Vai al commento



[Traduzione] Dangerous Secrets - The Story of Iduna and Agnarr [CONCLUSO]


Snow.Queen

Post raccomandati

Inspired by

 

Disney

 

Frozen II

 

 

Dangerous Secrets

The story of Iduna and Agnarr

 

 

 

 

La sedicenne Iduna nasconde un oscuro segreto. In superficie, è una ragazza di villaggio arendelliana, aspirante inventore, migliore amica del principe Agnarr, ma è anche segretamente Northuldra. Da quando la foresta è caduta, gli arendelliani hanno disprezzato e diffidato di una possibile vendetta dei Northuldra. Non importava che i Northuldrainsieme ad alcuni di quelli di Arendelle—siano rimasti intrappolati nella Foresta Incantata dietro un impenetrabile muro di nebbia dal giorno della battaglia. Iduna non sa perché la nebbia si rifiuta di scomparire, o perché sia scesa, tanto per cominciare. L'unica cosa chiara è che deve tenere nascosta la sua identità a tutti, anche ad Agnarr. Ne va della sua vita.

 

          Fortunatamente per lei, Agnarr non sa che Iduna è la ragazza Northuldra che ha visto volare su una raffica di vento tanti anni prima, il giorno in cui la cerimonia è diventata un disastro. Il giorno in cui Agnarr ha perso suo padre, il re. Il giorno in cui Agnarr stesso è quasi morto.

Ciò che Agnarr sa è che Iduna è un vero alleato di fronte alle sue responsabilità reali e alle aspettative di un consiglio autoritario e di un reggente ben disposto che regnerà al posto di Agnarr fino al compimento del suo ventunesimo anno di età e all'assunzione del trono di Arendelle.

 

          Man mano che Iduna e Agnarr si avvicinano sempre più, tuttavia, l'amicizia non è più sufficiente. Se solo innamorarsi l'uno dell'altro non significasse rischiare il loro futuro: Iduna come cittadina in incognito di Arendelle e Agnarr come imminente re.

 

Ma per la possibilità del vero amore, vale la pena correre il rischio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Solo Ahtohallan lo sa….

 

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Prologo

 

Il Mare Oscuro

 

 

 

 

LA TEMPESTA STA PEGGIORANDO.

          Un fulmine si abbatté su un cielo nero e arrabbiato, seguito presto dallo squarcio di un tuono. Le onde si infrangono contro lo scafo della nave mentre afferro il parapetto di legno con le nocche bianche. Feroci raffiche di vento mi sollevano i capelli liberi dalla treccia, e ciocche marroni umide mi frustano il viso. Non oso liberarmi per toglierli.

          Invece, mantenevo il mio sguardo sul mare. In cerca di lei.

          In qualche modo, ho passato tutta la mia vita in cerca di lei. E stanotte, il mio viaggio potrebbe finalmente giungere ad una fine. Incompleto. Incompiuto.

          Ahtohallan. Ti prego! Ho bisogno di te!

          Forse non è nemmeno mai esistita. Forse era semplicemente un mito. Una stupida canzone per far dormire i bambini. Per farli sentire sicuri e protetti in un mondo che è tutto tranne che questo. Forse sono stata una stupida a pensare che potessimo semplicemente patire e cercarla. Comprendere il segreto della madre.

          Ne so qualcosa sui segreti di una madre.

          Un’altra onda si infranse, scontrandosi contro lo scafo della nave, mandando uno spruzzo di acqua di mare ghiacciata che mi colpiva in faccia. Inciampai all’indietro, momentaneamente accecata dal sale che mi pungeva gli occhi. Un paio di mani forti mi stringono sui fianchi, un torace solido sulla schiena mi tiene in posizione eretta.

          Mi girai, già sapendo chi troverò a testa alta dietro di me. L’uomo che è stato con me per quasi tutta la mia vita. L’uomo che mi ha fatto ridere—e piangere— più di chiunque altro al mondo. Mio marito. Il padre delle mie figlie. Il mio nemico. Il mio amico.

          Il mio amore.

          Agnarr, re di Arendelle.

          “Andiamo, Iduna,” disse, girandomi per osservarlo in faccia. Allungò le mani, prendendo le mie mani nelle sue. Erano così calde e forti come le mie erano fredde e tremanti.

          Alzai lo sguardo, cogliendo la linea spigolosa del suo mento. La fierezza nei suoi occhi color verde-foglia. Se era spaventato, non lo mostrava. “Dobbiamo andare sottocoperta,” disse, urlando per essere sentito oltre il vento furioso. “Ordini del Capitano. Non è sicuro qua sopra. Un'onda anomala potrebbe farti cadere in mare.”

          Sentii un singhiozzo salire per la gola. Volevo sfogarmi, contestare gli ordini. Sto bene. Posso prendermi cura di me stessa. Non sono una stupida ragazza spaventata dagli elementi.

          Ma quello che realmente volevo dire è, non posso andarmene. Non l’ho ancora trovata.

          Se vado di sotto, potrei non trovarla mai.

          E se non lo faccio…

          Elsa. Mia dolce Elsa… Mia cara Anna…

          Agnarr mi ha dato un’occhiataccia. Sospirai, sciogliendo le mie mani dalle sue, e iniziando a inciampare verso le scale che portano alla nostra cabina sottostante, su gambe non abituate al mare mosso. Ero quasi arrivata quando la nave improvvisamente vira con forza a sinistra e io perdo l'appoggio, aggrappandomi alla ringhiera per salvarmi. Potevo sentire alcuni membri dell’equipaggio che mi osservavano con preoccupazione, ma mi rialzai, tenendo la testa alta. Ero la regina, dopotutto. C’erano certe aspettative.

          Una volta di sotto, aprii la porta della nostra cabina ed entrai, lasciando che si chiudesse dietro di me. Il capitano ci aveva dato la sua cabina per il viaggio, che avevo insistito che non fosse necessario, ma sono stata scavalcata. È l'unica cabina adatta a una bella signora, protestò Perché era così che mi vedeva. Così era come tutti mi vedevano ora. Una bella signora. Una regina Arendelliana perfettamente in equilibrio.

          Ma adesso, alla fine, Agnarr conosce la verità.

          Mi rilasso sul letto, raggiungo i miei ferri da maglia e il mio progetto semi terminato. Un compito inopportuno date le circostanze, ma forse l'unica cosa che potrebbe stabilizzare le mie mani—e il mio cuore che batte forte. Potevo sentire Agnarr che apriva la porta, la sua forte, solida presenza riempiva la stanza. Ma non alzai lo sguardo. Invece, iniziai a lavorare a maglia mentre la nave dondola sotto i miei piedi. È buio qui sotto, troppo buio per vedere davvero il delicato filato, ma le mie mani sono sicure e vere, i movimenti ripetitivi per me sono naturali e familiari come l'aria. Yelana sarebbe stata orgogliosa.

Yelana. È ancora là fuori, nella Foresta Incantata, ancora bloccata nella nebbia?

          Solo Ahtohallan lo sa.

          Improvvisamente, volevo lanciare i miei ferri da maglia per la stanza. O collassare sul letto in lacrime. Ma non feci nulla, mantenendo la mia attenzione sullo scialle non terminato. Costringendomi a far sì che ogni punto mi culli in qualcosa di simile al comfort.

          Agnarr ha tirato fuori uno sgabello di legno dalla scrivania del capitano, e si è seduto di fronte a me. Prese un angolo dello scialle incompleto, facendo scorrere le sue grosse dita attraverso i piccoli punti. Ho avuto il coraggio di dargli una sbirciatina, realizzando che i suoi occhi sono diventati dolci e lontani.

          “È lo stesso motivo,” disse lentamente. E sapevo cosa voleva dire senza chiederlo. Perché è ovvio che lo era. Non me n’ero nemmeno resa conto quando ho cominciato, ma ovviamente lo era.

          Lo stesso motivo dello scialle che mia madre realizzò per me quando sono nata.

          Lo scialle che aveva salvato la sua vita.

          “È un vecchio motivo Northuldra,” spiegai, sorpresa di come le parole uscivano facilmente dalla mia bocca ora che la verità era stata svelata. “Appartiene alla mia famiglia.” Presi la sua mano e la misi su ogni simbolo a giro. “Terra, fuoco, acqua, vento.” Mi fermai sul simbolo del vento, ripensando a Zefiro. “È stato lo Spirito del Vento ad aiutarmi a salvarti la vita quel giorno nella foresta.”

          Fece un fischietto basso. “Uno spirito del vento! Se solo l’avessi saputo,” disse allungando il pollice per sfiorare delicatamente la mia guancia. Anche dopo tutti questi anni, il suo tocco suscitava ancora un desiderio profondo di dolore, ed era un imperativo, non un'opzione, di far cadere i miei aghi per restituire il gesto. Per far scorrere le dita contro la leggera barbetta della sua mandibola. “Avrebbe reso le mie storie alle ragazze molto più interessanti.”

          Sorrisi a questo fatto. Non potevo farci nulla. Riusciva sempre a trovare un modo per aiutarmi a trovare il sole in mezzo al più cupo dei giorni. Era strano, comunque, realizzare che lui ora sapesse ogni cosa. Dopo un’intera vita adombrata di segreti, dovrei sentirmi libera.

          Ma in verità, questo ancora mi spaventava un poco, e mi ritrovo a guardarlo quando non sa che lo sto osservando. Cerco di vedere, cerco di sapere se la verità ha cambiato i suoi sentimenti nei miei confronti. Ce l'ha con me per avergli tenuto nascoste così tante cose per così tanto tempo? O capiva veramente perché l’avevo fatto? Se saremmo sopravvissuti questa notte, come sarebbero cambiate le cose tra di noi? La verità ci unirà ancora di più? O ci separerà?

          Solo Ahtohallan lo sa…

          Allungo la mano e prendo le mani di Agnarr nelle mie, facendo incontrare i suoi profondi occhi verdi con i miei azzurri. Deglutisco il groppo in gola che minaccia di soffocarmi, e forzo un altro sorriso.

          “Non dimenticherò mai quel giorno,” iniziai sottovoce, non sicura che riuscisse a sentirmi oltre la furiosa tempesta che c’era fuori. “Quell’orribile, magnifico giorno.”

          “Raccontami,” sussurrò a sua volta, avvicinandosi. Sento il suo respiro sulle labbra. I nostri volti sono a pochi centimetri di distanza. “Raccontami ogni cosa.”

          Soffoco tutte le parole che minacciano di saltarmi fuori dalla gola in fretta e furia, gettandomi di nuovo sul letto, fissando il soffitto con le travi di legno. Dopo aver respirato con calma, ho detto, “Potrebbe volerci tutta la notte.”

          Lui si sdraia nel letto, accanto a me. Si allungò e strinse la sua mano nella mia. “Per te, ho l’eternità.”

          Deglutii, le lacrime mi scorrevano negli occhi. Volevo controbattere: non avevamo l’eternità. O nemmeno tutta la notte. Potremmo non avere nemmeno un’ora, a giudicare dal modo in cui le travi di legno della nave scricchiolavano e si rompevano. Ma allo stesso tempo non importava. Era il momento. È passato molto tempo. Merita di sapere tutto.

          Scacciai via le lacrime, rotolando su un fianco e puntellando la testa con il gomito. “Anche tu dovrai raccontare la tua parte,” dissi. “Questa storia non è solo la mia, lo sai.”

          Il suo braccio si avvolge intorno alla mia vita, la sua mano si assesta al fondo della mia schiena mentre mi stringe più vicino a lui. Era così caldo. Com’era possibile che fosse ancora così caldo? “Penso di potercela fare,” disse con un piccolo sorriso. “Ma tocca a te iniziare. Dopotutto, tutto è iniziato con te.”

          “Va bene,” dissi, appoggiando la testa sul suo petto, il suo battito costante contro il mio orecchio. Chiusi gli occhi, cercando di decidere da dove iniziare. Tante cose erano successe nel corso degli anni. Ma c’era quell’unico giorno. Un fatidico giorno che ha cambiato il corso delle nostre vite per sempre.

          Aprii gli occhi, “Tutto è iniziato con il vento,” dissi. “Il mio caro amico Zefiro.”

          Mentre parlavo le parole cominciano a scorrere attraverso di me come le acque proibite che scorrono all'esterno. E come le acque, finalmente mi farò sentire.

          Agnarr ascolterà.

          È sempre stato lui il cantastorie nella nostra famiglia. Ma non questa volta. Ora era il mio turno di raccontare la storia.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Uno

 

Iduna

Ventisei Anni prima

 

 

 

 

SMETTILA! MI STAI FACENDO IL SOLLETICO!”

          Ho gridato in segno di protesta mentre il vento mi avvolgeva, facendomi volteggiare.

          Zefiro, lo Spirito del Vento, sembrava particolarmente, beh, animato questa mattina, lanciandomi giocosamente verso il cielo, poi prendendomi in un morbido cuscino d’aria mentre scendevo verso terra. Il mio stomaco si è inabissato e si è rigirato con ogni movimento in alto e in basso mentre cercavo di lottare per tornare a terra. Ma non mi sono opposta troppo. Dopotutto, questa era la cosa più vicina che io, una ragazza umana, poteva fare per volare.

          E chi non avrebbe voluto volare?

          “Dove sei andata, Iduna?” la voce di Yelana attraversava la foresta. “Torna qui e finisci il tuo lavoro a maglia!”

          Uh-oh. Zefiro mi lasciò cadere senza tante cerimonie sul mio sedere, volando via velocemente per nascondersi dietro una quercia vicina. Lo Spirito del Vento sapeva bene che non si scherzava con Yelana quando chiamava. Ho brontolato e fatto roteare gli occhi mentre mi mettevo in piedi.

          “Codardo,” lo rimproverai.

          Zefiro ha trascinato su un piccolo mucchietto di foglie, creando un mostro di foglie eccessivamente esagerato a forma di Yelana, completo di dito accusatorio. Non sono riuscita a trattenere una piccola risata. “Sì, sì, lo so. Può essere spaventosa. Ma comunque! Tu sei lo Spirito del Vento!”

          Girai il mio sguardo in direzione del nostro campo, dove Yelana stava probabilmente seduta vicino al fuoco con il resto delle donne. Lavoro a maglia. Chi potrebbe stare seduto a lavorare a maglia in un giorno come questo? Il cielo era sveglio! La brillante luce del sole filtrava attraverso il tetto degli alberi soprastanti. Era lo sfondo perfetto per l'imminente celebrazione della giornata: il completamento del patto tra noi, i Northuldra, e gli Arendelliani, che vivevano in una città di pietra sulle rive del fiordo.

          Erano venuti da noi anni fa con un’offerta di pace e benevolenza, promettendo di costruire un’enorme diga per aiutare ad abbeverare le nostre renne e mantenere la nostra terra fertile e fresca. Non comprendevo del tutto l’intera faccenda, e non ero sicura che i nostri anziani fossero completamente convinti dell'idea all'inizio. Ma alla fine, giunsero ad un accordo e la diga fu costruita. Quel giorno avremmo festeggiato insieme per celebrare questa nuova alleanza tra la nostra gente e la loro.

          Era un giorno per ballare e cantare e celebrare la bellezza della foresta.

          Non per sedersi e lavorare a maglia.

          Comunque, io avevo solo dodici anni. Il che voleva dire che avevo letteralmente l’età per imparare le noiose cose degli adulti come lavorare a maglia. Per non citare che avevo già lo scialle perfetto per mantenermi al caldo. L’ho stretto al petto, facendo scorrete le mie dita sul complicato motivo raffigurante i quattro spiriti. Mia madre l’aveva fatta per me quando ero piccola, e la indosso da allora. Mi sono ricordato di lei ora, che coccolava la me bambina di cinque anni, mentre respiravo il suo profumo caldo e terroso. Ascoltandola cantare la sua dolce canzone riguardante un fiume di ricordi.

          I ricordi erano tutto quello che mi rimanevano di mia madre ora. E anche di mio padre.

          Ho scrollato via i ricordi, tornando a Zefiro, che era impegnato a mescolare un mucchio di foglie marroni in un piccolo vortice. Mi inchinai giocosamente allo spirito mentre mi allontanavo da Yelana e dal suo richiamo a tornare a lavorare a maglia.

          “Posso avere questo ballo, signore?”

          “Ma certamente, mia bella signora!” risposi nella mia miglior approssimazione della voce di uno spirito del vento. Zefiro non poteva parlare come facevano le persone normali. Ma a volte potevo giurare di aver sentito lo spirito cantare. Dolci, note acute così struggenti che mi sentivo come se potessi perdermi in esse.

          Zefiro mi tirò di nuovo su, con più forza questa volta, facendomi volteggiare nell’aria. Questa volta non mi preoccupai di lottare. “Più in alto!” Lo pregai invece. “Più in alto delle cime degli alberi! Voglio vedere il mondo intero!”

          “Tutto ciò che desideri, Principessa!” Ho fatto rispondere il vento che mi ha tirato sempre più in alto, fino a quando siamo saliti sopra gli alberi e nel cielo blu aperto.

          Non ero veramente una principessa, naturalmente. Non abbiamo nemmeno reali qui nella foresta. Invece, abbiamo un consiglio di anziani, che erano praticamente un gruppo di sagge ed anziane persone a cui piaceva sedersi in cerchio e dare consigli. Altre voci dovrebbero essere invitate alla conversazione, anche se non sempre sono d'accordo tra loro. Per una persona che regnava su tutti, gli anziani dicevano: non andava bene.

          Ma nei libri che gli Arendelliani avevano portato al nostro villaggio come doni durante la costruzione della diga, c’erano spesso principesse. E anche principi e re e regine, che erano bellissime da togliere il fiato, indossavano abiti e gioielli e vivevano in castelli imponenti come quello sul fiordo. Alcuni erano buoni ed aiutavano la loro gente a prosperare mentre mantenevano la pace. Altri erano malvagi e non apprezzavano tutto quello che gli veniva offerto. Bruciavano la terra per il loro guadagno egoistico, non curandosi di chi si faceva male nel processo.

          Se mai fossi diventata una principessa, sarei stata una di quelle buone di certo.

          “Whoa! Chi è? Ehi, vieni, piccoletto.”

          Quasi cadevo dall'abbraccio del vento mentre giravo vorticosamente, con gli occhi che si posavano su uno strano ragazzo lontano sotto di me, che arrancava lungo il sentiero delle renne. Non sembrava molto più grande di me, con folti capelli biondi e una strana giacca verde e una camicia rossa come le foglie autunnali sotto i suoi piedi. Mentre lo guardavo dall'alto, si inginocchiò a terra, allungandosi per cercare di accarezzare un coniglietto che annusava l'erba vicina. Il coniglio, naturalmente, non ne voleva sapere e se ne andò via in fretta. Il ragazzo si rimise in piedi proprio in tempo per trovarsi a pochi centimetri dalla quotidiana sfilata delle renne all'abbeveratoio e, con sguardo sorpreso, saltò all'indietro. Ho alzato gli occhi al cielo. Non aveva mai visto delle renne prima d’ora?

          Uno dei cuccioli di renna era in ritardo rispetto agli altri, andando verso di lui e annusandolo in modo curioso. La faccia del ragazzo si illuminò e di inginocchiò, abbracciando il cucciolo e coccolandolo come se fosse il tesoro più prezioso del mondo. Mi fece sorridere.

          Stavo per chiedere a Zefiro di farmi scendere in modo da potermi presentare quando sentii una voce arrabbiata attraversare la foresta.

          “Agnarr! Dove sei?”

          Il cucciolo di renna si bloccò. Si contorceva nelle braccia del ragazzo—Agnarr— e corse verso il resto del branco. Agnarr lo osservò andare via, un'espressione triste si impadroniva del suo volto. La voce chiamò ancora. Più forte questa volta. Più impaziente. Le sue spalle gli si sono abbassate e lui è corso verso di essa, scomparendo dalla vista.

          È stato allora che tutto ha iniziato ad avere un senso. Doveva essere uno degli Arendelliani!

          “Andiamo, Zefiro! Seguiamolo!” gridai, ogni pensiero di accettare la chiamata impaziente di Yelana dimenticato. “Voglio vedere il loro insediamento!”

          Zefiro mi ha obbedito, trascinandomi nella direzione in cui era andato Agnarr, in direzione opposta al sentiero del branco di renne. C’erano tende montate attorno ad un focolaio centrale, anche se erano molto diverse dalle capanne che usavamo, che consistevano in un treppiede di pali coperto da doghe di legno piatte. Queste tende erano più simili a piccole casette fatte di tessuti dai colori vivaci e sormontati da piccole bandierine che sventolano allegramente nella brezza. Al centro, sul focolare, c'era un enorme calderone nero che gorgogliava con uno stufato dal profumo delizioso.

          “Fammi scendere,” dissi a bassa voce a Zefiro. “Voglio dare un’occhiata migliore.”

          Lo Spirito del Vento mi posò gentilmente, mi sono avvicinata al campo, usando gli alberi come copertura. Il luogo era molto animato. Uomini e donne di vari colori di capelli e pelle, vestiti con identici abiti verdi, lunghe spade con fodero appese alla cintura, scudi di metallo brunito tenuti a portata di mano. Soldati, ho immaginato. C'erano anche cittadini di tutti i giorni vestiti con ricamati giubbotti colorati e vestiti. La stoffa era così bella che volevo camminare e passarmela tra le dita per vedere cosa si provava.

          È stato allora che ho notato il mantello rosso appeso a una corda tesa su due alberi, insieme ad altri vestiti, probabilmente appeso ad asciugare. Il bisogno di far passare le mani sul panno luminoso e colorato mi è passato per la testa e, prima di pensarci, ho chiesto a Zefiro di prenderlo e di portarmelo. Qualche momento dopo, lo spirito consegnò il mantello sulle mie braccia. Ho passato le mie mani sopra al tessuto finemente cucito, guardando come mi scivolava tra le dita come un guanto. Come hanno fatto a renderlo così morbido?

Ispirata, mi sono infilato il mantello sulle spalle, tirando il cappuccio in basso sul viso. Poi ho osservato il mio riflesso su un vicino ruscello. Sembravo proprio una di loro adesso. Un'idea improvvisa ha preso piede, e infilando il mio scialle in un buco in una vecchia quercia vicina, ho sorriso cospiratoriamente a Zefiro.

          È tempo di esplorare.

          Sono sgattaiolata nel campo, sentendomi come se stessi entrando in un altro mondo. Le tende di lusso erano ancora più elaborate da vicino—giganteschi padiglioni con enormi stanze che contengono veri e propri letti e tavoli e sedie che sembravano essere stati intagliati dalle querce più belle. Come hanno fatto a trasportare tutto questo attraverso la foresta? E cosa più importante, perché dovrebbero preoccuparsi?

          Scossi la testa, confusa mentre continuavo ad esplorare il campo. Improvvisamente arrivò un grosso gruppo di donne in semplici abiti e grembiuli da casa, chiacchierando mentre portavano cestini pieni di frutta e verdura a un lungo tavolo in fila.

          “Non riesco a credere che siamo davvero qui!” ho sentito dire da una di loro. “È così magico!”

          “Magico?” ha deriso un’altra. “Questa foresta è sporca! Riportatemi alla civiltà il più in fretta possibile!”

          “Tu vuoi solo tornare indietro da Stephen,” scherzò un’altra. “Voi due vi lamentate all'infinito quando siete separati.”

          La seconda donna sorrise. “Tutto quello che posso dire è che sarà meglio che stia lavorando sul nostro cucchiaio dell’amore! Non sto pianificando di aspettare per sempre, lo sai!”

          Il trio scoppiò a ridacchiare mentre mettevano i cestini sul tavolo, poi si voltarono per un altro lotto. Mi sono nascosta per non farmi vedere, facendo un salto in una tenda vuota nelle vicinanze.

          Vuoto di persone. Ma pieno di cibo.

          Ho guardato con occhi spalancati il banchetto accatastato in alto sulla tavola. Gli odori mi circondavano anche mentre banchettavo con gli occhi. Pagnotte di pane marrone scuro fumante, piatti di carne ricca imbevuti di sugo, pezzi di carne affumicata e fette di pesce vario, patate di terra, verdure arrosto e…

          Cos’erano quei blocchi marrone scuro vicino ai dolci?

          Incapace di resistere, ho preso di nascosto un pezzo appetitoso e me lo sono infilato in bocca. La dolcezza esplose praticamente sulla mia lingua mentre chiudevo gli occhi in estasi.

Improvvisamente, sentii delle voci fuori dalla tenda. Mi bloccai.

          “Eccoti qui, Agnarr,” qualcuno ha urlato. “Cosa ti ho detto sul fatto di scappare in quel modo?”

          Congelai. Agnarr? Il ragazzo di prima? Ho osato sbirciare fuori dalla tenda per vedere meglio. Certo, era lì, ancora vestito con il suo abito verde brillante. Ma non stava più sorridendo. Invece, stava abbassando la testa, sembrando imbarazzato. Un uomo alto, robusto con enormi baffi biondi troneggiava su di lui.

          “Mi dispiace, Papà,” mormorò Agnarr, agitando i piedi. “Volevo solo… guardare un po’ in giro. Sembra tutto così… magico qui.”

          La faccia di suo padre divenne rossa. “Magia,” ha detto. “Agnarr, cosa ti ho detto riguardo la magia? Niente di buono viene dalla magia. È da temere, non da ammirare.”

          “Mi dispiace, Papà,” mormorò Agnarr, non guardando ancora suo padre negli occhi. “Ho solo—”

          Ma suo padre lo salutò, congedandolo senza nemmeno salutarlo. Invece, si precipitò dai soldati radunati a capo del campo. “Siete pronti?” chiese. “Per le… celebrazioni?” Rise a questo, ma qualcosa in quella risata non sembrava reale. Era crudele. Amara. Quasi in tono minaccioso. Mi accigliai, una strana sensazione mi saliva per lo stomaco. Quello che aveva detto non era sbagliato. Ma c’era qualcosa sul modo in cui lo aveva detto…

          Concentrai la mia attenzione su Agnarr. Stava osservando suo padre con uno sguardo di infelicità. E forse un po’ di… solitudine?

          Il mio cuore ha palpitato alla vista. Sapevo fin troppo bene quello che si provava a sentirsi da soli. Anche quando si è circondati da tante altre persone.

          Ho visto avvicinarsi un uomo nuovo. Questo stava indossando la stessa uniforme degli altri soldati e aveva la pelle scura e occhi gentili. Agnarr alzò lo sguardo verso di lui e la sua faccia si illuminò. Chiunque fosse quest’uomo, era un amico. Non riuscivo a capire di cosa stessero parlando, ma si capiva che scherzavano; l'umore cupo si stava risollevando.

          Il richiamo delle trombe si è diffuso nell'aria, annunciando l'inizio ufficiale della festa. Tutti nell’insediamento scoppiarono in chiacchiere eccitate e si precipitarono verso il suono, le braccia cariche di vassoi di cibo e altri cestini e scatole, presumibilmente regali di qualche tipo.

          Ora non più vicina agli altri, sono riuscita a sgattaiolare fuori dalla tenda—dopo aver preso un secondo assaggio dei dolci blocchi marroni, ovviamente—e mi sono diretta in direzione delle celebrazioni.

          Ero quasi a metà strada, quando mi accorsi che avevo dimenticato il mio scialle nell’albero e stavo ancora indossando il mantello Arendelliano preso in prestito. Mi sfilai il mantello dalle spalle e lo appesi su un ramo d’albero vicino; se gli anziani mi avessero scoperto a indossare qualcosa di così insolito, si sarebbero chiesti il perché. Ho considerato l’idea di tornare indietro per riprendere il mio scialle, ma alla fine decisi di non farlo. Sarebbe stato ancora lì quando fossi ritornata più tardi, e non volevo fare tardi ai festeggiamenti.

          “Zefiro, accompagnami alle celebrazioni,” dissi a bassa voce. In un attimo ero in aria, volteggiando nelle raffiche, volteggiando tra le foglie. L'aria mi solleticava le guance arrossate e non potevo fare a meno di ridere ad alta voce. Chi poteva biasimarmi? Era una cosa meravigliosa, danzare con il vento.

          Improvvisamente, ho avuto la sensazione di essere osservata. Yelana era diventata finalmente impaziente della mia assenza e mi stava cercando? Beh, quando guardai in basso, non era lei dopotutto, ma piuttosto Agnarr stesso, che guardava in alto verso di me con gli occhi più affascinati. Realizzai che probabilmente stava pensando che fosse magia, quello di cui suo padre stava parlando prima. Che io fossi una specie di creatura della natura, capace di stendere le mani e volare di mia spontanea volontà.

          Il pensiero mi ha solleticato ancora di più della brezza di Zefiro, e scoppiai a ridere mentre lo Spirito del Vento mi portava sempre più in alto fin quando non ero senza fiato e confusa. Potevo sentire che Agnarr mi stava ancora osservando. Ma non mi interessava. Invece, ho rimboccato le ginocchia al petto e mi sono lanciato in un perfetto doppio giro. Tanto vale dargli qualcosa da vedere.

          Ma proprio mentre stavo per chiedere a Zefiro di farmi scendere in modo che potessi incontrare Agnarr, le risate e i suoni allegri che provenivano dalle celebrazioni improvvisamente cessarono.

          Troppo silenzio.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Due

 

Iduna

 

 

 

 

 

IL MIO CUORE PALPITAVA DI TERRORE MENTRE UN acuto tono di voci arrabbiate raggiunse improvvisamente le mie orecchie. Cosa stava succedendo? Zefiro sembrava aver percepito il mio disagio, facendomi scendere prima che potessi chiederglielo. Nel tempo che i miei piedi hanno toccato terra, Agnarr era scomparso e gli urli di rabbia si sono trasformati in grida di terrore. Un branco di renne spaventate è scappato via, quasi calpestandomi.

          È stato allora che l’ho avvertito. La puzza di fumo. Alzai lo sguardo, scioccata di vedere fiamme di un colore violaceo emanate da un arrabbiato Spirito del Fuoco che saltava da un albero all'altro, dando fuoco a tutto, il fumo nero che sale verso il cielo. Il terreno improvvisamente dondolava sotto ai miei piedi e il mio cuore mi salì in gola mentre le mie orecchie sentivano un suono fin troppo familiare.

          Era il ruggito dei Giganti di Terra! La terra tremava con ogni possente passo. Le nostre celebrazioni li avevano svegliati dal loro sonno sul fiume?

          Un brivido di paura mi è sceso lungo la schiena. Avevo bisogno di trovare la mia famiglia. Ora.

          Ho corso attraverso la foresta, il fumo si è fatto più denso man mano che mi avvicinavo al nostro campo, fino a quando non è stato impossibile vedere. Gli occhi mi pungevano e mi lacrimavano, e il respiro mi scendeva giù per la gola a brevi sospiri. È stato allora che ho realizzato che stava succedendo qualcos’altro in mezzo al caos. Qualcosa di peggiore della rabbia degli spiriti stessi.

          Gli Arendelliani e i Northuldra si stavano attaccando a vicenda.

          Le mie orecchie captavano il suono delle spade che si scontravano violentemente l'una contro l'altra. Le grida di rabbia, poi di agonia, che si innalzano sopra il crepitio della fiamma e il ruggito del vento.           Attraverso il fumo denso, riuscivo a malapena a distinguere le ombre che si agitavano e si muovevano in fretta e furia in combattimento, anche se ciò che aveva iniziato lo scontro non era chiaro. Tutto quello che sapevo era che la situazione era veramente grave, e sembrava che peggiorasse ogni minuto che passava.

          Non sapevo dove andare. Cosa fare. C'era un posto sicuro dove ritirarsi fino alla fine di tutto questo?

          Lo scialle di mia madre! Dovevo riprenderlo ora, dato che gli alberi erano in fiamme. Era l’unica cosa che mi era rimasta di lei e non potevo lasciare che bruciasse.

          Cambiai direzione, tornando indietro verso l’albero. La mia gola era secca per l'inalazione del fumo e mi facevano male i polmoni. Mentre correvo, la mia mente correva con pensieri inquieti. Gli spiriti erano chiaramente arrabbiati, scagliandosi contro tutti quelli presenti nella foresta. È stata la loro rabbia a causare la battaglia? O l’avevano cominciata?

          Finalmente, raggiunsi l’albero all’esterno dell’ormai vuoto insediamento Arendelliano. Dopo aver estratto lo scialle dalla cavità, lo avvolsi intorno alle mie spalle. Stringendo la frangia al petto in sollievo, ho guardato dappertutto. Il fuoco stava ancora infuriando, la terra ancora tremava. Anche il vento si alzò in una burrasca mostruosa. Non avevo mai visto una cosa del genere.

          Ero sul punto di andarmene quando ho sentito un debole grido. Girandomi intorno, i miei occhi si spalancarono quando notai una figura accartocciata distesa contro un grosso masso. Il sangue colava da un taglio nella testa della persona, colando giù per la roccia, oscurando la terra sottostante. C’era così tanto sangue che mi ci volle qualche secondo per riconoscerlo. Ma quando lo feci, sobbalzai.

          Era il ragazzo. Agnarr. Ed era gravemente ferito.

          Ho guardato la mia foresta. Sapevo che dovevo tornare lì, dalla nostra parte, per trovare la mia famiglia. Per rifugiarsi in sicurezza con loro fino a quando gli spiriti non si fossero placati e la battaglia fosse cessata. Ma se abbandonassi Agnarr e nessuno venisse per lui? Il crepitio delle fiamme infuriava più forte; il calore mi ha fatto arricciare i peli sulle braccia. L’aria era piena di denso fumo. E lui non era in condizioni di mettersi in salvo da solo.

          Improvvisamente udii delle voci che chiamavano il mio nome da qualche parte nella foresta. La mia famiglia mi stava cercando, immaginai. Sembravano preoccupati. Dovevo tornare da loro, fargli sapere che stavo bene. Lasciare che mi conducano dove è sicuro.

          Ma Agnarr morirebbe.

          Lo fissai, bloccata dall’indecisione. Sembrava pallido come un cadavere, ma potevo sentire il suo petto muoversi con respiri poco profondi. Era vivo, ma per quanto? Non c’erano Arendelliani intorno. Anche se lo stessero cercando, non potrebbero trovarlo prima che abbia perso troppo sangue. Prima che i suoi polmoni si riempiano di fumo e non riesca più a respirare.

          Ma—forse—potevo salvarlo.

          La mia mente stava correndo: ero combattuta. Ripensai alla foresta. Il combattimento tra la sua gente e la mia. Questo lo rendeva un nemico, anche se non sapevo il perché.

          Ho guardato il suo volto spento. Eppure… era solo un ragazzo.

          Un ragazzo ferito che sarebbe morto se non avessi fatto qualcosa.

          Un albero dietro di me scricchiolava, il fuoco gli spezzava le membra. Un ramo si ruppe, cadendo dall’alto. D’istinto, mi lanciai verso Agnarr, facendolo rotolare di lato giusto in tempo per evitare il ramo infuocato. Colpì il terreno dove stava sdraiato solo pochi istanti prima, e il cespuglio secco che lo circondava si infiammò.

          Respirai profondamente, prendendo la mia decisione. Alzando la mia voce roca verso il cielo, cantavo per Zefiro, chiamando lo Spirito del Vento nello stesso modo che avevo sempre usato. “Ah ah ah ah!”

          Per un attimo, non udii nulla, ed iniziai a preoccuparmi che lo spirito fosse troppo preso in qualunque cosa stesse accadendo per sentire la mia voce. Ma alla fine ci fu una folata di vento e una brezza che mi girava intorno in modo discutibile. Ho lasciato uscire un sospiro di sollievo.

          “Aiutaci, Zefiro,” lo pregai.

          Lo Spirito del Vento obbedì, abbracciandoci entrambi e ci travolgendoci in una feroce corsa attraverso la foresta. Per un attimo, gli occhi del ragazzo si aprirono e io mi chiesi se avesse ripreso conoscenza. Mormorò qualcosa così sottovoce che non riuscii a sentire nulla, poi svenne di nuovo.

          “Andiamo,” dissi al vento, il mio cuore batteva veloce nel petto. “Dobbiamo sbrigarci.”

          Zefiro ha accelerato il passo, allontanandoci più velocemente dal pericolo. Mentre volavamo, i miei occhi sfrecciavano attraverso il bosco alla disperata ricerca di qualcuno—chiunque—che potesse aiutarci.

          Fu allora che vidi il gruppo di carri e cavalli Arendelliani, accatastati in alto con persone ferite che urlavano e sputavano, che si strofinavano gli occhi, la pelle ricoperta di fuliggine. Sembrava che fossero pronti per evacuare l’area.

          “Laggiù!” indicai a Zefiro. “Sistemalo in quel carro.”

          Lo Spirito del Vento obbedì, trasportandoci in avanti e facendoci scendere dolcemente sul carro. Mentre la schiena di Agnarr si appoggiava contro il legno del carro, mormorò nuovamente qualcosa. Mi avvicinai a lui, cercando di capire quello che stava dicendo.

          Improvvisamente, tutto diventò buio.

          Ho allungato la mano, sorpresa di trovare un mantello Arendelliano sopra la mia testa, che copriva quasi interamente il mio corpo. Zefiro deve averlo lanciato sopra di me. Ma perché?

          Il pericolo si stava avvicinando.

          Le mie orecchie mi fischiavano al suono dei passi, forti, e di più di una persona che si avvicinava. Trattenni il mio respiro, il mio cuore batteva così forte che mi chiedevo se mi avrebbe rotto una costola. Il carro si mosse, come se qualcuno ci fosse salito sopra, mettendosi davanti. Poi, con mio orrore, iniziò a muoversi.

          Ho faticato a sbirciare fuori da sotto il mantello. Avevo bisogno di saltare giù quando ancora ne avevo l’opportunità. Tornare indietro alla sicurezza della foresta. Ma lì, a cavallo dietro al carro, c'erano tre soldati Arendelliani armati di spade affilate.

          “Vedete qualcuno di quei traditori?” chiese uno all’altro, i suoi occhi sfrecciavano sospettosamente in tutte le direzioni, la sua voce roca per aver respirato troppo fumo.

          “Se li avessi visti, non starei qui a parlare con te,” disse quello in mezzo, con capelli scuri in totale disordine. “Li abbatterei tutti sul posto.”

          “Non riesco a crederci! Siamo venuti in pace! Gli abbiamo costruito una diga! Ed è così che ci ripagano? Con la stregoneria? Con dei trucchetti?” urlò il terzo, il suo cavallo danzava sotto di lui mentre sentiva la sua tensione.

          Il mio cuore era in preda al terrore, rifiutandosi di credere alle parole d’odio dei soldati. Eravamo un popolo tranquillo. Abbiamo accolto gli Arendelliani nella nostra terra. Accettato il loro dono della diga. Perché dovremmo ribellarci contro di loro adesso?

          Per quanto riguarda la magia o la stregoneria—non ne avevamo. Usavamo solo i doni che provenivano dagli spiriti. Gli anziani erano stati molto chiari su questo dal primo giorno che abbiamo incontrato gli Arendelliani.

          In quel momento ci fu un’altra folata di vento. All’inizio pensavo fosse Zefiro, forse affrettandosi a salvarmi dal mio destino. Invece, una spessa, pesante nebbia sembrava scendere dal cielo, stabilizzandosi sulla terra come un gigantesco muro alle nostre spalle. Ha bloccato la foresta, dal cielo alla terra, da quanto i miei occhi potevano vedere.

          Il carro si è fermato. I soldati urlavano in allarme, fissando la nebbia grigia scintillante in sgomento.

          “Altra magia nera!” mormorò uno di loro, facendo strani disegni con le mani, come per allontanare qualsiasi cosa fosse. “Stregoneria maligna!”

          “Andiamocene da qui,” sbraitò l’altro. “Prima che venga anche per noi!”

          Il mio cuore si è fermato. Cosa stava succedendo? La mia casa! La mia famiglia! Intrappolati dietro ad un qualche tipo di muro—ed io ero dal lato sbagliato! Dovevo tornare prima che fosse troppo tardi.

          O era già troppo tardi?

          Se fossi uscita allo scoperto ora, i soldati avrebbero potuto dichiararmi una traditrice. Ma se non lo avessi fatto avrei potuto perdere il mio intero mondo. Il panico si è diffuso dentro di me. Cosa dovevo fare?

          Improvvisamente, ho sentito un movimento dietro di me. Ho dato un’occhiata. Agnarr si era svegliato—anche se forse non completamente. Sbatté gli occhi, guardandomi mezzo addormentato. Per un momento i nostri sguardi si incrociarono. Il mio cuore batteva. Scossi la testa, guardando verso la nebbia crescente e lasciando uscire un lamento.

          Agnarr prese la mia mano tremante e la strinse così delicatamente che potevo a malapena sentirlo. E allo stesso tempo, era come se non potessi sentire nient’altro nel mondo.

          “Andrà tutto bene,” disse a bassa voce. Con la sua mano libera, raggiunse la sua tasca e tirò fuori un piccolo quadrato incartato. Aprii la carta esitante, rivelando un piccolo blocco di quella cosa marrone che avevo assaggiato nella tenda. Scioccata, tornai ad osservare Agnarr, che sorrideva.

          “Il cioccolato rende tutto migliore,” bisbigliò.

          Poi i suoi occhi si chiusero e il suo respiro rallentò. Si era addormentato. Ma la sua mano rimase stretta alla mia mentre il carro si muoveva, lontano dalla nebbia. Rassegnata, mi sistemai sotto al mio mantello, infilando il blocco di cioccolato nella bocca. La sua dolcezza poteva solo essere rivaleggiata dal calore della mano di Agnarr.

          Che mi piacesse o meno, stavo andando ad Arendelle.

          Ma sarà giusto?

          Solo Ahtohallan lo sa.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Tre

 

Iduna

 

 

 

 

 

C’È QUALCUN ALTRO NEL CARRO!”

          Mi sono svegliata nella confusione mentre il mantello Arendelliano mi veniva strappato dalla testa e dal corpo, l'improvvisa esplosione della luce del sole che quasi mi accecava dopo una notte passata nell'oscurità. Sbattei gli occhi rapidamente, cercando di orientarmi mentre il mio cuore pulsava di panico crescente. Dov’ero? Perché? Perché mi faceva così male? E chi erano questi uomini grandi e stranamente vestiti, che si chinano su di me con sguardi confusi sui loro volti barbuti? Mi sono rimessa il mantello sulle spalle, rannicchiata in preda alla paura.

          Mi è tornato in mente in fretta. La celebrazione. La battaglia. Il ragazzo che ho salvato. La trappola in cui in qualche modo mi sono ritrovata. La nebbia che scendeva sulla foresta. Ho faticato a sedermi, la paura che mi attraversa come un fuoco selvaggio. Dov’era Agnarr? Avevo davvero dormito mentre lo portavano fuori dal carro? Ho ripensato alla sua mano che stringeva la mia, alla sua promessa che tutto sarebbe andato bene.

          Ma adesso se n’era andato. Ed io ero con due uomini che avrebbero preferito vedermi morta.

          Ho provato a fuggire sfrecciando, saltando dal carro. Ma sono atterrata male, su gambe che poco prima si erano addormentate. Un dolore stridente mi ha trapassato la caviglia ed è salito per il polpaccio, e sono caduta a terra con un piccolo grido. Gli uomini mi hanno circondato velocemente, ora con occhi sospettosi sulle loro facce barbute.

          Mi morsi il labbro, realizzando che avevo commesso un grosso sbaglio.

          “Chi sei, ragazza?” domandò un uomo. “Perché stavi cercando di scappare?”

          Ho sbattuto le palpebre, il terrore rendeva impossibile parlare. La mia mente tornava alle parole dei soldati del giorno prima.

          Li abbatterei tutti sul posto.

          “Non pensi che sia una di loro, vero?” aggiunse un altro uomo, fissandomi con occhi grigi e freddi. “Una piccola clandestina della foresta?”

          Il primo uomo ha sputato a terra, poi mi ha afferrato con forza per il braccio, mettendomi in piedi. Ho sussultato come se il dolore si fosse riacceso alla gamba, ma ho digrignato i denti, rifiutando di farmi vedere piangere. L'uomo mi ha stretto le sue mani carnose sul viso, girandolo a sinistra, poi a destra. “Beh, parla, ragazza!”

          Mi ritirai in me stessa, piegando le spalle e abbassando il mento. Il mio corpo stava tremando di paura. Cercai di dire a me stessa che forse questo era semplicemente un sogno, che mi sarei svegliata tra qualche momento nella foresta, coccolata sotto un mucchio di pelli di renna.

          Ma a dire la verità, non sembrava un sogno. Sembrava più un incubo.

          Aprii la bocca e cercai di parlare, anche se non avevo idea di cosa potevo dire per salvarmi. Perché, oh, perché mi sono addormentata sul carro? Se fossi stata sveglia quando si fermavano, avrei potuto sgattaiolare via in qualche modo. Ma ora ero nel centro della loro città, edifici in pietra che si innalzano in tutte le direzioni, bloccando la mia fuga. E con la mia caviglia ferita? Non c’era modo di scappare dal mio destino.

          Dov’era Zefiro? Se Zefiro fosse qui, forse li distrarrebbe—dandomi un’occasione si scappare via. Cantai a bassa voce la nostra canzone, ma l’aria rimase morta come quella di un’afosa giornata estiva, nemmeno un accenno di brezza in questo strano centro città.

          Non vidi segni di salvataggio dal mio amico spirito.

          “Va bene, qual è il significato di tutto questo?” domandò qualcuno di nuovo che era improvvisamente arrivato sulla scena. Un uomo con la testa piena di capelli neri si era fatto strada attraverso gli altri.           Indossava un abito elegante del colore dei mirtilli rossi; il modo in cui gli altri si spostavano velocemente mentre si avvicinava mi indicava che lui era al comando.

          “Questa ragazza, signore. L’abbiamo trovata sul carro. Ma tutti i bambini che hanno viaggiato fino alla diga con noi sono già stati contati. E lei si rifiuta di dirci chi è.”

          Quando mi raggiunse, mi fissò, scrutando il mio viso con gli occhi il colore dei blocchi marroni che Agnarr aveva chiamato cioccolato, la paura dentro di me era così forte che avevo paura di vomitare sulle sue scarpe.

          “La prego,” sussurrai, la mia voce ancora rauca a causa del fumo che ho inalato. Anche se sapevo a malapena cosa stavo chiedendo. Clemenza? Perché dovrebbero concedermi clemenza quando credevano che la mia famiglia avesse massacrato la loro gente a sangue freddo? Per loro, io ero un mostro. Una strega, io ero—

          “Una bambina!” esclamò l’uomo, la sua voce piena di meraviglia. “Ma tu sei solo una ragazzina.”

          “Ho dodici anni,” dissi prima di rendermene conto. “Sono quasi una donna.” Ma la mia voce, che volevo far suonare forte, uscì poco più che uno squittio.

          Con mia sorpresa, si mise a ridere, poggiando una mano gentile sulla mia spalla. “Colpa mia,” mi disse. “Ma certo. E tu sei proprio una brava donna in questo.”

          Deglutii, abbassando il mio sguardo verso il terreno. Il mantello che ancora indossavo scivolò dalle mie spalle, rivelando lo scialle di mia madre che era avvolto attorno al mio collo. Gli occhi dell'uomo si spalancarono mentre guardavano lo scialle. Poi afferrò velocemente il mantello e lo appoggiò sulle sue ginocchia di fronte a me per rimetterlo sulle mie spalle.

          “Qual è il tuo nome?” sussurrò, la sua faccia a pochi centimetri dalla mia. Fui sorpresa dalla profondità della sua voce.

          “Iduna,” sussurrai in risposta, osservando preoccupata gli uomini dall’altra parte, che mi stavano lanciando ancora occhiate sospette.

          L’uomo al comando sbatté la sua mano sulla fronte. “Iduna! Ma certo!” urlò, la sua voce improvvisamente alta mentre si alzava in piedi. “La figlia di Greta e Torra, la coraggiosa fanciulla e il soldato che erano con noi alla diga.”

          Aprii la bocca per protestare. Greta? Torra? Non avevo mai sentito parlare di queste persone, e sicuramente non erano i miei genitori. Ma prima che potessi dire qualsiasi cosa, l’uomo scosse leggermente la testa in modo che solo io potessi vedere. Afferrai il messaggio forte e chiaro.

          Gli altri si sono riuniti attorno a me, guardandomi con occhi nuovi. Avevo avuto ragione sul fatto che quest’uomo fosse in carica; quando parlava, loro ascoltavano. E molto più importante, gli credevano.

          “Povera ragazza,” ha commentato l’uomo che mi aveva trascinato fuori dal carro, scuotendo la testa con dolore. “Mi dispiace molto per i tuoi genitori.” La sua faccia si contorse. “Te lo prometto, quegli stregoni Northuldra pagheranno per i loro crimini! Anche se mi ci volesse tutta la vita!” Strinse la sua mano destra in un pugno, così stretto che le nocche diventarono bianche. Poi agito il pugno in aria come se fosse pronto ad affrontare tutta la gente Northuldra in quel preciso istante. Spaventata, mi sono spostata all'indietro per uscire dal suo raggio d'azione.

          L’uomo in carica si lamentò, afferrando il pugno dell’uomo arrabbiato e abbassandolo al suo fianco con forza. Poi si girò verso di me. “È davvero molto tragico quello che è successo ai tuoi genitori nella foresta,” ha convenuto con voce ferma. “Ma non devi preoccuparti, giovane Iduna,” aggiunse, pronunciando il mio nome molto attentamente, come per aiutarsi a ricordarselo. “Qui ad Arendelle ci prendiamo cura dei nostri. Dato che sei una di noi,” disse, enfatizzando ancora ogni parola, come se mi stesse lanciando un messaggio segreto, “non ti mancherà mai nulla. Ci prenderemo cura di te, ti nutriremo, ti terremo al sicuro dai pericoli.”

          Forzai un cenno con la testa, anche se il groppo in gola era diventato così grande che mi sembrava di soffocarmi. Volevo protestare, dichiarare che non sarei mai stata una di loro. Queste strane persone nella loro strana città erano tanto diversi da me quanto il sole era diverso dalla luna.

          Ma rimasi in silenzio.

          Invece annuii, stringendo il mantello Arendelliano sopra al mio corpo. “La ringrazio,” mi forzai di dire. “Lei è troppo gentile, signore.”

          Le spalle dell’uomo si rilassarono. Sapeva che avevo capito il suo messaggio. Si girò verso gli altri. “La accompagnerò all’orfanotrofio personalmente,” gli disse. “Nel frattempo, presumo che abbiate qualcosa di meglio da fare che restare qui?”

          Gli altri uomini sbuffarono ma non risposero, allontanandosi dal carro per tornare alle loro case. L’uomo li osservò allontanarsi, poi si girò verso di me.

          “Sono Lord Peterssen,” disse con voce delicata. “E non devi avere paura. Intendevo dire proprio quello che ho detto. Non ti verrà fatto alcun male.”

          Ho annuito docilmente. Che altro potevo fare? Ha allungato la mano, aiutandomi a scendere dal carro.

          “Vieni,” Disse. “Ti porterò a casa.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Quattro

 

Agnarr

 

 

 

 

 

AH, GIOVANE PRINCIPE, FINALMENTE TI SEI SVEGLIATO!”

          Ho aperto gli occhi spalancandoli, la mia vista ancora annebbiata mentre mi guardo intorno nella stanza. Anche così, la riconobbi immediatamente. I ricchi verdi e i marroni. Il rotolo di rosemaling che scendeva lungo i muri, incastrato nelle porte. Le spesse tende beige del letto a baldacchino. Il fuoco scoppiettante nel camino.

          Ero a casa. Ad Arendelle. Nel mio letto.

          Era stato tutto un sogno? La foresta? La battaglia? No, il mio corpo si sentiva come se fosse stato travolto da un branco di renne. E quando provai a sedermi, mi girò la testa e mi accasciai velocemente sul mio cuscino di piume.

          Il custode del castello, Kai, si trovava vicino a me, schioccando la lingua. “Stai tranquillo,” rimproverò. “Hai avuto una brutta esperienza. Ci vorrà un po' di tempo prima che ti rimetta in sesto.”

          Ho annuito leggermente. Anche un piccolo movimento della testa contro il cuscino sembrava richiedere uno sforzo erculeo. Ho chiuso gli occhi, cercando di mettere insieme i ricordi di quello che era successo. Di come ero finito qui, in questo stato.

          Il giorno della celebrazione, trasformato in violenza. I Northuldra e gli Arendelliani, che si combattono a vicenda. Vento. Fumo.

          Papà…

          I miei occhi si aprirono. “Papà è morto?” chiesi, la mia voce era roca. Ma anche se ho fatto la domanda, realizzai che già sapevo la risposta. L’avevo visto. Mio padre, che combatteva i Northuldra al fianco della diga. Il piede che scivola. Le braccia che si agitano.

          Oh, no. No, no no!

          Kai mi diede uno sguardo angosciato. Il suo sguardo puntava verso il retro della stanza, come se lì ci fossero tutte le risposte della vita. Una figura avanzò dall’ingresso.

          Era Lord Peterssen, uno dei consiglieri più fidati di mio padre.

          Con mia sorpresa, si inginocchiò di fianco al mio letto. “Vostra Altezza,” disse, abbassando la testa in un inchino. “Mi dispiace tanto di essere il portatore di cattive notizie.” Si rialzò, poi mi guardò dritto negli occhi. I suoi erano solenni come la tomba. “Vostro padre è scomparso. Perito nella battaglia tra noi e i Northuldra.”

          Il mio cuore si strinse. Era vero allora. Mio padre. Scomparso. L’uomo più forte, più potente che abbia mai conosciuto. Il nobile leader di cui gli Arendelliani cantavano nelle taverne. L’uomo che aveva dedicato la sua intera vita a proteggere Arendelle e aiutarla a prosperare.

          Scomparso. In questo modo.

          Il senso di colpa mi assalì mentre la mia mente tornava alle nostre ultime ore insieme. Era furioso con me per essermi allontanato. E comunque, perché mi ero allontanato? Avrei potuto passare la giornata con lui, aiutandolo ad organizzare alcune questioni in sospeso con i Northuldra riguardo la diga, a fare da scudiero. Forse se fossi stato lì, avrei potuto notare che qualcosa non andava. Ero bravo in questo—vedere cose che nessun altro vedeva. Forse avrei potuto avvertirlo prima che fosse troppo tardi. Ma ho fallito ancora. Ero sempre stato una tale delusione per mio padre.

          Forse era colpa mia se era morto.

          Lord Peterssen si alzò in piedi, mettendo una mano paterna sulla mia spalla. “Mi dispiace tanto,” disse ancora. “Arendelle ha perso un grande uomo. Un bravo re. Mancherà a tutti noi.”

          All’improvviso mi è venuto un pensiero orribile. “E…” mi sforzai di sedermi di nuovo, ignorando il mal di testa. “Che ne è del Tenente Mattias? È…” mi sono allontanato, incapace di finire la frase. Cercai di pensare alla battaglia. Mattias mi aveva spinto fuori dai guai, cercando di proteggermi mentre nella foresta scoppiava la violenza.

          Lord Peterssen scosse lentamente la testa. “Non sappiamo cosa gli sia successo,” ammise. “Alcuni dicono che stesse ancora combattendo quando la nebbia è arrivata.”

          Ho strizzato gli occhi confuso. “La nebbia?”

          Fece un cenno con la testa. “Dicono che è caduta dal cielo. Scendendo sulla foresta, pesante e spessa. Così spessa che nessuno può entrare. Molti dei nostri sono stati intrappolati—sono ancora intrappolati—dall’altra parte.”

          “Ma è pazzesco!” urlai. “Una nebbia non può intrappolare le persone. Non è solida.”

          “Questa lo è,” disse solennemente Peterssen. “Sono andato ieri per vederla con i miei occhi. È solida tanto quanto questo muro qui.” Batté le sue nocche delicatamente contro il muro della mia camera da letto. “E da quello che possiamo dire, non c’è modo di entrare o uscire.”

          La paura mi ha attraversato. Mio padre mi aveva instillato fin dalla giovane età la consapevolezza dei pericoli della magia e della stregoneria. Era potente. Malvagia. Un uomo che usava la magia non combatteva lealmente. La stregoneria corrompeva l’anima, rendendola nera come la notte.

          “Sono stati i Northuldra a farlo? Sono magici?” Sussurrai, ricordandomi improvvisamente della ragazza che avevo osservato nella foresta. Quella che danzava con il vento. Sembrava come una fata dei libri di favole. Leggera, eterea. In quel momento, non avrei potuto distogliere lo sguardo. Chiusi gli occhi per un momento, cercando di ricordare più dettagli, ma era perlopiù una sfocatura a parte quella sensazione eccitante in cui ero stato testimone di qualcosa—e qualcuno—di incredibile. Mi accigliai, frustrato.

          “Vostro padre credeva che lo fossero,” disse Peterssen. “Ma da quello che ho visto nel mio tempo con i Northuldra mentre la diga veniva costruita, loro sono semplicemente amici degli elementi. Usano questi doni della natura per aiutasi nella vita di tutti i giorni. Ma non li ho mai visti usare la magia di propria iniziativa.”

          “Ma avrebbero potuto creare la nebbia,” pressai. “O aver chiesto agli elementi di farlo, giusto?”

          “Forse. Anche se non sono sicuro di quale sia il guadagno. Per quello che ne sappiamo, anche loro sono intrappolati all’interno.” Peterssen sospirò. “Lo prometto, Vostra Altezza, metteremo i migliori uomini al lavoro. Per cercare di rispondere a queste domande e per trovare un modo per attraversare la nebbia. Ma per il momento, c'è un problema più urgente.”

          “Qual è?”

          Mi diede uno sguardo solenne. “Il re è morto. E voi, Vostra Altezza, siete il suo unico figlio… e quindi erede al trono di Arendelle.”

          L’orrore mi attraversò. Certo, sapevo che una cosa del genere sarebbe successa. Ma sentirlo dire ad alta voce…

          “Sono troppo giovane per essere re!” dissi prima di rendermene conto. Feci un respiro profondo, cercando di concentrarmi, o almeno di apparirlo all’esterno. Questa volta, quando parlai, sperai che uscisse una voce calma. “Ho quattordici anni, non sono preparato per governare un regno.”

          Peterssen posò una mano gentile ma ferma sul mio braccio. “Forse non ancora,” concordò. “Vostro padre sapeva che la morte sarebbe arrivata un giorno ed ha istituito che se non avessi avuto l’età giusta quando fosse accaduto, servirei come reggente al regno in vostra vece. Ovviamente, non agirò senza la vostra approvazione,” aggiunse, velocemente. “Ma se vi fiderete di me, farò del mio meglio per mantenere Arendelle in pace e prosperità fino a quando non avrete l’età per regnare.”

          Il sollievo mi inondò. Questo era esattamente quello che avevo bisogno di sentire. Qualcuno oltre a me era ancora al comando.

          “Grazie al cielo,” mormorai sottovoce. Il dolore alla mia testa era tornato con una vendetta, ora accompagnata dal trillo della perdita fino alle ossa, e tutto quello che volevo era chiudere gli occhi.

          “Potremo parlarne meglio quanto vi sarete completamente ripreso,” dichiarò Peterssen, guardandomi con simpatia. “Per adesso, non dovete preoccuparvi di nulla.”

          Cominciai a sprofondare di nuovo nel mio cuscino, più che disposto a lasciare che il sonno superasse le mie ossa e il mio cuore doloranti, quando all'improvviso però mi venne in mente un pensiero. “Come ho fatto ad uscire dalla foresta?” chiesi. “Non me lo ricordo.” Chiusi gli occhi, cercando di ricordare gli eventi di quel giorno. Ricordavo il combattimento. Essere investito dal vento. Aver colpito la testa contro una roccia. L’oscurità…

          Con mia sorpresa, Peterssen non rispose all’inizio. Poi alzò le spalle. “Non lo sappiamo al momento,” ammise. “I soldati hanno perso le vostre tracce durante il combattimento. Ma siete stato trovato sdraiato in uno dei loro carri poco prima che la nebbia scendesse. Eravate ferito. Sanguinante. Incosciente. Forse ci siete strisciato dentro voi stesso e poi siete svenuto?” Ma la sua voce sembrava dubbiosa, come se non ci credesse davvero.

          Nemmeno io.

          Una voce si alzò dai profondi recessi della mia mente. La voce più bella che avessi mai sentito, che cantava una canzone pura, ossessiva, disperata, che ancora risuonava nelle mie orecchie. Mi ricordai di averla sentita nella foresta mentre mi sforzavo di riprendere conoscenza. Poi la sensazione di essere sollevato, ma non da mani umane. E improvvisamente stavo fluttuando…

          Altra magia? Ma no. C’era un volto. Qualcuno mi aveva aiutato a salire su quel carro. Ma Chi? Per quanto ci provi, non riuscivo a estrarre la faccia dall'oscurità della mia mente. Era un'altra macchia, persa nel caos di quel giorno.

          Bussarono alla porta. Peterssen indicò a Kai di andare ad aprire. Gerda, il maggiordomo di famiglia, stava dall'altra parte, strizzando le mani nervosamente. “Il principe è pronto?” chiese. “Le persone stanno aspettando all’esterno.”

          Mi accigliai. “Aspettano cosa?”

          “Che vi rivolgiate a loro, naturalmente, Vostra Altezza,” disse Gerda. Si girò accusando Kai. “Non glielo hai detto? Sono tutti là fuori. Sono preoccupati. Hanno bisogno di vedere che sta bene.”

          Peterssen sospirò. Si girò verso Kai e Gerda. “Lasciateci soli,” comandò. “Farò in modo che Sua Altezza sia pronta a rivolgersi ai suoi sudditi.”

          Gerda rispose con uno sbuffo infelice, come se non fosse questo il modo in cui le cose dovevano essere fatte, ma fortunatamente uscì dalla stanza, seguita da Kai. Peterssen li raggiunse e chiuse la porta dietro di loro, poi si girò verso di me.

          “Cosa dovrei fare?” chiesi. La mia testa stava ancora pulsando. Mi sentivo come se stessi per sentirmi male.

          “Le persone devono vedervi,” disse Peterssen. “Sono spaventate. Hanno perso i loro cari. Hanno perso il loro re. Ora devono guardare il loro principe. Vedere il futuro del loro paese con i loro occhi.”

          Lo fissai con orrore. “No! Non posso farlo. Non adesso. Fateli aspettare!”

          “Hanno già aspettato tre giorni. È il momento.”

          “Per favore,” dissi, facendo del mio meglio per non supplicare. “È troppo presto.”

          La faccia di Peterssen si addolcì. Si inginocchiò davanti a me, prendendo la mia mano nella sua. “Certe volte un re non ha il lusso del lutto,” spiegò lentamente. “Deve anteporre i sentimenti del suo popolo ai suoi. Quando andrete là fuori, dovrete essere più alto di quello che siete. Comportatevi con coraggio. Mostrate loro, attraverso ogni movimento che fate, ogni parola che dite, che non hanno nulla di cui avere paura.” Mi diede uno sguardo comprensivo. “Dovete mostrargli che non avete paura.”

          “Anche quando ce l’ho,” dissi, guardando verto il pavimento.

          “Sareste uno sciocco a non averne,” concordò Peterssen. “Ma non dovete mostrare questa paura alla vostra gente. Tenetela dentro di voi. Celatela nel vostro cuore. Domatela. Non mostratela.” Si alzò in piedi. “Questo è ciò che faceva vostro padre. E suo padre prima di lui. Questo è quello che i re devono fare per proteggere la loro gente. E questo è quello che dovere fare adesso.”

          “E se non volessi essere re?” mi sfuggì, sapendo che sarei sembrato un bambini petulante, sapendo quanto si sarebbe arrabbiato mio padre se fosse stato qui a sentirmi. Una settimana fa, la mia unica preoccupazione era di non riuscire a seguire le mie lezioni settimanali di ortografia. Ora avevo la responsabilità di un intero regno. Persone vere, con veri problemi—dipendevano da me.

          Il panico si è diffuso; sentivo le mura che si chiudevano su di me. Peterssen mi diede uno sguardo tagliente, sapendo che forse stava diventando un po’ impaziente. Se solo il Tenente Mattias fosse qui.

          Cosa direbbe? Cosa mi direbbe di fare?

          Fai ciò che è giusto.

          Deglutii, le parole di Mattias echeggiavano nella mia testa, come se stesse parlando ad alta voce. Il consiglio che suo padre una volta aveva dato a lui. Il consiglio che aveva tramandato a me.

          Quando pensi di aver trovato la tua strada, la vita te ne apre una nuova, avrebbe detto. E quando accade, non ti arrendi. Fai un passo alla volta.

          Feci diversi respiri profondi, spingendo via il panico. Poi mi girai verso il signor reggente e ho annuito. “Va bene,” dissi. “Mi preparerò, e sarò al cospetto del mio popolo. Devo loro almeno questo.”

          Le spalle di Peterssen si rilassarono. “Molto bene, Vostra Maestà. Significherà molto per loro. Devo mandare la servitù ad aiutarvi a vestirvi?”

          “No. Lo farò da solo. Grazie.”

          Il reggente annuì ed uscì dalla mia stanza, lasciandomi da solo. Per un attimo rimasi seduto lì, i miei pensieri che mi passavano per la testa. Poi camminai verso lo specchio, fissandolo. I miei occhi erano vuoti, ombreggiati da cerchi neri. La mia pelle era pallida come il latte. I miei capelli erano stati rasati vicino alla mia testa, probabilmente per poter ricucire la mia ferita.

          Non assomiglio proprio ad un re, pensai con un triste sorriso compiaciuto rivolto al mio riflesso. Più un ragazzino spaventato.

          Chiusi gli occhi. “Celarla, domarla,” sussurrai a me stesso, ripetendo le parole di Peterssen. “Non mostrarla.”

          Aprii gli occhi. Squadrai la mia mascella. Potevo farlo. Dovevo farlo.

          Era la cosa giusta da fare.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Cinque

 

Iduna

Un Mese Dopo

 

 

 

 

ROAR! SONO UN MALVAGIO NORTHULDRA E TI ucciderò più della morte!”

          Mi sono svegliata dal mio pisolino mentre due bambini orfani, un maschietto e una femminuccia di circa sei anni, correvano nel dormitorio, l'una inseguendo l'altro, un ghigno malvagio sul viso dell'inseguitore. Il ragazzo ha strillato, si è tuffato sul mio letto e ha cercato di nascondersi dietro di me per sfuggire alla ‘malvagia Northuldra’ mentre lei gli saltava sopra, afferrando il cuscino da sotto la testa e lanciandoglielo in faccia.

          “Ti farò un orribile incantesimo!” lo prese in giro. “Esploderai tra le fiamme!”

          Sono scivolata dal letto, fuori dalla loro linea di distruzione, ancora disorientata dal fatto di essere stata svegliata da un sonno profondo. Iniziarono a lottare alla follia fino a quando il bambino è caduto dal letto, sbattendo la testa contro il pavimento di legno.

          Scoppiò in lacrime. “Ow!” urlò, sfregandosi la testa. “Non giochi in modo pulito!”

          “Sì, già, non lo fanno nemmeno i Northuldra!” ha dichiarato maliziosamente la bambina, non sembrando minimamente dispiaciuta per il suo ruolo nell'incidente.

Improvvisamente, ci furono dei passi sulle scale. La padrona di casa avanzò dall’ingresso. “Aryn, Peter!” rimproverò. “Cosa vi ho detto a proposito delle risse in camera da letto?” Batté le mani. “Andiamo ora!           Ho un sacco di faccende da sbrigare per smaltire questa energia!”

          “Aw!” Si lamentarono all'unisono, ma fecero come gli era stato detto, sgattaiolando fuori dalla camera da letto per andare al piano di sotto.

          Ero di nuovo da sola.

          Ho tirato un sospiro, cercando di calmare il mio cuore che batteva forte. Mi abbassai per prendere lo scialle di mia madre da sotto al letto e premerlo contro il petto, sollevata che le pagliacciate dei bambini non avessero portato alla luce questa solitaria vestigia della mia vita precedente.

          Un groppo mi salì in gola mentre camminavo attraverso la stanza verso la piccola finestra dall’altro lato. Era passato un mese, ed ancora non ero riuscita ad abituarmi a dormire qui—dentro questo spazio chiuso, claustrofobico, con le sue file di lettini e decine di bambini, così lontano dalla natura e dagli elementi.

          A casa, il vento che frusciava le foglie e l'acqua che scorreva sulle pietre del fiume mi cantavano per farmi addormentare. Ora tutto quello che potevo sentire erano i sussurri degli altri bambini, che si raccontavano l’un l’altro storie di paura dopo che le luci venivano spente, solitamente riguardo i ‘perfidi Northuldra’, come se la mia famiglia fosse una specie di mostro magico in agguato sotto i letti, pronti a colpire.

          Alcuni dei bambini dell’orfanotrofio erano stati alla celebrazione per la diga. I loro genitori erano stati uccisi, presumibilmente dalle mani Northuldra. Tutto quello di cui volevano parlare era di come Arendelle avrebbe ottenuto la sua vendetta, di come avrebbero ripagato questi traditori che avevano ricevuto un grande dono e restituito il favore con l'omicidio.

          Sì, il loro re era stato ucciso quel giorno. Credevano che uno dei miei anziani o avesse ucciso, spingendolo giù da una scogliera a fianco della diga. È impossibile che qualcuno dei nostri gentili anziani abbia commesso un atto così violento contro un altro essere umano.

          Ovviamente, non avrei mai detto niente di tutto questo ad alta voce. Invece, rimanevo in silenzio, ricordando l’avvertimento di Lord Peterssen: se avessi parlato e avessi dato un indizio su chi fossi realmente e da dove venivo, non sarebbe più stato in grado di proteggermi.

          Perché non erano solo i bambini a raccontare le storie. Tutti quanti ad Arendelle stavano parlando dei Northuldra ‘traditori’ e di cosa gli avrebbero fatto se mai ne avessero incontrato uno. Se non avessi mantenuto questo segreto, avrei potuto non vivere abbastanza a lungo per ritrovare nuovamente la mia famiglia.

          E li troverò. La mia caviglia era recentemente guarita. Avevo solo bisogno di un po’ più di tempo prima di poter affrontare il peso della lunga camminata verso la nebbia, e poi me ne sarei andata da questo posto. Sarei tornata alla foresta. Ritroverei la mia famiglia.

          Ho guardato fuori dalla minuscola finestra della camera da letto, sulle fredde strade pomeridiane. Leggeri fiocchi di neve cadevano dal cielo, cospargendo i ciottoli sottostanti. L’Inverno era già qui? Era più facile perdere il conto dei giorni chiusi in una scatola di legno. Ma sapevo che presto sarebbe arrivato, ricoprendo il mondo di bianco, il brivido che si insinuava nelle nostre ossa. A casa, ci rannicchiavamo tutti vicino al fuoco nelle fredde giornate invernali, avvolti da montagne di pelli di renna, ci abbracciavamo per tenerci caldi. Ci sarebbero stare storie. Canzoni.

          Mi mancavano soprattutto le canzoni.

          Aprii la bocca per cantare. La canzone di mia madre. Una canzone su Ahtohallan, un fiume magico di ricordi. Solo Ahtohallan lo sa, diceva sempre in risposta alle mie infinite domande.

          Un feroce desiderio è sorto dentro di me. Ahtohallan sapeva cosa è successo il giorno della celebrazione? Desiderai di sapere come trovarlo, per chiederglielo. Ma era molto lontano. Troppo lontano per una giovane ragazza come te, avevano sempre detto gli anziani quando gli chiedevo se mi avrebbero portato al fiume. La mia gola si strinse mentre pensavo a loro, pensando a Yelana che mi chiamava per lavorare a maglia il giorno della celebrazione. Perché non l’ho ascoltata, solo per una volta?

          Un singhiozzo mi è salito alla gola. Mi mancavano tanto. Li avrei mai rivisti di nuovo?

          “Va tutto bene?”

          Mi sono voltata al suono della voce e, con mio stupore, mi sono trovata faccia a faccia con nientedimeno che il ragazzo che avevo salvato nella foresta.

Agnarr.

          Lo fissavo, incredula. Era vestito con un abito rosso acceso con una cravatta abbinata, e i suoi capelli biondi erano tagliati vicino alla testa. Devono averli rasati per poter lavorare sulla sua ferita. Lo facevano sembrare più grande e i suoi occhi color verde foglia più grandi.

          Sentii la mia faccia diventare rossa come il suo abito. Cosa ci stava facendo qui? Non poteva essere uno degli orfani, non con quel completo. Era venuto qui dal villaggio per ringraziarmi del mio salvataggio? Se lo ricordava? Ho scansionato il suo volto per un riconoscimento, ma non ne ho visto nessuno. Pensai a quel momento nel carro, quando aveva fatto scivolare la sua mano nella mia. Ma era fuori di sé. Probabilmente non se lo ricordava.

          Non potrei mai dimenticarlo.

          Indietreggiò, notando lo sguardo sulla mia faccia. “S-scusami!” balbettò. “Non intendevo intromettermi. Ti ho appena sentito cantare, e… Cos’era quella canzone?”

          Non ero sicura di cosa dire. “Solo qualcosa che mia madre era solita cantarmi,” confessai alla fine, anche se non ero certa che questo fosse saggio da ammettere. Era una canzone Northuldra, dopotutto.

          Eppure, qualcosa nel suo volto mi diceva che potevo fidarmi di lui. Almeno un poco.

          “È carina,” disse Agnarr, sembrando improvvisamente malinconico. “Conosco a malapena mia madre. Se n’è andata quando ero un bambino. Diciamo che mio Padre non era esattamente un tipo da storielle.” Fece una risata amara. “Sai come sono i re.”

          Il mio battito è saltato. Suo padre, un re? Ma questo lo renderebbe…

          “Eccola qua, Principe Agnarr. Mi stavo chiedendo dove fosse andato a vagabondare.”

          Un profondo baritono risuonò mentre Lord Peterssen entrava nella stanza. I suoi occhi si sono posati su di me e mi ha regalato un sorriso amichevole. “Oh, bene. Avete già fatto conoscenza. Spero che Agnarr si sia comportato bene,” aggiunse, dando un colpetto ad Agnarr sulle costole. Agnarr lo spinse indietro giocosamente.

          “Io non sono niente se non il ritratto del decoro e della grazia!” dichiarò con orgoglio, ma con un cenno di scherzo nel suo tono. Lord Peterssen sbuffò incredulo.

          Nel frattempo, io stavo fissando i due, la mia mente stava correndo così veloce che riuscivo a malapena a mettere insieme qualche pensiero. Agnarr, il ragazzo che avevo salvato. Era un principe? L’erede al trono di Arendelle?

          Avevo salvato il principe di Arendelle.

          “Vostra—Vostra Maestà,” Balbettai, cadendo in ginocchio mentre cercavo disperatamente di ricordare delle fiabe Arendelliane che avevo letto di come la gente comune salutava i reali, sperando che lo facessi bene.

          Solo che, sembrava avessi sbagliato.

          Agnarr scosse la testa, le sue guance si colorarono. “Oh, ti prego,” borbottò. “Non è necessario.”

          “Mi dispiace,” mi alzai in piedi, la mia faccia bruciava di vergogna. “Io non… voglio dire…”

          Il principe avanzò, allungando la sua mano. L’ho afferrata esitante, cercando di fingere che fosse la prima volta che ci eravamo stretti la mano. “Chiamami Agnarr,” disse. “È un vero piacere conoscerti.”

          “Sono… Iduna,” dissi. Poi ho sollevato le spalle e alzato il mento, comportandomi come se incontrassi dei principi ogni giorno e non fosse davvero un gran problema. “È… un piacere conoscerti anche per me.”

          Ha fatto un cenno sommario, tutto indaffarato. Non era più un ragazzo ferito, ma l'erede legittimo. “Spero che ti trattino bene qui all’orfanotrofio,” continuò. “So che è un po' affollato in questo momento. Molti hanno perso i genitori durante la battaglia della Foresta Incantata—me incluso. Ma stiamo facendo il nostro meglio per prenderci cura di tutti. Io e Peterssen abbiamo chiesto al consiglio di stanziare fondi aggiuntivi per l'ampliamento dell'edificio. Insieme a del cibo in più. E al cioccolato.” aggiunse con un sorriso. “Questa è stata una mia idea.”

          Ripensai al piccolo quadrato di cioccolato che mi aveva passato nel carro. “Davvero una buona idea,” concordai. “Il cioccolato rende tutto migliore.”

          Sembrò sorpreso mentre gli ripetevo le sue parole come un pappagallo. Le sue sopracciglia si incurvarono come se stesse cercando di ricordare. Poi sorrise. “Credo che tu ed io andremo molto d’accordo.”

          Peterssen batté le mani. “Bene. Ora che le presentazioni sono state fatte, è il momento di tornare al castello. Se sei pronta, Iduna?”

          Fissai Lord Peterssen scioccata, incapace di comprendere completamente quello che stava dicendo. “Vuoi che venga al castello?”

          “Sì, naturalmente,” disse in un tono che non lasciava spazio a discussioni. “Ho detto che mi sarei preso cura di te, non è così? Bene, mi scuso se c’è voluto un po’ di tempo per organizzare il tutto. Le cose sono state—tumultuose nelle scorse settimane, come puoi immaginare. Transizioni di potere, tutto questo genere di cose.” Ondeggiò una mano. “Ma ora che la questione è risolta, sono tornato per mantenere la mia promessa. Puoi ancora vivere qui, naturalmente. Ma al castello inizierai anche le lezioni didattiche quotidiane. La tutrice di Agnarr, Miss Larsen, ti insegnerà. È il minimo che possiamo fare per il sacrificio che hanno fatto i tuoi genitori.”

          Lo fissai, la paura che cresceva dentro di me. Il castello? Volevano portarmi al castello? Ogni giorno? Stavano scherzando? Se qualcuno scoprisse chi fossi…

          “I—io non credo di poter…” balbettai.

          “Puoi,” disse fermamente Lord Peterssen. “E lo farai.” Sospirò. “Iduna,” continuò dandomi uno sguardo comprensivo, “So che ci sono stati molti cambiamenti ultimamente. E so anche che per te è stato strano e difficile qui. Ma ti prometto che le cose saranno più facili da qui in avanti. Ora andiamo. Ti porteremo lì adesso e ti faremo fare un piccolo tour. La tua prima lezione sarà Lunedì mattina.”

Iniziai ad aprire la bocca, probabilmente per discutere ancora. Ma in quel momento, i bambini orfani di prima tornarono nella camera. Ora era il bambino che recitava la parte del ‘malvagio Northuldra’, inseguendo la bambina strillante con uno sguardo malvagio nei suoi occhi.

          “Ti ucciderò!” urlò. “Come ho ucciso il re!”

          La faccia di Agnarr diventò pallida. Il mio cuore si agitava mentre percepivo l'angoscia che scorreva nei suoi occhi.

          Poteva essere il principe, ma era anche un ragazzo che aveva perso suo padre. Forse Peterssen si sarebbe fatto avanti e avrebbe detto qualcosa, ma lo anticipai.

          I bambini si sono tuffati di nuovo sul mio letto, lottando l'uno contro l'altro, gridando ancora di magia e di tradimento. Ho marciato verso di loro.

          “Magia?” Mi sono intromessa con un tono esageratamente gioviale. “Chi ha bisogno della magia quando hai il potere del super solletico?”

          Senza avvisare, mi sono buttata, li ho afferrati e gli ho fatto il solletico sotto le braccia. Hanno gridato in segno di protesta, cercando di allontanarsi mentre imploravano pietà, non diversamente dai bambini Northuldra. La tortura del solletico, sembrava, fosse universale.

          “Lasciaci andare!” urlò il bambino. “Per favore!”

          “Abbiamo le faccende da fare!” ridacchiava la bambina, togliendomi la mano.

          “Faccende?” Ho ripetuto con la voce più innocente possibile. Li lasciai andare, rialzandomi in piedi. “Perché non l’avete detto? Non voglio certamente impedirvi di fare le vostre faccende!”

          “Sì, faccende!” concordò la bambina, con uno sguardo sollevato sulla sua faccia. “Andiamo, Peter. Andiamo a fare le nostre faccende!”

          Scesero dal letto, quasi scontrandosi con Agnarr mentre si dirigevano verso le scale. Li osservò andarsene, la sua faccia ancora pallida. Ma poi si girò verso di me.

          E sorrise.

          Era un sorriso così luminoso che sembrava illuminare l’intera stanza. Peterssen era in piedi dietro ad Agnarr, facendo un cenno di approvazione per come avevo gestito la situazione.

          Sorrisi timidamente al principe. “Lasciate che prenda il mio cappotto.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Sei

 

Agnarr

 

 

 

 

 

E QUESTO È IL MIO BIS-BIS-BIS-bisnonno Eric. Guarda che baffi! A proposito di obiettivi dei capelli! E laggiù—la bisnonna Else. Ho sempre pensato che fosse una bella signora. Il tipo che avrebbe portato di nascosto i biscotti ai suoi nipoti quando i genitori non guardavano.”

          Ho dato un’occhiata a Iduna, che fissava i quadri nella stanza dei ritratti della mia famiglia, un'espressione educata ma altrimenti illeggibile sul suo volto. La stavo annoiando? Stavo parlando troppo?           Probabilmente stavo parlando troppo. Ma chi poteva biasimarmi? Dopo la tragedia della diga, hanno chiuso tutti i cancelli del castello, e solo il personale essenziale è rimasto all'interno. E Lord Peterssen non era stato così desideroso di lasciarmi girovagare nel villaggio senza scorta, dichiarando che era troppo pericoloso visto il clima politico attuale.

          Quando un re muore, un regno potrebbe attraversare un periodo di disordini. I paesi vicini potrebbero iniziare a ficcare il naso in giro, in cerca di debolezze. Anche all’interno del regno, qualche ambizioso pronipote o nipotina dell'ex re potrebbe iniziare a farsi illusioni di grandezza e decidere di avere una sorta di pretesa al trono. Se solo quel fastidioso figlio del re non fosse d'intralcio…

          Per non parlare dei Northuldra, che erano diventati i nemici numero uno ad Arendelle. E se stessero, anche ora, si chiedevano le persone, raccogliendo le loro forze e prepararsi a guidare un attacco al nostro regno—per finire quello che aveano iniziato nella loro terra?

          Tutto sembrava completamente impossibile da credere, ma come diceva sempre Peterssen, meglio essere al sicuro che morti. Fino a quando tutte le potenziali minacce non fossero state scoperte, dovevo rimanere dentro ai cancelli del regno e mi era permesso uscire se scortato da un plotone completo di guardie.

          Il che voleva dire che mi ero arrampicato sulle mura nelle ultime settimane. Completamente annoiato e solo. Ora, per la prima volta da sempre, avevo qualcuno con cui parlare.

          Certamente, non faceva male che questo qualcuno avesse la chioma più lucida che avessi mai visto e occhi come il cielo in un giorno d'inverno senza nuvole. Non che importasse o altro. Era solo una constatazione.

          Mi sono scrollato di dosso quest'ultimo pensiero e ho sorriso a Iduna, sperando che fosse un bel sorriso e che non fosse leggermente squilibrato. Non aveva parlato molto da quando era arrivata qui, un volto illeggibile ma sicuramente teso, con gli occhi che sfrecciavano intorno ad ogni stanza in cui entravamo come se la valutasse per un potenziale pericolo. Aveva senso: dopotutto, era passato solo un mesa da quando aveva perso i suoi genitori in una battaglia inaspettata. Era difficile sentirsi al sicuro dopo essere passati attraverso cose del genere.

          Lo sapevo per esperienza.

          Ohh! Dovrei mostrarle la biblioteca. Mi chiesi se le piacesse leggere. C’erano così tanti bei libri nella nostra biblioteca. Libri con ogni genere di avventure che giacevano tra le pagine, come finestre per un altro mondo. Mondi che io, come principe ereditario ed erede al trono, probabilmente non avrò mai la possibilità di visitare nella vita reale dato che i cancelli sono attualmente chiusi.

          Ma nessuno poteva impedirmi di leggere cose al riguardo.

          Le persone credevano che essere un principe fosse cosa affascinante. Ma in un certo senso, era come essere in prigione. La responsabilità verso il mio regno veniva sempre prima dei miei stessi desideri. E le avventure? Era troppo pericoloso perfino pensarci. Perché se dovessi morire, tutto il regno soffrirebbe.

          Come adesso, dopo la morte di mio padre. Ci sarebbero voluti anni prima che Arendelle si riprendesse completamente. O almeno, era quello che aveva detto il consiglio, durante il nostro ultimo incontro. Peterssen era un leader competente, ma non era un re. E le nostre armate erano state impoverite dalla battaglia nella Foresta Incantata, lasciandoci vulnerabili. Il consiglio credeva che avremmo dovuto chiedere aiuto ad altri regni; il regno di Vassar, per esempio, aveva un armata enorme. Forse avrebbero potuto convincerli ad aiutarci se ne avessimo avuto bisogno.

          Alla fine questo era quello su cui il consiglio aveva discusso per oltre un’ora e mezza all’incontro. Che era stato così noiosamente monotono che mi ero quasi addormentato tre volte. Chi avrebbe mai pensato che essere un grande leader poteva essere così noioso?

          Ma adesso—ora avevo Iduna.

          Afferrai la sua mano. “Andiamo!” dissi. “Ho qualcosa di incredibile da mostrarti.”

          I suoi occhi si spalancarono alla presa della mia mano nella sua, ma dopo un momento si lasciò trascinare da me.

          “Ta-da!” urlai mentre spalancavo le porte della biblioteca.

          Per un attimo, Iduna non disse nulla, la sua bocca si aprì.

          “Ti piace?” chiesi.

          Camminò all’interno della stanza, sprofondando su uno sgabello imbottito vicino. “Questi sono tutti… tuoi libri?” chiese, i suoi occhi azzurri si spalancavano mentre osservavano gli scaffali torreggianti.           “Tutti questi?” Quando annuii in risposta, i suoi occhi si riempirono inspiegabilmente di lacrime.

          Non era certo la reazione che speravo. “Iduna, cosa c’è?” chiesi.

          I suoi occhi sfrecciavano in tutte le direzioni, guardando ovunque tranne che verso di me. “Mia… madre, avrebbe adorato questa stanza,” bisbigliò alla fine. “Aveva un libro. Lo usava per insegnarmi a leggere.” La sua voce era dolce e lontana e triste.

          Ma certo. Che stupido che sono stato! Mi sono inginocchiato davanti a lei. “Mi dispiace,” dissi, cercando di fare in modo che lei incontrasse il mio sguardo. “Non stavo cercando di sconvolgerti. O di ricordarti dei tuoi genitori.”

          Ho protestato interiormente per il mio tentativo di scusarmi. Seriamente, Agnarr? Sei il peggiore. Dovresti cercare di tirarla su di morale. Invece l’hai fatta piangere.

          “Non dobbiamo guardare questi,” aggiunsi velocemente, alzandomi in piedi. “Sono comunque un po’ ammuffiti. Vuoi vedere le cucine? Scommetto che Olina ha finito i dolci per il banchetto di stasera. E sono molto bravo a distrarla per un test del gusto avanzato.”

          Mi ha fatto un sorriso strano. “Forse più tardi,” disse. “Non sono molto affamata in questo momento.”

          Argh. Non stavo andando da nessuna parte. Mi sfregai la testa, frustrato, i capelli rasati come l'erba ispida tra le mie dita. “Vuoi che ti lasci da sola?” Mi sfuggì. Era l’ultima cosa che volevo fare. Ma non volevo che lei pensasse che non avessi capito l’antifona. Peterssen mi aveva detto di essere paziente—che potrebbe volerci un po' di tempo per lei per uscire dal guscio. Probabilmente avevo esagerato un po’.

          Si alzò in piedi, camminando fino al largo tavolo circolare in legno al centro della stanza, fermandosi di fronte ad esso e abbassando lo sguardo. Troppo tardi realizzai che era pieno di cianografie della diga che mio padre aveva costruito, sparse per tutta la superficie. I piani che avevano dato inizio ad ogni cosa, disegnati molto tempo prima che io nascessi, quando mio padre e la sua gente erano arrivati la prima volta ad Arendelle.

          Passò una mano sopra le carte. “Cosa pensi sia accaduto quel giorno?” chiese, in un tono così delicato che a malapena riuscivo a sentirla.

          Mi avvicinai, fissando le carte. “Non lo so,” dissi dopo un minuto. “Era iniziata come una giornata perfetta. La Foresta Incantata era così bella. Tutti si stavano divertendo. Ridevano, scherzavano. E poi… non più.” Deglutii mentre i ricordi di quel giorno ritornavano in mente. La puzza di fumo. Spade che si scontrano. Persone che urlano. Il vento che soffia.

          Mio padre che precipita verso la morte.

          “Credi che i Northuldra ci abbiano traditi?” chiese improvvisamente, girandosi verso di me. I suoi enormi occhi azzurri sembravano scavami dentro, come se cercassero di sbirciare nella mia anima. “Pensi che abbiano attaccato per primi?”

          Era, ovviamente, la stessa domanda che ognuno si poneva da quell’infausto giorno. Ma in qualche modo suonava in modo diverso dalla sua bocca. Soprattutto perché è stata la prima che sembrava volesse davvero una risposta, invece di usare la questione come preambolo per farneticare suo Northuldra e la loro vile magia.

          “Non lo so,” dissi alla fine, mantenendo bassa la mia voce in modo che nessuno potesse accidentalmente sentirci nel caso passassero di lì. Ero il principe ereditario di Arendelle, dopotutto. Il che significava che dovevo restare con la mia gente, a prescindere. Ed io credevo in loro. Arendelle era un buon regno. Le persone erano gentili con i loro vicini. Aiutavano gli altri che avevano bisogno. Ma comunque, non aveva nessun senso per me. Perché i Northuldra ci avrebbero attaccato dopo che gli avevamo fatto un così grande dono?

          Ma poi, perché avremo dovuto attaccarli noi?

          Iduna alzò lo sguardo verso di me e realizzai che i suoi occhi erano nuovamente pieni di lacrime. “Qualcuno è tornato indietro?” chiese, la sua voce traballava. “Per vedere cosa è rimasto? Chi è sopravvissuto? I Northuldra sono stati distrutti?”

          Oh! I miei occhi si spalancarono. Lei non lo sapeva! Ma certo che non lo sapeva. Nessuno al di fuori del castello ne ha idea. Erano già troppo arrabbiati, anche senza sapere della nebbia magica; Lord Peterssen non voleva causare il panico.

          Le feci cenno di seguirmi. Non potevamo parlare di qualcosa di così importante qui, nel centro del castello. C’erano fin troppi occhi ed orecchie, in agguato dietro ogni angolo. Sarebbe stato più sicuro parlare nel giardino del cortile interno, a discapito del freddo. Difficilmente qualcuno esce fuori in questi giorni, specialmente da quando Peterssen aveva messo i giardinieri a riposo quando ha chiuso il castello.

          Siamo usciti fuori, nel cortile. Tutto era nodoso e sterile negli spasimi dell'inverno. Ma ho ignorato il tutto, portando Iduna direttamente al mio albero preferito. Il mio albero di lettura, l’avevo soprannominato, dato che passavo tanto tempo, fin da piccolo, seduto sulla piccola panchina sottostante, a sfogliare libri.

          “Vuoi sederti—?” iniziai a chiedere. Ma con mia sorpresa, aveva già cominciato a dondolarsi sull'albero stesso, tirandosi facilmente con le mani per raggiungere i rami più alti. Ho guardato, ipnotizzato per un attimo dai suoi movimenti aggraziati e felini, poi ho deciso di unirmi a lei, sollevandomi—anche se in modo molto più maldestro—su uno dei rami più bassi. Qualche momento dopo, è tornata indietro lentamente al mio livello, sistemandosi con grazia su un ramo vicino. Era come se fosse un uccello che aveva vissuto tra gli alberi per tutta la sua vita.

          Si chinò verso di me in attesa, “Allora, cosa c’è?” mi sollecitò.

          Mi morsi il labbro inferiore. “Ascolta, devi mantenere questa cosa segreta, okay? Non stanno raccontando la verità a tutti. Sono troppo spaventati che causerebbe il panico.”

          “Cosa?”

          “La Foresta Incantata. È… coperta nella nebbia.”

          I suoi occhi si spalancarono. Ma stranamente non sembrava sorpresa.

          “Dicono che sia magica,” aggiunsi. “Sembra proprio che si possa attraversare, ma non si può. E se ci si prova, si viene respinti indietro. Nessuno può entrare. E… beh, credo che nessuno possa nemmeno uscirne.”

          Ha strappato un ramoscello da un ramo, piegandolo in mano. La sua faccia divenne pallida. “Quindi pensi che le persone siano ancora lì dentro? Vive?” chiese.

          Improvvisamente capii perché era così interessata. Lord Peterssen aveva detto che i suoi genitori erano stati uccisi nella battaglia. Ma se invece non lo fossero? E se fossero rimasti intrappolati nella nebbia? Come speravo lo fosse il Tenente Mattias.

          “Non lo so,” ammisi. “Ma credo ci sia una possibilità. Non che importi. A meno che la nebbia non si sollevi un giorno, non sapremo mai cosa c'è dentro. Tutto quello che possiamo fare è sperare che—”

          “Voglio vederla.”

          Ho sbattuto le palpebre, non capendo cosa volesse dire.

          “La nebbia,” ha chiarito alla mia espressione confusa. “Sai dove si trova? Potresti accompagnarmi?” I suoi occhi blu lampeggiavano di fuoco interiore.

          Scossi la testa. “Non è così facile. Per una ragione, è veramente troppo lontano. Tipo più di un giorno di viaggio. E Lord Peterssen e i soldati non ci permetterebbero mai di andare. Siamo solo ragazzini. È troppo pericoloso.”

          L’espressione sulla sua faccia era così feroce che mi è passato un brivido che non aveva nulla a che fare con il freddo pungente. “Devo vederla,” dichiarò. “Possiamo partire stasera.”

          La fissai incredulo. Chi era questa ragazza? Da un lato sembrava completamente pazza, ma non ho potuto fare a meno di ammirare il suo coraggio. Non avrei mai pensato di suggerire qualcosa di così audace.

          E, sfortunatamente, non potevo unirmi a lei.

          “Mi dispiace, non posso. Non che non voglia farlo,” aggiunsi velocemente, dopo aver colto un lampo di frustrazione sul suo volto. “È solo che mi tengono sotto sorveglianza tutto il tempo; controllano perfino la mia camera da letto quando dormo. Riesco a malapena ad andare alla Pasticceria di Blodget per comprare i biscotti con un esercito al seguito.”

          Annuì lentamente, poi scese in modo fluido dall’albero. La fissavo attraverso i rami, sentendo il mio cuore che mi faceva male inaspettatamente, mentre le coglievo le spalle abbassate e il capo chino.

          L’avevo delusa, questa ragazza che aveva già perso tutto. Ma qualcosa nell'essere quello che le ha causato ulteriore dolore mi faceva sentire un peso che era quasi troppo da sopportare.

          “Mi dispiace,” dissi ancora, scendendo dall’albero. “Forse una volta che le cose si alleggeriranno un po', posso far in modo che accada qualcosa. Potremmo formare un convoglio. Viaggiare insieme.

          “Certo,” disse assente mentre ci giravamo per rientrare nel castello. Ma si vedeva che mi aveva già liquidato nella sua mente. Il che mi faceva ancora più male di quello che volevo ammettere. E improvvisamente tutto quello che volevo fare era trovare un qualche modo di aiutarla con la sua missione.

          Ma al momento, ciò sembrava ancora più impossibile di riuscire a separare la nebbia stessa.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Sette

 

Iduna

 

 

 

 

 

SONO SGATTAIOLATA FUORI DA ARENDELLE TARDI QUELLA notte, oltre il ponte e verso le colline, armato solo di una borsa piena di pane e formaggio, il cavallo che avevo ‘preso in prestito’ dalle stalle poco al di fuori dell’orfanotrofio mentre tutti stavano dormendo, e una vecchia mappa che avevo trovato nella biblioteca di Arendelle, che avevo usato per tracciare il mio percorso. Ero nervosa, un po’ emozionata, ma per lo più congelata, mentre salivamo le colline e la temperatura continuava a scendere.

          Non amavo l’idea di viaggiare da sola. Sapevo che era pericoloso. Gli anziani ci avevano sempre fatto la predica sull'andar via da soli. Erano grandi credenti nella forza nei numeri. Se solo Agnarr avesse accettato di venire con me. Avrei potuto dire che voleva, anche se non poteva. Che era ridicolo, giusto? Un principe dovrebbe essere in grado di fare quello che gli pare. E invece sembrava intrappolato nel castello tanto quanto la mia famiglia lo era nella nebbia.

          La nebbia… Ci sarei rimasta intrappolata anch'io, se non fossi tornata di corsa al campo Arendelliano per lo scialle di mia madre?

          Se non mi fossi fermata per salvare Agnarr…?

          Non sapevo se considerarmi fortunata o meno. Da che parte della nebbia volevo stare? Intrappolata nella Foresta Incantata, ma con la mia famiglia? O libera in questo strano nuovo mondo dove devo nascondere chi sono?

          Scossi la testa. Quello che volevo non cambiava nulla. Il fatto era che io ero all’esterno, e avevo bisogno di vedere la nebbia con i miei occhi. Forse se ci andassi, potrei chiamare Zefiro e gli altri spiriti. Forse loro avrebbero potuto darmi delle risposte riguardo a quanto successo. E quanto a lungo sarebbe durata questa apparente maledizione.

          Mentre il mio cavallo attraversava una lunga e sterile pianura, la neve iniziò a scendere dal cielo. Grandi fiocchi piatti che mi sono caduti a mucchi sui capelli e sui vestiti. I vestiti Arendelliani che avevo indosso erano una debole difesa contro le estreme condizioni atmosferiche, e desideravo tanto le vecchie pelli di renna che usavo a casa per riscaldarmi.

          Ma ho continuato ad insistere. Ero una Northuldra, dopotutto. Sapevo come vivere tra gli elementi. Questo non era nulla che non avessi già affrontato prima. Anche se… mai da sola prima.

          Un lupo ululò nella distanza e io inspirai in modo brusco.

          Era quasi l’alba quando raggiunsi finalmente la fine della mappa—una grande radura vuota appena fuori dalla foresta, priva di alberi. Conoscevo il posto—mia madre era solita portarmi qui quando ero piccola per vedere le quattro pietre monolitiche che si alzavano verso il cielo. Mi ricordai che mi aveva spiegato i simboli che erano incisi nelle pietre. I quattro spiriti: terra, fuoco, acqua, e vento—ognuno con il potere di aiutare i Northuldra con la loro vita quotidiana, così a lungo abbiamo rispettato loro e la loro madre, il possente fiume Ahtohallan.

          Ma quel giorno le pietre erano scomparse. Erano completamente sparite dietro fumose nuvole grigio-blu grigiastre, spesse come una zuppa e completamente opache, che volteggiano in una tempesta perfetta e si innalzano in alto nel cielo.

          Eccola. La nebbia.

          Scesi dal mio cavallo, il mio cuore batteva mentre mi avvicinavo. Quando l'ho raggiunta, tutto il mio corpo tremava di trepidazione. Ho allungato la mano, sfiorando le nuvole con la punta delle dita. La nebbia mi ha spinto via, come se non potesse sopportare il mio tocco. E quando ho cercato di passarci attraverso, sono stata spinta indietro.

          Fissai la nebbia, la mia mente correva con orrore. Quindi era reale. Ma come? Gli spiriti avevano in qualche modo evocato la nebbia per tenere la gente fuori dalla loro foresta? O per tenere le persone all’interno? Era per proteggere i Northuldra? Gli Arendelliani? La foresta stessa?

          O era per punirli? Noi. Tutti.

          Molto più importante, quanto a lungo sarebbe durato? Questa era una cosa temporanea? O sarebbe durato per sempre?

          Mi sono alzata in piedi, la determinazione mi ha indispettito. Forse bastava solo un po' più di forza. Sono indietreggiata, poi sono corsa in avanti, più forte che potevo verso la nebbia.

          BAM!

          Ho colpito il terreno freddo con forza mentre la nebbia mi sollevava e mi lanciava all'indietro come una bambola di pezza. Determinata, saltai di nuovo in piedi, avanzando di nuovo in carica, questa volta tenendo le braccia in fuori, pronta a spingerla via con entrambe le mani.

          Ma la nebbia respinse ancora una volta la mia avanzata. Ho volato per aria, poi sono caduta senza tante cerimonie, atterrando con forza sulla mia caviglia recentemente guarita. Si è piegata sotto di me e ho gridato mentre fitte di dolore mi passavano su per la gamba.

          Crollai, stringendo la mia gamba in agonia. Le lacrime mi riempivano gli occhi e le ho asciugate con rabbia. Cercai di alzarmi, ma la mia caviglia sbraitava dal dolore e mi sono resa conto che non potevo più metterci il peso. Anche il gonfiore era già il doppio della sua dimensione normale, con la pelle che aveva assunto una tonalità violacea. Ho stretto la mano in un pugno e l'ho sbattuta a terra in preda alla frustrazione.

          “Perché?” chiesi, alzando lo sguardo verso la nebbia. “Dimmi perché, adesso!”

          Ma non ci fu risposta. La nebbia ha solo fatto roteare le sue infinite nuvole grigie. Bloccandomi dalla mia sola casa. La mia famiglia, i miei amici, completamente isolati da tutti.

          La disperazione si è depositata come un grosso peso nello stomaco. Cosa sarebbe successo dopo? Sarei dovuta tornare indietro ad Arendelle, continuando a vivere nella menzogna? Lasciarmi indietro tutto quello che conoscevo ed amavo? Diventare completamente qualcun altro?

          Figlia di Greta e Torra. Chiunque fossero.

          Mi sono seduta, strofinando la caviglia dolorante. Ho guardato con amarezza la nebbia. “Non potevi darmi un'altra persona?” Ringhiai. “Almeno una?” Perché dovevo essere stata l’unica Northuldra a fuggire?

          Perché hai scelto un’altra strada, immaginai che mi rispondesse. Hai scelto di salvare il tuo nemico.

          Mi accigliai davanti alla nebbia. “Cos’altro avrei dovuto fare?” domandai. “Lasciarlo lì a morire?”

          Se la nebbia aveva una risposta, decise di non condividerla con me.

          Mi avvolsi le braccia intorno al petto, tremando. Il sole era sorto ma i suoi raggi del mattino erano a malapena visibili dietro alle fitte nuvole temporalesche. Presto sarebbe iniziato nuovamente a nevicare; lo potevo sentire nell’aria. La temperatura era scesa ulteriormente e il vento aveva ripreso a soffiare, le raffiche di ghiaccio mi pungevano le guance e il naso. Avevo bisogno di tornare all’orfanotrofio prima che la mia assenza venisse notata.

          Stringendo i denti al dolore, cercai ancora di alzarmi in piedi. Ma la caviglia non ce la faceva, obbligandomi a cadere di nuovo verso il terreno duro e freddo.

          Nella distanza, un lupo ululò, seguito da un altro.

          Disperata, ho alzato la mia voce al cielo, cercando di chiamare Zefiro. “Ah ah ah ah!

          Lo Spirito del Vento c’era sempre stato per me in passato. Si precipitava per salvarmi ogni volta che mi trovavo nei guai.

          Ma quel giorno le mie ripetute chiamate rimasero inascoltate. E solo un vento arrabbiato e ostile ululava tra gli alberi, raffreddandomi fino all'osso. Anche Zefiro era intrappolato dietro la nebbia? O lo Spirito del Vento era semplicemente arrabbiato con me?

          Il pensiero mi rendeva triste. Per molti versi, lo Spirito del Vento era stato il mio migliore amico. Il mio solo vero amico. Mi aveva davvero abbandonato? Sarebbe mai tornato?

          Sarei stata viva quando fosse successo?

          Solo Ahtohallan lo sa…

          La voce di mia madre si innalzò ancora una volta nel mio cuore mentre fissavo la nebbia impenetrabile. Una disperazione schiacciante cominciò a pesare sul mio petto. Le persone che amavo erano lì dietro quel muro. Ed io ero bloccata all’esterno assolutamente da sola.

          Ma non ero ancora morta.

          Facendo una smorfia, mi costrinsi a mettermi in ginocchio, ignorando il dolore che mi saliva alla gamba. Ho iniziato a strisciare in giro per l'inesorabile ambiente, raccogliendo mucchi di foglie e piccoli bastoncini e sistemandoli in un piccolo mucchio. Ho allungato la mano nella mia borsa, grata di essermi almeno ricordata di portare la mia pietra focaia. A casa, avrei semplicemente chiamato Bruni, lo Spirito del Fuoco, per aiutarmi ad accendere il fuoco. Ma gli anziani insistevano che dovevamo imparare anche a creare una scintilla nella maniera umana, solo nel caso in cui Bruni—il cui temperamento potrebbe essere caldo come il suo fuoco—non fosse dell’umore di aiutare. Oppure, sai, fosse rimasto intrappolato dietro ad una nebbia magica in questo caso. Per fortuna avevo prestato attenzione.

          Rannicchiata vicino alla piccola pila, ho colpito insieme la pietra focaia, come mi era stato insegnato a fare. Non successe nulla all’inizio. Poi ci fu una scintilla di luce che si spense rapidamente sulle foglie umide con il primo soffio di neve. Infine, sono riuscito a creare una piccola fiamma con una sola foglia secca. La fiamma si è propagata alla foglia successiva e poi un ramoscello. Il crepitio era un allegro contrasto con l'ambiente desolato.

          Avevo il fuoco. Uno piccolo—Bruni avrebbe sorriso alla sua debole fiamma—ma era meglio di nulla. Ci ho tenuto sopra le mie mani gelide, scaldandole al meglio. Mentre il calore che ne derivava si diffondeva attraverso la punta delle dita, un piccolo brandello di speranza si alzava nel mio cuore. I lupi in lontananza ululavano ancora, ma li ignorai questa volta, invece annegai le loro voci con una mia canzone.

          Fin quando non udii un rumore dietro di me.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Otto

 

Iduna

 

 

 

 

 

HO CHIUSO LA BOCCA, GIRANDOMI attorno, il mio cuore in gola a causa del rumore improvviso. Una figura pesantemente vestita è entrata in vista cavalcando un alto cavallo bianco. All’inizio pensai che doveva essere un’illusione—il tipo di allucinazione che uno vede prima di morire congelato. Ma quando sbattei gli occhi, la figura era ancora lì.

          Era Agnarr.

          “Scusa per il ritardo,” disse con un sorriso timido.

          L’emozione mi travolse prima ancora che potessi fermarla. Era venuto! Era venuto davvero. Non che avessi bisogno di lui, naturalmente, mi rimproverai. Ovviamente. Non ero certo una donzella in difficoltà di uno di quei libri Arendelliani, che ha bisogno di essere salvata da un bellissimo principe.

          Eppure, non riuscivo a fermare la fontana della gioia che sgorgava dentro di me mentre lo guardavo avvicinarsi con il suo cavallo. Non ero più sola.

          Ho sussultato mentre scendeva dal cavallo e si dirigeva verso di me.

          “Va tutto bene?” chiese, il suo sorriso che spariva mentre si avvicinava a me e osservava la mia caviglia gonfia. Il mio patetico piccolo fuoco.

          “Sto bene,” dissi velocemente, anche se era ovvio che non lo fossi. “Pensavo che non saresti venuto,” aggiunsi. “Pensavo che non ti avrebbero permesso di lasciare il castello.”

          “Eh,” scrollò le spalle. “Credo che in questo caso potrebbe essere meglio chiedere perdono invece del permesso.” La sua bocca si increspò. “Comunque, tutti probabilmente penseranno che mi sono ritirato nella mia stanza a leggere un buon libro, come al solito. Non inizieranno a cercarmi per anni.”

          L'ho guardato mentre camminava verso la nebbia, trascinando una mano sulla sua superficie, con gli occhi spalancati come dischi. “Quindi è questa,” si meravigliò. “La nebbia magica di cui tutti stanno parlando.”

          “Non cercare di camminarci attraverso,” lo avvertii con malevolenza. “Potrebbe sembrare nebbia, ma è solida come una roccia.”

          “Ci hai camminato attorno? Hai visto se ci sono delle aperture?”

          Ho scosso la testa. “Ma se ci fossero state, le persone sarebbero già uscite adesso, non credi? Sarebbero già tornate ad Arendelle.”

          “Già,” il suo sorriso scomparve. “Immagino tu abbia ragione.”

          Un'altra folata di vento soffiava nella radura e io tremavo violentemente, il freddo che mi penetrava nelle ossa nonostante il calore del fuoco. Agnarr lo notò immediatamente ed abbandonò la nebbia, camminando verso di me e togliendosi il suo spesso mantello di lana, avvolgendolo poi sulle mie spalle.

          “Prenderai freddo,” protestai.

          Lui ondeggiò la mano. “Il freddo non mi da fastidio.”

          “Bugiardo,” lo accusai mentre il suo corpo lo stava tradendo con un feroce, divorante brivido. Sorrideva timidamente.

          “Okay, va bene. Odio il freddo. Ma non rivoglio indietro il mio mantello.”

          “Allora vieni a condividerlo con me,” dissi, invitandolo. “Questa cosa è enorme. Sono sicura che ci potrà scaldare entrambi.”

          Qualcosa è balenato sul viso di Agnarr che non ho riconosciuto, ma dopo un attimo di pausa, ha ceduto e si è abbassato per raggiungermi vicino al fuoco, strisciando sotto la stoffa spessa. L'ho tenuta aperta e l'ho avvolta intorno al suo corpo. Potevo sentire le sue spalle che premevano contro le mie, e una strana sensazione mi attraversava lo stomaco. A casa, la mia famiglia si era sempre rannicchiata insieme nelle notti fredde, usando il nostro calore corporeo condiviso per tenere caldo. Questo non era molto diverso, no?

          Solo che in qualche modo lo era. Sembrava molto diverso.

          “Avvicinati,” dissi scherzando, cercando di cancellare l’improvvisa tensione. Era quello che solitamente dicevamo a casa. “C’è un sacco di spazio per due.”

          “Non sono sorpreso,” rispose, avvicinandoci al fuoco. “Era il mantello di mio padre. Era un uomo robusto.”

          Si allontanò, il suo sguardo tornava alla nebbia. Uno sguardo di nostalgia gli comparve sul viso. Mi ha colpito il fatto che non ero stata la sola che aveva perso qualcuno quel giorno. Agnarr aveva perso suo padre. E probabilmente anche altri.

          “Ti manca?” ho chiesto. “Tuo padre.”

          All’inizio non mi rispose, ancora a fissare la nebbia grigia e vorticosa. Poi fece un lungo sospiro. “Mio padre ed io avevamo un… rapporto… complicato. Avevamo litigato quel giorno alla diga. Era arrabbiato con me per essere scappato via per esplorare. Ha detto che mi comportavo come un bambino, non come principe.” si accigliò. “Mi ha rimproverato davanti a tutti—tutti i soldati e le fanciulle dello scudo. Ero imbarazzato. Arrabbiato, anche. Sono stato arrabbiato con lui per molto tempo. Era come se niente di quello che facevo fosse abbastanza per lui. Che desiderasse avere un figlio migliore.” sbuffò un respiro, come se stesse per dire qualcosa che non era certo andasse detto ad alta voce. “La verità è, per quanto mi manchi, penso di essere ancora molto arrabbiato con lui.”

          Spostò lo sguardo sulle sue mani. Il mio cuore era in preda alle emozioni contrastanti che vedevo sul suo volto. Quando alzò lo sguardo per guardarmi di nuovo, i suoi occhi erano pieni di lacrime non versate. “Ma mi sento anche colpevole. Se non avessimo litigato quel giorno, sarei stato al suo fianco quando tutto è successo. Forse avrei potuto aiutare. Forse avrei potuto salvarlo.” La sua voce era rotta. “Forse non sarebbe morto.”

          Concordai lentamente, non confidando nella mia voce. Pensai anche al mio ultimo giorno nella foresta. Yelana che mi chiamava per le mie lezioni. Se l’avessi ascoltata, non avrei mai trovato Agnarr. Non sarei qui, adesso, avvolta nel mantello di suo padre, con le sue spalle calde appoggiate alle mie.

          Sospirai rassegnata. Per quanto lo volessi, non potevo pentirmi di quello che avevo fatto. E sapevo, nel mio cuore, che lo avrei fatto comunque, anche conoscendo il rischio. Non meritavo di rimanere bloccata lontano da quelli che amavo. Ma Agnarr non meritava di morire da solo sul terreno della foresta perché aveva litigato con suo padre. Qualsiasi cosa sia successa quel giorno per far arrabbiare gli spiriti e aveva causato tutto questo, non era colpa sua. Nemmeno mia. E mentre possiamo essere su due fronti diversi di questa battaglia, abbiamo entrambi perso molto. I nostri amici. La nostra famiglia. Il nostro posto nel mondo. In uno strano modo eravamo molto più simili che diversi.

          “Facciamo un patto,” dichiarò. “Torneremo qui due volte all’anno. Ogni Primavera e Autunno,” aggiunse. “Verremo fin qui e controlleremo la nebbia. Forse inizierà a svanire gradualmente. Forse inizieremo a trovare punti deboli. Forse alla fine troveremo un posto dove poter passare.” I suoi occhi brillavano mentre parlava, e mi sono ritrovata a farmi travolgere dalla sua speranza, per quanto ingenua.           La nebbia che si dirada. Noi che passiamo.

          Le nostre famiglie, i nostri amici, che ci salutavano dall’altra parte.

          Istintivamente, ho allungato la mano, stringendo la sua mano nella mia e stringendola forte. Si girò verso di me, i suoi occhi brillavano.

          “Quindi, questo è un sì?” chiese. “Torneremo tra sei mesi?”

          Annuii solennemente. “Sei mesi,” concordai, prima di tremare ancora. “Anche se la prossima volta porterò un cappotto molto più caldo.”

          “Ed io porterò la cioccolata,” aggiunse Agnarr con un sorriso malizioso. “Una tonnellata di cioccolata.”

          E proprio così, avevo trovato il mio primo amico dall'altra parte della nebbia.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Nove

 

Iduna

Quattro anni Dopo

 

 

 

 

E QUINDI, ECCOCI QUA! LA NOSTRA OTTAVA ESCURSIONE BIENNALE verso la gloriosa, ma ancora ostinatamente nebbiosa Foresta Incantata!” dissi, mentre salivo sul carro accanto ad Agnarr.

          Ha mosso le redini dal posto di guida e i due cavalli sono entrati in azione, il carro che sbandava nella loro scia prima che io fossi seduta correttamente. Ho urlato in segno di protesta, afferrando il braccio del principe per evitare di cadere del tutto.

          “Qualcuno ha un po’ di fretta,” scherzai dopo aver ripreso l’equilibrio. Lo spinsi giocosamente nella direzione opposta, per dargli un assaggio della sua stessa medicina.

          “Sono solo sollevato di essere finalmente sulla nostra strada!” dichiarò. “Siamo in ritardo di tre settimane questa Primavera, lo sai!”

          “Oh, mi dispiace tanto, Vostra Maestà,” replicai, ruotando gli occhi. “Alcuni di noi devono lavorare, lo sai. Non possiamo mollare tutto per andare nelle foreste incantate, volenti o nolenti.”

          Circa un anno fa, avevo iniziato l’apprendistato sotto un inventore di nome Johan, che stava lavorando per trovare un modo di sfruttare il potere del vento per cercare di creare una fonte di carburante naturale per i mulini per cereali e le pompe per acqua. Era un lavoro affascinante, ed è venuto fuori che anch'io ero brava a farlo. Dopotutto, ne sapevo qualcosa riguardo il potere del vento.

          Nelle scorse settimane avevamo avuto condizioni meteorologiche eccezionali causate da un'inaspettata tempesta di tarda primavera che ha soffiato raffiche di vento glorioso nel nostro fiordo, quindi quando non stavo continuando i miei studi sotto l’occhio attento ed esigente di Miss Larsen al castello, continuavo a lavorare ogni momento libero. Non è stato facile trovare il tempo di uscire.

          Agnarr mi diede uno sguardo finto offeso. “Anche io lavoro sodo, lo sai.” mi ricordò. “Arendelle non si governa da sola.”

          “Lo so, lo so,” gli assicurai, dandogli una pacca confortante. “Pesante è la testa che porta la corona.”

          Anche se Lord Peterssen stava ancora agendo come regnante per i prossimi tre anni—fino a quando Agnarr non fosse salito al trono—il giovane principe aveva tonnellate di responsabilità verso il suo regno. E queste sembravano crescere di giorno in giorno. Agnarr partecipava a tutte le riunioni del consiglio, dove si discuteva degli affari di Stato, e ascoltava le petizioni degli abitanti di Arendelle ogni settimana. Era sempre paziente, ascoltava attentamente, cercando di trovare soluzioni ragionevoli. E le persone lo amavano per questo. Li sentivo costantemente cantare le lodi del re imparziale, razionale e intelligente che presto sarebbe diventato mentre camminavo per la città. Mi scaldava il cuore sapere che era un sovrano così amato prima ancora di salire ufficialmente al trono. Da quanto avevo capito, suo padre era stato rispettatopersino temutoma la gente non si era mai veramente avvicinata a lui nel modo in cui sembrava che si fosse già avvicinata ad Agnarr.

          Agnarr ha raggiunto la sua borsa tirando fuori un pezzo di cioccolato e spezzettandolo in due. Ne ha preso un pezzo, porgendo la metà più grande a me. Ho sorriso mentre mordevo la dolcezza, assaporandone il gusto ricco nella mia lingua. Una delle cose che preferivo di Arendelle—la cioccolata.

          Questo, e tutti i libri a mia disposizione, grazie alla biblioteca del castello. Anche dopo quattro anni di lezioni condivise, non mi sono mai stancata di esplorare gli scaffali polverosi e di vedere quali nuove avventure potevo trovare.

          Mentre il carro passava sul ponte e si dirigeva fuori dal villaggio, iniziando a salire le colline, ho afferrato la mia borsa, tirando fuori il libro che stavo leggendo. Agnarr roteò gli occhi.

          “Ti sto già annoiando, eh? E abbiamo a malapena lasciato la città.”

          I miei occhi scintillarono mentre aprivo il libro. “Niente di personale. Sono solo ad una parte molto bella.”

         “Oh, va bene,” disse, girandosi verso i cavalli. “Immagino che dovrò intrattenermi da solo.” Si schiarì la gola e scoppiò in un'interpretazione forte, mormorante e davvero terribile di una popolare canzone Arendelliana.

 

          “Sento l'odore della pipì di renna che soffia attraverso il fiordo.

          Iduna mi sta ignorando, quindi sono davvero annoiato..”

 

Urgh. Scossi la testa, abbassando il mio libro per mettermi le dita nelle orecchie. “Seriamente?”

          “Cosa?” chiese, lanciandomi uno sguardo troppo innocente. “Non ti piace come canto?”

          “A nessuno piace come canti, Agnarr. Nemmeno ai cavalli.”

          “È davvero così?” chiese ai cavalli in questione, agitando di nuovo le redini. I due cavalli sbuffarono forte—una risposta definitiva, se ne sentissi anche solo una. Iniziai a sorridere. Agnarr sospirò.

          “Sei di buon umore,” notai.

          “Perché non dovrei esserlo?” mi rispose, allungando il braccio verso il panorama di fronte a noi. “Il sole sta brillando. Il cielo è azzurro. Ho la mia migliore amica al mio fianco e stiamo lasciando il tetro castello per qualche giorno di libertà.”

          “Con tutti e ventidue nostri migliori amici,” aggiunsi, guardando indietro verso la guardia armata di Arendelle alle nostre spalle. Agnarr aveva insistito che rimanessero almeno a venti metri dietro di noi, ma era impossibile ignorare del tutto la loro presenza.

          “Ugh. Non guardarli,” grugnì. “Fai finta che siamo solo io e te, come ai vecchi tempi.”

          Sorrisi a questo. ‘Ai vecchi tempi’, come li chiamava lui, facevamo questo viaggio di nascosto, sgattaiolando via da Arendelle ogni sei mesi per mantenere la nostra promessa di controllare la nebbia due volte l'anno. Eravamo riusciti a farla franca tre volte prima che Peterssen si rendesse finalmente conto di quello che stava succedendo. Dopo di ciò, aveva insistito che ci portiamo dietro la scorta, se avevamo intenzione di continuare.

          A questo punto, era diventata una tradizione così antica che era difficile ricordare quel primo anno, quando ero uscita da sola, spaventata e triste e spericolata, disperata di apprendere il destino della mia famiglia. Quando Agnarr mi aveva seguito—per assicurarsi che stessi bene—anche con il rischio di cacciarsi in grossi guai una volta ritornato a casa.

          Allora era un estraneo. Il mio nemico. Eppure, in qualche modo, non mi era sembrato così quando l'ho visto avanzare verso la nebbia. Mentre vedevo il dolore che si diffondeva sul suo volto fanciullesco. Mentre parlava di suo padre morto e di tutte le cose che non aveva avuto l’occasione di dirgli. Fu la prima volta che realizzai che eravamo molto più simili che diversi.

          Che avremmo potuto essere amici, non nemici.

          I viaggi successivi erano stati molto più divertenti. Uscivamo di nascosto da Arendelle nel cuore della notte con solo le provviste che potevamo portare sulle spalle. Il che aveva portato ad alcune difficoltà nel secondo viaggio, quando avevamo finito gli spuntini a metà strada. Per fortuna, per il mio principe domestico, sapevo come vivere della terra e gli ho mostrato quali bacche erano sicure da mangiare e da quali corsi d'acqua si poteva bere. Sfortunatamente, aveva avuto un bel mal di stomaco dopo aver bevuto dell'acqua di fiume apparentemente pulita, cosa per cui mi sentivo in colpa. Anche se non abbastanza da impedirmi di prenderlo in giro riguardo il suo ‘delicato stomaco principesco’… che gli ha fatto venire voglia di spingermi nel fiume.

          “Cosa stai leggendo, comunque?” mi chiese Agnarr, dandomi un’occhiata. Alzai la copertina verso di lui. “ ‘Creature di Miti e Leggende’?” lesse. “Sembra… interessante.”

          “Oh, lo è.” concordai, rallegrandomi per l'argomento della mia ultima conquista letteraria. “In questo momento, sto leggendo degli Huldréfolk.”

          “Tenere-una-forchetta-di-cosa?”

          Huldréfolk,” lo corressi con una risata. “Sono creature mistiche che vivono tra di noi, ma non non possiamo vederle perché sono brave a nascondersi. Potrebbero anche, presumibilmente, avere la coda, ma non ti lasceranno mai vedere il loro fondo-schiena per essere sicuri.”

          “È inquietante.”

          “È affascinante,” lo corressi. “E hanno anche questo potere speciale. Di trovare le cose perdute.”

          “Cosa ci fanno una volta che le hanno trovate?”

          “Se le tengono.”

          “Okay. Non è utile. E non è giusto. Dovrebbero restituirle ai loro legittimi proprietari!” protestò Agnarr.

          Sbuffai. “Certo. Lascerò che sia tu a dirglielo. O forse puoi renderlo legge, una volta che sarai re.”

          “Assolutamente. Infatti, sarà il mio primo vero atto come legittimo sovrano di Arendelle!” dichiarò. “Chi lo sa, forse mi riprenderò tutti quei calzini perduti.”

          “Oh, certo. Re Agnarr, primo del suo nome, Restitutore di Calzini Puzzolenti. Diventerai sicuramente una leggenda;” lo presi in giro mentre tornavo sul mio libro.

          Un comodo silenzio cadde su di noi mentre il carro continuava a scendere lungo il sentiero. Era una bella giornata, il mondo torna in vita dopo aver dormito tutto l'Inverno. Piccoli avidi boccioli spuntavano dalla terra. Foglie di smeraldo sbocciate dai rami degli alberi. Era come se ci fosse una promessa nell'aria. Una rinascita. Mi ha fatto gonfiare il cuore di gioia.

          Mi ha anche ricordato casa.

          Anche se ormai il mio concetto di ‘casa’ era diventato un po' complicato. Arendelle non sembrava più un posto spaventoso, con ombre in agguato dietro ogni angolo. Invece, era diventata familiare, indispensabile, confortante. Era la mia casa, in un certo senso. Le persone del villaggio erano gentili e allegri e avevano sempre una parola amichevole da dire quando passavo.

          Anche se mi chiedevo, nel profondo, se sarebbero stati ancora così accoglienti se avessero conosciuto la verità su chi fossi. Dove si trovava la mia vera casa.

          Perché quella era la nube oscura che ancora pendeva su un regno altrimenti ottimista. Il risentimento e il sospetto nei confronti dei Northuldra e della loro presunta stregoneria erano ancora sulla punta di ogni lingua ed erano diventati la comoda spiegazione di tutto ciò che andava storto in città. Il vino era inacidito? Magia Northuldra! Tetto che perde? Un Northuldra si era avvicinato di soppiatto di notte e aveva spostato le tegole. La gente Northuldra avrebbe dovuto fare di Arendelle un lavoro a tempo pieno per poter fare tutti i danni di cui si supponeva fosse responsabile. Erano spie in agguato in mezzo a noi, che imparavano i nostri segreti per poterli usare contro di noi. Erano mostri, nascosti sotto ai letti dei bambini che non volevano andare a dormire. Tutto questo, anche se nessun Northuldra era stato avvistato in tutti questi anni da quando la battaglia era infuriata.

          Ma invece di inacidire il loro vino, questa Northuldra stava aiutando i suoi agricoltori ad essere auto-sufficienti. Invece di strappare le tegole dai tetti, curiosavo dai libri, studiando la scienza del vento.           Invece di nascondermi sotto ai letti dei bambini, avevo iniziato ad insegnare agli orfani a leggere. Vivere una vita normale, senza magia che scorre nelle mie vene perfettamente normali, umane.

Infatti, non avevo nemmeno potuto chiedere aiuto agli spiriti da quando la nebbia è scesa. Continuavo a provare a chiamare Zefiro ogni tanto, ma lo Spirito del Vento non ha mai risposto. Era come se si fossero addormentati tuttivelocemente e con fermezza.

          Ma non è stata una bella storia, vero?

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Dieci

 

Iduna

 

 

 

 

 

CI SIAMO ACCAMPATI PER LA NOTTE, ancora a pochi chilometri dalla nebbia. Lo facevamo ogni volta, anche se probabilmente avremmo potuto farcela in un solo giorno, se ci fossimo davvero sforzati. Ma Agnarr amava la scusa di stare lontano dal castello, dai suoi studi e dagli interminabili incontri, anche se significava avere un entourage al seguito.

          “Come posso riaccendere questo fuoco?” chiese Agnarr, frustrato, alle prese con la pietra focaia. Ho roteato gli occhi bonariamente. Non importava quante volte abbiamo affrontato questo rituale, il principe non riusciva a cogliere i semplici compiti della vita all'aria aperta. Il risultato dell’essere cresciuto in un castello su misura, ho immaginato.

          Sono andata ad aiutarlo, facendo scorrere le pietre insieme in un unico rapido movimento per creare una scintilla. Poi mi sono appoggiata al mucchio di ramoscelli che aveva raccolto e ho soffiato dolcemente, facendoli venire alla luce. Una volta che erano in fiamme, ho aggiunto altre foglie, poi qualche bastone di legno. Presto ci fu un allegro fuocherello.

          “Non so come tu ci riesca,” disse, scuotendo la testa. “Alla prima volta, ogni volta! È come una magia.”

          Mi accigliai. “Non magia,” dissi fermamente. “Solo pratica. E pazienza.”

          Mi sorrise, sistemandosi contro un masso vicino e mettendo le mani dietro la testa. Osservò la compagnia di guardie, che allestivano un campo a breve distanza. Ci saremo uniti a loro più tardi, quando sarebbe stato il momento di andare a dormire. Agnarr ed io avevamo ognuno la propria tenda, circondata da guardie. Ma per il momento, ci avevano concesso un po' di tempo da soli l'uno con l'altro.

          “Pratica,” schernì. “Come se avessi tempo per farlo. Giurerei che Lord Peterssen abbia organizzato più incontri di proposito in questi giorni, solo per tenermi occupato.” Scuoteva la testa. “Prima cosa da fare quando diventerò re? Incontri fuorilegge in tutto il paese.” Mi fece l’occhiolino. “Posso farlo, giusto?”

          “Oh, sì,” concordai. “Sono sicura che tutti saranno d’accordo con questo. Infatti, probabilmente proclameranno un giorno di festa in tuo onore. D'ora in poi sarai conosciuto come Agnarr: L’Annientatore di Incontri.”

          “L’Annientatore di Incontri. Restitutore di Calzini Puzzolenti. Ho una bella eredità, vero?” disse scherzando. Poi sospirò. “Tu non sai quanto sei fortunata a non dover pensare a queste cose su come governare un regno. Non lo augurerei al mio peggior nemico.”

          Gli diedi uno sguardo comprensivo. Mentre ci piaceva prenderci in giro, sapevo quanto duramente stava lavorando Agnarr ogni giorno, cercando di rendere Arendelle un posto migliore. Non era facile.

          “Ma ora basta parlare di me,” dichiarò, sedendosi dritto, cambiando il soggetto. “Tu sei molto più interessante,” sorrise. “Raccontami, il nuovo mulino a vento ha funzionato quando l'hai testato?”

          Sorrisi, felice che si fosse ricordato del mio ultimo progetto, anche se non ne ero sorpresa. Agnarr mi chiedeva sempre del mio lavoro e voleva sinceramente sapere dei miei progressi e dei miei fallimenti, festeggiava al mio fianco quando avevo una svolta e mi consolava quando una nuova idea era fallita. Trattava il mio apprendistato come se fosse tanto importante quanto governare un regno. Ma questo era Agnarr. Si è sempre interessato alle piccole cose che accadono nel regno: come crescono i raccolti, come vanno d'accordo le persone, i bambini che erano nati, gli anziani che erano morti. Tutto questo, oltre alle cose del regno con cui aveva a che fare, con tutte le sue alleanze, i suoi partner commerciali e i suoi nemici.

          “Ci siamo quasi,” dissi. “Stiamo ancora lavorando su alcuni dettagli. Ma l'altro giorno ho avuto una nuova intuizione e Johan la proverà mentre siamo via. Speriamo che finalmente riesca a farla funzionare.”

          È stato divertente; quando un anno fa ho visto per la prima volta il cartello di ‘cercasi apprendista’, ho subito fatto domanda, pensando che forse mi avrebbe aiutato a trovare Zefiro. Ma mentre lo Spirito del Vento rimaneva nascosto, io cominciai ad innamorarmi del lavoro stesso. Mi dava qualcosa da fare e mi faceva sentire come se fossi una parte importante del villaggio.

          Qualcosa di più che l’essere la migliore amica del principe.

          “Fantastico!” esclamò Agnarr. “E poi forse Johan ti inviterà ad unirti a lui in maniera permanente!”

          Sapeva che era il mio più grande sogno. Il mio apprendistato sarebbe finito tra qualche mese, insieme alle mie lezioni formali con Miss Larsen. Questo voleva dire Sarei in grado di assumere un ruolo a tempo pieno con Johan, se lui fosse stato d'accordo. Non più semplicemente lavorando per lui, ma piuttosto al suo fianco.

          “Lo spero,” dissi. “Se non ora, forse un giorno.”

          “Sai, posso sempre emanare un decreto regale,” scherzò Agnarr. “Potrei anche farne una legge.”

          Ho riso. “Nah. Preferisco farcela da sola,” gli dissi. “In questo modo avrà più significato.”

          “E ce la farai.” disse con fervore. “Lo so. Se c’è qualcuno che può farlo, quella sei tu.”

          Le sue calde parole mi hanno fatto salire un brivido e ho messo le mani fuori per riscaldarle vicino al fuoco. La notte aveva iniziato a scendere e con essa un brivido si era insinuato nell'aria. Agnarr si alzò in piedi e si diresse verso il carro, tirando fuori il vecchio mantello di suo padre. Lo stesso che aveva avvolto attorno alle mie spalle la primissima volta che abbiamo incontrato insieme la nebbia. Non lo indossava più molto spesso, ma gli piaceva portarlo in questi viaggi per ragioni sentimentali.

          Si avvicinò a me, avvolgendolo attorno alle mie spalle. “Va meglio?” chiese.

          “Molto,” concordai, sorridendogli. In alto. Anche se Agnarr non era mai stato molto più alto di me, negli ultimi due anni era cresciuto, con spalle larghe e muscoli lunghi e magri, apparentemente da un giorno all'altro. Anche i suoi capelli si sono scuriti, anche se erano ancora biondo rossastro, ed erano più lunghi dello stile rasato vicino alla testa che aveva avuto per un po' di tempo. E aveva un po' di peluria sul labbro superiore, come se volesse farsi crescere i baffi ma non fosse pronto a impegnarsi.

          Ma in tutti questi cambiamenti, i suoi occhi sono rimasti gli stessi: verde smeraldo come la foresta stessa nei mesi più ricchi dell'estate, macchiati di blu e gialli che sembravano danzare quando sorrideva.

          Quando mi sorrideva.

          Ora questo grande, forte ragazzo tremava notevolmente, evidentemente anche lui aveva freddo. Aprii il mantello per invitare anche lui al di sotto, come avevo fatto quella prima volta alla nebbia e in ogni viaggio da allora.

          “Più vicino?” chiese, citandomi.

          “Se ci riesci,” lo presi in giro mentre cercava di adattarsi all’interno. “Seriamente, se continui a crescere dovremo portarci due mantelli la prossima volta.”

          “Nah,” disse, tirando l'estremità del mantello sulla spalla, il suo corpo caldo che premeva contro il mio. La sua coscia contro la mia. Il suo braccio che mi avvolge la vita. La mia testa che sprofonda sulla sua spalla.

          “Visto?” disse, la sua voce che si abbassava. “Tanto spazio.”

          “Oh, certo,” concordai, il mio tono si illuminava mentre ignoravo il mio battito cardiaco. “Un sacco. Forse potremo invitare anche i cavalli. E le guardie…”

          Sbuffò, sospirando, accontentandosi di guardare il cielo. “Adoro questi viaggi,” dichiarò. “Vorrei che potessimo farli tutte le sere dell'anno. Sedersi accanto a un fuoco caldo. Dormire sotto le stelle.” Mi ha spintonato con un braccio. “Perché le persone hanno inventato i tetti?”

          “Ehm, per proteggersi dalla pioggia, forse?”

          “Oh. Giusto.” Sorrise. “Tu sei una specie di so-tutto-io.”

          Chiuse gli occhi. Cercai di non notare quanto caldo e solido fosse schiacciato contro di me. Una cosa che in questi ultimi mesi ho provato e sperimentato parecchio. Il che era ridicolo.

          Questo è solo Agnarr, mi sono rimproverata da sola. Il ragazzo sciocco che riesce a malapena a non cadere da un albero.

          Eppure, quando questo sciocco ragazzo mi ha passato il pollice sul palmo della mano, non ho potuto resistere a un piccolo tremito, tutto il mio corpo sembrava accendersi di fuoco al suo semplice tocco.

          Lui lo notò, guardandomi con occhi assonnati. “Stai bene?” chiese.

          “Sì, perfettamente,” risposi velocemente, sperando che non notasse il mio viso arrossito nella fioca luce del fuoco. Ci tenevamo per mano fin da quel primo giorno nel castello, quando mi trascinò di stanza in stanza mentre mi faceva fare un giro. Da quella prima notte fuori dalla nebbia, quando mi ero persa nella disperazione. Il suo tocco era sempre stato confortante, amichevole. Una promessa che tutto sarebbe andato bene.

          Ma adesso? Sembrava diverso. Una promessa, certo. Ma forse di un altro genere.

          Feci un piccolo sorriso.

          Agnarr improvvisamente si alzò in piedi, rompendo la calda connessione tra noi. “Hai fame?” chiese. “Sete? Freddo? Caldo?”

          “Sto bene,” lo rassicurai. “Solo… un po’ nervosa per domani. Come sempre.”

          Mi ha guardato con simpatia, sedendosi di nuovo, questa volta di fronte a me, non sotto il mantello. Era comunque vicino. Vicino abbastanza che potevo allungarmi e sfiorarlo se avessi voluto.

          Invece, ho coperto le mie mani sotto al mantello, stringendole insieme per dargli qualcosa da fare.

          “Ho capito.” disse Agnarr. “Per quanto divertenti siano questi viaggi, la conclusione è sempre difficile.”

          Concordai lentamente. Ogni viaggio era sempre lo stesso. La trepidazione, l’attesa. Solo per finire con una delusione familiare. La nebbia era sempre lì, spessa ed impenetrabile come sempre. Stavo iniziando a pensare che sarebbe rimasta così per sempre.

          “Cosa farai se la nebbia scomparisse?” gli chiesi. “La prima cosa?”

          Era un vecchio gioco—uno che ci concedevamo in ogni viaggio verso la nebbia—ed io conoscevo la sua risposta prima che parlasse. Ma qualcosa nella sua familiarità era rasserenante, placando il crescente disagio che si diffondeva all'interno.

          Avvicinò le ginocchia al petto, fissando il fuoco. “Primo, andrò alla ricerca di Mattias,” disse. “Sono sicuro che sia ancora vivo lì dentro. Da qualche parte. Dopotutto, era il miglior soldato in tutta la terra.           Non c’è modo che sia caduto in battaglia.”

          “E quando lo troverai?” lo sollecitai, come facevo sempre.

          “Prima di tutto gli darei un grande abbraccio. Che lui probabilmente odierebbe, naturalmente. Ha sempre detto che i veri soldati non abbracciano.” sorrise. “Ma gli piacerebbe, nel profondo. Poi, lo promuoverei a Generale delle guardie di Arendelle.”

          “Qualcos’altro?”

          Gli occhi di Agnarr brillarono. “Gli direi tutti i pettegolezzi su Halima giù al villaggio. È pazzo di lei. Vorrebbe sapere ogni cosa.”

          “Anche lei è pazza di lui, a quanto ne so,” dissi con un sorriso, ripensando alla donna che lavorava ad Hudson Heart, un locale dove tutti si riunivano per chiacchierare o per uno dei loro famosi biscotti al burro. Gli uomini cercavano sempre di provarci con lei, ma li respingeva ogni volta. C’era solo un uomo per lei, dichiarò, anche se era scomparso per sempre.

          Era incredibilmente romantico.

          “Oh, e un’altra cosa,” aggiunse improvvisamente Agnarr. I suoi occhi brillavano.

          Alzai lo sguardo. Questo non faceva parte del gioco. “Cosa?”

          “Mi piacerebbe trovare il mio salvatore.”

          Qualcosa mi ha scosso il cuore. “Il tuo… salvatore?”

          “Sai, la persona che mi ha salvato. Quello che mi ha sistemato sul carro. Scommetto che anche lui o lei sia ancora intrappolato nella nebbia.”

          “Perché lo pensi?”

          “Beh, perché deve essere così. O si sarebbero già fatti avanti a questo punto. Sono un principe, dopotutto. Le persone che salvano i principi vengono ricompensate. Ma nessuno si è mai fatto avanti per riscattarlo.”

          “Forse credono che averti salvato la vita sia una ricompensa sufficiente?” suggerii casualmente, il mio cuore palpita in questo territorio sconosciuto. In tutti questi anni in cui Agnarr ed io eravamo stati insieme non aveva mai menzionato una sola volta il fatto di voler trovare il suo salvatore. Avevo cominciato a chiedermi se si ricordasse del salvataggio.

          “Beh, certo che sì,” concordò Agnarr con una risata. “Ma comunque, credo che ci saremmo già incontrati se fossero stati all'esterno.” Scrollò le spalle. “Penso che siano ancora intrappolati nella nebbia da qualche parte. Probabilmente chiedendosi se io sia sopravvissuto. Quindi se la nebbia sparirà, per prima cosa, li troverò e li ringrazierò.”

          Sorrisi a disagio, chiudendo gli occhi fingendo stanchezza per evitare di incontrare il suo sguardo. Agnarr non aveva idea di tutto ciò che era accaduto dietro le quinte per rendere possibile il suo salvataggio. Se non avessi abbandonato le mie lezioni. Se non lo avessi seguito al campo. Se non avessi lasciato il mio scialle in quell’albero. Se non fossi inciampato su di lui, steso lì. Se non avessi…

Io sarei nella nebbia.

          E lui sarebbe morto.

          “Credo che sia stato uno dei Northuldra,” annunciò improvvisamente Agnarr.

          I miei occhi si aprirono. “Che? Cosa te lo fa pensare?”

          Ha punzecchiato il fuoco con un rametto. “Nessuna ragione specifica. Solo… una sensazione. Dopotutto, loro erano quelli connessi con gli spiriti della foresta. Ed io ricordo la sensazione di fluttuare ad un certo punto.”

          Aprii la bocca per parlare. Il mio cuore stava battendo così forte a questo punto che sentivo che mi avrebbe rotto una costola. Avrei dovuto dirglielo? Cosa avrebbe detto se lo avessi fatto? Non poteva essere arrabbiato, giusto? Voglio dire, salvargli la vita? Era una cosa buona.

          “Anche se non ha molto senso ora che ci penso,” aggiunse prima che potessi dire qualsiasi cosa. “Voglio dire, stavano cercando di ucciderci. Perché mai dovrebbero aver voluto uccidere mio padre e salvare me?”

          Il mio cuore sprofondò. Chiusi la bocca. A cosa stavo pensando? Non avrei mai potuto raccontargli la verità. Era troppo pericoloso. Troppo rischioso. Ripensai al mio primo giorno ad Arendelle, Peterssen che mi sussurrava urgentemente. Poteva proteggermi, ma solo se fossi rimasta in silenzio. Nessuno poteva sapere.

          Soprattutto non il principe ereditario di Arendelle.

          Ho goffamente allungato le mani sopra la testa, fingendo uno sbadiglio. “Sono esausta,” Ho affermato, anche se non era propriamente vero. “Vado a dormire un po’.” Mi alzai e mi avvicinai al carro, tenendomi impegnata con le coperte.

          Agnarr si unì a me. “Aspetta,” disse, rovistando nel carro. “Questo aiuterà ad ammortizzare il terreno.”

          “Non è il tuo?”

          Scrollò le spalle. “Sto bene. Comunque, penso che rimarrò sveglio per un altro po’. Facendo la guardia.”

          “Ehm, non è quello per cui è qui il tuo reggimento di guardie?” chiesi, osservando la compagnia di uomini con le spade a venti metri da noi.

          “Ehi, potrebbero aver bisogno del mio aiuto, respingendo i lupi o roba del genere.”

          Alzai un sopracciglio. “Cosa farai tu se vedessi un lupo? Cercherai di spaventarlo con la tua terribile voce canora?”

          “Ti prego. Sveglierò te e ti farò cantare;” dichiarò. “Incanterai le bestie possenti con le tue note dolci e chiare e tutte si sdraieranno in grembo come cuccioli, per ascoltare.”

          Sorrisi, allontanandomi dal carro. “Questo è il tuo modo di chiedermi una canzone, Vostra Maestà?” lo presi in giro. Eravamo tornati in un territorio familiare. Agnarr ha sempre voluto una canzone in una notte piena di fuoco come questa. All’inizio protestavo, ma poi alla fine, cedevo sempre.

          Sorrise timidamente. “Non se sei stanca.”

          “Credo che posso stare sveglia per una canzone,” ho accettato, nascondendo il mio piacere di essere stato interpellata. Tornai indietro verso il fuoco e mi sono seduta di fronte ad esso, mettendo la pelle di renna sulle mie ginocchia, poi lisciandola con le mani. Agnarr si sdraiò accanto a me, allungando le sue lunghe gambe e poggiando la sua testa sulle mie ginocchia con un sospiro soddisfatto.

          Non avrebbe dovuto sentirsi così a suo agio.

          Ho alzato la voce per cantare. All'inizio ero traballante, ma ben presto le note mi uscirono dalla gola come l'acqua di un ruscello mentre cantavo una canzone Arendelliana che avevo imparato al villaggio.

          “La tua voce è come quella di un angelo,” mormorò, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Non ci è voluto molto prima che si addormentasse. Alla faccia della vigilanza. Gli ho accarezzato i capelli, sentendo le ciocche scivolare tra le dita.

          Come sabbia che scivola in una clessidra.

          Improvvisamente realizzai che questo potrebbe benissimo essere il nostro ultimo pellegrinaggio. Agnarr ora aveva diciotto anni, dopotutto. Presto si sarebbe sposato. E non c’era modo che la sua nuova moglie gli permettesse di andare camminare nella natura selvaggia con una ragazza del villaggio a caso. Se avessi voluto continuare ad andare verso la nebbia, ci sarei dovuta andare da sola.

          Il pensiero mi rese più triste di quello che volevo. E prima ancora che mi rendessi conto di farlo, avevo cambiato canzone. Una canzone della mia gente, la mia vera famiglia. Ho canticchiato la melodia dolcemente, le parole mi scorrono nella mente come acqua. Come Ahtohallan, il fiume dei ricordi. Le lacrime mi si sono insinuate negli occhi mentre guardavo in basso verso il mio principe addormentato.

          Perché presto, sapevo, i ricordi di queste notti sarebbero stati tutto quello che mi sarebbe rimasto.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Undici

 

Agnarr

 

 

 

 

 

TROVATO QUALCOSA?”

          Ho gridato a Iduna, che stava in piedi a pochi metri di distanza, controllando il muro di nebbia, attenta a non perdere nemmeno un punto. All’inizio non mi rispose, chiaramente troppo concentrata nel suo lavoro per sentirmi. Tipico. Era sempre così quando venivamo qui. Come se fosse piombata in un ricordo profondo del passato, e il presente venisse a malapena registrato.

          Ma chi poteva biasimarla, veramente? Essere qui. Vedere la nebbia. Toccarla. Sapere cosa—chi—potesse aspettare dall’altra parte. Intrappolato. Forse per sempre.

          Anche a me faceva sentire piuttosto strano.

          Mi avvicinai di soppiatto verso Iduna, che stava ancora facendo scorrere la mano lungo il guscio esterno. Era così concentrata che non mi sentì avvicinare. Quando toccai la sua spalla, sobbalzò sorpresa, lasciando uscire un piccolo grido.

          “Scusa,” dissi, mostrandole un sorriso di scuse. “Non avevo intenzione di spaventarti.”

          “Sto bene,” I suoi occhi non lasciavano la nebbia. “Hai finito la tua sezione?”

          “Sì.”

          “E…?”

          “Oh. C’è un enorme buco. Parecchio enorme. Scusa, avrei dovuto dirtelo?”

          Non rise.

          “Scusa, pessimo scherzo.” Mi sentivo stupido. Dovrei sapere che non è il caso di scherzare con lei sulla nebbia.

          “Eppure riesci in qualche modo a ripeterlo ogni anno,” brontolò, testando un'altra sezione di nebbia. L'ho guardata mentre premeva contro di essa, tenendo le mani lì per un momento, poi le rilasciava, passando al punto successivo. Era come sempre.

          “Vuoi uno spuntino?” chiesi, camminando verso la mia borsa, che avevo lasciato su una grande roccia. “Ho dell’altra cioccolata.”

          “Prima voglio finire,” rispose, distratta.

          “Vuoi che ti aiuti?”

          “Sto bene. Mangia il tuo spuntino.”

          Sospirai, sedendomi su una roccia, tirando fuori un pezzo di cioccolata, e mangiandolo mentre la guardavo continuare. Volevo dirle di fermarsi. Che aveva controllato a fondo—cosa che avevano fatto anche le guardie. Non c’erano punti deboli. Niente buchi. Niente cambiamenti da quando siamo venuti qui la prima volta quattro anni fa. Cosa le faceva credere che sarebbe improvvisamente cambiato adesso?

          Eppure sembrava sempre nutrire speranza.

          Per me, i nostri pellegrinaggi erano diventati più una tradizione di qualsiasi altra cosa. Ero profondamente convinto che la nebbia sarebbe rimasta per sempre. Ma questo non significava che non mi piacesse il viaggio. Essere lontani dal castello, fuori nella natura, senza preoccupazioni o responsabilità…

          Passare del tempo da solo con Iduna accanto a un fuoco e sotto le stelle.

          “Forse hai bisogno di una formula magica o qualcos’altro,” le dissi, masticando ancora la cioccolata. “Voglio dire, è stata la magia che ha creato la nebbia. Forse la magia potrebbe farla scomparire.”

          Si è bloccata sui suoi passi, con le mani ancora sulla nebbia. “Non conosco nessuna magia,” scattò, la sua voce era più acuta di quanto non fosse mai stata.

          Rabbrividii. Sei un idiota. Iduna è sempre stata sensibile sull’argomento magia. Probabilmente da quando la magia aveva portato all'uccisione dei suoi genitori o almeno al loro essere intrappolati nella nebbia. Erano passati quattro anni da quando la nebbia era scesa e la maggior parte della gente di Arendelle era ancora terrorizzata da qualsiasi accenno di magia—specialmente se proveniente dai Northuldra dall’altra parte della nebbia grigia. Infatti, loro credevano che la ragione per cui facevamo questi viaggi fosse per assicurarci che la nebbia fosse ancora solida e resistente… che sarebbero rimasti al sicuro dalla Foresta Incantata e dalle persone al suo interno.

          In realtà, ero più combattuto. Come Iduna, non facevo a meno di chiedermi cosa ci poteva essere dall’altra parte. Quanti Arendelliani sono rimasti in vita ed intrappolati, aspettando che la nebbia si diradasse in modo che potessero riunirsi ai loro cari. Mattias, forse i genitori di Iduna—quanto sarebbe stato bello riunirsi dopo tutti questi anni?

          Ma ero anche preoccupato. Perché se la nebbia si fosse dissolta, avrebbe liberato non solo i nostri cari. E se gli spiriti fossero ancora arrabbiati? E se i Northuldra intendessero vendicarsi? Come regnante di Arendelle, dovevo tenere la mia gente al sicuro. Il che voleva dire che non potevo essere egoista e sperare che la nebbia scomparisse così che io e Iduna ci riunissimo ai nostri cari.

          Guardai verso Iduna. Non desideravo altro che che il suo più grande desiderio si realizzasse. Riunirsi con coloro che amava.

          Ma a quale costo per Arendelle?

          Iduna stava ancora controllando la nebbia, ma i suoi movimenti erano diventati più rapidi adesso, più irregolari. Le sue mani hanno sfiorato la nebbia con movimenti disperati e il suo viso è diventato pallido e frustrato. L'ho guardata mentre scrutava la nebbia, poi ha sbattuto il pugno contro di essa, urlando di dolore mentre la nebbia la spingeva indietro.

          Mi alzai in piedi e corsi verso di lei, prendendo la sua mano ferita nella mia. Cercò di tirarla via, ma la tenevo stretta, sfregando le mie dita sulle sue nocche gonfie. Con l’altra mano, ho alzato il mento fino a quando i suoi occhi hanno incontrato i miei. Erano selvaggi ed arrabbiati, tristi e disperati. Come ogni volta.

          Non era mai arresa. E si è sempre fatta male.

          “Fermati,” dissi dolcemente. “Devi fermarti.”

          Strinse gli occhi, le lacrime che le uscivano dagli angoli. Ho lasciato cadere la mano per raggiungere la parte bassa della sua schiena, avvicinandola. Seppellì la sua faccia sul mio petto ed io accarezzava dolcemente i suoi capelli, respirando il suo caldo profumo. I suoi capelli profumavano ancora di lavanda e raggi di sole, anche dopo aver passato la notte vicino ad un fuoco. Nel frattempo, probabilmente io odoravo di vecchi calzini bagnati. Fortunatamente, sembrava non averlo notato.

          Per un momento, rimanemmo lì, avvolti l'uno nelle braccia dell'altra. Potevo sentire il suo battito, veloce e feroce contro il mio petto, i suoi respiri affannosi alla mia gola. Le sue mani che mi stringono i fianchi, dapprima saldamente, poi si rilassandosi un po', cedendo al calore del nostro abbraccio. Le ho baciato la parte superiore della testa, le mie mani le accarezzavano la schiena, cercando di calmarla con leggeri sussurri.

          “Respira,” dissi. “Respira e basta.”

          Poi si è allontanata, inclinando il viso per guardarmi. Le sue guance erano piene di lacrime e il suo viso era chiazzato. I suoi occhi erano orlati di rosso. “Perché mi faccio questo ogni volta?” chiese a voce bassa.

          “Perché continui ad avere speranza,” le dissi, allungando una mano per far scorrere via una nuova lacrima. “Non è una cosa brutta, lo sai.”

          “Sì, beh, è una cosa stupida. Chiaramente la nebbia non andrà da nessuna parte. Questa è tutta un’enorme perdita di tempo.”

          Mi accigliai. “No. Non lo credo.”

          “Cosa?”

          “Non è una perdita di tempo,” le dissi. “Non per me comunque.” Mi fermai, poi aggiunsi, “Perché posso passarlo con te.”

          Si allontanò, voltandosi per fissare la pianura libera che si estendeva verso l'orizzonte. La preoccupazione mi ha attraversato lo stomaco.

          “Cosa c’è, Iduna?” le chiesi dolcemente. Era sempre stata un po' triste dopo essere giunta alla nebbia. Ma non l’avevo mai vista così distratta. “Qualunque cosa sia, puoi dirmelo. Puoi dirmi ogni cosa.”

          Si girò verso di me, la sua faccia pallida e i suoi occhi blu angosciati. “Per quanto tempo continueremo a farlo, Agnarr?” domandò. “Questi nostri stupidi viaggi. Preso sarai re di Arendelle. Pensi che ti lasceranno continuare a fare questa stupida impresa ogni autunno e primavera con una qualsiasi ragazza orfana della città?”

          La fissai, scioccato. Naturalmente non aveva torto. Lo sapevo, nel profondo della mia mente, che una volta che diventerò re, alcune cose dovranno cambiare. Ma sarebbe successo tra tre anni. Dovevamo pensarci proprio adesso? Non potevamo goderci il tempo che mi rimaneva?

          Deglutii, cercando di mettere insieme i miei pensieri che correvano. “Primo,” dissi fermamente. “tu non sei una qualsiasi ragazza orfana. Sei la mia migliore amica. E niente cambierà questo fatto. Lo prometto. La nostra amicizia è solida e forte tanto quanto questa stupida nebbia magica. E penso che converrai con me che questa roba è piuttosto resistente.”

          Per dimostrare il mio punto di vista, mi sono lanciato nella nebbia, gettandomi a capofitto contro di essa. Era una mossa che avevo fatto scherzosamente durante i viaggi passati e che l'aveva sempre rallegrata un po' nel guardarmi rimbalzare di lato e atterrare disteso sul mio sedere nel fango. Ma questa volta, mi guardava con occhi tormentati. Così sono saltato in piedi e l’ho caricata di nuovo, gettandomi ancora una volta a terra.

          “Smettila, pazzo!” urlò, il suo tono, finalmente, portava con sé un pizzico di leggerezza. “Finirai per farti del male! Non sai che è un crimine fare del male al futuro re di proposito?”

          Saltò tra la nebbia e me. Ma io mi ero già lanciato di nuovo. Ho provato ad affondare i talloni, a fermarmi, ma era troppo tardi. Le ho sbattuto contro, spingendola contro il muro di nebbia. Improvvisamente i nostri corpi sono stati schiacciati l'uno contro l'altro. I nostri volti a pochi centimetri di distanza.

          Il respiro mi è rimasto in gola. La fissavo, improvvisamente ipnotizzata da ogni dettaglio del suo viso. I suoi ampi occhi azzurri, le sue labbra rosa piene, il suo piccolo naso, leggermente alzato verso il labbro. Le lentiggini leggere che le spolverano le guance. Il suo corpo si confonde con il mio. Il mio cuore batteva forte, in sintonia con i battiti del suo. E per un momento non c’era altro. Niente nebbia, niente Foresta Incantata, niente guardie. Solo io e lei, immobili. Incapaci di muoverci.

          E poi mi ha allungato la mano, spingendomi delicatamente via. Sono inciampato all'indietro, quasi perdendo di nuovo l'equilibrio. Quando alzai lo sguardo verso Iduna, la sua faccia era rosso vivo. Probabilmente rispecchiando la mia.

          “Tu sei pazzo!” dichiarò, soffocando una risata nervosa, cercando chiaramente di alleggerire il momento. “Non posso credere che ti permetteranno di essere re!”

          Sorrisi maliziosamente. “Beh, hanno ancora tre anni per rinsavire,” le ricordai. “Forse sarò fortunato.”

          “Forse,” concordò. “O forse per allora la nebbia si sarà già diradata. Non si sa mai.”

          “Non si sa mai,” le feci eco, felice di vedere tornare il suo imperturbabile ottimismo. Era una delle cose che mi piacevano di Iduna. Vedeva sempre il meglio nel mondo. Non aveva mai smesso di credere che le cose potessero cambiare per il meglio.

          Alzai la mano nella nebbia, facendo un grande gesto di saluto. Proprio come avevo fatto tutte le volte precedenti. “Alla prossima volta,” dissi. “Vecchia testarda.”

          E con ciò, ho accompagnato Iduna al carro, facendo sapere ai soldati che era il momento di andarcene. Si è arrampicata sul sedile anteriore ed io l’ho raggiunta qualche secondo dopo, dopo aver controllato i cavalli. Prima di sedermi, le ho dato un’occhiata di controllo.

          “Stai bene?” chiesi.

          Per qualche secondo non disse nulla, ed io ero preoccupato di averla persa di nuovo nella nebbia. Poi emerse un piccolo sorriso. “Lo sarò,” disse. “Se condividi il resto di quella cioccolata con me.”

          Sorrisi, le mie spalle si accasciarono per il sollievo. “Penso di poterci riuscire.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Dodici

 

Iduna

 

 

 

 

 

IDUNA! SEI TORNATA!”

          Alzai gli occhi, strizzandoli al sole del primo mattino. Johan, l’uomo per cui facevo da apprendista, stava scendendo la collina dirigendosi verso di me, un enorme sorriso sulla sua faccia. Era giovane—aveva solo sei anni più di me. E con i suoi occhi castani scintillanti e il ciuffo di capelli ricci e neri, sembrava che avesse sempre qualche ragazza di paese in cerca della sua attenzione. Ma lui era concentrato solo su una cosa—inventare.

          E la sua invenzione del momento era incentrata sul vento.

          “Sono così contento che tu sia qui,” dichiarò. “Devi vedere questo.”

          Ho riso al suo entusiasmo mentre mi trascinava verso la cima della collina dove avremmo installato i nostri mulini a vento di prova. Con mia sorpresa, le pale ruotavano costantemente, anche se riuscivo a malapena a sentire la brezza.

          “Stanno funzionando!” urlai con entusiasmo. “Come le hai fatti funzionare?”

          Avevamo problemi da mesi e Johan si era scoraggiato molto. Quando il tempo era quello giusto, i suoi mulini funzionavano perfettamente, le pale catturavano il vento e ruotavano, alimentando il mulino e permettendogli di macinare il grano o di pompare l'acqua. Ma catturare quel vento non era semplice come sembrava.

          Il volto di Johan era acceso di entusiasmo. “Ho usato la tua idea,” disse. “Quella di renderle mobili. Così il palo nel mezzo rimane al suo posto. Ma le pale possono essere ruotate intorno al palo, a seconda delle condizioni atmosferiche. In questo modo, qualunque sia la direzione da cui proviene il vento, possono raccoglierlo.”

          “Ed ha funzionato?”

          Johan indicò verso il mulino a vento.

          Ho sorriso, guardando le pale che giravano e si agitavano. Una calda sensazione di orgoglio mi avvolgeva ad ogni rotazione. Avevamo fatto in modo che accadesse. Ed ora—chi sapeva quali potevano essere le possibilità?

          Non vedevo l’ora di dirlo ad Agnarr.

          “Riesci a credere a quanta strada abbiamo fatto, Iduna?” urlò Johan, arrivando verso di me e mi mette una mano sulla schiena. Era cresciuto povero nel villaggio, con grandi sogni di fare qualcosa di se stesso, ma i cittadini non lo avevano mai preso troppo sul serio. Johan il Pazzo e le sue invenzioni, erano soliti dire, ridendo.

          Ma nessuno avrebbe riso adesso. Non quando avrebbero visto questo.

          “Spero che metterai una buona parola per me con i tuoi amici del castello,” aggiunse Johan, sfregandosi le mani contro i suoi pantaloni per togliersi il grasso che si era accumulato. “Abbiamo bisogno che approvino questi mulini a vento prima di poterli offrire ai cittadini di Arendelle. Potrebbe non piacergli,” aggiunse con un tono di avvertimento. “Potrebbe ridurre i loro profitti.”

          “Agnarr lo amerà,” gli assicurai, camminando verso il mulino a vento e guardandolo con piacere. Potevo sentire la brezza sulla mia faccia e mi ricordava Zefiro. Speravo che il mio caro amico sarebbe stato orgoglioso di come avevo usato le conoscenze acquisite dal nostro tempo insieme per un uso pratico.

          Per sfamare gli affamati. Per dare potere al popolo.

          È stato bello. Molto bello.

          “Cosa amerò?”

          Mi girai intorno, felice di vedere nientemeno che Agnarr stesso, che saliva sulla collina, accompagnato da alcune delle sue guardie personali. Il mio viso si è aperto in un altro enorme sorriso.

          “Cosa ci fai qui?” chiesi. “E come mai ti sei alzato così presto? Non è nemmeno mezzogiorno!”

          “Ah ha. Anche io posso alzarmi presto!” protesto, sembrando un po’ offeso. Non che ne avesse il diritto—era noto che dormisse fino a tardi. I vantaggi dell’essere un principe, immaginavo.

          Ho sorriso. “Lasciami indovinare. Riunione del Consiglio questa mattina.”

          “Sì. Alla quale, purtroppo, non ho potuto partecipare,” concordò Agnarr, con un grande e pentito sospiro. “Poiché mi sono già impegnato ad assistere la gente di Arendelle questa bella mattina. Non posso deludere i miei fedeli sudditi.”

          “Molto… nobile da parte tua.” Non c’era nulla che Agnarr odiasse più delle riunioni del consiglio. “E lasciami indovinare. Hai iniziato i tuoi importantissimi giri alla Pasticceria di Blodget?”

          Un sorriso si insinuò tra le sue labbra. “Le pasticcerie sono una parte importante di ogni regno, dovresti saperlo.”

          “Oh, lo so. E un buon principe deve sempre avvalersi di una prova di assaggio per i biscotti, giusto?”

          “Sacrifici che devono essere fatti,” concordò solennemente Agnarr. “Per il bene del regno.”

          “Vostra Maestà,” interruppe Johan mentre si inchinava dalla vita. “Sono veramente onorato di farvi visitare il mio umile mulino. Vi prego di farmi sapere se posso esservi d'aiuto in qualche modo.”

          Ho resistito all’impulso di roteare i miei occhi. Johan non era esattamente il più grande fan della monarchia. E sicuramente non gli piaceva Agnarr, il principe viziato, come lo chiamava lui. Il che era totalmente ingiusto, visto che Agnarr non era per nulla viziato. Ma ogni volta che cercavo di difenderlo, Johan si arrabbiava e mi diceva che non capivo.

          Ma adesso, eccolo qui, che mette in scena un grande spettacolo. Probabilmente in modo che Agnarr avrebbe firmato per i suoi mulini. Che non era necessario. Agnarr avrebbe sempre fatto la cosa giusta se serviva ad aiutare la sua gente. Non era richiesto nulla del genere.

          Agnarr gli sorrise, inconsapevole dei veri sentimenti di Johan. “Non devi fare queste cose,” gli assicurò. “Iduna mi ha raccontato tutto del vostro lavoro insieme. Mi piacerebbe vedere questi mulini con i miei occhi.”

          “Ma certo, Vostra Maestà!” Johan balzò in piedi, la faccia rossa come un pomodoro. Si rivolse verso il mulino postale, che continuava a ruotare costantemente. “È un’invenzione importante. Sicuramente rivoluzionerà l'agricoltura da questo momento in poi…”

          Aveva iniziato a spiegare la parte della pala rotante del mulino. La parte che avevo inventato io. Ma con mia sorpresa, non ma menzionato il mio ruolo in essa. Si è preso tutti i meriti—come se fosse stata tutta una sua idea. Non che avessi bisogno di meriti. Ero solo un’apprendista, dopotutto. Ma insomma! Almeno un piccolo riconoscimento sarebbe stato carino.

          “Questo è tutto molto interessante,” disse Agnarr quando Johan ebbe finito. “Non vedo l'ora di metterlo in pratica. Quanto vi farete pagare per questi mulini postali?”

Johan ondeggiò una mano. “Molto poco,” disse. “Quanto basta per me per vivere una vita semplice. Dopotutto, faccio questo lavoro per le persone, non per guadagno personale.” Ha dato al principe uno sguardo compiaciuto.

          Agnarr, a suo merito, annuì sinceramente. “È meraviglioso sentirlo,” disse. “Qualsiasi cosa per aiutare Arendelle e la sua gente. Per favore, fammi sapere se hai bisogno di qualcosa da me. Qualsiasi cosa che possa essere d'aiuto.”

          “Vostra Maestà è troppo gentile,” replicò Johan, piegando nuovamente la testa. “Ma… Come posso raggiungervi? Noi gente comune non possiamo proprio entrare nel castello e cominciare a chiedere favori ai nostri superiori, ora possiamo?”

          Mi accigliai al tono nella sua voce, che metteva Agnarr in una trappola. Ma il principe non ha riconosciuto il tono—se mai l’avesse notato. Invece ondeggiò semplicemente una mano.

          “Oh, chiedi ad Iduna. Consegnerà lei il messaggio, non è vero?” Mi sorrise Agnarr prima di girarsi verso il mio capo. “Sai, sei veramente fortunato ad avere qualcuno di così intelligente tra i tuoi dipendenti. È davvero una brava lavoratrice, vero?” Ha dato a Johan uno sguardo consapevole.

          Ho brontolato. Sapevo esattamente cosa stava cercando di fare. E non era d’aiuto.

          “Bene! È stato così bello vederti, Vostra Maestà,” interruppi, dandogli uno sguardo di avvertimento. “Ma sono sicuro che in questo momento sei molto impegnato a visitare tutta la tua gente. Per favore, non sentirti in dovere di trattenerti un momento di più.”

          “Credo tu abbia ragione,” replicò Agnarr con un tono malizioso. “E quando avrò finito, credo di avere qualche lettura importante da fare?” Lettura era la nostra parola in codice per incontrarci al nostro albero preferito nel cortile del castello. Anche se spesso non c’era nessuna effettiva lettura.

          “La lettura sembra ottima,” lo rassicurai. “Forse leggerò qualcosa anche io una volta terminato il mio importante lavoro.”

          Agnarr scosse la testa, come se fosse stupito. “È una gran lavoratrice, vero, Johan? Così dedita! Così intelligente. Così—”

          Arrivederci, Vostra Maestà,” lo interruppi, resistendo all'impulso di far roteare gli occhi. Era troppo.

          “Arrivederci, Iduna.” Mi fece l’occhiolino. “Lavora sodo! Come hai sempre fatto!”

          E con ciò, Agnarr e le sue guardie ripresero la strada, dirigendosi più in alto, verso le colline. Probabilmente per fare visita ai contadini e ai pastori al di sopra. Lo osservai per un momento, sorridendo a me stessa. Anche se i suoi metodi erano grezzi e completamente ovvi, apprezzavo il sentimento. Lui sapeva quanto volessi questo lavoro. Perché era importante per me.

          “Pensa di essere così grande, vero?” Condivise Johan una volta che Agnarr si era allontanato.

          Mi girai, non sorpresa di vedere che Johan non stava più sorridendo. Stava osservando Agnarr salire per la collina con un ghigno sul viso.

          “Di cosa stai parlando?” chiesi con un sospiro. Ecco che ci risiamo. “Ha detto che adora i tuoi mulini a vento. Si è offerto di aiutare.”

          “Non ho bisogno del suo aiuto. Non lo capisci?” ha replicato Johan. “Una volta che la monarchia viene coinvolta, sarà tutto su di loro. Cercheranno di prendere in mano il mio progetto. Usare la mia invenzione per il loro guadagno personale.”

          “Agnarr non lo farebbe mai!” protestai.

          “Pensi di conoscerlo molto bene. Ma credimi, tutti i monarchi sono uguali. Sono egoisti, presuntuosi, e pensano solo a se stessi. So che lui ora è tuo amico, Iduna.” aggiunse. “Ma attenta. Quando la pressione arriva al limite, sceglierà la sua corona al posto dei suoi amici. Lo fanno sempre.”

          Mi accigliai. “Senti chi parla,” dissi. “Non hai nemmeno accennato al fatto che le pale rotanti sono state una mia idea.”

          Il disappunto di Johan si è ammorbidito. “Mi dispiace per quello,” disse. “Sono stato... colto alla sprovvista dalla sua improvvisa apparizione. Non mi sono spiegato bene. Non volevo certo screditare tutto il tuo duro lavoro.” Si avvicinò verso di me, allungandosi per prendere le mie mani nelle sue. Mani così diverse da quelle di Agnarr—ruvide e callose, mentre quelle dei principe erano forti ma lisce. “Sei incredibile,” mi disse. “Non ce l’avrei mai fatta senza di te. E la prossima volta che vedrò il principe, glielo dirò.”

          Ho sentito le mie guance scaldarsi. “Non devi farlo,” dissi. “Non importa, comunque. Non si tratta di me. Si tratta di noi. L’abbiamo fatto insieme.”

          “Certo. Siamo una buona squadra, tu ed io,” dichiarò. Alzando lo sguardo verso il mulino postale. Poi lasciò le mie mani. “Ora. Andiamo. A differenza di un certo principe viziato, abbiamo del lavoro da fare.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Tredici

 

Iduna

 

 

 

 

 

VOSTRA MAESTÀ, COSA LEGGETE?”

          Ho stretto le ginocchia intorno al ramo dell'albero, dondolando all'indietro fino a quando non mi sono trovato a testa in giù e faccia a faccia con Agnarr, che si era appena seduto sotto l'albero e ha aperto il suo libro. Si è spaventato, evidentemente non avendo capito che ero lassù, in agguato. Poi mi ha fatto un sorriso.

          “Un nuovo autore Danese,” disse, tenendo in mano il suo libro.

          Ho oscillato le gambe, uscendo con grazia dall'albero e atterrando a terra davanti a lui con un balzo. Si lamentò.

          “Credo seriamente che tu sia in parte gatto,” dichiarò. “In che altro modo altrimenti atterreresti sempre in piedi?”

          “La domanda più importante è, come mai tu non atterri mai sui tuoi?” risposi prendendolo in giro, danzando verso di lui. “Voglio dire, sembra che le leggi della natura dovrebbero darti almeno il cinquanta per cento di possibilità.”

          Alzò gli occhi al cielo e mi lanciò uno sguardo sofferente. Ho scrollato le spalle impacciata e mi sono abbassata accanto a lui sulla panchina. Gli ho strappato il libro dalla mano e ho sbirciato la copertina.           “‘La Sirenetta’?” ho letto. “Sembra interessante.”

          Mi tolse il libro di mano. “Lo è.” Lo riaprì, sfogliandolo fino a quando non trovò la sua pagina. Ho battuto il dito con impazienza sul ginocchio, rifiutando di essere ignorata.

          “Di cosa parla?”

          Alzò lo sguardo. “Una sirena.”

          “Wow. Descrittivo.”

          “Scusa.” La sua bocca si contorse. “Una piccola sirena.”

          Ho brontolato. “Sei il peggior descrittore di libri di sempre.”

          “Ehi! Non voglio rovinarti nulla,” disse con un sorriso tutto sommato innocente. “Potrai leggerlo tu stessa dopo che avrò finito.”

          “Sei anche il lettore più lento di sempre. Sarò letteralmente morta di vecchiaia quando mi consegnerai il libro.” Ho fatto un movimento di svenimento eccessivamente drammatico, come se stessi morendo, proprio in quel momento. “Tragicamente spedita nella mia tomba senza nemmeno conoscere la storia della sirena che è anche piccola per qualche motivo sconosciuto che il mio migliore amico non rivelerà per pura crudeltà e malizia.”

          Agnarr chiuse il libro. “Sei impossibile, lo sai.”

          Mi sono chinata, poi ho abbassato la voce come se ci stessimo confidando i segreti più profondi. “Quindi me lo dirai?”

          “Assolutamente no. Ma possiamo provare a cercarti una seconda copia nella biblioteca.”

          Ho sorriso. “Suppongo che anche questo andrebbe bene.”

          Agnarr ha infilato il libro nella sua borsa, e insieme ci siamo diretti all’interno del castello, giù per il corridoio, e verso la libreria. Era ancora la mia stanza preferita in questo gigantesco posto. Mi piaceva l'odore dei libri ammuffiti e del cuoio vecchio. E i tesori che custodivano—come sirene, piccole o no—erano solo l’inizio.

          Ho guardato Agnarr cominciare a cercare tra gli scaffali, un calore familiare che si diffondeva nel mio petto. Erano passati tre mesi dall'ultima volta che avevamo viaggiato nella nebbia, e qualcosa in quel viaggio ci aveva cambiato per sempre. Eravamo ancora migliori amici, naturalmente. Facevamo ancora battute e scherzi e ci prendevamo in giro con fluida disinvoltura. Ma ora c'era qualcos'altro, una serietà nella nostra amicizia, che aleggiava sotto la superficie.

          Per non parlare del desiderio implicito di essere sempre vicini l'uno all'altra.

          Quando lui non era agli incontri, ed io non stavo lavorando, ed entrambi non avevamo bisogno di studiare, trovavamo sempre qualche scusa per incontrarci. In nome dell'amicizia, niente di più.

          Solo che c'era qualcosa di più; lo sentivo crescere ogni giorno.

          “Hmm. Ora per trovarlo…” La voce di Agnarr mi ha riportato sull'attenti. “Giuro di averne vista un'altra copia da qualche parte.” Ha iniziato a cercare tra le cataste.

          Mi sono avvicinata in punta di piedi dietro di lui, attenta a non farmi vedere. Quando lui non stava guardando, ho preso il libro dalla sua borsa, poi ho fatto un grande spettacolo nel trovarlo nelle pile.

          “Oh, guarda! Eccolo qui!” Urlai con entusiasmo. “La mia copia personale. Quanta fortuna, no?”

          I suoi occhi si restringevano in modo sospetto. “L'hai trovato solo ora? Proprio così? Tra le migliaia di libri qui dentro?”

          “Fortuna immagino!” ero raggiante. “Ora se vuoi scusarmi, ho un’importante lettura da fare.”

          Mi sono seduta su una vicina poltrona di pelle, aprendo il libro. Agnarr mi guardò per un momento, poi sospirò, prendendo la sua borsa per prendere la sua copia, che, ovviamente, non era più lì.

         Feci del mio meglio per mantenere una faccia seria, che fissava molto seriamente il libro, mentre, con la coda dell’occhio, ho visto la sua espressione trasformarsi da confusione a comprensione a fastidio. Ma poi sono arrivate le risatine.

          Non sono più riuscita a smettere di ridacchiare.

          “Sei morta!” dichiarò, tuffandosi verso di me. Ma sono stata troppo veloce, saltando sullo schienale della sedia e correndo attraverso la biblioteca. Ha dato inizio ad un inseguimento veloce e ben presto ci siamo trovati in un gioco di inseguimento, schivando mobili e forsema sicuramente per sbagliobuttando giù cose vecchie che probabilmente erano troppo vecchie e preziose per essere buttate giù.

          Eravamo ben oltre l'età dei bambini che avrebbero dovuto giocare a questo tipo di cose. O almeno questo era quello che Kai e Gerda dicevano sempre quando ci scoprivano a rincorrerci o giocare a nascondino nel castello. Ma a noi non importava. Era divertente. E non era permesso anche alle persone anziane di divertirsi?

Improvvisamente, Agnarr cambiò percorso, girando a sinistra per tagliarmi la strada. Ho strillato mentre si affannava a prendere il libro, gettandomi di lato solo per urtare contro la statua di un cavallo.

          Un cavallo veramente molto familiare. Aspetta, era una statua del Nokk d’Acqua?

          Mi sono tuffata per cercare di salvarla, ma era troppo tardi. È caduta in avanti con un forte…

          Suono stridente?

          Ma che diamine?

          Agnarr ed io ci bloccammo sul posto. Polvere che si disperde nell'aria. La libreria dietro la statua si era spalancata, rivelando un passaggio ad arco.

          Osservai Agnarr. La sua espressione scioccata confermava che non aveva idea che ci fosse una porta segreta nella libreria. Mi aveva mostrato altri passaggi segreti. Alcuni utili che potevano essere usati per sgattaiolare fuori dal castello inosservati. Ma questo era nuovo.

          “Che cos’è questo?” chiese Agnarr, avanzando per esaminare la libreria. Come se questa fosse la parte più interessante di tutto questo. Ho guardato, impaziente, mentre controllava i cardini, poi si è girato verso il Nokk d’Acqua, come per cercare di mettere insieme i pezzi del meccanismo.

          Ho quasi urlato dalla frustrazione. Mi interessava solo la stanza segreta.

          Incapace di aspettare ancora, afferrai un candelabro dal muro e corsi attraverso il passaggio, che terminava in una stanza buia, piccola, senza finestre con un tavolo al centro. Sul tavolo c’era un candeliere ornato, che ho acceso con il mio piccolo candelabro. Ben presto l'intera stanza cominciò a brillare e a risplendere, la luce catturava minuscole macchie di cristalli incastonati in scaffali di pietra che salivano fino al soffitto su tutti i lati. Ho fatto un respiro di ammirazione, girovagando. Che posto magico!

          Magico e… sporco. I ripiani erano pieni di vecchi oggetti impolverati che non erano chiaramente stati usati per anni: bicchieri di vetro, bilance d'argento destinate a pesare piccole cose, vasi polverosi pieni di fiori secchi.

          E libri. Tanti libri.

          Non si tratta di libri ordinari come quelli della biblioteca tradizionale, che erano vecchi, ma non così vecchi come questi. Questi libri sembrava che fossero stati qui, a prendere polvere, per centinaia di anni.

          I miei occhi furono anche attratti da un vecchio tavolo traballante al centro della stanza. Era ricoperto di rotoli di carta antica che si sbriciolavano agli angoli, tutti con scritte in lingue che non riuscivo a decifrare. Tra le pergamene c'erano pile di vecchie mappe con disegni di terre straniere e mostri marini scarabocchiati sulle loro pagine.

          “È stupenda!” urlai, girando per la stanza. “Da quanto tempo è qui? Qualcuno sa che esiste?”

          “Mio padre sì, evidentemente,” disse Agnarr, avanzando accanto a me.

          Mi girai attorno, confusa. Indicò delle cianografie che prima non avevo notato, distese sul bordo del tavolo. “Questa è la sua calligrafia,” disse categoricamente. Poi si girò e indicò un ritratto nell’angolo di una donna che indossava una corona. “E questa è mia madre.”

          Fissai il ritratto sorpresa. Agnarr non aveva mai parlato di sua madre. Non conoscevo nemmeno il suo nome. Osservai il ritratto, notando immediatamente la somiglianza tra la donna e suo figlio. Stessi capelli biondo rossastri. Stessi occhi verdi. Ma a differenza degli occhi di Agnarr, che scintillavano come il sole, gli occhi di questa donna avevano un aspetto insopportabilmente triste. Come se avesse un terribile segreto.

          “Non parli mai di tua madre,” dissi delicatamente, chiedendomi per la prima volta perché.

          “Lei… è scomparsa quando ero piccolo,” disse lentamente. “L’hanno cercata a lungo, ma non l’hanno mai trovata.” Scrollò le spalle impazientemente, come se non gli importasse. “O almeno questo è quello che mi hanno detto. Non so se sia vero.”

          “Perché non dovrebbe essere vero?” domandai, anche se mi chiesi se avrei dovuto continuare. Sembrava così sconvolto, la sua faccia buia a cupa. Come se fosse sul punto di piangere. O di colpire qualcuno nella bocca. Che non era l’Agnarr che conoscevo.

          Immagino che tutti abbiamo i nostri segreti.

          “Sai cosa, chi se ne importa?” annunciai risoluta, cercando di migliorare il suo umore. “È solo una vecchia e stupida stanza, comunque. Puzzolente, anche. Chiudiamola e dimentichiamoci di averla vista. Non c’è niente di interessante qui comunque.”

          Era l’ultima cosa che volevo fare, naturalmente. Voglio dire, chi sapeva che tipo di saggezza antica potesse essere sepolta in una stanza come questa? Forse conteneva anche una sorta di indizio per attraversare la nebbia. Qualche traccia storica di quando qualcosa come la nebbia era già accaduto in precedenza—e di come la gente del passato l'aveva risolto.

          Ma Agnarr sembrava così distratto. Come se il semplice stare nella stanza gli causasse dolore fisico. Dovevo portarlo fuori da lì. E in fretta.

          Ho preso La Sirenetta, ondeggiandoglielo in faccia. “Oh, guarda cosa ho trovato!” provai.

          Ma lui l'ha solo spinto via, camminando verso l'altro lato della stanza. Fissava i vecchi libri, il volto contorto dalla rabbia. “Tutti questi segreti!” esplose. “Per tutta la mia vita! Nessuno mi ha detto niente.           Erano tutti segreti, segreti, segreti! Ed ora mio padre è morto, e mia madre scomparsa. E tutte le risposte sono scomparse con loro.”

          Sbatté il suo pugno contro il muro, poi si girò verso di me, i suoi brillanti occhi verdi praticamente scintillavano di infelicità.

          “Per favore, Iduna. Promettimelo. Niente segreti tra di noi. Mai.”

          Il mio cuore ha improvvisamente fatto un balzo. Mi è caduto il libro, che è atterrato sul tavolo con un forte tonfo. Ma non riuscivo a scendere per raccoglierlo, avevo troppa paura di crollare se ci provavo.

          Niente segreti? Come poteva chiedermi una cosa del genere? Ma poi, naturalmente, non lo sapeva. Per lui, io ero un libro aperto. Lui non aveva idea della profondità del mio inganno. Di come gli avevo mentito ogni giorno da quando ci eravamo incontrati. Menzogne accatastate su menzogne in cima a menzogne, come un castello di carte pazzesco che potrebbe crollare alla minima brezza.

          Il grumo nella mia gola minacciava di soffocarmi. Ma mi costrinsi deglutire, cercando disperatamente di incanalare un po' di calma interiore. Cos’era solito dire Agnarr prima di parlare con le persone?

          Celarlo, domarlo.

          “Devo andare!” sbottai, facendo un lavoro particolarmente terribile per l'intera faccenda del "celare". Il mio migliore amico—il ragazzo che amavo più di chiunque altro al mondo—si trovava di fronte a me, chiedendomi di dirgli la verità.

          Ma non potevo farlo. Nemmeno per lui. Specialmente per lui.

          “Iduna, cosa c’è?” chiese Agnarr, osservando allarmato la mia reazione. Allungò le braccia, prendendo le mie mani nelle sue e stringendole forte. Il mio cuore batteva mentre incrociò i suoi occhi con i miei. Occhi così profondi e verdi e brillanti, ma pieni di tanta confusione.

          Non capirebbe.

          Non avrebbe mai capito. Perché non glielo avrei mai detto.

          “Cosa c’è, Iduna?”ripeté ancora, questa volta più dolcemente, alzandosi per tracciare le mie guance con le dita piumate, lasciando una scia di fuoco sulla loro strada. Dovrei andare. Dovrei andarmene. Dovrei scappare da questa stanza e non tornare più.

          Ma, ovviamente, non potevo. Non potevo uscire dalla stanza più di quanto non potessi attraversare la nebbia stessa.

Invece, chiusi gli occhi. Cercando di calmare il mio cuore che batteva. “Niente,” bisbigliai. “È solo…”

          Mi sono allontanata, non sapevo cosa dire. Non so se saprò mai più cosa dire. Ogni parola che usciva dalla mia bocca sapeva di bugia, anche quelle vere. Cosa dovevo fare?

          “Penso di saperlo.”

          I miei occhi si aprirono. “Cosa?”

          “So cosa stai nascondendo.”

          Un crampo freddo si è formato nel mio stomaco. “Quello che sto nascondendo?” ripetei. “Lo… sai?” riuscivo a malapena a far uscire le parole. Il mio intero mondo era come se traballasse sul bordo di una scogliera, pronto a cadere nell’abisso.

          Annuì lentamente, i suoi occhi non lasciavano i miei. La confusione stava svanendo, realizzai. E al suo posto un sorprendente sguardo di chiarezza. E… qualcosa di completamente diverso.

          “Non preoccuparti,” sospirò. “Lo sento anch'io. Lo sento già da un po' di tempo. Dall'ultimo viaggio alla diga.” La sua faccia divenne rossa. “Anche se all’inizio non ero sicuro se lo fossi anche tu. Ma adesso… Penso…” soffocò una risata. “Wow. Sono davvero una frana con questo, eh?”

          E improvvisamente realizzai esattamente quello che stava cercando di dire. Quale mio segreto avesse scoperto. Un segreto che stava bruciando dentro di me da mesi ormai, anche se non era stato riconosciuto fino a questo momento.

          Il sollievo si è impossessato di me come un'onda di marea e mi sono ritrovato a ridere. Era una reazione totalmente sbagliata, ma non potevo farci nulla. Non potevo smettere di ridere.

          Il suo volto era abbattuto. I suoi occhi nuovamente annebbiati. “Oh,” disse. “Forse mi sbagliavo—”

          E poi le mie labbra incontrarono le sue.

          Per un momento è rimasto lì come se fosse congelato sul posto. Poi, lentamente, le sue mani si sono allungate e mi hanno stretto le guance, avvicinandomi a lui.

          E lui ha ricambiato il bacio.

          Era sbagliato. Sapevo che era sbagliato. Eppure—forse è stato proprio quell’errore a farlo sembrare così giusto. Così bello, perfetto e dolce. Eravamo da soli. In una stanza segreta. Nessuno poteva vederci. Nessuno lo avrebbe saputo.

          E ci stavamo baciando.

          All'inizio le nostre labbra si sono unite in modo maldestro, ma in qualche modo questo rendeva tutto più bello, una nuova avventura che avevamo intrapreso insieme. La sua bocca si muoveva affamata contro la mia, e le sue mani si aggrovigliavano nei miei capelli. Gli ho stretto le mani sulle labbra, tirandolo più vicino. I nostri corpi sembravano fondersi l'uno nell'altro fino a quando io non ero sicuro di dove finivo io e cominciava lui.

          Thud!

          Ci separammo, spaventati dal rumore. Ci è voluto un momento per realizzare che era solo il libro de La Sirenetta, che era caduto dal tavolo. Ho fatto una risata fragile, improvvisamente timorosa, mi sono messa in ginocchio per afferrare il libro, soprattutto come scusa per nascondermi un attimo e cercare di riprendere il controllo di me stessa.

          “Uh…” Balbettò Agnarr quando mi sono alzata di nuovo in piedi, come se avesse perso tutta la forza della parola. “Wow. È stato… wow.”

          “Wow,” concordai, osando guardarlo di nuovo. I suoi occhi erano vitrei. Ma sembrava felice.

          Quasi felice come lo ero io.

          Sentendomi coraggiosa, mi chinai di nuovo in avanti, dandogli un bacio sulla guancia. Poi, prima che potesse reagire, danzai verso l’uscita, sventolando il libro de La Sirenetta con gioia mentre andavo.

          “Leggerò per prima questo,” gli dissi.

          Agnarr mi fissò. La sua faccia era adorabilmente arrossita, più rossa di quanto l’avessi mai vista prima. Feci un piccolo cenno di saluto prima di dirigermi verso il corridoio, il libro stretto al petto. Ero quasi riuscita ad uscire prima che finalmente parlasse.

          “Iduna…”

          Mi fermai. Mi girai. “Sì, Vostra Maestà?”

          Mi sorrise. “Non dirmi come finisce.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Quattordici

 

Agnarr

 

 

 

 

 

MI AVEVA BACIATO. AVEVA BACIATO ME. ALL’IMPROVVISOnon me lo aspettavo nemmeno. Voglio dire, lo volevo. Lo stavo aspettando. Lo stavo anche sognando. Quante notti ho passato sveglio sul letto, immaginando come sarebbero state le labbra di Iduna sulle mie? Ma non avevo idea che lei avrebbe semplicemente—

          “Agnarr! Potresti almeno far finta di prestare attenzione?”

          Alzai lo sguardo, realizzando che tutti i presenti nella stanza del consiglio mi stavano fissando. Avevamo avuto un'altra di quelle riunioni di diplomazia infinitamente noiose per tutto il pomeriggio, ma non ero stato in grado di prestare attenzione a ciò che veniva detto. E chi poteva biasimarmi? Come ci si può concentrare sulla politica e sulle relazioni estere quando si ha il ricordo di un bacio perfetto di una ragazza perfetta che corre nella propria testa?

          “Agnarr, ti prego. Abbiamo bisogno del tuo contributo.” Lord Peterssen stava iniziando a sembrare arrabbiato. Sospirai e mi raddrizzai nella mia sedia, facendo del mio meglio per spingere i pensieri di Iduna fuori dalla mia mente. Il che era impossibile, naturalmente, ma alla fine potevano restare nella parte posteriore per un po’, invece di catturare tutta la mia attenzione.

          “Di che cosa stavamo parlando?” chiedi, cercando di sembrare un buon principe.

          “Il regno di Vassar. Ha un bel porto. Grandi opportunità commerciali. Sarebbe una manna per noi unire i nostri due regni in un'alleanza,” disse Peterssen.

          “Uh, certo. Sembra grandioso.” Perché dovrei interessarmi di nuovo a queste cose?

          “Davvero? Allora sei d’accordo? Non ci vuoi prima pensare meglio?” Peterssen mi stava osservando in modo curioso. “O almeno incontrare la ragazza?”

          Sono quasi caduto dalla mia sedia. “Aspetta, che?”

          “La figlia del re di Vassar? Runa? Ti ha offerto la sua mano in matrimonio.” Peterssen mi ha dato uno sguardo acuto, rimproverandomi silenziosamente per non aver ascoltato prima.

          “Una ragazza fine,” convenì Frederick, uno dei membri del consiglio. Era basso e corpulento, e aveva i baffi più grandi e rossi che io avessi mai visto in un uomo. “Anche abbastanza bella, da quello che ho sentito. Sarebbe un’ottima regina e una buona madre.”

          Regina? Madre? Mi alzai, riuscendo soprattutto a rovesciare la mia sedia. Cadde sul pavimento con un suono pesante. “Di cosa state parlando?”

          Peterssen sospirò pesantemente. “Agnarr, hai diciotto anni. Tra qualche anno, prenderai il trono di Arendelle. Il che significa che devi generare ed erede al trono. Forse due. E per farlo, hai bisogno di una moglie. Prima o poi.”

          La mia mente ha avuto subito un flash su Iduna. Il che era ridicolo, naturalmente. Loro non mi avrebbero mai permesso di sposarla. Era, del resto, una popolana. Dovevo sposare una principessa di un altro regno per rafforzare la posizione di Arendelle. Specialmente dopo la morte di mio padre. Peterssen aveva fatto del suo meglio come regnante, ma i lupi fiutavano sempre le porte di un regno con un giovane sovrano.

          Sapevo tutto questo nella mia testa. L'avevo sempre saputo, nel profondo.

          Ma nel mio cuore…

          Senza pensarci, sfregai il mio pollice contro il labbro inferiore. Riuscivo ancora a sentire la beatitudine fantasma della sua morbida bocca che si muoveva contro la mia.

          Iduna.

          Finsi un colpo di tosse. Ridicolo, certamente, ma tutto quello che sono riuscito a trovare con poco preavviso. “Non mi sento molto bene,” annunciai. “Ho bisogno di una pausa. Potremo parlare di questo un altro giorno.” iniziai a dirigermi verso la porta.

          “Ma, sire!” protestò Peterssen.

          Mi fermai sui miei passi. “Ho passato diciotto anni senza una moglie,” dissi lentamente. “Sono sicuro che voi gentiluomini potrete aspettare qualche giorno in più per impormene una.”

          “Non le stiamo chiedendo di decidere in questo momento,” rispose Frederick “solo di avere una mente aperta. E permettere alla signorina di venire a trovarci ad Arendelle. Così che possa sperimentare di persona la bellezza e il fascino del nostro regno.”

          “Certo. Va bene. Tutto quello che volete.” ero già a metà strada verso la porta, disperato di scappare da quelle occhiate, gli sguardi degli uomini che si aspettavano che li guidassi io, ma dubitavano della mia capacità di farlo. Potevo sentire gli occhi di Peterssen su di me, ma mi rifiutai di guardare nella sua direzione. Questo è tutta colpa tua! volevo urlare. Tu l’hai portata qui. La più bella, dolce, divertente ragazza in tutto il mondo. Cosa ti aspettavi sarebbe successo?

          Ma non potevo dire nulla di tutto questo. Non avrebbero mai capito. E quindi, con tutta la dignità che potevo mostrare, tenni la mia testa alta e mi sono allontanato dalla stanza del consiglio come il re che ero.

          Celarlo, domarlo.

          Non mostrarlo…

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Quindici

 

Iduna

 

 

 

 

 

IL SOLITO, SIGNORINA IDUNA?” CHIESE LA SIGNORA Blodget mentre più tardi, quel giorno, sono praticamente saltata nella sua panetteria. Ho sbirciato nella vetrinetta dove teneva tutte le sue prelibatezze speciali. Pasticcini a scaglie, biscotti giganteschi e, naturalmente, cioccolato.

          Così tanto cioccolato.

          “Sì,” dissi. “Due dozzine di biscotti. E questo qui, qualunque cosa sia,” aggiunsi impulsivamente, indicando quello che sembrava una miniatura del castello di Arendelle fatta interamente di cioccolato. I biscotti sarebbero andati ai piccoli bambini dell’orfanotrofio. Ora che stavo lavorando ed avevo un’entrata, mi piaceva portargli dei dolcetti. Mentre l'orfanotrofio faceva bene ad allungare il budget per assicurarsi che tutti fossero nutriti, non rimaneva mai molto per i dolci.

          Il cioccolato, comunque, era per me.

          Mentre la Signora Blodget si affannava a confezionare i biscotti, ho vagato per il negozio, guardando in tutte le casse. Ma anche se sbirciavo attraverso il vetro, la mia mente era completamente altrove.

          Ovvero, al bacio di Agnarr.

          “Sembri felice oggi,” ha osservato la Signora Blodget quando è arrivata con la scatola di biscotti, legata con un nastro rosso. “Naturalmente, lo sei sempre.” me li ha consegnati, insieme alla borsa contenente il piccolo castello di cioccolato. Mi ha fatto l'occhiolino. “Ho aggiunto un’altra dozzina di biscotti,” disse con tono cospiratorio. “Per i bambini.”

          “Grazie,” dissi, inchinandomi. “Non avresti dovuto farlo.”

          “Lo so. Volevo farlo. Che cosa dolce che fai per loro. Quei poveri piccoli cari.”

          Scrollai le spalle. “È il minimo che posso fare.”

          “Beh, non tutti si disturbano a fare lo stesso, credimi.” disse, schioccando la lingua. “Sono fortunati ad averti. Noi siamo fortunati ad averti,” aggiunse. “Mio marito mi ha raccontato che tu e Johan state lavorando su per le colline con il vento. Dice che rivoluzionerà il nostro villaggio.”

          “Lo spero,” sorrisi.

          Gli occhi della Signora Blodget si sono persi. “I tuoi genitori sarebbero stati così orgogliosi.”

          “Grazie,” dissi, un po’ a disagio sulla questione genitori. Era così difficile, sempre a mentire alle persone. Specialmente a persone gentili come la Signora Blodget. Per quanto tempo avrei dovuto continuare a farlo? La mia mente tornò indietro alle parole di Agnarr nella biblioteca.

          Per favore, Iduna. Promettimelo. Niente segreti tra di noi. Mai.

          Una promessa che non avrei mai potuto fare. Nemmeno al ragazzo che amavo.

 

_______

 

 

Buongiorno, raggio di sole,” mi salutò Johan mentre entravo nel suo granaio la mattina dopo.Hai un aspetto luminoso e allegro stamattina.”

          Gli ho fatto un sorriso pallido, la stanchezza mi si è posata sulle spalle come una coperta bagnata. Non ero stata in grado di dormire molto la notte precedente, girandomi e rigirandomi e pensando ad Agnarr. In parte è stato bello—rivivere il nostro bacio segreto nella stanza della biblioteca. In parte non lo era, però. Ho provato e riprovato a trovare un modo per dirgli la verità sul mio passato senza rovinare ogni cosa tra di noi.

          Forse non gli sarebbe importato, mi dissi. Forse non avrebbe avuto problemi a scoprire da dove venissi. Specialmente se sapesse che ero la sua salvatrice. Come potresti odiare chi ti ha salvato la vita?

          Ma poi mi ricordai delle sue parole nella biblioteca. Di come tutta la sua vita fosse avvolta dai segreti. Se scoprisse che gli ho mentito per tutto questo tempo, non mi riterrebbe migliore di chiunque altro. Ci rimarrebbe malissimo. Tutta la fiducia che avevamo costruito tra di noi andrebbe perduta. Avrebbe probabilmente finito per odiarmi.

          Non potevo sopportare che Agnarr mi odiasse. Era tutto quello che avevo al mondo.

          Beh, quello e il mio lavoro. Realizzai che Johan mi stava fissando preoccupato.

          “C’è qualcosa che non va?” chiese, mettendo un braccio attorno a me. Gli permisi di condurmi su una panchina nelle vicinanze. “Sembra che qualcuno abbia mangiato la tua renna da compagnia.”

          Gli diedi un sorriso rude, sedendomi sulla panchina. “Sto bene,” gli assicurai. “Sono solo stanca.”

          Si sedette accanto a me. “E perché non dovresti esserlo? Hai lavorato così tanto,” disse, accarezzandomi il ginocchio. “Non pensare che non l’abbia notato. Non avrei potuto chiedere un’assistente migliore, Iduna. Sono orgoglioso di tutto quello che abbiamo realizzato insieme.” Mi ha stretto il ginocchio.

          Deglutii, sentendomi improvvisamente a disagio vicino a lui. Il che era strano, naturalmente. Dopotutto, io Johan avevamo lavorato insieme a stretto contatto per oltre un anno a questo punto. Eravamo sempre stati vicini. Ma quel giorno qualcosa sembrava diverso in lui. Anche se non potevo metterci la mano sul fuoco.

          “Amo questo lavoro,” dichiarai, alzandomi in piedi, più per mettere una distanza tra di noi. Camminai verso la finestra, osservando il nostro mulino. Le pale ruotavano in modo costante, ed io non potevo fare a meno di provare una sensazione di orgoglio che saliva dentro di me. Io avevo creato questo. Qualcosa di magnifico che avrebbe cambiato il futuro di Arendelle. “Non vorrei lavorare da nessun altra parte.”

          “Sono contento di sentirlo,” Johan si unì a me alla finestra, facendomi girare fino a quando non eravamo faccia a faccia. La sua espressione era seria. “Iduna, so che il tuo apprendistato finirà tra qualche mese,” disse. “Ma spero che accetterai di continuare con me anche dopo che sarà finita.” Si fermò, poi aggiunse con un sorriso sornione, “Anche se non solo come mia apprendista questa volta.”

          Whoa. Il mio cuore aveva iniziato a battere forte nel mio petto. Era finalmente arrivato? Era finalmente arrivato il momento che stavo aspettando? Il momento in cui mi avrebbe chiesto di lavorare per lui a tempo pieno?

          “Tu… vuoi assumermi?” chiesi, la mia voce tremava così forte che riuscivo a malapena a far uscire le parole. Stava accadendo davvero? Stavo davvero per avere il lavoro dei miei sogni?

          Con mia sorpresa, Johan iniziò a ridere. Come se avessi detto la cosa più divertente del mondo.

          “Iduna,” Con mia sorpresa, si abbassò su un ginocchio di fronte a me. “Io voglio sposarti.”

          Cosa?

          Lo fissai, troppo sconvolta per parlare. Mi sorrise, allungando la mano per stringere le mie mani nelle sue. Inorridita, sono indietreggiata, mettendo istintivamente la distanza tra me e lui.

          La sua espressione seria si è sbriciolata. Si rimise in piedi.

          “Io…” iniziai, la mia mente correva per riprendere il controllo. “Non volevo… Mi dispiace.”

          Per cosa mi stavo scusando? Non avevo fatto nulla di sbagliato. Ero solo sorpresa—sconvolta. Pensavo che mi volesse offrire un lavoro.

          Non il matrimonio!

          Fece un respiro profondo e la delusione svanì dal suo volto, sostituita da una maschera vuota. “Pensavo…

          “Pensavi...cosa?” riuscivo a malapena a respirare.

          “Ho pensato che abbiamo lavorato bene insieme,” disse. “Pensavo che fossimo una buona squadra.”

          “È così. Lo… siamo.”

          “Allora perché non essere di più?” chiese, i suoi occhi ora imploravano. “Iduna, possiamo essere felici insieme. Tu ed io.”

          I miei pensieri e la mia mente correvano così veloci che era quasi impossibile che qualcosa avesse senso. Da quanto tempo nutriva questi sentimenti per me? Ero stata cieca alle sue vere intenzioni per tutto questo tempo? Mi piaceva Johan. Era intelligente. Creativo. Un buon capo. Ma è lì che finivano i miei sentimenti.

          Ma non per lui, evidentemente.

          “Mi dispiace,” balbettai, strizzando le mani davanti a me. “Sei un buon amico. E mi piace lavorare con te. È solo…” Mi sono allontanata, non sapendo cos'altro dire. Questo non è stato un bene. Non andava bene per niente.

          Abbastanza sicura, il suo viso diventò rosso barbabietola, la rabbia saliva in superficie.

          “Cosa, pensi di essere troppo per me?” domandò. “Tu, con la tua fantastica educazione al castello? La tua fantastica dell'amicizia con il principe?”

          Sentii il sangue scorrere dal mio viso. La mia mente balenò ad Agnarr nella stanza segreta. Le sue labbra sfioravano le mie. Baci e tenerezza. Così dolce. Erano successo solo pochi giorni prima?

          Johan colse la mia espressione. Il suo sopracciglio si alzò. “Oh.” Iniziò a ridere. “Capisco. Sei innamorata del principe.”

          Ho barcollato all'indietro. “Non è vero!”

          Annuì lentamente, la consapevolezza che sorge nei suoi occhi. “Sì, è così, non è vero? Ecco perché non ti abbasseresti mai a sposare un plebeo come me! Hai manie di grandezza. Pensi che ti farà diventare regina? Sei proprio uno sciocca!”

          “Non penso che sia così!” protestai.

          “Spero di no,” rispose. “Perché non accadrà mai. La gente come lui, non si preoccupa di quelli come noi. Persone che si sono fatte da sé e che non hanno bisogno della loro benevolenza per sopravvivere.” Mi diede uno sguardo condiscendente. “E, credimi, mentre possono flirtare con te e ritengono opportuno macchiare il tuo onore, alla fine si sposano solo con i loro simili.”

          Le parole crudeli di Johan mi colpirono come un fulmine al cuore. Lo sapevo questo, certamente. Lo sapevo fin dal primo giorno che ho iniziato a provare dei sentimenti per Agnarr. Ma una parte di me aveva ancora una speranza, specialmente dopo il nostro bacio.

          Johan deve aver notato l’effetto che le sue parole avevano prodotto nella mia espressione traumatizzata, perché la sua voce si addolcì, rilassandosi. “Senti, mi dispiace,” disse. “Non stavo cercando di ferire i tuoi sentimenti. E mi dispiace se ne sono uscito troppo duro. Ma mi preoccupo per te, Iduna. Non voglio che la tua cotta da ragazzina ti faccia del male.”

          “Io non ho una cotta!” cercai di dire, ma sapevo che era inutile. Tutto quello che aveva detto era giusto. Agnarr e io non saremmo mai potuti stare insieme. E sarebbe molto più intelligente voltargli le spalle ora, prima che sia troppo tardi. Fare coppia con un uomo come Johan invece. Qualcuno che fosse mio eguale. E, ehi—forse avrei potuto imparare ad amarlo un giorno. O almeno crescere in un rispetto reciproco. Molti matrimoni sopravvivono con meno.

          Ma no. Era già troppo tardi per me. Ero perdutamente innamorata del mio principe. Il modo in cui mi faceva ridere, il modo in cui mi faceva pensare. Il modo in cui mi faceva venire i brividi lungo la schiena quando allungava la mano e mi accarezzava la guancia con le sue dita morbide. Agnarr mi ha fatto provare cose che non avevo mai provato prima. E se non potevo averlo, non volevo nessun altro.

          Realizzai che Johan stava ancora aspettando la mia risposta. Finalmente trovai la voce.

          “Senti, questo non deve cambiare nulla,” Ho provato, sperando di disinnescare la situazione il più delicatamente possibile. “Siamo ancora amici, giusto? Possiamo ancora lavorare insieme?”

          Il volto di Johan cambiò. “Questo è tutto ciò che ti interessa, non è così?” disse in tono accusatorio. “Lo stupido mulino a vento.”

          “Cosa vuoi dire?”

          “Va’ a casa, Iduna. Hai fatto la tua scelta. Spero che otterrai quello che vuoi.”

          Congelai. “Aspetta, tu mi stai… licenziando?” chiesi, gli occhi pieni di orrore.

          “Cosa vuoi che faccia?” disse. “Ti ho aperto il mio cuore e tu lo hai calpestato. Come può uno tornare a parlare di mulini a vento dopo una cosa del genere?”

          Ma certo. Lo avevo rifiutato, e me la voleva far pagare. Con l’unica cosa che sapeva mi interessava più di tutte. Il mio lavoro.

          Sentivo le lacrime negli occhi, ma mi rifiutavo di farle uscire. “Sai, parli di aiutare le persone a diventare indipendenti,” dissi, cercando di non mostrargli quanto fossi sconvolta. “Ma quando tutto si riduce a questo? Sei egoista come tutti gli altri.”

          “Iduna—”

          “Addio, Johan, Buona fortuna con i tuoi mulini a vento.”

          E con ciò, mi sono girata, correndo già per la collina. Riuscivo a sentire che mi stava chiamando, ma mi rifiutai di girarmi. Non gli avrei dato questa soddisfazione.

          Alla fine della collina, girai a destra per la forza dell’abitudine. Diretta verso il castello.

          Avevo bisogno di vedere Agnarr.

          Ora.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Sedici

 

Iduna

 

 

 

 

 

ERA GIÀ SULL’ALBERO QUANDO SONO arrivata. Come se stesse aspettando, proprio dove avevo bisogno che fosse. Volevo confrontarmi con sollievo quando l'ho visto lì, rannicchiato su un ramo basso, con il naso sepolto in un fitto tomo.

          Ma mi sono trattenuta, le parole di Johan riecheggiavano nelle mie orecchie.

          Hai manie di grandezza. Pensi che ti farà diventare regina?

          E se Johan avesse ragione e Agnarr avesse già deciso che l'intera faccenda tra noi non era stata altro che un grosso errore?

          Non potevo sopportare di perdere il mio lavoro e il mio migliore amico nello stesso giorno.

          Agnarr alzò lo sguardo dal suo libro, sentendomi avvicinare. La sua faccia si illuminò con un enorme sorriso che mi ha fatto venire voglia di scoppiare in lacrime di sollievo. Johan non aveva idea di cosa stesse parlando. Ad Agnarr importava di me. Quello che abbiamo vissuto insieme—è stato speciale. Importava.

          Mi arrampicai sull’albero. Il sorriso di Agnarr svanì quando vide la mia faccia.

          “Cosa c’è che non va?” chiese, mettendo subito da parte il suo libro.

          Ho chinato la testa, all'inizio non volevo parlarne. Mi vergognavo così tanto—mi ero persa i segnali? Avevo dato indicazioni che avevano portato Johan alla conclusione sbagliata?

          Ma no. Gli avevo dato una giornata di lavoro onesta.

          “Iduna. Parlami.” la faccia di Agnarr era a pochi centimetri dalla mia. “Stai bene? Stai…” la sua faccia diventò pallida. “Sei sconvolta per quello che è successo nella biblioteca? Perché ne possiamo parlare. Se pensi che sia stato un errore—”

          Soffocai una risata. E io mi ero preoccupata che pensasse la stessa cosa di me.

          “No,” gli assicurai, mostrandogli un sorriso triste mentre gli appoggiavo la mano sulla spalla. Era tutto quello che potevo fare per non cadere tra le sue braccia, lasciare che mi stringesse. Dirmi che tutto sarebbe andato bene. Ma dovevo prima sistemare questa cosa. “Infatti, la cosa della biblioteca è stata la parte migliore di questa settimana.”

          Le sue sopracciglia si aggrottarono. “Cos’è successo?”

          “Beh, per iniziare, Johan mi ha fatto la proposta.”

          La faccia di Agnarr divenne bianca come un fantasma. “Lo ha f-fatto?” balbettò. “Um, cioè… wow.” Deglutì. “Cosa gli hai detto?”

          “Gli ho detto di no. Ovviamente,” Sono scattata, sentendomi infastidita di dover rispondere a quella domanda. Che in qualche modo Agnarr non lo sapesse già. Ma come avrebbe potuto? Non abbiamo mai parlato di questo genere di cose. Non avevamo mai nemmeno espresso sentimenti l'uno per l'altra fino a poco tempo fa.

          “Phew.” la faccia di Agnarr brillava di sollievo. “Voglio dire, lui è completamente sbagliato per te.” aggiunse frettolosamente quando gli ho dato un'occhiata.

          Deglutii una risata amara. Sbagliato per me. Al contrario, Johan era esattamente il tipo che era giusto per me. Un uomo che si era fatto da solo e che proveniva dal nulla. Era una persona che aveva lavorato sodo e perseverato contro ogni aspettativa. Non diversamente da me.

          Era Agnarr quello che era sbagliato per me. L'unico uomo non legato ad Arendelle che non avrei mai potuto avere.

          L’unico che io volevo.

          Alla fine si sposano solo con i loro simili.

          Chiusi gli occhi, cercando di riacquistare il mio buonsenso. “Comunque, quando ho detto no alla sua proposta, mi ha praticamente licenziata. Il che significa che non andrò più a lavorare sui mulini a vento.”

          “Cosa?” Agnarr sembrava inorridito. “Non può farlo!”

          “Lo ha già fatto.” Improvvisamente mi sentivo vecchia di un milione di anni.

          “Beh, allora deve riassumerti. È illegale. O dovrebbe esserlo, se non lo è. Posso fare in modo che lo sia. Posso mandare delle guardie a parlare con lui. Potrei… perfino metterlo in prigione. Voglio dire, licenziamento ingiusto di un’apprendista perfettamente qualificata che semplicemente non si vuole sposare... o qualcosa del genere? Deve essere un crimine di qualche tipo.” Non ho potuto fare a meno di sorridere a questo. La sua indignazione nei miei confronti mi ha fatto sentire meglio. Anche se non volevo che andasse fino in fondo.

          “Grazie,” dissi. “Apprezzo il supporto. Ma preferisco occuparmene da sola. È un mio problema, non tuo.”

          “Lo so, ma…” le sue spalle crollarono in segno di sconfitta. “Voglio aiutarti.”

          “E adoro che tu lo faccia. Ma non sono una donzella in difficoltà di uno dei tuoi libri. Mi sono sempre presa cura di me stessa. E mi occuperò anche di questo.”

          “Lo capisco,” disse. E il mio cuore si gonfiò all'accettazione sul suo volto. Voleva aiutare. Ma era anche disposto a fare un passo indietro e a lasciarmi fare a modo mio. Non mi costringeva né mi faceva sentire in colpa per qualcosa che non volevo. Tutto quello che voleva per me era che fossi felice. Ed avrebbe fatto qualsiasi cosa, lo sapevo, per renderlo tale—anche se significava non fare nulla.

          “Non c'è niente che posso fare per te?” chiese delicatamente. Si allungò, togliendo una ciocca di capelli dalla mia faccia. I suoi occhi erano teneri, gentili. “Di cosa hai bisogno, Iduna?”

          Le mie emozioni mi hanno inondato il cuore alle sue semplici parole. Ed improvvisamente realizzai che c’era solo una cosa di cui avevo bisogno. L'unica cosa che non dovrei chiedere. L'unica cosa di cui non ero sicura di poter vivere senza.

          “Ho bisogno di te,” bisbigliai. “Solo di te.”

          Il respiro gli rimase impigliato in gola. Per un attimo mi ha guardato. Guardò e guardò e guardò fino a quando il tempo stesso sembrò congelarsi nel suo sguardo.

          E poi mi baciò.

          Questa volta non è cominciata con delicatezza, come il bacio che abbiamo condiviso nella stanza segreta. Invece, sembrava disperato nella sua intensità. E mentre affondava le sue mani nei miei capelli, il calore saliva dentro di me, fino a quando mi sentivo come se fossi letteralmente scoppiata in fiamme.

          “Agnarr,” sospirai, la mia bocca contro la sua.

          “Iduna…”

          Non so per quanto tempo ci siamo baciati in quell’albero. Potevano essere passate ore, anni, minuti, o solo pochi beati secondi. Ma quando finalmente ci separammo, arrossiti e senza fiato, ci guardammo negli occhi, non più timidi. Come se niente nel mondo importasse al di fuori di quell’albero. Niente passato, nessun potenziale futuro. Niente potrebbe rubarci questo momento.

          “Ti amo,” bisbigliò. Così dolcemente all'inizio che ero quasi convinta che me lo stessi inventando nella mia testa. Ma poi la sua voce si è alzò. Più sicura di sé. La voce di un ragazzo che presto sarebbe diventato re. “Ti ho sempre amata,” aggiunse. “Sin dal primo giorno nell’orfanotrofio quando ti ho sorpreso a cantare.”

          “Anche io ti amo,” risposi, la mia voce era così stridente che mi chiedevo se potesse capirmi. La mia confessione non è stata perfetta, ma c'era, comunque: vulnerabile e vera. Il mio cuore era suo, che mi piacesse o no. Allungai la mano e gli feci scivolare la sua mano nella mia e la strinsi forte. Le sue mani erano morbide, non ruvide e callose. Ma questo non significava che non fossero forti e pienamente capaci. “Fin… dal giorno in cui siamo saliti per la prima volta su questo albero.”

          Non era quello che volevo dire, naturalmente. Volevo dirgli che lo amavo da molto più tempo. Da quel primo giorno in cui è arrivato nella Foresta Incantata. Quando ho visto lo stupore nei suoi occhi mentre accarezzava la piccola renna. Quando suo padre gli ha urlato contro e ho visto le sue spalle strette crollare e la sua testa chinarsi per la vergogna.

          Quando giaceva sanguinante sul terreno e ho preso la decisione di salvare lui—invece di me stessa.

          Ma non potevo dire niente di tutto questo. Non ora almeno. Non mentre tutto era così fragile, così nuovo. Sapevo nel mio cuore che questo momento non sarebbe durato per sempre. Le nostre circostanze erano troppo diverse perché tutto questo finisse felicemente a lungo termine. Ma anche se forse non abbiamo un domani, abbiamo avuto questo tesoro adesso. Ed adesso era tutto quello che contava.

          Sorrisi al principe. Mi sorrise, sembrando piuttosto soddisfatto di se stesso.

          Agnarr.

          “Se solo potessimo fare questo per sempre,” dissi con un sospiro felice.

          “Possiamo!” dichiarò. “Infatti, farò un proclama reale. Baciarsi non deve più avere limiti di tempo!”

          Sorrisi. “Non ci sono limiti di tempo adesso!”

          I suoi occhi incontrarono i miei. Erano morbidi e sognanti, un probabile riflesso del mio. “Allora perché non possiamo farlo per sempre?” bisbigliò.

          Avrei potuto offrire un milione di ragioni pratiche.

          Invece, lo baciai di nuovo.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Diciassette

 

Iduna

 

 

 

 

 

“‘E COSÌ GLI ARENDELLIANI SI STABILIRONO sulle rive erbose e verdi di quello che d'ora in poi sarà conosciuto come Arenfjord.’”

          Mi sfuggì un sorriso, e Miss Larsen alzò lo sguardo dal suo libro di testo, guardandoci con un'espressione sospetta. La faccia di Agnarr è diventato grande e innocente mentre mi mordevo il labbro inferiore per smettere di ridere, dando al principe uno sguardo rimproverante. Come potevo prestare attenzione alle lezioni di storia se lui continuava ad allungarsi sotto il tavolo, sfiorandomi il ginocchio con la mano e mandandomi i brividi lungo la schiena? Bei brividi, ma comunque!

          “È qualcosa di divertente, Signorina Iduna?” chiese a bruciapelo Miss Larsen.

          “No, signora,” la rassicurai. “Stavo solo… pensando ad una cosa.”

          “La prossima lezione, cerchiamo di mantenere la concentrazione sull'apprendimento, va bene?” chiese Miss Larsen.

          Annuii mentre raccoglievo le mie cose e mi dirigevo verso la biblioteca segreta, sapendo che Agnarr non era molto lontano.

          In effetti, negli ultimi mesi avevo trovato quasi impossibile concentrarmi su qualcosa di diverso da Agnarr e dalla nostra storia d'amore. (Beh, quello e il tenerla segreta.) Passavamo quasi tutto il nostro tempo libero insieme, quando non eravamo a lezione o alle riunioni del consiglio, eludendo le sue guardie e sgattaiolando fuori dal villaggio. Vagavamo per le colline, mano nella mano, parlando per ore di niente e di tutto. Poi trovavamo un albero o un cespuglio dietro cui nasconderci e ci baciavamo finché non mi sembrava di non poter respirare.

          La stanza segreta della biblioteca era diventata il nostro luogo più frequentato, sia perché era così nascosta, sia perché era il luogo in cui ci eravamo arresi per la prima volta alle ondate di sentimenti che ci attraversavano. Avevamo trasformato la stanza nel nostro speciale nascondiglio, con Agnarr che leggeva ad alta voce da vari libri o pergamene che aveva scoperto mentre io dipingevo le stelle sul soffitto con colori che sembravano brillare al buio. Quando ho finito, ci siamo sdraiati per terra, fissando il vasto cielo, con le mani legate, come se fossimo in uno dei nostri viaggi nella nebbia.

          Ma per quanto magici fossero questi momenti, dovevo ancora affrontare la vita reale. Come quello che avrei fatto per guadagnarmi da vivere ora che non sono più un apprendista. Agnarr si è bat il dito sul mento, considerando le opzioni. “Che cosa succederebbe se avviassi un'attività in proprio nel settore dei mulini a vento? Daresti a Johan un po' di concorrenza.”

          “Sarebbe grandioso,” dissi con una risatina. “Ma come potrei avviare un'attività? Nessuno investirebbe in una ragazza sedicenne.”

          Io lo farei. Se lei fosse te.”

          Ho brontolato. “Per l’ultima volta. Non prenderò i tuoi soldi, Agnarr.”

          “Non vedo perché no. Ne ho più che a sufficienza. Inoltre, sei un buon investimento. So che me li restituiresti.”

          Lo baciai nello spazio tra l'orecchio e la clavicola, il posto che conoscevo lo faceva sempre rabbrividire. “Agnarr. Apprezzo la tua fiducia in me. Ma questo è qualcosa che devo fare da sola.”

          “Oh, va bene.” Si sedette e passò la sua mano tra i capelli. “Quindi non hai il denaro. Cos’hai?”

          Mi sono grattata il naso. “Conoscenza? Voglio dire, so come costruire un mulino a vento. Solo non ho il denaro per comprare le scorte per farlo.”

          “Ecco!” urlò Agnarr, indicandomi. “Ci sono!”

          “Cosa?”

          “Puoi essere un’insegnante.”

          “Un’insegnante? Come Miss Larsen?”

          Scosse la testa. “Quello a cui sto pensando è qualcosa di un po' più specializzato.”

          “Cosa intendi?”

          “Mi hai detto che Johan costruisce questi mulini a vento sulle terre dei contadini, giusto? Beh, e se volessero risparmiare denaro pagando solo per la conoscenza su come costruirli e realizzarli effettivamente da soli?”

          I miei occhi si spalancarono. “Oh!”

          “Puoi insegnarglielo, giusto? Forniresti la consulenza e i progetti dell'edificio, a un prezzo ragionevole. E loro provvederebbero alla raccolta di tutti i materiali e alla manodopera.”

          “Questa… non è una cattiva idea,” dissi, cercando di organizzare i pensieri che mi passavano per la testa. “In questo modo le persone non devono sacrificare la metà dei loro risparmi di una vita per avere un mulino a vento.”

          “E tu sei un'ottima insegnante,” disse Agnarr. “Sei così paziente con tutti. Anche con me!”

          Specialmente con te,” lo presi in giro, colpendolo nel braccio.

          “Quindi, cose ne pensi?” chiese.

          “Penso che sei un genio,” dichiarai. “Ma non montarti la testa.”

          Sorrise. “C’è solo una cosa nella mia testa in questo momento, Iduna.” Abbassò la bocca in modo che le sue labbra fossero proprio contro le mie. “E sarà un'insegnante formidabile.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Diciotto

 

Iduna

Sei Settimane Dopo

 

 

 

 

VA BENE, QUINDI QUI HA ALCUNE scelte. Può costruire il suo mulino a vento di base—che richiederà meno materiali e richiederà meno manodopera. Oppure può aggiungere una casa rotonda al progetto. Questo costerà di più in anticipo in quanto richiede molto più legname. Tuttavia, otterrà un'area di stoccaggio coperta per il suo grano o gli attrezzi agricoli.”

          “Hm. Cosa mi suggerisci?” chiese il Signor Hansen, studiando i progetti che avevo disegnato e sistemato davanti a lui. “Non voglio rimetterci del denaro, ma…”

          “Una casa rotonda proteggerà anche il vostro trespolo—che in pratica sono le gambe del mulino a vento— dalle intemperie.” gli dissi. “Cosa che, in genere, da queste parti abbiamo molto spesso. Se può permetterselo, lo consiglierei sicuramente.”

          Il Signor Hansen alzò lo sguardo. “Bene allora, procediamo con questo!”

          Sorrisi, arrotolando i progetti ed allungando la mano. Lui la strinse con presa salda. “Grande,” dissi. “Li rivedrò per includere la casa rotonda e ve li riporterò domani mattina presto. Va bene?”

          “Fantastico. In questo modo risparmierò una fortuna da quello che stavo per pagare a Johan. Per non parlare che farò io il lavoro. Lo preferisco, in realtà. In questo modo otterrò esattamente quello che voglio.” Mi sorrise. “Ti ringrazio, Iduna.”

          “Grazie a lei,” lo corressi con un sorriso. “ E la prego di raccontare questa cosa a tutti i suoi amici. Mi piacerebbe progettare mulini a vento anche per loro.”

          “Oh, ci puoi scommettere che lo farò,” disse. “Stasera al pub canterò le tue lodi. Entro domattina, avrai più affari di quanti tu ne possa gestire.”

          “Non si preoccupi, posso gestire un bel po' di cose,” gli assicurai. “Grazie di nuovo. Ci vediamo domani.”

          “E con questo, scesi giù per la collina, fischiando allegramente. Era una giornata meravigliosa. Avevo di nuovo un lavoro retribuito. Autonomo—che era anche meglio. Dopotutto, avevo il miglior capo del mondo. Anche se era un po' tiranna.

          Non potevo ancora credere a quanto mi sono divertita nelle ultime settimane. Era un lavoro duro—certo. E alla fine della giornata, ero esausta. Ma guadagnavo ogni giorno, e avevo già raccolto abbastanza per affittare la mia casa. La mia piccola casa nel villaggiosembrava un sogno che si avverava.

          Ed Agnarr era stato così incoraggiante. Certo, anche lui era impegnato—con tutte le riunioni del consiglio e i suoi doveri reali. Ma non ha mai perso l'occasione di incontrarmi alla fine della giornata nella nostra stanza segreta della biblioteca. Ci rannicchiavamo l'uno tra le braccia dell'altro, completamente esausti da giornate molto diverse, e lui mi chiedeva di raccontargli tutto—anche le parti noiose. E si comportava come se fosse interessato a tutto questo.

          Ho raggiunto il ponte che conduceva ad Arendelle, salutando alcune persone mentre passavo. La mia mente tornò al primo giorno che ero arrivata al villaggio, ancora una bambina, spaventata e sola. Allora le mura erano sembrate alte ed imponenti. Le strade così strette e anguste. Non riuscivo ad immaginare, al tempo, di poter vivere in un posto del genere.

          Ma adesso, mi sentivo a casa.

          Non avrebbe mai sostituito la foresta in cui sono cresciuta. Rimpiango ancora la mia vecchia vita e la mia famiglia e tutto ciò che avevo perso quel giorno. Ma era passato così tanto tempo ormai, che quella vita aveva cominciato a sembrare quasi come un sogno. Un bellissimo sogno di una foresta incantata, con spiriti magici e una famiglia che mi amava.

          C’è stato un periodo in cui credevo veramente che sarei morta se non avessi più potuto entrare nella foresta di nuovo. Se la nebbia non fosse mai scomparsa. Ma quel tempo, realizzai, era scomparso da tempo. E avevo ancora molto da vivere. La mia vita ad Arendelle non era come l’avevo pianificata, ma l'avevo fatta mia lo stesso, ed ero orgogliosa di ciò che avevo realizzato fino ad allora—e di tutte le cose che avevo pianificato di fare. E ora i miei sogni erano non tanto di tornare al passato, quanto piuttosto di proiettarmi nel futuro—qualunque esso fosse.

          Speravo solo che , in qualche modo, anche Agnarr potesse essere una parte di quel futuro.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Diciannove

 

Agnarr

 

 

 

 

 

MI STAVO FACENDO GLI AFFARI MIEI!” dichiarò la Signora Olsen, una pescatrice locale che sfoggiava una treccia argentata che le scendeva lungo la schiena. “Seduta nella mia barca, a cucire le reti per il carico del giorno dopo. Quando all'improvviso mi è sembrato di non riuscire a respirare! Era come se avessi un cappio legato al collo. Ma quando ho cercato di rimuoverlo, non c’era nulla!” Scosse la testa. “Da allora ho troppa paura di salire sulla mia barca.”

          Ho annuito, facendo attenzione a mantenere la mia espressione neutra dal mio posto sulla pedana nella Sala Grande, mentre lei continuava con il suo discorso. La sessione dei petizionisti del Martedì—dove gli abitanti di Arendelle venivano a portare le loro lamentele alla corona e chiedevano aiuto o consigli—spesso si è rivelato un atto difficile da equilibrare per me. Come loro aspirante sovrano, avevo bisogno di agire con preoccupazione e simpatia, ma allo stesso tempo imparziale. A volte era difficile mantenere una faccia seria, altre volte era difficile non correre da loro con un abbraccio e parole di conforto.

          Alcune delle loro lamentele erano insignificanti, come la capra del vicino che aveva mangiato i loro tulipani premio. Altre, però, erano veramente strazianti: come quella di una donna il cui marito era morto in uno strano incidente; lei, purtroppo, non aveva un lavoro (e non aveva un reddito) ed era rimasta con cinque figli da sfamare e mantenere. Ma sempre più spesso, queste sessioni avevano iniziato a concentrarsi sulle strane segnalazioni che ricevevamo di incidenti che si verificavano lungo le banchine e fuori dal villaggio. Alcuni hanno giurato che si trattava di un uso improprio dei poteri magicie di come gli interessati non potessero proteggersi.

          Un pastore di nome Aksel si alzò per fare eco alla Signora Olsen. “Ho sempre tenuto un gregge di pecore al pascolo sulle colline,” iniziò. “Non ho mai avuto problemi a tenerle lì. Ma ieri sono andato su a controllarle. Ed erano diventate tutte viola!”

          “Viola?” alzai un sopracciglio. “Cosa intende per viola?”

          “Voglio dire viola! Il giorno prima la loro lana era bianca come la neve caduta. Ora è viola acceso! Si comportano anche in modo strano. Sono sicuro che siano sotto l’influenza di un qualche tipo di malvagio incantesimo.”

          “Sono gli spiriti,” dichiarò Gunnar, il nostro nuovo fabbro del villaggio, che era stato in piedi vicino al retro della stanza. Era arrivato solo un mese fa, ed era stato un piantagrane già da allora, agitando le folle con il suo continuo parlare di spiriti maligni. “Gli stessi del giorno alla diga. Ora si stanno prendendo gioco di noi. Ma ricordate le mie parole, presto scenderanno dalle colline. Attaccheranno Arendelle con la loro magia nera. Dobbiamo essere pronti.”

          Mi lamentai sottovoce. Non di nuovo. “Qualcuno ha visto uno spirito?” mi intromisi, con tono brusco. “Ad Arendelle, intendo, o nelle immediate vicinanze?” Mi girai verso Aksel. “Ne ha visto uno accanto al suo gregge? O, Signora Olsen, alla sua barca? Qualcuno ha mai visto un solo spirito nella realtà?”

          Tutti hanno scrollato le spalle senza impegno, abbassando lo sguardo.

          “Non può essere possibile che sia qualcun altro a causare questi problemi? Qualcuno di non magico in natura?” chiesi. “Signora Olsen, è andata dal dottore ultimamente? Il polline è forte questa primavera. Forse ha avuto una reazione allergica. E, Aksel, non potrebbe essere stato un pastore di un villaggio vicino, magari geloso della vostra lana pregiata—che sperava di ottenere un vantaggio tingendo le sue pecore quando non guardava?”

          “Quindi, state dicendo che non ci credete?” chiese. “Che la corona non indagherà mai su queste preoccupazioni estremamente valide, per quanto possano sembrarvi strane?” La stanza esplose in chiacchiere arrabbiate.

          “La frustrazione mi ha attraversato. “No, quello che sto dicendo è—”

          Lord Peterssen si alzò in piedi, mettendo una mano ferma sulla mia spalla. “Ma certo che il Principe Agnarr vi crede,” disse. “E non importa chi o cosa ci sia dietro a questi atti, devono finire immediatamente. Raddoppieremo le guardie, sia nel villaggio che sulle colline. Se troveremo qualsiasi tipo sospetto, o, uh, spiriti che si aggirano furtivamente, li cattureremo e li costringeremo ad affrontare la legge.”

          Ci fu qualche grugnito della folla, ma la maggior parte non sembrava placata. Cosa si aspettavano che facessimo? Questo presunto nemico non era mai stato visto. Come dovevamo difenderci dagli spiriti magici?

          “Penso che sia abbastanza per oggi,” aggiunse Peterssen, la sua voce sovrastava il fragore. “Ci riuniremo di nuovo la prossima settimana per ascoltare eventuali nuove lamentele Per ora, vi preghiamo di unirvi a noi per un rinfresco nella Seconda Sala Grande.”

          L'umore della folla si è subito alleggerito a questo, tutti gli spiriti maligni dimenticati, e hanno rapidamente evacuato la sala del trono per procurarsi qualche dolcetto. Peterssen li osservò dileguarsi, senza dire una parola. Quando se n’erano andati tutti, mi girai verso di lui.

          “Cosa c’è tra loro e gli spiriti?” chiesi, il mio tono insolitamente basso con il mio consigliere. “Non abbiamo visto nessuna prova di loro da quando è apparsa la nebbia. Perché tutti continuano a dare la colpa a loro?”

          Peterssen mi ha dato una pacca sulla spalla. “Le persone hanno sempre bisogno di qualcuno da incolpare per i loro problemi,” spiegò. “E gli spiriti magici cono un bersaglio facile—visto che non sono in grado di difendersi. Inoltre, per essere sinceri, Agnarr, il popolo sta solo seguendo il principio stabilito da tuo padre. Quando accadeva qualcosa di brutto ad Arendelle, incolpava la magia o gli spiriti maligni. Non so se ci credesse veramente, o sentiva che era più semplice che prendersi delle responsabilità. Ma sono sicuro che la gente ricorda.” La sua faccia si rabbuiò. “E sembra che la situazione sia peggiorata dopo la battaglia di tanti anni fa.”

          Un lontano ricordo aleggiava nella mia coscienza. “Li incolpa anche per mia madre,” dissi. Non pensavo a quel momento da anni. Ma ora sembrava chiaro come il giorno. Io, all’età di cinque anni, che giocavo con un cavallino di legno nella mia stanza. La sagoma massiccia di mio padre, che si staglia sulla soglia. Alzai lo sguardo, sorpreso. Si schiarì la gola prima di parlare.

          Agnarr, tua madre se n’è andata. È stata presa dagli spiriti maligni. E probabilmente non tornerà più.

          Non fui in grado di dormire per una settimana dopo ciò. Continuavo a cercarla durante il giorno, pregando che gli spiriti la riportassero indietro. Di notte, me ne stavo sveglio, tremante di paura, immaginando che ogni ombra fosse una presenza malvagia, in agguato e in attesa di portarmi via.

          Ma nessuno spirito è venuto. E mia madre non è mai tornata.

          “Sì,” Peterssen annuì con un cenno del capo. “Per lui era probabilmente una storia più facile da accettare rispetto all'alternativa.”

          “Che sarebbe…?” Il mio cuore batteva. Finalmente mi sarebbe stato detto qualcosa di vero su mia madre? Se non fosse stata presa dagli spiriti, questo voleva dire che poteva ancora essere là fuori, da qualche parte.

          Poteva essere viva.

          Ma Peterssen ondeggiò solo una mano. “Non lo so, Agnarr,” disse. Ma l'ho capito dai suoi occhi che sapeva. O almeno, sapeva qualcosa, se non tutta la storia.

          Altri segreti. Sarei morto sepolto nei segreti?

          Scossi la testa, costringendomi a tornare al lavoro. Mia madre poteva aspettare un altro giorno. “Quindi, cosa facciamo?” chiesi. “Non possiamo combattere contro una forza immaginaria!”

          “No. Ma possiamo fare in modo che le persone si sentano al sicuro. Questo è il nostro obiettivo primario.”

          Sospirai. Governare un regno si stava rivelando molto più difficile di quello che avevo immaginato. Non mi meraviglia che mio padre fosse sempre di umore così scontroso. Volevo fare la cosa giusta per Arendelle. Ma non ero sicura di quale fosse.

          Mi alzai dal mio posto a sedere e iniziai a dirigermi verso l’uscita. Dovevo incontrarmi con Iduna nel villaggio ed ero già in ritardo. Era un grande giorno per lei—aveva finalmente messo da parte abbastanza denaro dalla sua attività dei mulini a vento per affittare la sua casa—ed avrebbe ottenuto le chiavi questo pomeriggio. Ero così orgoglioso di lei e tutto quello che aveva realizzato negli ultimi mesi.           Ha lavorato instancabilmente, impiegando lunghe ore di lavoro, ma ha dato i suoi frutti. Non vedevo l'ora di festeggiare con lei.

          Prima che potessi andare molto lontano, comunque, Peterssen mi chiamò.

          “Agnarr?” Si spostò da un piede all'altro, con un'aria improvvisamente nervoso. “C’è… una cosa che potresti fare per soddisfare la gente.”

          “Davvero?” La speranza si agitava nel mio petto. “Cos’è?”

          “La prossima settimana,” iniziò. “Avremo alcuni visitatori al castello.”

          “Visitatori?”

          “Il re di Vassar.” Peterssen si schiarì la gola. “E sua figlia, Runa.”

          Il mio cuore precipitò. Avevo sperato che il mio dire loro di fare ciò che volevano fosse stata una reazione sufficiente da dissuadere il consiglio dall'idea del matrimonio. Ma evidentemente, era stato in cantiere per tutto questo tempo.

          Ero solo stato troppo impegnato con Iduna per notarlo.

          “Pensi davvero che ora sia un buon momento?” chiesi, cercando di mantenere la mia voce neutrale. “Voglio dire, c'è così tanta agitazione. Gente che soffoca, pecore viola…” La mia voce si è affievolita quando mi sono reso conto di quanto sembrassi ridicolo e disperato.

          “Oh, quindi sei preoccupato per quelle pecore adesso, vero?” la bocca di Peterssen si stranì. Poi mi fece un sorriso paterno. “Va tutto bene, Agnarr,” mi rassicurò. “Non c’è nulla per cui essere nervosi.”

          “Chi ha detto che sono nervoso?” dissi. “Solo non voglio incontrare nessuno in questo momento! Ho solo diciannove anni.”

          “E presto ne avrai venti, e poi ventuno. Salirai al trono, ed è sempre meglio se c'è già un erede in attesa quando questo accade.”

          Quindi non solo era previsto che io sposassi questa estranea, ma io dovevo procreare con lei senza indugio. Mi stava venendo la nausea.

          “Non ho voce in capitolo?” domandai. Sapevo di non comportarmi come l'erede legittimo, ma non potevo farne a meno. Non volevo incontrare nessuna.

          Non quando avevo già Iduna.

          Sapevo fin dall’inizio che Iduna ed io non avremmo mai potuto sposarci. I reali sposavano i reali—era così che era stato sempre fatto. E con il regno di Arendelle ancora fragile dopo la morte di mio padre e di Peterssen come reggente, non era il momento di invertire la tendenza. Avevamo bisogno di partner commerciali. Avevamo bisogno di alleati. Avevamo bisogno di un esercito.

          Ma io avevo bisogno di Iduna.

          Non intendevo innamorarmi di lei. Ma chi poteva biasimarmi? Era intelligente, dolce, divertente, e buona. Era tutto quello che volevo in una compagna. Una migliore amica, un vero amore. Mi faceva ridere. Mi faceva battere il cuore.

          Una vita senza Iduna?

          Non potevo sopportarne il pensiero.

          Peterssen sospirò. “Agnarr, hai chiesto come potevi aiutare la tua gente a sentirsi sicura. Beh, Vassar è ben conosciuto per il suo considerevole esercito. Un’alleanza con loro ci aiuterebbe a rendere sicuri i nostri porti e i nostri terreni agricoli. Rendere Arendelle sicura.”

          “Sono d’accordo con un’alleanza!” protestai. “Ma non possiamo trasformarlo in un accordo commerciale o qualcosa del genere? Perché ci deve essere un matrimonio?”

          “Perché è così che va fatto, Agnarr. È così che possono garantire l'accordo tra le due nazioni. Nessuno tradisce la propria famiglia.” Peterssen si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla. “Senti, so che tutto questo è spaventoso e nuovo. Ma quando Re Nicholas e sua figlia arriveranno la prossima settimana, non posso permetterti di stare lì in piedi come un coniglio spaventato. Mostrerebbe debolezza. E non possiamo permetterci di apparire deboli in questo momento.”

          “Lo so.” brontolai. “Celarlo, domarlo. Blah, blah, blah.”

          “Sì,” Lo sguardo di Peterssen mi ha trafitto. “Se non per il tuo bene, per il bene della tua gente. Non devi sposare la Principessa Runa. Ma devi trattarla con il rispetto dovuto ad un nobile di una nazione vicina. Se non lo fai—”

          “Certo che lo farò,” lo interruppi, più per terminare il discorso. Stavo per sentirmi male. “Non preoccuparti di me.”

          “Mi preoccupo sempre per te, Agnarr,” disse Peterssen, dandomi delle pacche sul braccio. “È il mio lavoro. Ma mi fido anche di te. So che ti prenderai cura di Arendelle. E so che farai la cosa giusta.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Venti

 

Iduna

 

 

 

 

 

E QUESTE SARANNO LE TUE CHIAVI, CARA.”

          Sorrisi distrattamente mentre la Signora Christiansen, una donna locale che mi aveva offerto un cottage in affitto, mi ha consegnato un mazzo di chiavi infilate in un piccolo anello di metallo. Mentre chiudevo le mie mani attorno ad esso, i miei occhi si alzarono in direzione del castello sul lato più lontano della città, poi caddero sulla strada vuota di fronte a noi. Una sorta di delusione mi ha attraversato lo stomaco.

          Dov’era Agnarr? Doveva essere qui per questo.. Sapevo che aveva un incontro in mattinata, ma aveva promesso di esserci per tempo. Sapeva quanto questo fosse importante per me.

          “Iduna?” La signora Christiansen si accigliò. “Non vuoi entrare?”

          “Oh. Scusate. Sì.” Scossi la testa, girandola verso la porta del mio nuovo posto, un cottage proprio sulla collina della panetteria Blodget's Bakery. Aveva solo due stanze, ma aveva una cucina con un piano di cottura e una vera e propria ghiacciaia per mantenere freschi i cibi. Appena fuori dalla cucina c'era una zona salotto, con una porta che conduceva a un'accogliente camera da letto. Aveva anche un patio sul retro, grande abbastanza per mettere una sedia—rendendola un perfetto punto di lettura.

          Era semplice. Umile. Ma era mia. Tutta mia. Dopo aver dormito in dodici in una stanza all’orfanotrofio per anni, era un angolo di paradiso privato.

          La mia mano tremava mentre facevo scivolare la chiave nella serratura. Sapevo che mi stavo muovendo lentamente. Speravo solo che la Signora Christiansen non lo notasse. Continuavo a sperare che Agnarr sarebbe apparso. Avevamo pianificato di farlo insieme. Entrare nella mia nuova casa per la prima volta, fianco a fianco, entrare in questa nuova vita insieme.

          Dov’era?

          La porta si aprì. Ho dato un’ultima occhiata indietro, ma la strada rimase vuota. Sospirando, attraversai la soglia, da sola.

          “Quindi, cosa ne pensi?” chiese la Signora Christansen, arrivando dietro di me. “È un posto carino, vero? Perfetto per una ragazza single come te.”

          Ho sussultato al colpo non voluto.

          “È bellissima,” le assicurai. “Semplicemente perfetta.”

          E lo era. Perfetta.

          Ma anche molto vuota.

          “Bene, l'affitto deve essere pagato il cinque del mese. Questo mese hai già pagato, quindi verrò a trovarti tra trenta giorni. Se avessi qualsiasi problema, ti prego di non esitare a bussare alla mia porta. Sono solo tre case più in basso.” Sorrise, porgendomi la mano. “Congratulazioni, Iduna. Questo è un grande passo per te. Dovresti essere molto orgogliosa.”

          “Lo sono. Grazie.” le strinsi la mano, cercando di sorriderle.

          Ci siamo salutate, e la Signora Christiansen uscì, chiudendo la porta dietro di sé. Adesso sola, mi guardai intorno, infilando la testa in vari armadi e nell'armadio nella stanza sul retro. Testai il letto, saltandoci un po’ sopra. Sembrava abbastanza comodo.

          Ma comunque, mi sentivo inquieta. Irrequieta.

          Dov’era Agnarr? Stava bene? E se gli fosse successo qualcosa?

Mi alzai dal letto. Avevo bisogno di scoprirlo.

 

_______

 

 

Lo trovai nella stanza segreta. Era seduto su una sedia, con la testa tra le mani. I capelli scompigliati, gli occhi selvaggi. Mi accigliai, la preoccupazione che sgorgava dentro di me. Non lo avevo mai visto così a disagio.

          “Va tutto bene?” chiesi preoccupata. “Pensavo che ci saremmo incontrati alla casa.”

          Alzò lo sguardo, la sua faccia diventò ancora più pallida. “Oh,” disse, alzandosi in piedi. “Mi dispiace tanto. Me ne sono completamente scordato.”

          Se n’è dimenticato? Questa era tipo la cosa migliore che mi era successa in tutto l’anno! Qualcosa sicuramente non tornava. Agnarr non era il tipo che dimenticava.

          “Cos’è successo, Agnarr?” gli chiesi dolcemente. “Qualsiasi cosa sia, puoi dirmelo.”

          Si lamentava e cominciava a camminare per la stanza, avanti e indietro come un lupo in gabbia, i suoi passi divoravano la distanza tra le pareti. I suoi occhi sfrecciavano sulle mensole di pietra, sul tavolo, sul pavimento—in qualsiasi altro posto che non fosse il mio viso.

          “Mi odierai,” disse.

          Wow. È veramente sconvolto. Mi avvicinai, facendo scivolare la mia mano nella sua. Era appiccicosa e fredda. “Lo sai che non potrei mai odiarti, Agnarr,” dissi piano. “Ora racconta.”

          Ha chinato la testa. “Tra due settimane arriveranno dei visitatori al castello. Il re di Vassar.”

          Ero confusa. “Quindi?”

          “E sua… figlia, Runa.”

          Oh. Il ghiaccio mi colava lungo la spina dorsale. Lasciai la sua mano. “Capisco.”

          Agnarr si girò verso di me, lo sguardo selvaggio. “Ho cercato di dire a Peterssen che non ero pronto. Che non era il momento giusto! Ma ha insistito che almeno dovrei incontrarla.” Si trascinava la punta delle dita tra i capelli. “Voglio dire, immagino non sia un grosso problema, vero? Incontro persone ogni giorno.”

          Mi girava la testa, mi si è formata una fitta nello stomaco. Ma Agnarr mi stava fissando con tanta disperazione che mi sono trovato ad annuire. “Sì,” dissi. “Incontri persone ogni giorno.”

          Ma entrambi sapevamo che questa non era solo una persona. Questa era una corteggiatrice reale. Una donna che la gente di Arendelle potrebbe desiderare come compagna per il loro re. Sarebbe stata nobile, signorile, ben curata.

          A differenza di me. Un’orfana. Un nessuno.

          Possono flirtare con te e ritengono opportuno macchiare il tuo onore, Johan mi prendeva in giro nella mia testa. Alla fine si sposano solo con i loro simili.

          Strizzai gli occhi. Questa è tutta colpa tua, mi rimproverai. Sapevi fin dall’inizio che questo era sbagliato. Che questo non poteva essere altro che un viaggio di fantasia. Non c'è mai stato un futuro per te e per Agnarr. Lo sapevi— eppure ha scelto di concederti l'ennesima bugia. Una bugia che sapevi sarebbe finita in un crepacuore.

          Questa storia non avrebbe mai avuto un lieto fine per me. Agnarr avrebbe sposato una principessa. Diventerebbe padre. Crescerebbe una famiglia all'interno di queste mura mentre governerebbe il           regno all'esterno.

          Ed io sarei stata obbligata ad osservare tutto da lontano, con il cuore strappato dal petto.

          A discapito dei miei migliori sforzi, mi sfuggì un sospiro strozzato. Agnarr mi afferrò, tirandomi tra le sue braccia in una presa così stretta che ero quasi convinta che mi avrebbe stritolato. Ma nello stesso momento, non volevo che mi lasciasse andare.

          Non avrei mai voluto che mi lasciasse andare.

          “Iduna, ti amo,” disse a bassa voce, la sua bocca che mi sfiorava l'orecchio, mandandomi formicolii fin troppo familiari fino alle dita dei piedi. “Ti amo più delle stelle nel cielo. Ti amo più dell’aria nel mio corpo.”

          “Anche io ti amo,” risposi. Ma la mia voce sembrava più vecchia dei miei anni. Stanca.

          Si è allontanato, stringendomi la faccia tra le mani. I suoi occhi erano così verdi. Non ne avevo mai abbastanza. Eppure presto—troppo prestopotrei non vederli mai più da vicino.

          “Troverò una soluzione,” dichiarò. “Io sarò re, giusto? Questo deve pur significare qualcosa. Se dico che non la sposerò, allora dovrebbe essere la fine.”

          Annuii lentamente. Sapevo che stava solo cercando di farmi sentire meglio. E in ogni caso, non mi era rimasta la forza di discutere. “Se lo dici tu.”

          “Certo,” dichiarò con voce fiera. “Ora andiamo. Andiamo a vedere il tuo nuovo alloggio! Muoio dalla voglia di vederlo.”

          Sospirai, il suo entusiasmo mi stava causando un dolore allo stomaco. Solo un’ora prima, ero così emozionata di mostrarglielo. Così orgogliosa del piccolo alloggio che avevo ottenuto tutto da sola. Avevo immaginato di invitare Agnarr per cena, cucinando sul piccolo fornello. Probabilmente bruciando il Fårikål, ma non gli dispiacerebbe. Mi direbbe che è squisito. Il migliore che abbia mai mangiato.

          Ma adesso…

          “Non è poi così interessante,” protestai debolmente. “È solo uno stupido cottage.”

          “Il tuo stupido cottage,” corresse, allungandosi per prendere le mie mani nelle sue. Erano così calde, mentre le mie ora erano fredde e tremanti. “Il che lo rende molto interessante per me,” aggiunse, incontrando i miei occhi. Mi ha fatto un mezzo sorriso sciocco, come se mi pregasse di fidarmi di lui. Di credere che tutto sarebbe andato bene.

          E lo volevo. Oh, cielo, se lo volevo.

          “Va bene,” dissi alla fine. “Possiamo fermarci al Blodget durante il tragitto. Prendere un po’ di cioccolata.”

          Il sorriso di Agnarr si ingrandì. “Conosci la strada che porta al mio cuore, Iduna.”

          Se solo questo fosse abbastanza…

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Ventuno

 

Iduna

 

 

 

 

 

DOPO DI CIÒ, CI SEPARAVAMO A MALAPENA L’UNO dall’altro. Anche senza parlare, entrambi sapevamo bene che questi giorni insieme potevano essere gli ultimi. Ci incontravamo la mattina presto al nostro albero preferito. Ci salutavamo a tarda notte fuori dalla porta del mio cottage. Passavamo ore nella stanza segreta della biblioteca—il nostro unico rifugio veramente sicuro—avvolti l'uno nelle braccia dell'altro.

          Era come se entrambi sentissimo che il tempo ci stava scivolando tra le dita. Come se la nostra relazione fosse come una vacanza, con una data di scadenza incombente, e cercavamo disperatamente di sfruttare al meglio il tempo che ci era rimasto. Non ne abbiamo parlato, naturalmente. Le nostre conversazioni sono rimaste leggere e semplici. Entrambi giravamo intorno al tema dell'imminente visita reale di una certa principessa straniera che, a quanto pare,il resto di Arendelle stava dedicando tutto il tempo ai preparativi. Le torte erano state preparate. Erano state progettate sculture di ghiaccio. Entrambe le grandi sale furono ripulite a poco più di un centimetro della loro capienza e decorate in modo colorato per un ballo reale. Ero abbastanza sicura che Olina non avesse lasciato la cucina da una settimana e certamente non aveva dormito. Ci ha quasi staccato la testa a morsi quando Agnarr ha rubato un krumkake da una pila imponente.

          È stato meraviglioso. È stato anche terribile. E così, così sbagliato. Ogni giorno mi dicevo che questo sarebbe stato l'ultimo. Che avrei tagliato tutto questo mentre ero ancora in grado di farlo. Prima che la scelta non spettasse più a me.

          Ma poi vedevo il sorriso speranzoso di Agnarr. Sentivo le sue dita che mi accarezzavano la pelle. E sarei stata ancora una volta incapace di fermare tutto questo. Ero già andato troppo oltre. Innamorarsi, senza voglia di venire a prendere aria, anche se questo significava la mia rovina.

          E la mia rovina sarebbe stata. La principessa sarebbe arrivata tra una settimana. Non avevamo più tempo.

 

_______

 

 

Partiamo per un’avventura!”

          Alzai lo sguardo dal mio libro, dall'altra parte del tavolo di Agnarr, che era rimasto invischiato in una pila di mappe che aveva trovato su uno degli scaffali della stanza segreta. Mi guardò, con un sorriso malizioso sul volto.

          “È passato troppo tempo,” aggiunse. “Voglio dire, non abbiamo neanche avuto un’occasione di viaggiare verso la nebbia quest’anno. Non è ingiusto?”

          Concordai. Peterssen aveva annullato qualsiasi viaggio verso la nebbia a causa degli insoliti avvenimenti ad Arendelle. Ha detto che il villaggio era in uno stato di troppi disordini in questo momento perché Agnarr vagasse lontano dalla città.

          Il che significava che le avventure, in generale, erano vietate.

          “Sai che Peterssen non ti permetterà mai di uscire,” gli ricordai.

          Si accigliò. “Quello che non sa non può fargli male.” I suoi occhi brillavano. “Possiamo sgattaiolare fuori città attraverso quel passaggio segreto che si trova al di fuori della cucina. Nessuno dovrà mai saperlo.”

          “E quando noteranno che non ci sei?”

          “Torneremo prima che succeda. Faremo solo una gita di un giorno. Non è lontano.” Ha raggiunto l'altro lato del tavolo, i suoi occhi imploravano. “Andiamo, Iduna. So che tu lo vuoi."

          Il suo entusiasmo era coinvolgente. Ed io lo volevo. Adoravo le nostre avventure. E sapevo che questa poteva essere la nostra ultima. Come potevo dire di no?

          “Dove stavi pensando di andare?” chiesi.

          Agnarr sorrise, sapendo di aver ottenuto quello che voleva. Ha passato la mano sulla pila di mappe. “A te la scelta! Prendi una mappa, Iduna. Una qualsiasi. La seguiremo fino alla fine. Vediamo cosa troveremo.”

          “Va bene,” scherzai, inscenando un enorme show chiudendo i miei occhi e ondeggiando le mani sopra alla pila. “Ma se prendessi a caso la mappa del Più Grande Gomitolo di Filato del Mondo, andremo lo stesso.”

          “Non potrei pensare ad una destinazione migliore,” dichiarò Agnarr. “Ora scegli!”

          “Okay, okay.” Mi abbassai verso il tavolo e afferrai una mappa a caso, scavando dentro alla pila. Poi aprii gli occhi e la guardai. La mappa era delle montagne poco fuori Arendelle. E qualcuno ci aveva disegnato un sentiero sopra, che conduceva ad una piccola valle nascosta tra due enormi montagne.

          “ ‘La Valle delle Rocce Viventi,’ ” Ho letto. Poi ho alzato lo sguardo verso Agnarr. “Beh, questo batte il Più Grande Gomitolo di Filato del Mondo. Anche se non sono sicura di quanto—”

          Con mia sorpresa, Agnarr afferrò improvvisamente la mappa, girandola nelle sue mani. La sua bocca socchiusa in un broncio, le sopracciglia aggrottate.

          “Che succede?” chiesi. “Ti aspettavi il gomitolo di lana? Perché, a dire il vero, non sono proprio sicura che—”

          Agnarr ha messo il dito sulla mappa, indicando una scritta nell'angolo che non avevo notato prima. Era in una lingua che non riuscivo a leggere.

          Inclinai la testa. “Puoi leggerla?” chiesi.

          “No,” Scosse la testa. “Ma riconosco la calligrafia.” La sua voce ebbe un tremito che mi fece sentire improvvisamente a disagio.

          “Davvero?”

          “È di mia madre,” disse delicatamente. “L'ho visto su altri documenti in questa stanza. Mio padre deve aver portato qui tutte le sue cose, dopo la sua scomparsa.”

          Riuscivo a sentire l'amarezza nella sua voce mentre parlava. Specialmente sulla parola scomparsa.

          Improvvisamente avrei tanto voluto aver trovato la mappa per il gomitolo di lana, invece.

          “Possiamo prenderne un’altra. Non è un grosso problema,” provai.

          “No,” scosse la sua testa con fermezza. “Questa è quella giusta.”

          Si alzò dalla sua sedia, arrotolando la mappa tra le sue mani. Potevo vedere il dolore sul suo viso, ma anche una scintilla improvvisa di quella che sembrava speranza. E improvvisamente sapevo quello che stava pensando. E se seguissimo questa mappa e trovassimo qualcosa alla fine di essa? E se scoprissimo qualcosa su sua madre e sul motivo per cui era scomparsa tanti anni fa…?

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Ventidue

 

Iduna

 

 

 

 

 

PRIMA DELL’ALBA DEL MATTINO SEGUENTE, MENTRE tutti dormivano ancora, siamo usciti da Arendelle miracolosamente inosservati. L'aria era frizzante e fresca quando abbiamo attraversato il ponte in un velo di oscurità, l'eccitazione che ci pungeva la pelle. Anche i cavalli sembravano pronti per un’avventura, i loro passi leggeri e saltellanti mentre ci dirigevamo verso le colline.

          Una volta raggiunte le colline, Agnarr ed io eravamo giocherelloni, quasi sbalorditi, mentre mettevamo da parte il mondo reale e ci mettevamo in viaggio, sostenuti dal senso di disattenzione che accompagna il fare qualcosa di spericolato. Sapevamo che quello che stavamo facendo era sbagliato, pericoloso, e completamente irresponsabile. Specialmente per un principe. Ma Agnarr ha insistito che non gli importava. Era stanco di stare alle regole degli altri. Vivere delle aspettative degli altri.

          Voleva questo—aveva bisogno di questo.

          E, in qualche modo, lo volevo anche io.

          Seguimmo la mappa verso nord, nel profondo delle montagne—su un percorso diverso da quello che conduceva alla Foresta Incantata e alla nebbia. Lungo il tragitto ci siamo fermati per un pranzo tardivo in una pittoresca querciola vagabonda e in una sauna, dove ci siamo riscaldati e abbiamo cercato di mercanteggiare su alcune forniture troppo costose. Infatti, sono stata quasi cacciata via dal posto dopo aver espresso la mia onesta opinione sull'ovvio aumento dei prezzi in atto nel remoto stabilimento, che ha fatto arrabbiare il corpulento adolescente dai capelli rossi dietro il bancone. Ma Agnarr ha solo messo giù i soldi con la sua solita magnanimità e mi ha gentilmente trascinato via.

          Quando abbiamo iniziato a salire in montagna, il viaggio è diventato insidioso, con strade ghiacciate che si snodavano intorno a ripide scogliere a strapiombo. L’ultimo tratto di viaggio era su un sentiero, troppo stretto per i cavalli. Li abbiamo legati agli alberi ed abbiamo continuato. Quando siamo arrivati in cima, il sole era scomparso oltre l’orizzonte, bagnando il paesaggio al crepuscolo, ma tutto ciò che abbiamo incontrato è stata una valle vuota di rocce.

          “Beh, questo è decisamente meno emozionante di come lo avevo immaginato,” scherzò Agnarr mentre si guardava intorno nella valle. Abbassò lo sguardo alla mappa, stringendo le labbra. Potevo vedere il disappunto nei suoi occhi mentre alzava di nuovo lo sguardo. Io sapevo quanto disperatamente sperava di trovare risposte su sua madre. Ma cosa si aspettava? Che lei si trovasse alla fine della mappa? Come un tesoro, in attesa di essere trovata?

          “Forse una volta qui c’era qualcosa,” dissi delicatamente. “Le cose non sempre rimangono così come sono, lo sai.” Avevo familiarità con il movimento, la variazione, fin da giovane. La mia famiglia era sempre stata girovaga. Costantemente in movimento, seguendo il sentiero delle renne. Nessuna mappa poteva condurre ai nomadi Northuldra.

          Nessuna mappa poteva condurre Agnarr a sua madre.

          Improvvisamente le mie orecchie sentirono un rumore. Afferrai Agnarr, tirandolo indietro verso un albero vicino, mettendo la mia mano sulla sua bocca per soffocare il suo suono di sorpresa. Osservammo mentre una giovane donna compariva oltre l’orizzonte, camminando lentamente giù per la valle dall’altra parte. I suoi capelli erano marroni e sciolti. Ed era vestita come una Northuldra in una semplice vestaglia non tinta, stretta in vita con una cintura colorata.

          Il mio cuore batteva veloce. Poteva essere davvero una della mia famiglia, scappata dalla nebbia? Non la riconoscevo, ma i Northuldra si erano espansi un po' prima del giorno della celebrazione alla diga. Inoltre, erano passati quasi cinque anni. Le persone cambiano.

          Agnarr spostò la mia mano in modo da riuscire a parlare. “L’ho riconosciuta,” bisbigliò. “Penso sia una dei raccoglitori di ghiaccio.”

          Il mio cuore affondò un po’. Aveva senso. I raccoglitori di ghiaccio erano nomadi, come i Northuldra. Seguivano il ghiaccio per tutta la stagione invernale ed venivano ad Arendelle ogni estate con enormi blocchi che potevano essere usati per mantenere il cibo fresco o potevano essere scolpiti in sculture decorative per le piazze del villaggio.

          La donna avanzò nel centro della valle. Alzò il mento ed iniziò a cantare. Il mio cuore sussultò mentre le mie orecchie captavano il chiaro suono che si alzava nell'aria.

          Chiusi gli occhi mentre la donna continuava a cantare. I ricordi mi attraversavano con ogni nota dell’anima. Mentre non avevo mai sentito questa particolare canzone, ne ho sentite di simili crescendo con i Northuldra. Mia madre era solita dirmi che erano doni al nostro popolo da parte delle fate e degli elfi delle terre artiche. Me le cantava per aiutarmi ad addormentarmi—la sua voce lieve, melodica e dolce, che mi cullava nel mondo dei sogni, offrendo un suono rassicurante nella mia testa. Una profonda nostalgia cresceva dentro di me.

          “È bellissima,” disse dolcemente Agnarr, sembrando preso anche lui dalla canzone. “Non ho mai sentito niente di—”

          Le sue parole furono interrotte da un improvviso suono tonante. Come rocce che scendevano per la collina. Il canto della donna si interruppe. Curiosa, sbirciai ancora da dietro l’albero.

          E realizzai che le rocce si stavano muovendo.

          Come se si muovessero davvero.

          “Whoa!” sospirai meravigliata mentre rocce grandi e piccole scendevano per la collina, arrivando a fermarsi ai piedi della donna. “Le hai viste?” chiesi ad Agnarr.

          Concordò. “È magia?” bisbigliò.

          Lo osservai, chiedendomi se fosse un problema se lo fosse. Ma vidi solo fascino nei suoi occhi, non paura.

          Prima che potessi rispondere, le rocce improvvisamente di aprirono, rivelandosi per non essere rocce alla fine, ma più che altro troll. Troll rotondi, corti, grigi e policromi, con orecchie e nasi enormi e capelli d'erba. Alcuni avevano persino del muschio che gli usciva dalle orecchie. Indossavano tuniche verdi, ed ognuno aveva una piccola collana fatta di cristalli che brillavano.

          “Ho letto di loro!” ho sussurrato emozionata. “Erano nel libro che parlava degli Huldréfolk.”

          “Cosa sono?” chiese Agnarr, i suoi occhi non lasciavano la scena.

          “Penso che siano chiamati troll,” risposi. “Da quello che ne so sono le creature più antiche in vita. Possono vivere centinaia di anni. E… questo può sembrare strano, ma evidentemente sono degli esperti in amore.”

          Agnarr alzò un sopracciglio. “Okay, questo non lo avrei mai immaginato.”

          “Shhh,” dissi, zittendolo. “Sta per succedere qualcosa.”

          I miei occhi si fermarono sulla raccoglitrice di ghiaccio, che ora si trovava al centro di quello che era diventato un cerchio di troll e univa insieme le mani.

          “Gran Papà,” disse con voce tremante, “hai aiutato mia madre una volta. Ora anche io ho bisogno di aiuto.”

          “Cosa c’è, figlia mia?” chiese il più anziano e grosso dei troll.

          “Il mio Elias è morto in un incidente sul ghiaccio la scorsa settimana,” rispose. Una lacrima scese sul suo volto. “È stato improvviso. Tragico…”

          Si è inginocchiata, con le spalle doloranti per i singhiozzi. Alcuni dei troll femmina rotolarono verso di lei per darle abbracci confortanti e strofinarle la schiena.

          “Era il mio mondo. Il mio sole e le mie stelle,” pianse. “Non posso andare avanti senza di lui.”

          “Sono veramente dispiaciuto di sentire questo,” il troll più anziano—Gran Papà—rispose solennemente. “Elias era un brav’uomo. Non si meritava questo destino.”

          La donna deglutì. “Un brav’uomo. Ed un bravo marito.” Si portò una mano allo stomaco. “E sarebbe stato anche un ottimo padre. Ahimè, è morto prima di sapere che portavo suo figlio dentro di me.”

          Le troll femmine si sono ora scatenate in chiacchiere eccitate, mettendo le mani sulla pancia della donna. Sorrise incerta attraverso le lacrime, come se si domandasse se dovesse cacciarli via o se accogliere questa risposta entusiasta.

          “È un maschio!” cantò il troll femmina più anziano. “Un bambino grande e vivace!”

          Gli occhi della donna si spalancarono. “Puoi capirlo?”

          “Ma certo!” disse il troll che aveva fatto l’annuncio. Aveva quello che sembrava un soffione che le usciva dalla testa. “Bulda sa tutto quando si tratta di bambini!”

          “Ooh! Dovresti chiamare il bambino Bulda!” dichiarò un altro troll femmina. “È un nome così carino.”

          “O Pebble! Mi è sempre piaciuto il nome Pebble!” aggiunse una giovane ragazza troll con i denti storti e un grande sorriso. “Ed è così carino!”

          La donna non aveva l'aria di chi pensava che il nome Pebble fosse il più bello. Ma rimase in silenzio, probabilmente impaurita di offendere.

          “Non le ascoltare,” interruppe Bulda. “Quelli sono tutti nomi troll. Hai bisogno di un nome di persona.” Picchiettò il suo dito sul suo mento pietroso. “Che ne dici di chiamarlo semplicemente come suo padre? Sarebbe un ottimo tributo ed un modo per ricordarlo.”

          La donna si alzò in piedi. “Non capisci!” La sua voce divenne quasi isterica. “Questo è il motivo per cui sono qui! Non voglio ricordarlo!”

          Gran Papà avanzò con uno sguardo solenne sul suo volto di pietra. “Vuoi dimenticare,” disse. Non era una domanda. La donna annuì, le lacrime che scendevano silenziose dalle sue guance.

          “Non riesco a dormire la notte. Non posso lavorare durante il giorno. Tutto quello che posso vedere è lui. Non riesco più a sopportarlo! Per favore, toglimi i ricordi. Ti prego!”

          Gran Papà le fece cenno di inginocchiarsi davanti a lui. “Posso fare quello che chiedi,” disse. “Ma questo avrà un prezzo. Posso fare in modo che la tua mente dimentichi. Ma il cuore non è così facile da cambiare. Potresti non ricordarti di Elias. Ma lo sentirai sempre nel tuo cuore. Come un fantasma che non se ne andrà mai completamente. E non saprai perché.”

          “Questo è quello che voglio,” si fermò. “Qualsiasi cosa per portar via i ricordi.”

          “Molto bene,” Replicò solennemente Gran Papà. Mise una mano sulla sua fronte e chiuse gli occhi. Io ed Agnarr osservavamo, ipnotizzati, mentre le Luci del Nord nel cielo sopra la sua testa sembravano cambiare. Per pochi secondi vidi un’immagine di un uomo, alto, forte, che aveva una piccozza, tagliava un blocco di ghiaccio. Poi, rapidi come sono apparsi, sono scomparsi in una nuvola di polvere. Come se non ci fossero mai stati.

          Un attimo dopo, la donna si alzò incerta in piedi. Sembrava stordita.

          Ma le lacrime, notai, si erano fermate.

          “Cosa ci faccio qui?” chiese, sembrando perplessa.

          “Sei venuta per una benedizione per il tuo bambino!” le disse gentilmente Bulda. “Ricordi?”

          “Il mio… bambino?” Fissò per un momento Bulda, poi annuì, sfiorando nuovamente lo stomaco. Se lo ricordava.

          “Sì. Ci hai detto che il suo nome era Pebble,” aggiunse il giovane troll, facendo l’occhiolino alla sua amica.

          Gran Papà la fece allontanare dalla donna. “Devi tornare al ghiaccio adesso,” la istruì. “La tua famiglia ti sta aspettando lì.”

          “La mia famiglia.” Un piccolo sorriso le attraversò la faccia. “Sì. Devo tornare dalla mia famiglia.” Salutò i troll. “Grazie per la benedizione!”

          E con questo, sparì nella notte. I troll rimasero, comunque, a sgranocchiare qualche fungo vicino, a chiacchierare tra di loro.

          Mi girai verso Agnarr. “È stato pazzesco,” sussurrai. “Non ho mai visto nulla del genere.”

          “Magia,” disse lentamente. “Vera magia.” Scosse la testa. “È una cosa buona che la gente di Arendelle non sappia di questi tizi.”

          Ruotai gli occhi. “Aksel molto probabilmente li incolperebbe per le sue pecore viola.”

          Agnarr sbuffò. “Ehi, forse se incontrassero i troll, potrebbero smettere di incolpare i Northuldra per tutto ciò che va male al villaggio.”

          Cercai di non indietreggiare al suo casuale gioco. Alla fine non credeva che i Northuldra fossero da incolpare per tutto. Ma non mi piaceva ricordare che molte persone ancora lo facevano.

          “Non riesco a credere che i troll abbiano appena cancellato la sua memoria in quel modo.” dissi, più per cambiare il soggetto. “O che lei voleva che lo facessero! Chi mai vorrebbe che i propri ricordi vengano cancellati?”

          Agnarr aprì la bocca, poi la chiuse ancora, la sua faccia divenne bianca.

          Mi accigliai. “Cosa c’è?”

          “Non pensi…” la sua voce si interruppe.

          Ma capii esattamente a cosa stava pensando. La mappa che abbiamo seguito apparteneva a sua madre. Questo significava che probabilmente sapeva dei troll. Forse anche lei era venuta qui, prima di sparire. Forse aveva una richiesta simile.

          Di dimenticare la sua vita ad Arendelle.

          Di dimenticare suo marito e suo figlio.

          “Andiamo!”ho sollecitato Agnarr, prendendolo per mano. “Andiamo a parlare con loro.”

          “Cosa? No!” urlò, allarmato. “Non possiamo!”

          “Perché no?”

          “Potrebbero essere pericolosi.”

          Osservai i troll. Due di loro stavano giocando un gioco con delle pietre rotonde. Un altro stava dondolando un piccolo troll. Guardai di nuovo Agnarr con un sopracciglio alzato.

          Agnarr lasciò uscire un respiro frustrato. “Okay,” disse. “Andiamo ad incontrare qualche troll.”

          Siamo emersi da dietro l’albero e siamo scesi per la valle. Stava iniziando a fare buio, e i cristalli attorno ai colli dei troll stavano iniziando a brillare. Sentendoci, alzarono lo sguardo. Per un momento, loro fissavano noi e noi fissavamo loro, uno scomodo silenzio stava crescendo tra di noi.

          Poi Gran Papà avanzò.

          “Vostre Maestà,” disse con un inchino regale. “Non mi aspettavo di vedervi così presto.”

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Capitolo Ventitré

 

Iduna

 

 

 

 

 

HO FISSATO IL TROLL ANZIANO, LA CONFUSIONE mi attraversava. Come poteva aspettarci? Era altra magia?

          “I—io credo che ci debba essere un errore,” balbettò Agnarr.

          Gran Papà ha premuto le sue labbra di pietra. “Voi non siete Re Agnarr?”

          “Beh, sono Agnarr. Tecnicamente non sono ancora re. Non fino al compimento del mio ventunesimo anno di età.”

          “Capisco.” Gran Papà si girò verso di me. “E tu, mia cara. Questo fa di te la Principessa Iduna? Non sempre mi è chiaro come funzionano i titoli nella tua terra.”

          “Semplicemente Iduna,” dissi, tamburellando le dita sulla coscia. “Non sono affatto una reale.”

          Gran Papà annuì solennemente. “Voi due non siete ancora sposati?”

          Ho sentito le mie guance riscaldarsi, e ho potuto solo scuotere la testa in risposta. Questo stava diventando imbarazzante.

          Gran Papà scosse la sua testa come se cercasse di liberarsi di un pensiero fastidioso. “Mi dispiace,” disse. “Le Luci del Nord mi mostrano molte cose. Ma certe volte non sono in ordine. Non siete qui, quindi, immagino, per chiedermi di salvare la vita di vostra figlia.”

          “Non abbiamo una figlia,” risposi, sentendomi un po' infastidita ora. Questo troll stava sventolando davanti a me tutto ciò che avevo sempre desiderato, come se fosse un fatto.

          Io ed Agnarr sposati.

          Con una bambina.

          La visione era così potente che mi urtò lo stomaco. Perché sapevo che non sarebbe mai diventata realtà.

          Deglutii, ma quando parlai, la mia voce era decisa. “Non siamo sposati. Siamo solo amici.”

          I troll scoppiarono in una risata. Osservai Agnarr. “È così divertente?” domandò, sembrando infastidito.

          “Voi due non siete solo amici,” proclamò Bulda con un sorriso ampio e dentellato. “E se non siete ancora sposati, beh, possiamo facilmente rimediare a questo, vero, ragazze?”

          I troll femmina esultavano.

          “Dovremo andare,” disse Agnarr, afferrando la mia mano e cercando di trascinarmi via. “Andiamo, Iduna.”

          Ma rimasi ferma, piantata sui miei piedi. Avevamo fatto tanta strada. E i troll erano strani, forse, ma non sembravano malvagi o maligni. E se potevano aiutare…

          Guardai in basso verso Gran Papà. “Siamo qui per trovare informazioni sulla Madre di Agnarr,” gli dissi. “Sai se per caso è venuta fin qui una volta? Forse in cerca di un qualche tipo di aiuto?”

          Tutti i troll iniziarono a sussurrare ferocemente tra di loro. Agnarr stava iniziando a sembrare molto nervoso. Sapevo che voleva sapere ma allo stesso tempo era spaventato di scoprirlo.

          “Questo è ridicolo,” mi sussurrò. “Chiaramente loro non sanno nulla. Dovremo—”

          “Sì,” interruppe Gran Papà.

          La faccia di Agnarr divenne pallida. “La conosci?”

          “È venuta da noi molti anni fa,” disse. “La ricordo bene. Era molto triste, tua madre.”

          Potevo vedere il deglutire di Agnarr. Le sue gambe che tremavano. Allungai la mano e la strinsi con la sua, cercando di dargli forza.

          “Non voglio parlar male di nessuno,” continuò Gran Papà. “Ma basta dire che tua madre si è sposata per dovere verso il suo regno, non per amore. E anche se amava il suo bambino, non riusciva a vedere il sole attraverso le nuvole. Ci ha raccontato che giaceva tutto il giorno sul letto a piangere. Rimpiangendo la sua vita e il regno che aveva abbandonato. Tuo padre è diventato impaziente per il suo comportamento. Non riusciva a capire perché fosse così triste quando le aveva dato tutto ciò che poteva desiderare. Ma c’era una cosa che non le avrebbe mai potuto dare.”

          “L’amore,” mi sussurrò Bulda, rannicchiandosi contro la mia gamba. Una lacrima le scese sulla guancia pietrosa. “La poverina era affamata d'amore.”

          “Ha lottato con la sua tristezza per anni,” continuò Gran Papà. “Ma alla fine decise che non ce la faceva più. Lasciò il castello con solo i vestiti che aveva indosso—”

          “E lasciando suo figlio indietro,” interruppe Agnarr, la sua voce ora velata di disprezzo. “Come può una madre fare questo? Al suo stesso figlio!”

          Gran Papà lo osservò. “Devi capire. È stata la scelta più dura che abbia mai dovuto fare. E comunque, la più coraggiosa. Sapeva che non poteva darti una vita fuori dal castello. Se ti avesse preso, l’avrebbero inseguita. Probabilmente sarebbe iniziata una guerra tra la sua terra natale ed Arendelle. Molti sarebbero morti. E la tua vita sarebbe stata in bilico.” I suoi occhi incontrarono quelli di Agnarr. “Lasciarti non è stato egoista. Infatti, è stato l'atto più altruista che potesse fare.”

          Sentii un groppo in gola, immaginando quello che deve aver passato la madre di Agnarr. Quanto doveva aver sofferto per prendere misure così drastiche, e quanto doveva essere stata angosciata di dover lasciare il suo unico figlio per tenerlo al sicuro. Cercai di osservare Agnarr. La sua faccia era ancora pallida. Voleva risposte. Ma forse non queste risposte.

          “Quindi è venuta qui?” ho chiesto.

          Gran Papà annuì. “Lo ha fatto. Sapeva che avevamo l’abilità di aiutarla a dimenticare. E dimenticare era l’unico modo con cui poteva vivere con quello che aveva fatto. Voleva dimenticare chi fosse. Quello che si era lasciata indietro.”

          Si fermò, poi aggiunse. “Ma prima che pronunciassimo l’incantesimo, ci ha fatto un’ulteriore richiesta. Di vedere suo figlio, non come era allora, ma come sarebbe diventato.” Gli occhi di Gran Papà hanno immobilizzato Agnarr. “Quindi abbiamo consultato le Luci del Nord per vedere il tuo futuro. È così che abbiamo saputo che sareste venuti da noi un giorno.”

          “Ma pensavate che fossimo sposati,” gli ricordai. “Con una figlia.”

          “Due figlie, a dire il vero,” si intromise Bulda. “Due meravigliose bambine.” Chiuse gli occhi e sospirò felicemente.

          Due figlie? Guardai Agnarr con incredulità, ma lui si era girato e si era allontanato un po’, la sua testa piegata e le mani strette davanti a lui. Sono andata da lui ed ho avvolto le mie braccia attorno alla sua vita.

          “Stai bene?” sussurrai. “So che è molto da sentire.”

          “È davvero terribile,” disse, la sua voce scricchiolava sulle parole. “Pensare che fosse così infelice. Ed io non ho potuto fare nulla per aiutarla.”

          Le lacrime mi scorrevano negli occhi per il dolore della sua voce. “No. Non potevi. Eri solo un bambino, Agnarr. E comunque, non puoi rendere felici le persone. Devono trovarla dentro di sé.”

          Annuì rigidamente, diventando silenzioso. Non volevo costringerlo, quindi rimasi ferma lì, stringendolo forte. Ma nel profondo, non potevo fare a meno di chiedermi se aveva notato il parallelismo della storia di sua madre con la sua. Lei era stata obbligata a sposare qualcuno che non amava. Ed ora a suo figlio era stata chiesto di fare lo stesso. Per il bene del regno.

          Ma cosa accadrebbe ad Agnarr?

          I troll potrebbero pretendere di vedere il futuro, ma io vedevo il nostro chiaro davanti a me.

          E non si concludeva con un per sempre felici e contenti.

Link al commento
Condividi su altre piattaforme

Archiviata

La discussione è ora archiviata e chiusa ad ulteriori risposte.

Visitatore
Questa discussione è stata chiusa, non è possibile aggiungere nuove risposte.
  • Utenti nella discussione   0 utenti

    • Nessun utente registrato sta visualizzando questa pagina.
×
×
  • Crea...