelle ultime parole mi bloccai. Mi ricordarono il messaggio all'interno della busta che trovai a terra poco prima. Mi voltai velocemente per scoprire cosa si nascondesse dietro tutto ciò, ma non appena mi girai il barbone non c'era più. Al suo posto c'era un vistoso negozio di dolci.

Dalla porta socchiusa del locale proveniva un profumo di mele caramellate così invitante da costringermi ad entrare nel negozio. Mi ritrovai in un paradiso di zucchero. Tutto ciò attorno a me era commestibile e carico di zuccheri. Il commesso mi guardò attentamente, dopodiché mi chiamò a se e mi porse una ciambella glassata con sopra delle codette di zucchero colorate.

«Tieni, ragazzo» - disse il negoziante - «Questo è un mio regalo di Natale per te. Lo vuoi?»

Non riuscivo a comprendere il motivo per cui quell'uomo mi avrebbe dovuto fare un regalo. Io non lo conoscevo e lui non conosceva me; o almeno, pensavo fosse così.

«Mi spiace, ma non posso accettare» - dissi - «Io non le ho regalato niente, perché lei dovrebbe regalare qualcosa a me?»

«Ragazzino» - disse con tono deciso - «non devi temere tutto ciò che non conosci. A volte è proprio l'ignoranza del prossimo a rinchiudere le persone in se stesse»

«Ma perché continuate a ripetermi le stesse parole?» - dissi alterato - «Cos'avrò mai fatto di male?!»

«Figliolo» - mi rispose - «la perdita di un genitore provoca profonde ferite nella vita di un ragazzo. Non rinchiuderti in te stesso e apriti al mondo che ti circonda»

Mi voltai violentemente verso l'esterno. La neve continuava a scendere inesorabile sull'asfalto gelido. Il nervosismo cominciò ad impossessarsi di me. Mi voltai di nuovo verso il commesso, ma non c'era più. Mi ritrovai di nuovo fuori, sul marciapiede. Al posto di quel negozio a tema goloso c'era un muro alto tre metri.

Stavo impazzendo. Tutto quello che vedevo e toccavo in realtà  era fasullo. Tornai a casa triste e agitato, con la speranza che il riposo mi fosse stato d'aiuto. Percorsi velocemente le scale e aprii la porta. Entrai nervosamente, quando fui bloccato da qualcosa che non mi sarei mai aspettato.

Al nostro tavolo c'era qualcuno che sorseggiava del tè lentamente, guardandosi attorno. Lo guardai attentamente, quando d'improvviso lo sconosciuto si rivelò voltandosi. Era il professor Parks. Perché era lì? Dov'era mia madre?

«Ehi, professore, lei cosa ci fa qui?»

«Oh, nulla... vuoi un po' di té, Stevino?»

Non ci potevo credeere. Quel nomignolo me lo affibbio mio padre. Come faceva lui a saperlo?!

«Come fa a sapere di quel soprannome?!» - dissi ansimando - «Solo mio padre lo conosceva!»

Iniziai a piangere rumorosamente, quando fui toccato sulla spalla dalla mano del professore.

«Infatti...» - disse con tono grave - «Non credi che io e lui ci assomigliamo un po'?»

«Cosa? Che dice?!»

Piansi a dirotto.

«Stai tranquillo, Steve. Io sono qui solo per augurarti buona fortuna e per chiederti di stare bene, per me. Tutto quello che è successo non è affatto colpa tua. Non rinchiuderti in te stesso. Non aver paura dell'ignoto che ti circonda. Ricorda sempre che io sarò sempre al tuo fianco»

«Ma... chi è lei?!» - dissi asciugandomi le lacrime - «Aspetta...»

«Sì, hai capito bene. Io sono... »

Mentre stava per pronunciare l'ultima parola, quella più importante, un bagliore multicolore lo investì, facendolo scomparire nel nulla.

Restò soltanto una traccia di lui. Un'altra cravatta. Questa volta, però, era la cravatta marrone e rossa di mio padre, quella che usava per le occasioni speciali. Corsi a prelevare il mio cravattino d'occasione dalla mia camera e lo porsi accanto a quella di mio padre.

Entrambe brillarono di una luce intensa, poi sparirono.

«Addio, papà . Sei stato grande, non ti dimenticherò mai!»

Così tornai in camera, afferrai il blocco note e trascrissi tutto quello che mi era accaduto.

Trascorsi dei giorni bellissimi insieme a mia madre. Il Natale tornò per me una festività  gioiosa e da allora non ebbi più paura dell'ignoto. Tutti gli insegnamenti di mio padre valsero molto nella mia vita.

Qualche giorno dopo le feste natalizie andai alla premiazione del concorso, agitato e nervoso. Anche se dovrei dire il contrario, come tutti fanno, io pensavo di vincere. Credevo in me e nel mio testo. La determinazione mi aiutò tantissimo, nel corso della mia vita tutta.

Vinsi. Vinsi per lui, per mio padre. Al ritorno dalla premiazione, trovai un cravattino uguale al precedente sul letto. Questa volta, però, c'era la fantasia di quella di mio padre.

«Grazie, papà . Ti vorrò per sempre bene»

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Che dire, sembra che l'ispirazione mi venga solo di notte :3

chris23

Rompere il ghiaccio a Natale

-SVEGLIA! SVEGLIA! È MATTINA! SVEGLIA!

Treecko raccolse il capo tra le mani stroppicciando gli occhi a fatica

-Yawwwwwnnnn… possibile che Loudred debba sempre urlare nella stessa maniera ogni giorno?!

Riolu si alzò piano piano dalla sua branda eh sospriò:

-Uff… Treecko, ormai dovresti averci fatto l'abitudine.. siamo nella Gilda da un bel po' ormai.

-Sarà , ma io proprio non lo sopporto, mi fa venir i nervi a fior di pelle di prima mattina.

-Su, su, sistemati che oggi ci aspetta un'altra giornata indaffarata.

Treecko si avvicinò all'apertura della stanza che si affacciava sul mare: una gelida brezza soffiava dall'orizzonte.

-Brrr… l'inverno si fa sentire ogni giorno di più…- disse il pokemon geco.

-Tu poi, sei particolarmente sensibile, eh eh eh, dovresti procurarti un bel maglione di lana. Magari con una bella "T" disegnata davanti!

-Hahahahah, davvero divertente Riolu, diventerei lo zimbello di tutta la Gilda se andassi in giro in questo modo.

-Perchè, già  non lo sei? Il nostro Treecko freddoloso ahahaha.. forza dai! Sbrighiamoci, che siamo già  in ritardo per il saluto!

I due pokémon si riunirono insieme nella sala grande della gilda, e come di consueto fecero il loro saluto quotidiano.

-Un attimo di attenzione, per favore. Devo fare un annuncio importante!- disse Chatot

-Ohibò, chissà  cosa c'è di nuovo oggi- bisbigliò Bidoof

-UN PO' DI SILENZIO BIDOOF! - lo rimbecco subito Loudred

-Ehm ehm… - riprese Chatot- Come saprete, domani è Natale-

"È vero!" penso subito Treecko, "Come ho fatto a dimenticarlo? È il 24 Dicembre oggi!"

-Così…- continuò Chatot - il Capitano Wigglypuff ed io abbiamo deciso di darvi la giornata libera per oggi! In questo modo magari, potrete occuparvi delle vostre faccende, o preparare qualche regalino, chi lo sa! Buona giornata a tutti!

-Urrà ! - urlarono tutti quanti all'unisono.

-Mmm, ci è andata bene oggi, vero Riolu?

-Oh sì Treecko, ho giusto qualche commissione da fare per domani. Te cosa pensi di fare oggi?

"Urgh! Mi sono completamente dimenticato che domani è Natale, e devo ancora trovare un regalo per Riolu! È il mio migliore amico, non posso permettermi di arrivare a domani senza aver trovato nulla!"

-Uhm… ehm… boh! Ahahaha… - "Che mi invento ora? Non posso certo dirgli che devo trovare un regalo per lui!" - Penso che andrò a rilassarmi un po' a Borgo Tesoro, non ho niente di particolare da fare…errrr…sì, ecco.

-Uhm, capisco - lo guardò scettico Riolu, fissandolo con i suoi occhi di un azzurro intenso - Senti, che ne dici se per oggi ci dividiamo? Ci troveremo questa sera alla gilda prima di cena, così siamo tutti e due più liberi per fare le nostre cose, no?

-Wow, era proprio quello che volevo proporti! Si vede che siamo in sintonia noi due! Perfetto allora! Ci vediamo fra un po'!

I due pokémon si divisero al bivio fuori dalla gilda, e Treecko si avviò pensieroso verso Borgo Tesoro

-Chissà  cosa posso regalare al mio amico… non ne ho proprio idea…Una bacca? nahhh. Una bandana nuova per le missioni forse? Mmhh, ne ha già  diverse…

Uffa, non mi viene in mente nulla…-

Parlando da solo per il centro di Borgo Tesoro, tutti i pokémon in piazza lo guardavano divertiti, quasi a prenderlo in giro. Ma lui nemmeno se ne accorgeva, tanto era assorto nei suoi pensieri.

-Ehilà  Treecko! Qual buon vento ti porta all'emporio? -

Il pokémon era arrivato piano piano davanti al negozio dei fratelli Kecleon.

-Oh, ciao ragazzi! Non mi ero nemmeno accorto di essere arrivato qui da voi! Ahahaha! Oh sì, che combinazione, forse voi potete aiutarmi!

-Uh? Che succede amico? - gli chiese Kecleon viola.

-Domani è Natale, no? Ecco, e io come un fesso me ne sono ricordato solo oggi! Ma soprattutto, devo trovare un regalo per Riolu! E non riesco a pensare a nulla che gli possa piacere! Uff…

-Ohohoh! Sei nel posto giusto! In questi giorni abbiamo ampliato un pochino la gamma di prodotti in vendita nel nostro emporio, anche se…

-Anche se…? Cosa? - chiese tutto d'un fiato Treecko

-… anche se - riprese Kecleon verde -beh, vedi, Natale è domani, ormai abbiamo venduto gran parte della nostra merce, non è rimasto poi molto.

-Che ne dici di questo foulard azzurro? - Kecleon viola gli porse un fazzoletto di stoffa con dei ricami rossi.

Nah… Riolu ne ha già  diversi, volevo regalargli qualcosa di particolare, fuori dal comune, ecco.

-Ci spiace Treecko, quello che ci è rimasto è quello che vedi qua sul bancone.

Treecko osservò attentamente, ma ciò che era rimasto non lo confortò:

una decina di bacche varie, delle MT incompatibili con Riolu, alcuni Foulard e qualche mela.

-Accidenti, mi spiace ragazzi, ma non credo di aver trovato nulla che mi possa servire, sarà  per un'altra volta.

-Non ti preoccupare, amico. Ci dispiace davvero non poterti aiutare.. Magari se fossi passato qualche giorno fa, avresti avuto più fortuna.

-Eh infatti. Ma dove avevo la testa in questi giorni? Vabbe', è meglio che mi dia una mossa. Devo assolutamente trovare qualcosa entro fine giornata!

Il pokémon geco si avviò sconsolato fuori da Borgo Tesoro: sperava di pensare a qualche soluzione camminando un po'. Ma quando, si trovò all'incirca di fronte alla gilda, vide un pokémon che non aveva mai visto venirgli incontro a passo deciso.

-Ehi tu! Sì proprio tu! Sei un membro della gilda vero?

-Uh? Beh.. sì - farfugliò Treecko.

-Sono disperato! Devi aiutarmi!

Quello strano pokémon rosso e bianco si agitava freneticamente di fronte a Treecko, come se fosse una questione di vita o di morte.

-Uh? Che succede amico? E… scusa la domanda, ma chi sei?

-Oh giusto! Che maleducato che sono stato! Non mi sono nemmeno presentato.

Piacere, sono Delibird! Non sono di qui, ma mi è capitato un gravissimo problema, e non so come fare! È urgente, capisci??

-Ehi ehi, calmati un po'! Mi stai mettendo ansia pure a me! Che è successo?

Delibird fece un respiro profondo, poi disse:

-Vedi, stavo viaggiando in un bosco con il mio compagno pokémon, qua vicino, ma all'improvviso si è verificata una cosa stranissima! Una bufera di neve!

Puff! All'improvviso l'aria era freddissima, e non si vedeva più nulla! Il vento forte e la neve ci hanno diviso, e non ho più rivisto il mio amico… sono preoccupatissimo per lui…

-Accidenti! Ma è una cosa seria! Dovresti andare alla Gilda di Wigglypuff a chiedere aiuto, là  sapranno aiutarti.

-Ci sono andato! Giusto poco fa! - agitò freneticamente le mani al cielo, quasi a voler prendere a pugni le nuvole - Ma nessuno ha raccolto la mia missione! Anzi, più che altro, non c'era quasi nessuno alla gilda!

"È vero! Oggi Chatot ha dato la giornata libera a tutti… Che brutto guaio. Ora che dovrei fare?"

-Mmhh.. ehi Delibird..

-Mhh?

-Senti, io veramente sarei occupato oggi.. avevo delle questioni importanti da portare a termine… Però.. Non posso certo lasciarti da solo ora! Ne va dell'incolumità  del tuo compagno! Verrò con te!

-Dici davvero??? Grazie, sei davvero molto gentile!

I due si avviarono nella gelida mattina verso il bosco descritto da Delibird

-Eccoci.. dovremmo esserci quasi, almeno i miei ricordi mi portano qua.

-Uhm? Strano.- osservò Treecko - Non mi pare che questo luogo sia quello descritto da te: non vedo nessuna bufera di neve nei paraggi.

Il bosco era stranamente silenzioso, non c'era nemmeno in filo di vento a muovere le fronde degli alberi circostanti. Treecko osservava attento tutto ciò che si parava davanti a loro mentre procedevano nella loro ricerca.

-Ehi, Delirbid.

-Uh? Cosa succede? Hai visto qualcosa di strano?

-No, no. Però non mi hai ancora detto che pokémon è il tuo compagno. Come posso riconoscerlo altrimenti?

-Accidenti, scusami! Hai proprio ragione! È uno Stantler: vedi, siamo compagni di viaggio da tempo immemore ormai, che non ci ho proprio fatto caso a dirti questo particolare.

-Alla faccia del particolare, Delibird! Penso sia una cosa abbastanza importante la specie di un pokémon scompars…

*FLASH*

Cominciò.

-Che diavolo…?!

-Ecco! Proprio come l'altra vol…

*FSSSHHHHHHHHHHhhhhhhh….*

In un istante la temperatura scese vertiginosamente! Un freddo glaciale attanagliava i due pokémon, bloccati dall'improvviso evento atmosferico:

un vento impetuoso spirò in un istante, portando con se una bufera di neve.

-Argh..! È fortissima!- esclamò Treecko. Lui più di Delibird soffriva il gelo.

-Da questa parte, presto!- urlò Delibird- Dobbiamo ripararci dietro quell'albero!

Facendosi strada a stenti tra la tempesta glaciale, riuscirono a trovare un riparo d'emergenza, ma la situazione era comunque al limite delle loro capacità .

-Diamine, Delibird! - imprecò Treecko - Non sono sicuro di essere all'altezza di questa missione… sono molto vulnerabile al ghiaccio, io. Se solo ci fosse anche Riolu con noi…

-Riolu?

-È il mio pokemon compagno, insieme formiamo uno dei migliori team della gilda di Wigglypuff. Con la sua capacità  di percepire l'aura, avremmo potuto risalire a Stantler in qualche modo…

-Capisco. Ma oggi quanto ti ho incontrato, eri da solo, o sbaglio?

-Non sbagli amico. Oggi ci eravamo divisi. Cioè, avevamo tutti e due delle cose da fare, veramente. Accidenti, non accenna a diminuire questa bufera, e neppure si riesce a vedere più in là  del nostro naso… Non mi piace per niente questa situazione. È come se….mmmh…

-Come se…? Cosa stavi dicendo, Treecko?

-Delibird, la prima volta che sei venuto in questo bosco con Stantler, c'era già  la bufera?

-No! Te l'ho già  detto! Siamo stati colti di sorpresa, per questo ci siamo divisi.

-E prima della bufera, avevate notato qualcosa di strano, per caso?

-Fammici pensare un pochino...

La bufera aumentò d'intensità  all'improvviso. Il vento che soffiava rendeva difficile persino ascoltarsi a quei pochi centimetri di distanza che separavano i due pokémon.

-Allora? Ricordi nulla? Per esempio, qualcosa fuori posto? Un'ombra? Un rumore?

-No! Era tutto assolutamente normale, ora che ci penso, nessun'ombra, nessun rumore. Nessun pokémon, nei paraggi.

-Nessun pokémon? Vuoi dire che per tutto il tempo che avete trascorso passando per il bosco, non avete mai incrociato nessun altro pokémon?

-Nessun pokémon ti ho detto! Cosa c'è che non va?

*VRRRRRRRRRRRRRSSSSSSSSSSHHHHHHHHH*

La tempesta di neve diventava sempre più violenta, e il bianco intorno agli alberi rendeva difficilisso orientarsi, la neve bianca rifletteva la luce dappertutto, tanto che quasi accecava la vista.

-Delibird, non credo che possiamo sostenere questa situazione ancora a lungo! Dobbiamo fare qualcosa!

-E cosa? Cosa possiamo fare noi?

-Eh io non posso fare granchè, ma tu sì! Sei un pokemon ghiaccio giusto? Devi pur avere qualche mossa che possa aiutarci!

-Accidenti! Hai ragione di nuovo! Ora ci provo subito!

Delibird di concentrò qualche istante, poi si scostò un poco dal tronco che fungeva da riparo, e sferrò la sua mossa Protezione!

Ora una sottile barriera invisibile bloccava la bufera a qualche metro dai due pokemon.

-Non so quanto possa resistere però, dobbiamo fare qualcosa lo stesso, o non ce la faremo. - disse Delibird.

-Delibird, prima hai detto che non c'era nessun pokemon in questo bosco. Questo fatto è molto strano, perchè qui dimorano molte specie di pokemon di solito, come i Pachirisu e i Ratatta, e qualche esemplare di Munchlax. Non sono proprio dei pokemon che passano inosservati. Ma se ne sono andati all'improvviso tutti quanti, ci deve essere un motivo per preciso.

-Per esempio? Cosa può averli spaventati?

-Esattamente questa maledetta bufera! È comparsa all'improvviso appena ci siamo avvicinati al cuore del bosco. Come se… Come se fosse scatenata da un pokémon.

*FROOAAAAAAASSSSSS*

Un urlo agghiacciante fece trasalire i due pokémon! La barriera sì ruppe, e un potente attacco Bora li investì.

-È un Froslass!!! - urlò Treecko! - Dobbiamo affrontarlo! È lui la causa ti questo inferno di ghiaccio!

-Accidenti, che facciamo?

Treecko si mosse per primo, e colpì Froslass con un attacco Fendifoglia, ma questo non accusò il colpo, e contrattaccò con Palla Ombra.

-Attento! Schivalo, presto!

Treecko si buttò dietro il ceppo di legno appena in tempo.

-Ora tocca a me! - urlò Delibird, e con un Aeroassalto colpì in pieno Froslass. Stavolta il colpo fu efficace, e il pokémon spettro-ghiaccio tentennò.

-Dobbiamo colpirlo ora! Avanti! - Treecko si spinse oltre un cumulo di neve, e con un attacco Schianto di buttò sul nemico. Questo però scomparve all'improvviso: era un'illusione!

-Che diavolo…?

*SSSHUUUU* un suono secco da dietro Delibird fece trasalire Treecko: Froslass si era meterializzato dietro il pokemon ghiaccio-volante, e lo stava per colpire con un potente attacco Palla ombra!

-No! Non ti permetterò di farlo! - scatto velocissimo usando Attacco Rapido, e si frappose tra l'attacco di Froslass e Delibird.

-Aaargh… maledizione… - Treecko cadde a terra, mentre Delibird attonito assisteva alla scena.

-Non finirà  così! - urlò Delibird - prese qualcosa dal suo fagotto dietro le spalle, si concentrò attentatmente, e utilizzò un fortissimo attacco Lancio contro Froslass!

Era superefficace, ma il pokemon resistette ancora!

Stava per contrattaccare contro Delibird, quando un attacco Schianto lo colpì da dietro, facendolo andare definitivamente Ko.

-Ho la pellaccia dura, dopo tutto… - Treecko barcollò lentamente verso Delibird,

Tutto ad un tratto, la tempesta si fermò, e la temperatura tornò normale.

-Treecko! Che cosa hai fatto?! Hai rischiato davvero di lasciarci la pelle con quel gesto!

-Eh, hai ragione, ma non potevo permettere che ti colpisse, saremmo stati spacciati entrambi…

Qualcosa si mosse da dietro gli alberi: da dietro un cumulo di neve bianca, una figura si stagliò contro luce. Un rumore di zoccoli attirò l'attenzione di Delibird.

-Ehi, ma questo… È Stantler!

-Oh, alla fine, ce l'abbiamo fat… - Treecko crollò al suolo. Il freddo e il gelo lo avevano danneggiato più di quando credesse.

Tutto si fece bianco. E poi, oscurità .

-Hei dormiglione! Svegliati! È Natale!

-Uh… argh… che cosa… Che cosa è successo??

Treecko si ritrovò nella sua branda, attorno a lui c'erano tutti i suoi compagni della gilda.

-FINALMENTE! TI SEI SVEGLIATO! - urlò Loudred

-Ma che cavolo… Loudred, mi spacchi i timpani così!

-Hai dormito ininterrottamente da ieri sera, amichevole amico! - Wigglypuff gli diete una piccola pacca sulla spalla.

-Ehi, un secondo! Come sono arrivato qui??

Chatot prese la parola:

-Ahem.. ieri sera, arrivò qua alla gilda un Delibird ed uno Stantler, e c'eri proprio tu su quello Stantler! Eri svenuto, ma Delibird ci ha assicurato che stavi bene, e che avevi solo bisogno di stare un po' al caldo a riposare. Orsù, sbrigatevi ora! Che la colazione è pronta e Chimeco ci sta aspettando!

I pokémon uscirono dalla stanza, lasciando solo Riolu con Treecko

-È ancora qui?! Delibrid, è ancora qui??

-No, Treecko, se n'è andato ieri sera, ha detto che andava piuttosto di fretta, ma ha lasciato una busta per te. Immagino ci sia un messaggio dentro, tieni.

Riolu gli passò la busta sigillata, assieme ad uno strano fagotto.

-E questo invece è da parte mia! Buon Natale Treecko!

Treecko era confuso… È vero! Era il giorno di Natale! I fatti del giorno prima gli avevano completamente fatto dimenticare di quel giorno importante!

Treecko non sapeva cosa dire, aprì il fagotto di Riolu, e vi trovò un Maglioncino verde scuro, con una "T" rossa ricamata al centro.

-Cosa? Un maglione! Oh Riolu, grazie! Però lo sai che mi vergogno ad andare in giro con un maglione…

- Non mi importa, testone! Sei un pokemon d'erba, soffri il freddo più di chiunque altro qua alla gilda, e io non voglio certo che tu ti ammali! Buon Natale, amico mio!

-Riolu.. Grazie davvero… non so che dire.

"Accidenti, ora ricordo! Oddio… io non… non ho fatto in tempo a trovare un regalo per lui! Che figura… e ora che faccio? Che cosa gli dico?"

-Senti, Riolu… io… io..

-Oh, stai zitto, Treecko! Quello che mi hai regalato tu è incredibile! Sono io quello che deve ringraziarti più di tutti!

-Cos…? "Quello che ti ho regalato io"? Che stai dicendo?

-Oh andiamo, non fare il finto tonto. L'ho trovato stamattina, il tuo regalo con il bliglietto di auguri, proprio accanto al mio letto!

Riolu gli porse il biglietto che teneva in una mano, mentre con l'altra, mostro a Treecko un ciondolo scintillante: si trattava di un piccolo cristallo di un intenso azzurro, lo stesso colore degli occhi si Riolu, legato con un cordino attorno al collo di Riolu.

-Vedi? Reagisce alla mia aura! - il ciondolo sembrava brillare di una luce propria, rifletteva l'aura di Riolu, dopotutto. - È davvero un piccolo tesoro! Chissà  dove lo hai trovato!

-Ehhrr.. è un segreto! *non ci capisco più niente, ma a questo punto meglio reggere il gioco, no?*

-Oh, come vuoi. Forza, andiamo a mangiare ora! Ci staranno aspettando tutti quanti! - disse Riolu - Forza, io vado avanti ok? Datti una mossa, dormiglione!

Così, Treecko stava per lasciare anche lui la stanza, quando gli venne in mente una cosa:

-La busta! Il messaggio di Delibird! - Velocemente, aprì la busta, e lesse un breve messaggio, scritto da Delibird il giorno prima.

"Caro Treecko,

quello che hai fatto per me, e per Stantler, è davvero esemplare.

Non hai esistato ad aiutare un pokémon sconosciuto come me,

arrivando addirittura a rischiare la tua vita per proteggermi.

Te ne siamo davvero grati io e Stantler.

Mi dispiace essercene andati senza salutarci, ma anche noi avevamo delle "faccende importanti" da portare a termine ieri sera. Tuttavia, penso di aver trovato un modo per sdebitarci… spero che a Riolu piaccia questo piccolo "regalino".

Ah, un'ultima cosa!

Buon Natale!"

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Samuel

Alive ‘till Christmas

Anno 2326. Il pianeta Terra è molto diverso da quello che era nel 2013. La popolazione umana era stata decimata: da 7 miliardi di persone, adesso sopravvivono soltanto circa 25 milioni di persone divise fra le 10 metropoli-fortezza sparse intorno al mondo, rimaste ancora sane dal virus CK-700.

Nell’anno 2180 degli scienziati militari Russi, nel tentativo di originare il super-soldato, crearono un virus con lo scopo di infettare le reclute, modificarne il loro DNA e renderli bestie con una forza sovraumana.

Ma qualcosa andò storto e, non si sa come, una versione beta del virus riuscì ad uscire fuori dal laboratorio segreto in Siberia. Le persone che vivevano nei villaggi vicini vennero infettate per prime: il virus li rendeva degli zombie. Questo avvenimento fu l’inizio dell’apocalisse, il contagio si diffuse in tutto il mondo. Fu la fine dell’umanità .

12 Novembre 2326

“Tesoro mio… grazie del tuo regalo!†disse nonna Beth, alla sua piccola nipotina Lily, di 6 anni, “è un disegno bellissimo!â€

“Grazie nonna!†rispose lei, “è bello farti regali, perché io ti voglio bene!â€

“Sei molto dolce. Quello che mi hai detto mi ha fatto venire in mente una cosa che mi raccontava mia nonna; siediti comoda che te la raccontoâ€.

Lily si sedette affianco alla nonna, che iniziò a raccontarle del Natale: “quando ero piccola, mia nonna mi raccontò che quando il nostro mondo era molto diverso da com’è adesso, le persone, ogni 25 Dicembre, avevano l’abitudine di fare un regalo alle persone a cui volevano bene. Nelle settimane che precedavano quel giorno tutte le case venivano addobbate con luci, decori e l’albero di Nataleâ€.

“L’albero di Natale? Cos’è nonna?†chiese Lily.

“L’albero di Natale? Ecco… io non ne ho mai visto uno, ma mia nonna me l’aveva descritto come un piccolo albero decorato con nastri colorati, palline appese e una grande stella in cimaâ€.

“Non sarebbe bello se tutti gli alberi sono così?†chiese la nipotina.

“Certo Lily, ma in questo posto di alberi ce ne sono pochi e sono tutti molto grandi… Potresti decorare una piantina invece! Oh… sento la moto di tuo padre, è tornato a prendertiâ€.

Il padre di Lily, Andrew, era un pattugliatore. Ogni giorno doveva pattugliare, dalla postazione sulla torretta, i confini della metropoli-fortezza e sparare a vista ad ogni zombie che si avvicinava. Sebbene lui fosse protetto ed in alto era comunque un lavoro molto impegnativo, non poteva permettersi di far avvicinare uno zombie nel centro abitato.

Una volta a casa, Lily raccontò a suo padre del Natale e dell’albero di Natale. “E’ una cosa bellissimaâ€, commentò lui, prima di mandare a letto la piccola.

La madre di Lily era morta 3 anni fa, per una malattia, e gli unici parenti ad esserle rimasti erano il padre e la nonna.

24 Dicembre 2326

“Non vedo l’ora di portare questa pianta a mia nonna!†pensava la bambina, mentre finiva di attaccare con un filo una stella di carta in cima ad una piantina in un vasetto, “è il nostro albero di Natale!â€.

Proprio in quel momento suo padre smise di parlare al telefono ed entrò in camera della figlia.

“Lily, abbracciami… devi dirti una cosa terribile!â€

La nonna Beth era morta, Lily scoppiò in un pianto fortissimo, che terminò soltanto la notte, quando stremata si addormentò, pensando a sua nonna.

25 Dicembre 2326

Andrew lasciò Lily al centro ludico ed andò a lavoro. Era molto preoccupato per la figlia, quando si ricordo della storia del Natale e dell’albero che decise di comprarle un dono. Acquistò una cornice, nella quale Lily avrebbe potuto metterci una foto della nonna.

Il suo turno di lavoro stava per finire, mancava un quarto d’ora e non vedeva l’ora di tornare a casa e di rallegrare, almeno un po’, sua figlia.

“ALLARME ROSSO!!! ALLARME ROSSO!!! Infiltrazione di zombie nella torretta di pattugliamento numero 21 a sud-est del perimetro†disse una voce dall’altoparlante e delle sirene iniziarono a suonare.

“Tutte le unità  nella vicinanze si dirigano immediatamente lì!â€

“Dannazione… è la torretta adiacente alla mia! Sarà  successo qualcosa a Derek? Devo correre!â€

In sella alla sua moto Andrew raggiunse subito il luogo del pericolo.

Evidentemente era il primo, perché non c’era nessuno altro ed oltre al suono della sirena non sentiva nient’altro.

Entro nella torretta… cos’era successo? Era tutto buio e mancava la corrente; accese la sua torcia e, con in mano la sua pistola, avanzava lentamente.

Entrò nella postazione da sparo del suo collega, anche lì era tutto buio… ma vide qualcosa, o meglio, qualcuno rannicchiato nell’angolo infondo.

“Derek… sei tu?†e puntò la torcia in quella direzione. All’improvviso l’essere si voltò: un terribile zombie, con i denti digrignati e sporchi di sangue si voltò! Si alzò in piedi e con uno scatto correva in direzione di Andrew.

L’uomo sparò senza esitazione diversi colpi; non tutti colpirono il mostro e quei pochi che lo fecero sembravano rimbalzargli.

Lo zombie si scagliò con ferocia contro Andrew, voleva morderlo; l’uomo lottava per allontanare l’avversario, ma la forza degli zombie è maggiore di quella di uomo. Andrew sembrava spacciato.

“Bang!†un colpo di pistola si sentì all’improvviso! Qualcuno, alle spalle di Andrew, aveva sparato e colpito, con una mira invidiabile, lo zombie in piena fronte, uccidendolo.

Andrew era, al momento, salvo. Si voltò e vide una donna: era Jane, una sua collega.

“Che tempismo…†le disse mentre ancora sudava, “grazie…â€

“E di che? E’ nostro compito assicurare la sicurezza di questa città , ammazzando ogni fottuto zombie che osa avvicinarsi qui!†fu la sua risposta.

“Dici che ce ne possano essere altri?†chiese Andrew.

“Non lo so…†rispose lei, “dobbiamo essere prudenti. Comunque…†e puntò la sua torcia nell’angolo in cui prima c’era lo zombie accovacciato, “a Derek non è andata bene come te.â€

La luce illuminò il suo, corpo senza vita con il petto aperto in due, le membra divorate dallo zombie e una pozza di sangue sotto di lui.

“Che orribile fine…†disse sottovoce Andrew, disgustato.

“Già â€¦ ma non c’è tempo per dispiacersi. Dobbiamo esplorare questo posto e vedere se ce ne sono degli altri! Dividiamoci, tu a destra, io da questa parteâ€, disse con decisione Jane.

“Forse è meglio se rimaniamo insieme†propose Andrew.

“Perché?†gli rispose lei, “hai paura? Ti ricordo che noi abbiamo seguito un allenamento per questo!†e si diresse, con passo deciso, nella sua direzione.

Ad Andrew non rimase che proseguire nella sua direzione.

“Qui sembra tutto tranquillo†pensò, ma ad un tratto dei colpi di pistola si udirono nella direzione di Jane.

L’uomo si mise a correre e trovò Jane contro il muro, mentre uno zombie grande più del normale la stava strozzando. Si mise a sparare diversi colpi, attirando l’attenzione dello zombie verso di se.

Il nemico si mise ad avanzare contro Andrew, mentre Jane cadde a terra priva di sensi.

“Maledetto!†gli urlò contro e continuò a sparagli, senza effetto… quando ad un tratto finì le munizioni.

Come ultima speranza gli lanciò la sua pistola scarica in fronte, ma questo non fece altro che far innervosire ancora di più lo zombie, che si avvicinò e gli scagliò un colpo, facendogli fare un volo di un paio di metri.

Dopo il rovinoso atterraggio Andrew cercò di rialzarsi, ma il nemico era proprio in piedi di fronte a lui. Ormai era la fine, era disarmato. Non avrebbe potuto festeggiare il Natale con sua figlia.

Ma non poteva permetterlo, Lily aveva già  perso la madre e la nonna, non poteva lasciarla da sola!

Si scagliò contro lo zombie, saltandogli addosso. Non sapeva neanche lui cosa fare, ma iniziò a colpirlo disperatamente, quando ad un tratto…

“Bang!†per la seconda volta Jane, che si era rialzata, l’aveva salvato. Il proiettile colpì lo zombie in testa e cadde a terra.

“Com’è che tu riesci a fargli male con la pistola?†chiese incredulo Andrew.

“Ci vuole mira, eh†rispose lei soddisfatta. “Comunque non ce ne sono più†aggiunse, “possiamo tornare a casa… o almeno, il mio turno di lavoro è già  finito da un pezzo!â€

E finalmente Andrew potette tornare a casa a festeggiare il Natale con la sua Lily, la quale, vedendo la cornice che il padre le regalò esclamò: “grazie papà ! E’ troppo bella!†e corse subito a cercare una foto di lei e sua nonna da inserire nella cornice.

A partire da quell’anno, il Natale venne festeggiato ogni anno da Lily e suo padre.

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Blue95

Natale in Australia

25 dicembre. Le spiagge sono gremite di bagnanti e di surfisti. Mi sembravano alquanto ridicoli, quel Natale di due anni fa, orde di Santa Claus che facevano gare di surf incitati da tifosi accaniti. Mi sembrava così sciocca, quella vacanza, come la chiamava mia madre, “riconcilia famiglia”. Eravamo una famiglia parecchio disastrata: i miei genitori erano sul punto di divorziare, mia sorella maggiore era sempre così sgarbata con tutti noi. Riguardo a me, per non patire gli urli continui in casa, ero perennemente attaccato al mio mp4.

“Questo Natale si va in vacanza. Non voglio obiezioni da nessuno! Ho già  provveduto a tutto, bisogna solo partire. Si va in Australia!” ci avvisò mia madre, a tavola.

Vane le litanie di mia sorella, le quali ribadivano il fatto che fosse abbastanza matura da stare da sola in casa. A sedici anni.

Ed eccoci in spiaggia, su telo mare e sotto agli ombrelloni, mentre, nell’aria, si respirava già  un clima natalizio. Era così buffo non essere a casa a guardare la neve che cadeva! Mia madre, sempre estremamente apprensiva, ci aveva raccomandato di essere sempre cordiali e accondiscendenti fra di noi. Solo così, avremmo potuto raggiungere la pace. Così, azzardai una richiesta:

“Papà , per favore, mi passi quella crema solare?”

“Tieni.” -Rispose, con i suoi soliti modi barbari, mio padre, meritandosi lo sguardo tagliente di mia madre- “… Caro” aggiunse, in seguito.

“Io vado a fare un bagno” disse, noncurante, Kate, mia sorella. Stavo per seguirla, quando, con una sola occhiata, mi fece capire che non avrei dovuto farlo. Come al solito, aveva intenzione di flirtare: e stavolta, le povere vittime erano i Santa Claus dal fisico scolpito. Quanto la odiai!

Non potetti fare a meno di notare che i suoi tentativi di flirt stavano pienamente riuscendo con un Babbo Natale riccio e biondo, dalla pelle mulatta. A malincuore, dovevo ammettere che mia sorella era molto attraente. Nel frattempo, mio padre si era addormentato sulla sdraio. Io e mia madre ci scambiammo uno sguardo: era davvero afflitta, il suo piano di riconciliazione non stava riuscendo. D’improvviso, mi venne un’idea. Mi allontanai circa un quarto d’ora, seguito dallo sguardo interrogativo di mia madre. Stava per scoppiare in lacrime.

Al mio ritorno, vidi che erano tutti sotto l’ombrellone: perfetto, il mio piano era facilitato!

“Dove sei stato, Kevin?” mi chiese mia madre, incuriosita.

“Famiglia, ho una splendida notizia da darvi: ho affittato una barca per soli noi quattro! Ho chiesto che non vi fosse nemmeno il barcaiolo. Conoscendo il passato il passato da marinaio di papà , sono sicuro che saprà  quantomeno guidare una barca. Sia chiaro che nessuna obiezione è accettata!”. Mio padre azzardò un sorriso beffardo, mia madre era quasi commossa da tutti questi miei tentativi e mia sorella, come mi aspettavo, alzò gli occhi al cielo, esasperata.

“Avete a vostra completa disposizione la barca per due ore”- ci ammonì il proprietario della barca, azzardando un americano discreto- “Buon divertimento!”

Buon divertimento un corno, pensai. Con la caparra versatagli, avrebbe potuto comprare un’altra barchetta. Sperai che almeno, questa gita, sarebbe servita a qualcosa.

“Bene, ragazzi, voglio proporvi una cosa che facevo a scuola: il circle time! Ognuno di noi dovrà  dire quello che pensa di tutti i presenti. Ovviamente, non potremo disporci a cerchio, ma possiamo abbozzare! Kate, vuoi cominciare tu?”. Dopo qualche sbuffo e qualche critica a quell’ “inutile” metodo, Kate cominciò:

“Di Kevin penso che…”. S’interruppe. Perché aveva cominciato da me? La curiosità  mi divorava.

“Penso che sia un rimbambito come pochi! Ahahah”

“KATE!” urlò rabbiosamente mio padre.

“Oh, scusatemi, il cocco non può essere criticato, vero? Kevin è un ragazzo così dolce, simpatico e carino! Va meglio, così?”

“Non capisco tutto questo astio nei confronti della tua famiglia” intervenne mia mamma, amareggiata.

“Il fatto è che, dopo la nascita di Kevin, mi sono sentita trascurata! E voi non vi siete nemmeno accorti di quello che provavo!” - Nonostante ciò, mia madre sorrise: il circle time stava funzionando, ma Kate non se ne accorgeva - “E voi due, stupidi egoisti che non siete altro, non capite che io e Kevin soffriamo per i vostri continui litigi. Bravi, continuate noncuranti a litigare per cazzi vostri, fregatevene di noi!”. Kate sembrava in preda ad una crisi isterica. I miei genitori si scambiarono delle occhiate compassionevoli. Ma, per la prima volta, si scambiavano affetto reciproco, ed era un bene.

“Soprattutto tu, papà , devi smetterla di essere così stupido e…”. Improvvisamente, il mare s’agitò.

“Co-cos’è quella chiazza scura che si avvicina????” chiese Kate, impaurita. Subito capii quello che stava succedendo, pur non volendolo ammettere. Una pinna fuoriuscì dall’acqua. Così, tutti capimmo cos’era a provocare quell’agitazione

â€œÈ UNO SQUALO, CAZZO, UNO SQUALO!”. Paura giustificata, soprattutto data dal fatto che lo squalo cominciò a colpire fortissimamente la barca, l’unico puntino in quella grande distesa blu. Urla, strepiti e agitazioni erano comuni a tutti e quattro, ma nessuno sapeva che fare.

“AAAAAAAAAAH!”. Una voce femminile aveva emesso quell’urlo straziante.

“NO, KATEEEEE!” gridò mio padre, impaurito. Mia sorella era caduta in acqua. E lo squalo stava per accanirsi su di lei. Intanto, Kate si agitava in acqua e urlava istericamente. Lo squalo le morse la coscia, e l’acqua si colorò di rosso. Kate cominciò ad urlare più furiosamente, in preda alla paura e al dolore. Nella stiva, notai dei remi: evidentemente, servivano da riserva qualora la barca smettesse di funzionare. D’istinto, presi un remo e colpii lo squalo sul muso. Questo diventò innocuo e, successivamente, cambiò rotta: avevo salvato la vita a mia sorella? Velocemente, la caricammo sulla barca e, in poco tempo, tornammo a riva, suscitando la preoccupazione e la curiosità  dei bagnanti.

Fortunatamente, c’era un ospedale lì vicino, e Kate fu portata in sala operatoria d’urgenza. Io e i miei genitori rimanemmo in ospedale ore e ore, aspettando ansiosamente notizie. CI tenemmo per mano tutto il tempo, ma fu un gesto talmente spontaneo da non dargli tanto peso. Dopo cinque, o sei ore, uscì un medico dalla sala operatoria

“Fortunatamente, signori, la ragazza è fuori pericolo. Non c’è stato bisogno di amputarle la gamba, anche se le rimarrà  una bella cicatrice!”. Eravamo sollevati: avevamo temuto che questo Natale ci avrebbe portato via un membro della famiglia, e invece siamo ancora tutti vivi.

Dopo qualche ora, entrammo nella sala in cui Kate alloggiava. Nonostante il dolore, ci accolse con un sorriso, cosa parecchio insolita.

“Kate!”. Scoppiai in lacrime. In fondo, volevo bene a mia sorella, e sono sicuro che anche lei me ne aveva sempre voluto. Ci abbracciamo: in quattordici anni della mia vita, non avevo mai ricordato uno scambio d’affetto del genere.

“Mamma, papà â€¦ Kevin. Mi dispiace per avervi detto tutte quelle cose sulla barca. Sappiate che…”

“Riposa, tesoro” la interruppe mia madre, accarezzandole la fronte.

“Sappiate che vi voglio bene, tutto qui. Vi voglio bene. Ah, e tanti auguri di buon Natale! Hahah”. Kate si sforzò per ridere, ma il dolore non glielo permetteva.

“Buon Natale, Kate”, sorrise papà . Mia sorella si addormentò col sorriso sulle labbra. Anche io ero felice per quella sua dichiarazione d’affetto, e lo stesso provavano i miei genitori, abbracciati e uniti più che mai. Uscimmo dalla sala, certi che, da quel giorno, i Natali futuri sarebbero stati più allegri e calorosi che mai.

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Pokémonmaster98

Un regalo di speranza

Amore mio, anche questo giorno sei stato privato di un grande dono, un immenso e meraviglioso regalo che la vita offre a tutti. O che dovrebbe essere offerto a qualunque essere vivente, anche a colui che vive nel luogo più isolato dal resto del mondo. Dal resto delle persone. Dal resto della compagnia. Isolato da tutti e da tutto, un minuscolo puntino lontano anni luce, se non millenni, da tutte le altre stelle. Nemmeno quei fulgidi soli, quei giganteschi globi infuocati a temperature altissime possono permettersi di toccarlo per un millesimo di secondo. Eccoti, come un piccolo scogliattolo su una distesa ghiacciata, cerchi una qualsiasi forma di vita intorno a te, senza sapere che non troverai mai nulla se non vuoto. Un vuoto interminabile, un vuoto totale in tutta la sua magnificenza.

Sei solo, abbandonato da quelle stelle luminose. Non una di esse cerca di venirti incontro, incosciente della tua presenza. Sei solo piccolo mio, senza un briciolo di speranza se allontanato dalla tua miserabile fonte di vita, una giovane donna senza più forze per andare avanti.

Tu hai solo me, e io vivo per te. Per cercare di farti star bene, per offrirti quel poco amore che posso darti. Non potrai mai capire cosa significhi amare, amare con tutto te stesso una persona, né sapere cosa si prova davanti ad un regalo di un tuo familiare. Perchè tu non hai nessuno familiare al di fuori di me. Di tua madre. Una madre disperata, che alla vigilia di questo giorno non può far altro che ricordare, ricordare senza poter dare. Ricordare quelle lunghe veglie del 24 dicembre, quelle serate passate in famiglia a divertirsi e sorridere, quella sveglia che la mattina successiva suonava puntualmente alle 8 del mattino, nonostante non ce ne fosse bisogno. Quella lunga attesa per poter scartare un regalo tanto atteso, senza dare importanza al valore economico. Perchè non era altro che un valore affetivo, e ai miei occhi era allo stesso livello di un lingotto d'oro, se non di più.

Tu non potrai mai provare questo però. Nonostante i miei innumerevoli sforzi, e quelli di quelle poche persone interresate alla tua miserabile vita, non riuscirai mai a capire il significato di tutto ciò. Non potrai mai vivere il Natale come lo vivevo io anni or sono, non potrai mai nemmeno vivere la tua vita senza dover dipendere da altri. Solo per te io voglio restare in vita, non ho altro. Ormai ho visto troppe cose in questi ultimi tre anni, cose che non potrò mai dimenticare. Quasi nessuno pensa a te, e alla tua grande infermità , e cosa mai penserebbe un ragazzo di te? Ma tu devi essere forte, perchè io sarò sempre con te. Lotterò con tutte le mie forze per cercare di farti essere un ragazzo cosciente e autonomo, anche se tutti dicono che non c'è speranza. Ma finchè io non morirò, perchè dovrei fermarmi? La speranza è l'ultima a morire. E se io morirò, sarà  cercando una cura per te. Una cura che possa farti vivere una vita, una vita vera. Con la speranza o senza di lei, io sono pronta a sacrificarmi. Perchè tu e tanti altri avete il diritto di vivere, e io voglio donarvelo. Anche un semplice augurio è un dono, e se fatto con amore è ciò che vale di più.

Buon Natale figlio mio, buon Natale

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Premessa: Avevo promesso di dare il meglio di me stesso e, per non deludere nessuno, ho rispettato la promessa. Buona lettura ^^

Il Natale di N

Natural Harmonia Gropius, meglio conosciuto con il nome di N, è sempre stato un ragazzo dal cuore d’oro e amante della libertà . Non ha mai avuto problemi a riconoscere i propri errori e, in questa storia, voglio narrarvi il gesto altruistico che ha compiuto un Natale. Questa azione, sebbene drastica, rimarrà  sempre nella mente di tutti e, io per primo, gli sono e gli sarò sempre eternamente grato. Infatti, qui di seguito, vi racconterò dell’ultima battaglia di N insieme a Reshiram . L’esito positivo della battaglia, ci consente di vivere sempre dei felici periodi natalizi.

Era il 24 Dicembre 2012 ed N era occupato a preparare un pranzetto speciale ai suoi cari Pokèmon, che ha sempre amato molto. Non si trovava nel suo castello, poiché era stato distrutto, ma era in una casetta molto carina e confortevole. Sebbene non fosse di gran lusso, al suo interno vi erano tutti i confort che N potesse desiderare, sia per lui che per i suoi fidi compagni.

Il nostro caro eroe era felice di poter vivere in quella casa ma gli dispiaceva dover passare, secondo una nuova “tradizione†iniziata circa due anni prima , il Natale senza suo padre. Da quando N aveva aiutato quel giovane ragazzino, suo padre non gli rivolse più la parola ed il protagonista della nostra storia era quasi sempre triste e riservato.

Il ragazzo pensava che, almeno quest’anno, il padre avesse cambiato idea e, per questo motivo, aspettava impazientemente una chiamata dal padre ed aspettava, in religioso silenzio, che l’interpokè squillasse.

Ciò però, non avvenne nemmeno quell’anno e, oramai deluso e intristito dal comportamento del genitore, decise di andare a letto.

Quella sera però, N non riuscì a dormire sogni tranquilli . Infatti, sognò che la regione di Unima fosse interamente congelata e che i suoi abitanti erano sempre spaventati . Il protagonista intravide una figura umana leggermente più alta di lui, con i capelli lunghi ed un bastone, a forma di chiave, in mano . Vicino a questa figura vide un’ombra di un Pokèmon imponente . Sembrava un drago, piegato in avanti e con le fauci spalancate. N non aveva mai visto quel Pokèmon in vita sua se non tramite libri antichi e riconobbe, in quell’ombra, la figura di Kyurem affiancata da quella di Ghecis, il proprio padre.

Il giorno dopo, risvegliatosi da questo incubo, N iniziò a pensare molto. Non riusciva veramente a capire il significato di quel sogno . Che legame potevano avere suo padre ed il leggendario Kyurem ?

Dopo essersi posto queste domande riecheggiò, nella sua camera, la seguente frase : “ A Natale tutto cambierà . Solo tu puoi salvare questa festa ! “ .

N sembrava totalmente sbalordito e confuso. Da dove proveniva quella voce? Chi lo chiamava ? Ma soprattutto, perché proprio lui ?

Dinanzi a lui comparve una specie di folletto con due code in ognuna delle quali era incastonata una gemma rossa. Aveva il capo simile ad un elmetto dove vi era un’altra gemma rossa e gli occhi chiusi. Il corpo era quasi interamente grigio mentre il capo e parte del volto erano di colore giallo.

N capì subito chi fosse quel Pokèmon. Lui era Uxie, il Pokèmon Sapienza.

“Natural Harmonia Gropius, tu sei stato scelto dal Trio dei Laghi di Sinnoh per difendere Unima . Come ti ho fatto vedere in quel sogno, la tua regione è in grande pericolo ! A Natale, a causa delle basse temperature e della neve, Kyurem diventa più forte che mai . Questa cosa però non è mai stata un problema … Almeno non fino ad ora ! Infatti Ghecis ha assunto, oramai da un paio di mesi, il controllo di Kyurem e ha già  usato una volta il suo potere per fermare Zekrom, risvegliatosi dal sonno . Oramai, solo tu e Reshiram potete fermare Kyurem e salvare il Natale . Nel caso doveste perdere questo combattimento, il Natale non sarà  più quell’evento gioioso che tutti, grandi e piccini, aspettano con tanta ansia ma sarà  un giorno durante il quale le persone le persone saranno obbligate a lodare il nuovo “ Imperatore “ della regione di Unima . N so che sei indeciso e, per questo, riceverai la visita degli altri due folletti dei laghi . Detto questo, ti saluto. Spero che prenderai la scelta giusta . “ disse Uxie al protagonista.

Appena finito di parlare, Uxie si dissolse nel nulla .

Dopo circa dieci minuti dalla scomparsa di Uxie, arrivò un altro Pokèmon dal capo rosa e con gli occhi giallognoli . Era Mesprit,il Pokèmon Emozione.

Apparve dinanzi ad N, si sedette vicino a lui sul comodo letto e disse “ Caro ragazzo, so bene come ti senti. Io sono il Pokèmon Emozione e comprendo bene ciò che ti sta succedendo . E’ Natale, il periodo più allegro dell’anno e tutti dovrebbero essere più buoni e, proprio in questo periodo, tuo padre decide di usare un Pokèmon Leggendario per avere il controllo su tutta la regione di Unima . So che ricordi ancora quando eri piccolo e tuo padre ti ha allevato con affetto . Però ti devo anche ricordare che, come ha ammesso lui stesso due anni fa, tu eri solo una pedina di cui si sarebbe disfatto molto velocemente . Tu sei un ragazzo molto generoso e che ama i Pokèmon e sono sicuro che tu non permetteresti mai che i Pokèmon diventino schiavi di tuo padre . Prendi la decisione giusta, caro N … Addio ! “ .

Senza dare il tempo di parlare al “prescelto†, Mesprit scomparve.

Dopo cinque minuti però comparve l’ultimo folletto, quello di colore Grigio e Blu e anch’esso con gli occhi giallastri. Era Azelf, il Pokèmon Volontà  .

Però, prima che il Pokèmon potesse parlare, N , piuttosto triste e disperato, chiese subito al folletto “ Perché proprio io ? Cos’ho di speciale ? Posso solo comprendere i sentimenti dei Pokèmon . Come potrei mai fermare mio padre ? “ .

Il Pokèmon Volontà  disse subito “ Volere è Potere, caro mio ! So bene che tu vuoi sconfiggere Ghecis e tu puoi sconfiggerlo ! Anzi, tu sei l’unico che può farlo ! N, credi in te e nei tuoi Pokèmon . Però, per sconfiggere Kyurem, devi far combattere Reshiram obbligatoriamente . Infatti, solo lui può eliminare Kyurem senza rischiare la vita e senza subire danni considerevoli . Detto questo, buona fortuna N . Sappiamo che hai intenzione di fermare Ghecis e di salvare il Natale “ .

Concluso il discorso, anche questo folletto sparì.

Oramai N era più pronto e convinto che mai e decise di recarsi presso la Fossa Gigante, dove era rinchiuso Kyurem .

Il viaggio fu molto lungo ma, grazie alla velocità  di Reshiram, N riuscì ad arrivare a destinazione dopo non molto tempo . L’eroe , mentre volava, vedeva la neve e le cime degli alberi innevati pensando che, se avesse fallito, non li avrebbe più visti .

Arrivato fuori la grotta, il protagonista notò che l’entrata di questa era completamente congelata e, per questo, dovette ricorrere all’attacco Incrofiamma di Reshiram per poter sciogliere il ghiaccio e poter accedere .

Appena entrato, N vide che il padre lo aspettava , insieme a Kyurem.

Ghecis aveva un lungo mantello nero, i capelli verdi e lunghi ed un bastone a forma di chiave, proprio come nel sogno del nostro eroe.

“ E così sei arrivato, caro N . Sei qui per fermarmi, vero ? Hai intenzione di fermare me e Kyurem proprio oggi, giusto ? Vuoi difendere la regione e salvare il Natale , vero ? Stupido ragazzo ! Come pensi di fermare Kyurem in questo periodo ? Sai meglio di me che è impossibile ! “ disse Ghecis, con convinzione.

“Non penso proprio . Ho il dovere di proteggere Unima, i suoi abitanti e la festa del Natale . Questo perché io sono il compagno prescelto di Reshiram . Io sono l’eroe Bianco ! A noi due, padre ! “ disse N, più convinto che mai, lanciando una sfida diretta al proprio genitore.

“Bene Kyurem, dimostragli tutta la tua potenza . Usa Dragospiro contro il drago Bianco ! “ ordinò Ghecis, con molta arroganza e cattiveria.

Dalle fauci del drago “congelato†uscì un raggio violaceo che colpì in pieno Reshiram .

Il Pokèmon Verità  subì gravi danni e decise di replicare con un violento Dragopulsar ma, quest’ultimo, parve non arrecare alcun danno al Pokèmon Continente.

“N, sei inutile, come al solito . Non riuscirai mai a fermarmi ! Kyurem fai cadere neve su tutta la zona, dopotutto a Natale puoi fare quel che non puoi fare mai … A Natale si può fare di più quindi sfodera tutta la tua potenza . Vai, usa GELAMONDO ! “ Ordinò Ghecis, dicendo parole molto convincenti al suo Pokèmon.

“No … Non posso permetterlo ! Io devo salvare il Natale, questo è il mio compito ! Reshiram, dobbiamo riuscire a fermarlo . Ti prego di usare tutta la tua forza per questo attacco . Ricorda che stiamo combattendo per il bene di tutti . Vai, usa FuocoBlu ! “ Disse N al suo compagno, con parole molto più convincenti di quelle del padre.

Le due mosse dei Pokèmon Leggendari si scontrarono e, per alcuni secondi, le forze di entrambi sembravano essere alla pari ma, improvvisamente, Reshiram iniziò ad aumentare di molto la potenza del suo colpo, vedendo il suo padrone molto fiducioso.

La potenza di attacco raggiunta da Reshiram, in quel momento, era oltre ogni limite. Nessuno aveva mai visto una tale potenza, superiore perfino a quella di Kyurem sotto la neve.

Dopo un brevissimo periodo di stallo, la mossa Fuocoblu riuscì ad annientare la mossa Gelamondo di Kyurem e a mandare K.O. il Pokèmon Confine.

Purtroppo però, il colpo fu così potente da permettere ad alcune fiamme di colpire Ghecis e di bruciarlo vivo . Quando N si rese conto dell’accaduto, senza versare lacrima alcuna, disse, con disprezzo “ Se l’è meritato ! Ha trattato male un Pokèmon molto forte e nobile . Non poteva continuare ad agire indisturbato ! “

N girò lo sguardo e notò come era distrutto e triste quel luogo . Ghecis giaceva a terra morto, carbonizzato, Kyurem era steso su una lastra di Ghiaccio a riposare per la fatica compiuta e, improvvisamente, anche Reshiram stramazzò al suolo a causa di tutte le forze impiegate durante il combattimento.

“Grazie Reshiram, ottimo lavoro . Grazie a te il Natale è salvo ! Ho sempre saputo che eri un Pokèmon speciale . Ti ringrazio di tutto … “ disse N, prima di svenire per la stanchezza.

N fu scortato fino alla propria dimora dal trio dei Laghi che gli lasciò un bigliettino di ringraziamento e, come regalo di Natale, iniziò a narrare agli abitanti di Unima l’impresa eroica del giovane ragazzo, che venne adorato da tutti come il “Salvatore del Natale†.

Da quel giorno, Natural Harmonia Gropius iniziò a trattare Reshiram molto meglio, senza permettergli di combattere e vivendo una vita tranquilla e spensierata.

Ebbene, qui finisce la nostra storia . Ricordate che a Natale tutti possono fare cose stupende, anche quando sembra difficile . L’importante è credere sempre nelle proprie capacità  .

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Saphira

Il desiderio di Natale

Ciao, io sono Katia. Quando tutto questo accadde avevo 8 anni. Ad una bambina di questa età  non crede nessuno, dopo tutto si ha una fervida immaginazione e quasi non si distingue la realtà  dalla fantasia. Anche io ora inizio quasi a dubitare di me stessa, ma in fondo so che quello che sto per raccontarvi è successo. Deve essere successo, oppure io sarei matta. Spero di aver suscitato la vostra curiosità , quindi vi racconterò tutti i fatti.

Come ho già  detto avevo solo 8 anni e, ricordo bene, erano appena iniziate le vacanze di Natale. Il mio vicino di casa Thomas (o, come lo chiamavo io, Tom) era un grande fan dei Pokémon, che non erano ancora tanto famosi quanto lo sono oggi. Riuscì ad affascinarmi con le sue figurine ed io iniziai ad appassionarmi a quei mostriciattoli. I miei genitori assecondarono ogni mio capriccio e mi comprarono tantissimi gadget Pokémon, dalle magliette ai peluche.

Quel giorno mi ero appena svegliata e mia madre stava preparando i biscotti di Natale. Riesco quasi a sentire ancora il dolce aroma di mandorle e vaniglia. Ho l'acquolina in bocca…

Comunque, come al solito ero riuscita a rubare un biscottino senza che mia madre se ne accorgesse e me lo stavo gustando sul divano quando arrivò mio padre, stanco per la lunga notte di lavoro.

"Ciao papà !" Sfoderai il mio sorriso migliore.

"Com'è andata a lavoro?"

"Benissimo, tesoro" Mi rispose, anche se la sua espressione lasciava intendere ben altro: occhi arrossati, palpebre pesanti e sorriso sforzato. Non ci voleva un genio per capire che non era andata per niente bene in ufficio. Io, però, ero troppo piccola ed ingenua, così gli credetti.

"Oh! Ciao amore, sei tornato finalmente!" Mia madre sentì mio padre entrare e, con le mani ancora sporche di farina, uscì dalla cucina a salutarlo.

"Ciao Sofia." Le rispose, stremato. Si tolse il cappotto e andò in camera a riposare un po'.

Io, noncurante della situazione, stavo studiando le mie nuove carte Pokémon e niente, neanche un terremoto, avrebbe potuto distrarmi. Passai tutta la mattina a guardarle e cercare di capire come si giocasse. Quando arrivò l'ora di pranzo il profumo delle lasagne mi fece lasciare il pianeta dei Pokémon e tornare sulla Terra. Mio padre si era già  seduto a tavola e aspettava il suo piatto con un grande sorriso sul volto. Io scattai al mio posto in meno di un secondo e mia madre arrivò con le lasagne. Non saprei come descrivere il loro meraviglioso sapore.

"Che buone mamma!" Dissi, con la bocca piena.

"Grazie tesoro" Mi sorrise.

"Katia, non parlare con la bocca piena" Mi rimproverò mio padre.

"Va bene!" Risposi sorridendo, ovviamente sempre con la bocca piena. "Ops! Scusa!" Continuavo a parlare con la bocca piena. Mio padre scoppiò a ridere e io mi aggiunsi a lui.

"Allora, Katia, hai pensato a che desiderio esprimere questa sera?" Mia madre interruppe la mia risata. La mia famiglia ha questa strana "tradizione": la sera della vigilia si esprime un desiderio che, grazie alla magia della notte di Natale, dovrebbe avverarsi il giorno dopo.

"Non ne ho idea!" Risposi sorridendo.

"Pensaci bene, d'accordo?"

"Ok!"

Mi ricordo che ci pensai per tutto il pomeriggio e, dopo cena, mi decisi.

"Non devi dircelo o non si avvererà !" Mi avvisò mio padre.

"Va bene…" Ero un po' triste per quella risposta: non vedevo l'ora di informare i miei genitori. Prima di andare a dormire, seduta sul letto, dissi in un sussurro:

"…vorrei tanto… avere un Pokémon tutto per me!" Mi addormentai pensando a quale sarei stata più contenta catturare, anche se ero un po' scettica sul fatto che esistessero.

Quando mi svegliai una fioca luce penetrava nella mia camera dalla finestra. Non si vedeva niente, era ancora mattina presto. Quando accesi la luce quasi caddi dal letto dallo spavento. Mi rintanai sotto le coperte: c'era qualcosa che dormiva sulle mie gambe. Raccolsi tutto il mio coraggio e tirai la testa fuori dalle coperte. Il cuore mi batteva a mille e volevo chiamare i miei genitori, ma ero paralizzata dal terrore. Cercando di fare meno rumore possibile osservai l'essere che si era preso la libertà  di dormire sul mio letto: era piccolo, rosa e con delle foglie in testa. Avevo la sensazione di averlo già  visto da qualche parte. Senza alzarmi dal letto presi le mie figurine dei Pokémon dal comodino e cercai qualcuno che somigliasse al piccolo intruso.

"Un Hoppip!" Esclamai d'un tratto.

Il piccolo Pokémon si svegliò e, spaventato, corse sotto il letto.

"Non aver paura piccolo! Vieni fuori!" Il suo musetto rosa uscì timidamente dal nascondiglio.

"Iiiip!" Mi sorrise. Credo avesse capito che non ero una minaccia. Scesi lentamente dal letto e porsi una mano tremante al mio ospite.

"Tranquillo, calmo…" Era più un modo per tranquillizzare me stessa. Hoppip mi saltò sulla mano e si strofinò sul mio pigiama. Il mio desiderio si era avverato. Quasi non riuscivo a crederci. Lo accarezzai: era caldo e morbido, come un cuscino.

"Come sei carino. Devo trovarti un nome…" Era come se mi capisse: i suoi gialli occhietti mi osservavano attentamente.

"Toby?" Il piccoletto sembrava offeso.

"Ok, non ti piace. Che ne dici di Fluffy?" Credo stesse per mordermi.

"Oh! Ho capito: sei una femmina!"

"Iiiip!" Mi fece un gran sorriso.

"Allora… Lulù? No. Ti piace Rosa? Ok… Che ne dici di Sally?" I suoi occhietti si illuminarono.

"Bene! Allora, Sally, cosa facciamo adesso? Non dobbiamo svegliare mamma e papà , quindi dobbiamo fare silenzio!" L'Hoppip annuì. Era ancora presto e i miei genitori stavano dormendo profondamente, così decisi di portare Sally a fare il giro della casa. Quando aprii la porta della mia camera quella cigolò.

"Shh!" Intimai alla porta. "Silenzio!" In punta di piedi uscii in corridoio e portai la piccola Hoppip in braccio fino al soggiorno. Sally era incantata dalle decorazioni natalizie: fili colorati erano stati attaccati lungo le pareti, su ogni pianta c'erano delle palline luccicanti e sul soffitto erano state appese svariate campanelline dorate.

"Bella casa mia, vero?" Chiesi a Sally.

"Iiiip!" Sembrava felice. Quando la lasciai sul soffice divano si bloccò ad ammirare l'albero di Natale. Era come una statua, ma con gli occhi lucidi. Io, intanto, stavo cercando l'interruttore delle luci appese ai rami dell'abete. Il soggiorno s'illuminò di rosso quando riuscii a trovarlo. Sally era estasiata: il grande albero era avvolto da tanti fili di Natale e lucette rosse, con una enorme stella dorata sulla cima. La piccola Hoppip fece un lungo balzo e planò girando più volte attorno all'abete. Era così felice. D'un tratto la finestra si spalancò e una folata di vento freddo mi travolse. Centinaia di piccoli fiocchi di neve entrarono in casa. Il sole era ormai alto nel cielo, anche se nascosto dalle grigie nuvole. Sally guardò fuori, poi il suo sguardo si posò su di me. Una piccola lacrima scese sulla guancia dell'Hoppip. In un attimo Sally volò fuori e io, che avevo capito cosa stava per succedere, la salutai.

"Devi andare, vero?"

"Iiiip!" Annuì. Scoppiai in lacrime.

"Allora ciao Sally! E Buon Natale!" Dissi, fra un singhiozzo e l'altro. Non appena il Pokémon sparì in lontananza, in soggiorno entrò mia madre. Preoccupata, mi chiese cosa fosse successo. Io le raccontai l'accaduto, ma, anche se disse di credermi, sapevo che non era vero.

Nessuno, neanche i miei amici, mi credettero. D'altronde, chi crederebbe ad una storia così assurda? Avevo solo 8 anni, mi sarei potuta inventare tutto. Però, tutt'ora, a volte mi sembra di scorgere Sally in lontananza, fuori dalla finestra, con il suo musetto rosa ed i suoi piccoli occhietti gialli.

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Lightning


A Love and Ghost Story


La neve scende, lenta e inesorabile, vorticando nell'aria come cotone. È d'un biancore assoluto, senza tracce d'impurità , quasi a simboleggiare la stessa purezza della persona sola alla quale sto andando a fare visita. I ricordi affiorano a scatti, rapidi e repentini, inondando il terreno gelato di lacrime e rimpianti.
E' la notte di Natale. Un anno esatto è passato, volato, direi. La statale è rimasta uguale: la strada, spianata da centinaia di ruote ogni giorno, le auto, parcheggiate sul lato destro della carreggiata, fiocamente illuminate dai fari dei veicoli di passaggio, il campo, sulla sinistra, abbandonato alla natura.
L'aria gelida mi sferza il viso al punto che, per ripararmi, raggiungo la Caipirinha, il pub più frequentato del paese, la cui insegna brilla di luce al neon verde. Entrando nel locale, uno strano brivido mi pervade: l'abete addobbato a festa, le decorazioni di agrifoglio lungo il bancone... La loro vista mi riempie della speranza di poter di nuovo varcare quella soglia mano nella mano, in un futuro lontano. Il barista non agita più il braccio in segno di saluto, la porta non urta il tavolo addossato all'uscita, le assi di legno del pavimento non scricchiolano mentre mi dirigo al solito, vecchio posto, nell'angolo sul fianco della scala che porta ai piani superiori, ma questi dettagli svaniscono nella malinconia delle serate felici passate in quel luogo.
Il locale pullula di gente. Ogni tanto qualche voce spicca sul rumore di sottofondo, richiamando l'attenzione o proponendo un brindisi. I suoni delle risate, dei bicchieri che si scontrano fra loro, mi riempiono di una strana sensazione di tranquillità , di normalità .
L'ora è tarda, quindi mi accingo a lasciarmi alle spalle la festa. Il cielo, ormai di un colore scuro tendente al nero, è illuminato da poche stelle e dalla luna piena. Quel buio persistente mi ricorda il sordo odio che ho provato nel privarla della mia presenza e la consapevolezza di non poterla più riabbracciare.
Percorrendo la via principale della città , non penso ad altro che a ciò che farò di qui a poco. E se mi stessi sbagliando? Se questo gesto peggiorerà  la già  insostenibile situazione? Non oso immaginare le conseguenze. Tuttavia, stranamente non mi spaventano, intimoriscono o altro. Sono pronto a subire qualsiasi punizione pur di stringerla di nuovo tra le mie braccia, anche solo per una volta.


Ero alla guida della mia C3 argentata, quando uno strano brivido mi percorse la schiena. Colpa del freddo? Ne dubito fortemente. I finestrini dell'auto erano sprangati, il riscaldamento acceso, e nell'abitacolo la temperatura toccava i 16°C.
Concentrato sulla strada, osservavo contemporaneamente il solito panorama di campi coltivati e fitti boschi, che si aprivano a pochi metri dalle banchine laterali.
Viaggiavo a circa 70 km/h. Ero all'altezza del quarto incrocio sulla statale quando il cellulare squillò. Sospirai, leggendo il nome che lampeggiava sul display, quindi misi il vivavoce e riappoggiai il Galaxy sul sedile del passeggero.

- Pronto? - esordii.
- Scemo, muoviti che manchi solo tu! - mi rispose una voce allegra.
- Lasciatemi qualcosa! Non dare a tua madre la mia fetta di panettone - ghignai io di rimando.
- Sarà  la prima cosa che farò, allora!
- Ci avrei scommesso.

Una sua risata mi sciolse. Sorrisi, guardando la custodia blu dell'anello d'argento che avevo appena acquistato. Chissà  se anche il nostro futuro sarà  intenso come quel colore scuro e profondo. Volevo proporle di sposarmi, quella sera stessa. Alzai lo sguardo.
Fu allora che vidi l'autocisterna. Procedeva contromano, a velocità  sostenuta. Sterzai bruscamente per evitarla, finendo sulla corsia dedicata al senso opposto di marcia.
Ma non fui abbastanza rapido. Il veicolo urtò il lato destro della mia auto, della quale persi il controllo. La testa mi volò all'indietro. Il colpo di frusta fu tremendo e mi tolse il fiato. Una macchina sopraggiungente, avendo visto l'incidente, frenò d'improvviso per evitare di colpirmi. Il rumore delle ruote che strisciavano sull'asfalto mi distrasse, spaventandomi ulteriormente.
Un rombo fortissimo, un tremito del terreno. Il trauma al collo mi impedì di voltare il capo. Il tir, dopo lo scontro con la mia vettura, aveva cambiato direzione e si era schiantato contro un albero, poche decine di metri dietro di me, ribaltandosi e riversando al suolo il liquido infiammabile. Il motore, incendiato, trasmise la scintilla alla benzina sparsa, che si accese all'istante e divampò minacciosa, lambendo i fianchi della mia auto.

- Pronto?! Che è successo?! Pronto?! Pronto?!



Mi riscuoto, sorprendendomi della facilità  con la quale sono arrivate le lacrime che ora mi rigano il viso. Con il braccio, faccio per lavare via la scia salata lasciata da esse, ma il ricordo è ancora troppo forte, troppo vivido dentro di me e, come in un sogno, scivolo di nuovo in quel pianto soffocato. In silenzio, osservo le miriadi di gocce cadere a terra e dissolversi nella neve. La loro trasparenza è letale, come lo è stata l'indifferenza della gente alla vista del mio corpo martoriato, della mia ragazza scossa dai singhiozzi, della mia famiglia stretta in un rigoroso mutismo.
Il flusso di questi pensieri viene interrotto ora da una melodia dolce, leggera, che mi riporta alla vita, per quanto possibile. Proviene dalla piazza, per questo mi dirigo lì, ad occhi chiusi, tentando con tutto me stesso di concentrarmi su altro.
Una piccola folla si è radunata intorno all'orchestra. Il suon tenue dei violini, quello più acuto dei flauti, il triste arrancare delle chitarre. I vari strumenti si intrecciano alla perfezione tra loro. Il mio orecchio musicale non è cambiato. Riconosco distintamente le note di Happy Xmas di John Lennon, e per qualche istante resto qui, in piedi, ad ascoltare la sinfonia che ha accompagnato ogni Natale passato.
Sulla scia di War Is Over decido di allontanarmi, e l'occhio mi cade sul grande albero appostato al centro dello spiazzo, al quale non avevo neanche fatto caso.
Il rosso acceso delle palline appese ai rami, dei nastri che ornano la sommità  del sempreverde, della carta che ricopre i doni appoggiati alla sua base. Tutto questo mi provoca un senso di vuoto impossibile da sopportare, al pari di una tortura psicologica. Quel colore simboleggia l'amore, lo stesso sentimento che ha spinto gli ultimi attimi della mia breve vita, rimpiazzato poi dal cieco odio dell'abbandono. Lo stesso amore che io provavo, provo e sempre proverò per lei, per la sua timida figura, per il suo splendido sorriso. Ed eccomi, di nuovo, a cercare di seppellire in fondo alla mente quel viso e quegli occhi, quello sguardo intenso, che cinque anni fa ha sciolto ogni mia certezza.
Senza rendermene conto, mi ritrovo sotto casa, identica a come la ricordavo. E' giunto il momento, quindi. Un ultimo spiraglio di dubbio mi ferma il braccio già  proteso verso l'uscio, arrestando temporaneamente la mano dall'aprirlo. Reprimendo il disgusto per l'egoismo che dimostro mettendo in pericolo non solo me, ma anche lei, per la mia debolezza, spingo il cancello e lo attraverso, come sempre. L'ingresso agli appartamenti risplende di un tenue bagliore giallo emanato dalle luci artificiali, simile a quello dei fari che hanno segnato la mia fine. Ciò contribuisce a rattristarmi, a farmi pentire di questo gesto prima ancora di compierlo. Tuttavia, questo miscuglio di emozioni mi regala la risposta che cercavo da tempo: sì, mi sto sbagliando e peggiorerò la situazione. Ma questo non importa... Salgo le scale di corsa, raggiungo l'esatta porta e la spalanco ansioso. Dentro, nessun rumore, nessun movimento. Regna la pace più assoluta.
Il divano arancione sembra parlarmi, raccontarmi la trama di ogni film che ha visto insieme a noi, di ogni canzone che ha sentito da quando è entrato in quel luogo. Il caminetto è spento, ancora pieno di legna mezzo bruciata, la vetrina ancora mostra la collezione di fossili che tanto curavamo. Persino il pavimento in parquet, che riflette una morbida luce color nocciola, si frantuma in decine di immagini che rievocano quei magnifici istanti.
Muovendomi paradossalmente piano, pur sapendo che lei non può né sentire né vedere ciò che faccio, mi dirigo in camera, e una nuova ondata di tristezza mi stritola le membra.
Sdraiata supina sul letto, profondamente addormentata, sembra segnata da un dolore non ancora svanito. Scure occhiaie le cerchiano le orbite, le ossa risaltano sul suo corpo. E' magrissima, quasi non avesse toccato cibo da allora. La rabbia mi pervade l'anima, a vederla in quello stato, e riempie ogni mia azione mentre a grandi passi la raggiungo, chinandomi sul suo dolce profilo e scuotendola con delicatezza.

- Cosa... Chi è? - dice lei, con voce allarmata.
- Non preoccuparti. E' tutto a posto - ribatto, nervoso.
- Q-Questa voce... Sei... Sei tu? - risponde, aprendo di scatto le palpebre - Che io... Stia ancora sognando?
- No, non è un sogno. Guarda - sussurro.

A questo punto, mi mostro ai suoi occhi. Una tenue luce avvolge la mia figura, che passa da una cieca invisibilità  ai colori della vita mortale.

- Non è possibile...!
- Sì che lo è. Ho poco tempo. Sto violando l'unica legge dell'Aldilà .

Mi getta le braccia al collo. Il suo profumo, così intenso da farmi girare la testa, unito alla felicità  infinita che provo nel rivederla, dopo così tanto tempo, mi toglie il fiato.

- Sei tornato... Come... Come è possibile? - mormora con voce rotta dal pianto.
- Non ha importanza ora. Ti basti sapere che volevo rivederti, per un'ultima volta, amore.
- Resta con me... Non lasciarmi di nuovo.
- Non posso.
- Ma...
- Ogni cosa a suo tempo. Prima o poi ci ritroveremo. Piuttosto - continuai - Cosa diavolo credi di fare? Vuoi morire di stenti? Non puoi continuare in questo modo.
- Senza di te nulla ha più senso. Così, potremo stare ancora insieme.
- Non voglio sentire queste sciocchezze. La tua fine non è ciò che desidero.
- Abbracciami. Godiamoci questi splendidi secondi.

A quelle parole, una solitaria lacrima mi scende sulla guancia. La asciugo in fretta con il retro della manica della giacca.

- Devo andare.
- Aspetta... Ti prego!
- Vorrei, lo sai. Ma più resto qui, più tu sei in pericolo - ribatto ancora.

Lentamente, mi libero dalla stretta. Le accarezzo i capelli dorati, le accarezzo il viso. Poi, le faccio un cenno della mano.

- Non andare... Rimani qui - ripete.
- Mi dispiace, non immagini neanche quanto. Ciao, bellezza - sogghignai. Era il soprannome con la quale la chiamavo sempre, per prenderla in giro. Lei, infatti, non lo sopportava.

Ora sorride, serena. Ancora, un bagliore viola mi avvolge, e tutto perde consistenza. E questo colore mi suggerisce un'altra importante consapevolezza: per quanto il futuro non sarà  tutto rose e fiori, alla fine, potremo ritrovarci.

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ScarletSnow

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Over the wheels and far away

«Sciroccopoli? Neanche per idea.»

«Dai ci divertiremo!»

«Ho detto no.»

«Avà à à à à à à à !!»

«Quale parte della parola “no†non ti è chiara? La n o la o?»

«Suvvia Touko, non vorrai restartene rintanata in casa anche la sera della vigilia, quella sì che è depressione allo stato puro.»

Sciroccopoli. 24 Dicembre.

Ti sei lasciata convincere, brava idiota. Belle e Komor sono stati così insistenti che l'unica cosa che ti è rimasta da fare è stata cedere alle loro pressanti richieste. E dire che lo sanno bene che non ci sei più riuscita a tornare, e che è esattamente da un anno che non metti piede in questa benedetta e maledetta città .

Sai benissimo che stare a casa ti fa male, che dovresti uscire di più, che dovresti permettere al freddo invernale di penetrarti nelle ossa e rimanerci. Magari riuscirebbe a risvegliare la tua anima dal letargo in cui sembra essere caduta ormai da mesi. Riusciresti a scoprire che il sangue ti pulsa ancora nelle vene ed è tuttora capace di imporporarti il viso offeso dal freddo. E forse, sottolineo forse, vedere le nuvole di alito caldo fuggire dalle tue labbra potrebbe ricordarti che, in un modo o nell'altro, sei ancora viva.

Sola, ma viva.

Eppure adesso sei uscita fuori di casa e non ti sembra che sia cambiato alcunché. Fa solo così freddo che non riesci quasi a pensare. Pensare fa male. Questa consapevolezza ti colpisce come un macigno e ti rendi conto che, forse, il freddo non è poi così cattivo se t’impedisce di pensare.

«Finalmente.» sospira Komor al tuo fianco, mentre lo osservi interdetta.

«Finalmente, ti sei tolta quell'espressione triste.» risponde alla tua domanda muta arricciando le labbra e sistemandosi gli occhiali. «Magari è presto per un sorriso, ma almeno adesso sembri rilassata.»

Rilassata. Questa parola ti piace. Era da mesi che non la sentivi, da prima di intraprendere il tuo viaggio come allenatrice di Pokémon. Dopo quel giorno è stata tutta una frenesia impazzita, un susseguirsi di eventi illogici. Neanche in quei momenti riuscivi a pensare.

Invece adesso hai finito con il trascurare i tuoi amati Pokémon. Il tuo unico confidente è stato Emboar solo perché era l'unico a sapere com’erano andate veramente le cose fin dall'inizio.

La Pokéball di Zekrom invece è rimasta intatta. Non sei più riuscita a sfiorarla da quel giorno, quasi fosse colpa sua. Come se il suo manto scuro non fosse altro che una proiezione reale di quello che ti porti dentro.

«Quand'ero piccolo... Passavo sempre tutte le giornate nella mia stanza, non mi era permesso uscire. Così, nelle giornate più fredde e tristi, mi arrotolavo sotto le coperte e usavo tutta la mia fantasia per immaginarmi la neve. Quel pensiero, in un qualche modo, mi faceva stare meglio.»

N si era preso una breve pausa dopo quella piccola confessione. Le nuvole di condensa ancora gli aleggiavano intorno, quasi come se faticassero ad allontanarsi da lui.

I suoi occhi verdi stavano fissi sul cielo ombroso, e sembravano anch'essi immersi in una tempesta cerulea.

«Asp-- Quindi tu... Non hai mai visto la neve?» gli avevi chiesto stupita.

Per te era sempre stata una cosa normale. Non era inverno senza il Signor Fiocco, l'aristocratico pupazzo di neve davanti a casa di Belle, o senza la ghirlanda di dubbio gusto appesa al portone di Komor. Non era inverno senza i pini imbiancati attorno a Soffiolieve o senza i Pidove infreddoliti rintanati sotto i tetti delle case. Non era inverno senza le pattinate – più con il sedere che con le gambe – sul lago ghiacciato, e poi le cioccolate calde di tua madre mentre fuori il mondo era bianco.

Ma lui tutto questo non poteva saperlo, lui l'inverno, fino a quel momento, l'aveva solo immaginato.

«Già . Nella quasi totalità  delle mie lettere a Babbo Natale chiedevo che portasse la neve dentro la mia stanza, dato che io non potevo uscire all'esterno.»

Si era voltato a sorriderti, quasi in imbarazzo davanti alla sua fanciullesca ingenuità . Come se dire di aver creduto a Babbo Natale – chissà  per quanti anni poi – fosse una vergogna inammissibile.

Ma ti aveva sorriso – con quel suo sorriso sghembo – e l'unica cosa che riuscivi a pensare era che avresti voluto vederlo sorridere tutti i giorni della tua vita.

Eri arrossita a quel pensiero egoista, ma per fortuna il freddo maschera bene certe cose.

«Stasera nevicherà .»

Gli avevi lanciato un invito celato, sperando che l'accogliesse. Gli occhi puntati sugli stivali che trovavi improvvisamente interessanti. Concentrata al massimo a studiarne ogni minimo particolare delle cuciture, delle sfumature, del tessuto. Qualsiasi cosa t’impedisse di prendere un colore imbarazzante.

«Sarebbe magnifico... » aveva sospirato all'improvviso.

Poi una lunga attesa, un'attesa snervante, così lunga che avevi ormai perso le speranze.

«…Se potessimo vedere la neve insieme.»

Stai ridendo, e quasi non ti sembra possibile. Stai ridendo, e la tua voce è così chiara e cristallina che sembra quella di qualcun altro.

Ti eri dimenticata del suono della tua risata, della leggerezza della tua voce raccolta dal vento.

Oggi è un dono, realizzi all'improvviso, di nuovo. Una vigilia piena di rivelazioni, forse la giornata giusta per ricominciare a vivere: ti ritrovi a pensare questo in un momento di beata follia.

Se Belle non avesse vinto i biglietti per il parco giochi al Pokémon Musical, se Komor non avesse insistito al punto di buttarti giù dal letto lui stesso quella mattina, se non fosse inverno e il gelo non ti entrasse nei polmoni ad ogni respiro... probabilmente non ce l'avresti fatta. Probabilmente saresti ancora lì, a casa tua, a ciondolare tra il letto e la cucina sotto lo sguardo apprensivo di tua madre.

Ma oggi è la vigilia e sei al luna-park e stai ridendo e sei con i tuoi cari amici d'infanzia che hanno fatto di tutto per starti vicino. Oggi niente può andare storto, perché è Natale e il Natale è magico.

A Natale si può davvero ricominciare a vivere.

«Un altro giro!»

«Ancora montagne russe?!»

«Avanti Komor, non fare il pappamolle!»

«Preferisco di no, andate voi, o finirò con il rimettere il pandoro.»

«Komor pisciasotto!!»

«Ehi! Quel nomignolo avevi detto che non l'avresti più usato!»

«Pisciasotto!!»

«Belle, non ti ci mettere anche tu!»

«Neve...?» eri rimasta sbigottita, mentre un timido fiocco di neve si scioglieva in fretta sul tuo palmo, e puff... un attimo dopo era come se non fosse mai esistito.

N era accanto a te e osservava Reshiram con uno sguardo concentrato e risoluto che forse non gli avevi mai visto prima.

Ma ormai era finito tutto. Non c'era più motivo di portare quell'espressione sul viso. Ghecis era stato sconfitto e l'avevi sconfitto tu, e l'avevi fatto per lui. Qualsiasi cosa ti sembrava realizzabile se riguardava N, quindi... alla fine sconfiggere suo padre, diventare l'eroina di Unima, far risorgere Zekrom... erano cose da nulla, no? Avrebbe potuto farle chiunque... no?

Non c'era più motivo di avere quell'espressione, ma N ce l'aveva. E un’orribile consapevolezza si stava facendo largo nella tua testa, tra le tue viscere. Si stava annidando nello stomaco, subito dopo aver distrutto il cuore.

Lui è un ricercato.

Non piangere.

È un criminale.

Non. Piangere.

Lui deve..

«Touko.»

Non dire il mio nome con quella voce.

«Io devo andarmene. Non posso restare qui, e poi vorrei evitare di crearti ulteriori problemi.»

.. andarsene.

Non...

Â«È difficile. Sei l'unica persona che era presente quando ho visto la neve per la prima volta. È quasi perverso dirti addio in una circostanza così simile. Sappi solo che quella sera, sulla ruota panoramica, mi ritengo fortunato di averla passata con te... Tu sei speciale. E sono sicuro che riuscirai ad ottenere qualsiasi cosa tu voglia dalla vita.»

...Pian...

«Fin dalla prima volta che ti ho visto a Quattroventi ed ho parlato con il tuo Tepig, avevo capito che in te c’era qualcosa di diverso dal solito. Non riuscivo ancora a comprendere cosa fosse ma, dopo che ci siamo incontrati e scontrati diverse volte in quest’ultimo mese, ho capito diverse cose che, a causa della mia vita fino a questo momento, prima mi sfuggivano. Mi hai aiutato a crescere e adesso ho bisogno di trovare il mio scopo in questo mondo... E lo farò per te. Addio, Touko.»

...gere.

Non eri riuscita a guardarlo in faccia mentre ti diceva addio. Non eri riuscita a catturare il suo ultimo sguardo e sapevi già  che ti saresti maledetta pesantemente per questo. Così avevi deciso di fare uno sforzo e avevi alzato il viso.

L'unica cosa che volevi dalla vita era lì: il tuo principe, a dorso del suo bianco destriero. Proprio come nelle favole. Ma nelle favole non succedeva mai che il principe venisse avvolto da una bufera di neve e poi puff... un attimo dopo era come se non fosse mai esistito.

La ruota panoramica. Lui amava la ruota panoramica. Il suo movimento circolare, risultato di eleganti formule fisiche e matematiche che davano vita a qualcosa di reale e capace di regalare emozioni.

Forse era stato proprio quello il momento in cui avevi iniziato ad innamorarti di lui. Il momento in cui hai compreso che c’era qualcosa di più in quella testa, oltre ad un groviglio di capelli verdi e un cappellino.

«Tutto bene?» ti chiede dolcemente Belle, risvegliandoti dai tuoi pensieri.

Rifletti a lungo sulla risposta, quasi fosse una scelta importante ed essenziale.

«Sì. Tutto bene. Saliamo?»

«S-Sicura?» balbetta Komor, sorpreso.

«Sì.» gli rispondi accennando un sorriso.

È solo un accenno: i muscoli non rispondono neanche tanto bene. E nonostante prima ridessi a gran voce, sai benissimo che tra il sorridere e il ridere c’è una sottile differenza che solo poche persone sono in grado di cogliere: per fortuna, i tuoi amici appartengono a questa categoria.

Osservi Belle portarsi le mani a coprire la bocca, gli occhi inumiditi, prima di correre ad abbracciarti.

Un abbraccio così caldo che ti è impossibile non ricambiarlo.

Komor si toglie gli occhiali e si massaggia il naso, iniziando a ridere un po’ istericamente.

«Ho deciso che voglio accettare l’incarico di Bellocchio, scovare i Saggi e poi, quando sarà  tutto veramente finito, mettermi in viaggio alla ricerca di Nate.» riveli con un filo di voce, pronta a gustarti le loro espressioni esterrefatte.

«Cosa… Quando...»

«L’ho deciso ora.»

E l’hai deciso per davvero. Il mondo intorno a te ha ricominciato a girare, proprio come quella ruota panoramica che ti si staglia davanti.

Vederla ti ha ricordato che lui se n’è soltanto andato via, che da qualche parte nel mondo esiste ancora. Devi solo trovarlo.

«Ma... »

«Allora, saliamo?»

Prendi le loro mani e li spingi dentro la prima cabina. A nulla servono le loro proteste, tanto meno quelle del controllore: perché su quell'attrazione si può salire solo in due.

Note dell’autrice. (?)

Questa fan fiction è stata un parto. L’ho iniziata un mese fa – all'annuncio del contest – ed è rimasta a marcire per settimane senza che mi degnassi di concluderla. Avevo pensato a svariati finali diversi, ma questo è forse quello che mi convince di più. Ho voluto equilibrare il più possibile la presenza dei sentimenti portanti, che sono appunto l’amore e l’amicizia, tramite il susseguirsi di momenti passati e presenti. Spero di esserci riuscita e che non sia troppo melensa. Due chicche: il titolo viene dalla prima canzone scelta come ispirazione solo con la parola “wheels†anziché hills (che suonano quasi uguali in inglese, gh) poiché ruota panoramica si traduce, per l’appunto, con ferris wheel; “Nate†è un abbreviativo di Natural, perché a Touko non piace il nome intero di N.

Avrei un altro milione di cose da dire, su praticamente ogni riga di questo racconto, ma mi trattengo perché altrimenti finisce che le mie considerazioni personali diventano più corpose del resto del testo in sé. XD

At least but not last, dedico ‘sta roba a Nightmare e viper. Grazie di cuore ad entrambi.

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