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[Akendil] Semplici racconti di un allenatore Pokémon [Parte 1/In lavorazione]


Akendil

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 Quella sera ci eravamo trovati, come al solito, sulla strada di fronte al negozio di biciclette. Io, mia sorella Anna, Tom, semplice abbreviazione di Tommaso Alberto, Elisa, Agosto e il mio migliore amico Fil.

 Seduti su una panchina, un po' diffidenti, un po' annoiati, aspettavamo che Fil finisse di messaggiare con la sua ragazza. 

 Intanto parlottavamo tra di noi del più e del meno: il mio torchic si era irrobustito dall'ultima lotta, il poochyena di Tom, per esempio, era diventato molto più sveglio e attento e lui, non faceva altro che ripetermelo, assicurandomi che quella sera avrebbe vinto. Anna aveva portato un'agguerrito Grovyle, Agosto avrebbe solo guardato, Elisa era così indecisa che ne aveva portati tre.

 Tra tutti noi, però, il più temuto tra tutti era senza dubbio Fil: aveva allenato così tanto e così bene il suo machoke che riusciva a stendere con una sola mossa più pokémon contemporaneamente.

 

 Le ombre si erano allungate quando ci incamminammo verso la vecchia casa del signor Carlini Tuononda; era abbandonata da diversi anni, erbe incolte crescevano ovunque e la sua tranquilla posizione fuori città favoriva di un mucchio di pokémon nascosti in ogni dove.

 Passammo sul retro, come tutte le volte. Andò avanti Anna: Zow, il suo Grovyle, fece la strada tra i rampicanti, io chiusi la fila. Erano diversi mesi che frequentavamo il posto, eppure, nessuno dei nostri genitori ne sapeva nulla. Ci credevano sulla spiaggia a passeggiare, oppure al parco o in un centro pokémon ad allenare i nostri mostriciattoli. Questo in base a cosa ciascuno di noi aveva raccontato loro.

 I miei per esempio, avevano incominciato a sospettare qualcosa, ma non avevano detto nulla, quindi, tanto meglio così. 

 Il piano superiore era diventata la nostra stazione di allenamento. La parete centrale tra le due stanze più ampie, era crollata, formando così uno spiazzo delle giuste dimensioni per una lotta pokèmon con i fiocchi.

 

 "Vai Rosso!" gridai, lanciando la mia sfera poké nel centro dello spiazzo. Rotolò, ondeggiò, il  grosso torchic dallo sguardo determinato fece capolino: zampettò in cerchio guardandomi. C'era intesa tra di noi. 

 "Vai Ossobuco!" Tom mandò in campo poochyena. Era piccolo, molto veloce, il pelo scuro sulla parte superiore, il muso più chiaro e due grossi occhi gialli che facevano quasi tenerezza, solo finché non vedevi i denti aguzzi. 

I due animaletti si squadrarono a lungo. Aspettavano ordini. 

"Usa graffio!" gridai. Rosso scattò. Ossobuco fu più veloce. Schivò.

"Ancora! Continua a pressarlo!" Incitai. Curioso come Tom rimanesse ad osservare, lasciando agire autonomamente Ossobuco, che si limitava a schivare, spostandosi sempre di poche zampe. 

 

 Rosso le tentava tutte, io cercavo di utilizzare combinazioni che rallentassero o confondessero l'avversario, ma non ci fu verso. Ossobuco era troppo veloce. Infatti fu lui a colpire, dopo millle e mille nostri tentativi falliti. Il mio Rosso già ansimava, e dopo il morso avversario, cadde a terra esausto. "NO!" gridai, richiamandolo nella sfera. "Non è giusto!"

Non era giusto, non lo era affatto. Stavo per dirgliene quattro a Tom, che aveva usato una tecnica sleale, quando la voce di Elisa venne dal piano inferiore.   "Ragazzi! Venite a vedere!"

Ci precipitammo tutti giù per le scale.

 Elisa era in una stanza vuota dove, i rampicanti, o forse non solo quelli, avevano scavato un buco profondo e largo, che si inoltrava nel terreno. "Vieni via da lì!" Disse Tom preoccupato. In parte aveva anche ragione. Non era sicuro. Magari era la tana di qualche pokémon pericoloso, e tornare a casa acciaccati o peggio sarebbe stato il peggio del peggio. "Dov'è Fil?" Chiesi. "Dov'è Anna?"

  Erano loro quelli responsabili con la testa sulle spalle, era meglio che vedessero quella cosa al più presto. Mi stavo guardando attorno, strizzando gli occhi; faceva sempre più buio e dovevamo accendere le luci dell'impanto elettrico costruito da Agosto.

  Mi diressi verso il retro, dove c'era la tana dei pikachu. Erano davvero tantissimi, li avevamo trovati per caso, e a quell'ora dormivano tutti. Era stato semplice connettere un paio di cavi al vecchio impianto elettrico e servirsi dell'energia che gi animaletti producevano naturalmente a patto di non disturbarli.

Le lampade ronzarono, lampeggiarono, poi si accesero. "Fil!" Chiamai, cercandolo al piano superiore. Lo trovai insieme ad Anna. Stavano medicando Grovyle, che si era ferito con una pietra appuntita. "C'è una buca là sotto!" Ansimai. Avevo corso su per le scale e lungo il corridoio. "Elisa l'ha trovata, ma ho paura che faccia dei pasticci... è grande, grande così", mimai con le braccia. Fil annuì, "Veniamo a vedere."

Stavamo scendendo le scale quando qualcuno gridò. Sembrava la voce di una ragazza. Io e Fil ci guardammo. La buca. Qualcuno ci doveva essere cascato dentro. Ci precipitammo giù. "Tutto BENE?" Esclamai allarmato affacciandomi sulla stanza. Tom ed Elisa mi guardarono curiosi.

"Nessuno è caduto dentro?"

Scossero la testa. E allora... chi era stato a gridare? "L'avete sentito anche voi, vero?" chiesi, cercando di spiegare. "Il grido Intendo..."

Ancora scossero la testa. "Come? Non avete sentito niente?" Non ci potevo credere.

"Cosa succede?" chiese Agosto, sbucando da dietro di noi. "Mia sorella", dissi. Anna era rimasta da sola con Grovyle. "Le è successo qualcosa". Io per primo, Fil che arrancava dietro di me. Al piano superiore Anna era sparita; Grovyle, nella pokéball, era per terra dove lei si trovava poco prima. Agosto, che era rimasto nei paraggi della scala per la maggior parte del tempo, mi assicurò che nessuno era sceso nel frattempo. Quindi, Anna poteva solo essere salita ancora.

"Dobbiamo trovare Anna!" Dissi determinato a tutti gli altri, raccolti al primo piano. "L'ultimo piano si divide nell'Ala Est e quella Ovest." Fil annuì.

"Per accelerare le ricerche ci divideremo. Io, Tom e...", guardai verso Elisa. Poi verso Agosto. "ed Elisa. Agosto che sei senza Pokémon vai con Fil. Tutto chiaro?"

Ci fu consenso generale.

 

"Molto bene", dissi. Agosto andò a prendere un paio di torce elettriche dal magazzino degli oggetti utili che avevamo preparato negli ultimi giorni. Mi passò anche una medicina per Rosso, nel caso dovessi rianimarlo.

 

Incominciammo a salire.

Non frequentavamo il piano superiore perché, sapevamo bene tutti che era pericoloso. Fatiscente nella maggior parte dei punti, dove assi di legno e pezzi di parete crollavano letteralmente alla minima vibrazione.

"Silenzio", dissi a Tom e a Elisa. Avevamo scelto l'Ala Est. Tom teneva la torcia e lasciava andare avanti Ossobuco che annusava curioso. Per la maggior parte si trattava di stanze collegate l'una all'altra, spoglie. Io stavo nel mezzo, Elisa con sandsrhew veniva per ultima.

Arrivammo all'ultima stanza. "Ehi Tom", dissi, "sto incominciando a preoccuparmi, per, per mia sorella". 

Lo sentii sbuffare. "Sta tranquillo. La ritroviamo. Magari ha deciso soltanto di farsi un giretto, o è andata a casa a prendere qualche cosa... È grande e sa badare a se stessa..."

A sentirlo parlare, mi dissi che aveva ragione. Era sensato il suo ragionamento, per quanto sentissi il bisogno di vedere mia sorella il più presto possibile. "Senti Tom...", ripresi. "E se non la dovessimo trovare?"

 In quel momento varcammo la soglia. Tom mosse la torcia. Era una vecchia camera da letto, una delle poche che non aveva il tetto sfondato e presentava diversi mobili intatti: contro la parete c'era un grosso letto matrimoniale dalle lenzuola ordinate, ma piene di polvere; a destra un armadio di legno scuro, massiccio. "Puntala lì", dissi. Le ombre si mossero in cerchio. Nell'angolo a sinistra c'era un mucchio stracci scuri. "Che schifo", mormorò il mio amico. "Meglio non toccarla quella roba, non credi Eli?" feci. Non ottenni risposta. "Elisa?"

Mi voltai. Dov'era? "ELISA!" chiamai.

Niente. Eppure ero sicuro di averla avuta alle spalle fino a pochi istanti prima.

"Cosa fai?", chiese Tommaso che era entrato e s'aggirava guardingo tra il letto e l'armadio.

"Cerco Elisa", risposi, "È sparita".

Tom borbottò qualcosa che non compresi. Mi stavo guardando alle spalle nella speranza che Elisa fosse solo rimasta indietro.

 

Tom emise un tonfo.

Mi voltai. La sua torcia cadde, puntando il raggio verso l'alto. Vidi le ante dell'armadio sbattere. Tom era sparito.

CONTINUA

 

 

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Ero rimasto solo. "Ehilà!", dissi. "Tooom! È uno scherzo, per caso?"

 

Tutto era immobile. Sentii il mio cuore accelerare, un battito alla volta.

 

Un passo dopo l'altro mi avvicinai alla torcia caduta per terra, accanto all'armadio.

Il pavimento scricchiolò.

Rumore di passi. Dietro di me. Veloci. Veloci.

Mi chinai e afferai la torcia, puntandola verso l'ingresso della stanza. La mano libera andò alla pokéball, sulla cintura. Che fosse Elisa?

Di nuovo silenzio.

Le ombre tremavano con la mia mano. Feci un passo: dovevo tornare indietro. Il mio stesso respiro mi sembrò un gran frastuono.

Le ante dell'armadio si spalancarono. Incespicai, nel tentativo di allontanarmi. Dietro di me, sentii il letto che m'impedì di arretrare ulteriormente. Nell'armadio c'era una sagoma, raggomitolata su sé stessa. "Tom", sussurrai. "Tom!", ripetei. Lo illuminai meglio. "Tom!", lo presi per una spalla e lo scossi. La mia mano grattò contro la parete. Lui non c'era. Era solo una sagoma. "Tom?"

Una sagoma che s'aggrappò ai bordi dell'armadio e si tirò su. Mi fissò con i suoi occhi rossi, grandi che parevano due tizzoni ardenti, maligni e dispettosi. La torcia mi cadde di mano e si spense. Gridai. Gridai con tutto il fiato che avevo in gola.

Tutto era sparito. L'armadio, il letto polveroso, la torcia, la stanza, io. Rimanevano solo gli occhi che mi fissavano dall'altro lato della stanza. "Chi sei?", dissi. 

Gli occhi fluttuarono nel buio. Mi vennero vicini. Gli occhi si strizzarono. Si spensero. Mi svegliai.

 

"Ehi!", era Tom, lo riconobbi dalla voce. Mi stava scuotendo per la spalla. Aprii gli occhi e li richiusi subito, accecato dalla torcia di Elisa. "Come va, campione?", chiese Fil, spostando il raggio della torcia. Mugugnai una lamentela mentre, facendo forza sui gomiti mi tirai a sedere. Erano tutti lì: Tom, Elisa, Agosto, Fil e mia sorella. "Dove... dove eravate finiti?", chiesi con tono di rimprovero. Si scambiarono un'occhiata preoccupata. "Eravamo tutti con te".

"Come?", dissi. Non ci potevo credere. "Ma...", indicai il soffitto. "Su di sopra... l'armadio".

Ancora quell'occhiata preoccupata. Li guardai uno ad uno. "State dicendo che ho sognato tutto?"

Loro annuirono.

"E che siamo rimasti qui tutto il tempo?" Ci trovavamo nella stanza degli allenamenti. "Anna non è sparita, Tom nemmeno, non siamo andati in soffitta...?"

Loro annuirono ancora.

"In soffitta non si può mai andare", disse Fil. "In soffitta ci sono pokémon pericolosi".

Deglutii. Non poteva essere. Non doveva essere. Mi alzai in piedi.  Mi sentivo stordito, mi girava la testa.

Mi appoggiai al davanzale che dava sul giardino incolto. Si scorgevano le luci del paese, i primi lampioni. Anche la finestra di casa mia. Con un sospiro, mi voltai. Stavano ancora fissando me.

"Cosa fate?", chiesi. "Non dovete preoccuparvi... sto bene adesso...", passai accanto a Tom.

Sorrisi.

"Forza Tom!", dissi, tirandogli una pacca sulla spalla. Tom cadde in avanti, inerte.

"Tom!", gridai allarmato. Stava succedendo qualcosa. Mi chinai accanto a lui. "Fate qualcosa forza! Non statevene lì im-im-imbabolati", ordinai rivolto agli altri. Afferrai il suo braccio destro e lo scossi. Doveva reagire in qualche modo. "Tooom!", implorai strattonandolo. Il braccio si staccò e mi rimase in mano.

Qualcosa non andava. Non quello che credevo io.

 

CONTINUA

 

 

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Gridai inorridito, annaspando via dalla carcassa sanguinolenta del mio amico. Ne indicai agli altri il suo corpo, cercai di spiccicar parole che mi morirono in gola.

Gli altri mi guardavano immobili, affranti e sconvolti più di quanto non lo fossi io. 

Mi dovevano aiutare. Dovevano fare qualcosa. Erano i miei amici e "Anna!", la chiamai, guardandola. Lei era mia sorella. Era la mia sorellona che mi aiutava sempre e mi faceva tornare il sorriso, anche nei momenti più bui. 

In quel momento, il suo sorriso era una smorfia piegata verso il basso. Non guardava me. Non guardava Tom. Guardava oltre, da qualche parte che non potevo vedere.

Una furia improvvisa mi assalì. "Anna, sveglia! Non capisci cosa sta succedendo?" esclamai, scattando in piedi. Lei non rispose. Io ringhiai. Mi sentivo male dentro. Tom non stava bene  e lei non sapeva altro che starsene zitta?

Le tirai uno schiaffo sulla guancia.

Mi guardai la mano. Non avrei voluto farlo.

Lei d'improvviso si scosse. Mi guardò negli occhi.

"È tutto un sogno Ricki", sussurrò, afferrandomi un braccio. "È tutto un sogno".

"No!", esclamai dimenandomi. Mi ero appena svegliato! Anche torchic era sicuramente pieno di forze e... "Vai Rosso!" gridai, scagliando la mia pokéball.

La mia mano vuota artigliò l'aria. Mi guardai in cintura.

"Dov'è la mia pokéball?" dissi ad alta voce.

Mi sentii afferrato per la spalla. Per un braccio. Sulla testa.  Sulla mano. Sull'altra spalla.

"C-c-cosa fate?", chiesi, guardando i miei amici che s'avvinghiavano a me. C'era anche Tom senza un braccio, si era rialzato. Cercai di sciogliermi dalla presa, senza successo. "COSA FATE?", gridai. Tirai un calcio a Tom che ricadde all'indietro, spintonai Elisa, non riuscii ad oppormi ad Agosto.

 "Anna!", la chiamai disperato. Lei era l'unica rimasta in disparte.

Mi guardò ancora una volta. Batté le palpebre. "È tutto un sogno".

Era davvero tutto un sogno?

Lei annuì.

Sì.

 

Aprii gli occhi di scatto. I miei polmoni si incepparono e incominciai a tossire a  raffica. Cercai un'appiglio per sedermi. Trovai una coperta che mi scivolò addosso, saturando ancor più l'aria di polvere. Stordito, senza il senso dell'orientamento, gattonai contro qualcosa di duro. Una parete ruvida. I miei occhi si abituarono al buio. Intravidi sagome senza riuscire a identificarle.

Avevo bisogno di luce. Presi la pokéball con torchic. Da qualche parte, in tasca, dovevo ancora avere la medicina per dargli forze. Mi resi conto solo qualche secondo più tardi di non aver più né la pokéball, né la medicina. Preso da un panico improvviso mi alzai in piedi. Le mie gambe reggevano. Passo dopo passo, mi spostai contro la parete. Urtai contro qualcosa per terra.

Era la torcia.

Mi trovavo nella stanza dell'armadio. In un'angolo scoprii Tom, addormentato. Con sollievo constatai che era ancora tutto intero.

"Ehi!", disse qualcuno alle mie spalle. Era Elisa.

"Dov'eri finita?", chiesi squadrandola da capo ai piedi.

Lei mi puntò la torcia in faccia. "Ero andata a prendere un'altra di queste, solo che", sembrava preoccupata.

Io la interruppi: "C'è Tom lì. È successo qualcosa, ci siamo addormentati entrambi".

Lei fece luce nel punto in  cui le avevo indicato. Sbuffò, e scosse la testa. "Non ci posso credere".

Puntai anche la mia torcia. Le ombre si sovrapposero. "Tom, sveglia!", gridò lei.

Nulla.

Elisa sbuffò ancora. Sembrava intenzionata a prenderlo a sberle se fosse stato necessario. Si mosse.

"Aspetta", la bloccai. Noi eravamo immobili. I fasci di luce pure.

 

Un'ombra scattò. L'ombra di Tom. S'ingrandì, si stirò. Sembrava un'uovo con le braccia e le orecchie a punta. Esitò, poi si mosse fulminea, corse lungo la parete e nelle tenebre, scomparve.

 

CONTINUA

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Parte quattro e non mi fermo! I vostri pareri sono sempre ben accetti, anzi, sono utilissimi di qualsiasi tipo siano (o quasi, mh?)

Quindi, se vi va, se vi è piaciuto, vi sta piacendo o non vi piace affatto, lasciate un commento qui:

Spoiler

 

 

 

 

"Hai visto?" chiesi in sussurro alla mia amica. 

"Sì".

Le mollai il braccio che le avevo afferrato per impedirle di muoversi. A passi molto lenti mi avvicinai al ragazzo ancora inerte, tenendo sempre un occhio puntato sull'armadio, che rimase miracolasamente immobile.

"Tom!", chiamai a bassa voce, scuotendolo leggermente. Questa volta era davvero lui. Respirava affannosamente.

Aprì gli occhi di scatto e si agitò, rotolando su sé stesso. "Calma", dissi. "Non è successo niente".

"Stammi indietro", tossì lui, "va via!" scalciò. 

"Ricki", mi chiamò Elisa. "dovresti sapere che".

Tom m'aggredì spintonandomi contro il letto. "Sta lontano da me!", ringhiò.

"Preferirei che prima mi aiutassi a calmarlo!" feci, spostandomi per evitare un altro spintone.

"Vai Bulbasaur!" dalla pokéball che atterrò accanto a me spuntò un bulbasaur assonnato che ci fissò curioso. Guardò la propria padrona.

"Addormenta quello più grasso con sonnifero!", bulbasaur si voltò a guardarla. "Tom, intendo."

"Bulba", confermò il pokémon. Una nuvola di spore si sprigionò dal bulbo sulla sua schiena che fluttuò fino a Tom. Tom starnutì. S'addormentò sulla mia spalla.

"Bel colpo!", gridai, scivolando fuori dalla sua presa. Almeno sarei riuscito a guardami attorno. Bulbasaur sbadigliò. Il pokèmon venne avvolto dal raggio bianco e riportato nella sfera. 

"Dobbiamo trovare gli altri e fare il punto della situazione", dissi.

Elisa sbuffò. Non so perché dovesse sempre sbuffare. "Qualcosa non va?" chiesi mentre lei mi dava la mano per rialzarmi.

"Sto cercando di dirti una cosa, carissimo Riccardo", rispose. Appese la pokéball in cintura, vicino all'altra.

"Ne manca una", notai. "Dov'è sandshrew?"

"È sparito, esattamente come Rosso, a quanto vedo".

La guardai. Mi guardai in cintura. Era vero, ricordai. La sfera con Rosso era sparita e anche la medicina. "Forse è solo caduta quando sono inciampato".  Puntai la torcia sotto il letto, sollevando il lembo di quelle coperte puzzolenti e polverose. Vuoto.

"Qua non c'è nulla", riferii. Lei non rispose. "Mi hai sentito?"

"Dove sei?", ero stufo di giocare a nascondino con le cose  e le persone, contando che si stava facendo già un certo orario e dovevamo tornare a casa. Mossi il raggio bianco della torcia. Le ombre si mossero con me mentre mi avvicinai all'armadio. Elisa era in piedi sul bordo e picchiava contro il fondo.

"Cosa stai facendo?" chiesi. 

Lei mi guardò. S'appoggiò un dito sulle labbra.

Silenzio. C'era silenzio e lei voleva che facessi silenzio. Scossi le spalle. Per me andava bene. Certo sarei voluto uscire di lì, organizzarmi con gli altri, trovare le pokéball e tornare a casa, sempre che mia sorella si fosse fatta viva.

'toc, toc, toc', picchiettò contro la parete di legno. Suonava a vuoto. "Luce", mi disse.

Alzai il raggio della torcia. "Vedi?", mi disse lei. "Qua." Fece scorrere il dito orizzontalmente. "C'è una porticina nascosta, se provo a spingere..."

Udii uno scatto metallico molto, molto leggero. La porticina ruotò silenziosa su cardini che non potevamo vedere e si aprì.

Era un cunicolo talmente stretto che dovemmo passare a gattoni. Elisa era andata avanti già di parecchio quando riuscii a passare. Mi sembrava di fare un gran fracasso strusciando, respirando, deglutendo. Mi sembrava troppo rumoroso pure il battito del mio cuore.

Il cunicolo terminò in una stanzetta vuota, collegata ad un'altra da una porticina. Elisa mi stava aspettando. Mi alzai, mi tolsi le ragnatele e la polvere di dosso.

La mia amica si avvicinò al mio orecchio. "È lì dietro", disse. Non era stato proprio un sussurro. Qualcosa di molto più impercettibile.

Si sporgemmo a guardare. Una candela al centro della stanza, proiettava lunghe, tremolanti ombre, tra cui, una tondeggiante, più scura dagli occhi rossi spiccava su tutte le altre. Infatti, non seguiva i guizzi della candela, ma aveva vita propria.

"È un gengar!" esclamai. Lo osservammo. Si spostava con una camminata goffa lungo una grande libreria dove aveva ordinato tutta una serie di pokéball.

"Ehi Ricki", disse Elisa. "Quella è la sfera di Rosso", indicò verso la scaffalatura. Era vero. Tra le altre pokéball della quale il gengar si prendeva tanta cura c'era anche la mia. La riconobbi perché era ammaccata. "E la tua, è lì accanto", risposi. Ce ne era solo una di quell'orrendo colore. 

Ci doveva essere per forza un modo per recuperare le nostre sfere.

"Vai Bulbasaur!"

Non intedevo quel modo, comunque.

"Magnemite scelgo te!"

Ecco appunto. Non intendevo urla e spacca.

Mentre la mia amica si rizzava in piedi fuori dal suo nascondiglio, vidi gengar accorgersi di noi e gonfiarsi per lo stupore, acquisendo volume.

Strillò, acuto e rabbioso. Nei suoi occhi vidi la follia. La stessa che mi aveva contagiato quando ero caduto nel sonno e nel sogno.

"Magnemite, usa tuonoshock! Bulbasaur, frustata!"

Le liane che sbucarono dal dorso di bulbasaur guizzarono veloci contro il pokémon spettro; la scarica elettrica di magnemite lo circondò.

L'ombra saettò di lato. Era velocissimo.

Io scattai.

La mia pokéball, sandshrew, c'era anche quella con Ossobuco, molte le trovai vuote.

Le scariche elettriche di magnemite sfrigolarono nell'aria.

Le avevo prese tutte, pure alcune che non avevo mai visto.

Mi voltai. Mi ritrovai con gli occhi rossi del pokémon sfrigolanti di rabbia puntati nei miei.

"Ciao", forzai un sorriso.

Indietreggiai.

"Rick togliti da lì", gridò Eli. Una saetta bucò la pancia dello spettro, che sembrò non farci caso, anzi cercò di afferrarmi. Evitai il suo colpo, inciampai, caddi a terra, le pokéball rotolarono via.

Alzai lo sguardo. Ero circondato. Pokèmon spettro ovunque. Gastly, haunter, un altro gengar.

Erano usciti dalle pokéball che avevo fatto cadere. C'era anche il mio Rosso. Mi spostai spaventato quando il volto di un gastly mi passò vicino. Ma non era minaccioso. Anzi, sembrava contento. Tutti riuniti, gli spettri, non badarono più a noi. Raccolsi le sfere rimaste, feci rientrare torchic. Raggiunsi Elisa.

"Piccola riunione di famiglia", disse lei.

"Sembrerebbe", risposi, tirandola dietro l'angolo. Non mi andava di rimanere nei paraggi di quei pokémon, sarebbero potuti tornare nuovamente aggressivi.

 

 

 

Scoprii che anche gli altri avevano una storia da raccontarci. Anna era andata nell'Ala Ovest attirata da un verso che non aveva mai sentito, sebrava un grido, ci disse: era quello di un pokémon tropicale arrivato lì chissà come. Lo aveva catturato e non faceva altro che vantarsene. Io invece, camminavo indietro, riflettendo su quello che era successo. Avevo avuto paura, Tom era un po' scosso ma non sembrava ricordare nulla, Elisa era perfettamente a proprio agio. Infatti fu lei a raccontare agli altri cosa ci era successo.

"Gengar, mh?" fece mia sorella. "Beh, prossima volta provate a catturarlo".

Io non risposi. Non mi andava. Avevo bisogno di dormire.

Eravamo di nuovo davanti al cancello del negozio di biciclette. Ci stavamo dando la buonanotte, ci stavamo salutando e accordandoci per la prossima serata. Io restituii le pokéball ai rispettivi proprietari. Misi Rosso al suo posto, passai sandshrew a Elisa, restituii Ossobuco a Tom. Ne rimaneva una.

"Ehi!", da dove saltava fuori? "Ne rimane una..."

La guardai bene. Sorrisi.

"Sai sorellona...", dissi, raggiungendola sulla panchina. "forse non sei l'unica ad avere un pokémon speciale, adesso". Mi sedetti con un sorriso e tenendo la sfera in bella vista, tra le dita: "Ti presento Daniel, il mio nuovo pokémon!"

 

CONTINUA

 

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Spero davvero di riuscire a non far calare il ritmo della fiction.

Spero stia piacendo a chi la legge.

Spero che voi, semplici viandanti o affezionati lettori, possiate cortesemente lasciare un commento con la vostra preziosa opinione.

Grazie, buona lettura.

 

 

Spoiler

 

 

 

 

La cittadina in cui viviamo, è spesso popolata di un sacco di turisti o allenatori pokémon giramondo. Infatti si trova tra un lago e una montagna: il primo attrae frotte di pescatori e allenatori pokémon giramondo, la seconda è meta di escursionisti, semplici curiosi, esploratori, ricercatori, biologi, studiosi e soprattutto, allenatori pokémon giramondo.

La montagna è talmente alta, che verso un certo orario del pomeriggio copre quasi completamente il sole, lasciando il paesino nella più totale penombra fino al mattino successivo.

Erano passati appena due giorni dalle vicende della casa del signor Carlini, giorni in cui mi recai al laboratorio del prof. per mostrargli il mio nuovo pokémon, litigai (con affetto) con mia sorella, allenai torchic, allenai il pokémon tropicale, ma sopratutto cercai di capire che razza di pokémon fosse. Pure il professore era rimasto stupito, senza capacitarsi del fatto che quella specie non comparisse da nessuna parte nel pokédex, né nei suoi aggiornatissimi archivi.

Ero comodamente spaparanzato sul divano della veranda, succo di frutta in una mano, penna nell'altra, fogli appoggiati sulle gambe. Osservavo Rosso e Daniel scorrazzare nel giardino, sull'erba appena tagliata e prendevo appunti. La loro velocità, i movimenti che facevano quando si lanciavano in una lotta sfrenata, quando si rincorrevano. Erano gli unici a non soffrire il caldo, lì.

Dopo un primo momento di reciproca diffidenza, i due si erano subito intesi; non so se i pokémon abbiano una loro lingua universale, ma ogni volta che uno dei due decideva qualcosa, l'altro sembrava essere già d'accordo.

Feci scorrere gli appunti. Era il momento dell'allenamento. Nel momento in cui mi alzai, qualcuno suonò al campanello. Ero solo in casa, quindi trotterellai fino alla porta d'ingresso. Aprii.

"Buongiorno", esclamai. Di fronte a me, l'uomo con la camicia da fattorino annuì. "A lei", mi scaricò tra le braccia un grosso e pesante cartone che mi affrettai ad appoggiare dietro la porta.

Lo guardai perplesso mentre m'allungava la penna e il documento da firmare. 

"Embé?", fece. "Oggi funziona così. Ci sono io, postino d'emergenza quando tutto il resto non va. Mi serve la tua firma, ragazzo".

"Veramente...", mugugnai. Non sapevo se potevo farlo. Quando capitava una cosa del genere firmavano i miei genitori.

Vide la mia esitazione e sospirò. "Capisco, buona giornata, arrivederci". Lo vidi tirare una firma sul documento e risalire sul camioncino sgangherato.

Il pacco era per mio padre, famoso ricercatore al laboratorio di Bolognipoli.

Lo lasciai sul tavolo e corsi nuovamente in giardino. "Rosso", lo rimproverai. "Scendi dal tavolo, immediatamente! Quella roba non ti fa bene", dissi, sottraendogli un pacchetto di biscotti nella quale aveva infilato il becco e rimestava curioso. Non andava bene, assolutamente no. Se fossero ingrassati proprio prima della grande festa d'estate, in cui si sarebbe tenuta la gara di lotte, la prima che  i miei mi avessero mai concesso di fare, sarebbe stato un grosso guaio.

Il campanello squillò.

E adesso chi era? Forse Fil? Mi aveva promesso di passare. O forse Tom che aveva uno zio che abitava in un isola e... nel momento in cui mi voltai per andare ad aprire la porta notai una scia di biscotti sotto al tavolo. Torchic e Daniel erano spariti. Li trovai intenti a riempirsi la pancia in un angolo del giardino. Quando si accorsero che li avevo stanati ebbero reazioni diverse. Torchic rimase immobile, il muso sporco di briciole e due occhioni sgranati da tenerone, l'altro partì velocissimo, scappando in casa da qualche parte.

Scossi la testa.

Il campanello squillò di nuovo.

"Arrivo! Arrivo, datemi il tempo, insomma!", sbottai.

"Ciao", disse Tom scoprendo un sorriso a trentadue denti.

"Vieni", dissi. "Come va? Notizie sul mio nuovo pokémon?"

"Certo che sì", rispose lui.

Ci sedemmo al tavolo in giardino. "Vedi", incominciò lui, stendendo un grosso foglio pieno di immagini. "Il tuo pokémon viene da questo posto", le immagini ritraevano bagnanti abbronzati in costume da bagno, pokémon esotici che non avevo mai visto, allenatori impegnate in sfide in caratteristici villaggi... "E dov'è questo posto?", chiesi.

"Alola! È un arcipelipper. Intendevo arcipelago! In mezzo al mar, o forse è l'oceano...", inclinò la testa. Tom non era mai stato un granché in geografia.

"E hai capito di che specie si tratta, quindi?"

Lui annuì. "Me l'ha detto mio zio. Dice che sono un po' dappertutto queste bestioline, laggiù. Wimpod, tipo acqua-batrace!", esclamò.

"Batrace?"

Lui rise forte. "Intendevo coleottero".

 

CONTINUA

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Ho trovato la mia regola. Se è festa non pubblico. Quindi...

Buona lettura.

 

 

La grande sera arrivò. Il palchetto delle lotte al centro del campo, che avevo aiutato io stesso a sistemare, era circondato di gente. Si trattava di un breve torneo, nulla di più, ma il mio entusiasmo era alle stelle.

 

Avevo passato i precedenti giorni ad allenarmi con i miei pokémon, al fiume e nella casa del signor Carlini. Non avevamo più sentito nulla provenire dalla soffitta e la cosa ci aveva rincuorati non poco, dopo una sera passata a tendere le orecchie per ogni scricchiolio e un'altra mancata per inquietudine e disagio.

Daniel, il mio wimpod, cresceva, lo vedevo migliorare ogni giorno. Rosso pure.

Mi feci strada fino alla fila dei partecipanti che, proprio in quel momento, il presentatore, un uomo con lunghi baffi scuri, stava chiamando e uno a uno sfilavano sul palchetto.

Camminai anch'io insieme agli altri; petto in fuori, pancia in dentro, mi ripetei.

Petto in fuori, pancia in dentro, sorriso. Ero sicuro di apparire bellissimo, con il cappellino rosso e nuovo e i jeans di papà. Era davvero una grande emozione.

Scrosciarono gli applausi. Sentii alcuni commenti, tra il pubblico.

Il mio era il primo incontro.

"Vai Rosso!", il pokèmon di fuoco saettò fuori dalla sfera.

L'avversario era un grosso pikachu sovrappeso, orecchie flosce, guance piegate in giù. Con quella stazza sarebbe stato sicuramente facile da battere, per una coppia allenata come me e il mio pokémon.

"Rosso, graffio! Non lasciargli tempo!" ordinai convinto.

Il pikachu inclinò la testa di lato senza reagire. Il colpo di torchic sembrò lasciarlo del tutto illeso.

"Pikachu, usa forza equina!" gridò l'allenatore alzando un dito e puntandolo verso di noi; Torchic, dopo l'esecuzione della mossa stava tornando in posizione di difesa, io stavo per mettermi a ridere.

"Pikachu non può imparare forza equina!" gridai con tono di scherno.

Il mio avversario, un ragazzo del tutto simile al pikachu, girovita ampio, con le labbra grosse, le guance flaccide e le mani tozze, sorrise.

Ci fu un istante di silenzio e assoluta immobilità. Sentii un mormorio alzarsi dal pubblico.

Poi il pikachu saltò. Fu un salto nell'aria lungo, mi sembrò di guardarlo al rallentatore.

Rimbalzò una volta, un'altra.

"Rosso, evita il colpo di lato e contrattacca!" dissi. Davvero un pokémon brutto e schifoso, grosso come un miltank e lento come uno snorlax avrebbe potuto competere con noi?

Torchic evitò il colpo, un'altro e un'altro ancora. Il pikachu si rialzò in piedi, sbuffò indispettito.

"Vai torchic, attacca!", era il momento.

Pikachu saltò ancora. Era incredibile come quel mostro riuscisse a essere così autonomo.

Torchic scartò di lato e mentre l'avversario saltava, lo colpì sulle zampe. Inutile dire che fu una pessima mossa. Il pubblico rumoreggiò. Sentii il borbottio di una vecchina vicino a me, era terribilmente annoiata. Vidi uno dei miei amici abbassare lo sguardo sul telefono. D'improvviso mi sentii in colpa. Mi ero immaginato tutto perfetto. Mi ero immaginato di distruggere tutti gli avversari, mi ero immaginato che, con il duro lavoro avrei vinto e nulla avrebbe potuto fermarmi.

"NO!" la massa di pikachu avvolse il mio pokémon. Rosso era al tappeto. Non era finita. Lo ritirai nella sfera, presi l'altra "Vai Daniel!"

"Fermo ragazzo!"

Mi bloccai nel gesto.

Sentii raggelare il sangue nelle vene. Il grassone sogghignò.

Era stato il giudice di gara a parlare. "Riccardo Verdefoglia, pokémon Torchic, soprannome rosso, giusto?"

Impacciatamente annuii.

"Molto bene. Il duello termina qui", dichiarò.

"Come? Scusi, ci deve essere un errore!" esclamai. Non si degnò nemmeno di guardarmi. Stava già agitando il braccio del vincitore e proclamandone la vittoria, congratulandosi del pikachu.

"Ci deve essere un errore!" dissi di nuovo, inseguendolo tra la folla. "Signor giudice!"

Cercai di afferrarlo per la manica, strattonarlo, farmi vedere. Lui continuò a camminare, se ne andò.

Sentii Tom arrivare alle mie spalle. C'era Elisa con lui.

"Senti Ricki", disse. Non lo volevo ascoltare. Non volevo più sentire nulla. Non era giusto. Io avevo allenato i miei pokémon fino in fondo. Mi ero impegnato, avevo fatto tutto quello che ognuno fa per diventare forte.

E avevo perso.

Tirai su con il naso.

"Riccardo, spostiamoci da qui", Elisa mi prese per un braccio. Ci guardammo. Ero sicuramente tutto rosso in faccia. Forse stavo anche piangendo. Non me ne fregava nulla. "Mollami!", ringhiai.

Mi voltai. Mi sentivo male. Avevo bisogno di rompere qualcosa. Avevo bisogno di rompere qualcosa. AVEVO BISOGNO DI...

Mi fermai. Avevo sentito Tommaso dire qualcosa. Sembrava preoccupato.

Voltandomi ancora vidi entrambi molto a disagio.

"Cosa succede?" sbottai.

"È successo che..."

"Tom no!" intervenne Elisa, "Non adesso!"

La guardai. "Cosa è successo? Dove sono gli altri? Dove sono i miei genitori? Dov'è mia sorella?"

Tom deglutì.

CONTINUA

 

 

Grazie per essere arrivati fin qui!

Perfavore, lasciate un commento, una vostra impressione... mi sarebbe molto utile, oltre a farmi davvero piacere.

Dove?

Nell'apposita sezione!

Spoiler

 

 

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