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[Hydreigon106] - Mistero


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Il fragore della pioggia che sbatteva sul muretto del giardino si faceva sempre più assordante.

Tuoni e fulmini devastavano il cielo con i loro rombi e flash.

Gli alberi spinti dal vento ondeggiavano con i loro rami che sembravano enormi mani pronti a stringere fino alla morte ogni uomo sventurato che si trovasse a passare da quelle parti, formando una specie di danza.

Jonathan osservava con estrema tristezza e con estrema depressione il temporale.

Il cielo tuonò.

Si sentirono delle urla provenire dall'altra stanza.

"La stanza di zia Anastasia!" -esclamò il ragazzo dirigendosi nel luogo da cui provenivano le urla.

Jonathan arrivò nella stanza e ebbe dinnanzi una scena spaventosa: il cadavere senza vita e insanguinato della zia che giaceva sul pavimento. Accanto ad esso era posta una candela con incisa sulla cera la lettera V.

Jonathan era rimasto da solo.

I suoi genitori erano morti in un tragico incidente e i suoi nonni deceduti ormai da anni, gli rimaneva solo sua zia Anastasia. Ora non li era rimasto nessun parente: doveva essere affidato ad un orfanotrofio!

Il ragazzo, scioccato dall'avvenimento, riuscì comunque a chiamare  la polizia che giunse subito sul luogo del delitto.

I poliziotti rimasero sbalorditi quando arrivarono sul luogo.

Come poteva essere stata assassinata quella donna così all'improvviso?

Come avevano fatto i suoi assassini ad entrare in casa?

Dopo aver analizzato la situazione, analizzato le impronte digitali e portato via il cadavere, la polizia accompagnò il povero ragazzo ormai orfano all'orfanotrofio.

Un luogo in cui Jonathan non avrebbe mai sperato di andare, un luogo lurido, sporco, marcio, ammuffito.

Il ragazzo fu obbligato ad entrare in quel lurido e ripugnante luogo, dove gli fu assegnata la stanza più malconcia di tutte le altre: un letto con le molle rotte, duro come un sasso, muri ammuffiti e pieni di ragnatele, mobili devastati dalle tarme; ecco cosa costituiva questa stanza.

Non augurerei di vivere lì neanche al mio peggior nemico!

Il ragazzo, non riusciva a starsene fermo, calmo, si agitava in continuazione in quell’orfanotrofio

-          Perché proprio a me ,cosa gli sarà  successo alla zia in quel momento? – Jonathan si poneva più volte questa domanda, ma non riusciva a darsi una risposta.

Era arrivata ora di cena all’orfanotrofio, e Miss Burton , la perfida direttrice, andò a radunare tutti i suoi piccoli innocenti orfanelli pronta per condurli nella sporca e lugubre sala da pranzo.

La donna era, vecchia, avida e avara, era la moglie di un ricco mercante di oggetti di grande pregio e rarità . Il suo aspetto sembrava quello di una vecchia strega, decrepita e con la pelle marcia ,gli occhi grandi e rotondi e le pupille piccole come moscerini; la bocca carnosa e il viso pallido. Indossava un lungo abito nero di pelle e degli stivali di cuoio. Il tutto caratterizzato dalla ciliegina sulla torta: una verruca marrone grande ,a vista d’occhio, almeno quattro o cinque centimetri. Era disgustosa al sol vederla.

Quando Miss Burton arrivò nella stanza di Jonathan, questo non volle seguirla , ma la direttrice dell’orfanotrofio gli afferrò di scatto l’orecchio e lo trascinò a sé fino a condurlo nella sala da pranzo.

Un luogo inospitale, con larghi tavoli in legno ammuffito e sedie scricchiolanti, proprio come il pranzo che servivano  : gli avanzi dei ristoranti che si trovavano nei dintorni!

Il ragazzo fu obbligato dalla perfida Miss Burton a mangiare, svogliatamente ,quel cibo, avrebbe preferito l’acqua dei bagni al posto di quei rivoltanti pasti.

Dopo la  cena, ognuno si ritirava nella sua stanza: chi a vomitare perché debole di stomaco, chi andava a dormire, ecc.

Jonathan si apprestò entrare in camera, gettando sguardi in ogni angolo, finché non ne punto uno sul mobile e trovò un’oggetto interessante.

Era una lettera inviatagli da un “Anonimo†che diceva:

-          Ti aspetto alle 00.00, nella grande piazza centrale. Anonimo.

Mentre ogni persona presente all’interno dell’orfanotrofio si apprestava ad addormentarsi, Jonathan di scatto ,come una saetta, si precipitò verso la porta principale del luogo e uscito, arrivò alla grande piazza che si trovava in centro.

-          Ecco, sono le 23.59 ,questo è il luogo. Dovrebbe  arrivare qualcuno da un momento all’altro- disse.

Una grande piazza, circoscritta dai porticati e da una grande chiesa con campanile che si imponeva al centro.

Non c’era nessuno in nessun luogo della città . Era come un deserto, senza sabbia e pieno di cemento.

L’orologio del campanile emise un forte rumore.

-          Eccoti finalmente Jonathan!- esclamò una voce proveniente dalla penombra.

-          Chi è lei? – ribadì il ragazzo?

L’ombra improvvisamente, uscì allo scoperto:

-          Mi presento, sono  Sherlock Holmes! Un discendente della famiglia Holmes, e pronipote di Sherlock Holmes ,il mio prozio. In questi giorni, c’è stato un omicidio. Sono un detective. Sono qui, caro Jonathan per aiutarti a scoprire chi ha ucciso tuo zia! Fidati e seguimi!

Il giovane ragazzo, non riuscì ad attendere, e con estrema fiducia ed estrema speranza di risolvere il caso, seguì il detective Holmes.

I due dalla piazza centrale, arrivarono dinanzi a un edificio.

Una costruzione antica, alta, imponente, dove non abitava più nessuno e dove le stanze erano solo uffici assicurativi.

-Seguimi- esclamò Holmes.

Holmes era un uomo alto slanciato, che non presentava alcun segno di invecchiamento. Aveva dei capelli neri come la pece, occhi azzurri ,così chiari da sembrare limpide pozzanghere; un viso roseo e le labbra sottili come filo interdentale.

Indossava un lungo giaccone marrone, pantaloni grigi e mocassini beige.

Non portava né occhiali, né barba , né baffi.

Era molto agile e adorava i misteri intrigati e fitti, come la nebbia in un bosco di notte.

Proseguendo il cammino, salirono le scale dell’edificio e arrivarono in un piccolo studio.

-          Bene, eccoci. Questo è il mio ufficio! –

Detto questo, il detective caccio dalla tasca una candela con una lettera V incisavi sopra ,che Jonathan subito riconobbe:

-          La candela che si trovava vicino al cadavere di zia Anastasia è identica a questa! –

-          Devi sapere Jonathan , che qualcuno in questa città , sta compiendo crimini quasi ogni notte. Ma non è tutto. Lo fa, seguendo una specie di percorso. Se osserviamo questa mappa della città  , notiamo infatti che l’assassino si sta muovendo in modo da formare il disegno stesso di una V.

Quando questo assassino compie crimini, lascia sempre vicino alle sue vittime una candela con incisa sopra una V.

Seguendo i miei calcoli però , questa sera l’assassino dovrebbe commettere il prossimo reato proprio… In questo quartiere!-

Jonathan iniziò a tremare dalla paura al sol pensare che , l’assassino della sua amata zia lo avrebbe incontrato faccia a faccia.

Non voleva andare anche lui incontro alla morte.

-          Detective Holmes, io la aspetto in studio. – ribadì Jonathan

-          Jonathan, sono le 01.55 , il criminale arriverà  in questo punto esattamente fra cinque minuti. Tu verrai giù. Basta . Non abbiamo tempo da perdere! –

Il ragazzo asserì, e obbediente seguì il detective fino a scendere nel cortile del vecchio palazzo.

La paura e il timore lo persuadevano completamente, tremava come una foglia, aveva la lingua secca e stringeva i denti così forte che se l’avesse fatto per un po’ di tempo in più gli si sarebbero rotti in mille frammenti.

Un fruscio di vento.

Il rumore di un oggetto affilato  che veniva cacciato fuori da una federa.

D’un tratto il ragazzo si girò e si vide venir contro una losca figura nera incappucciata, che stringeva in mano un pugnale pronto a trafiggere chiunque.

Era spacciato.

Chiuse gli occhi, ma non sentì il dolore del pugnale infilarsi nella sua carne.

Il detective Holmes, gli si era posto davanti facendogli da scudo  e ferendosi la spalla destra.

Sfinito, Holmes svenne.

-          Bene, ora che ne ho eliminato uno, non mi resta che eliminare l ‘altro!- esclamò l’assassino.

Il criminale, senza pietà  , stava per infliggere col suo pugnale un doloroso colpo a Jonathan finche quest’ultimo di scatto non evitò il colpo.

L’assassino non si arrese. Strinse il pugnale tra le due mani , e si preparò per compiere un altro omicidio.

Il colpo non andò a segno, sfiorò lievemente il giovane, procurandogli una lieve lesione alla spalla.

L’assassino cadde poggiando violentemente il mento a terra, perdendo il pugnale dalle mani e rimanendo indifeso.

Holmes, con grande fatica, reggendosi con una mano la spalla destra a cui era stato colpito , si avvicinò davanti all’omicida e afferrandogli il cappuccio , glielo tolse davanti agli occhi stupiti di Jonathan.

Era un ragazzo alto, biondo , con scuri occhi castani e un viso color pesca.

Indossava una specie di tuta grigia , compresa di cappuccio che lo ricopriva interamente , fino ai piedi.

  • Marvin Hawkins !- tuonò  Sherlock Holmes.

-          Chi è questo  ragazzo ? – domandò  Jonathan.

-          Lui è Marvin Hawkins, figlio di Asgard  Hawkins , ricco orefice della Britannia-

-          Ci dovrai molte spiegazioni ragazzo. – continuò Sherlock-

-          Tu mi dovrai molte spiegazioni invece, Sherlock Holmes. Preferisci forse farti chiamare Death Note? Cercavo di ucciderti per liberare la città  da te.

Jonathan era confuso. L’assassino era il giusto? Sherlock Holmes era l’assassino?

Pian piano le verità  salirono a galla.

Sherlock era il vero omicida.

Aveva ingannato Jonathan per uccidere anche lui e rubare l’eredità  della sua famiglia.

Il falso detective fu così arrestato.

Marvin Hawkins , non era altro che un gentile ragazzo sulla quarantina , sposata con Marsha Stewart da quasi un anno; i due desideravano da molto un figlio, e quindi con estrema felicità  adottarono Jonathan  che non dovette ritornare più all’ orfanotrofio e poté vivere felicemente.


 


                                                                                                                                           


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Crediti:


 


​Si ringrazia Stella, la mia carissima amica moderatrice per il fantastico logo,che mi ha fatto perché non aveva niente da fare :°


 


 


 


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