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[Contest di scrittura] Horror ~ L'eterna notte


Snorlax

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Di seguito troverete il regolamento del contest:

  • Tematica: Potete scrivere un qualsiasi elaborato a tema Pokémon e non, ma dev'essere basato sull'horror e tutta la sua area di significato, ovvero la paura, la notte, il macabro e così via...

  • Struttura: Il racconto/poesia dev'essere inserito nei commenti, specificando il titolo e l'autore come nell'esempio:

*Nome dell'autore*

*Titolo*

*Elaborato*

  • Lunghezza: Non c'è un limite di lunghezza a ciò che i vuole scrivere. Il testo dovrà  essere composto da una sola parte, dunque non si potranno scrivere fanfiction a puntate.

  • Premi: I premi sono dei PokéPoints. Saranno assegnati tre premi: il Premio assoluto, assegnato all'elaborato più votato dai giudici e il Premio Parola chiave, per l'elaborato più attinente al tema.

18 PokéPoints per il Premio Assoluto ~ Primo posto

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12 PokéPoints per il Premio Assoluto ~ Secondo Posto

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6 PokéPoints per il Premio Assoluto ~ Terzo posto

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10 PokéPoints per il Premio Horror

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*Le targhette saranno personalizzate con il nome del vincitore*

  • Giudizio: I vostri lavori saranno giudicati da tre giudici: Lance94, Grovyle96 e Vinnie.

Il contest si chiuderà  Domenica 28 Ottobre alle ore 16:00. I risultati saranno pubblicati, eccetto problemi, la sera stessa o il giorno successivo. Per qualunque domanda o dubbio, potete chiedere allo staff nella discussione apposita, tramite MP o sull'account "Vinnie PM" su facebook.

N.B. Visto che sono particolarmente ansioso, abbiate pietà  e non postate tutti all'ultimo momento causandomi un attacco di cuore. Grazie :3

Detto ciò, partecipate in molti!

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*Crow*

*Un viaggio da incubo*

Ero in piazza ad aspettare il pullman delle sette e cinquanta con il mio amico Mario: l’automezzo non arrivava più. Poi dopo pochi minuti, eccolo!

Mi sedetti al solito posto, in fondo a sinistra, mi accoccolai come sempre nella comoda poltroncina pronto per una piacevole conversazione, quando a un tratto il cielo si oscurò di nuvole nere: in quel momento mi sentii il sangue gelare nelle vene; volevo gridare, ma allo stesso tempo non lo volevo sapendo che l’autista era molto severo.

Mi decisi: urlai con tutto il fiato che avevo in gola e vidi quella orribile faccia! Non era l’autista ne sono sicuro aveva il volto senza la pelle: era… uno scheletro!! Domandai a Gianni, quello che sedeva accanto a me, se avesse notato l’autista ma lui era paralizzato: anzi, erano tutti paralizzati!

Ma che stava succedendo? Era un incubo!?!

Finalmente…eravamo in salvo! Là  c’era la scuola! Ma l’autista non si fermò, andò aventi. Dove mi stava portando?!

Forse al suo malefico castello?! Pensavo mentre con i capelli dritti e ispidi come gli aculei di un riccio me ne stavo accovacciato sotto il sedile cercando di nascondermi da quell’orribile creatura senza occhi.

Tutto sembrava così irreale mi sentivo male, era tutto sfuocato.

Sbirciando da una fessura tra i due sedili e notai che l’essere aveva una strana cicatrice sulla guancia, sembrava quasi che gliela avesse fatta qualcuno.

Ad un certa punto il Pulmino si fermò; l’autista smontò dal sedile; aveva in mano uno strano bastone a forma di serpente lo batté per cinque volte per terra e tutt’a d’un tratto i miei compagni uno ad uno vennero risucchiati in un vortice. Dov’erano finiti?! E perché non io?

Lo sentii parlare a qualcuno, però non capii niente di quello che diceva perché la mia mente era troppo impegnata a pensare a quello che stava succedendo.

Sentii solo che nominava il mio nome. Quale orrore!

L’autista tornato in macchina riavviò il mezzo.

Ogni minuto era lungo eterno in quel maledetto Pullman, ogni secondo… produceva un altro motivo per aver ancor più paura: qualcosa che cadeva… una frenata…

Finalmente il Pulmino si fermò davanti ad un grandissimo castello abbandonato.

Il cumulo di ossa si dirigeva verso la stradina che portava al castello. Ero terrorizzato ma allo stesso tempo curioso quindi decisi di avviarmi.

Sceso dal mezzo corsi subito dietro ad una grande roccia bianca che si rivelò essere un gigantesco scheletro. Tutt’a un tratto l’essere malvagio si fermò: sembrava che avesse percepito qualcosa, strappò delle foglie alla pianta e in quel momento mi sentii trascinare da qualcosa, guardai attorno cercando di capire… : non era lui e un attimo dopo mi trovai però appiccicato al muro.

Mi comparve per la seconda volta quell’orribile faccia che tuonava: - Pensavi di farmela, piccolo marmocchio, eh! –

Non avevo il fiato per rispondere, il cuore mi batteva ai cento all’ora e le gambe non reggevano lo stesso peso del corpo.

A strattoni mi portò dentro e mi scaraventò in una prigione dicendo: - Adesso non puoi più spiarmi piccolo bamboccio! -

Era ormai un settimana che mi trovavo là , prigioniero di un mucchio di ossa che nemmeno sapeva mangiare.

Una mattina mi guardai intorno, non c’era nessuno. Notai una leva nascosta sotto la botola e con le dita incrociate tirai quella leva.

In un batter d’occhio suonarono gli allarmi e nel muro si formò un piccolo buco. Affrettato, mi infilai nel pertugio e mi trovai fuori del castello: montai sul Pulmino, accesi il motore e via! Partii come un fulmine:

Guardai nello specchietto retrovisore: c’era lo scheletro che mi inseguiva.

Mentre sfrecciavo, il pullman sbatteva contro gli alberi.

Ad un certo punto mi venne in mente un’idea: curvai di scatto nel bosco lì vicino e quindi seminai quel mostro.

Tornato a casa, tutto sporco mi feci una doccia.

Mentre mi lavavo sentii un picchiettio sulla finestra, sbirciai fuori: era lui!

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Hatsune Miku

Il circo Maledetto

All'inizio ero felice,circondata dal mondo delle illusioni,tutto era pura fantasia e sogno,sin da piccola avevo visto il mondo come una scatola di cioccolatini di cui ognuno era una persona:tutto e tutti erano dei sogni,me compresa,ma non avrei mai immaginato che fosse un mondo costruito sulle menzogne,sulle bugie e sul sangue di tanta povera gente.

Iniziò tutto quando avevo circa 11 anni,era una notte di luna piena e io ero per strada,sulla via di casa mia,quando udii i suoni di un campanello,simili a quelli di un circo,di quelli dell'ottocento,era all'inizio debole,poi più forte e poi ancora e sempre più forte,fino ad arrivare dietro di me.

Vidi una carrozza a strisce verticali bianche e rosse,trainata da un cavallo bianco che guardava la strada con occhi tristi e notai che le sue zampe erano piene di cicatrici.

Il giorno dopo venni a sapere a scuola che nella foresta vicino aveva aperto un circo e io,che non ero molto paziente,decisi di andare subito dopo le lezioni a dare un' occhiata.

Non avevo soldi con me,quindi pensai che non mi avrebbero fatto entrare,così decisi di spiare da un buco nel tendone la sala degli allenamenti dl cast.

Vorrei non averlo fatto:vidi cose che neanche nel peggiore degli incubi possono essere viste:c'era sangue ovunque,assieme a moltissime ossa e gente che sembrava essere stata smembrata.

Trovai un'entrata,entrai cautamente e la vidi:era una povera ragazza che era stata deformata in volto e con degli occhiali che non lasciavano intravedere gli occhi,indossava un abito bianco, aveva i capelli neri corvini belli come pochi e le gambe erano storte e malformate.

Accanto a lei un ragazzo,forse una ragazza,non so dirlo,dato che erano due teste attaccate su un corpo,una di loro (quella maschile) consolava la ragazza e l'altra (quella femminile) sembrava pazza:la sua espressione era un misto di rabbia,felicità ,e maniacale pianto.

Ero spaventata:non avevo mai visto un tale misto di orrore con tanto scempio della gente con in aggiunta l'odore del sangue e di marcio che infestava quel luogo,tentai di allontanarmi,ma due braccia mi bloccarono da dietro,era una donna alta e slanciata,con i capelli raccolti in uno chignon:"Ora che hai visto.non posso farti andare via."

Ma io conosco quella donna,lei è..... è QUI!

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*valeta98tv*

*il diario di un esploratore*

Giorno 1 Anno XXXX

Quando ero piccolo mi piacevano le storie di fantasmi, non ero come gli altri bambini, no io ero diverso, non mi addormentavo con le favole e le fiabe io dormivo soltanto con le storie che parlavano di sangue, morti e creature soprannaturali.

Quella che fra tutte preferivo narrava di una remota stanza in una grande torre nella regione di Kanto.

Oramai sono cresciuto e non mi servono più le storielle della buonanotte, quei racconti horror da quattro soldi...

Eccomi davanti all'edificio che ha accompagnato gli incubi della mia infanzia, la Torre Pokémon!

Girano molte voci su questo alto palazzo, ma io non ci credo, voglio solo assaporare il brivido sulla mia pelle!

Dopo qualche attimo mi decido ed entro, un immenso salone si apriva davanti a me, degli Ariados avevano teso ragnatele ovunque era quasi impossibile raggiungere la scala!

Ce l'ho fatta! Qui è pieno di nebbia, non riesco a distinguere praticamente nulla e devo stare attento a non inciampare sulle lapidi.

Giorno 10 Anno XXXX

Passano i giorni, ma della mia metà  non ho visto nemmeno l'ombra, ormai le mie provviste di cibo iniziano a scarseggiare, forse è meglio tornare indietro!

Siccome ho molto freddo decido di far uscire dalla Pokéball il mio Magmar, ma qualcosa me lo impedisce, penso che il pulsante della mia Pokéball si sia rotto e che non sia nulla di grave! Spero che il problema si risolva altrimenti dovrò andare a farla riparare!

Giorno 12 Anno XXXX

Ho freddo e fame non ce la faccio a proseguire, ma non trovo la via del ritorno, credo che non ce la farò a sopravvivere!

Mi sento osservato e mi sono accorto di una cosa alquanto strana: i Pokémon selvatici sono spariti, da quando sono qui ho visto solo qualche Ariados e Cubone, dei miei amati spettri non c'é traccia...

Giorno 16 Anno XXXX

Mi sono accorto di non poter più tornare indietro e ho deciso di salire, ma ad ogni piano la nebbia è sempre più fitta...

Le mie gambe camminano da sole e non riesco più a ragionare... Presto la smetterò di scrivere in questo inutile diario!

Giorno XX Anno XXXX

Ho perso il conto dei giorni, ma da qualche tempo seguo una famiglia di Lampent, sono Pokémon molto socievoli e mi stanno guidando.

La fame inizia a non farsi più sentire, mi sento sereno.

Giorno XX Anno XXXX

Mi sento molto male, ma i Lampent continuano a guidarmi, non sono più sicuro delle loro intenzioni, la mia permanenza qui è un agonia senza fine...

Giorno XX Anno XXXX

Ci siamo i Lampent mi hanno svelato la stanza segreta che ho tanto cercato e ora mi hanno abbandonato qui a marcire come tutti i cadaveri appesi alle pareti.

Qui è orribile, la nebbia si è diradata, ma l'aria è invasa da una puzza di putrefazione... Non voglio più stare qui!

Odio i fantasmi!

I miei sogni sono sempre più disturbati e ora li posso chiamare incubi!

Odio i Fantasmi!

Giorno XX Anno XXXX

Sono sempre più certo che questo posto sarà  la mia tomba... Sto vagando da mesi in una fitta rete di cunicoli sempre più bui... Sento spifferi e cigolii, urla e lamenti... Per la prima volta in vita mia ho paura!

Gior... An...

Non riesco più a scrivere mi sento morire, vedo delle strane ombre avvicinarsi, non oso immaginare il trattamento che mi riserveranno... La mia vita sta per.......

G... A...

Le ombre erano dei Sa...e...e non mi danno tregua giorno e notte mi fissano senza tregua, mi graffiano e mi mordono, se mai riuscirò a salvarmi mi resteranno sempre in mente quei sorrisi malati...

G...

Ecco il Sa.......e più grande credo di non avere più scampo... Addio mondo... Odio i Sab...

Il diario è stato ritrovato da una medium che l'ha strappato dalle gelide mani di un cadavere con i vestiti stracciati e insanguinati, con profondi tagli in tutto il corpo e con... Un sorriso malato in bocca e delle gemme al posto degli occhi!

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a part of the dawn where the light comes from the dark

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...

 

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Khaos

*La Lettera*

E poi… Non vidi più nulla. Vi sembrerà  strano, ma non vedevo nemmeno il buio… Non sapevo nemmeno se ero vivo o morto… Cioè, il corpo sembrava appartenermi, sembrava, ma la mente no… Solo una cosa di essa era in funzione: la memoria. Fu facendo affidamento su di essa che riuscii, pian piano, a ripercorrere la strada a ritroso, e a portarmi fuori da quel luogo maledetto. Vi starete chiedendo come, se non vedevo più nulla… Ebbene, per fortuna (o sfortuna, dipende dai punti di vista) mi trovavo in un corridoio lungo e stretto, che partiva dal salotto di casa mia e arrivava fino ad una cripta; questo è ciò che vi possa interessare a riguardo. Non sprecate il vostro tempo a chiedermi il nome di quel posto, né utilizzatelo per carpire dal testo ogni minimo indizio che possa tradire il mio tacito accordo, poiché quel luogo è stato ormai dimenticato da tutti. E’ mia intenzione, invece, raccontarvi ciò che rammendo di quell’orribile esperienza.

Era una fredda notte di Novembre - il 30, precisamente - e io stavo tornando da una festa di benvenuto che avevamo organizzato in onore del nuovo Sindaco; all’epoca avevo 23 anni, ed ero assessore comunale. Stavo salendo la scalinata che dal giardino portava alla porta, che erano circa le 2 del mattino; se ve lo state chiedendo, la risposta è sì, ero anche un po’ alticcio. Mentre le chiavi giravano nella serratura, ed il chiavistello si sbloccava, sentii un sonoro tonfo provenire dall’interno. Oddio, i ladri. Con tutto quello che mi stava accadendo, i ladri erano le ultime persone con le quali volevo avere a che fare… Sì, piuttosto il demonio in persona. Comunque, aprii la porta ed entrai; ciò che vidi potrebbe sconvolgervi, anche se non ho la certezza di raccontarlo in maniera così nitida da rendere l’idea… I mobili del salotto erano completamente ribaltati, i divani di pelle di camoscio squarciati, i tappeto lacerato… il televisore sparito, il vetro del caminetto rotto. Ma ciò che mi preoccupò in quell’istante non furono tutte queste cose, ma ciò che stava al centro della sala, probabilmente il fautore del disastro, che altrimenti non si potrebbe spiegare: era una creatura orribile, alta circa 2 metri e 20, visto che arrivava a toccare quasi il soffitto appena intonacato; tutto sommato, era in perfetta forma, se me lo consentite… era snella e slanciata, ma raccapricciante. Era interamente coperta da una peluria verdastra, gli artigli delle zampe avevano arpionato il pavimento, mentre quelli delle ‘mani’ stringevano Lilli - il mio povero gattino - inerme.

Non appena feci un passo, la creatura si voltò verso di me, e mi fissò. La bocca assomigliava a quella di un cane, se non fosse per le due lunghe zanne che le spuntavano; gli occhi, non lo scorderò mai, erano di un rosso intenso, e le loro pupille - orizzontali - si erano piantate nelle mie… Tremavo, nonostante fossi paralizzato dalla paura. Poi la creatura svanì Puff così, come per incanto; ora, pensai che fosse tutto frutto dell’alcool, ma non poteva essere vero: la creatura sì, era sparita, ma il salotto sembrava un campo di guerra, dopo lo scoppio di una bomba. Al centro, dove prima v’era il mostro, ora si trovava una lettera. Indovinate un po’ con cosa era stata scritta? Sì, col sangue… come quello che mi gelò nelle vene non appena la iniziai a leggere:

‘Will, non puoi sfuggirmi… Io sono il tuo passato, il tuo presente e il tuo futuro; il destino non si può evitare, ed il tuo è il demonio.

Stammi bene,

Sat.na’

Fu in quell’istante che mi accorsi di una botola nel muro… Essendo stato quasi demolito, si poteva notare un’apertura in esso. L’istinto decise per me, e così, entrai.

All’interno del corridoio v’era un intenso odore di putrefazione e sangue rappreso… Era tutto buio, e tutto diritto. Ormai erano 30 minuti che camminavo ininterrottamente; ero sfinito, distrutto fisicamente e mentalmente, e l’aria iniziava a mancare. Non feci in tempo a realizzare, che mi ritrovai improvvisamente in una stanza circolare, completamente spoglia, fatta eccezione per un altare al centro della sala, bagnato da una candida e alquanto tetra luce che entrava da un’apertura sul soffitto. Improvvisamente un dolore lancinante mi prese la testa.

Al mio risveglio mi trovai in una radura isolata, disteso su un prato umido. Sopra di me, un cielo stellato illuminava quella macabra notte. Una domanda mi attraversò la mente: Era vero? Era tutto vero? Feci per passarmi la mano destra nei capelli, e con grande stupore (od orrore, prendetela come vi pare) la vidi… La lettera.

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Fen

L'orologio a pendolo

Mi fermai esattamente di fronte alla porta d' ingresso del negozio di antiquariato, arrestando la macchina appena prima delle strisce pedonali.

Victor, il mio rivenditore di fiducia, mi aveva chiamato quella stessa mattina avvisandomi che un pezzo pregiato gli era appena stato consegnato. Sapeva bene che un collezionista come me non può lasciarsi scappare certe occasioni. Grazie al rapporto confidenziale che da anni tenevamo l'un l'altro, aveva subito pensato a me, e di questo gliene sono grato.

Scesi dalla mia Jaguar XJ del '79 un altro reperto delle mie ricerche per i pezzi da collezione, e varcai sicuro la porta.

Ad attendermi appoggiato al bancone c'èra un ometto paffuto, con un lieve accenno di stempiatura sulla nuca, il viso rotondo tronfio come sempre quando sa che sta per guadagnare parecchi soldi.

A dirla tutta, era il mio esatto opposto. Alto, capelli corvini e folti, la barba appena accennata e il naso diritto, ero da considerare un uomo sulla trentina assolutamente desiderabile. Gli occhi verdi smeraldo aiutavano ad ammaliare i venditori e cavarmela sempre pagando meno del dovuto.

<Signor Lewis!> mi accolse gioiso Victor <Non ha idea, non ha idea! Un pezzo da collezione del tutto unico, oserei dire, guardi!> concluse senza troppi giri di parole.

Aprì una grossa cassa in legno, scoperchiando il vano su cui vi era stampata la classica dicitura "Fragile" in rosso evidente, e mise in luce un grosso orologio a pendolo, in legno scuro.

<Legno pregiato..> mormorai osservandolo <Le intarsiature mi fanno pensare che sia all'incirca del..settecento?>

<Settecentodiciotto!> precisò fiero l'ometto <Un gioiellino in legno di mogano, alta fattura d'altri tempi! Completamente costuito a mano, ogni singola montatura in legno è stata elaborata da mastri artigiani. Cosa ne pensa?>

<Penso che sia un oggetto davvero interessante, Victor> risposi sincero <ma qualcosa non mi quadra..Come mai il prezzo è così basso?>

Il cartellino al dì fuori della cassa segnava dodicimila dollari. La mia esperienza mi diceva che un oggetto così antico e mantenuto in condizioni perfette valesse molto di più.

<Bè, vede..> rispose corrucciando appena la fronte, come se avesse voluto evitare spiegazioni approfondite <Questo orologio a pendolo non ha una buona fama, ecco. Fu costruito per una dama francese, la quale, almeno così si dice, un giorno perse la testa uccidendo il figlioletto e nascondendone il corpicino all'interno dell'orologio..> concluse fingendo dolore per un bambino ormai morto da decenni.

<Decisamente macabro> sorrisi io <Ma questo non giustifica il prezzo, o sbaglio?>

<Vero. Difatti, la storia non è finita. Dopo essere stato recuperato dal deposito giudiziario, all'incirca nel millesettecentoottantasei, venne venduto all'asta ad una nobildonna inglese. In seguito l'oggetto passò di mano diverse volte, ma tutte le volte per poco tempo. Sembra che tutti i proprietari siano morti> continuò leggermente accigliato. <La cosa particolare è che l'orologio non funziona come dovrebbe. Non suona mai alle ore stabilite, ovvero mezzanotte e mezzogiorno, il che fa pensare che l'ingranaggio sia rotto. Ovviamente non oso mettere le mani per constatarlo, cambiando dei pezzi rovinerei irrimediabilmente la sua unicità . Ciò che sto cercando di dirle, Signor Lewis, è che ogni volta che i proprietari sono stati ritrovati, ormai morti, l'orologio suonava. Strano, non trova?>

Sorrisi, comprensivo <Posseggo diversi oggetti, Victor, e se dovessi dare peso a tutte le dicerie dovrei essere stato maledetto, soggetto a strani riti o posseduto dal demonio migliaia di volte. Leggende, supersitizioni, ecco cosa sono. Dicerie atte a creare un alone di mistero attorno all'oggetto, nulla di più, davvero>

Victor sorrise a sua volta, consapevole che l'importante era guadagnare un po' di denaro sonante invece che dar peso alle supersitizioni. Concludemmo in fretta la transazione, ed in seguito lo stesso Victor mi aiutò a caricare la pesante cassa nel baule della Jaguar.

Arrivato a casa, decisi di posizionare l'orologio nel salone, esattamente sotto l'arazzo ritraente lo scontro tra un eroe greco e una chimera. Il mio salone sembrava appartenere ad un signorotto d'altri tempi, a dirla tutta.

Di certo non mi ritenevo un nobile, al massimo un uomo che, godendo di una certa posizione, aveva guadagnato abbastanza da permettersi di spendere cifre consistenti per appagare i propri vizi, tra i quali, apppunto, la collezione di pezzi pregiati provenienti da tutto il mondo.

Mi sedetti sulla mia poltrona preferita, nell'angolo più remoto del salone, e cominciai a bere un po' di vino. Per puro caso, l'occhio mi cadde sul mio nuovo pezzo, l'orologio a pendolo.

Perplesso, notai che l'orologio sembrava trovarsi in una posizione leggermente diversa rispetto a dove l'avevo posizionato. Uno spostamento minimo, ma ero sicuro che ora fosse dritto, mentre quando l'avevo posizionato, leggermente stanco l'avevo lasciato con l'asse storto rispetto alle delineature del pavimento.

Sorrisi, divertito. Oltre che essere maledetto, quell'orologio era pure un maniaco delle simmetrie?

Sollevai gli occhi al cielo, pensando che probabilmente la mente, ormai annebbiata dalla stanchezza e dal vino, giocasse qualche tiro mancino alle mie facoltà .

Decisi quindi che era giunto il momento di coricarsi. Salii lentamente le scale, pensando di farmi una doccia. Mi recai al bagno dopo essermi spogliato e aver indossato l'accappatoio, quando dal piano terra sentìì un cigolio. Mi arrestai, perplesso. Vivevo da solo e di certo non avevo animali. Eppure il rumore che avevo percepito era chiaro, nitido, quasi come se un piede avesse calpestato il parquet.

Socchiusi gli occhi, e decisi di andare di sotto per verificare l'origine del suono. La finestra adiacente alla mia poltrona preferita era aperta. Nonostante fossi quasi certo di averla tenuta sempre chiusa, decisi di non dare troppo peso all'avvenimento.

Andai a chiudere la finestra, pronto a tornare immediatamente di sopra per iniziare la doccia. Mi diressi nuovamente verso le scale, corrucciato. Con la coda dell'occhio notai un dettaglio che mi lasciò ancora più irrequieto: l'orologio, che prima avevo visto esattamente allineato alle rifiniture del parquet, era di nuovo spostato, di pochi centimetri.

Inoltre, lo sportellino che concedeva l'accesso al pendolo era socchiuso.

Il nuovo spostamento non mi lasciò interdetto, a dirla tutta. Probabilmente era storto fin dall'inizio, ma il vino mi aveva annebbiato più di quanto credessi.

In quanto allo sportello, non era raro che oggetti antichi come quello provocassero spostamenti del legno, il quale spesso si muove e produce sricchiolii che possiamo udire di notte, nel silenzio assoluto. Probabilmente un qualche strano fenomeno del genere aveva fatto aprire lo sportello.

Successivamente tornai alla mia tanto bramata doccia, irrequieto e infastidito. -Dannato Victor-pensai accigliato -era proprio necessario raccontarmi certe fandonie?-

Cominciai a rilassarmi, lasciandomi andare alla dolce sensazione dell'acqua calda che scorre sulla pelle, quando sentii un nuovo scricchiolio, identico a quello udito in precedenza, ma questa volta proveniente dal corridio su cui si affacciava il bagno.

Smisi di respirare, di colpo. I miei occhi scrutarono preoccupati la porta del bagno, chiusa a chiave. Le mie orecchie rimasero in attesa, pronte a registare eventuali rumori.

Rimasi in quella posizione per qualche minuto, con l'acqua che imperterrita scorreva bagnandomi il petto.

Non sentii più nulla. Avvertii un brivido freddo scorrermi lungo la schiena, ma non aveva nulla a che fare con l'acqua. Era paura.

<Autosuggestione, idiota> mormorai tra me e me, cercando di riprendere il controllo di me stesso.

Quello strano racconto, unito alla finestra lasciata aperta, mi avevano inquietato.

Sospirai profondamente, conscio delle sciocchezze che andavo pensando, e uscii piano dalla doccia, appoggiando i piedi sul tappetino in gomma. Cominciai ad asciugarmi, accucciandomi per passare l'asciugamano sulle gambe, quando notai un'ombra dalla fessura tra il pavimento e la porta.

Urlai, sorpreso. Indietreggiai, andando a sbattere col la testa sul telefono delle doccia e provocandomi una fitta di dolore che mi oscurò la vista per qualche istante.

Ero spaventato, scioccato. Cosa diamine era quell'ombra?

Con cautela, mi asciugai e indossai la biancheria, senza mai staccare gli occhi dalla porta. Indossai una felpa grigia e i pantaloni della tuta, deglutento.

Rabbrividendo, mi avvicinai alla porta, la tensione sempre più alta.

Uno, due, tre! Aprii la porta di scatto, ma non c'èra nulla. Affatto tranquillizzato, decisi di ispezionare con cura le stanze del primo piano, ma non trovai nulla di strano.

Leggermente rincuorato, tornai nuovamente al piano di sotto per bere un bicchiere di latte. Passando, buttai l'occhio al salone, e rimasi pietrificato.

L'orologio era spostato, ma non di pochi centimetri. Era al centro esatto della stanza, lo sportello nuovamente aperto, questa volta del tutto.

Arretrai fino alla cucina, sconvolto. Contemporaneamente sentii nuovi scricchiolii provenire dal primo piano, come un suono di passi che accelerava man mano.

I passi svanirono come erano venuti, affievolendosi. Il sudore freddo mi stava pervadendo il collo, e tanti saluti alla doccia rinfrescante.

Ormai era chiaro anche a me: qualcosa se ne stava andando in giro per casa mia.

Riflettei, terrorizzato: l'orologio che si sposta, i passi, l'ombra. Qualcosa di umano?

Magari lo scherzo di qualche ladruncolo buontempone?

Poi ricordai la storia di Victor, e nuovi brividi cominciarno a scorrermi lungo la schiena.

Afferrai un coltello dal ripiano della cucina, uno dei più lunghi che avevo, e lo impugnai stretto.

Tornai per l'essesima volta al piano di sopra, cauto e guardingo. La luce dell'anticamera si era spenta (L'avevo spenta io scendendo?). Allungai la mano alla parete per cercare l'interruttore, trovandolo. Premetti con forza, ma la luce non venne. Ormai in iperventilazione, mi tuffai a memoria nel buio, entrando in una delle stanze. Premetti di nuovo sull'interruttore, ma nemmeno questo accese la luce.

Uno spiffero d'aria gelida mi investì. Potente, deciso. Col respiro affannato, allungai il braccio alla cieca, cercando il comodino. Tastai la superficie del mobile, quindi scesi con la mano e ne estrassi una torcia elettrica. La accesi, e con mio sollievo scoprii che funzionava.

La puntai verso la porta e l'anticamera, e ciò che vidi mi terorrizzò. Una figura stava in piedi davanti alla porta, fissandomi.

Urlai dallo spavento e lasciai cadere la torcia. Mi sentivo svenire. Qualcosa se ne stava a fissarmi poco distante, mentre io brancolavo nel buio.

Ritrovai la fredda superficie dela torcia. La puntai in fretta e furia verso la porta, ma non c'èra nulla.

Sembravo un pazzo. Calmati, pensai. Respirai una o due volte, deglutendo ritmicamente. Decisi di non lasciarmi prendere dal panico, ma di pensare invece alle cose che avevano la massima priorità . Mancava la luce. Dovevo azionare il generatore.

Il generatore si trovava in cantina, non certo il posto più adatto per rifugiarsi quando si è in preda a strane visioni, ma non potevo fare altrimenti.

Mi recai quasi correndo al piano inferiore, puntando la luce della torcia ovunque, ma non vidi nulla.

Trovata la porta della cantina, mi ci tuffai letteralmente, chiudendomela con forza alle spalle. In quel momento la luce si accese, da sola.

Stupefatto, scesi un gradino alla volta le scale. Forse c'èra stato un blackout. Questo spiegherebbe l'improvviso ritorno della luce. Scesi l'ultimo gradino, quando avvertii dei colpi alla porta.

Mi voltai di scatto, urlando. La porta, in cima alle scale, sbatteva, preda di feroci pugni. Un rumore sordo, inquietante. Il respiro si fece nuovamente accellerato, gli occhi fuori dalle orbite fissavano la porta.

Il feroce bussare continuò a lungo, senza interruzioni. D'un tratto il rumore cessò, ma riprese ancora più forte dalla finestrella della cantina. Mi voltai rantolando, preda di pensieri irrazionali.

Come un bambino, mi accucciai con le mani sulle ginocchia, dondolandomi avanti e indietro.

<Basta, basta, ti prego, basta!> urlai al nulla.

Il rumore cessò, e tutto divenne silenzio.

Non mi mossi di un millimetro, pronto a sentire altri battiti, ma ciò che sentii non era un battito, ma un rintocco.

Al piano terra, l'orologio a dondolo suonava, un suono dolce e ovattato, regolare.

"<La cosa particolare è che l'orologio non funziona come dovrebbe. Non suona mai alle ore stabilite, ovvero mezzanotte e mezzogiorno, il che fa pensare che l'ingranaggio sia rotto. Ovviamente non oso mettere le mani per constatarlo, cambiando dei pezzi rovinerei irrimediabilmente la sua unicità . Ciò che sto cercando di dirle, Signor Lewis, è che ogni volta che i proprietari sono stati ritrovati, ormai morti, l'orologio suonava. Strano, non trova?>"

Ricordai quelle parole, e un brivido nuovo mi attaversò. Non era paura, ma consapevolezza.

D'un tratto, una voce alle mie spalle parlò. Rauca, quasi soffocata: <E' giunta l'ora>

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TerianAlcino

*Bu!*

Era un giorno orrendo; non me ne era andata una giusta,avevo perso il pullman 3 volte,aveva piovuto e...ero fradicio...

Arrivato a casa cenai, mi feci la doccia e mi misi un pigiama caldissimo.La serata sembrava perfetta quando,guardando i miei piedi notai due mani ossute e nere spuntare da sotto il letto poi una testa di lupo e una di gatto, l' essere iniziò col pronunciare alcune frasi e la porta si chiuse con tanta violenza che mio padre

corse,spaventato,verso la mia stanza ma inutilmente.La porta sembrava sigillata e il mostro iniziò a dire parole senza senso e poi, con un rantolo di dolore,

si tagliò una mano...il suo sangue iniziò a formare delle scritte colanti sui muri e poi gridò con una velocità  indescrivibile:"Sono io il BauBau!!!".

Tutto iniziò a traballare e esseri spaventosi emersero dal terreno; sembravano zombi(e) ma per me non aveva importanza.Infatti mi ero messo in un angolino a sperare che quell' atrocità  finisse, ma invece quegli esseri iniziarono ad avvicinarmisi e i loro aliti putridi investirono la mia faccia e...Persi i sensi.

Poco dopo mi trovai in letto d'ospedale, i miei genitori erano lì e mi spiegarono che la polizia non ci avrebbe più fatto entrare in quell ' alloggio perchè era male-

detto.

Molti, dopo, parlarono di un maniaco, ma in pochi, incluso me, seppero la verità .Non sò come sopravvissi ma il mio letto non fu mai più rialzato dal terrreno...

FINE(?)

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Gray

Lucas' Mansion

Era una notte buia e tempestosa, solitamente si scrive una storia dell'orrore, ma NO! Io vi racconterò la storia di una casa maledetta.... Era un normale giorno per Lucas, stava viaggiando per la città ... Ad un certo punto vide questo uomo alto,baffuto con un berretto verde che voleva regalare la sua villa a qualcuno, e scelse proprio Lucas, che felice non vedette l'ora di traslocare, ma l'uomo non gli aveva detto che c'era una maledizione.... Dopo aver trasferito tutti i mobili, Lucas si intrufolò dentro il suo letto ma non riuscì a dormire, sentiva una strana voce unita a delle piccole risate...come fossero di bambini molto piccoli, Lucas, andò a sciaquarsi la faccia in bagno, poco dopo allo specchio video un uomo simile a quello che gli aveva regalato la villa, solo che era più basso e aveva il berretto rosso. Dopo questo strano incontro cercò di addormentarsi ma non riuscì, sentiva delle urla che lo terrorizzarono, scese nel salotto e vide l'uomo baffuto verde che uccideva l'uomo che vide allo specchio, solo in auel momento capì che quella casa era maledetta...Andò a cercare su internet e vide che ci furono molti omicidi in quella villa, stava per riuscire a trovare una risposta per togliere la maledizione e il Computer si spense, si udì un altro urlo, però più acuto, l'uomo baffuto verde era morto. Cercò un modo per togliere la maledizione dalla casa ma tutto si rivelò un fallimento e apparve un grosso fantasma, cercò di di eliminarlo ma non ci riuscì, allora gli venne un colpo di genio e distrusse la villa, ma la maledizione non svanirà .

Lucas sono io 21/11/2007

Lucas Collins (28/6/1993-21/11/2007)

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attenzione!: non aprite questo spoiler se: non volete rovinarvi la giornata, avete problemi di stomaco e/o se volete leggere una bella storia.

io vi ho avvertito u.u

MARCOX5 (me)

IL SOGNO

Erano passati anni da quelle avventure…… anni in cui non è successo niente di particolare, qualche scoperta non molto importante, nessuno si aspettava niente e la vita scorreva serenamente….

Poi una sera, una sera normalissima nello stesso luogo in cui tante avventure hanno segnato la mia storia e quella del mio compagno…..

Il sole era calato, i pokèmon notturni animavano l’ oscurità  con un’ orchestrca di sinistri suoni e stridii agghiaccianti.

Noi,incuranti di quello che ci accadeva attorno, stavamo tranquilli già  assonnati nelle nostre cucce di paglia mentre scambiavamo due parole.

Il mio compagno caddè in un sonno, in un sonno che sembrava durare in eterno…

Toccò a me:mi addormentai dolcemente…..

Ed è qui che effettivamente inizia la storia ( XD),il sogno, il sogno era vuoto….nulla…..giravo angosciato….nulla c’era, nulla si toccava, nulla…

Ero solo in mezzo al vuoto, ed è lì che mi balzarono in testa quei tremendi ricordi.i ricordi di quando scomparì,nelle tenebre…

Solo allora mi ricordai del mio compagno,non potevo l’asciarlo solo!

L’ angoscia e la depressione si trasformò ben presto in paura: due mani gigantesche mi inseguivano!

Due mani,oscure,che esprimevano tutt’ altro che sicurezza..

Poi il vuoto si colmò di suoni, ben molto diversi da quelli della notte, molto acuti che d’ un tratto si facevano gravi, ma io avevo altro a cui pensare:le mani mi perseguitavano ancora con ossessione.

Poi sentì una voce che mi apparve familiare , la voce che mi diede tormento molte notti

Tutto si fermò per un istante e apparì la lugubre sagoma del pokèmon oscuro…

Era possibile? Possibile che il pokèmon che il pokèmon che consideravamo da tempo scomparso sia qui?

Tornai umano e la sagoma con un gesto ua “finestra†sul mondo esterno che mi mostrava me la fine orrenda che quel giorno sulla torre mi toccò. Ma non ero io il soggetto di quella fine erano due pokèmon

Che conoscevo molto bene, gli stessi due pokèmon che condivisero con me tantissime avventure.

Un tonfo, tutto ritornò come originariamente: vuoto.

Attesi convinto che i miei compagni e amici non facessero più parte di quel mondo,che ormai mi sembrava lontano e frutto della mia immaginazione.

Al culmine riapparve quella sagoma.

Disse delle parole ma ormai per me nulla aveva più senso.

riuscì a capire le sue ultime parole: ora scomparirai come avresti dovuto fare molto tempo fa!!

La fine era giunta. cercai di raccogliere le forze per alzarmi e scappare ma niente…..

Ma una luce, una luce di speranza (e figherrima<3) , comparve tralasciando comparire alcune parti di quel pokèmon splendido venuto a salvarmi : cresselia <3!

Ero salvo ma non si poteva stare più tranquilli ormai in quel luogo, luogo che dall’ ora è avvolto dal terrore.

spero nessuno abbia fatto una storia troppo simile à§_à§

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Blue95

La vacanza di sangue.

Sembra davvero tutto finito. Vorrei che fosse davvero tutto finito. Vorrei essere in un incubo, di quelli così reali che ti sembrano realtà . Mi premo fortemente i pollici sugli occhi, auspicandomi che, una volta riaperti, avrei rivisto il mio solito mondo: la mia stanza, perfettamente pulita e ordinata, col solito profumo di lavanda delle coperte. Ed invece, con mio grande orrore, ho ancora un' ascia ormai rosso sangue ai piedi e, davanti a me, il corpo mutilato di una donna. La mia donna. Joanna. Ha le braccia staccate dal corpo e uno squarcio estremamente profondo sul petto. Gli occhi sono quasi completamente fuori dalle orbite, e i denti completamente rossi: ha sputato davvero parecchio sangue. Che orribile spettacolo, una così bella donna ridotta in quel così pietoso stato. E ridurla così... Sono stato io.

Il quarto anniversario di fidanzamento è arrivato. Sembravamo davvero destinati a fallire, eppure siamo ancora insieme, più uniti che mai. Io e Joanna ci conoscemmo il primo anno di liceo. Antipatia reciproca fin da subito. Solo poco prima della Maturità , capimmo che il nostro odio si era ormai tramutato in amore. Vorrei regalarle qualcosa di assolutamente fantastico, per dimostrarle che per lei farei di tutto, arriverei perfino in capo al mondo. Letteralmente.

Difatti, Joanna proviene dal lontano Perù, ed il suo desiderio è sempre stato quello di ritornarvi almeno una volta.

Così, con suo grandissimo stupore, le mostro due biglietti per la sua Terra. Mi sono costati un occhio, forse dovrò lavorare altri cinque mesi per recuperare tutte le spese effettuate e che effettuerò. Ma ne è valsa davvero la pena: ella sfoggia un sorriso talmente radiante, che spenderei perpetuamente i miei stipendi per vederla sempre così luminosa.

Il viaggio non è stato eccessivamente confortevole, ma il panorama che mi trovo davanti e mozzafiato. Ciò che mi sorprende di più, però, è che tutto è deserto: non una persona in circolazione, i negozi sono tutti chiudi. Sembra quasi che gli abitanti del posto abbiano abbandonato il paese in fretta e furia.

Dopo la morte dei genitori, Joanna ereditò una piccola casetta nel suo paese: nulla di che, molto piccola, ma per noi due è il massimo.

Decidiamo di disfare immediatamente le valigie, pensando che questo assenteismo di massa fosse solo qualcosa di momentaneo: la sera saremmo ritornati in paese, e avremmo cenato fuori. Nel frattempo, spostando un grosso scatolone impolverato, noto una botola che dovrebbe portare ad un livello inferiore, magari una cantina. Cerco di aprirla, ma è troppo pesante, così decido di rinunciare. Ma, dopo essermi voltato di spalle, mi pare di sentire un piccolo gemito provenire dalla botola.

"Ehi, Jo, hai sentito anche tu?" domando, un tantino impaurito.

"Sentito cosa?" ribatte lei. Decido di non indagare oltre. Non vorrei mi scambiasse per un pazzo.

Di sera, le strade sono ancora del tutto fantasma. Un brivido mi percorre lungo tutta la schiena: temo di essermi già  pentito di questa vacanza.

Sobbalzo nel notare degli grandi occhioni verdi spiarci dalla finestra di una delle tante casette. Spero che Jo non mi abbia visto, sembra così forte e priva di paura! La vecchietta dagli occhi verdi ci fa cenno di entrare e, come ipnotizzata, la mia ragazza entra in casa.

"Magari troveremo ospitalità , e potremo avere più informazioni." penso tra me e me. Ma l'abitazione è ancor più inquietante delle strade deserte: è costituita da una sola stanza, che presumo sia cucina, bagno e camera da letto contemporaneamente, illuminata dalla sola luce di due candele. Temo di morire, quando un gatto, nero come la pece, occhi vitrei, e alquanto spelacchiato, mi salta addosso miagolando nervosamente, quasi volesse attaccarmi. Se non fosse una follia, potrei sicuramente affermare che il micio è apparso dal nulla. L'anziana non si scombussola minimamente, e comincia a raccontare:

"Tempo fa, prima che tu emigrassi, Joanna, una equipe di scienziati si trasferì qui per i suoi folli esperimenti: volevano rendere l'uomo eccezionalmente potente, così, in caso di guerra, non avremmo dovuto spendere capitali in armi. Ahimè, qualcosa andò storto: tutti gli esseri viventi, vegetazione compresa, cominciarono a dare segni di squilibrio: le piante si animarono, gli animali uccidevano le persone, e gli umani davano addirittura... segni di cannibalismo. E ben presto, come un'epidemia, la cosa si diffuse assai rapidamente. I pochi superstiti decisero di emigrare, e questo è stato anche il tuo destino: i tuoi genitori ti hanno imbarcato clandestinamente, e ti hanno fatto scappare. Ed ora, lasciatemi in pace. Addio". Quasi ci fa uscire a calci.

"Era una tua parente, quella?" dico alla mia amata, fuori da lì.

"No, non l'ho mai vista, perché?" ribatté lei. Il mio sangue si gela.

"E allora... Come conosceva il tuo nome?!". Ci guardiamo esterrefatti. Improvvisamente, sentiamo provenire un urlo straziante dalla casa. Schizzi di sangue spruzzarono sulla finestra: la vecchia era stata uccisa. Ma da chi?

"SCAPPIAMO, JO!!" urlo, e lei non se lo fa ripetere due volte. Credo di non aver mai corso così forte.

"Dobbiamo andarcene di qui il più presto possibile. Capisci che potremmo morire anche noi, lo capisci?" quasi volessi incolpare la povera Joanna.

Sento bussare. Ma, con grande rammarico, il rumore non proviene dalla porta, bensì dalla botola. Senza pensarci due volte, prendo l'ascia che era appesa sopra il camino. La botola si sgretola, e da qui spuntano fuori quattro esseri mai visti in vita mia.

"Che razza di mostri sono mai questi??" penso io. Esseri dal viso glabro e completamente sfregiato. Senza naso, una bocca rinsecchita, occhi senza iride e pupilla: vi sono solo le cavità .

"SCAPPA, JO, SCAPPA!" urlo io, ma altri mostri due mostri erano comparsi precedentemente e la stavano quasi divorando. Mi faccio coraggio, e decido di colpirli violentemente con l'ascia. Joanna è salva, ma ha carne viva fuori ovunque, e brandelli della sua pelle sono sparsi in casa. Uno dei quattro mostri tenta di attaccarmi alle spalle, ma faccio appena in tempo a colpirlo ancora. Non è difficile uccidere (benché presumo siano già  morti) gli altri, poiché i loro movimenti sono parecchio rallentati.

Corro da Jo, pensando fosse tutto finito. Tento di abbracciarla, ma il pensiero di toccarla mi è riluttante, anche se mi sento tremendamente in colpa. Chiudo gli occhi, e la stringo a me. Non ho alcuna reazione. Come se fosse paralizzata, quasi morta, ma è ancora in piedi. Mi stacco dalla sua vita, e la guardo in volto. O almeno, di quello che rimane del suo candido viso: ormai si è trasformata anche lei in uno di quei mostri. È assolutamente orribile e spaventosa. Alza così velocemente le braccia, che quasi me ne accorgo solo quando le sue mani stringono fortissimo il mio collo. Non so da dove prenda quella forza così sovrumana, lei, così debole ed esile, ma mi solleva quasi come stesse sollevando una piuma. Le sue unghie sono così lunghe e insanguinate, e non si fa fatica a scorgere brandelli di carne sotto di esse. Vorrei reagire, potrei ucciderla, se volessi. Ma non voglio farle del male. Non a lei. Ma non voglio nemmeno sprecare la mia vita per qualcuna che non avrò mai più indietro. Le tiro un sentito calcio nelle costole. Il rumore di queste che si sgretolano è straziante. Mi chiedo come faccia a reggersi ancora in piedi. Non posso fare a meno di colpirle con l'ascia un braccio. Dopo aver accumulato tanti orrori, dopo l'ennesimo, vomito tutto il pranzo di oggi: il braccio è ancora vivo per qualche minuto, e si muove regolarmente. Quando tenta di afferrarmi ancora la gola, le taglio anche l'altro braccio. È completamente mutilata, eppure non sembra soffrire minimamente. Vive, vive ancora. E vuole uccidere.

Velocemente, si tuffa su di me. Mi strappa tutto il viso, quasi mi cava un occhio, ma riesco, in qualche modo, a girarmi: sono sopra di lei, è in mio potere. Comincio schiaffeggiandola, ma sembra non avere alcun effetto su di lei. Mi domina, mi colpisce con la testa ripetutamente, lasciandomi ferite anche gravi. L'ascia è di fianco a me. Con molta fatica, riesco ad afferrarne il manico e, con l'ultimo briciolo di forza che mi rimane, do un colpo secco al petto della povera Joanna.

Il suo viso si trasforma: è di nuovo umana. Peccato sia morta, è tornata di nuovo bella come prima, anche se sfregiata. Lascio cadere l'ascia ai miei piedi, in preda alla disperazione, mentre non riesco a distogliere lo sguardo da quello spettacolo riluttante.

Siamo partiti dall'Italia in due, e torno da solo. Come spiegare a tutti l'assenza di Joanna? Come spiegare anche le mie ferite? Invento un incidente, che ha ucciso Jo e ferito gravemente me: chi mi crederebbe?

La notte proprio non riesco a dormire. Quelle rare volte che ci riesco, un incubo repentinamente mi sveglia. Per un momento, provo una strana sensazione: ho freddo, pur essendo in piena estate, e ho il respiro mozzato. A tentoni, arrivo in bagno, in cerca di un medicinale, preso da uno scaffale munito di specchio. Apro l'anta, ma la mia attenzione cade sulla mia immagine riflessa sullo specchio: ho il viso deformato. Il viso uguale a quello di quei mostri.

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SantinoBlack Rosso-NHG

Fame Pokemon

Il 21 dicembre 2012… anno definito ’’ultimo’’ dai maya anno della fine del mondo… ci sono persone che ci credono altre no. Ci sono persone che ipotizzano persino come sarà , a che ora, come sarà  il tempo… li chiamano pazzi... ma io ci credo! Perché? Perché io ci sono stato! Salve, sono SantinoBlack, e vi spiegherò come sono morto. Erano le cinque e dieci del 20 dicembre 2012. Quella mattina mi ero svegliato prima. Mi affacciai alla finestra e vidi al termometro che c’erano -13° fuori, infatti era scesa moltissima neve. La cosa strana e che nel mio paese la temperatura più bassa è di -6°. Dopo essermi lavato e vestito pesante, presi il pullman e andai a scuola per l’ultima volta prima delle vacanze natalizie. Mi ero scordato di dire una cosa, questo mondo è popolato da creature con poteri straordinari, chiamati Pokemon! Io sono un allenatore, un ragazzo che allena i propri Pokemon per diventare il più forte di tutti. Arrivai a scuola e anche li vidi, dal termometro del pullman, che c’erano -13°. Arrivato in classe, dei compagni stavano parlando di alcune sparizioni misteriose. Avvicinandomi sentii che i ragazzi scomparsi erano sei. Finite le lezioni uscii di scuola e aspettai il pullman per ritornare a casa, quando iniziò a nevicare. Tutti iniziarono a giocare buttandosi palle di neve addosso. Alle quattordici e dieci vidi che il pullman non arrivava e informandomi scoprii che si era rotto il motore mentre veniva. La sfortuna non era finita li. Infatti, iniziò a nevicare fortemente generando una bufera di neve. Per mia gioia, un mio compagno aveva con se il suo fedele Infernape con cui ci scaldammo all’interno di un bar. Dal bar vedemmo una ragazza che chiedeva aiuto perché si era incastrata in una fossa e non poteva venire dentro perché era incastrata. Non la conoscevo. Era una ragazza con i capelli rossi e gli occhi scuri, con delle lentigini sul viso e una corporatura paffuta. Uscimmo ad aiutarla io e 3 miei amici. Nessuno dei quali aveva Pokemon di tipo fuoco o lotta per eliminare il ghiaccio. Arrivati a pochi metri dalla ragazza vedemmo che non era incastrata e ci fermammo tutti di colpo. La ragazza si girò verso di noi e ci guardò con aria di una che sperava in meglio. Gli chiedemmo se stava bene e lei non ci rispose. Dopo molte volte che glielo ripetemmo lei si girò di spalle e iniziò a gridare. Non era un suono di ragazza, non era nemmeno un suono umano, era infatti come una forchetto su un piatto. Due dei miei amici si avvicinarono a vedere che succedeva e li succedette una cosa che non scorderò mai nella vita: la ragazza si girò verso di noi e ci fisso intensamente con occhi da pazzo. Mi accorsi che non aveva più la faccia di prima. Era infatti deformata, viola, con gli occhi rossi e un sorriso pauroso. I miei amici impauriti indietreggiavano, ma la ragazza era già  davanti a loro! Si misero a correre ma lei era sempre un passo davanti a loro. Uno di loro caccio fuori i suoi Ariados e Galvantula ma la ragazza non dimostrava paura. Il ragazzo ordinò a i suoi Pokemon di usare millebave sulla ragazza per fermarla. Dopo averla imprigionata, la ragazza iniziò a ridere come in un film horror e senza sforzo distrusse la ragnatela portandosi a un passo dal ragazzo. Lo prese, lo baciò e.. puff! Erano scomparsi nel nulla! I presenti e io non credevamo ai nostri occhi. Erano scomparsi nel nulla proprio davanti a noi. Anche i suoi Pokemon non c’erano più. Erano tutti scomparsi! Impauriti, io e i miei amici scappammo nel bar e dopo aver raccontato la storia uscimmo tutti per cercare il mio amico e la ragazza. Io con il mio amico che aveva Infernape ci dirigemmo in una radura in campagna. Cacciai fuori dalle poke ball i miei Espeon e Munchlax per aiutarmi nelle ricerche. Espeon e Munchlax erano con me da quando iniziai la carriera da allenatore. Senza più speranze la sera ritornai a casa con l’ultimo pullman della giornata. Il giorno dopo mi svegliai con un solo pensiero: la faccia della ragazza che ci fissava. Pensai e ripensai al suo volto, al cambiamento che fece. Da bella ragazza a obbrobrio. Ripensai al mio amico scomparso. Ma non poteva finire li. Dovevo fare qualcosa. Si, ma cosa? Lo dovevo cercare. All’ alba andai a prendere il primo pullman delle 6 e 30 e andai dove era accaduto il mistero. Nel viaggio pensai a quello che dicevano altri miei amici il giorno prima. Delle misteriose sparizioni di 8 ragazzi. Poteva essere la stessa cosa? Chi lo poteva dire? Sapevo solo che dovevo trovare il mio amico! Nevicava ancora quella mattina, ma non forte come il giorno prima. Arrivato in quel luogo iniziai la ricerca con i miei fidati Pokemon. Notai qualcosa che non avevo visto il giorno prima. Le telecamere di sicurezza del bar. Certo! Potevo controllare i video per capirci di più. La barista mi diede volentieri i video di sorveglianza del giorno prima. Arrivato nel punto dove il ragazzo e la ragazza scomparivano vidi a rallentatore una luce poco prima della scomparsa. Un fulmine? No. Non c’erano le condizioni atmosferiche adatte. Allora cosa? Andai in giro a cercare indizi. Per strada trovai solo ragazzi intenti a sfidarmi a una lotta. L’ultimo aveva con se un Kadabra. Kadabra per sfuggire al bodyslam di Munchlax usò teletrasporto. Ecco! Poteva essere che la ragazza avesse un Pokemon che usò teletrasporto per portarli via da li. Finita la lotta ritornai al punto di scomparsa e ordinai a Espeon di controllare se c’erano vie di teletrasporto con i suoi poteri psichici. Infatti le mie teorie erano esatte! C’era una via di teletrasporto aperto che passava di la! Ordinai a Espeon di seguire quella via usando teletrasporto e andai con lui. Arrivato in una grotta vidi uno spettacolo orripilante e da voltastomaco: c’era una montagnetta di corpi morti e maciullati uno sopra l’altro. Erano li da non molto tempo ma puzzavano moltissimo. Credo che erano all’incirca sette o otto corpi. A destra vidi che c’era un tappeto. Cosa ci faceva un tappeto in una grotta? Voltai lo sguardo a sinistra e vidi lui, il mio amico! Era legato e imbavagliato in un angolo che piangeva insieme al suo Ariados. Lo slegai e gli cacciai il fazzoletto che aveva in bocca. Mi disse che non dovevo stare li e che lei stava tornando, avete capito bene, la ragazza! Gli chiesi cos’era successo e lui mi disse che dopo essere arrivato li la ragazza lo aveva messo al muro e dopo averlo legato e imbavagliato gli fece guardare mentre divorava sotto occhi disgustati e inorriditi il suo Galvantula. Mentre stava raccontando, sentii che la temperatura era scesa e faceva molto freddo. Voltai lo sguardo e vidi lei, la ragazza! Si avvicinò e iniziò a ridere in modo divertito. Appena ebbe finito non ebbi tempo nemmeno di girare il collo che aveva già  ripreso il mio amico! La pregai di non fargli del male, ma lei non rispose fece solo un gesto: si lecco le labbra. Lui si era già  messo a piangere, e anche io avevo capito. Se lo voleva mangiare! Vidi che Espeon era molto nervoso, anche lui aveva capito. Gli ordinai subito di usare psiconda che colpì in pieno la ragazza mettendola a terra. Il mio amico intanto era svenuto. Espeon si mise a miagolare ferocemente facendomi capire che eravamo ancora in pericolo. La ragazza rialzandosi si era fatta tutta nera. Mi guardò con quegli occhi rossi come il sangue e iniziò a ridere. Appena finì si strappo la maglia e da li capì tutto. Il freddo, il teletrasporto, la voglia di cibo. Era una Gengar! Cacciandosi di dosso il suo travestimento da umano iniziò a usare ombrartigli su Espeon mandandolo KO. Mandai in battaglia Munchlax facendogli usare la mossa surf. Gengar venne colpito in pieno dall’ attacco ma non demorse, infatti usò gigaimpatto su Munchlax colpendolo solo di lato. Munchlax era a terra stremato, ma non si arrese. Si rialzò subito in piedi e mangiò la baccarancia che gli avevo dato. Con mia grande sorpresa, si evolse in uno Snorlax. Ordinai subito a Snorlax di usare un potentissimo attacco surf su Gengar. Ma il Pokemon ombra non si fece nemmeno un graffio. Con un ultimo gigaimpatto distrusse Snorlax. Iniziai a correre ma era inutile, infatti lo avevo sempre dietro. Ripensai a tutti, ai miei amici, in particolare quello che era svenuto vicino a me, alla mia famiglia, alla mia ragazza, ai miei Pokemon… e che oggi era il 21 dicembre 2012. Caso? Non lo so ancora. So solo che dopo che quel Gengar mi tocco… non fui più umano.

Ciao, mi chiamo SantinoBlack è questa era la storia di come sono morto!

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HyperSamurott

Il Richiamo di Satana

Salve, sono Hyper, un ragazzo appassionato di creepy e storie Horror.

Oggi, voglio raccontare una cosa che mi è capitata pochi giorni fa.

Come detto prima, adoro i racconti Horror e la mia storia comincia proprio da un racconto di questo genere.

Il libro, che ho finito di leggere solamente l’altro ieri, si chiama “ Il Richiamo di Satana†ed è stato scritto da un autore che non avevo mai sentito nominare prima d’ora: Fredrick Sarnesu.

Per motivi economici, non l’ho comprato in una famosa libreria ma in un piccolo negozietto vicino casa mia che aveva aperto da poco e che vendeva molti romanzi horror con il 50% di sconto, cosa che mi ha dato l’occasione di comprare quel libro con i miei pochi risparmi.

Incuriosito, ho cercato su internet una breve ricerca riguardo autore e sulle tecniche che usa per scrivere i racconti, cosa che faccio ogni volta che scopro un nuovo autore oppure ogni volta che leggo un nuovo libro (per paragonare le tecniche usate in altri libri dello stesso autore e vedere le differenze lessicali).

Stranamente, questa volta non ho trovato niente riguardante l'autore in questione, nemmeno su Wikipedia.

“Che strano ! Probabilmente sarà  un nuovo scrittore. “ ho pensato in quel momento, senza prestare molta attenzione ed iniziai a leggere la prefazione.

La prefazione era molto strana e recitava le seguenti parole “ Oh tu che stai leggendo il libro, abbandona ogni speranza di veder la Luce del Paradiso o la carne del Purgatorio. Dopo aver letto questo romanzo , sebbene tu sia ancora vivo, vedrai solo Ombre e fiamme dell’Inferno. Sarò il tuo peggiore Incubo ! Satana. “ .

“Wow, che originalità  ! La solita storiella del *censura* che gli scrittori si inventano per suggestionare i lettori. “ dissi , ad alta voce.

In quel momento ero convinto di sapere molto sulle creepy ed ero convinto che niente avrebbe mai potuto turbarmi ed continuai a leggere il libro.

Fino ad oggi non mi sono mai pentito seriamente di aver letto un romanzo di quel genere ma ora, desidero non aver mai speso quei 10 euro per quel libro.

Nonostante tutto, continuai a leggerlo senza preoccupazioni.

Dopo aver letto metà  del capitolo 6, precisamente la pagina 169, il racconto iniziò a farsi strano.

Sebbene fino ad allora si fosse parlato dell’Inferno, della vita dopo la morte e delle avventure inquietanti del protagonista, un certo Henk Skrimer, quella pagina deviava leggermente l’argomento.

Prima di tutto, le parole non erano scritte, come nelle altre pagine, con il colore nero e con il carattere Calibri ma era stato usato un rosso viso insieme ad un carattere chiamato Trebuchet MS .

C’era, proprio al centro della pagina, una frase che vi riporto :

“ Tu, essere ignobile che stai leggendo ciò , preparati ad essere risucchiato in un mondo pieno di fiamme, odio e distruzione. Preparati a vedere la morte con i tuoi occhi. Intanto, divertiti a leggere il resto del libro. Buona morte, hyper. “

Quella frase che recitava “Buona Morte hyper†mi aveva leggermente sconvolto.

E’ vero che era scritto in minuscolo e, probabilmente , potete pensare che io soffra di manie di egocentrismo ma vi assicuro che ciò che vi scrivo è tutto vero e che non ho mai provato una così grande paura in vita mia.

Dopo una settimana, arrivai finalmente al capitolo chiave : il Capitolo 20 .

La pagina più importante era la numero 666 ma, in un primo momento, non feci caso a questo stupido numero.

Appena voltai la pagina numero 665, trovai nuovamente la scritta rossa ma quella volta mi inquietò molto di più.

C’erano scritte le seguenti parole :†Se sei arrivato fin qui nonostante tutte le intimidazioni che tu abbia ricevuto vuol dire che hai davvero un gran fegato, caro Hyper. Mi presento: Io sono Satana, colui che ti tormenterà  fino al giorno della tua morte e che ruberà  la tua anima. Sicuramente, dopo aver finito di leggere ciò che ho da dirti, inizierai a spaventarti e a piangere come una femminuccia, senza aver il coraggio di concludere questo libro. Nel caso riuscissi a trovare dentro te il coraggio sovrumano che ti spingerà  a leggere le altre 66 pagine del libro, sappi che ci potremmo vedere presto. Nel frattempo, ti auguro degli incubi d’oro. Mieterò la tua ANIMA ! “

Devo ammettere che dopo aver letto questo, sono preoccupato seriamente e sono andato dal mio fidato amico Kiyon, compagno di scrittura e anche lui amante di storie creepy e Horror, per chiedergli un parere su ciò che avevo letto.

Gli telefonai dicendo che avevo una cosa importante da fargli vedere e, dopo solo dieci minuti, arrivò a casa mia e lo feci entrare in camera.

Appena gli mostrai le scritte rosse, lui inizio a sorridere per poi ridere a crepapelle.

Non appena finì, mi disse :†Hyper, sei davvero un *censura* ! Nonostante tu abbia quattordici anni, continui a credere a queste cazzate ? Tutte le creepy che hai letto non ti hanno insegnato niente? “

Ed io, leggermente adirato ed ansioso, gli risposi :†Idiota, secondo te non ho preso in considerazione anche questo che mi hai appena detto ? Se ti ho chiamato solo ora è perché ho notato questa cosa che si ripete molto frequentemente durante tutto il racconto e , sebbene nemmeno io voglia credere a queste cose, ho un brutto presentimento . Ti prego, dimmi cosa dovrei fare “ .

E lui, con un tono abbastanza serio, mi disse “ Secondo me devi concludere quel libro. Oramai hai letto circa 696 pagine e dovresti leggere le ultime 30 pagine, giusto per sapere come si conclude il libro. Ora, se non ti dispiace, vado a casa perché devo studiare molto. Ci sentiamo in questi giorni, ok ?! “

“Ok, farò come dici tu. Va bene, ci sentiamo prossimamente. Grazie, sei un vero amico ! “ gli risposi.

Appena lui ritornò a casa, ricominciai a leggere il libro e, dopo solo tre ore, conclusi quel dannato racconto.

La fine era molto strana : il personaggio, dopo aver incontrato Satana, viene squarciato dal Re degli Inferi . La frase finale mi lasciò molto perplesso : “ Complimenti, hai trovato il coraggio nel fondo del tuo cuore. Bene Hyper, hai superato di gran lunga tutte le mie aspettative. Ci vediamo stasera, ho una proposta da farti ! Satana. “

“Oramai, qualunque sia la proposta, sono pronto. Ti aspetto. Oh *censura*, sono già  le 23:30 ! Devo andare a dormire … Domani devo andare da Kiyon per raccontargli tutto ! “ dissi, ad alta voce.

Quando la sera mi addormentai, sognai un essere che, in un primo momento, non sono stato in grado di definire e che era circondato da teschi e scheletri. Non mi disse molto, solo :" Hyper... Presto ci incontreremo ed allora la tua vita avrà  termine. Attento a quel che fai !" . Dopo aver detto questo, lui scomparve nel nulla ed io mi svegliai di soprassalto.

La giornata trascorse tranquillamente e senza troppi intoppi o stranezze varie.

La sera di quello stesso giorno, andai da Kiyon per parlargli del mio strano sogno.

Come sospettavo, lui mi rise in faccia dicendo che mi ero lasciato suggestionare troppo dal racconto che avevo appena finito di leggere.

Scusandomi per il disagio, gli dissi che lo avrei aggiornato nei giorni seguenti ed uscii da casa sua.

Kiyon abitava in un condominio, molto grande e dispersivo.

Uscito dalla casa del mio amico, mi resi conto che era tutto scuro, poichè era sera tardi, e non riuscivo a trovare l'interruttore della luce.

A causa di ciò, fui obbligato a scendere le scale nell'oscurità .

Mentre scendevo, mi sentivo come osservato da qualche presenza spettrale, quasi come se colui che mi osservasse non fosse una persona ma un essere proveniente da un altro mondo o da un'altra dimensione.

A metà  scale, mi girai di soprassalto e vidi una strana ombra disumana poco distante da me.

In preda al panico più totale, iniziai a scendere le scale molto velocemente e, nel farlo, inciampai e rotolai giù per le scale.

Mi ripresi presto perchè vidi una specie di Scheletro correre verso di me e, per evitarlo, aprii la porta ed uscii velocemente.

La strada era illuminata da pochissimi lampioni perchè la maggior parte delle loro luci erano fulminate.

Continuai a correre senza sosta ma, stranamente, quando mi girai non vidi più nessun mostro che mi inseguiva.

Improvvisamente, mi sentii toccare la spalla destra.

Girai la testa e vidi una mano rugosa, rossa, con artigli al posto delle unghie e con una grande cicatrice a forma di S al centro.

Quando girai la mia testa nella sua direzione, vidi quello che sembrava essere il corpo di un ragazzo ma era completamente sfigurato e distrutto. Era molto più simile ad uno Zombie che ad una persona vivente e subito realizzai che colui che mi aveva inseguito per tutto quel tempo era che uno spaventoso morto vivente.

Appena vidi quell'essere in tutta la sua totalità , gridai dall'enorme paura e divenni bianco in volto.

Terrorizzato a morte, iniziai a correre senza badare a ciò che mi circondava infatti, dopo pochi metri andai a sbattere contro un palo e persi i sensi.

Dopo cinque ore, mi svegliai ed ero sul mio letto.

Mia madre mi disse che Kiyon, a causa di tutto quel baccano, era andato a vedere cosa fosse accaduto e , vedendomi disteso a terra, mi prese in braccio e mi portò fino a casa .

La notte dopo l'attacco del redivivo, ebbi un terribile incubo, il più strano della mia vita.

Mi trovavo in un luogo bizzarro, intorno a me c’erano solo fiamme, sangue e persone dilaniate che gridano per il dolore.

Dietro di me, c'era una persona che veniva triturata da Cerbero, il cane Infernale, e veniva macellata e triturata dalle fauci della belva, dalle quali fuoriuscivano bava e sangue.

La scena era una delle più raccapriccianti che abbia mai visto.

Dinanzi a me, c’era un essere strano. Aveva cicatrici su tutto il corpo, aveva delle ali scheletriche, una testa umana coperta da un teschio di un essere che non ho mai visto, probabilmente quella di un essere mitologico abitante quel luogo, dal quale fuoriuscivano solo i suoi denti appuntiti, le braccia erano tutte tagliate, piene di ferite e ,in esse, erano conficcati dei chiodi e delle lance. Le mani erano molto ruvide e rugose, le sue unghie erano lunghe e molto più simili ad artigli.

Ai suoi piedi c’era il corpo di un uomo, col torace aperto e con tutti gli organi posti all’esterno, che venivano divorati da quell’essere spietato.

Pulendosi la bocca con i capelli dell’uomo che si trovava steso sul terreno e assumendo un tono formale, mi disse : “ Salve Hyper. Sicuramente non sai dove sei finito ed io chi sono ma te lo spiego subito : Sei finito all’ Inferno ed io sono Satana ! Ora voglio proporti una cosa : visto che hai fegato e che non ti lasci intimorire facilmente, che ne diresti di diventare il mio sotto-ufficiale ? Ne riceveresti grandi guadagni e vantaggi... “ .

“ Hey , ma che *censura* stai dicendo, brutto *censura* ? Non abbandonerò mai la mia vita terrestre per poter vivere per sempre in questo luogo schifoso con te ! Devi essere sicuramente uscito fuori di senno. “ gli risposi, in modo arrogante.

“ Ok, io ti ho proposto quel che dovevo proporti e tu hai rifiutato. Ottimo, ciò significa che ti farò patire sofferenze sovrumane e che ti pentirai presto di aver rifiutato ciò che ti ho appena offerto . “ mi disse e, dopo aver ghignato malignamente, mi tranciò il torace e sparì nel nulla.

Dopo pochi minuti, mia madre mi svegliò per dirmi una cosa che, quel giorno, mi fece piangere non poco : Kiyon era stato trovato morto in camera sua.

Il suo corpo era sfigurato, pieno di graffi, tagli e cicatrici.

La mascella era rotta e la sua faccia era irriconoscibile. Tutto intorno, c’erano schizzi di sangue e pezzi di cervello spappolato. Stranamente, sulle sue coperte c’era una scritta che recitava “ 6-6-6, The Number of the Beast ! “. Il leggere quelle parole, mi spaventò moltissimo.

Senza salutare i genitori addolorati del mio ormai defunto amico, iniziai a correre verso casa mai a perdifiato.

Nel fare ciò, non prestai attenzione ai cartelli stradali e ai semafori vari e venni travolto da un camion .

Rimasi due settimane circa in uno squallido ospedale, dove mi era stato detto di aver perso entrambe le gambe.

In queste due settimane, ogni volta che andavo in bagno, vedevo nello specchio la scritta insanguinata “ 6-6-6 , The Number of the Beast “ e , subito dopo esser uscito dalla toilette, vedevo il riflesso di quella figura diabolica dal volto cattivo e insanguinato, che reggeva in mano la testa sfigurata e distrutta di Kiyon .

In questi giorni, non ho fatto altro che pensare alle cose che mi ha detto quel diavolo : “ Ti farò patire sofferenze sovrumane “ .

Oramai, vedo queste figure un mese circa e , ogni notte, sogno Satana che si diverte a torturare il mio ex migliore amico.

Sono certo che questo sia solo l’inizio e che presto mi torturerà  fino a spingermi al suicidio.

Ah, dimenticavo di dire una cosa: tutti quelli che leggono o che hanno letto il mio stesso libro, subiranno le mie stesse sofferenze e non potranno mai liberarsi da questa maledizione .

Tu, proprio tu che stai leggendo ciò, hai ricevuto questo libro da qualcuno o lo hai comprato su Ebay.

Ciò significa che sei l'attuale possessore del libro.

Questa che hai appena letto è la mia lettera di avvertimento. Prima di leggere questo romanzo, fai delle ricerche approfondite e non farti abbindolare come me: appena puoi, smetti di leggere.

Detto questo, Buona Morte. Ci vediamo all’Inferno !

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IkuraDance

L'eterna notte

Mei era stanca ed infreddolita, ma ormai era in viaggio e non poteva tornare indietro.

Era una notte piovosa ed una casa le parve davanti: una casa enorme, con le finestre sbarrate ed una recinzione intorno. Un cartello diceva <Questo luogo è tristemente famoso per gli eventi che in tempo lontano vi ebbero luogo.>. Non era il posto migliore per un ristoro, e preferì cercare un altro luogo per riposarsi.

Subito però la porta si aprì ed una voce acuta e flebile sussurrò <Entra... Ora>

Mei non capiva, pensava fosse uno scherzo... Ma la voce insistette <Non voglio aspettare, entra, su... dai!>. La ragazza, sconvolta, non poté fare a meno di entrare.

Dentro era buio. C'era un interruttore, ma la luce non si accendeva.

<Ora che sei venuto non ti lascio andare>.... Era di nuovo la vocina.

Mei cacciò un urlo, si agitò e iniziò ad ansimare: stava quasi per svenire.

<Perché non resti con me? Solo per una notte... Vedrai, ti piacerà ...> le chiese quella voce invisibile. Poi le afferrò un braccio e, piangendo, la supplicò <Ti prego... Resta con me... Solo per questa notte... Io... Sono molto sola... E... Voglio che tu giochi con me...>

Ora era tutto chiaro: una bimba che era stata lasciata a casa da sola dai genitori (non era un po' irresponsabile?!) e voleva qualcuno con cui giocare.

L'unica cosa paurosa lì era il buio più totale: così non poteva vedere la sua piccola amica...

La bimba l'accompagnò a sedere, in un salotto, che odorava di vecchio e stantio. Il divano era pieno di Rattata, che correvano da tutte le parti. Mei si spostò, ma la piccola non fu presa da terrore: prese tre di quelle bestiole, con mano svelta ed agile. Trascinò Mei di fretta e furia di fronte ad un grande tavolo: la bambina accese una candela, prese un coltello e cominciò a dedicasi a ciò che sembrava essere l'unica cosa che conoscesse: la tortura.

Scuoiò con il coltello il povero Pokemon, che si agitava guaendo. Poi gli tagliò le zampe e la coda, poi la testa, che divise in due. Mei, traumatizzata, non sapeva cosa fare.

Prese il secondo: lo stritolò con le piccole manine ossute, che si sporcavano di sangue, mentre le grida di dolore dell'animaletto si univano alle risate della bambina.

La piccola rideva di gusto, con un risolino inquietante.

Mei invece era sconvolta: come poteva una bambina di così tenera età  straziare in quel modo un essere vivente solo per divertimento?

Eccolo: la terza vittima. In un misto di gioco, agonia e terrore anche il terzo Rattata morì.

La bimba ancora rideva, e dopo un po' si calmò.

<Ora corri di sopra e cattura un esemplare di Shuppet!> le ordinò la bambina

<Io... Ma... Si...> balbettò Mei. Aveva paura di ciò che le sarebbe accaduto se non avesse obbedito alla sua sadica padroncina.

Con una candela si avviò per le stanze della casa: stanze ricoperte di cadaveri, di ossa ed interiora di Pokemon: vi erano persino teste di Rattata, Shuppet, Gothita e Banette, tutti decapitati, appesi alle pareti mediante coltelli, il tutto accompagnato da un tappeto di sangue.

Mei era shoccata di fronte a quello scenario: le sembrava una pazzia, un incubo. Ma lei era lì, e, all'alba sarebbe potuta fuggire da quella casa paranormale, abitata da un emerito demone.

Trovato lo Shuppet lo portò alla piccola che già  si stava dilettando a sbudellare un Banette.

La bimba le strappò dalle mani il Pokemon Spettro, che si agitava sopra il tavolo.

<Ora gli caverò gli occhi.> ammise con orgoglio.

Con un affilato uncino penetrò nelle cavità  del bulbo oculare del Pokemon, che piangendo di dolore, divenne cieco. Finito l'accurato lavoro, la bambina lo cacciò via, tirandogli un calcio.

La piccola osservò con attenzione gli occhi dello Shuppet, ma dopo poco li lanciò via, con aria di disgusto: <Sono orribili! Orribili occhi vitrei! Come mi potrò fare una collana se tutti gli occhi degli Shuppet sono così opachi e sgradevoli?!> si fermò e guardò Mei, prese la candela e la guardò in viso: i suoi piccoli occhi azzurri, dall'aria docile e maligna scrutavano quelli impauriti della ragazza, di un marrone chiaro.

Mei aveva già  capito le sue intenzioni.

<Perfetti... Li voglio! Metterò i tuoi occhi nella mia collana!> esultò con gioia la bimba.

<No! Tu uccidi creature innocenti, ma non ti darò i miei occhi come se fossero un tuo giocattolo!>. Mei aveva perso la pazienza e cercava di mettere in riga la piccola assassina.

La bambina ammutolì per un minuto, come se fosse la prima volta che qualcuno le negava di fare ciò che voleva.

<Allora facciamo così: giochiamo a nascondino. Tu ti nascondi ed io ti cerco. Se ti trovo userò i tuoi occhi per la mia collana, se vinci tu ti lascio andare, va bene?>.

La proposta della bimba era assai rischiosa, ma non c'era altra scelta, se non quella di farsi cavare gli occhi direttamente. Lei accettò, con rassegnazione.

La bimba iniziò a contare. Mei corse più in fretta che poteva su per le scale. L'ansia la stava divorando: era sudata dalla fatica della corsa, impaurita dall'orripilante scenario che la circondava ma anche curiosa di sapere di più su quell'essere mostruoso e docile che la perseguitava.

Scelse come nascondiglio un vecchio armadio di legno, pieno di ragnatele e polvere, in una stanza da letto.

Dentro quell'armadio vi erano vecchie fotografie, di quelle in bianco e nero.

Mei ne osservò una che raffigurava un uomo ed una donna, con eleganti vestiti ottocenteschi, e fra i due una bambina dai capelli biondi, gli occhi azzurri e un dolce sorriso.

Quei visi erano tranquillizzanti, quasi volessero farle capire quanto dolce può essere la morte... Mei si addormentò per molto, molto tempo, senza ricordare più l'incubo che stava vivendo...

Nel frattempo un'ombra piccola e terrificante esclamò <Trovata!>.

Era ormai l'alba.

La ragazza si svegliò su un letto, un letto sporco e polveroso. Si alzò e si guardò allo specchio, ma non si vide. Si guardò le mani e i piedi, che ora erano quasi trasparenti. Non sentiva più il suo corpo, che ancora dormiva nell'armadio. Era morta. Ormai era solo un fantasma. Nessuno avrebbe più potuto raggiungerla.

Una bimba, dai capelli biondi, la pelle chiara macchiata di sangue e dai piccoli occhi azzurri emerse dal buio più totale: aveva un coltello tra le mani.

Si avvicinò allo spirito confuso e straziato della defunta ragazza e, con un sorriso inquietante le disse <Ora... potremo giocare insieme per sempre...>.

Credo sia abbastanza creepy...

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Guest i am a crazy people

SQUALIFICATO.

tenebre nella notte

Era atroce, e al tempo stesso sublime, ammirare l'infernale paradiso inscenato dall'autunno al di là  del vetro un po' sporco. Martino fissava, immobile, nel silenzio senza fine che stagnava nella sua stanza, seduto davanti alla finestra. E pensava. In fondo non gli restava altro, da fare, e pensare gli procurava un misto di angoscia ed esaltazione. Le foglie secche frustate dal vento planavano come grigi pipistrelli ubriachi, cozzando le une contro le altre nell'imboccare improvvisi mulinelli d'aria. Il cielo era di un meraviglioso color cenere, verso ovest, una cenere sotto la quale andava morendo una brace sanguigna e tremolante. Spostando lo sguardo verso est, gradualmente, si poteva contemplare invece l'ineluttabile, strisciante avanzare della notte, pronta già  ad inghiottire il mondo. Le luci accese, nelle case, erano minuscoli rettangoli intrisi di una serenità  struggente, brillanti focolai di redenzione, di pace, di calore... Martino aveva solo la candela, con la sua fiammella malata che saettava e si dimenava, scossa da convulsioni ardenti. Per il resto, la casa era preda dell'ombra, come sempre. L'ombra che impregnava le pareti, che si respirava, che stringeva il cuore. L'ombra di sua madre, persa in qualche stanza. L'ombra della sedia a rotelle, dalla quale Martino non si sarebbe alzato più. Fuori, intanto, i primi fantasmi presero a sfrecciare, in lontananza, come usciti da un sogno ad occhi aperti. E c'erano anche scheletri, streghe, smunti cadaveri ambulanti dalle braccia tese ed il passo incerto. A piccoli gruppi, comparivano e sparivano fra viuzze e cortili, e di quando in quando si fermavano a suonare ad una porta in attesa di ricevere qualche golosità . Martino avrebbe dato chissà  cosa, almeno in passato, per essere con loro, per essere uno di loro. A raccogliere caramelle, o cioccolata, o canditi, per poi ritornarsene a casa ed assaporare l'euforia che segue la fruttuosa scorribanda della vigilia di Ognissanti. Ma lui non si era mai travestito, né truccato da mostro; né mai del resto lo avevano invitato, o cercato... Sua madre non glielo avrebbe permesso, comunque. Sua madre... Entrò nella stanza proprio nel momento in cui stava pensando a lei. Martino rimase immobile ascoltando il cigolio della porta, alle sue spalle, che si apriva piano per poi richiudersi con quello scatto pigro che avrebbe saputo riconoscere fra mille. I passi leggeri, un po' strascicati, attraversarono la penombra polverosa, stantia, per avvicinarsi a lui, accanto alla finestra. La donna non disse una parola. Solo, posò una mano sulla spalla del figlio e rimase imbambolata a contemplare l'agonia del giorno rifulgere oltre il proprio volto riflesso nel vetro. Che occhi terribili, aveva... Martino aveva sempre pensato che quelli fossero gli occhi più cattivi del mondo. Ma con il trascorrere degli anni aveva capito che erano solo occhi dolenti, lontani. Il suo era lo sguardo di una persona estranea, di una persona sbagliata. Era malata, nella testa. Come lui lo era nel corpo. E l'esistenza di entrambi era da sempre stata un sonnolento stillicidio di ansie, di solitudini, e soprattutto di silenzi. Sua madre... Non aveva mai accettato l'aiuto di nessuno. sarebbe stato un affronto. Si bastavano a vicenda, loro due. Nella sua testa ovattata di disperazione non c'era mai stato spazio per altro che per sé stessa e per il povero figlio incapace da tenere sempre accanto, sempre protetto, sempre prigioniero. Tutto per amore, naturalmente. Povera mamma... Uno stormo di risatine stridule, infantili, si levò da qualche parte, veleggiando nel vento tiepido. La fiamma della candela si contorse, piegandosi sotto il gravame di pensieri di cui la stanza di Martino era ormai satura. Era l'ultima sera di ottobre. Ed anche la prima di una nuova vita, per lui. Era stato più facile del previsto, tutto sommato. Temeva che sua madre non lo avrebbe accontentato. Invece, tra lacrime e sospiri e preghiere biascicate ad invocare il perdono di chissà  quale dio nascosto fra le pieghe della sua misera mente, aveva fatto tutto quanto lui le aveva chiesto. "Vedrai, mamma", le aveva detto. "Mi darai la soddisfazione più grande del mondo. E tutti quelli là  fuori, tutti quelli che ci vogliono male, non rideranno più di noi..." E così il giorno si era accartocciato, a poco a poco, su sé stesso, come una pagina ricoperta di folli scarabocchi rossi accanto al fuoco. Piano, ora dopo ora, le ombre si erano insinuate, timorose, all'interno della casa, a contemplare l'opera di madre e figlio, entrambi smarriti senza speranza tra le ragnatele di un lamentoso silenzio. Ti ringrazio, mamma, pensò Martino. Era una strana rivincita, quella, nei confronti di tutti gli amici che non aveva mai avuto, nei confronti di una vita che non aveva proprio più senso, se mai ne aveva avuto uno. Forse le ombre che gozzovigliavano senza rispetto nel cervello di sua madre avevano contagiato pure lui, col tempo. Non ci sarebbe stato da meravigliarsene. E del resto, non gli importava affatto. Sentiva che era stata una scelta giusta. I piccoli mostri arrivarono schiamazzando in un gruppetto sparuto; ma non appena si trovarono sotto la casa di Martino d'istinto abbassarono la voce, scrutando la porta d'ingresso con occhietti cerchiati di nero o infossati dietro mascheroni di cartapesta. Martino sapeva che avrebbero voluto suonare il campanello, ma erano combattuti dalla paura. Paura di sua madre. L'avevano sempre chiamata "la matta", senza mezzi termini. Ma lui aveva smesso di prendersela per quello. Probabilmente si sarebbe comportato allo stesso modo, se fosse stato uno di loro. Però non lo era mai stato, uno di loro, né mai lo sarebbe diventato. Non c'era più modo di tornare indietro. Ora lui si trovava, e per sempre, dalla parte della notte. Osservò quei ragazzini con disprezzo, stemperato appena da una punta di compassione. Sua madre si ritirò nell'ombra, muta, un istante prima che i mostriciattoli sollevassero gli sguardi verso quella finestra. Martino la sentì portarsi le mani al volto, sforzandosi per soffocare i singulti. Non ti preoccupare, mamma, avrebbe voluto dirle. Io sto bene, adesso. Non sono mai stato più felice di così. Ma non poteva ormai più dire una parola. I piedi di sua madre urtarono, indietreggiando, il grosso cucchiaio lordo che giaceva sul pavimento, semicoperto dalla poltiglia rossa e grigiastra sparsa sulla polvere. Il rumore, viscido e metallico, rimbalzò da una parete all'altra, come il rintocco di un campanaccio arrugginito. Anche la seghetta, persa nel buio, non doveva essere lontana. Non ti preoccupare, mamma. Ho voluto io che tu lo facessi. E te ne sono grato. E quando i ragazzini lo videro, finalmente, cominciarono ad urlare. La fiammella, dentro la testa svuotata di Martino, si dimenò all'improvviso, quasi gli strilli l'avessero raggiunta dalla strada. Attraverso le orbite cave la luce ondeggiò ancora un poco, generando due flebili fasci inquieti lanciati a scandagliare la notte. Martino si sentì scuotere da un brivido di esultanza. Sua madre, adesso, rideva e piangeva. Presto sarebbe arrivata gente, certo, ed avrebbero portato via entrambi. Non importava. Martino sarebbe rimasto comunque in quella casa, per sempre, inevitabilmente. Nelle coscienze di quei ragazzini in fuga lui era ormai entrato a forza come il più terribile degli incubi, quelli che non si possono dimenticare. La sua immagine, seduta a quella finestra, il cranio scoperchiato e la candela accesa immersa nella testa scavata come una zucca, con la sua pazzesca luce a baluginare là  dove avrebbero dovuto esserci gli occhi, non si sarebbe mai più cancellata dalle loro anime. Sua madre era stata perfetta. mai avrebbe avuto occasione di compiere un gesto più grandioso, memorabile e pietoso in tutta la sua esistenza. Qualunque cosa le fosse accaduta, poi, non avrebbe avuto alcun significato. Alcune foglie morte, simili a mani tronche ed avvizzite, schiaffeggiarono il vetro, quasi a voler scacciare quella follia annidata nella stanza, affacciata malignamente alla finestra. E Martino seppe di appartenere già  alla notte, a quella notte, spauracchio eterno e maledetto, per sempre vivente, fulgido e tremendo. Tre, quattro, cinque porte si spalancarono lungo la via, e persone dall'aria confusa ed allarmata risposero agli strilli dei bambini. Tutti guardarono in direzione della "casa dei matti", come era conosciuta, e presero ad avvicinarsi correndo, pronti ad invitare l'Orrore ad avvelenare per tutta la vita i loro sogni.

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ma dai veramente lo inventata io

Guarda, evita di prenderti gioco dei moderatori in questo modo. Gli errori grammaticali nella tua risposta dimostrano che quel testo non lo hai scritto tu, imacrazypeople. Oppure ti dovrei chiamare Giovi?

In ogni caso, lasciamo perdere. Questo è il topic del contest, rispondi nella discussione sulle domande, non qui.

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Kyo

Sara.

Si chiamava Sara. Era una bambina di 9 anni appena. Vedeva le anime dei morti, fin da quando era piccola. Anime che le volevano fare del male.

Andò da psicologi. Prese farmaci su farmaci. La credevano pazza...

"Mamma... Io, non sto mentendo."

"Bambina mia. Lo so, lo so." mentiva la madre con gli occhi lucidi di dolore e disperazione.

Era una di quelle tipiche, grigie, fredde giornate d'autunno. Il vento fischiava e batteva ai vetri delle finestre incessantemente producendo un suono ritmico e prolungato. Le strade erano deserte e migliaia di foglie di tutti i colori, ormai morte, ondeggiavano leggiadre per la lunga strada rettilinea piena di vecchie automobili sporche, parcheggiate lungo il viale.

C'era solo una persona fuori casa in quella ventosa giornata domenicale di metà  ottobre. Una bambina con uno spesso giubbotto di piume e una berretta rosa di lana, magra come la morte e capelli lunghi e neri. Sara, la bambina che tutto il vicinato credeva figlia del diavolo.

Giochicchiava da sola, in ginocchio, in mezzo alla strada, con le foglie. E parlava, parlava da sola, come se vicino a lei ci fosse stato qualcuno che la stava ascoltando. Aveva lo sguardo perso nel vuoto.

"Sara torna dentro. Fa freddo fuori!" disse la madre seccata.

La bimba senza dire niente entrò in casa ma all'uscio si girò di scatto e spaventata scattò dentro e sbattè la porta.

Durante la cena, Sara non toccò cibo con conseguente richiamo della madre che la fece andare a letto per punizione.

Erano le 21.34 quando la bambina si addormentò, tutta sudata. Incubi le pervasero la mente. Fantasmi che la inseguivano lamentosi, demoni che la guardavano da lontano. Cosa poteva fare una bambina di 9 anni contro questo? Era completamente impotente. Sì svegliò di colpo in una specie di ipnosi. Era come sonnambula, ma era sveglia e cosciente. Aveva le mani insanguinate e un coltello da cucina sul letto che aveva macchiato di rosso le coperte.

"Mamma, papà ! Mamma!" si mise ad urlare con voce tremolante. Silenzio.

Ancora: "Mamma, mamma, papà ! Dove siete?!". Ancora silenzio.

Stava per rannicchiarsi nel letto con gli occhi chiusi quando sentì dei passi affrettarsi verso la sua camera. Con le lacrime agli occhi per la gioia e la sensazione di sicurezza che stava iniziando a provare si precipitò alla porta della camera e l'aprì. Davanti a lei i fantasmi decomposti dei suoi genitori con appresso i loro cadaveri distesi per terra senza vita. Li aveva uccisi, era stata lei.

I due ectoplasmi aprirono la bocca che si spalancò enormemente mostrando dei lunghi denti appuntiti con la faccia e il corpo ormai deformati dei due amati. Si avventarono contro la bambina senza esitazione come per essere ripagati da tutti gli anni di sofferenza che li aveva fatto passare.. Un urlo. Silenzio.

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IcyFlame

Lo specchio

Sono una grande appassionata di antiquariato, possiedo antichi orologi, cassettiere risalenti al seicento, mappe d'epoca e mobili di regni antichi nel tempo. Mi sono portata via un sacco di quattrini. Certo, oramai che ho diciassette anni posso fare quello che voglio, e ne sono soddisfatta: questi oggetti mi hanno sempre affascinato!

Passeggiando per i vicoli della città , notai uno strano negozio di antiquariato. Non l’avevo mai notato prima, e ci entrai speranzosa di trovare qualcosa di nuovo, per arricchire la mia già  grande collezione. Entrando, notai che gli oggetti posseduti dall’attività  erano pochi: un paio di armadi, tre scrittoi e qualche strano piccolo tavolino. Al banco non c’era nessuno, e quindi mi arrangiai da sola cercando qualcosa che non avessi. Con mia grande sorpresa notai un quadro della dinastia cinese Qing, di una rarità , pochissime persone potevano vantare di avere un esemplare del genere. All’improvviso sentii una voce provenire dalla schiena:

-Lo desidera?

Mi girai di scatto, stupita. Il venditore era improvvisamente comparso, spaventandomi. Era una persona anziana, sulla settantina, bassa e con i capelli bianchi. Sembrava affidabile, ma aveva qualcosa di strano, qualcosa che però non riuscii a individuare a primo sguardo.

-Sì, lo vorrei- disse con voce tremolante, come se quell’uomo m’intimidisse.

-Bene, ma questo pezzo costa 356,99 euro. Ha questi soldi?

Cercai nella mia borsa i soldi che mi aveva chiesto il vecchio, ma non li trovai. Quello che mi era rimasto corrispondeva a venti miseri euro.

-Questo è tutto quello che ho- dissi, amareggiata

-Oh, venti euro. Se vuole posso darle questo-

M’indicò una ribaltina compresa di specchio. Essendo esperta di antiquariato capii subito a quale epoca era appartenuta.

-Epoca vittoriana. Come mai la vendete a un prezzo così basso?- chiesi, quasi sapendo che non avrei dovuto comprarlo.

-Nessuno lo vuole. E’ stata svalutato- Nella voce del vecchio c’era qualcosa di terrificante, come la sua figura in generale.

Girando la testa vidi un bagno e una stanza che sembrava una camera da letto, dove vidi un’altra persona. Era sul piccolo letto e rivolgeva la testa con gli occhi chiusi alla stanza dov’eravamo noi, ed era uguale a colui che voleva vendermi lo specchio. Si stava agitando.

-E’ il mio gemello- rise –Sta dormendo, forse fa brutti sogni. Sta tranquillo- disse rivolgendosi a lui- Prenderanno la ribaltina.

In quel momento, non so perché, decisi che dovevo acquistare quella ribaltina.

-La prendo- dissi –Eccovi i soldi.

Misi il nuovo oggetto in cucina, in attesa di una sistemazione definitiva, vicino alla gabbietta del mio cricetino, Cricket. Ogni volta che acquistavo qualcosa la mettevo lì per iniziare, quindi credo che anche lui s’intendesse un po’ d’antiquariato, dicevo ai miei amici, per divertirmi.

Iniziai a specchiarmi mentre costatavo meglio la situazione della ribaltina, era in perfetta forma. Cricket mi vedeva osservare lo specchio, ma non riusciva a capire cos’era.

-Vuoi specchiarti anche tu?- risi –Domani potrai ammirarti in tutta la tua bellezza! Ora, buonanotte!

Spensi le luci e chiusi la porta, forse anche timorosa che qualcosa potesse uscire dalla cucina, e andai a letto. I sogni non mi turbarono per niente, nonostante gli strani eventi del pomeriggio.

La mattina trovai la casa sottosopra. La maggior parte dei mobili d’antiquariato era lievemente danneggiata da graffi. La cucina era la stanza messa peggio. Una sedia era stata ribaltata, gli sportelli dei mobili erano aperti, così come alcune scatole di biscotti. Alcuni di questi erano caduti a terra e sembravano calpestati.

Poi guardai Cricket e la ribaltina. Erano intatti. Sulle prime pensai all’incursione di un ladro che non aveva trovato qualcosa da portar via. Feci specchiare il cricetino. Passai la mattina a girare per le strade e per chiedere delle informazioni a quello strano vecchio, ma il negozio era chiuso. Tornata a casa, cominciai a mettere a posto il tutto e feci specchiare Finii verso le sei, mi riposai un po’ e dopo aver mangiato mi coricai.

Mi svegliai. Erano le due di notte, secondo la mia sveglia. Accesi la luce nella mia camera mentre sentivo dei rumori provenire dal soggiorno. Passi e una strana, piccola voce sibilante. Presi una diamonica e un flauto –quello che avevo a portata di mano per picchiare- e aprii la porta per accedere al corridoio, che terminava con un’altra porta, che mi avrebbe portato al soggiorno. Mi ricordai poi che avevo un pezzo di vetro nella camera degli ospiti, e mi recai a prenderlo. La porta del corridoio si aprì facendo un rumore assurdo e spaventandomi a morte. D’istinto mi nascosi sotto il letto, e sbirciai alla porta, vedendo una copia di me stessa.

-Come sono nata, ti chiedi. Pensa allo specchio, lo specchio maledetto. Pensa ai due vecchi che avevo incontrato nel negozio. -

-Vuoi giocare a nascondino?- disse una voce come la mia, ma più grave e spaventosa. –Oh, dai. Chi vince farà  quello che vorrà , ok? Via!-

Ovviamente iniziò a giocare senza che io potessi concederle il permesso. (Premesso che non volevo darglielo)

Rimasi lì sotto per un tempo indefinito, poi decisi di muovermi. Facendo piccoli passi mi allontanai dalla camera.

-Ciao.- fece la voce.

Terrorizzata, corsi via verso la porta del corridoio, che si chiuse prima che potessi attraversarla.

-Oh, non avevamo fatto un accordo?-

-NO!- urlai.

-Sarò gentile. Dieci secondi per andare via. Poi si vedrà .

Non me lo feci ripetere due volte, e corsi nel soggiorno, dove la luce non si accendeva.

Sentivo la presenza che contava nella mia mente.

Uno, due…

Non mi fermai a cercare di accendere la luce e mi diressi verso la sala pranzo, dove impugnai un coltello.

…tre, quattro, cinque…

Dirigendomi verso la porta, mi ricordai di Cricket. Corsi velocemente verso la cucina.

…sei, sette, otto…

Lo presi e arrivai verso la porta, convinta di vincere contro la mia parte cattiva.

Nove, dieci. Stop.

La figura mi si parò davanti mentre aprivo la porta con il coltello in mano. Non riuscii a colpirla, e poi non vidi più niente.

Ogni giorno mi ritrovo in cucina, improvvisata come camera da letto. Poi c’è il soggiorno e il bagno. Il resto della casa è stato murato e questo è diventato un negozio di antiquariato. Alcune persone arrivano e comprano qualcosa. Appena adocchiano la ribaltina, mi divincolo nella camera da letto per avvertirli, ma non se ne accorgono. Per fortuna nessuno l’ha ancora acquistata, e questo mi rassicura nonostante la notte arrivi Lei e mi dica: Sta tranquilla: prenderanno la ribaltina.

N.B. No, giusto per precisare: io sono un maschio e non una femmina. Perchè la protagonista è una femmina e parlo in prima persona.

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by secsi @Combo 

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Marko99

Sangue avvelenato

Non pensavo potesse finire così. Qualcosa di malefico e macabro aveva scoperto il nostro mondo, ed era pronto a conquistarlo. Come può un incubo tramutarsi in realtà ? Come? Come si può lottare contro il terrore mentre i tuoi cari vengono investiti dall'onda mortale che si estendeva in quel posto? Come? Non avrei mai dovuto pensare a quell'escursione. Poteva essere divertente, ma il destino avverso mi diede torto e per punire

la mia indulgenza spazzò via tutte le mie speranze, che fecero spazio al terrore, il quale pervase il mio corpo quasi quanto il mio stesso sangue... sangue avvelenato.

Era un'estate tranquilla e soleggiata. Una stagione che meritava di essere goduta a pieno! Volevo fare qualcosa di davvero unico e inimitabile, qualcosa che avesse segnato la mia esistenza, l'esistenza di Oliver. Sì, mi chiamo così. Sono un ragazzo di quattordic'anni, solare e forse un po' troppo vivace.

Navigando su Internet vidi tantissime inserzioni riguardanti vacanze estive o comunque viaggi di questo genere, e osservandole mi colpì un annuncio in particolare:

Vieni a divertirti con noi! Sole, alberi, torte, altalene, nuvole e tanto altro ancora!

Sarà  una vacanza indimenticabile,

da TUTTI i punti di vista...

La fotografia ritraeva un edificio enorme circondato da una folta vegetazione rigogliosa, il tutto avvolto da una nebbia che faceva trasparire i fievoli raggi del sole illuminando l'intero complesso. Quella descrizione, anche se completamente senza senso, mi incuriosì a tal punto da spingermi a chiedere ai miei se potessimo passare qualche giorno in quell'albergo. Era come se non dipendesse dalla mia volontà .

All'inizio un po' titubanti, i miei genitori si convinsero a partire e colsi l'occasione per invitare anche due miei amici: Stuart e Annie, due fratelli che per una cosa o per l'altra, suscitavano in me la risata. Ammetto che per convincere i genitori dei due, i miei dovettero faticare davvero molto, ma alla fine la decisione era stata presa: si parte!

Il giorno dopo, alle 9.00 precise, scesi le scale in fretta e furia, aprii con violenza la porta del palazzo e mi imbattei in Stuart e Annie, che ci stavano aspettando fuori l'edificio con tanto di bagagli e viveri.

"Che precisione!" - esclamò Annie - "Eri impaziente, vero? L'ho notato dalla violenza con cui sei uscito di casa!"

"Sì, devo dire che non aspettavo altro!" - dissi - "Un bel viaggio con famiglia e amici, cosa c'è di più bello!?"

Naturalmente ero ancora inconsapevole di cosa sarebbe accaduto, qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la mia vita, e in particolar modo quelle delle persone che mi accompagnavano.

"Dai, sbrighiamoci!" - esclamò Stuart - "L'estate non aspetta di certo noi!"

Dopo qualche minuto audimmo un rumore di passi provenire dall'atrio del palazzo: erano i miei genitori, che portavano con sé il necessario per sopravvivere. Entrammo nell'auto e frementi come bambini a cui si regala una caramella, cominciammo ad organizzare tutte le attività  che avremmo compiuto lì: non stavo più nella pelle!

Il viaggio durò circa un'ora e il paesaggio che si scorgeva fuori dai finestrini era sublime, qualcosa di davvero meraviglioso. Le nuvole giocavano a nascondino con le montagne e i forti raggi solari irradiavano il fiumiciattolo che scorreva sotto i nostri piedi. Quando arrivammo, il luogo non era certo come ce lo aspettavamo. L'edificio era stato scalato da numerose piante rampicanti. La vegetazione attorno, contrapponendosi con la stagione corrente, appariva trascurato, povero... morente. Un sentore, forse, di quello che stava per accadere? Beh, se fosse stato vero, sarebbe stato meglio notarlo e tornare subito a casa. Posteggiammo l'automobile nel parcheggio dell'hotel, anch'esso nudo e disfatto, e ci avviammo verso quello che sembrava essere l'ingresso dell'albergo. Per arrivarci attraversammo un orticello, anch'esso, come tutto il resto dell'ambiente circostante, avvizzito e arido. Giungemmo dinanzi al grande portone di vetro oscurato, ma non notando nessun campanello decisi di provare ad entrare senza bussare. Mossa non molto astuta. Afferrai la maniglia e cominciai a ruotarla in senso orario. Mentre mi accingevo a spingere cautamente la porta verso l'interno, questa mi venne bloccata da una forza molto più grande della mia. Abbandonai subito il contatto con la superficie della porta, la quale iniziò a cigolare terribilmente, aprendosi verso l'interno. Ad attenderci c'era un individuo di altezza media, dal cui abbigliamento si poteva dedurre che fosse il manutentore dell'albergo. Un po' spaesati, chiedemmo informazioni:

"Mi scusi," - domandammo al manutentore - "abbiamo prenotato un fine-settimana in questo albergo, vorremmo conoscere la locazione del nostro alloggio."

Schiarendosi un po' la voce, il giovane ragazzo replicò:

"Mi spiace, ma non sono io colui che si occupa di queste cose. Per quello, dovrete chiedere al signor Dooney"

"Chi?" - rispose mio padre inclinando di poco il capo, similmente a un cane che non ha compreso il comando - "Ehm, volevo dire, dove possiamo trovare costui?"

"In questo momento non posso soddisfare il vostro quesito..." Il ragazzo, mentre pronunciava queste parole, sembrava notevolmente turbato, alche la domanda mi venne spontanea:

"C'è qualcosa che non va, signor..." lasciai in sospeso la domanda, per far sì che ci dicesse il suo nome.

"Lucas, mi chiamo Lucas. Comunque: no, nulla, ho solo un po' d'emicrania..." E così dicendo si dileguò e scomparve in uno dei corridoi che si snodavano dall'atrio dell'ostello. C'era qualcosa che non andava nell'atteggiamento di quel giovane. Chiunque avrebbe notato che il ragazzo aveva un comportamento alquanto mesto e malinconico. Non ancora soddisfatti, vagammo senza meta nella penombra dell'albergo, che sembrava perlopiù deserto.

Vagammo per circa mezz'ora, ma senza risultati. Si respirava un'aria diversa lì dentro. Un'atmosfera pesante, ingombrante. Decidemmo di terminare il nostro giro e intenti ad abbandonare il luogo, venimmo sorpresi alle spalle da qualcuno:

"Benvenuti!" - urlò questo strano individuo - "E' da molto che non abbiamo clienti! Per questo motivo, verrete trattati da veri signori, quali siete ovviamente!"

Qualcosa mi diceva che costui fosse proprio il signor Dooney, che voleva adularci per non farci abbandonare l'albergo. Ma perché non approfittarne? Sarebbe stata una grande opportunità  per rilassarsi ed essere coccolati proprio come dei sultani.

"Oh! Che spavento!" - esclamò spaventata mia madre - "Ci ha fatto prendere un colpo! Salve, lei dev'essere il signor Dooney, non è forse così?"

"Non si sbaglia affatto, signora" - disse baciando la mano a mia madre - "Sono proprio io! Voi, invece, dovete essere i signori McMoon!"

"Non si sbaglia neppure lei, signore!" - rispose mio padre - "Cercavamo proprio lei! Vorremmo conoscere la nostra collocazione, se possibile."

"Ma certo!" - replicò con tono deciso Dooney - "Il vostro alloggio sarà  la nostra miglior suite: l'attico!" Pronunciando queste ultime parole, gli occhi dell'uomo cominciariono a brillare intensamente, a tal punto da abbagliare anche noi. Devo dire che neanche a noi dispiaceva come luogo di soggiorno, senz'altro un appartamento niente male!

"Bene, detto questo, vi saluto e vi auguro un buon soggiorno nel nostro albergo!" - concluse inchinandosi - "Godetevi a pieno questa vacanza, saranno momenti unici..." Lasciando la frase in sospeso, uscì dal nostro raggio di vista e anche noi decidemmo di andare a riposare dopo un lungo viaggio.

Prendemmo l'ascensore, un po' trasandato, come il resto dell'albergo. Arrivati al piano più alto dell'edificio, uscimmo dalla cabina mobile che sfociava direttamente nella nostra camera. Era una suite degna di un re, con decori dorati e oggetti preziosi sparsi ovunque! Un vero paradiso... che si sarebbe presto tramutato nel teatro di uno spettacolo terrificante e atroce, un satellite degli Inferi.

Stanchi morti (parola che sta a significare qualcosa di ben preciso) ci accasciammo sui nostri letti, addormentandoci quasi come fossimo defunti. Ripeto: l'utilizzo di questi termini inusuali non è casuale.

Durante la notte, qualcosa di gelido e agghiacciante, accarezzò piano la mia pelle. Un senso di terrore e malinconia pervase la mia mente, influenzando anche i miei sogni, tramutatisi oramai in incubi. Sognavo di risvegliarmi in un'enorme pozza di sangue, ritrovandomi con la parte inferiore del mio corpo mozzata violentemente, come fosse stata divorata da qualcuno o qualcosa. Mi svegliai di soprassalto, affannando pesantemente. Fortunatamente non c'era traccia di sangue intorno a me e le mie gambe erano al loro solito posto.

Purtroppo trascurai il fatto che che il sangue potesse fuoriuscire da qualunque parte del corpo. Mi alzai dal letto e mi diressi verso il bagno, dove avevo intenzione di lavarmi il viso per eliminare la sensazione di sonno che avevo ancora indosso. Appena mi ritrovai davanti allo specchio della camera da bagno, mi congelai. Un bruciore lancinante colpì il lato destro del mio volto. Una profonda ferita sanguinante stava iniziando ad aprirsi sulla mia guancia, le cui gocce rossastre cominciarono a segnare il mio viso per poi cadere velocemente nel lavandino, macchiandolo.

Cominciai a tremare tutto e uscii in fretta dal bagno per recarmi da mia madre, che si era appena svegliata. Convinto che potessi provare sollievo nel farmi confortare da lei, trovai qualcosa di riluttante e mostruoso. Non era più mia madre. Non era più una donna. Non era più umana. La trovai seduta sul ciglio del letto, con il capo abbassato.

"M-mamma?" - la chiamai tremolante, ancora scosso dallo spavento che avevo preso in bagno - "Tutto bene?"

"..."

"M-m-mamma? Ti prego rispondimi!"

"..."

"MAMMA!" - urlai - "Che ti succede? Perché non mi rispondi? Perché non ti volti?"

"..."

Preso da un attacco di panico, raggiunsi il lato della stanza dov'era seduta mia madre. Appena mi avvicinai, un'onda di agonìa travolse il mio corpo, facendomi scoppiare in lacrime.

"Mamma, alzati!" - le ordinai tremante - "Guarda cosa mi è successo! Perché non mi guardi negli occhi? Mi trovi ripugnante? Dillo!"

Un leggero ghigno malvagio si levò dalla bocca di mia madre, con un sorriso folle stampato sulle labbra. Per un attimo fu come se si fosse fermato il tempo. Mi ritrovai paralizzato, mentre il ghigno di quella creatura si espandeva nella stanza. Dopo quell'attimo, le mie speranze si volatilizzarono all'istante. Più nulla avrebbe potuto salvarmi dal triste fato che mi attendeva.

"Sai..." - cominciò ad esporre la creatura - "Quando sei nato pensavo che tu fossi la cosa più bella che potesse capitarmi. Era tanto che io e tuo padre ci provavamo. Finalmente eri nato. Finalmente. Ma questa vacanza mi ha aperto gli occhi!"

"Cosa?" - chiesi sorpreso a quella creatura che in quel momento sembrava fosse impersonata da mia madre - "Cosa vuoi dire con questo?"

"Questa vacanza mi ha insegnato che ci sono altri modi per sentirsi forti, ma davvero forti. Non come fare il genitore, che non ti appaga affatto. Questo sì, lo fa!"

"Ma cosa stai blaterando?" - dissi sconvolto a mia madre - "Vuol dire che di me non t'importa più niente?"

"Oh sì, che m'importa..." - rispose con tono sogghignoso - "M'importa perché tu... sarai il mio mezzo per diventare l'essere più potente che ci sia al mondo!"

Così dicendo, fece uscire dall'ocurità  della sua ombra il suo volto: non era più lei. Era come se fosse una maschera: aveva cuciture dappertutto e gli occhi incavati. Aveva macchie di sangue dappertutto, che avevano anche creato una pozzanghera sotto i suoi piedi. Non era sangue normale, però. Era sangue... scuro. Tenebroso. Avvelenato.

Con i suoi denti affilati mi azzannò al braccio, ma ebbi la prontezza di sfuggire alla sua morsa e salvarmelo. La ferita che mi aveva procurato era profonda e sanguinante, tanto che il braccio penzolava ancora attaccato all'omero, anch'esso fratturato profondamente. Cominciai a scappare per tutta la stanza, nascondendomi nei posti più impensati; ma quando credevo che avessi scampato al pericolo, anche Annie, Stuart e mio padre si svegliarono, e di certo non avevano una cera migliore di quella di mia madre.

L'intenzione era chiara: divorarmi a tutti i costi. La domanda che mi posi in fretta era: come evitare che ciò accadesse? Senza alcun particolar ragionamento, cominciai a correre verso l'ascensore, spingendo il bottone a più non posso. Grazie alla lentezza nei movimenti di quei "demoni infernali" (così li chiamai) l'ascensore riuscì a raggiungermi in tempo, ma una brutta sorpresa mi attendeva all'interno di quella cabina. Appena si aprirono le porte dell'ascensore, vidi qualcosa che avrei tanto voluto evitare. Il signor Dooney, ma non come lo conoscevamo noi, tozzo

e con la barbetta, ma prese le sembianze di un demone sanguinante anch'egli. Cominciarono ad avvicinarsi a me con la loro solita velocità , alche cominciai ad indietreggiare, quando incontrai sul mio retro qualcosa che ostacolò il mio cammino. Un bastone. Strano che si fossero dimenticati di un simile dettaglio. Comunque, colsi l'opportunità , e raccolsi il bastone di metallo che giaceva lì in terra. Cominciai ad intimidire gli avversari con il bastone, così da allontanarli ed evitare l'attacco diretto. Dopodiché sferrai un colpo al signor Dooney, o comunque quello che ne rimaneva, e dopo qualche fremito, si accasciò a terra ancora movente.

Mentre il primo demone colpito era a terra, decisi a malincuore di avventarmi contro i miei due amici, Stuart ed Annie, i quali cercarono con tutte le forze di strapparmi dalle mani il bastone e ci riuscirono perfettamente. Il paletto metallico mi scivolò dalle mani per poi finire ai piedi di mio padre, che ruppe l'ultima possibilità  di salvezza che mi era rimasta. Afferrò il bastone e lo curvò, rendendolo inutilizzabile. Lo gettò fuori dalla finestra. In preda al panico, cominciai a traballare, fino a che non mi accasciai a terra, privo di forze. Il braccio ormai era privo di vita. Abbandonandomi al mio destino, mi lasciai divorare dai demoni, i quali riuscirono a strapparmi sia il braccio pendente che la gamba sinistra. Ero in una pozza di sangue. Sapevo che la mia fine era vicina, troppo per poter contrattaccare in quel momento.

Tremavo e, in preda all'agonia e alla vista dei miei pezzi di carne che finivano in pasto a quei mostri, davo ogni tanto segno di vita con qualche singhiozzo. Non ce la facevo più. Volevo solo che finisse in fretta. Vedermi divorato dalle fauci dei miei cari era molto più crudele della morte stessa. Come potevo reagire di fronte ad una simile cattiveria? Come? Oramai mi ero abbandonato ai demoni, che mi avrebbero presto condotto nel regno della morte. Nel preciso momento in cui mia madre stava per strapparmi il cuore dal petto, entrò dalla cabina dell'ascensore Lucas, il manuntentore dell'albergo. Era munito di rastrello e badile e non esitò ad utilizzarli. Allontanò dal mio corpo le bestie feroci, che sembravano avere paura di quel giovane.

"Presto!" - mi disse il giovane dipendente - "Dobbiamo andarcene di qui! Forza, prima che ti usino come colazione!"

Tendendo i due utensili da giardino contro i mostri, trascinò il mio corpo privo di forza nell'ascensore, il quale ci portò nell'atrio. Legandomi al suo collo con le sole forze che mi erano rimaste, uscimmo ancora vivi dall'albergo. Non era certo finita lì. I mostri si catapultarono dall'attico e atterrarono poco dietro di noi. Lucas cominciò a correre più forte che potesse, mentre i mostri cominciarono ad inseguirci. Attraversammo l'orticello, che si riempì di sangue proveniente dalle mie ferite. Raggiungemmo il triciclo a motore di Lucas, il quale mi lanciò sull'autovettura per poi mettere in moto in fretta e furia e fuggire quanto prima. I mostri inseguirono il veicolo e uno di loro, Stuart probabilmente, saltò così lontano da raggiungerci e atterrare sul cofano dell'auto. Il suo peso, che era aumentato molto dopo la sua trasformazione,

rallentò di non poco la nostra corsa per la vita. A quel punto, Lucas si voltò verso il mostro e, scostando i folti capelli biondi, indicò un segno a forma di 6 rovesciato, che si illuminò non appena lo toccò. Il mostro, abbagliato da quel simbolo, si scaraventò giù dall'autovettura e ci liberò del peso. Eravamo salvi. I mostri erano spariti in seguito al bagliore provocato da Lucas.

"Grazie! Mi hai salvato la vita!" - dissi io - "Come potrò mai ripagarti?"

"Oh, beh..." - rispose arrossendo Lucas - "E' il mio lavoro. Non ho bisogno di nessun ringraziamento. Grazie a te invece!"

E così dicendo riprese a guidare, mentre io, spendendo le mie ultime forze per un sorriso, mi addormentai privo di energia.

Mi risvegliai in ospedale, notando come prima cosa il volto di Lucas che mi guardava preoccupato, e vedendomi sveglio fu pervaso da un gran sorriso. Era andato tutto bene, ma mai nulla sarebbe stato come prima. Durante il mio sonno, venni operato e mi vennero definitivamente chiuse le ferite procuratemi dai demoni infernali. Cosa ne sarebbe stato di me? Ero ormai orfano e solo.

Dopo una settimana di ricovero per accertamenti, venni accompagnato a casa sulla sedia a rotelle. La mia vita era completamente mutata. Quella casa sarebbe stata deserta. Guardando i posti in cui i miei genitori erano soliti trascorrere le loro giornate mi scesero delle lacrime amare, che bagnarono il mio viso nostalgico. Non avrei mai più potuto girare per quella casa senza pensare a quella orrbile vicenda. Perché a me?

Andai a letto e pensando a quello che era successo, mi addormentai nella tarda mattinata, facendomi accompagnare dagli incubi ritraenti i miei genitori, i quali non mi avrebbero mai più abbandonato.

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Vulpah

...Papà ?

Sono sempre stato scettico nei confronti dei miti e delle credenze popolari; sotto i miei occhi parevano solo una futile giustificazione che si poneva l’uomo per trovare una spiegazione ai fenomeni bizzarri che lo circondavano ogni giorno. Nonostante ciò, ero un grande cultore della festa di Halloween; era l’unica occasione in cui –almeno una volta l’anno- potevo venerare i miei cari come se fossero santi, e omaggiarli con futili regali che sarebbero serviti loro per intraprendere con tranquillità  la loro vita all’aldilà . Ma ormai, le nuove generazioni, al giorno d’oggi, avevano totalmente dimenticato il vero significato di questa festa, adesso diventata semplicemente un’occasione per rimpinzarsi di dolci fino a star male. Solo un’unica tradizione non era andata perduta: era la consuetudine di intagliare una zucca ed inserirci un piccolo lumino all’interno per scongiurare lo spirito della vigilia di Ognissanti, evitando così che rubasse le anime dei vivi. La mia storia sembrerà  una di quelle assurde favolette degne dell’inventiva di un bambino di prima elementare. Ma siete sicuri che tutte le storie debbano finire con un e vissero tutti felici e contenti?

Scozia, 31 ottobre 20...

Era una notte buia e tempestosa, la pioggia si infrangeva impetuosamente contro i vetri della finestra, nel vano tentativo di porre fine alla propria esistenza. Un fulmine prese in pieno il palo dell’elettricità  antistante al nostro condominio, facendo andare l’intero quartiere in blackout. La candela ad olio posta sopra al piano d’ebano levigato del tavolo, con la sua mera luce illuminava a stento la cucina. La piccola fiammella guizzava ininterrottamente, come se fosse in uno stato di inquietudine e che da lì a poco sarebbe capitato un avvenimento spiacevole. Il mio sguardo penetrava in quella piccola fonte di calore, così inquieta, che descriveva dettagliatamente la mia vita. Ero stanco. Stanco della mia vita, stanco della mia routine quotidiana ripetitiva, stanco di essere stanco. Mi lasciai trasportare dai pensieri boccheggiando la mia amata pipa, mentre dei cerchi concentrici di fumo aleggiavano sul mio capo.

D’un tratto il campanello suonò. Stupito, quanto leggermente turbato per la tarda ora che lo sconosciuto aveva deciso di bussare alla porta di casa mia. Mogio, mi alzai dalla sedia, e appena sentii che le ognuna delle mie vertebre si erano messe al proprio posto producendo il solito quanto imperterrito scricchiolio, mi avviai ad aprire accennando un passo decisamente scadenzato. Non mi interessava minimamente chi fosse l’idiota che alle undici di sera si presenta sotto il mio portico, anzi, ero leggermente irritato. Appena aprii l’uscio si presentò dinnanzi a me l’uomo più osceno che i miei occhi abbiano potuto vedere. Le rughe che incorniciavano il suo viso, erano così profonde che si poteva quasi affermare con certezza che simboleggiavano il grande dolore che pesava sulle sue spalle. Ma, nonostante la veneranda età , pareva un vecchietto assai arzillo, se non fosse per quel suo mellifluo sorriso che trasmetteva un’angoscia ben poco rassicurante. I suoi capelli parevano una soffice coltre di neve che abbracciava le sue tempie. Abbracciava una grossa zucca violacea, che con molta indiscretezza, mi porse. Attonito, mormorai:

- Perchè proprio a me? Non si è neanche presentato, e poi... come mai questa cucurbitacea è viola?-.

L’uomo ebbe un sorrisetto curioso. C’era qualcosa di inquietante in lui, - non sapevo piegare cosa- che mi spinse a covare una tremenda angoscia nei suoi confronti. Non indugiò oltre e trovò una scusa poco plausibile per giustificarsi:

- Oh, non si preoccupi, è solamente... come dire...- si fermò, incerto sulla parola da usare, poi riprese - ... acerba, sì, sì, deve essere senz’altro così-.

Non si degnò minimamente di salutare, che mi aveva già  sbattuto la porta in faccia, andandosene. Non mi curai molto dell’assurdità  della vicenda accaduta poco fa, anzi, ricordandomi che oggi era la vigilia della festa di Ognissanti, fiero di possedere un talento quasi innato nell’intagliare oggetti, trassi dalla tasca del mio jeans il mio fedele taglierino, che portavo sempre con me. La pesantezza della zucca mi impediva di accennare movimenti minimi, quindi la posai sul tavolo, che non sembrò attutire bene la brusca collisione, difatti il piano levigato risuonò rumorosamente, producendo una lunghezza d’onda così alta e penetrante che di sicuro avrebbe fatto risvegliare i morti prima del primo novembre.

Incisi in corrispondenza della parte superiore dell’ortaggio un vistoso taglio zigzagato, che mi avrebbe permesso di rimuovere la polpa per inserire la candela che illuminava la cucina; avrei così ottenuto una lampada decisamente originale. Un fatto bizzarro mi saltò subito all’occhio: la cucurbitacea non opprimeva minima resistenza alla pressione del taglierino, risultava molto malleabile. “Sarà  per il fatto che è ancora acerba†pensai.

Appena però aprii la cupola che avevo creato, mi si ghiacciò il sangue nelle vene.

Una folata di vento chiuse d’impeto l’uscio. Qualcosa di ineccepibile fisicamente mormorava:

“Non disonorare la testa dello spirito di Halloween...â€.

Disonorare? Io? E perché? Non avevo fatto niente di male!

Indietreggiai per allontanarmi dalla zucca che pareva essere stregata dal diavolo, ma urtai contro qualcosa. No, non era il muro, non era duro. Mi voltai. Dinnanzi a me vi era un essere orripilante, mostruoso, abominevole! Era infagottato da un vestito vistosamente ottocentesco, merlettato in prossimità  delle maniche e del collo. La testa era assente. Il mostro si avviò con passo lento e discontinuo verso il tavolo. Le sue unghie violacee affondarono nella zucca, forandola. Dai fori sgorgava del sangue rossastro, come se avesse bucato una testa. La alzò lentamente, ma io impaurito, terrorizzato, non riuscivo a reagire. Mi ero come paralizzato, le mie gambe giacevano immobili, non mi ascoltavano. Fissò al collo l’ortaggio, avvitandolo con cura per evitare che cadesse. I suoi occhi iniettati di sangue incrociarono i miei:

“... lui disonorerà  la tuaâ€.

Prese il taglierino. Avevo capito al volo le sue intenzioni. Avevo paura, volevo fuggire. Le scappatoie erano inaccessibili. Dannazione. Non ero pronto per morire. Sentii la lama affilata del coltellino toccarmi la cute. Era tremendamente gelida, come l’odore della morte. Fu tutto fin troppo immediato per descrivere con precisione. Sentii un dolore straziante, atroce, lancinante. Poi nulla. La mia testa giaceva ai piedi del mostro. Il mio corpo, invece, sguazzava in una pozza di sangue. La porta si aprì. Appoggiato allo stipite, c’era un bambino, in lacrime.

- Papà ?...- mormorava.

Papà  non si rialzerà  mai più. Non giocheremo a travestirci, non potremo più divertirci, non potrò più sentire le tue soffici mani accarezzarmi il volto. Scusa Jack, scusa.

E mentre lo spirito enunciava le ultime parole, il cadavere abbracciava quella maledetta, dannata zucca.

Fa schifo. Ho detto tutto à§_à§

Ecco cosa produce una sola giornata di scrittura D:

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L'OSCURO SILENZIO

In una notte di buio una ragazza andò in cimitero , lì ci vivevano molti morti ma tra quelli c'era jack lo squrtatore morto molti anni prima.

La ragazza allora vide un oscura ombra avvicinarsi a lei come se volesse ucciderla , o adirittura prendersela o portarsela via. La ragazza si mise a urlare a squarci gola , ma nessuno la poteva sentire , Jack la prese e la strascinò via con se giù per la tomba della ragazza si trovò una pagina di diario con su scritto :

Caro Diario

questa notte andrò in cimitero a trovare la nonna , povera la mia nonnina che fine .....

ora ti lascio ciao....

by Sara

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Premetto che i racconti horror non sono il mio forte. Comunque spero vi piaccia ^^

Saphira

Solo un sogno?

Era buio. Non sentiva alcun rumore. Scappava. Non pensava ad altro che a scappare. Qualcosa lo inseguiva. Svoltò nel tentativo di seminarlo. Ma era troppo lento. D'un tratto si fermò. Davanti a lui c'era un lupo grigio, con i lunghi canini sporgenti sporchi di sangue fresco, di sangue umano. Si avvicinava lentamente, ringhiando. Non avrebbe mai dimenticato quello sguardo feroce e assetato di sangue. La belva sembrava quasi divertita dal suo tentativo di fuga. Aveva visto sbranare un uomo poco prima, così il lupo lo aveva notato. Ora non sarebbe più riuscito a scappare: era in trappola. All'improvviso l'animale gli balzò addosso, spalancando le potenti fauci. Un grido, un dolore straziante al braccio…

Ethan si svegliò di soprassalto. Sudato e con le mani tremanti si mise a sedere. Era caduto dal letto. D'istinto si controllò il braccio, come faceva ogni mattina da almeno una settimana. Niente. Rassicurato si alzò a fatica e si diresse in bagno. Perché continuava a fare quell'orribile sogno? E se non fosse stato un sogno? No, non era possibile. Era solo l'atmosfera di Halloween che gli faceva venire gli incubi. L'acqua fredda sul viso scacciò quei pensieri.

"Forse sto impazzendo!" L'assurda ipotesi lo fece sorridere.

Ethan era un ragazzo normale. Non molto alto, capelli neri come la notte, occhi verde smeraldo. Dopo le superiori aveva deciso di lavorare come lavapiatti al ristorante vicino casa sua. Non guadagnava molto, ma a lui bastava. Viveva in un appartamentino nel centro della città . Era orfano da quando aveva sei anni e non aveva molti amici. Si divertiva a spaventare i bambini che facevano dolcetto o scherzetto la notte di Halloween. Forse i bambini si stavano vendicando tormentandolo con quest'incubi… Il suo capo gli aveva concesso una settimana di vacanza, ma Ethan non se la stava godendo per niente per colpa di quei sogni: erano così reali…

Si mise i primi vestiti che trovò e accese la televisione. La notizia dei brutali omicidi avvenuti negli scorsi giorni sembrava essere la preferita dai giornalisti:

"… e sul corpo, o meglio, sui i resti del corpo trovati nella casa dell'ultima vittima sono presenti tagli profondi e segni che potrebbero sembrare dei morsi. In giro si è già  sparsa la voce che in città  si aggiri un mostro mangia uomini, ma sono solo dicerie alimentate dall'avvicinarsi del giorno di Halloween. La polizia sta ancora indagando…"

Ethan aveva sempre avuto paura del sangue, così spense la TV prima che mostrassero i resti delle vittime del "mostro".

"Certo, un mostro mangia uomini, come no!"

In quel momento gli venne una fitta terribile al braccio, che prese a sanguinare anche senza evidenti ferite. Peter urlò dal dolore. Le gambe gli presero a tremare. Barcollò e cadde a terra. Poi non vide più nulla.

Correva a perdifiato. Aveva fame, tanta fame. Intravide una possibile preda. Le saltò addosso. La ragazza attaccata urlò, ma fu l'ultimo suono che emise. Le staccò un braccio e prese a masticarlo. Il meraviglioso sapore metallico del sangue fresco era indescrivibile. Si guardò intorno: c'era sangue ovunque...

Gli faceva male tutto: la testa, le gambe, la pancia, ma soprattutto il braccio.

"Sei solo svenuto, non è successo niente." Si disse. Fece un respiro profondo e riaprì gli occhi. Soffocò un urlo di terrore. Davanti a lui c'era un braccio mozzato. Sangue ovunque. Ethan si alzò da terra di scatto e corse via. Non si trovava più a casa sua, ma era in strada. Era ancora mattina presto, quindi non c'era nessuno in giro.

"Ma che diavolo sta succedendo?!"

Mentre correva guardò dietro di sé: la ragazza che pensava fosse solo frutto della sua immaginazione era laggiù, in un lago di sangue. Era stata appena fatta a pezzi da qualcuno. Distolse subito lo sguardo. Stava quasi per vomitare.

"No! Non è possibile! É solo un sogno, tutto un brutto sogno." E invece era tutto vero. Era la realtà . Non riuscì a raggiungere casa sua che gli venne un altra fitta al braccio.

"NO! Basta!" Vedeva solo buio...

Aveva ancora fame, non gli era bastata la ragazza. Doveva trovare qualcun'altro. Si diresse alla scuola elementare. Sentiva molte urla. Scelse la seconda vittima e la braccò. Corse fino ad un vicolo. La sua preda non aveva più vie d'uscita...

Riprese i sensi appena in tempo. Davanti a lui c'era un bambino terrorizzato. Piangeva. Ethan si rimise a correre. Continuava a ripetersi che non poteva essere vero. Avrebbe davvero ucciso quel bambino innocente per mangiarselo? Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine della ragazza che aveva sbranato solo pochi minuti prima. Si mise a piangere in preda ai sensi di colpa. Perché lui?

Questa volta riuscì a tornare al suo appartamento senza inconvenienti. Si chiuse dentro a chiave e si lavò via dalla faccia e dalle mani il sangue rappreso della sua prima vittima. Ripensò al suo incubo con il lupo. Forse non era solo un sogno, ma un ricordo. No! Non poteva essere reale! Eppure tutto portava ad un'unica ipotesi: un licantropo lo aveva morso. Forse era un ricordo che aveva subito rimosso. Non poteva continuare ad uccidere la gente senza poter fare niente!

"La ragazza di oggi non sarà  l'ultima se non faccio qualcosa!" La prospettiva di rimanere chiuso in casa per il resto della sua vita non era delle migliori. E non sarebbe mai riuscito ad evitare di essere disturbato. Ma allora cosa poteva fare? Una soluzione orribile gli venne in mente. Aveva ereditato un pugnale d'argento da suo zio, che lo usava per tagliare la carne. Per non sbranare altre persone l'unica soluzione restava questa: il suicidio. Ethan scoppiò in un pianto disperato. Non c'era altro modo per impedire la sua trasformazione. Smise di piangere. Rassegnato, si diresse verso la credenza. Lì teneva il pugnale. Lo prese e lo guardò a lungo. Lo puntò al cuore. Lacrime calde gli scivolavano sulle guance. Premette sull'elsa. Urlò di dolore. Cadde a terra. La fredda lama d'argento che penetrava nel suo corpo fu l'ultima che sentì.

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*Starry*

*La veritá*

"Tutti noi abbiamo visto il tempo scorrere e lo spazio cambiare,ma ce una sola cosa che non abbiamo mai visto : La veritá

Giravo là­,un piccolo pokemon come me non era mai salito in cima al monte corona,dovevo esserne orgoglioso,avevo fatto una cosa quasi impossibile,a tutti.

C'era un aria fredda e riuscivo a sentire una specie di sibilo,che mi incuriosiva,andai verso di quello per sentirlo sempre piú forte "Silu scendi!" urlavano i miei amici.Dovevo ascoltarli

Andai avnti e mi ritrovai su un altare per sentire ancora quel sibilo che ormai,era un lamento,lungo e angosciante,e allora mi accorsi,arceus disteso a terra dilaniato in una pozza di sangue e,oh mio dio,con un terribile mostro sulla schiena.

Quel maledetto sembrava una nuvola nera e solo a guardarlo mi dava disperazione,come mi vide in una mossa staccó la testa ad arceuse gli brució la pella lasciando solo le ossa il cui teschio indosso come corona.Corsi piangendo come un forsennato e quando caddà­ dal ciglio mi accorsi che non stava inseguendo me ma andava verso i miei amici,appena toccai terra vidi l'osso che mi usciva dalla gamba e provai un dolore indescrivibile,quindi strisciai fino alla mia tribu e vidi che erano tutti morti,dilaniati da quel mostro,che mi apparve davanti,ma non mi arresi,vidi che era ferito e quindi lo attaccai,lui subà­ ma poco dopo mi senti male,vedevo cose indecrivibili ,tremende.Non so come ma riuscà­ a scappare e ora scrivo questo messaggio nella mia lingua,la unown,sperando che qualcuno venga a sapere e sappia la verità ,la verità  sulla vita,lui me l,ha rivelata,come ha fatto agli altri,come ha fatto ad arceus,ma per questo mi cerca, perché io so perché io so PERCH...."

Fine documento,ritrovamento giorno X mese X anno X,lingua UNOWN,zona isola Lunanova,Sinnoh

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