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[Contest di scrittura] Inspired Contest ~ Musica


Snorlax

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Inviato

Buongiorno e buona Pasquetta, amici di PM.

Nonostante il pesce d'Aprile, siamo qui, ancora, per niente sotto choc (luv, Manuel <3). Ma questo contest non è un pesce d'Aprile, perché abbiamo deciso di alzare il livello di difficoltà . D'altra parte, un anno fa, di questi tempi, ancora eravamo fermi a contest semplici come i vari Keyword. Adesso è il momento di fare un simpatico upgrade.

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Ma dove sta la difficoltà  in un Inspired Contest a tema musica?

Sta nel fatto che ancora non vi ho detto tutto.

  • Lunghezza: Non c'è un limite di lunghezza a ciò che i vuole scrivere. Il testo dovrà  essere composto da una sola parte, dunque non si potranno scrivere fanfiction a puntate.
  • Tematica: Ed eccoci al punto complesso da spiegare.
    La tematica, come avrete di certo capito, riguarda la musica, ma noi giudici, che vi amiamo troppo, abbiamo pensato che un contest a tema musica fosse troppo semplice, quindi abbiamo deciso di "restringere" le vostre scelte.
    Esatto. In teoria, potrei anche scrivere "Inspired&Restricted Contest". Avrete una gamma abbastanza vasta di generi musicali tra cui scegliere, ma a seconda del genere scelto dovrete trattare un tema o un luogo (ma anche, in alcuni casi, entrambi) già  deciso da noi giudici del contest.
    Quando si parla di tematica avrete più scelte, ma ciò non significa che le dovete usare per forza tutte. Siete liberi di scegliere quale tematica applicare e, volendo, aggiungerne un'altra non specificata. L'importante è che almeno una delle tematiche sarà  rispettata e riscontrabile. Per i luoghi, dovete usare i luoghi scelti. Nelle scelte doppie, dove c'è sia la tematica, sia il luogo, dovete usarli entrambi. Ma ora passiamo alla lista. Vedrete: è più semplice di quanto sembri.
    NOTA: In caso una canzone avesse come genere, ad esempio, Indie Pop, Folk Rock, Rock Pop etc. è possibile scegliere in quale categoria inserire l'elaborato tra le due citate dal genere.

    Genere Pop [Con sottogeneri...]:
    LUOGO: Luoghi della quotidianità  (casa, negozi, strade...).
    TEMATICA: Vita quotidiana.

    Genere Jazz [RnB, Blues, Soul]:
    TEMATICA: Passato / ricordi.
    LUOGO: America ai primi del '900.

    Genere Folk [o Latinoamericano etc.]:
    TEMATICA: Cultura / nazionalismo / tradizioni.
    LUOGO: Zona di provenienza del genere. (es. Inghilterra per il Folk inglese; Sud Italia per la tarantella etc.)

    Genere Dance [Con sottogeneri...]:
    TEMATICA: Gioia / allegria / festa.

    Genere Indie:
    TEMATICA: Oniricità  / illusione.

    Genere Rock [Progressive, Art, Alternative...]:
    TEMATICA: Forza / volontà  / coraggio.

    Genere Metal [Con sottogeneri...]:
    TEMATICA: Disperazione / rabbia / cattiveria.

    Genere Electronica [o House, Dubstep, sottogeneri...]:
    LUOGO: Futuro.

    Genere Rap [Hip Hop, Beatbox]:
    LUOGO: Downtown.

    Genere Classica:
    LUOGO: Corti aristocratiche.

    Adesso, un pratico esempio.
    Scelgo una canzone, ad esempio "I Follow Rivers", che è stata recentemente prima in classifica. È una canzone Indie Pop, quindi posso scegliere se seguire le indicazioni per il Pop o le indicazioni per l'Indie
  • Struttura: Il racconto/poesia dev'essere inserito nei commenti, specificando il titolo e l'autore come nell'esempio:



    *Nome dell'utente scrittore*



    *Canzone Scelta (volendo, con video)*



    *Titolo*



    *Elaborato*


  • Premi: I premi sono dei PokéPoints. Saranno assegnati due premi: il Premio assoluto, assegnato all'elaborato più votato dai giudici e il Premio Nota, per l'elaborato che riesca ad essere il più possibile attinente alla traccia data. Le targhette premio saranno svelate solo alla fine, sempre per la suspense. (<3)

    18 PokéPoints per il Premio Assoluto ~ Primo posto

    10 PokéPoints per il Premio Assoluto ~ Secondo Posto

    6 PokéPoints per il Premio Assoluto ~ Terzo posto

    12 PokéPoints per il Premio Nota
    • Giudizio: I vostri lavori saranno giudicati da tre giudici: Lance94, Grovyle96, Edre.

    Il contest si chiuderà  Domenica 14 Aprile alle ore 18:00. I risultati saranno pubblicati, eccetto problemi, la sera stessa. Per qualunque domanda o dubbio, potete chiedere allo staff nella discussione apposita, tramite MP o sull'account "Vinnie PM" su facebook.

    N.B. Visto che noi giudici siamo particolarmente ansiosi, abbiate pietà  e non postate tutti all'ultimo momento causandoci un attacco di cuore. Grazie :3

    Detto ciò, partecipate in molti!

Inviato

Prince

"Take me,take me away"

"Ti è mai successo di sentirti al Centro,al centro di ogni cosa,al centro di quest'universo.

E' mentre il mondo gira lascialo girare. Che tanto pensi di esser l'unico a poterlo fare."

23.o3.13

Oggi i miei genitori hanno litigato di nuovo.

Come se non esistessi,come se fosse normale litigare davanti a un figlio.

Normale.

Per loro la normalità  non esiste. Ed è orribile. Mi sento come un guscio vuoto,come se non esistessi.

Un guscio che passa le proprie ore a guardare la gente passeggiare davanti al supermercato,con il proprio MP3,ad ascoltare canzoni su canzoni fino a imparare ogni strofa.

La musica è il mio rifugio. Mi aiuta a proteggermi dalla vita quotidiana che odio.

A volte chiudo gli occhi e esprimo un desiderio. Un desiderio che potrebbe cambiare la mia infima vita.

Ma rimane tutto così.

A scuola amo rimanere solo. Il telefonino non esiste per me,tanto,nessuno mi contatta. Nessuno vuole uscire con me.

Ho pochi amici,forse,manco quello.

Ora sono in camera mia. Vuota come me.

Certo,ho una scrivania,una TV e un letto.

La mia scrivania è ricoperta di fogli bianchi. Amo disegnare tutto quello che ho dentro.

Stranamente,non riesco a disegnare un bel niente.

Ma c'è quel momento in cui schiaccio il tasto "Play" del mio iPod,scelto la canzone e clicco.

Ho scelto la mia canzone preferita. "Ti è mai successo?" dei Negramaro.

"Ti è mai successo di guardare il mare.Fissare l'orizzonte e dire:"E' questo il Modo in cui vorrei scappare andando avanti sempre avanti senza mai arrivare.."

Amore,odio,speranza per il futuro e per il presente. Finalmente li riconosco.

Accendo il computer,vado su Facebook e scrivo nomi di persone a caso. Mi piace scoprire persone che abbiano lo stesso nome che ho pensato in quel momento.

La canzone finisce.

Replay.

Il brano ricomincia nello stesso modo di prima. La paura che sia cambiata è svanita.

Le mura della mia camera sono bianche ma la voglia di trasgressione e di cambiamento erano troppo forti.

Quindi,presi la Tintura nera,nera come la Pece.

Scrivo a lettere cubitali quello che penso. Nessuno mi può più fermare.

"Take me,take me away"..

Mi sento libero,libero come una Rondine in piena primavera. I fiori mi salutano con i loro incantevoli petali mentre la Natura fa il proprio,Meraviglioso,corso.

Per la prima volta,sono felice di essere un Guscio vuoto.

Ora posso disegnare.

Ora posso confrontarmi con la gente senza la paura di essere incompreso.

Ora posso Sorridere senza affaticarmi.

Tutto questo grazie a una sola cosa. Una minuscola cosa.

La "Musica".

Senza musica non potrei vivere. Riesce a creare delle Illusioni che non riusciamo a spiegare.

Quando si ascolta una canzone,non si pensa al Cantante,ma alle parole che vuole trasmettere.

Oggi io,ho imparato a vivere.

Solo Oggi. Non ieri,non domani. Oggi.

Ora ho una voglia matta di uscire. Prendo il telefonino e chiamo qualcuno. Qualcuno ci sarà .

Ho imparato a vivere. Solo con la Musica. Solo e soltanto,Musica.

"In fondo è questo il senso del nostro vagare. Felicità  è qualcosa da cercare senza mai trovare.

Gettarsi in acqua e non temere di annegare.

A me è successo..

E ora so volare."

Inviato

Blue95

Testo ispirato alla canzone

, di P!nk

Proviamoci, Ellie!

<<Era il 27 Dicembre, sembra sia passata un’eternità ! Il vento era fortissimo, pioveva a momenti alterni, la temperatura era davvero bassa… Eppure, stranamente, io sudavo. Avevo caldo, quasi bruciavo. Chiamala ansia, ma forse le maledette farfalle, col loro imperterrito volo nel mio stomaco, mi facevano sentire talmente appesantito da non riuscire nemmeno a parlare. Avevo la lingua secca, la salivazione rasentava lo zero. Eppure, ritenni opportuno che quello fosse il momento migliore per parlarti, per dirti come stavano le cose>>.

Ellie abbassò lo sguardo: non riusciva nemmeno a guardarmi in faccia! Tremava come una foglia, nonostante fossimo ormai in spiaggia, col sole battente.

<<Perché tiri ancora in ballo questa storia?>> mi chiese lei.

Noncurante, io continuai: <<Sentivo adrenalina scorrere in ogni singola parte del mio corpo. Ancor oggi, non capisco dove trovai il coraggio di dirti tutto quello, schietto, sincero. Io, che di coraggioso ho sempre avuto solo il desiderio di esserlo>>.

A quel punto, gli occhi di Ellie si fecero pieni di lacrime, era sul punto di scoppiare.

<<Ti dissi che ti avrei voluto lontana, se l’unica condizione per starti vicino fosse stata l’esserti amico. Perché ti amo da sempre, dal primo momento che ti ho vista, pur essendo consapevole che sarebbe stato un amore sbagliato. Perché avrebbe rovinato lo splendido rapporto che c’era tra di noi. Perché un amore ti rende felice, non ti fa venire voglia di piangere.

Oh, ti ricordi come hai reagito al mio discorso?>>

<<Certo che sì, lo ricordo perfettamente. Scoppiai a ridere, quasi imbarazzata… E immediatamente dopo a piangere. Ancora non capisco perché lo feci. Forse per sfogo, o per paura di perderti>>.

S’interruppe. Ancora, come quella volta, le lacrime cominciarono a solcarle il viso, anche se, stavolta, rideva piangendo. La guardai, perplesso. Ma non potei fare a meno di sorridere anche io, di intenerirmi a quella vista così bella.

Repentinamente mi alzai. Le tesi la mia mano, e lei l’afferrò. Fu forse la prima volta, quella volta, che ci guardammo negli occhi.

<<È vero, è una situazione difficile, quasi scotta. Potrei chiederti ancora di starmi lontano, di provare a cambiare vita, di prendere strade diverse. Potrei chiederti ancora cosa provi, cosa senti. Ma… Proviamoci, Ellie. Solo questo: proviamoci!>>.

Mi sorrise, ed io ricambiai. Ci ritrovammo entrambi a guardare l’orizzonte, la sua mano stretta nella mia.

Dedicato ad E.

Inviato

Ci provo.

Wind Storm

Oh hey - The lumineers

Wind storm

Oh hey- The lumineers

13 settembre 2012

Era pomeriggio ed io insieme ai miei cugini ci avviamo alla fine del tratturo, dove c’era casa di mia zia. Ero tanto ansiosa perché doveva venire il mio ragazzo che tanto adoravo ma non riuscivo mai dire quello che provavo per lui. Mentre la gente veniva numerosa per la processione e per assistere alla messa devota ai santi Cosma e Damiano, io ero emozionata, ma ancora non lo vedevo arrivare. Lui ha occhi scuri,capelli castani, un viso morbido e delicato come un peluch, fa la 3 media (quindi abbiamo la stessa età ) e si chiama Andrea.

Come lo incontrai?

Era intanto il figlio di un collega di mio padre e ci incontrammo grazie ad una cena organizzata dai nostri genitori. Quando entrammo nel ristorante, al centro della stanza c’era uno sterio dove tutti ascoltavamo la canzone OH hey . Dopo quella cena ci siamo salutati e quando tornai a casa pensai a quella canzone che mi ricordava lui.

Ritorniamo a quella sera.

Era ormai finita la processione e la messa, ed io avevo perso tutte le mie speranze ma alla fine lo vidi arrivare ed ora non sapevo più cosa dire. Ci salutammo e dopo aver mangiato lui mi strinse la mano e mi portò in un angolo buio e silenzioso. Prese il suo cellulare e ancora una volta mi fece ascoltare quella mitica canzone, piano piano si avvicinò a me e mi diede un bacio e alla fine mi disse “il nostro legame sarà  e sarà  sempre quella canzoneâ€avvicinò il suo auricolare al mio orecchio e insieme ci sedemmo e ci abbracciammo. Ancora oggi stiamo insieme e dovrò sempre ringraziare la MUSICA “vita del nostro legameâ€.Da quel momento noi ci diciamo sempre "Io appartengo a te, tu appartieni a me, sei il mio amore

Io appartengo a te, tu appartieni a me, sei il mio amore" La Musica tiene vivo il nostro rapporto e ne andremo sempre fieri!

FINE

Inviato

Shiro`

Kagamine Len - Tada Sou Aru You Ni

Il Giglio Dorato

E' passato molto tempo dall'ultima volta che avete visitato l'Imperatore di tutta la Cina? La mia piccola famiglia potrebbe venir considerata una visitatrice giornaliera. Facciamo parte del Clan Kong, ed io Choi Kong sono il capo famiglia. Mia moglie è una meravigliosa fanciulla, e una volta uniti, abbiamo deciso di mettere alla luce una piccola creaturina; il suo nome è Baihè e diverrà  la capostipite del nostro Clan. Dopo qualche mese dalla sua nascita, decidemmo che saremmo ricorsi alla fasciatura dei piedini della piccola, nonostante le numerose discussioni avute con mia moglie.

<< Cara, perché proprio lei? E' ancora troppo piccola... Non possiamo ricorrere alla vecchia trazione del Giglio D'Oro. >>

<< Choi, pensi che io sia felice di vedere la mia bambina con i piedini fasciati fino alla giovane età ? E' una tradizione a cui non potremmo mai sottrarci. Baihè diverrà  la capostipite del nostro Clan, e come tale dovrà  sopportare l'ultima fasciatura dei piedi. >>

<< Ma oramai è l'ultimo anno! Non potremmo fasciare i piedini della figlia della nostra amata? >>

<< Caro, so come ti senti... Per voi uomini è normale aver paura di certe cose, però purtroppo, come ti ho già  detto, non potremmo adempire al nostro destino finché la piccola non eseguirà  l'ultima fasciatura. Ricorda che il suo nome significa Giglio. >>

<< Lascerò tutto nelle tue mani. Il mio potrà  sembrare un gesto da vigliacco, ma non è assolutamente così. >>

<< Stai tranquillo, la faremo sentire come una principessa. Non dimenticare che ti feci innamorare di me in quel modo. Anche la piccola dovrà  trovare il proprio compagno. >>

Passarono gli anni, e la piccola Baihè non era più la mia bambina; oramai era diventata grande, e come tutte le fanciulle della sua età  pensava a divertirsi e vivere tranquillamente. Solo che lei era diversa, i suoi piccoli piedini non crescevano mai. Una volta tornò a casa di malumore. Era una giornata uggiosa e penso che lei si sentisse malinconica. Mi chiese un piccolo favore, ed io acconsentii senza troppi pensieri; mi chiese se avessi voglia di parlare un po' davanti al nostro piccolo giardino.

<< Senti papà ... Perchè tutte le bambine della mia età  non hanno queste strane calzature? >>

La domanda mi lasciò completamente vuoto. Non sapevo come comportarmi, cosa dirle, e soprattutto come spiegarle la diversità  che aveva rispetto alle sue coetanee. Ragionai per qualche minuto, e ripresi conoscenza.

<< La mamma non ti ha ancora detto niente vero? Dopotutto è giusto. E' compito mio spiegarti tutto. >>

<< S-Spiegarmi cosa? Ho forse fatto qualcosa di male? >>

<< Ma no tesoro, il tuo destino è molto più intricato di quel che pensi .>>

Mi guardò con una strana smorfia. Fossi stato in lei, probabilmente avrei fatto la stessa cosa. Dopotutto non potevo biasimarla.

<< E' giusto che tu sappia. L'uomo che hai davanti, è il vecchio Imperatore della Cina, cugino dell'attuale Imperatore. E tu, sei la Principessa. Dovrai ottenere le grazie del figlio di mio cugino, un principino della tua età . >>

<< Cosa!? Come!? Io dovrei danzare davanti a un giovane? Ma scherzi vero...? Non ho la minima intenzione di perdere la mia libertà  in questa maniera. Non farò mai una cosa del genere. Non potete obbligarmi! >>

<< Baihè, so come ti senti. La mamma si sentii allo stesso modo. >>

<< La mamma, che centra la mamma? >> Chiese con tono incuriosito

<< Lei danzò davanti a me, ed io mi innamorai di lei. Quando nascesti litigammo diverse volte, io non avrei mai acconsentito a una tale tradizione. Proposi di farlo alla tua futura figlia, ma pensai che probabilmente saresti stata ancora più male. >>

<< Assolutamente, non vorrei mai imporre una tale crudeltà  alla mia futura figlia. Papà , devo ringraziarvi... Con me si chiuderà  il terribile cerchio della tradizione, esatto? >>

<< Esattamente. >>

<< Saprò farmi valere, e vedrai che si innamorerà  di me in un batter d'occhio! >>

<< Tesoro... >>

Iniziò a piangere e salì sulle mie spalle. Probabilmente era felice e allo stesso tempo triste per il suo destino.

Passarono dei mesi, e arrivò il giorno in cui dovetti tornare a palazzo per presentare la mia bambina. Mia moglie era nervosa, ansiosa e malinconica, probabilmente ricordava il giorno che dovette presentarsi a me. Cercai di assicurarla, e lei mi disse che fosse tutto sotto controllo. Avevamo dimenticato un piccola particolare... Baihè era sparita! La ritrovò una guardia del palazzo.

<< Tesoro! Dov'eri finita!? >>

<< Oh papà , ho conosciuto un giovane della mia età . Credo di essermi innamorata... >>

<< Ma... Non puoi! Sai che devi danzare davanti al figlio dell'Imperatore! >>

<< Ma papà , stai tranquillo. E' proprio lui! Ci siamo conosciuto molti e molti anni fa. Non gli chiesi mai il suo nome, ed oggi per caso, ho scoperto la sua vera identità  >>

Guardai mia moglie, e pensai che finalmente gli anni di mistero e bugie imposte alla piccola, fossero finiti. Lei era il Giglio d'Oro! Finalmente l'ultimo Giglio Dorato.

Inviato

Cydonia

Portishead - Roads (Elettronica)

]http://www.youtube.com/watch?v=WQYsGWh_vpE

[media

"Non avremmo mai dovuto."

Utente connesso alle ore 3.19. Programma di registrazione dei pensieri in esecuzione.

Sono immerso nella lettura delle scansioni del vecchio dizionario di mio nonno da giorni ormai, come un sub con un masso legato ai piedi che ha perso la speranza di poter tornare a galla. Tante parole e significati a me sconosciuti mi punzecchiano il cervello e mi fanno sentire ignorante, nostalgico di tempi che neanche mi appartengono. Scorrendo tra i file che mi sono stati lasciati ho trovato un verbo alquanto interessante: "Correre". Fortunatamente, nonostante le pagine fossero oltremodo rovinate (che materiale sconveniente doveva essere la carta!), sono riuscito a leggere praticamente tutta la dicitura.

Sapevate che un tempo si camminava con le gambe? Pare proprio che con quelle stesse gambe, muovendole velocemente, si potesse "correre" poggiando sui propri piedi. Si correva per tanti motivi: per paura, per gioia, per sentirsi liberi, per il benessere del proprio corpo. In passato il mondo non era costruito solo per soddisfare le esigenze vitali dell'uomo ma anche per.. uhm. Correrlo? Sì, credo si dicesse così.

Città , paesi, campagne e spiagge riempite di venature chiamate "strade", fatte apposta per i piedi dell'uomo; un po' come i nostri cavi d'oggi, che sono le strade dei dati che li attraversano. Mi chiedo cosa si potesse provare correndo, e quali potessero esserne gli eventuali rischi: che sensazione dà  il vento in faccia? E l'erba sotto i piedi? Che rumore fanno i sassi se ci si passa sopra? E se correndo si cade, cosa si sente? Ci sono mille domande che mi tormentano e nessuna di queste potrà  avere una risposta.

Oggi ci riempiono la testa con il fatto che viviamo in un mondo sicuro. Certo, da quando nasciamo legati alle macchine che ci cullano, cibano, spostano di luogo in luogo in meno di un secondo, la vita è più semplice. Non siamo esposti ai pericoli della carne nella nostra barriera di transistor e non dobbiamo neanche preoccuparci per noi stessi; c'è un cervello meccanico che si occupa dei nostri bisogni ad ogni capriccio. Ma saccheggiando immagini dal passato mi chiedo: abbiamo guadagnato più di quanto abbiamo perso?

È questo il prezzo del progresso: vivere sempre meno a contatto con la natura dalla quale siamo nati e utilizzare sempre meno il corpo che da quella stessa natura ci è stato concesso. Ma barattare sensazioni per comodità  è uno scambio che mi sta sempre più stretto. Dovremmo fuggire da una realtà  che ci vuole piccoli, grassi e atrofizzati, schiavi della pigrizia e della tecnologia. Dovremmo tornare a vivere.

E non avremmo mai dovuto smettere di correre.

Utente disconnesso alle ore 3.33. Programma di registrazione dei pensieri terminato.

Inizializzazione programma di induzione del sonno..…

Attendo segnale utente..

...

…

..

Segnale assente.

Inviato

Giovix2002


/>http://www.youtube.com/watch?v=unRjK82bDLw

Marco Mengoni "L'essenziale"

Cammina per la città ,entro nei negozi… Ma non trovo quello che cerco.

Perchè non mi serve nulla.

Solo tu mi servi,perché tu per me sei l’essenziale .

Stavo nel negozio di videogiochi,quando vedo Pokèmon Smeraldo scontato del 60 %.Vado a casa e dico a mia madre-Mamma,al negozio di videogiochi vendono Pokèmon Smeraldo con lo sconto del 60%.Mi rispose-E cosa dovrei farci io?.Gli risposi:Me lo compri?.-No,so che non ci giocheresti mai.-Mamma ma te lo chiedo da mesi,per me è l’ essenziale!.-Ma non dire sciocchezze e vai a dormire che domani devi andare a scuola.Io me ne andai triste a letto.Mentre stavo nel letto pensai.â€Potrei vendere qualcosa di mio per comprare Pokèmon Smeraldoâ€.Poi mi dissi:Ma io non ho niente.Pensai ancora “Potrei lavorare per fare soldi…Certo che potrei!.â€Domani mi Alzerò andrò a Scuola e poi cercherò un Lavoro come Commesso.La mattina seguente(Dopo la Scuola)Trovai un lavoro come commesso nel luogo dove vidi Pokèmon Smeraldo.Poi dopo molte vendite,mia madre entrò nel negozio e disse:-Cosa fai qui?.Io replicai:-No ,cosa ci fai tu qui?Io stavo lavorando per guadagnarmi i soldi per Pokèmon Smeraldo. Mamma disse:-Figliolo non pensavo fosse così importante per te quel gioco.Io dissi:-Mamma,te l’ho già  detto:Per me è l’essenziale!.Mamma disse con dolcezza:-Figliolo se per te è così importante ,beh te l’ho comprerò io.Io sobbalzai dalla gioia e la ringraziai.Così ebbi Smeraldo e dopo un po’ avevo già  battuto la Lega Pokèmon.

Fine

Inviato

Marko99

Imagine Dragons - It's Time (Alternative Rock)

È tempo di rialzarsi.

Cenere, macerie, resti di una città  ancora viva. Si può sentire il fruscio del vento battere contro le pietre, che cadendo, producono un rumore. Quel rumore che ti fa capire che qualcosa, anche se ferito, è vivo. Vivo come non mai. Vivo per vivere. Come me.

Era notte. Guardavo curioso il cielo stellato, intarsiato di stelle luminose, che a poco a poco, ai miei occhi, crescevano di luminosità . Le guardavo spensierato, pensando che quello fosse lo spettacolo più bello che avessi mai potuto vedere. Osservando i fenomeni stellari, mi addormentai.

Dormivo sereno, convinto che nulla potesse disturbare quella quiete. Di colpo, sentii un grande botto, svegliandomi affannante. Mi guardai intorno, guardai fuori dalla finestra, ma non c'era nulla che non andasse. Decisi così di riaddormentarmi, con la speranza che quel rumore fosse stato

partorito dal mio sonno. Ancora in dormiveglia, aguzzai l'udito per ascoltare cosa succedeva fuori dalla mia camera. Sentivo borbottare i miei genitori. Avevano un tono preoccupato. Pensai di andare a controllare, ma forse sarei stato troppo invadente. Così, mi rivolsi verso il soffitto. Un soffitto blu intarsiato di punti bianchi,

proprio come le stelle. Non so bene il motivo, ma aspettavo che qualcosa succedesse. Forse sapevo già  cosa sarebbe dovuto accadere.

Di colpo un botto fece vacillare la mia stanza, facendo cadere la libreria sul pavimento. I miei genitori entrarono di colpo e mi portarono via. Tra il terrorre e l'ansia, cominciai a camminare velocemente, inseguendo il passo rapido dei miei.

«Cosa sta succedendo?!» - chiesi con la voce rauca, soffocata dalla paura.

«Figliolo, ora scappa, non possiamo spiegarti!» - disse mio padre - «Quando saremo al sicuro, ti spiegheremo ogni cosa!»

Diedi un cenno di consenso, dopodiché varcammo la soglia dell'ingresso, ritrovandoci davanti uno spettacolo infernale. Le mie lacrime cominciarono ad abbattersi sul terreno disastrato, pieno di voragini provocate dalle bombe. Tutto quello che era la mia città  non c'era più.

Frotte di persone sudate e ferite sbucavano da ogni dove, dirigendosi nella stessa direzione dove ci dirigevamo noi. Grossi bagliori rossastri illuminavano il retro della folla, facendo accelerare il suo passo. Dopo non poco tempo, arrivammo davanti ad un reticolato ferreo, arrugginito. Entrammo e, seguendo la folla, attraversammo un campo di addestramento militare, finendo in un bunker.

Tra l'agitazione generale, riuscimmo miracolosamente a trovare tre posti a sedere. Delle panche gelide, che avevano il potere di far tirare un sospiro di sollievo a chiunque ci si sedeva sopra. Terminata l'affluenza della popolazione, il portello blindato venne richiuso, lasciando un panorama infernale, di quelli dei film d'azione, fuori. Le luci bianche del bunker, che sembravano funzionare ad intermittenza, si spengevano ogni cinquanta secondi. Dopo qualche minuto di

agitazione, dove tutti parlottavano fra loro, i miei genitori, con l'espressione malinconica presente sui visi di tutti i presenti, iniziarono a parlarmi.

«Figliolo,» - iniziò mio padre - «purtroppo siamo in grave pericolo. Due paesi appartenenti all'Africa Settentrionale si sono dichiarati guerra. Sfortunatamente, uno di questi due paesi è un nostro alleato. L'Italia non ha potuto fare a meno di schierarsi, e così la guerra si è trasferita anche da noi. Stanotte sono cominciati i bombardamenti da parte dell'altra potenza militare africana, che hanno distrutto la nostra città . Abbiamo molte cose da dirti, ma purtroppo non c'è più tempo.

Siamo sotto il cielo, potrebbe accadere qualsiasi cosa, per cui vogliamo dirti che...» - mio padre venne interrotto da una grande fragore. Numerosi colpi dati contro l'acciaio risuonavano nel bunker, mettendoci in agitazione.

Ad un certo punto, la porta blindata cominciò a mostrare grosse ammaccature, provocate da qualcuno che voleva scassinarla ed entrare. Un generale si avviò verso la porta e guardò attraverso il piccolo sportello che dava verso l'esterno. C'erano molte persone, come noi, che cercavano rifugio.

Il generale fece accomodare i signori, che si sistemarono in fondo alla stanza. Passò una notte, e tra bombe e sparatorie, dormimmo a malapena. La mattina seguente sembrava essere tutto calmo, ma dal fondo del bunker vidi levarsi una figura alta, che si dirigeva verso il centro. Svegliali i miei genitori per chiedergli chi fosse quell'individuo, ma egli si fece riconoscere da solo.

Estrasse una pistola dal mantello. Si spogliò del travestimento e puntò la pistola verso il generale, impaurito. Dopo pochi secondi il generale venne colpito alla testa, ma la scena mi venne censurata da mia madre, che mi coprì gli occhi. L'uomo si rivelò, era un soldato dell'esercito nemico, venuto a fare piazza pulita.

I miei genitori se ne accorsero e, quando lui superò di qualche passo la nostra panca, essi mi baciarono e mi spinsero verso il fondo del bunker, facendomi mettere al riparo. Mi nascosi sotto un grosso telo nero. Avevo paura che mi scoprisse, ma avevo più paura che uccidesse i miei. Un colpo dopo l'altro, un omicidio dopo l'altro, sentivo accasciarsi a terra i corpi senza vita delle vittime. Riuscivo a sentire le voci straziate delle persone impaurite, le prossime che dovevano essere eliminate.

Di colpo la sparatoria si interruppe. Il mio cuore cominciò a battere forte. Strinsi gli occhi e cominciai a tremare. Sentivo il passo dell'uomo avvicinarsi. Qualcosa mi fece calmare. Non tremai più. Ero immobile. Il passo cominciò ad allontanarsi e si sentì la porta sbattere. Feci capolino con gli occhi fuori. La scena era raccapricciante, ma sorvolai. C'erano anche i cadaveri dei miei genitori. In quel momento, giurai che avrei vendicato le loro anime e anche quelle delle altre vittime. Anche i carnefici avrebbero dovuto soffrire egualmente.

Forse di più. Era il momento. Era il tempo di cambiare le carte in tavola, di spazzare via l'egoismo e di realizzare i miei ideali. Mi diressi silenziosamente verso l'uscita, per non disturbare le povere anime dormienti.

Uscii e mi ritrovai da solo. Ero un piccolo quattordicenne, cosa avrei potuto fare da solo? Così andai in cerca d'aiuto. I cadaveri erano sparsi ovunque. Cominciai a correre a perdifiato, per sfuggire a quell'ingiustizia, facendo rumore nel sangue delle vittime. Venni bloccato da un soldato. Non indossava la stessa divisa del soldato che aveva ucciso la popolazione.

«Cosa c'è figliolo? Perché sei qui? Dovresti essere al riparo nel bunker!»

Gli spiegai la vicenda svoltasi poco prima, dopodiché mi portò con sé nella base. Erano soldati italiani. Cominciai a spiegare la faccenda a destra e a manca. Tutti dovevano sapere. Grazie alle mie poche informazioni, il generale e il suo esercito riuscirono ad individuare un piano di battaglia in grado di liberarci.

L'esercito si mobilitò: una parte per via aerea e un'altra via terra. Nonostante questo, sentivo che il mio compito non era terminato. Volevo partecipare attivamente alla battaglia.

«Generale!» - dissi richiamando l'attenzione del militare su di me - «Posso partecipare anch'io?»

«Ragazzo, tu hai già  fatto tanto, sarebbe troppo pericoloso»

«Generale, la prego, per me è importante»

«Ma...»

«La prego...»

«E va bene, ti lascerò andare con loro; ma devi promettermi che ti comporterai bene e che scapperai in caso di pericolo»

«D'accordo! Grazie generale!»

Partii a bordo di un aereo insieme ad un soldato, Roberto. Parlammo a lungo e facemmo amicizia. Era emozionante, ma allo stesso tempo estremamente angosciante. Quel paesaggio macabro era spaventoso.

Dopo una lunga battaglia, riuscimmo a far dileguare le forze nemiche. Non potevo crederci. Ero così contento che abbracciai Roberto così forte da fargli mancare l'aria. Era tutto finito, finalmente.

La città  era però stata rasa al suolo. Non rimaneva più nulla della Napoli che conoscevo. Era il momento di rialzarsi e di ricostruire tutto dalle fondamenta. Troppe ceneri, troppe. Macerie ovunque.

Era il momento di crescere, ma ero sicuro che quello che ero non sarebbe mai cambiato. Grazie a tutti quelli che si sono sacrificati per riportare la pace. Grazie.

Inviato

Fen

A Thousand Years

Per l'ultima volta

Uscii di soppiatto dall'aula rumorosa, stando bene attento a non farmi notare dall'insegnante immerso nelle sue letture filosofiche.

Sapevo che non l'avrei passata liscia, ma poco importava. La scuola non poteva impedirmi di realizzare il mio obbiettivo, se di questo si trattava. Percorsi il corridoio in fretta, preso da una determinazione che non mi apparteneva. Avevo fatto la mia scelta e intendevo perseguirla, stranamente. Non ero mai stato un ragazzo estremamente caparbio o coraggioso, non possedevo nessuna di quelle qualità  tanto presenti nelle frasi fatte che leggevo negli zaini di scuola delle mie compagne. "La vita va aggredita" oppure "se vuoi una cosa, vai e prenditela" o ancora "Meglio provare e fallire, piuttosto che non tentare".

Non ho mai capito il perché di tutte quelle frasi. Persone che prendono a piacimento parole generate da altri, quanto probabilmente non riescono a coglierne il vero significato, il sacrifico per arrivare a comprendere quel concetto e la soddisfazione nell'essere riusciti a tramutarlo in parole. Non sono mai stato tanto superbo da poter pensare di far miei i pensieri di altri. Posso ammirarli, posso cercare di comprendere le loro parole, ma non saranno mai mie.

-Le mie azioni dipendono da me- pensavo sempre - Non seguirò mai il pensiero di altri, sarò io a trovare la mia strada -.

Raggiunsi l'uscita al piano terreno, evitando gli occhi delle assistenti scolastiche, probabilmente troppo immerse nei loro pettegolezzi per accorgersi che una figura di un più che dignitoso metro e ottanta passava oltre la reception.

Arrivai al cancello della scuola, e il cuore cominciò a pompare sangue ad una velocità  allarmante. Sentivo il rossore iniziare a invadere il mio viso, ma non me ne preoccupai. Accellerai il passo, fissando l'orologio; mancavano trenta minuti. Cominciai a correre, indifferente alle voci che assalivano i miei pensieri. "Ehm, ne sei sicuro?" pensava la voce numero uno. "Fossi in te eviterei, andrai incontro ad una figuraccia" bisbigliava la numero due. Mi sforzai di non ascoltarle, ormai ero ad un punto di non ritorno. Avevo ponderato la mia decisione nelle settimane precedenti, e non intenevo tornare sui miei passi. Mi conoscevo, e sapevo che per come ero fatto non ero in grado di compiere un gesto del genere, ma mi allenai per giorni imponendomi di non dare ascolto ai pensieri, ma di ascoltare solo il cuore, per una volta.

Odiavo ammettere che per me era così importante da dover annullare ogni forma di ragionamento, ma io dipendevo da lei, non potevo evitarlo.

Raggiunsi la strada principale del paese, correndo più veloce di quanto mai avessi fatto in tutta la mia vita. Il barista della pizzeria che era fuori a pulire il marciapiede mi riconobbe e mi chiamò curioso, ma lo ignorai. Non c'èra tempo per lui, non c'èra tempo per nessuno, tranne che per lei.

Arrivai, infine. Entrai col respiro affannato nell'ingresso del grande edificio bianco, deglutendo e stringendo gli occhi sotto la luce fastidiosa dei neon.

C'èra molto più rumore che nella mia aula di scuola, ma ormai ero completamente immune ad ogni suono, ad ogni sensazione. In testa avevo un solo obbiettivo, un obbiettivo da raggiungere.

Scrutai per l'ennesima volta l'orologio, notando che mancavano appena cinque minuti. Con passo più incerto e decisamente meno intraprendente mi accinsi a chiedere la fatidica domanda alla donna che curiosa mi scrutava da dietro il pannello di vetro.

<Ehm..> iniziai balbettando <Per caso, l'orario delle visite è già  terminato?>

<Mancano pochi minuti, caro. Forse se corri riesci a fare almeno un saluto. Chi stai cercando?> concluse la donna, ma io evitai la risposta e ripresi la mia corsa verso le scale.

Sapevo esattamente dove trovarla, conoscevo quel luogo e sapevo che il reparto non poteva che essere al terzo piano. Quando ero piccolo venni ricoverato a causa di una brutta caduta, e in quei giorni passai molto tempo a girovagare, incapace di stare a letto.

Conoscevo anche il numero della stanza, dato che nei giorni precedenti avevo origliato con molta cura le conversazioni di suo padre.

Arrivai, infine. Il mio amore perduto e mai ritrovato, la causa dell'abisso che ancora mi attanagliava il petto era dentro quella stanza.

A dispetto dell'accettazione, in quel corridoio il silenzio era quasi tombale, e accolsi con gratitudine l'assenza di rumori. Dovevo pensare senza distrazioni, dovevo scegliere con cura le mie parole.

Sollevai la mano destra e spinsi la porta, entrando. Lanciai rapido un'occhiata al letto, e uno sbuffo di dolore e rassegnazione mi uscii dalla bocca, producendo un buffo suono che tanto stonava con l'atmosfera austera del luogo.

Con un gemito di rabbia mi sedetti sulla sedia di fianco al letto, e cinsi la testa tra le mani. Volevo dire qualcosa, ma le parole che con tanta cura e dedizione avevo programmato di enunciare non riuscivano a uscire dalla bocca. Deglutii, e solerte una delle vocine nella testa mi consigliò: "ascolta solo il cuore, per una volta".

Già , la mia promessa. Una lacrima mi rigò il volto ancora troppo giovane per essere rasato regolarmente. Sapevo che era inutile parlare, ma ormai ero li e volevo dimostrare a me stesso che ero in grado di farcela.

<Quando mi hai lasciato> cominciai cauto <le cose non sono più state le stesse, sai? La pizza del sabato sera con tutti gli altri, i festeggiamenti a Natale, a Pasqua.. Tutte quelle giornate passate a scrutare il nulla, perché mi avevi abbandonato. Ti odio, non lo nego. Ti odio con tutto me stesso, per il tuo egoismo, per il tuo desiderio di cambiare vita, dimenticandoti della cosa più preziosa che avevi, dimenticandoti di me. Eppure ancora il mio amore per te è immutato, e non ne comprendo il motivo. Odio e amore si scontrano dentro di me, sentimenti tanto distanti e tanto simili nella forza e nella passione che sento nel provarli. Mi hai abbandonato e io avevo ancora bisogno di te, ti reclamavo, ti pretendevo. Oggi sono qui, anche se forse non lo meritavi, ma dovevo farlo. Sei una persona insostituibile e occuperai sempre un posto nel mio cuore, non puoi evitarlo. Puoi ferirmi, farmi piangere, farmi soffrire, ma non posso evitare di volerti bene.

Sono qui per dirti che ho deciso di andare avanti, anche se dovò farlo senza di te. Spero nel profondo che tu abbia provato almeno una volta quello che io ho provato e tutt'ora provo per te, lo spero davvero. Ti voglio bene>.

Le dita si strinsero più forti sopra gli occhi, mentre lacrime bollenti cercavano di uscire. Volevo sfogare il mio dolore, per l'ennesima volta.

Un rumore di passi mi destò, e alzai lo sguardo verso la soglia, oscurata da una figura in bianco che mi osservava perplessa.

<Mi scusi.. scusa> si corresse l'infermiera, notando la giovane età  del suo interlocutore <La stanza è vuota> osservò con cura la donna.

<Si, me ne ero accorto> sorrisi mio malgrado, in imbarazzo <Ma ci tenevo a dire una cosa, in ogni caso>.

<Oh, capisco. Mi spiace per il tuo lutto>.

<Quando è morta?> chiesi quasi distaccato, come se non me ne importasse davvero.

<Questa notte, poco dopo le due. Mi dispiace davvero che tu non abbia potuto darle l'ultimo saluto> concluse lei, comprensiva.

<Non importa, il nostro ultimo saluto risale a molti anni fa, non c'èra molto da dire>.

Mi alzai dallo sgabello e mi diressi accigliato verso la porta, scansando con garbo l'infermiera che confusa mi squadrava.

<Se non sono idiscreta, posso sapere che legame avevi con lei? Non ti ho ma visto in visita qui> osservò accigliata.

Fu il mio turno di guadarla con fare comprensivo <Era mia madre, in effetti>.

Tornai a casa, conscio che tutti i miei oggetti scolastici erano ancora in classe, ma non me ne preoccupai affatto.

Entrando in casa, mio padre mi accolse col suo solito saluto di sempre, forzatamente allegro.

Da quando ci aveva abbandonato, non era più riuscito a rialzasi davvero, e mascherava il suo dolore con un sorriso spesso fastidioso.

Se avesse saputo dove ero stato, sarebbe andato su tutte le furie.

<Oggi è sabato!> sentenziò l'uomo.

<Eh già > affermai dandogli ragione.

<Sai cosa vuol dire, vero?> annui lui, strizzando un occhio.

<Pizza con patatine fritte e partita in tv, come al solito> risposi cercando di mostrare il suo stesso entusiasmo.

Mio padre mi fissò con aria assorta, quasi stesse ponderando una decisione di vitale importanza.

<Sai cosa? Questa sera ordinineremo due birre, non una. Ormai sei grande, figliolo> disse lanciandomi un'occhiata di pura fratellenza maschile.

<Wow, un cambio di routine. Credo che questa notte nevicherà  parecchio, assicurati di chiudere le finestre> dissi ridendo. Lui si unì alla mia risata, felice che il nostro piccolo mondo costituito da azioni prestabilite si mostrasse così solido nelle sue fondamenta.

Il giorno seguente probabilmente mi avrebbe portato a pescare, come era solito fare ogni domenica.

Era il nostro piccolo mondo protetto dal dolore, e andava bene così.

Inviato

LegendYveltal97

Fighter - Glee (Pop-Rock)

Non arrenderti proprio ora, combatti!!!

02/04/2013

E' bastato un allenamento per rovinarmi la giornata........ Cominciamo....

Mi sono svegliato in quest'ultima giornata di vacanza euforico, pensando all'allenamento pomeridiano in preparazione a una gara importante a cui tengo particolarmente...... Il Trofeo Golfo dell'Asinara, in Sardegna.

E' da un mese e mezzo che aspetto questa competizione, si parte sabato mattina alle otto e il pomeriggio ho già  2 gare.... Non vedo l'ora!!!!!!!!

Ho trascorso la mattinata come al solito: mi sono svegliato, ho fatto colazione, ho lottato in arena pokemon (e ho vinto numerose battagie), ho fatto la doccia e sono partito per pranzare da mia nonna.....

Dopo aver mangiato ho guardato I Simpson e sorpreso ed entusiasta, finamente ho visto su Italia1 Naruto!!!

Che bella giornata... meglio di così non può andare!!!

Alle 5 mi dirigo a scuola di ballo, felicissimo di allenarmi dopo queste vacanze noiose. La prima ora la passo tranquillamente facendo moderno insieme al mio gruppo, e continuo a pensare che sia una buona giornata....

Seconda ora... Standard, anche se non mi piace per niente sono obbligato a farlo, intanto mentre tutti ballano il valzer lento io, non facendomi vedere dall'insegnante, mi alleno sui latini aspettando che l'ora finisca.... e con grande gioia finisce.

Ora tocca ai latini, finalmente!!! In questo allenamento mi sentivo abbastanza carico e motivato con l'obiettivo di prepararmi in vista della gara, che deve andar bene.

Inizia il collettivo e io e la mia ballerina cominciamo a provare i programmi, tutto sembra andare per il verso giusto (strano, non succede mai); l'insegnante divide tutte le coppie in 2 batterie e iniziamo a ballare...... Mentre balliamo però succede un'imprevisto: si rompono le scarpe dellla mia partner, ma fortunatamente riusciamo a "ripararle" con dello scotch.

Il collettivo continua e arriva il ballo che ci viene meglio, la Rumba. A circa metà  progamma ho una spaccata centrale e di solito non la faccio mai.... ma oggi ho fatto un'eccezzione: scendo delicatamente e sono consapevole di quello che sto facendo, però mentre mi rialzo....... CRACK........ una fitta inaspettata all'inguine.

Sospendo immediatamente l'allenamento e penso tra me e me: - No, Alessandro combatti, devi resistere, non puoi rinunciare proprio adesso prima della gara, COMBATTI!!!! -

Mia mamma mi porta subito in pronto soccorso preoccupata, invece io zoppicante non volevo.... ma quando il dolore continuava a crescere sempre di più, ho acconsentito.

Arriviamo alle 20.15 e come al solito mi chiedono i dati, e intanto io: - Alessandro combatti, devi resistere, devi farcela per la gara, COMBATTI!!!! -

Ed eccomi qua ad aspettare che mi visitino, ormai sono le 22.17, sono già  passate 2 ore qua in sedia a rotelle con delle fitte continue....

Speriamo sia niente di grave e che riescano ad aiutarmi in quache modo... anche se sarà  dura, sò che è uno strappo ma spero si risolva tutto entro sabato.... Intanto ripeto nella mia testa: - Combatti e resisti, ciò che ti abbatte ti renderà  più forte, tu ce la pui fare Alessandro, vedrai che passerà  tutto... -

.....................

- Si, io ce la farò .... combatterò e vincerò, nulla può fermare il mio obiettivo!!!!!! -

...................................................................................Fine..............................................................................

Inviato

GoshaQueen~

ROCK MUSIC.

Only a crack.

Nel buoi della notte, con il solo chiarore della Luna che ti può dare un po' di conforto, disteso per terra, nell'erba alta e secca, per nasconderti dal nemico mortale che a quanto ne sai sta a due metri da te con un fucile in mano, puntato verso di te, pronto a premere il grilletto.

Cercando di non fare nessun rumore ti avvicini.

Un minimo fruscio potrebbe far scappare la "preda" e ribaltare la situazione.

Con il cuore in gola, con i pensieri della famiglia lasciata a casa, da sola, bisognosa del tuo aiuto, ti prendi coraggio e parti.

Sai che se dovessi morire lo faresti per una buona causa.

Questa guerra sta distruggendo te, la popolazione, ma soprattutto tuo figlio e tua moglie.

"Pronto?".

"Sono sempre pronto!".

I due soldati, migliori amici dall'infanzia si lanciarono all'attacco, sprezzanti del pericolo, con un solo pensiero in testa: il bene delle loro famiglie.

Tra urli e spari la situazione si stava facendo movimentata.

Chi correva di qua, chi di la. Nessuno riusciva più a distinguere il nemico dall'alleato.

"Eccolo, cel'ho nel mirino".

Con un rimbombo che fece rotolare due metri più indietro il giovane soldato, il fucile bollente, nelle mani tremanti dell'uomo, sparò il colpo.

Fu il colpo decisivo.

In uno stato di terrore, angoscia, tristezza, disperazione, il giovane si rese conto che aveva sparato proprio al suo migliore amico.

"Su, su, riprenditi. Non puoi morirmi qui. Tu sei forte. Sei forte! Riprenditi!".

Con le lacrime che gli calavano a goccioloni dagli occhi increduli alle guance, in un'ultimo sforzo innaturale il giovane soldato prese in spalle il suo amico e corse in mezzo al campo di battaglia per arrivare il prima possibile in infermeria, incurante degli spari, come se in quel momento si stesse trovando in un altro posto.

Arrivato sul posto, dopo essere stato colpito 2 volte ad una gamba e ad un braccio, porse l'amico morente agli infermieri e svenne dalla fatica.

Quando si risvegliò cercò subito notizie dell'amico.

Gli venne detto che dopo alcuni minuti di stabilità , il soldato era morto per emorragia interna. Il ragazzo aveva colpito una delle più importanti arterie che pompavano sangue al cuore.

Disperato da tutto ciò, si rialzò e andò a combattere deciso con tutte le sue forze i nemici, come se fossero in un certo senso una valvola di sfogo.

Vedendolo così senza fiato e in uno stato immondo, incapace di combattere, decisero di congedarlo.

La prima cosa che fece fuori dalla trincea fu andare a dare notizie alla famiglia del malcapitato.

Per rendere il tutto più ufficioso si portò dietro una scorta di soldati.

Bussò alla porta. Bussò di nuovo. Nessuno.

Ad un tratto una donnicciola molto giovane, sul 26 anni, vestita con un lungo abito azzurro e largo a fiorellini, capelli rossi, pelle bianca, e un bambino di circa 8-9 anni aprirono la porta.

Senza emettere un gemito il soldato, riconosciuto dalla donna, porse a quest'ultima una busta gialla con un telegramma.

Durante la lettura la donna si mise a piangere disperata, finchè arrivata a metà  la lasciò cadere a terra e corse in casa.

Il bambino che non aveva capito il comportamento della madre, chiese all'ex amico d'infanzia di suo padre spiegazioni.

Con le lacrime agli occhi l'uomo raccontò al bambino che suo padre era andato in cielo per proteggerlo, e che sarebbe tornato solo quando lui non avesse più avuto bisogno di aiuto.

Il bambino un po' stupito ma anche molto triste perchè credeva che non avrebbe più rivisto suo padre per un po' di tempo si mise a piangere.

Il soldato lo abbracciò strettissimo, sapendo che il rimorso di aver ucciso il suo miglior amico sarebbe rimasto per sempre con lui.

Era forse troppo ovvio per me usare Castle of Glass? :°D
Inviato

Elvispuff-Ludos

Questo sarà  il mio anno

Buongiorno a tutti.

Forse vi chiederete chi io sia. Non è importante: sono solo uno che voleva una e una cosa. Trovare il vero Amore. Ci misi 17 lunghi anni, ma alla fine trovai la donna dei miei sogni. In questi 17 anni cosa feci? Viaggiai per il mondo, conobbi molta gente e imparai molte lingue. Ma ora entriamo più nel dettaglio.

1985

Era un giovedì mattina. Vivevo in una catapecchia. E l'unica colonna portante ancora in piedi che impediva al tetto di casa di cadere indovinate dov'era? Vicino al letto. E ogni volta che mi alzavo sbattevo contro il palo e svenivo. Ma stavolta, si, esatto questo giovedì mattina riuscii a non svenire, perché avevo una sola cosa in testa: viaggiare per trovare il vero amore. Avevo racimolato con il mio lavoro un bel gruzzolo, e vivevo in quella casa solo per non pagare l'affitto, perché dovevo risparmiare i soldi per il viaggio. Saltai giù dal letto e iniziai a correre. Riuscii al volo a prendere l'aereo per l'America. Atterrai a Chicago. Per prima cosa mi chiedetti: dove vado? Ebbene si. Vidi l'inizio del paradiso dei motociclisti, la strada per Santa Monica: la leggendaria Route 66. È vero, era chiusa, ma seguii quella strada comunque. Durante il tragitto conobbi molte persone: tra queste Hiroshi Yamauchi (il presidente della Nintendo in carica fino al 2002). Alla TV guardai il Love Aid e per il resto feci altre fermate, ma non sono degne di nota.

1989

Il viaggio era iniziato in California. Ma adesso era ora di andare da qualche altra parte. Ma dove? Non seppi rispondere, quindi tornai in California e ci vissi per alcuni anni, sostenuto da un lavoro e da Bush. Si, lo conobbi, in effetti gli salvai la vita. Non sapevo chi fosse, ma mi dette una bella somma di denaro per mantenermi, come ricompensa.

1992

Andai per il Mondo, mi fermai in Giappone, a Barcellona per le olimpiadi, conobbi Lady Di ma non fu il mio vero amore. Quindi ripartii e ricominciai a cercare.

1997

Quante persone conobbi: Tony Blair, Elton John, e divenni molto amico del gruppo dei Train, nato in un furgoncino da 2000 miseri dollari.

2001

Brutta storia quella delle Torri Gemelle. Proprio non me l'aspettavo. Ma presi l'aereo e ripartii.

2004

Decisi che era meglio cercare persone su Facebook. Pessima idea. Non mi risolse niente.

2012

Tornai nel mio villaggio d'origine. Era cambiato, e mi dissero che si era appena trasferita una ragazza. Infatti, vidi quella ragazza, e il tempo si fermò. Questo succede quando incontri il tuo vero amore. Poi però, va al doppio della velocità  per recuperare. Ci frequentammo e alla fine ci sposammo.

"Because I always know that you'll be here

With me"

Spero vi piaccia. Testo difficile, ma ne è valsa la pena.

Inviato

Samuel

Adele - "Hometown Glory"

(genere: Pop)

[spoiler]http://www.youtube.com/watch?v=BW9Fzwuf43c

La mia città  natale.

7 / 09 / 2012

"Ho camminato per così tanto tempo, per circa 19 anni direi, per queste strade.

Ho camminato sempre allo stesso modo, con lo stesso andamento ed evitando sempre le stesse crepe sui marciapedi. Marciapiedi che ormai conosco a memoria per quante volte ci ho poggiato i talloni e trascinato i miei piedi.

Ma ormai devo abituarmi all'idea che tutto questo sarà  soltanto un ricordo.

Sto per entrare in una nuova fase della mia vita, devo lasciarmi alle spalle i ricordi infantili e le abitudini rassicuranti. Lasciare la mia città  rappresenta un grande cambiamento per me, dovrò imparare ad adattarmi in fretta, non voglio sentirmi perso.

Sebbene abbia tanta paura, so già  che risponderò "No, grazie... non mi sono perso. Sto soltando facendo un giro" alle persone che gentilmente mi offriranno il loro aiuto. Questo mi servirà  a trovare la mia strada da solo, mi sarà  utile per diventare indipendente, perché dopo aver vissuto 19 anni con i miei genitori, sento un forte bisogno di indipendenza ed autonomia.

Eppure so già  che queste strade e queste case e anche gli alberi, le panchine, i negozi... mi mancheranno così tanto.

Adesso sono qui, seduto proprio su una di quelle panchine a scrivere dopo una passeggiata riassuntiva di tutto quello che ho amato e che, nonostante le nuove prospettive di vita, continuerò ad amare.

Guardandomi intorno nella mia città  natale, ogni angolo mi evoca un ricordo...

Guardandomi intorno nella mia città  natale, quante persone che ho incontrato...

Sono tutte le cose che hanno costruito il mio mondo fino a questo momento.

Ho sempre amato questa città : quando, in autunno, di prima mattina l'atmosfera si fa così opaca oppure in estate, quando tutti vanno in giro con vestiti corti.

Ho amato questa città  soprattutto quando ha fatto si che il mio mondo entrasse in collisione con il mondo di qualcun altro. Il fatto che le persone si incontrino, che creino relazioni fra di loro, relazioni di varia natura, ma sempre e comunque esperienze di vita... è tutto merito di questa città .

So già  che tutto questo, tutta questa fottuta familiarità , tutto quello a cui sono abituato, quello che mi ha fatto sempre sentire sicuro, mi mancherà , ma dovrò andare avanti, passare oltre!

Questa città  ha fatto da sfondo a tutto quello che sono stato fin ora e custodirò per sempre la sua gloria."

Inviato

Lucas_W

Il giorno di dolore che uno ha- Ligabue (Pop/Rock)

“Quando tiri in mezzo Dio o il destino, o chissà  che…

Che nessuno se lo spiega perché sia successo a te…â€

14/04/12 – 14/04/13

Già , nessuno può spiegarmi perché sia successo proprio a te.

Un anno è volato, non posso credere che sia passato interamente senza la tua compagnia.

Eri uno dei miei migliori amici, sicuramente quello più divertente e quello con cui era più piacevole passare il proprio tempo libero.

Sai, amico mio, il 2012 è stato un anno che ha modificato un sacco il nostro modo di vivere: infatti dopo il terremoto del 20 maggio, Finale non è più la stessa.

Molti dei nostri concittadini sono rimasti shoccati e sconvolti dalla disgrazia che ci ha colpiti, ma sono sicuro che se chiederai ai tuoi amici la cosa più brutta che hanno dovuto affrontare l'anno scorso non risponderanno "Il sisma".

La tua scomparsa era ancora così fresca che nemmeno la più grande calamità  che si era mai abbattuta sul nostro paese ha superato il dolore che si provava e si prova per colpa di un maledetto albero e di un fondo stradale bagnato.

Abbiamo perso tutti i monumenti storici che avevamo e sicuramente questo ci ha scossi dentro, oltre che fuori, ma la cosa che più mi ha ferito l’anno scorso è stato il brutto scherzo che ci hai voluto giocare.

Eppure vedo mia nonna, che da quella notte di Maggio fatica a dormire per l'ansia. Ha sempre paura di essere svegliata nel cuore della notte da un altro boato che ci costringerà  ad abbandonare la nostra casa e ci obbligherà  a fuggire in macchina con quelle poche cose di fortuna preparate per non farci cogliere di sorpresa una seconda volta.

Per me non è così.

La mia più grande paura è quella di svegliarmi e ricevere una chiamata come quella che presi sul ridere, dove mi dicevano che avevi avuto un incidente la notte prima andando a ballare, quando invece proprio io ti avevo portato a casa da bar dopo aver mangiato in allegria e gioia un uovo di Pasqua.

Dopo 12 mesi, appunto, credo ancora che si tratti di uno scherzo, che un giorno mi sveglierò e dirò: “C***o, che brutto sogno!†e che poi ti vedrò al pomeriggio al bar e saremo tutti allegri e felici di vederti!

Mi è successo spesso il contrario, invece. Diverse volte ho sognato di incontrarti ancora e pensare: “In fondo lo sapevo che non poteva essere vero!â€.

Purtroppo questa è la vita reale e non stiamo sognando…

“Quando indietro non si torna, quando l'hai capito che…

Che la vita non è giusta come la vorresti te!â€

Vedi, so che Ligabue non era proprio il tuo cantante preferito, ma penso che questa canzone sia quella che più mi fa ricordare di te.

Si, ammetto che non sia troppo allegra, ma per quello ci sono i ricordi che hai lasciato dentro ognuno di noi.

Perché dentro di me una parte di te vive ancora, come in tutte le altre persone che ti hanno voluto bene, e finché ci saremo noi non ti spegnerai mai del tutto.

Posso solo ricordarti che ti voglio bene e chiederti di proteggerci almeno tu, perché un angelo custode ci farebbe un sacco comodo.

Ciao Save.

Inviato

ℑcyMalloω

Pompeii- Bastille

(Pop Rock)

La città  che amavo

Dopo tanto tempo torno qui. Sono passati più di due anni da quando la città  dove ho vissuto per molti anni ha smesso di esistere. Un fortissimo terremoto l'ha rovinata, l'ha distrutta quasi completamente. Anche le poche case abitabili non ospitano nessuno. Dopo la prima, lunga scossa, ne seguirono altre, continue: gli abitanti e i vigili avevano raccomandato ai sopravvissuti di andare ad abitare in qualche altro posto. Dicevano che avrebbero ricostruito la città  in breve tempo, che avremmo potuto ritornare ad abitarci quando la situazione geologica si fosse stabilizzata. Ma si era già  stabilizzata tempo fa, e non avevano nemmeno accennato a una ricostruzione.

Tra l'altro alcuni muri continuavano a cadere sottoposti all'intemperie.

Era la città  che amavo.

C'erano grandi nuvole sopra le colline, che facevano ombra sulla città .

A ricordare la mia vita in quella città  mi vengono le lacrime agli occhi. Non posso credere che non potrò fare qui tutte le cose che facevo, anche le più comuni: andare in bicicletta, fare la spesa, giocare con i miei amici a qualunque cosa ci passava per la mente. Mi asciugoi gli occhi bagnati, e mi sforzo di sorridere, ricordando quei bei momenti. Perchè, alla fine, se chiudo i miei occhi é come se non fosse cambiato niente. Sto camminando e vedo la pasticceria. Magari, con i soldi che mi ha dato mamma posso comprarmi una ciambella, di sfuggita. Non se ne sarebbe accorto nessuno!

Verrà  ricostruita la mia città ? Non credo, come posso essere ottimista in questo momento?

Tutto quanto non sta andando per il verso giusto. Mi manca tutto, molte persone se ne sono andate quel giorno. Non potrò rivederle, mai più. E pensare che credevo che avremmo passato molti momenti della vita, insieme.

Era la città  che amavo.

C'erano grandi nuvole sopra le colline, che facevano ombre sulla città .

Ma oramai è successo, e non si può cambiare il passato. Vorrei aver avvertito tutti quel giorno, non avrei potuto salvare la città , ma loro sì.

Se chiudo gli occhi é come se non fosse cambiato niente.

E' questo che mi consola, mi consola ricordare che in questo luogo mi sono divertito, ho gioito come mi sono pentito. Ho riso come ho pianto, ero contento come triste. Ora sto correndo, per meglio dire rincorrendo. Sto giocando ad acchiapparello con il mio fratellino. Oh, ci litigo sempre. E alla fine ci ritroviamo ad inseguirci per le strade con qualcuno che urla se tifa per me o per lui. Ed io rispondo a quelli che sperano che mio fratello mi sfuggisca che aveva iniziato lui.

Non lo dimenticherò, mio fratello.

Forse qualcosa è cambiato, ma ricorderò sempre questa città  e tutto quello che ho fatto.

Mi giro, guardo i palazzi caduti, le macerie sparse per le strade, vetri dappertutto e chiudo gli occhi. Il paesaggio mi appare com'era due anni fa. E nelle case, nei palazzi, per le vie la gente mi saluta chiedendomi quando torno. Perchè, alla fine, se chiudo gli occhi è come se non fosse cambiato niente.

Non credo sia qualcosa di particolarmente bello, il tema sulla musica non é il mio forte, e poi é anche un Restricted contest. C'erano altre due canzoni che mi piacevano, ma la tematica non mi sembrava giusta. Quindi ho scelto questa.

Almeno spero di non aver sbagliato qualcosa. XD

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by secsi @Combo 

Inviato

Spero di no, un nuovo tipo sconvolgerebbe troppe cose °_°' .

Damn, fa schifo D:

Vulpah

Uno stupendo sbaglio di dio.

Song

[spoiler]http://www.youtube.com/embed/hBJ3kQO5wZ4?autoplay=1

I miei occhi, stanchi, guardavano di sbieco il soffitto dell’ospedale psichiatrico.

Ricordo solo che era d’un bianco pallido, che si imbruniva al limitare delle quattro mura per via dell’eccessiva umidità , appesantendo l’aria – già  scarsa- di quella minuscola stanza. Avrei voluto mettermi una mano sul collo e strozzarmi, invece di continuare ad ascoltare quell’omino settantenne accanto al lettino che sentenziava ipotesi assurde in merito ai miei problemi, come se ne sapesse più di ogni altra persona al mondo. Chinò leggermente il capo per riuscire a scorgere chiaramente il mio viso. Probabilmente voleva verificare quale delle mie due personalità  avrebbe preso il sopravvento qualora mi trovassi in uno stato di calma, anche se solo apparente. Cercavo di opprimere il mio odio nei confronti di quelli della sua specie, e speravo con tutta me stessa che la mia ira prendesse il sopravvento, oscurando quella parte di me che voleva provare la felicità . Non quella gioia apparente che prova un malato terminale dopo aver scoperto di avere due mesi di vita in più ma... quella vera. Mi sentii pervasa da un ingente senso di angoscia non appena scorsi la mia cartella clinica annegata tra le innumerevoli analisi disposte alla rinfusa sopra la scrivania dello psichiatra.

Nemmeno il sorriso privo di vita del simpatico orsacchiotto di peluche che campeggiava beatamente sopra il computer riusciva a distogliere la mia attenzione che s’era focalizzata su quei fogli, macchiati di parole spesso ripetute con un’assiduità  quasi morbosa, quali “psicopatico†e “schizofrenicoâ€. Avrei voluto urlare, rompere una volta per tutte quella camicia di forza pressoché invisibile che mi costringeva a restare inchiodata su quella branda ospedaliera contro la mia stessa volontà . No, non rammentavo allora d’essere una personalità  psicotica. Ero solamente un essere umano come tanti, che però poteva vantarsi di possedere un’amica unica nel suo genere... il dolore. Un vicino più esigente di quanto pensassi.

Avrei voluto levarmi quel fastidioso parassita dalla mia anima, pensavo che lui fosse esperto in questo genere di problemi, invece mi sbagliai. Non preoccuparti, dicevano. Ti potrà  aiutare, dicevano. Tutte balle. Al diavolo Freud e la psicanalisi, al diavolo quel cacciatore che affogò il mio gioioso cinguettio, la mia voglia di volare. Mi morsi rapidamente le labbra, e mie le lacrime scesero altrettanto velocemente, rigandomi il viso prima che le potessi fermare in tempo. Ogni parte del mio corpo era inerme, mi sentivo segregata una sorta di bozzolo inespugnabile sotto ogni punto di vista. Dopotutto, erano due ore che stavo lì sdraiata, attendendo che quel dannato si decidesse a risolvere i miei problemi, smettendola di fissare l’insulso taccuino sul quale erano disegnati degli schizzi di dubbia provenienza, probabilmente frutto dell’indomita vena artistica di un bambino di tre anni. Anche lui pareva insensibile al mio grido di dolore.

“Dio, ti prego, lascialo andareâ€

Si sistemò gli occhiali da vista poggiati quasi sulla punta del naso, e con due delle sue dita li spinse indietro, facendoli aderire ai suoi occhi costernati di rughe talmente pesanti che gli affaticavano la vista. Produsse un lieve suono labiale, accompagnando alle parole gesti fugaci, che io non riuscii a comprendere efficacemente. Sì, disse qualcosa, ma la mia mente aveva rimosso totalmente quel breve inciso di poco conto. Sedutosi dietro la sua scrivania, mi porse un foglietto dove i medicinali che dovevo prendere. Guardai il foglio per qualche istante, inclinando leggermente il capo. Non capii nulla di quanto scritto lì sopra. Sembrava la calligrafia di Zorro affetto dal morbo di Parkinson. L’unica parola che lessi fu: â€Atomi di litioâ€.

Se credeva che io sarei stata così stupida da dargli ascolto, era tremendamente in errore. Bipolare sì, ma idiota non lo ero.

Non ci pensai più di due volte, accartocciai quell’insulso pezzetto di carta e lo gettai per terra. Chinai gli occhi. Le piastrelle lucide del pavimento riflettevano il viso dello psicologo, visibilmente avvilito per aver perso una delle sue battaglie.

“Tutto in me è sbagliato. Si è illuso di correggermi e non e l’ha fattaâ€.

Il flebile fruscio dei miei capelli sembrava essere l’unico accompagnatore capace di confrontarmi, mentre la porta si stava chiudendo dietro alle mie spalle, trascinandosi in un tonfo sordo. Non era l’unico uscio che si era chiuso. Avevo – seppur inconsciamente- messo un lucchetto al mio cuore, e non l’avrei fatto aprire a nessuno. Quell’idiota di un dottore cercò di forzarlo, e io strinsi ancor di più la serratura. Me l’ero ripromesso un’infinità  di volta, eppure rompevo puntualmente quel patto con me stessa. Mi sarei ribellata a questa situazione precaria, ma quel momento tardava ad arrivare. Ormai non ci speravo più.

Non avrei mai imparato a convivere dal dolore, e io non mi sarei mai liberata di lui. Avrei continuato a vivere in un’assidua ricerca dell’equilibrio, in bilico tra sofferenza e felicità .

- Allora Janet, com’è andata?-.

Quel timbro di voce sembrava così familiare, eppure al tempo stesso non lo riconobbi all’istante. Mi lasciai trasportare da quelle parole emesse con una dolcezza impareggiabile, che arrivate alle mie orecchie si trasformarono in una melodia a dir poco struggente. Le mie labbra si schiusero spontaneamente in un sorriso, purtroppo effimero. Bastò che la sua mano mi sfiorasse delicatamente il viso, per far sì che scomparisse. Istintivamente, gli sferrai un gancio destro in pieno volto.

Solo dopo mi pentii per il mio gesto. Non avevo tenuto presente che ogni azione portava sempre ad una conseguenza, più o meno grave. Lui indietreggiò di un paio di passi. Sentii un gemito soffocato dalla sua volontà  di non mostrarsi un debole nei miei confronti. Evidentemente esagerai.

- Hey, calmati ti h...- un improvviso colpo di colpo di tosse non gli fece finire la frase, poi riprese – Ti ho solo chiesto com’è andata-.

- Come sarebbe dovuta andare?- dissi io, portandomi le braccia al petto.

Non disse più nulla. Mi prese per mano e mi trascinò fuori dall’ospedale psichiatrico. Cercai di trattenere con tutte le mie forze le lacrime, mordendomi la bocca. La sua presa era talmente forte da riuscire a comprimere le mie dita ossute, che quasi si consumavano, racchiuse dentro le sue. Avanzò il passo, costringendo le mie gambe a correre. Il paesaggio si muoveva fin troppo velocemente per riuscire a delinearne i contorni. Allora chiusi gli occhi, abbandonandomi a me stessa, lasciandomi trascinare totalmente da lui. Dopotutto, mi fidavo... forse. Sentivo solo i miei piedi stanchi invocare pietà  con tono lamentoso, ma non mi curai di ciò. Immersa totalmente nell’oscurità , mi trovavo in perfetta sintonia con il mio animo. Capii che la vera me stessa era racchiusa lì, in quel tetro buio che mi appariva così spaventoso, eppure, in un certo senso, intimo. E prima che potessi prevederlo ritornò quell’ingente senso di angoscia ad aggravare le mie spalle, rendendo la mia camminata piuttosto stentorea. Ero sicura del fatto che non mi sarei liberata della mia sofferenza, che sarei rimasta inghiottita in quel vuoto sconfinato, privo di qualsiasi via di fuga apparente. Invece c’era un’uscita, quella più drastica. Un cancello che si sarebbe aperto, ma non si sarebbe più chiuso. Solo con la morte, avrei trovato l’equilibrio, smettendo di restare in bilico tra la felicità  e la sofferenza.

- Eccoci, siamo arrivati-.

Finalmente. Aprii lentamente un occhio, poi l’altro. Dinnanzi a me, un’enorme distesa d’acqua dolce si espandeva per non più di cinque miglia. In lontananza, il malinconico gracidio di una rana ruppe l’atmosfera silenziosa di quel luogo. Il piccolo anfibio si lasciava trasportare dal movimento delle acque, cullato dolcemente dalla ninfea che fungeva da appiglio. L’odore pungente degli aghi di pino mi pizzicava leggermente il naso, ma non per questo poteva considerarsi fastidioso. Senza pensare a nulla, mi buttai in acqua.

Non riesco ancora a comprendere il perché del mio gesto. Probabilmente il mio minuscolo cervello ormai divenuto solamente un serbatoio colmo di disperazione, avrebbe trovato la felicità  in quel gesto estremo.

Poco m’importava dell’attrito che l’acqua esercitava sul mio corpo, impedendomi di muovere le gambe. Quella misteriosa entità  che si opponeva alla mia volontà  mi faceva sentire bene. Per far sì che quella forza mi avvinghiasse le ginocchia e divenisse parte integrante di me, smisi di dimenarmi. I miei capelli sembravano essere l’unica parte pura del corpo, si ostinavano a restare a galla. Avrei depositato sotto le macerie di quel l’abisso il mio dolore.

Sotto la profondità  di quella gora ero sola, sola con me stessa.

Avevo paura.

La solitudine era l’assenza della felicità , quell’ideale di sentimento che mi ostinavo a non trovare. Mi presi la testa con le mani cercando di affondare –inutilmente- le dita nel cranio. Rinnegavo la carenza d’ossigeno, ormai prossima. Stavo sbagliando. Non avrei imparato a convivere con la mia sofferenza così.

Stavo permettendo alle mie pene di impossessarsi del mio corpo, di ucciderlo.

Ogni cosa era migliore rispetto alla solitudine.

Annaspavo faticosamente nella vischiosità  dell’acqua, cercando di raggiungere il pallido bagliore lunare. Sembrava quasi che si prendesse gioco di me, guardandomi dall’alto del cielo, nero come la mia inutile esistenza.

Dopo un po’ di tempo riuscii a darmi la spinta giusta, e i miei polmoni potettero scampare dall’atrofizzazione. L’acqua adesso mi lambiva il seno. I miei capelli, che dapprima si muovevano fluidamente, erano diventati una massa stopposa che avvolgeva il collo in una morsa. Con un rapido gesto, le mie dita esili sfiorarono la mia guancia, aperta di una patina d’acqua che al tatto sembrava di una consistenza vetrosa. Non riuscivo ancora a focalizzare con precisione il paesaggio circostante. Strofinai gli occhi. Non appena lo vidi appoggiato al tronco di un albero che aspettava invano il mio ritorno, uscii dal lago, correndo come non avevo mai fatto prima d’allora. Mi gettai tra le sue braccia, affondando la testa sotto il suo addome. Lo stringevo forte, avevo paura di perderlo, di restare sola. Mi sentivo finalmente felice. Il mio dolore però era ancora lì, dentro di me. Non se ne sarebbe mai andato, sarei sempre stata in bilico tra sofferenza e disperazione. Quel breve momento di gioia era solo effimero, come tutti gli altri.

Gridai. Ero stufa di questa eterna lotta contro me stessa, una battaglia che non avrei mai vinto.

Mai.

L’uomo è stato creato con delle emozioni.

Può provare gioia come può provare sofferenza.

Può credere di aver imparato a non sbilanciarsi.

Può credere di aver imparato a convivere con il proprio dolore.

Ma saranno sempre e solo mere illusioni.

L’equilibrio corretto tra i sentimenti è relativo.

Inviato

Ilaria.

"A Thousand Year" (Genere: Pop) [/color

]http://www.youtube.com/watch?v=q9ayN39xmsI

I want just stop breathing

Note dell'autrice: [Per non far chiedere a nessuno: “di che accidenti stiamo parlando?!â€]

Fandom: Merlin BBC

Personaggi: Merlin, Arthur

Note varie:

- Canzone: A Thousand Year; Genere: Pop

- Missing Moment Post 5x13 (ultima puntata della serie, nella quale si va a scoprire l'immortalità  di Merlin e in cui avviene la morte di Arthur). Il missing moment, esattamente come l'ultimissima scena della serie, è ambientato non nel medioevo, come tutto “Merlin BBCâ€, ma nel nostro presente.

- Le parti in corsivo sono ricordi e sono un po' inventati e un po' presi dall'episodio.

- C'è una piccola, minuscola battuta che ho lasciato in inglese, perché non potevo proprio metterla in italiano: “once and future kingâ€, che significa “re del passato e del futuroâ€.

I want just stop breathing

Arthur rispondeva sempre meno agli stimoli: più il tempo passava, più a Merlin capitava di dover attendere per ottenere una risposta.

Gli stava scivolando via e Merlin non sapeva come fare per trattenerlo.

«Arthur? Arthur?» chiamò ripetutamente.

Merlin aprì gli occhi improvvisamente – troppo improvvisamente – e subito li richiuse, quando la luce del giorno ferì le sue pupille e una fitta alla testa lo colpì.

Aspettò qualche istante e ci riprovò, più piano, questa volta.

Si sollevò leggermente, aiutandosi con i gomiti, anche se il dolore alla testa continuava a torturarlo e non accennava a calmarsi.

Si guardò intorno e non vide che alberi, monumenti e panchine. Riconobbe di trovarsi in un parco pubblico, steso su una panchina, anche se non ricordava come ci fosse arrivato.

In realtà , non sapeva nemmeno che giorno fosse, solo che non gli importava nulla di conoscere questi dettagli insignificanti.

Era estate e la mattina sembrava essere piuttosto calda – non aveva idea neanche dell'ora, riconobbe -, ma Merlin si sentiva abbastanza infreddolito e istintivamente incrociò le braccia al petto e piegò le gambe fino a farle scontrare con le braccia.

Passare la notte fuori non gli aveva certamente fatto bene.

Mentre si abituava alla temperatura esterna, fece scorrere lo sguardo lungo il parco, soffermandosi sulle persone che vedeva passare. Qualcuna di esse si girò a guardarlo e Merlin non aveva bisogno di saper leggere nel pensiero per capire cosa stessero pensando, lo comprese dagli sguardi di disapprovazione che riceveva.

Era un ragazzo giovane – all'apparenza -, che aveva trascorso la notte fuori, su una panchina al parco, non si lavava da giorni, aveva i capelli scompigliati e i vestiti sporchi, mentre intorno a sé giacevano bottiglie vuote.

Merlin pensò che l'espressione più adatta per descrivere la situazione fosse che “aveva bevuto fino ad uccidersi†e, forse, era proprio quella l'intenzione nascosta dietro al suo gesto, se solo fosse stato possibile. Ma sapeva chenon sarebbe accaduto, qualsiasi cosa avesse provato a fare per riuscirci.

Si lasciò scivolare addosso gli sguardi della gente che passava, non gliene importava nulla, non gli importava più di niente.

Scoppiò a ridere, all'improvviso, senza una ragione ben precisa e senza divertimento alcuno. Com'era nata, la risata si spense e si trasformò in qualcos'altro: un pianto convulso e con singhiozzi rumorosi, che gli colorò il viso di rosso e gli fece scorrere lacrime lungo le guance.

Era immortale e solo, non gli era rimasto niente, non aveva più uno scopo.

Anzi, si corresse, uno scopo ce l'aveva in effetti, qualcosa a cui si aggrappava da...

Quanti anni erano passati? Più di mille, meno di duemila, era da parecchio che aveva smesso di contarli. L'unica cosa che aveva continuato a fare, invece, senza mai demordere, era aspettare.

Il suo ritorno.

Ultimamente, però, quell'ultima, piccola cosa a cui si aggrappava da tempo gli stava scivolando via. Aveva creduto, aveva continuato a sperare che Arthur sarebbe tornato da lui, finalmente, ma non era mai accaduto.

Il drago glielo aveva promesso, ma gli aveva anche promesso che Arthur sarebbe diventato il re che avrebbe regnato su Albion, che avrebbe riportato la magia, ma nulla di tutto questo si era avverato.

Ormai non credeva più che lui sarebbe tornato.

Once and future king, recitò nella sua mente, ma gli sembrava impossibile che il mondo avesse bisogno di un re, ora come ora, non in quei tempi moderni. No, l'unico ad aver davvero bisogno di Arthur era proprio Merlin, perché lui era a pezzi e non gli importava più di nulla.

Avrebbe voluto solo smettere di respirare.

Arthur aprì gli occhi e lo fissò per un momento come se non lo vedesse, poi i suoi occhi riacquistarono lucidità . «Sì, dimmi?»

Merlin gli posò una mano sulla guancia. «Resistete ancora un po', siamo quasi arrivati, poi potrete riposarvi» gli disse dolcemente e sorrise, anche se dentro si sentiva morire.

Non sapeva quanto tempo fosse rimasto lì, immobile, prima di riscuotersi e asciugarsi gli occhi umidi. Spostò le gambe dalla panchina e le posò sul terreno, finendo per urtare le bottiglie ai suoi piedi. Una di esse si rovesciò e Merlin notò che non era ancora vuota. La prese prima che l'alcool si rovesciasse sul terreno e inghiottì il contenuto d'un fiato.

Non si era ancora ripreso dalla precedente sbornia, ma non gli importava, avrebbe voluto solo smettere di pensare, di sentire alcunché.

Merlin avrebbe voluto così tanto dimenticare Arthur, perché la sofferenza per quei secoli d'attesa non riusciva più a sopportarla.

Nel corso degli anni, aveva provato a vivere, a non sviluppare la sua esistenza tutta attorno all'attesa, ma aveva funzionato solo per brevi periodi, perché non era facile essere l'unica persona al mondo a non andare avanti.

Dopo la morte di Arthur, aveva vagato per il mondo, continuando ad esercitare le sue arti magiche in segreto, come aveva sempre fatto.

Non era riuscito a rimettere piede a Camelot, non era più il suo posto. Dopo alcuni decenni, quando era stato già  troppo tardi per cambiare idea, si era pentito di quella sua scelta, che gli aveva impedito di rivedere le persone a cui era più affezionato, salvo poi considerarla quella giusta. Almeno non aveva dovuto assistere all'invecchiamento e alla morte di tali persone davanti ai propri occhi.

Quella condanna causata dall'immortalità  era qualcosa con cui doveva fare i conti tutti i giorni.

Questo era anche il motivo per cui aveva smesso di stringere legami con chicchessia.

Stare in solitudine lo faceva sentire meglio. Non doveva più preoccuparsi per nessuno, non doveva tenere a qualcuno per poi, inevitabilmente, perderlo.

Merlin lasciò cadere la bottiglia sul terreno e controllò le altre per accertarsi che non fosse rimasta qualche goccia da bere. Fece una smorfia, quando apprese che l'alcool era finito e avrebbe dovuto spostarsi da lì se voleva procurarsene dell'altro.

Si alzò in piedi e barcollò un po', ma riprese in fretta l'equilibrio.

Aveva la mente un po' annebbiata – anche se non abbastanza -, ma gli sembrava ci fosse un supermercato vicino al parco, dove avrebbe potuto procurarsi quello che gli serviva.

Attraversò il parco a testa bassa, camminando piano ed evitando un contatto diretto con i raggi del sole, che lo infastidivano.

Quando entrò nel supermercato, pensò che doveva essere più presto di quanto avesse immaginato, visto che esso aveva aperto da poco e c'erano pochi clienti.

Passò davanti ai vari scaffali senza degnarli di un grande interesse, se non fosse che il suo stomaco scelse quel momento per farsi sentire e ricordargli che doveva anche mangiare, di tanto in tanto.

Non che potesse morire di fame, questo no, ma la sofferenza per uno stomaco vuoto, il bisogno di sfamarsi, continuava a provarli.

Prese un sacchetto di quel cibo moderno importato dall'America – le patate -, un po' di pane e altro cibo spazzatura vario, poi si dedicò al vero motivo della sua presenza in quel posto.

Bere per dimenticare, se solo fosse stato vero.

Un incantesimo sarebbe stato molto più utile ed efficace, ma non ne esisteva uno che potesse auto-imporsi, per ottenere ciò che voleva.

Aveva cercato in decine e decine di volumi di magia, consultato maghi – era sempre più difficile trovarne uno vero -, ma ne aveva ricavato solo un'altra delusione.

Forse era anche per questo che si era lasciato andare in quel modo.

Prese le bottiglie dal reparto e in pochi minuti fu fuori dal supermercato, con i suoi acquisti dentro un sacchetto stretto tra le sue braccia.

Non ritornò al parco, proseguì nella direzione opposta, camminando sul marciapiede, senza una meta precisa.

Dopo alcuni metri, prese una delle bottiglie dal sacchetto e tolse il tappo con un incantesimo. Non gli importava che qualcuno potesse vederlo, nel ventunesimo secolo quasi nessuno credeva alla magia, chiunque avrebbe pensato ad una più razionale spiegazione, per quanto errata potesse essere.

Certo, di quei tempi i maghi e le streghe non erano più perseguitati come nel Medioevo, ma quanto poteva valere quel miglioramento di fronte al fatto che ora era difficile trovare qualcuno che credesse all'esistenza della magia?

Raggiunse un ponte che attraversava il fiume situato nel centro della città . Scavalcò il muro in pietra che delimitava il ponte e si sedette su di esso, con i piedi che penzolavano sopra la distesa d'acqua.

Merlin posò il sacchetto al suo fianco e spostò lo sguardo verso l'orizzonte.

Il sole si faceva via via più alto e illuminava e scaldava tutta la città  su cui stanziava Merlin in quell'ultimo periodo.

Viaggiava spesso, spostandosi da un posto all'altro e senza mettere radici da nessuna parte. Non capiva perché continuasse a sopravvivere. A cosa serviva essere un mago molto potente – il più potente, a dette delle leggende errate che circolavano su di lui -, se il suo scopo nella vita non esisteva da più di un millennio e non era nemmeno ritornato?

A volte pensava che la sua fosse una sorta di punizione, per non essere stato abbastanza, quando si era reso necessario.

Se quello era il prezzo da pagare per il suo fallimento, forse lo meritava, ma ciò non toglieva che era doloroso e lo stava distruggendo.

Sollevò le gambe e le avvolse con le braccia, nascondendo poi il viso contro di esse.

Il giorno era ancora lungo e, quando fosse finito, ne sarebbe seguito un altro, uguale al precedente. Perché Arthur gli mancava in un modo che non era possibile quantificare a parole e non c'era nulla che potesse fare per cambiare la situazione.

«Grazie» disse Arthur.

Merlin aveva sperato spesso che quella parola gli venisse rivolta, che fosse riconosciuta la sua utilità , ma non così.

Se dovevano essere le ultime parole di Arthur per lui, allora non gli importava nulla dei ringraziamenti, voleva solo il suo re, con tutta la sua asineria e il suo pessimo carattere.

Arthur gli rivolse un ultimo sguardo, chiuse gli occhi e smise di respirare.

Il mondo di Merlin si fermò improvvisamente.

Inviato

STEFAN 28

IMAGINE DRAGONS- RADIOACTIVE

Caldo.

Ho , ecco cosa provo; non ricordo nemmeno il mio nome,l'unica sensazione che provo è il calore:n on so chi sono,dove sono, perché sono qui.

A stento riesco ad aprire gli occhi e vedo il cielo; non è il cielo di sempre, quello celeste con mille nuvolette bianche, ma un cielo completamente vuoto e di un colore strano come arancione-verdognolo.

Mi alzo con grande fatica; sono nudo con qualche straccio di vestiti qua e la... non vedo l'orizzonte intorno a me c'è il vuoto piu totale.

Comincio a ricordare qualcosa ma non elaboro bene le immagini nella mia mente: vedo un uomo,forse coreano, e poi un grande flash nel cielo..Sono immagini offuscate non riesco a capire.

Comincio a camminare ma dopo due secondi le mie gambe cedono: preso dalla disperazione mi accascio e comincio a urlare fino a perdere il fiato.

Sempre piu nervoso e disperato, inzio a correre.. penso di non aver corso cosi in tutta la mia vita.

Comincio a vedere delle tende blu,come quelle per i terremoti, e mi avvicino: dentro trovo una decina di persone; si alza un uomo :alto,nero, possente.. mi squadra un po e urla: Emma ne abbiamo un'altro, siamo a 89.

Le altre persone mi danno dei vestiti e mi fanno sedere.. mi fanno delle domande e mi spiegano cose.. il tutto è cosi confuso e distorto e a stento riesco ad afferare i concetti base.. poi l'illuminazione: mi dicono che è scoppiata la terza guerra mondiale, che la corea del nord purtroppo non c'è l'ha fatta a causa di una bomba da parte degli americani. Mi dicono che sono probabilmente un europeo venuto in corea del sud in vacanza.

Ricordo tutto sempre di più, ricordo della mia famiglia e dei miei amici, e ricordo di chiamarmi Steven. Mi ricordo anche che con me c'erano tre amici miei; jessica, sara, e David. Non so dove sono. Vago per tutte le tende blu fino a non ritrovare David; mi abbraccia e piange con me , dicendomi che Sara e Jessica non c'è l'hanno fatta.

Passano due giorni. Dormo nella tenda con David e quando mi sveglio lo sento russare. Mi sento strano e i miei occhi sono lucidi: con molto stupore vedo le mie gambe alzarsi in aria.Non capisco cosa succeda, penso sia un sogno e torno a dormire.

Passano 3 mesi. Gli strani fluttuamenti aumentano e non sembro essere il solo ad avere queste strane qualità : c'è chi muta la faccia, chi cambia la voce, chi ha una potenza inaudita.

Passano 2 anni: gli umani sopravvisuti alla bomba sono 309 in tutto il mondo. Tutti con strani poteri radiotttivi.E' una nuova era, una nuova era di uomini radioattivi con poteri sovranaturali.

Inviato

Alla fine l'ho scritto anch'io. é una specie di favola e non penso che vincerà  niente (à§_à§), ma non importa perchè per me ha un significato che mi piaceva trasmettere.

Spero non sia troppo lunga XD

video con la canzone (è una soudtrack di "Princess Mononoke" sinfonica, quindi ho ambientato il tutto a corte - o in più corti)

Storia

Vi racconterò una storia, che dentro la storia sarà  raccontata.

Quanti di voi, specie le fanciulle, hanno mai sognato di vivere a corte; ricchi ed importanti, fin dalla culla?

Ecco; or vi dico: una bambina lo era, un po’ di tempo fa.

Una futura duchessa; giocava sempre alla guerra, correndo per corte. Voleva essere lei, moglie di un grande colonnello e conquistare grandi terre. Non sapeva che il gioco, ben lungi dall’essere il vero, era solo un immagine sbiadita di una verità  che non esiste.

Un saggio di corte un giorno volle allora prenderla con sé. L’anziano signora aveva visto la guerra e non condivideva l’allegria che la piccola mostrava a riguardo, così disse <<Perché vorresti vivere una guerra piccina? Tu che vivi in un piccolo mondo di gioie qui a palazzo?>>

La futura duchessa rispose di rimando <<Se sposerò un grande condottiero potrò avere tantissime cose e tutte le persone del mondo mi ammireranno!>>

Il vecchio dallo sguardo perplesso disse allora <<Ma non è più bello guardare il mondo invece di far si che il mondo guardi noi?>>

<<Assolutamente no!>> fece una smorfia, infastidita. Come poteva quel vecchio, dire una simile fesseria?

<<Lascia allora che ti racconti una storia. Di un re potente, che voleva anch’essi avere tutte le terre per sé>>

E il saggio di corte cominciò a raccontare.

<<In un mondo lontano, ma simile al nostro. Stava un Leone come re, seduto su un trono. Aveva la criniera più folta e maestosa che si potesse vedere in tutto il reame e per questo egli voleva che tutto il mondo lo guardasse con ammirazione.

Vedi piccina, quelle terre erano divise in due regni soltanto, che le ricoprivano tutte. Una apparteneva al regno animale e il Leone lo comandava. L’altro lato apparteneva al regno vegetale e la più maestosa delle rose sedeva su un trono fatto di foglie di fico. Ella aveva i petali blu e bianchi, bordati d’oro.

Tuttavia, nonostante la sua magnificenza, il re Rosa non era presuntuoso, ed anzi era un re buono e giusto e tutti lo amavano.

Non è che questi due regni non si incontrassero mai, bada, tutt’altro invece. I fiori e le piante coloravano tutto il mondo e profumavano l’aria. Gli animali invece viaggiavano nel regno vegetale per portare la loro gioia e la loro compagnia e tutto era bello e sereno. Come un'unica corte perfetta.

Ma il seme del male si assidia anche nel più bello dei prati. Il re Leone infatti era invidioso della bellezza del re Rosa e voleva che tutto il mondo, compreso il regno vegetale, ammirasse solo lui e la sua maestosa criniera.

Giunse così il giorno in cui il profumo nell’aria cambiò, da quello dolce dei fiori, a quello aspro della guerra.

Ho le piante si difendevano coraggiosamente! Le querce e gli altri grandi alberi sferzavano coi loro rami e lanciavano le scaglie delle loro cortecce. I cactus poi! Loro si che erano veri guerrieri! E come combattevano i piccoli non ti scorar di me; cos’ piccoli, ma così tanti!

Potevi vedere un mare ondeggiare, come mosso dal vento, fatto solo di colori e scie di foglie e rami.

Ma...alla fine... cosa poteva tutto questo, contro le zanne dei più mastodontici elefanti ed agli artigli del grizzly, o l’immensa balena che solo tuffandosi in acqua spazzo via metà  esercito nemico con un ondata? Le piante così, furono tutte strappate, estirpate e schiacciate. E quando il re Rosa vide tutto questo. Colmo di dolore appassì, perdendo tutta la sua bellezza.

Il re Leone aveva vinto e prese possesso di entrambi i regni.

Orgoglioso di se stesso si sedette comodo e la vita del regno animale – che ora comprendeva tutto il mondo – riprese e sai come finì?>>

<<Bè, il re aveva vinto perché era stato un bravo condottiero e perché era il più maestoso e quindi ha preso tutto!>> esclamò la ragazzina tutta orgogliosa.

<<Certo...>> continuò il saggio <<Tuttavia qualcosa era cambiato e il re se ne accorse con dolore. Non c’era più colore nel mondo. Non c’era più profumo nell’aria. La terra era morta, poiché anche i più piccoli fili d’erba erano stati tranciati via. Il re aveva vinto tutto si, ma cos’era tutto? Una landa desolata e più brutta di quanto fosse la sua terra in origine e chi stava ad ammirarlo? Inizialmente gli stessi animali che da sempre lo avevano seguito, quindi nemmeno in questo, aveva conquistato qualcosa di più. Inoltre dopo poco tempo, anche i suoi stessi sudditi cominciarono a guardarlo con disprezzo poiché ora vivevano in un mondo orribile. Così la lucente criniera finì per ingrigire, proprio com’era appassito il re Rosa. Alla fine il re capì, che vincendo, aveva perso tutto.

<<Capisci quello che ti sto dicendo piccola mia?>>

La bambina aveva le lacrime agli occhi e semplicemente disse <<Non voglio un mondo senza fiori>>

Inviato

• Beckill •

• "Alzati Teresa!" ~ Negrita •

"Stand in the rain"

Guardo la pioggia cadere.

Lo facevo spesso da bambina.

Tutti erano tristi quando c’era la pioggia.

Io no.

A me piacevano quelle goccioline che nascevano dalle nuvole e cadendo ripulivano il mondo, scivolando sulle foglie, sui petali dei fiori, accarezzandoli dolcemente, per poi cadere e riunirsi finalmente in pozzanghere per terra, di nuovo insieme.

E poi la mamma faceva sempre la cioccolata coi marsh-mallow, quando pioveva o uno di quei suoi deliziosi the alla vaniglia.

Accendeva un bastoncino di incenso e si avvolgeva insieme a me sotto una coperta, mentre io continuavo a guardare incantata quella strana danza acquatica.

Era tutto così bello, era tutto così semplice, davanti ai miei grandi occhi da bambina, color cioccolato, come quelli del mio papà .

Il mio papà , che quando pioveva e tornava dal lavoro mi toglieva dal bozzolo in cui la mamma mi avvolgeva, mi vestiva di un poncho giallo come i raggi del Sole, che si nascondeva dietro alle nubi. Mi portava a giocare, io saltavo felice nelle pozzanghere, imbronciandomi ogniqualvolta uno schizzo di fango raggiungeva il mio naso e mio padre scuoteva la testa ridendo.

A me piaceva la pioggia. Era mia amica, la sentivo tale, perché quando pioveva nessuno era per le strade del mio quartiere. Potevo vagare cantando tra me e me, senza che nessuno potesse giudicare, assaporando l’odore dell’asfalto bagnato, dimenticandomi per un po’ dei miei problemi di ragazza appena quindicenne. Sembrano momenti così lontani, eppure sono passati solo due anni.

Strano come la vita sia un dono bellissimo ma non le diamo importanza. Strano come ognuno viva la sua vita senza accorgersene, giungendo alla fine di ogni giorno quasi annoiandosi. Strano quando ti accorgi di ciò perché nel giro di mezz’ora la tua vita si è ribaltata completamente, trasformandosi nel peggiore degli incubi.

Anche quella sera maledetta pioveva. La sera maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre.

[Come, allora, si può dire che la vita sia un dono?

Come si può dirlo quando accadono cose così terribili?

Come si può dire che il destino non esista?

Come si può vivere in questa sorte che non dà  gioia?]

Conservo solo ricordi spezzati di quella sera in cui due criminali non si accontentarono di rubare la macchina su cui io e la mia mamma viaggiavamo. Lo scoppio di uno sparo, la macchina che sbanda. Mi sottrassero mia madre, la cui unica colpa era quella di aver provato a difendermi. Mi sottrassero la mia dignità . Quel giorno non persi solo mia madre, ma anche me stessa. Pioveva. Pioggia fredda ed estranea. Era diversa. Ero diversa. Ero spezzata.

Scosto lo sguardo dal vetro freddo e un po’ appannato e vedo mio padre sulla porta. I suoi occhi cioccolato spenti. Proprio come i miei. Sempre uguali, io e mio padre.

Anche la sua vita è stata rivoltata come un calzino.

Mi fa un mezzo sorriso e mi porge una tazza di cioccolata calda.

La prendo, godendomi per un po’ il calore emanato dalla tazza e il profumo dolce di quella bevanda in grado di evocare così tanti ricordi.

Vedo che guarda il mio basso-ventre. Lo imito. Mi si attorciglia lo stomaco.

Mio padre fa per dire qualcosa, ma mi alzo in piedi interrompendolo, abbandonando sul davanzale il calore di quella tazza.

Le ginocchia non la smettono di tremare. I medici dicono che è per lo shock che quella sera mi ha causato, che mi sarebbe passato presto.

Non so se crederci o meno.

Esco sotto lo sguardo impotente di mio padre.

Mi copro il più possibile. Il pensiero che anche solo una goccia di questa pioggia così fredda, viscida ed estranea mi tocchi mi fa rabbrividire. Mi sembra di risentire il peso e la puzza di alcool di quell’uomo ancora su di me.

Sento lo stomaco contrarsi e la voglia di vomitare salirmi in gola. Non succede nulla, il mio stomaco è vuoto, da giorni.

Poi qualcosa cattura la mia attenzione, distraendomi per la prima volta in due settimane.

Una musica. Giro l’angolo.

Sono due ragazzi, due artisti di strada. Cantano e suonano.

Uno è biondo e canta come se non ci fosse un domani una canzone di speranza, di forza, di coraggio.

La conoscevo, ma non le avevo mai dato importanza.

Fino ad ora.

Mi avvicino, come attratta da una gigantesca calamita.

Sento un calore crescere.

Lui sembra notarmi e, come si mi stesse parlando direttamente, canta.

Sogna Teresa, non piangere

Hai una ragazza da crescere

Il destino è una nostra bugia

E niente è come la forza...

Dentro di te!

L’altro ragazzo invece ha dei capelli che mi ricordano la fuliggine e gli occhi neri più profondi che abbia mai visto.

Suona la chitarra elettrica dietro al suo amico biondo, un piede sull’amplificatore. Il suono che produce mi fa venire la pelle d’oca, tanto è intenso.

E’ bravo. E’ piegato sul suo strumento. Ci mette l’anima.

Qualcosa cambia dentro di me. La mano che era sul mio addome smette di stringere la giacca e si porta sul cappuccio. Lo tolgo e lascio che la pioggia mi tocchi e mi sfiori. Sembra lavare via ogni sofferenza. La chitarra canta insieme al ragazzo biondo e io, inconsciamente, comincio a cantare insieme a lui l’ultima strofa di quella canzone.

Il ragazzo mi sorride, mi prende per mano e, saltando nelle pozzanghere di quella strada, cantiamo.

Alzati Teresa che è tempo per ballare

Sopra a questa sorte che gioia non da

Cuore pompa sangue che voglio vivere

E sputa via la morte...

Dietro di te! Dietro di me!

Il mondo non esiste più, esistiamo solo io e lui. E il suono del canto di quella chitarra blu notte. L’assolo è lungo e io sento una forza che mai avevo sentito prima. Scende lungo la spina dorsale e poi risale.

La forza del mio cuore che batte. La forza di una vita nuova dentro di me.

La forza per alzare la testa, la mia volontà  che rinasce e il coraggio per crescere.

Il destino è solo una bugia.

L’acqua salta anch’essa dalle pozzanghere sotto le suole delle mie scarpe, sembra brillare di nuova forza, tornando l’amica che era un tempo.

Finisco per terra, non so come, mentre il riverbero della chitarra si spegne. Sento l’acqua che bagna i miei jeans neri, ma non mi importa.

Mi sento viva.

E sento anche la vita innocente che cresce dentro di me.

E’ vita, è un dono.

Vedo una mano protesa verso di me. Alzo lo sguardo dalle Vans grigie zuppe, incontrando due specchi azzurri.

Ancora la canzone mi torna in mente.

Alzati, Teresa.

E lo faccio.

Mi alzo, reggendomi a quella mano, per la prima volta, davvero, andando incontro alla vita.

----------

“Mamma!â€

Abbasso lo sguardo, vedo una testolina ramata scendere dalle braccia del nonno e correre verso di me.

Lui mi guarda con quei suoi occhi cioccolato, pieni di una nuova luce.

Papà .

Sento tirarmi la manica della giacca.

“Perché stai sotto la pioggia mamma?â€

Le accarezzo i capelli rossi, come quelli della mia mamma.

“Perché la pioggia è mia amica - le dico sorridendo – e un’amica, quando torna, bisogna sempre salutarla, non è vero tesoro?†un altro sorriso emerse dalle mie labbra.

Mi guarda un po’ confusa con il suo sguardo cioccolato per poi sorridere e annuire con vigore, sedendosi con me sull’erba e lasciando che la pioggia la bagnasse.

Restammo sedute per un tempo indefinito finché non sentimmo una voce chiamare.

Apro gli occhi.

La pioggia ormai ridotta a qualche goccia sparuta.

In lontananza vedo una chioma bionda agitare le braccia sorridendo.

L’angelo che mi salvò.

Mi alzo e porgo la mano alla mia bambina.

Sorrido.

“Alzati, Teresa – dico – andiamo?â€

Mi stringe le mano con la sua più piccola alzandosi.

Guardo le nostre mani congiunte convincendomi che la mia forza e il mio coraggio risiedono in realtà  tra quelle dita così piccole.

“Si, mamma!†e corre via, agitando i capelli rossi sulla piccola schiena.

Alzo lo sguardo e vedo un raggio di Sole.

[sei stata forte. Non sei crollata e questo è il tuo premio. Sii felice.]

Sospiro, prima di correre dietro a quel mio piccolo miracolo.

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Inviato

HyperSamurott

Brave Heart - Kouji Wada

Shinkaaaaaa !

Ero solo... Triste... A nessuno importava di me..

Però, proprio quando pensavo che nulla potesse migliorare le cose, vidi uno spiraglio di luce...

Mi si avvicinò un ragazzo molto alto, dall'atteggiamento apparentemente freddo e riservato, che mi disse " Non rinunciare mai al sorriso. Non smettere mai di essere felice. Le cose belle della vita le hai a portata di mano ma non te ne rendi conto. Poco importa se le cose vanno male, tutto si aggiusterà . Devi solo non arrenderti mai e riprenderti ! Però tu sei l'unico che può aiutarti veramente a tornare sulla retta via... Prosegui ! " .

In un primo momento non capii a pieno quelle parole . Dopo qualche giorno lo rividi e notò che sul mio volto era presente la stessa ed identica espressione dell'altro giorno .

"No ragazzo, non ci siamo... Non hai ben capito... Realizzali, quei sogni tanto desiderati ! Non dimenticarli, gli amici che hai ignorato ! In quel momento diverrai migliore, e tu lo sai. Dentro te c'è un animo forte, alimentalo e non scoraggiarti. Tutto ciò in cui tu credi prima o poi si realizzerà ... Mostrami la tua forza di volontà  e credi nel tuo cuore ! " .

Questo discorso fu enigmatico almeno quanto il primo ma riuscì a capire la chiave di tutto: dovevo credere in me e nelle mie possibilità .

Per questo motivo, iniziai ad uscire dal guscio in cui mi ero rinchiuso. Ripresi a frequentare i miei vecchi amici, a fare sport e a dialogare senza problemi con gli altri.

Mi sentivo, dopo tanto tempo, sollevato. Capivo di essere vicino al ritornare il vecchio me che tanto avevo desiderato tornare e che ciò sarebbe stato possibile solo grazie alla mia volontà  e al mio coraggio.

Passarono alcune settimane e rividi finalmente quello strano ragazzo. Stavolta sembrava stranamente più allegro e mi disse : " Era da molto che non vedevo una smorfia che somiglia ad un sorriso sul tuo volto. Hai fatto dei progressi e ne sono molto felice. La Depressione è una brutta cosa ma devi riuscire a sconfiggerla. Hai capito che non sempre è presente il sole ma hai anche appreso che quando piove non puoi far altro che ripararti con l'ombrello. Allo stesso modo, stai cercando un rimedio alla tua Depressione e sei quasi ritornato quello di prima. Non c'è un modo prestabilito di vivere o di fare le cose, ognuno ha il suo. Trova il tuo e vedi che ogni cosa tornerà  come prima ! Prefissati come meta il superare i tuoi limiti. Quando ci riuscirai scoprirai un nuovo te stesso, e tu lo sai ! Dei valori misteriosi sono nascosti dentro te , scoprili e coltivali da dentro il tuo cuore... Sebbene in esso ci sia ancora tanto dolore, presto questo cesserà ... Show me your Brave Heart ! " . Dopo questo, come suo solito, se ne andò senza farmi parlare... Le sue parole mi furono molto d'aiuto in quel periodo buio e solo allora capii la sua importanza e di quanto lui, nonostante il carattere apparentemente freddo, fosse in realtà  affettuoso e un mio grande amico. Seguii i suoi consigli e migliorai moltissimo. Iniziai a fare cose più pericolose che non avevo mai fatto prima in vita mia, ripresi a leggere e a scrivere Creepy , da sempre il mio più grande passatempo, e superai tutti i miei record sia nelle prove fisiche che in quelle scolastiche. Mi sentivo stranamente bene... Come se fossi rinato !

A quel punto inizia a prefissarmi delle mete : " Devo arrivare a quel domani radiante e pieno di speranze per me, devo star vicino alle persone che amo... Allora si che sarò migliore, lo sto già  notando ! Distruggerò la mia parte più debole, spezzerò i legami che mi racchiudono e poi rinascerò, come una persona nuova... Io ce la farò ! " .

Dal giorno in cui mi prefissai quei buoni propositi passarono due settimane. La mia vita era ripresa come al solito. La mia parte debole, quella depressa, era stata totalmente debellata. Questo solo grazie all'aiuto che quel ragazzo mi aveva fornito con le sue parole. Con molto impegno e con molta volontà  ero finalmente rinato ed ero una persona nuova... una fantastica persona.

Quello stesso giorno vidi nuovamente quella persona... Era stranamente felice.

"Hai fatto delle mie parole la tua unica fonte di forza... Sei unico, ragazzo ! Mi hai mostrato il tuo cuore coraggioso ed ora sai che devi fare. Ricordati che mi devi un favore... Believe in your heart ! " disse, con quel suo stupendo sorriso, mentre si allontanava da me...

Ti ho mostrato il mio cuore, ho creduto alle tue parole ... Tra poco ti ricambierò il favore !

Dedicato a K

Inviato

Saphira

She Wolf (Falling To Pieces) - David Guetta ft. Sia

Genere: dance

[media

]http://m.youtube.com/#/watch?v=PVzljDmoPVs&desktop_uri=%2Fwatch%3Fv%3DPVzljDmoPVs

Felice di andarmene

Ero sola.

Mi hai lasciata

sola nella notte,

come ferita

da una freccia.

Lei é come te:

lupa famelica,

occhi gialli e

lunghi artigli.

Hai mentito

e lei mente a te;

te lo meriti:

sei bugiardo.

Ora son guarita

non più ferita e

sono felice

d'esser libera.

Non eri per me,

con lei non potrei

competere mai;

va bene così.

Tra te e me è

finita la caccia.

Contenta perché

non ti vedrò più

vado via.

Inviato

KEKKO33, ci provo, giudici, scusate se l'ho fatto all'ultimo momento, ma non mi veniva proprio niente

Il mio racconto è ispirato alla canzone What a wonderful world

RACCONTO, UN MONDO DIVERSO

Cosa posso fare, una giornata tipica equivale a nulla di meraviglioso, non si può fare nulla solo stare steso sulla paglia a dormire tutto il pomeriggio, nient' altro.

Non potevo mai immaginare cosa stava per succedermi, stavo per uscire da questo da questa città  buia, inquinata e affollata, stavo per vedere un mondo esterno, che non avevo mai visto.

Ero appena uscito dalla stalla, quando un cavallo passo e mi investì.

Al mio risveglio vidi il mio stivale attaccato al cavallo, dopo qualche minuto passato per riprendere i sensi mi voltai e rimasi sbalordito da ciò che i miei occhi vedevano.

Vedo alberi verdi, anche rose rosse

Le vedo sbocciare per me e per te

E fra me e me penso, che mondo meraviglioso

Alzai il capo e non vidi il solito cielo nuvoloso che non c'era il solito cielo scuro, ma

Vedo cieli blu e nuvole bianche

Il benedetto giorno luminoso, la sacra notte scura

E fra me e me penso, che mondo meraviglioso

I colori dell'arcobaleno, così belli nel cielo

Sono anche nelle facce della gente che passa

Vedo amici stringersi la mano, chiedendo "come va?"

Stanno davvero dicendo "Ti amo"

Ma la cosa più bella è quando

Sento bambini che piangono, li vedo crescere

Impareranno molto più di quanto io saprò mai

E fra me e me penso, che mondo meraviglioso

Sì, fra me e me penso, che mondo meraviglioso

Inviato

LadyMarioBros

I’M STILL HERE by John Rzeznik,

cantante dei Goo Goo Dolls

Genere pop

"Anche nella quotidianità  è presente la ribellione"

Mia madre vuole che io sia una persona responsabile, capace di tenere sotto controllo il mio futuro. Mi guarda con occhi premurosi, sicura che io la accontenti. Mi protegge da ogni pericolo possibile, fin da quando ero piccola.

Ma guardandomi allo specchio non riesco ad identificarmi. Vedo ancora la bambina che ero, quella che si chiudeva in camera e copriva le orecchie allo scopo di non sentire i suoi genitori urlare. Quella che non era abbastanza forte da non poter non piangere, non osando a prevedere il seguito di quei litigi. Cosa sarebbe successo e come sarebbe stata capace di proseguire la vita di tutti i giorni …

Avevo un sogno prima che lui se ne andasse. Si è frantumato proprio quando aveva varcato la porta di casa urlando e imprecando. Mia madre piangeva, lo strattonava, lo voleva far rimanere. Lui la aveva cacciata via esprimendo il suo odio per lei con uno schiaffo in faccia. Quella immagine mi era restata impressa nella mente. Ero davanti a loro, pietrificata dal gesto di papà . Poi anche io lo avevo trattenuto per rimanere con noi e con me, soprattutto. Ma la cosa più impensabile di tutte era avvenuta: mi aveva spintonato per terra con il solo braccio e mi aveva guardato con i suoi occhi severi.

“Tu non dovresti esser mai nata!â€, aveva detto con tutta la sua perfidia.

Ancora oggi rimbomba nella memoria. È come un eco, ma non termina mai. Mi infonde sempre terrore e impotenza. Mi ricorda i frammenti della mia speranza che nutrivo allora.

Ma oggi riscatterò me stessa. Oggi uscirò da quel confine tracciato da mia madre. Riuscirò a cacciare via le sue braccia dolcemente, non pretendendo alcun aiuto da lei. Ho imparato a conoscere la vita fino ad un certo punto e a viverla senza alcun sostegno. E neanche quel ricordo me lo potrà  impedire … né mio padre ai limiti della sua pazienza e dell’odio. Saprò essere migliore dei miei genitori, farò capire a lui che io non sono nata casualmente.

“Il caso non esisteâ€, rassicuro me stessa con un leggero sorriso dipinto in faccia.

E se il caso non esistesse, tanto meglio per me. Qualsiasi cosa mi accadrebbe me la caverò meglio di mia madre. Nella mia testa si ripetono le stesse immagini dei fatti accaduti anni fa: mia madre in lacrime, io spaventata e mio padre che ci rifiuta pesantemente. La porta della casa che si chiude violentemente all’unisono con il mio cuore. Tanti frammenti di un qualcosa che lo potevo definire cuore si ritrovano sotto i piedi della mia anima.

Ora mi ritrovo in una strada di New York, ma chissà  domani dove potrò essere … in un posto lontano dai miei ricordi, per ricominciare a ricredere in me stessa. Ancora in me c’è la bambina che non riesce a essere forte da sola. Sarò capace di spronarla con tutta me stessa e la trasformerò in qualcuno che sa il fatto suo riguardo la vita. Perché l’uomo sa superare situazioni come queste, se lo desidera.

Oggi il cielo è limpido, senza alcuna nuvola. Il solito caos della Grande Mela mi circonda e, come sempre, è indaffarata. Penso per l’ultima volta alle catene della quotidianità , perché oggi la libertà  mi offre la chiave per scappare via da essa.

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