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[Contest di scrittura] Le origini del Natale!


Frablue

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Salve a tutti e benvenuti a questa nuova edizione del contest di scrittura!

 

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In periodo natalizio abbiamo deciso di dedicare questo contest di scrittura alla festività  da qualche giorno trascorsa. Dovrete infatti inventare l'origine del Natale: potrete sbizzarrirvi nei modi che più vi piacciono!

 

Un riepilogo delle solite regole:

 

  • Tema: l'elaborato dovrà  spiegare come si sia originato il Natale. Potrà  essere un racconto fantasy, horror, giallo, fantascientifico o qualsiasi altro genere che più vi fa comodo.
  • Struttura: il racconto deve essere inserito nei commenti di questa discussione con la seguente struttura:

     

 *Nome dell'autore*

*Titolo*

*Elaborato*

  • Comportamento da seguire: questa discussione serve unicamente a postare i propri racconti. Nessun utente dovrà  fare altri commenti, se non per pubblicare il proprio lavoro. Esiste la discussione apposita per eventuali dubbi e/o chiarimenti.
    Ricordiamo inoltre che è severamente vietato copiare elaborati altrui, pena un innalzamento del warn.​
  • Premi: i premi sono, ovviamente, Poképoints. Nello specifico:
  1. ​18 Poképoints per il Premio Assoluto - Primo classificato
  2. 10 Poképoints al Premio Assoluto - Secondo classificato
  3. 6 Poképoints al Premio Assoluto - Terzo classificato
  4. 12 Poképoints per il Premio Originalità 
  • ​Giudizio: anche in questa edizione a giudicare i vostri racconti saranno Blue95, Edward, Lightning.

Avrete due settimane per postare i vostri elaborati. Il contest chiuderà  infatti il 6 gennaio alle ore 23:59.

 

Fatte le dovute premesse, non vi resta che deliziarci coi vostri racconti!

 

~In bocca al lupo a tutti! 

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ALL THE BRIGHT LITTLE LIGHTS


Snorlax97


 


Breve intro. 


Sto a scrivere da tre giorni, e alla fine penso sia uscito fuori qualcosa di decente, ne sono abbastanza soddisfatto. Il tema era davvero complesso, e non volevo sprofondare nell'ovvio con un fantasy, in cui non sono proprio eccellente. Per questo, ho associato l'idea di Origine del Natale allo Spirito Natalizio stesso, cercando di unirlo a elementi secondari per arricchire il tema. 


Nel racconto l'Origine non è l'elemento principale, ma lo sono tutti quei sentimenti che sono alla base del Natale stesso. Come capirete leggendo, appunto, sono le emozioni stesse alla base del Natale, IMHO.


Buona lettura, quindi, e scusate per la lunghezza.


 



Chi, ai tempi in cui ancora le mille piccole luci splendevano sgargianti nelle proprie case, avrebbe mai pensato che, un giorno, sarebbe finito tutto?


Nel tetro avanzare del metallo, l’uomo era stato incapace di preservare ogni sua traccia di calore. Automi attaccati alle proprie macchine dalle astruse caratteristiche, imbrigliati in un susseguirsi di innovazioni brillanti, geniali, ma senza alcun cuore.


Macchine dalle macchine, che a loro volta non potevano che derivare da altri ingarbugliati meccanismi, legati ad un circuito mondiale di corrente incessante e infinito, impossibile ormai da spegnere e da soverchiare in qualsiasi moto di umana sopravvivenza. Macchine senza possibilità  di corto circuito, costantemente accese, per compensare quanto fossimo spenti noi.


Non servivamo più all’ordine della terra, in quel grigio susseguirsi di fabbriche, costruzioni e nubi. Tutto l’occidente era ormai patria dell’eterno proiettarsi al futuro.


Erano loro a volerlo, coloro che ci governavano. Coloro che non necessitavano più del nostro apporto alle loro ricchezze, della nostra stessa presenza. L’unica utilità  rimastaci era il voto di una mente incapace di scegliere, programmata per seguire l’ignava bandiera bianca del verbo che fuoriusciva da quelle bocche, sfregiate dalle stesse parole pronunciate.


Ci ritrovammo così a vivere segregati nelle nostre case lussuose, vana illusione di quanto stupenda fosse quella realtà , un microchip oltre la nostra fronte, un controllo dall’alto per ogni possibile gesto contro il Sistema, per impedirci di soffrire, di disperarci, ma anche di amare, volere bene, vivere davvero.


Il numero di esseri sulla terra era ormai drasticamente ridotto a quella piccola cerchia che aveva accettato di continuare a vivere e procreare per mandare avanti ciò che rimaneva di quel bel nostro pianeta che fu un tempo, ora ingrigito dal potere.


Eccolo, il sogno americano. Un mondo di pochi eletti nel grigio delle nubi di fumo, scioccamente prostrati al potere, che li aveva resi macchine.


E macchina ero io.


La compostezza di ogni bambino controllato dall’alto era esemplare: piccoli robot pronti a dare l’assenso a ogni comando, non tenuti a conoscere oltre il necessario, impostati per vivere una vita in un’intelligenza sufficiente a svolgere ciò che gli competeva.


Ero programmato in quel modo. Destinato a seguire le orme del mio progenitore di sesso maschile – la definizione di padre era quantomeno utopistica per il mondo in cui vivevo – lavoratore in una fabbrica siderurgica poco distante dallo stupendo grattacielo in cui vivevo. Dai rilucenti vetri di casa mia potevo scorgere le altissime ciminiere e il fumo denso che ne fuoriusciva, per il quale non ero mai riuscito a vedere quella sfera luminosa che, a quanto il mio microchip suggeriva, era soprannominata “sole”.


E quella stupenda parola non riusciva ad animare le mie giornate, era una vaga conoscenza di un qualcosa di inutile, ormai, invisibile ai nostri occhi.


E nell’ammirare quel sole assente, la mia vita mutò irrimediabilmente.


 


Le mie dita sfioravano lentamente la fronte gelida, cercando inconsapevolmente quella minuscola sporgenza sottopelle. Era lì, annidata oltre la sottile cortina della pelle, instabile.


Un lieve movimento delle dita, e la mente parve offuscarsi improvvisamente, cancellare ogni conoscenza superflua e sgradita, restando sola con sé stessa e quel suo briciolo di umanità .


Accadeva sempre così, di ritorno da ciò che tutti credevano fosse la scuola, la quale era più che altro paragonabile ad una programmazione delle giovani menti degli alunni: appena posata la cartella sulla scomoda sedia in acciaio della scrivania, i miei occhi scontravano un piccolo foglio di carta attaccato maldestramente allo schermo del tabdesk, l’avanzato sistema capace di rendere il piano stesso della scrivania una centrale multimediale all’avanguardia.


“Tocca la fronte”, recitava.


Un comando semplice, eseguito per curiosità  e quasi automaticamente. In realtà , un inganno arguto rivolto verso me stesso.


La mente tornava così a pensare umanamente, oltre le briglie del controllo dei microchip incastrati nella nostra fronte.


Ricordavo ancora lucidamente il giorno in cui provai per la prima volta cosa fosse un sentimento. Ammiravo incantato le nubi, cercando oltre di esse le informazioni su quel tanto inconsciamente desiderato sole, quando i miei piedi spinsero maldestramente una seggiola in ferro posta sul terrazzo. Quel gesto mi fece ruzzolare a terra, sbattendo violentemente il volto contro la balaustra in vetro esposta sulla tetra visione delle industrie vicine.


Erano bastati pochi attimi successivi alla caduta per sentire il dolore per la prima volta.


Urlai, ma nessuno accorse. Indifferenti verso quel mio strano gesto di follia.


Sotto la mia fronte arrossata, qualcosa era diverso. La sporgenza che accomunava tutti noi “sopravvissuti”, come la televisione del Governo amava apostrofarci, era spostata rispetto al suo normale asse. Un evento straordinario, considerata la presunta indistruttibilità  di quegli aggeggi infernali.


La maturità  di un ragazzo al tempo quindicenne fu di certo un elemento positivo nella riscoperta della mia umanità , tentando di farmi ragionare su come sfruttare quell’inaspettato dono, e lì intervenne in aiuto un mezzo proibito dal Governo: il Web. Una fitta rete di dati e informazioni antecedente alla conquista dell’umanità  rimasta incredibilmente intatta a ogni attacco da parte dei potenti.


Le mie conoscenze si arricchirono di incredibili nozioni che raccontavano la reale condizione di quella parte di pianeta “civilizzata”. Riuscii a isolare la mia reale opinione dalla generale condizione di ignoranza, riuscendo così a sapere davvero.


Un sapere che affondava le sue radici nella reale storia del mondo, nei testi di filosofia, nei racconti di un lontano passato. Uomini alla ricerca della propria felicità , dell’amore, della speranza: elementi che non caratterizzavano più i giorni della nuova umanità . Scritti interessanti, divertenti, che trasportavano in mondi sconosciuti. E potevo apprezzarli, seguirli, sentire davvero quali fossero le sensazioni provate dai personaggi.


Tra tutte le mie letture in quei due anni di riscoperta dell’antica civiltà , la più appassionante fu di certo quella di un libro particolarmente insolito, che raccontava di una speciale ricorrenza ormai dimenticata.


Si trattava de “Il canto di Natale” di Charles Dickens, un autore vissuto in una terra ormai perduta chiamata Inghilterra. Un luogo oltre l’America, dove però l’industrializzazione aveva già  affondato le sue prime radici, differenziato la popolazione, arricchito i disonesti.


E quel Natale di cui si parlava rischiarava il mio cuore ogni volta in cui tale parola appariva sullo schermo del mio tabdesk: una festa incredibile, che di sicuro, in passato, aveva rischiarato i giorni di tutti gli umani. Storie di altri tempi, di famiglie riunite attorno a un tavolo a gioire di quel poco che si aveva, di vecchi affiancati ai camini ardenti, di scintillanti addobbi che impreziosivano le dimore di tutti coloro sentissero questo “Spirito Natalizio”.


E sì, era come lo sentissi anche io, nel profondo del cuore. E non avrei mai avuto altre ambizioni se non provarlo concretamente.


Eppure, la mia realtà  non era aperta a tutto ciò, e quantomeno all’idea che una persona potesse conoscere tali frivoli argomenti, distrazioni dall’imponente mole del lavoro da compiere per renderci adatti a perfezionare il futuro. Tornavo quindi a trincerarmi nella mia acculturata ignoranza ogni mattina, per ingannarmi e tornare a vivere davvero di ritorno dalla scuola, quando potevo ricordare ogni singola sensazione provata, e continuare a sognare di quelle antiche storie di luci e personaggi fantastici.


Erano le emozioni a dominare nella loro assenza, in quei pomeriggi di umanità . Di tutte, quella di cui sentivo più la mancanza era l’amicizia.


Nella società  in cui vivevo, tale parola era priva di ogni significato, ma nel mio cuore non era così. Ogni qual volta ritornavo a provare emozioni, questo si riempiva di affetto verso tutti coloro avrebbero, in un’altra epoca, dimostrato questo strano sentimento verso di me.


Di tutti, uno.


Era un ragazzo un po’ più grande in età , conosciuto da pochi anni. Abitava pochi isolati distante da me, ma quotidianamente ci ritrovavamo insieme per discutere delle nostre futili giornate. Discorsi sterili, inutili, privi di ogni possibile traccia di umanità . Insegnamenti, lavoro, quotidiane avventure.


Niente sorrisi, niente gioia, ma nemmeno rabbia o tristezza, elementi che in un rapporto di amicizia sarebbero stati fondamentali. Un rapporto che, da parte mia, era vivo e forte.


E ogni volta in cui lo incontravo, amavo tenere il microchip spostato dall’asse, per provare quello stupendo sentimento.


Discorrevo liberamente di ogni cosa, mi fidavo di lui ciecamente, sebbene sapessi fosse un automa come gli altri, senza alcun interesse per me. Eppure, perché era lì a parlarmi? Perché ero l’unico a cui raccontasse qualcosa sulla ricerca della sua compagna procreatrice? Perché anche lui sapeva di potersi fidare di me?


Erano quei gesti a lasciarmi speranzoso sul futuro. Gesti robotici che allo stesso tempo conservavano un’insolita traccia di umanità .


 


Così quel giorno.


 


La fredda aria dicembrina scuoteva i miei capelli, mentre mi avvicinavo lentamente verso il parco. Gli alberi avevano ormai perso le poche foglie rimaste intatte dalle innumerevoli piogge acide, e nell’aria iniziavo a percepire i primi brividi di gelo che preannunciavano neve.


Era il sesto giorno del mese, a quanto i miei calcoli suggerivano. In quel nostro mondo, lo scorrere del tempo era considerato inutile, una bizzarria dei nostri avi. Io, invece, amavo riuscire a collocare temporalmente quella giornata, collegandola a ciò che avveniva in quel passato che cercavo sempre di rincorrere.


Come ogni giorno, mi attendeva lì, seduto su una panchina in cemento. Le lunghe gambe accavallate, l’espressione calma e inespressiva. In altri tempi, forse, sarebbe annoiato dall’attesa, o forse persino felice di vedermi. Magari avrebbe pensato a quanto fosse bello trascorrere un altro pomeriggio insieme, o semplicemente sarebbe stato sopraffatto dall’abitudine.


Non quel giorno, però, e in nessun altro trascorso o da trascorrere. Non in quell’epoca, non nelle future. Sarebbe stato solo il vuoto.


“Ciao” sorrisi forzatamente, con il cuore a mille, preoccupato da ciò che avrei fatto quanto prima.


“Ciao. Come è andata oggi?”


“Normalmente” risposi, sorridendo “Vogliamo camminare un po’?”


Un tacito assenso, e pochi attimi dopo passeggiavamo lentamente per quella vegetazione sopita.


“Come procede con Laura?” chiesi, riferendomi alla ragazza con cui il mio amico tentava di instaurare un rapporto di procreazione da mesi.


“Ci stiamo conoscendo, e pare che le nostre affinità  siano sufficienti a garantire una buona unione, a quanto dice il microchip” replicò.


“Capisco...” sussurrai “Ma tu cosa ne pensi di lei?”.


La domanda improvvisa colse il mio amico contropiede. Probabilmente, la piccola centralina nel suo cervello, in quel momento, era alla disperata ricerca di un qualsiasi stratagemma per evadere una risposta accorata e sentita, interrogando i meccanismi su cosa possa basarsi il “pensar di lei”.


“Beh... Che è adatta al ruolo, visto che il microchip vibra spesso quando...”


“Ma provi qualcosa per lei?”


“In che senso, scusa?”


Sentii gli scricchiolii metallici infittirsi all’interno della sua fronte.


“Sai...” iniziai, mordendomi le labbra “Non so nemmeno perché sto per dirtelo, ma io ho finalmente capito cosa sia il provare emozioni”


“Cosa intendi dire?”


“Intendo dire, insomma... Se per un incredibile caso della vita riuscissi a percepire davvero cosa sia l’amore, l’amicizia, la gioia, non pensi che la tua vita potrebbe potenzialmente migliorare? So cosa ci dicono tutti, che in passato questi sentimenti portavano gli umani ad essere sciocchi, ignoranti, ma se fosse semplicemente bello provarli?”


“Sai che queste idee non portano a nulla di buono” replicò lui.


“Ecco!” esclamai “Anche tu lo hai fatto ora!”


Mi guardò, e sotto gli occhi di ghiaccio parve apparire un barlume di perplessità .


“Se tu non provassi, nel profondo del tuo cuore, dei sentimenti, non mi avresti detto mai questa frase. Il nostro microchip annulla gli effetti dei sentimenti su di noi, ma non ci impedisce di provarli, in caso contrario non ti saresti mai preoccupato per me!”


“Non mi piacciono questi discorsi”


“E se non provassi davvero sentimenti” continuai “Non avresti mai detto nemmeno quest’altra frase, che esprime disagio”


“Non è ciò che ci insegnano, lo sai” mi interruppe “Torna in te, per favore”


“Tra poco meno di un mese sarà  Natale, te ne ho parlato fin troppe volte” sussurrai, con il cuore a mille “E proprio per questo io voglio condividere questo sentimento con qualcuno, sentire il calore dell’affetto ampliato dallo spirito natalizio”


Il mio amico mi guardava senza far trasparire alcuna emozione, ma riuscivo a percepire lo sconcerto che provava in quel momento, sebbene quel maledetto aggeggio impedisse ogni riverbero dell’emozione sul suo corpo.


“Io voglio trascorrere il Natale con le persone a cui tengo”


Strinsi il pugno destro. Il gelo dell’anello che avevo forgiato nella fabbrica in cui lavorava mio padre era ora simile al più doloroso calore.


“Voglio trascorrere il Natale con il mio migliore amico”


A quelle parole, mossi la mano. Il mio pugno scosse l’aria, preciso verso la sua fronte. Niente era indistruttibile, l’avevo ormai compreso alla perfezione, e così sapevo altrettanto perfettamente come interrompere quel malvagio incantesimo sulle persone a cui tenevo maggiormente.


La mano richiusa su sé stessa si scagliò velocemente sulla sua fronte.


L’anello  era ora posato perfettamente sulla sporgenza del microchip, inesorabile.


Vidi cadere il mio amico a terra, dolorante.


A quella scena, la mia mente reagì in modo brutale, facendo salire le lacrime agli occhi. Era una sensazione mai provata prima. Dolore d’animo, rimorso, rabbia verso me stesso. Con quel gesto egoista avevo provocato del dolore all’unica persona a cui tenessi davvero in quel mondo di gelo.


“Scusami, oddio” sussurrai, terrorizzato “Scusami...”


Scappai. Dovevo andarmene quanto prima, il più lontano possibile. I funzionari del Governo mi avrebbero trovato e ucciso. Ero un soverchiatore, ora, un bersaglio da eliminare e distruggere.


La gravità  del gesto appena compiuto mi scavalcò all’improvviso, facendomi cadere a terra, disperato. Ormai, le luci della sera si stagliavano davanti a me: una New York assopita oltre la coltre di ciò che avevamo costruito. Non restava altro che una disperata fuga verso l’ignoto.


Mi rialzai, cercando all’interno di me stesso la determinazione necessaria a continuare. Quell’avventura si stava rivelando un modo per riscoprire ogni traccia di umanità  persa. Con l’idea di vivere finalmente ciò che avrei per natura dovuto vivere in un momento diverso, accettai ogni possibile condizione negativa, e iniziai a camminare con insolita fermezza.


Doveva esistere un modo per fuggire da quel luogo, ne ero certo.


Le luci scintillanti dei grattacieli proiettavano i loro chiarori lungo i viali deserti: all’interno delle case, gli automi continuavano a vivere inutilmente. I ritratti dell’antica New York ritornarono nella mia mente, evidenziando quanto dovesse essere stupenda in passato. In quel periodo, tutto sarebbe stato già  adornato dalle mille luci natalizie, stupende e brillanti. I bambini sarebbero già  stati frementi nell’attesa di ricevere i loro doni.


Nessun caffè aperto, nessun ristorante, niente folla, niente luminarie, niente...


In quella desolazione mortale, avanzai, tentando di confondermi con le ombre della sera, fino a giungere in riva al mare. Quella distesa nera e densa si confondeva nel nulla del cielo plumbeo, incutendo terrore. Eppure, sapevo che oltre avrei trovato qualcosa di differente e nuovo, ed ero pronto a scoprirlo. Avanzai lungo la banchina tentando di scorgere, al di sotto delle ringhiere del lungomare, una qualsiasi imbarcazione da utilizzare per un percorso plausibilmente lungo e difficile. Non erano sufficienti le piccole barche dei pescaioli, non erano sufficienti i gommoni dei bagnanti che regolarmente andavano a sciacquare il loro corpo nel mare senza apparente beneficio per la mente.


Non c’era via di uscita da quel luogo.


Mi accasciai ancora una volta al suolo, appoggiando la testa a un lampione. Mi avrebbero visto, ma non m’interessava più: forse sarebbe stato meglio concludere quella storia in quel modo. Ero solo un ragazzo, un ragazzo idealista e sognatore, contro un sistema più grande di lui.


“Ehi...”


Una voce mi riscosse dai miei pensieri. Mi voltai, terrorizzato, per scorgere sotto la luce il volto del mio amico. I lineamenti, un tempo duri e marcati, associati allo sguardo vacuo e severo, sembravano ora essersi addolciti, accompagnati ora da un’espressione di complice dolcezza.


“Non voglio lasciarti da solo”


Fu un attimo, e una nuova emozione si appropriò della mia mente. Era forse quella, l’amicizia? Quel senso di completezza e condivisione? Le lacrime sgorgarono inesorabili dai miei occhi.


Si sedette accanto a me.


“Ti devo ringraziare, penso” iniziò “All’inizio ero frastornato, disturbato, ho provato una sensazione terribile, ma poi ho capito che, insomma... Avevi ragione. Tutti i tuoi discorsi mi erano sempre sembrati strani, ma in cuor mio ti ho sempre appoggiato, come... Come se tutto quello che mi hai detto e quello che abbiamo condiviso in questi anni sia diventato importante.”


“Per me lo è sempre stato, anche quando non significavo nulla”


“Per questo sono qui, adesso” sorrise, aggrottando le sopracciglia “Per sdebitarmi”


“Mi aiuterai?” chiesi, rialzandomi.


“Sì” rispose lui accondiscendente, seguendomi a ruota “Andiamo via da questa *censura*, il Natale ci aspetta”.


 


La fortuna di avere un amico è un elemento quasi scontato per ogni persona, ma si percepisce realmente nel  momento del bisogno. A primo impatto pare una convenienza, ma è ciò che di più bello possa accadere a una persona: sapere di poter contare su qualcuno, di contare a nostra volta. Un circolo di fiducia impossibile da spezzare.


Così, mi affidai alle conoscenze nautiche del mio amico: il padre era un navigatore, la sua barca solcava i mari della zona alla ricerca di prelibatezze da regalare alla gente. Prelibatezze che, ovviamente, sarebbero state prerogativa esclusiva dei membri del Governo, unici a poter effettivamente beneficiare del gusto.


Quella barca, però, quella sera era destinata a salpare per altre acque rispetto alle solite circondanti l’enorme metropoli. Era il mare aperto, la vera meta.


“Proseguendo in linea retta dovremmo arrivare in una terra che a quanto ho letto dovrebbe chiamarsi ‘Portogallo’, ma io punterei in alto per raggiungere le coste dell’Irlanda, per arrivare poi a Londra. ‘Canto di Natale’, il libro che ho letto, è ambientato lì”


“La conosco” rispose lui “Quindi pensi di trovare qualcuno?”


“Teoricamente non dovremmo, tutti coloro che hanno rifiutato la condizione imposta dal nostro Governo sono stati sterminati, a quanto ci viene propinato giorno dopo giorno”


“Infatti è così, no?”


“Non saprei, non sono per niente convinto che dall’altra parte del mondo non ci sia nessuno” continuai “In questi anni, da quando il microchip si è rotto, ho ricevuto numerose informazioni dal web contrarie al Governo, tra cui appunto anche numerosi testi letterari che non sarebbero mai stati approvati dal nostro regime”


“Dunque pensi che qualcuno ne pubblichi il materiale”


“In verità  tutto il materiale proviene dal passato, ma com’è possibile che il Governo non sia riuscito ad eliminarlo per tutto questo tempo senza qualcuno che glielo impedisca?”


“Non credi che possa essere qualcuno che, come te, ha disattivato il microchip?” chiese il mio amico, storcendo la bocca.


“Potrebbe anche essere così, ma come fare a oltrepassare i controlli del Governo? Insomma, chi è controllato dal microchip non accede mai alla rete, in quanto ottiene automaticamente le informazioni convenienti e utili... Anch’io ho usufruito della rete dopo la rottura del microchip, ma di certo non ho mai ostacolato direttamente i piani alti”


“Infatti, anche se potevi rischiare molto...”


“Hai ragione, ma non è accaduto” sospirai sollevato.


Il mio amico non rispose, continuando ad orientare il timone verso sinistra, per puntare verso la nostra meta.


“Io ho come la sensazione che al di fuori del nostro stato ci siano ancora molti popoli” esclamai improvvisamente, con una convinzione tale da incuriosire il mio amico al punto di distoglierlo dalla guida della nave.


“Rifletti: cosa ne sappiamo noi, in effetti, di ciò che esiste al di fuori della nostra realtà ? Che ci sia stato uno sterminio di massa è documentato e innegabile, ma qualcuno è di certo sopravvissuto!”


“Sì, è possibile”


“E immagina se questi festeggiassero ancora il Natale! Magari hanno ricostruito un nuovo mondo, magari è tutto come prima!”


“Questo sinceramente non credo” sorrise lui “Non è facile rialzarsi dopo una catastrofe di portata mondiale”


“Ma quanto tempo è passato da questa catastrofe? Qualcuno l’ha mai saputo per davvero? Rifletti un po’ su” sorrisi io, sdraiandomi su un lettino arrangiato nella sala di comando “Buonanotte”


“Buonanotte” sussurrò il mio amico, ricambiando il sorriso.


Navigammo per giorni nel mare del nulla, in una costante oscurità . Era difficile sperare in una località  del genere, eppure tentavamo ardentemente di farlo, per un futuro migliore.


Ma eravamo stati troppo sciocchi.


L’idea che il Governo sapesse di noi era una costante nel nostro pensiero, ma col tempo si era affievolita e addolcita nella speranza di raggiungere la meta.


Nel giorno che avevo identificato con il ventiquattro di dicembre, accadde.


Nel cuore della notte, un rombo ci avvolse, facendoci svegliare di soprassalto. Uscimmo fuori dal pontile, e la visione che ci si presentò d’innanzi fu la più terribile che ricordi della mia vita.


Un enorme muro d’acqua si stagliava davanti ai nostri occhi: cascate dall’aspetto cupo e invalicabile, tanto larghe quanto il mare stesso, più alte del cielo, più dirompenti di mille tsunami. In quel torpido intreccio di schiuma e nero più profondo, pensai fosse finita davvero. Ero lì, davanti alla fine di tutto ciò che avevo sperato fino a quel momento. Un senso di incompletezza mi avvolse, facendomi sprofondare nella depressione più totale. La voglia di porre fine alla mia stessa vita parve per pochi attimi prevalere su tutto.


Eppure, ancora riverberavano nel mio cuore le uniche due cose a cui tenessi in quel momento: l’amicizia e la voglia di riscoprire il Natale.


“Torniamo indietro...” sussurrò il mio amico, basito davanti a quella visione infernale, riscuotendomi dai miei pensieri.


“Moriremo comunque” risposi, con la calma di chi sa che sia tutto finito.


“Andiamo?”


A quella domanda, la certezza della fine mi avvolse. Nessuno di noi due era ormai tanto stupido da pensare di poter restare in vita dopo quell’avventura.


Asserii col capo, girandomi verso la sala di comando. Alzai gli occhi un’altra volta, attirato da una luce lontana. Numerosi elicotteri erano diretti verso di noi.


“Fermate la nave”.


Una voce metallica risuonò nell’aria gelida. A quel suono, corsi dentro. Il mio amico era lì ad aspettarmi, con gli occhi arrossati dal pianto.


“Scusami” esclamai, scoppiando a piangere “Non dovevo coinvolgere anche te in tutto questo”.


“No, non scusarti proprio di nulla” rispose lui “Sono io a doverti ringraziare. Anche se per poco, ecco... Io ho provato finalmente qualche emozione, ora io so tutto quello che mi serve per capire quanto sia stata inutile la mia vita fino ad ora, prigioniero del mio nulla”


“Ma morirai anche tu, ora” sussurrai, tra le lacrime.


“Morirò, ma sapendo cosa sia la vita” sorrise, avviando la barca verso il mare di acqua.


“Grazie di esserci” mormorai, alzandomi e accostandomi a lui.


Era vero. Spesso si pensa che la morte sia terribile quando si conosce cosa sia la vita, ma non è così. Chi muore incompleto, muore infelice. Saremmo morti conoscendo ciò che avremmo potuto vivere, ma senza il terrore di chi sa di non aver vissuto abbastanza.


Eppure, mancava ancora quel tassello da me tanto desiderato, quel “di più” che avrei sempre voluto conoscere. Il Natale. Il pensiero di tutte le immagini sognate fino a quel momento infuse speranza nel mio cuore, rendendolo incredibilmente forte.


Saremmo sopravvissuti.


“Non possiamo morire ora!” esclamai, mentre l’acqua della cascata aveva ormai colpito inesorabilmente la barca.


Dovevamo sopravvivere.


“Non possiamo morire!”


 


Luce.


Intensa, scintillante, stupenda. Luce infinita e vitale, luce rigeneratrice, luce di festa.


Ero disteso nel candore della neve, il corpo intorpidito dal gelo. Mi rialzai, instabile sulle mie stesse gambe. La solitudine della foresta in cui mi ritrovavo incuteva un forte timore: i tronchi alti e scuri sembravano perdersi nel tetro della notte, mentre le fronde innevate sferzavano di candore velato quel quadro dipinto di nero. Eppure, in quello squallore, qualcosa mi spingeva a proseguire ulteriormente nel folto del bosco.


Appoggiando pesantemente i piedi, arrancai verso uno strano punto di colore diverso. I pini circostanti sembravano vivi, in trepidante attesa di una mia mossa. Il punto di colore diverso continuava a muoversi davanti ai miei occhi stanchi, invitandomi a seguirlo.


Presi coraggio, iniziando a muovermi più velocemente. A ogni movimento, un bagliore di colori sempre diversi illuminava i miei occhi. Passo dopo passo, questo cresceva, si arricchiva di nuove tonalità  vibranti di vita, fino a raggiungere la sua completezza.


Ero ora in una radura, al cui centro sorgeva una simpatica casetta rossa, illuminata per tutto il suo perimetro da scintillanti fili adornati da lucciole dei colori dell’arcobaleno. Esattamente davanti alla porta, una simpatica creaturina dalla pelle verdastra e le orecchie appuntite, vestita di un rosso acceso.


Mi avvicinai, incuriosito da tale incredibile visione.


“Benvenuto!” ridacchiò, entrando poi all’interno dell’abitazione, senza premurarsi di richiudere la porta. Scorsi internamente tante altre piccole creature intente a costruire stupendi marchingegni in legno: cavallucci, trenini, bambole minuziosamente vestite. Mi avvicinai ancora, salendo gli scalini che conducevano al pergolato antistante l’abitazione. Lo scricchiolio del legno mi riempì il cuore: era un rumore incredibilmente piacevole rispetto al sordo rimbombo dell’acciaio e al silenzio del cemento.


“Benvenuto a casa mia!” tuonò una voce cavernosa dalle stanze superiori “Prego, prego, entra e raggiungimi”.


Mossi verso l’interno. Tutta la casa, nonostante dall’esterno sembrasse su due livelli, era articolata in un’enorme sala soppalcata, al cui centro svettava un enorme camino circolare. Accanto ad esso, un simpatico nonnetto fumava distrattamente la pipa. La lunga barba bianca contrastava contro il rosso della casacca di lana, mentre i posticci capelli lunghi erano coperti da un cappello della stessa tonalità  e tessuto del resto dell’abbigliamento.


“So che mi hai cercato per molto tempo, amico mio” sorrise l’uomo, guardandomi zelante oltre i suoi occhialetti rotondi “Ebbene, questo è il tuo Natale, ragazzo!”


Mi girai attorno, estasiato. La casetta in legno era davvero accogliente e calda, e tutti gli elfetti intenti a lavorare ai giocattoli la rendevano viva e gioiosa, mentre intonavano canti natalizi e coretti allegorici.


“Quindi... Questo è il Natale?” chiesi, pentendomi subito per la stupida domanda.


“No, amico mio, questo non è il Natale” replicò il vecchio, alzandosi “Questo è ciò che significa per te il Natale! La vera origine di tutto!”


Lo guardai perplesso. La barba arricciata contrastante con la colorata giacca aveva un qualcosa di vagamente ipnotico.


“Nei secoli tutti gli uomini hanno sempre cercato di capire da dove nascesse questa stupenda festa, e nella ricerca di una spiegazione, hanno perso la vera essenza di tutto questo”


“Ora però il Natale non esiste più...” obiettai, ripensando a ciò che avevo lasciato indietro.


“Nemmeno ciò che stai vivendo ora esiste davvero, ragazzo mio, ma è davvero bello, quindi perché porsi il problema dell’esistenza? Basta godere il sogno per quello che è, così il Natale”


Il vecchio si accostò a una credenza finemente decorata, aprendo agilmente l’anta superiore. Pochi attimi dopo, una piccola letterina si materializzò nelle sue mani.


“Questo è lo Spirito, e di conseguenza l’Origine del Natale” sorrise “I sogni. Tutto è un sogno, tutto è bello perché è vero nei nostri cuori. D’altra parte sai bene tu stesso quanto sia importante provare emozioni, nevvero? Ebbene, per trovare l’origine del Natale, basta semplicemente emozionarsi come quando si era bambini, e tutto verrà  da sé, perché nasce nella gioia e proseguirà  all’infinito, nonostante il tuo presente rifiuti ogni possibile contatto con questo stupendo sentimento”


“A me bastava semplicemente provare queste sensazioni” obiettai, confuso da quegli strani discorsi.


“E non trovi che alla base di queste sensazioni ci sia effettivamente la nascita stessa di esse? Anche alla base della vita c’è un’origine, e senza sapere di essere originati, non potremmo mai capire cosa sia davvero vivere. Stessa cosa con il Natale!”


“Quindi per provare lo Spirito Natalizio dovrei semplicemente capire da cosa nasca il Natale?”


“Esattamente, e la risposta è più complessa di quanto tu possa immaginare”


Il vecchio ripose la lettera nella credenza, muovendosi verso di me. La sua mano pesante si posò sulla mia spalla, infondendomi un calore fin troppo reale per un sogno.


“L’origine del Natale non può che essere trovato nella gioia e nell’affetto, nel sapere di vivere un momento speciale insieme a tutti coloro che amiamo. Non si tratta di capire se sia nato insieme a Gesù o all’epoca dei Romani – argomenti che, nelle tue ricerche, avrai approfondito di certo – perché una volta appurato ciò, senza l’amore per l’altro e la capacità  di ritornare bambini ogniqualvolta questa festività  si ripresenta sul nostro calendario, cosa rimane?”


“Nulla” sussurrai, storcendo la bocca “Come nulla del Natale è rimasto nel mio mondo”


“Sbagli, amico mio. Il Natale non cesserà  mai di esistere, finché qualcuno, anche una sola persona al mondo, lo conserverà  nel proprio cuore, e ciò avverrà  per sempre”


Il vecchio con la lunga barba bianca si avvicinò alla porta, invitandomi a seguirlo. Fuori dal porticato, tutti gli alberi circostanti erano ora illuminati, in un riverbero di luci dal magnifico calore. Sentii il mio corpo vibrare intensamente di gioia, come fossi connesso con tutti gli esseri del pianeta nello stesso istante.


“E dimmi, ora” sorrise, guardandomi negli occhi “Cosa vorresti per Natale?”


“Mi basterebbe poter vivere per sempre nello spirito di questa festa insieme a chi mi è più caro” sussurrai, con le lacrime agli occhi.


“E così sia!”


Il candore della barba di Babbo Natale parve espandersi per tutto il mio campo visivo, facendomi tornare alla cecità  della luce accecante scorta prima di quel magico sogno.


I miei sensi mi abbandonarono, proiettandomi in una dimensione alternativa di pace e serenità .


Poi fu il nero, il gelo sulla pelle, il tossire frenetico.


 


Riaprii gli occhi, terrorizzato.


La mano stretta in quella del mio migliore amico, entrambi a terra dopo l’impatto con la cascata. La nave sembrava aver incredibilmente retto all’urto contro il muro d’acqua, permettendoci di approdare oltre, in acque calme e cristalline. Provai a muovermi: i vestiti erano asciutti, come se non fossimo mai passati tra quei flutti infernali.


Alzai lo sguardo: oltre i finestrini, una strana luce giallastra sembrava illuminare il cielo, ora finalmente azzurro. Corsi sul pontile della nave, ammirando l’incredibile visione. Dietro di me, il mio amico.


“Questo è... Il sole?” mormorò, visibilmente emozionato.


“Sì” risposi. Mi girai, guardandolo negli occhi intensamente.


“Noi siamo qui per uno scopo, così come il Natale. La sua stessa origine è nell’affetto e nella condivisione, e questo stupendo regalo concessoci oggi da qualche magica entità  è la prova di quanto speciale sia questa festa, soprattutto se insieme alle persone speciali. Buon Natale, fratellone”


“Buon natale” replicò, abbracciandomi.


Eravamo salvi, liberi, finalmente felici, nello spirito di ciò che avevo cercato per anni, e finalmente trovato nell’ottica così semplice dell’affetto reciproco, della gioia condivisa. La terraferma ci attendeva, ora, diretti verso la scoperta di un nuovo mondo. L’avremmo vissuta insieme, consci di poter contare l’uno sull’altro, finalmente.


Poco distanti dalla nostra imbarcazione, i camini della città  di Galway, sulle coste occidentali dell’Irlanda, impregnavano l’aria di fumo, mentre le risate dei bambini rischiaravano di zelo il lungomare, oltre il quale era possibile notare numerose luminarie ancora accese.


Il Vecchio Mondo era stato ricostruito, come pensavamo. Nello scorrere del tempo, eravamo rimasti intrappolati nella dimensione del nulla, mentre al di fuori il mondo ripartiva, completandosi ancora una volta. Toccava a noi, ora, completare con la nostra presenza uno dei tasselli necessari alla continuazione di tale ricostruzione, con la consapevolezza del passato, la gioia di vivere il presente, la speranza nel futuro.


Ne eravamo certi, sebbene in quell’abbraccio fraterno non vi fosse spazio per le parole. Vivendo ogni attimo come un dono, sarebbe stato sempre Natale.


 


Conclusi la lettura, raddrizzandomi la spessa montatura nera.


“Ma che figata” esclamò un ragazzino davanti a me “Zio, da quando scrivi racconti?”


“Da tipo sempre” sorrisi “Pensa un po’, tuo padre in passato doveva persino valutarli...”


“Lui?” replicò il giovane, spostando lo sguardo.


“Eh, io. Mi ritieni così stupido?” mugugnò accanto a me una voce dall’accento napoletano.


“No, papà , è che non immaginavo avessi questa vena artistica”


“E immaginavi male, nab!” replicò l’uomo, ridendo di gusto e abbracciando affettuosamente il figlio, ormai quasi sedicenne.


“Papà , per favore!” protestò lui, divincolandosi “Non ho cinque anni, dai...”


Sorrisi davanti a quella scena affettuosa, mentre lo scoppiettare del camino riscaldava le mie mani. Tutte le piccole luci dell’albero di Natale rischiaravano la stanza di mille bagliori colorati, mentre oltre la finestra, la neve iniziava ad attaccarsi sui tetti circostanti.


Poco distante dalla finestra, un box per bambini in ebano, dentro la quale era adagiata quella che poteva ormai definirsi una delle vere ragioni della mia vita. La ammirai con l’affetto che solo un padre può percepire per la propria tanto desiderata figlia.


“Mariti” trillò una voce dalla cucina adiacente al salone in cui mi ritrovavo “Volete degnarci di un aiuto?”


“Ma lasciali stare, dai” replicò un’altra sempre da quella stanza “Così si godono un po’ i figli”


Sorrisi ancora una volta, tornando ad ammirare la neve.


Ecco, questo era il Natale che sognavo da sempre: le nostre famiglie finalmente avviate verso il futuro, insieme, nella gioia della festa più bella dell’anno.


“Oh, Vì”


Mi riscossi dai miei pensieri, voltandomi.


“Davide ti ha chiesto di raccontargli come ci siamo conosciuti, iniziamo?”


“Eh, sarà  una storia abbastanza lunga, Fra” replicai, un po’ spaventato dalla mole di fatti necessaria per descrivere una simile amicizia.


“E che ce ne importa? Dai, papà , raccontala, sai che poi io e Raffaele non potremo incontrarci per mesi, non ci saranno occasioni simili...” protestò il mio primo figlio, ormai anch’egli quindicenne.


“Infatti, zio, meno problemi e più parole, dai!”


“E hanno ragione, Vì! Non scontentiamoli... L’hai detto prima nel racconto, per trovare l’origine del Natale e trascorrerlo serenamente c’è bisogno di condivisione!”


“E va bene, come iniziare...” riflettei, mordicchiandomi il labbro “Ecco, è iniziato tutto per un forum di un vecchio videogioco chiamato Pokémon...”



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Ok partecipo anche io, ma devo fare alcune premesse *^*


 


Allora il mio racconto è una fiaba. Mi sono distaccato totalmente alla tradizione ed ho creato una fiaba, che potesse essere raccontata, per spiegare tutti i simboli del natale.


 


Spero che il mio lavoro vi piaccia *^*


Buona fortuna a tutti ^^


 


NoelFurokawa


 


La regina perduta


 



 


Una storia io vi narrerò


di due bambine, o meglio, di due principesse


che il male separò


e di una strega che volle far prevalere il suo interesse.


 


Una dalla donna venne rapita


l’altra la cercò per tanti anni.


Poi in un giorno della loro vita


le principesse si ritrovarono con diversi affanni.


 


Dell’intreccio del fato, quindi, io sono l’oratore!


Di una festa felice,


che dura ventiquattro ore,


che vede protagoniste Noel e Alice.


 


Quindi! Comodi or mettetevi a mangiar cioccolata,


la nostra fiaba inizia così!


Di tante storie questa è la più amata!


Dei giorni più felici questo è il dì!


 


C’erano una volta in un regno molto, molto, lontano un re e una regina, benedetti dalla nascita di due gemelle. Le principesse si chiamavano Alice e Noel. Avevano entrambe la pelle del candore della neve e gli occhi azzurri come l’oceano. I loro capelli però erano molto differenti. Alice li aveva di un biondo platino, che risplendevano di una luce abbagliante mentre Noel li aveva di un nero corvino, che faceva risaltare gli occhi della bambina. La regina, altrettanto bella, era felicissima, tanto che diede una festa per il battesimo delle giovani principesse, alla quale, furono invitati tutti gli abitanti del regno e tutti i personaggi di spicco di quell'epoca. Alla cerimonia partecipò persino una fata, che donò alle principesse due ciondoli complementari, se uniti, infatti, i due gioielli, creavano lo stemma della famiglia reale, un abete sempreverde, simbolo di longevità . Dopo aver ceduto il dono, la fata sparì lasciando soltanto una nuvola di polvere magica. La festa scorreva in modo impeccabile e l’atmosfera era quasi idilliaca, se non che, nel bel mezzo di questa, una figura apparve nel castello. La regina, spaventata, diede Alice ad una serva supplicandola di salvare la principessina. La domestica fece come le aveva ordinato la donna e così si nascose nei sotterranei del palazzo con Alice in braccio. Ma la piccola Noel era ancora nella culla e piangeva disperatamente, sentendo la mancanza della madre. La figura incappucciata corse verso la culla, prese dal giaciglio la giovane principessa e sparì nella notte, senza lasciare traccia. Una volta che la strega si dissolse nell’aria della sera, i sovrani diedero l’ordine di cercare la loro bambina in tutto il regno, ma senza risultati.  Dopo la morte dei due monarchi, Alice ereditò il trono e successe ai suoi genitori. Iniziò quindi una ricerca estenuante per tutto il regno a bordo di una slitta trainata da cavalli bianchi, che purtroppo non portò a nulla. Alice non si arrese. Fece ulteriori tentativi, ma anche questi fallirono miseramente, di sua sorella non vi era l’ombra. Un giorno, la giovane regina si ricordò di ciò che le aveva raccontato sua madre a proposito del ciondolo che indossava sin da quando era in fasce. Alice, infatti, sapeva benissimo che quello era un dono di una fata, che, magari, poteva aiutarla nella sua impresa. Così nel cuore di una notte gelida, Alice uscì da palazzo e andò a trovare la vecchia fata, che viveva nella foresta limitrofa. La regina vagò per diverse ore, fino ad arrivare ad una  piccola casetta con strane piante che crescevano dal terreno. Alice bussò diverse volte alla porta e se ne stava per andare quando la vecchia fata aprì. Era una donna bassa e tarchiata con rughe che riducevano gli occhi a due fessure e capelli bianchi e lunghi intrecciati in una treccia che le pendeva di lato. La fata fece entrare Alice nella propria dimora e, la regina, iniziò a raccontarle il perché di quella visita inaspettata. Dopo aver ascoltato l’intera storia, la fata consegnò le sue nove renne volanti ad Alice, in modo che potesse cercare la sorella anche nei cieli. Così la giovane regina, salì a bordo della magica slitta e viaggiando attraverso le soffici nuvole notò un castello che non aveva mai visto prima. Il complesso si ergeva su una montagna ed era impossibile da raggiungere se non in volo. Scese su uno dei tetti, l’unico decorato da uno strano camino. Da questo non usciva fumo e così la giovane regina decise di intraprendere la discesa attraverso il cunicolo. Prima di fare ciò avvisò le renne di scendere ed aspettarla a terra. Alice si calò e, una volta dentro iniziò, a salire rampe di scale, a correre attraverso corridoi e a cambiare strada così velocemente che in poco tempo raggiunse la torre dove era rinchiusa Noel. Alice era certa che si trattasse di sua sorella. Viso identico al suo, ad eccezione dei capelli neri che facevano spiccare gli occhi azzurri come l’oceano. La ragazza, suo malgrado, non sapeva chi fosse Alice. Così la regina iniziò a raccontare la storia che i suoi genitori le avevano narrato. Noel era molto scettica, anche dopo aver visto l’estrema somiglianza con Alice. La regina non aveva intenzione di perdere di nuovo sua sorella, così le sfilò il ciondolo dal collo e lo unì al suo. Noel era sbalordita, tanto che si mise a piangere, non pensava che proprio lei discendesse dalla famiglia reale, la strega, infatti, le aveva sempre mentito riguardo al suo conto. La regina perduta, senza pensarci su due volte, scappò via con la sorella. Così le due solcarono il cielo, rivestito della luce dell’alba, a bordo della magica slitta, arrivando a palazzo in pochissimo tempo. Alice, una volta accompagnata Noel al castello, iniziò a cercare un giocattolaio, il migliore del regno, perché potesse creare dei balocchi da dare ai bambini per il ritorno della regina perduta, inoltre stilò una lista di invitati per la festa che si sarebbe svolta quella stessa sera. La strega, una volta scoperta la fuga di Noel, ritornò a palazzo reale, ma al posto della regina perduta trovò la vecchia fata, che trasformò l’essere malvagio in un abete enorme, simbolo della famiglia reale, che venne addobbato a festa per il ritrovamento di Noel. Quella sera si festeggiò il ritorno della regina perduta. I bambini trovarono i regali, creati dal giocattolaio, sotto l’abete, e corsero a scartarli, gli adulti, invece ballarono tutta la sera in onore della regina perduta. Per la prima volta nella storia un regno vide due regine al trono e da quel giorno in avanti, il 25 dicembre venne considerato il Giorno di Noel. Il regno, situato nell'attuale Francia, mantenne questa tradizione per molto tempo ed arrivò a noi come “Il giorno di Nataleâ€.


 



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Mboh, ho provato a fare qualcosa :(


 


Dina


Christmas Story


 


Vi ricordate, quando da bambini sentivate storie riguardanti maghi e altre cosa magiche? Insomma, persone che con poteri magici trasformavano gli oggetti in altri oggetti, che evocavano creature ecc. Beh, forse nei giorni nostri nessuno crede a queste, come dire, “sciocchezze†… Ma forse, un fondo di verità  esiste. 


 


Torniamo indietro nel tempo. Da come si può pensare, la tecnologia era molto arretrata, però c’erano delle persone, che avevano ricevuto dei poteri, direttamente da Dio, per fare del bene. Ovviamente, nessuno doveva sapere di queste persone, altrimenti il loro segreto sarebbe stato svelato, e i loro poteri annullati. Quindi, ogni anno, erano scelte delle persone nella comunità , che avrebbero ereditato questi poteri. Voi giustamente starete pensando: cosa c’entra questo col Natale? È presto detto.


 


 In quel tempo, si respirava molto malcontento nell’aria. Anche tra le famiglie, non c’era un giorno che non scoppiasse un litigio. Quindi, questi maghi ebbero un’idea: perché non creare un essere che portasse felicità ? Detto fatto. Con i loro poteri, crearono questo essere: barba e capelli bianchi, molta pancia, e una risata molto profonda. Però ebbero un dubbio: come poteva quest’essere portare felicità  a tutti, a causa della sua stazza? Allora crearono delle renne. Oh, ma non delle renne qualsiasi, ma delle renne in grado in volare, per potersi spostare più velocemente da un posto all’altro senza fare il minimo rumore. La prima renna creata fu una certa Rudolf, la cui caratteristica era un naso di colore rosso. Però, mancava un mezzo con cui spostarsi, dato che le renne non potevano reggere il suo peso. Fu quindi creata una slitta. Il sistema era perfetto: mezzo con cui muoversi, individuo che portava felicità  alle persone e animali con cui trainare il mezzo.


 


Un altro problema sorse: come poteva dare la felicità ? Allora i maghi elaborarono uno stratagemma. Mentre altri litigi si formavano, iniziò a cadere una strana cosa dal cielo. Sembrava pioggia, però cadeva molto più lentamente della normale pioggia. Ed era bianca anziché incolore. Tutti uscirono dalle case per andare a vedere quella cosa, che in seguito fu chiamata “neveâ€. Però alcune persone non uscirono da casa, quindi come poteva entrare per portare i regali? Allora i maghi lo fecero diventare invisibile. Dicevano che era un mix perfetto: se c’erano persone in casa, diventava invisibile per non farsi vedere dalle suddette.


 


Quando tornavano a casa, notarono i regali. Ovviamente gridarono al miracolo, dato che se tutti erano usciti, nessuno della famiglia poteva aver messo i regali in casa. E questa tradizione continuò per molto tempo. Puntualmente, ogni 25 dicembre iniziava a nevicare, e iniziavano ad apparire dei regali in casa. Però, come ogni cosa, non sarebbe destinata a durare in eterno.


 


Passati molti anni, un mago ereditò i poteri dalla dinastia. I maghi più saggi però non sapevano cosa aveva in mente quella persona. Sembrava diversa, dato che appena ricevette i poteri, un ghigno si stampò sulla sua faccia. Molti anni dopo, quella stessa persona fu eletta Papa. I maghi pensavano “Bene, ora il Papa porterà  la pace in questo regno!†Ma si sbagliano. Oh, eccome se si sbagliavano. Il Papa usò i suoi poteri senza farsi vedere dalle altre persone. Creò un esercito invincibile, che attingeva la forza direttamente al suo potere. Ma… nemmeno questo sarebbe durato in eterno. Appena i maghi anziani videro cosa sta succedendo, s’indignarono, e decisero di porre fine a tutto ciò. Radunarono molte persone, e mostrarono i loro poteri. Persero i poteri, ma non furono i soli, dato che ora anche il Papa non poteva fare più niente. L’esercito cadde, e il Papa fu costretto a ritirarsi. E si formò il cosiddetto “Stato della Chiesaâ€.


Ma che fine ha fatto l’essere creato dai maghi, che dovrebbe dare la felicità  a tutti? Nei regali c’era un biglietto che recitava:


 


“Forse l’anno prossimo non potrò venire, quindi fatemi questo favore. Ogni 25 dicembre, prendere un pino e addobbatelo come meglio potete. Per i regali, beh, fate scrivere una lettera ai bambini che inizia con –Caro Babbo Natale, per Natale vorrei…- e lasciate la lettera da qualche parte. Dopo un po’, prendetela, e se il bambino vi chiede che fine ha fatto la lettera, voi dovrete dire che l’ha presa Babbo Natale, così il bambino gioirà  nel sapere che avrà  il suo regalo. Andate a comprarlo, incartatelo e sopra ci metterete un biglietto con su scritto –Da Babbo Natale, per *nome bambino*- Non voglio che la magia del Natale vada perduta.â€. In ogni regalo per gli adulti c’era questa lettera. E capirono che “Natale†era il nome della persona che avevano fatto loro i regali…


 


Ecco qui la storia di Natale. Però, non tutto è perduto. Chissà , magari sotto il tuo albero è stato messo un regalo… senza che tu abbia scritto niente.


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LP97 #Mr.Mewtwo#


Un Bianco Giorno


Correva un anno ormai perso nel tempo,ci troviamo in una piccola cittadina che sorgeva nelle terre di un'antichissima regione nella quale un giorno preciso dell'anno nevicava,il 25 Dicembre.


Nessuno conosceva il motivo,ma di fatto,ogni 25 Dicembre nevicava e tutta la regione si ricopriva di quella candida sostanza bianca che rallegrava giovani e anziani.


Questo 25 Dicembre,però,accadde qualcosa di diverso,oltre alla classica nevicata vi fu anche una nascita,era un dolce bambino nato da una madre povera,il padre era un gran lavoratore,ma nonostante il suo impegno non veniva mai apprezzato.


Quel giorno la madre e il padre invitarono tutto il paese per festeggiare con loro quel meraviglioso evento,ma nessuno andò...


Loro,anche se soli e tristi,festeggiarono e il bambino fu contento.


Un ricco che passava da quelle parti vide quel bambino e si meravigliò così decise di donare qualcosa a quella povera famiglia,molte persone videro il fatto e decisero di avvicinarsi e guardandolo,quasi piansero,era stupendo.


Era molto tempo che non accadeva un evento del genere,la neve cadeva ogni anno il 25 Dicembre,ma quella nascita poteva accadere solamente una volta.


Decisero allora di trovare un nome per l'accaduto,chiesero allora ai più colti di trovare un nome,loro dissero:"Natale",che deriva da natus in Latino.


Nessun nome fu più adatto di quello,così gli anni successivi tutta quella regione festeggiò il 25 Dicembre come Natale.


I loro cuori erano talmente in gioia che decisero di condividere questo evento con tutto il pianeta e dal quel lontano giorno fino ad oggi,il 25 Dicembre è diventata una festa che si festeggia ovunque sul pianeta,ogni persona di ogni popolo,razza e lingua festeggia questo avvenimento come se fosse un piccolo fiocco di neve,ma che unito a tutti gli altri produce la nascita di qualcosa di grande.


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Ci provo.. :) Purtroppo non ho molto tempo e più di così non posso fare, al momento.


Non lo ho neanche per riguardare e correggere eventuali errori (che ci saranno di certo essendo io incapace a scrivere al PC).


Peccato..Avrei voluto scrivere di meglio e uno dei miei soliti papiri..Pazienza, sarà  per la prossima volta! :P


Buona lettura e buona fortuna a tutti!!! :)


 


 don Matteo


 


               â€œ The Christmas blessing: a gift from Heaven†                         


  ("Il miracolo di Natale: un dono dal Cielo")


 


 


Era una sera come tante nel piccolo villaggio di Nazareth, in Gallia, inebriato dal candore della luna. Le stelle ondeggiavano sul mare quieto della sera e tra queste una sembrava sfolgorare più di altre. Quest'ultima, ad un certo punto, si allontanò da quel mare e si diresse con pacatezza verso una casetta piccola, ma accogliente. Qui risiedeva una giovane ragazza, intenta in una profonda lettura.

Ad un certo punto essa fu abbagliata da un'intensa esplosione luminosa. Lasciò così cadere a terrà  il librò e si buttò al suolo, in ginocchio. Si sentiva impaurita, ma anche felice, come se fosse avvolta da un soave e caloroso abbraccio.


Provò ad aprire gli occhi. La luce era ancora intensa, ma non le dava fastidio.


Innanzi a lei una leggiadra figura, librata in aria ed ammantata da una maestosa tunica iridescente, la stava fissando con dolcezza. I suoi capelli erano riccioli e dello stesso color dell'oro. Nei suoi occhi, invece, si ravvisavano l'azzurro dell'oceano e il fulgore dei raggi solari. Un paio d' ali immacolate si ergeva dalla sua schiena e compiva un moto continuo e cadenzato.


Maria continuava a fissarlo, non osava proferir parola per timore di compiere una mancanza di rispetto.


La celestial figura, allora, ruppe il silenzio e disse: << Non aver timor di me, io sono Gabriele, l'angelo venuto a narrarti di una missione speciale che ti è stata affidata da qualcuno molto più importante di me. Maria! Tu sei stata scelta per divenire madre dello Spirito Santo e Giuseppe, tuo futuro sposo, per restarti accanto nei prossimi 9 mesi. Vi aspettano giorni difficili, ma voi avete la forza per superare tutto questo. Io veglierò su di voi, non temete>>.


Maria si sentiva pervasa da una svariata quantità  di sensazioni: la gioia, la paura, l'insicurezza di una missione di cui non si sentiva degna, la fede che l'aveva sempre contraddistinta.


Ad un certo punto volle provare a dire qualcosa anche lei. Con umiltà  e voce tramante iniziò: <<Io? Io la madre dello Spirito Santo? Ma sarò in grado? Come possiamo noi umile gente poter compiere una missione tanto importante...>>


Gabriele non le rispose, ma le sorrise, la strinse a sé e si dissolse in quel mare terso da cui era giunto.


Maria non si sentiva più spaventata, ma immensamente lieta di tale annunciazione. Non le importava quali e quanti ostacoli avrebbe dovuto affrontare, sapeva di potercela fare. Non era sola.


Decise di andare immediatamente a riferire la notizia a Giuseppe. Questi era un instancabile carpentiere di umile famiglia e di buon cuore nonché futuro sposo della giovine.


Maria non si rese conto della tarda ora e quando giunse di fronte alla casa del ragazzo rimase incredula nel vedere tutte le luci spente. Tuttavia udì dei colpi provenire dal retro. Giuseppe era lì, ancora immerso nel suo lavoro. Una piccola lanterna lo rischiarava con la sua fioca luce e mostrava un uomo dai lineamenti delicati.


Maria si avvicinò a passo lento, ma deciso. Giunta ormai innanzi a lui, pacatamente, gli disse: << Giuseppe…ancora a lavorare? Sono proprio fiera di te. Spero che capirai anche quanto sto per dirti. Ascoltami se puoi. E' una cosa importante e non potevo e non volevo attendere un solo minuto di più!>>


Giuseppe smise di lavorare, si voltò verso di lei e restò in silenzio in attesa che la giovane gli comunicasse la notizia che aveva preannunciato. 


<<Giuseppe! Questa sera un angelo di celestial splendore mi è apparso innanzi per annunciarmi il concepimento verginale dello Spirito Santo. Io ne sarò la madre e vorrei averti al mio fianco in questo percorso. Tu…tu che presto diverrai mio marito. Mi starai accanto?>>


Il ragazzo era incredulo. Iniziò a tremare e lasciò cadere gli arnesi che aveva in mano. 


Senza dare una risposta alla ragazza, con il viso rivolto verso il basso e con fare pensieroso, si incamminò lentamente verso l'uscio di casa dove si fermò per qualche secondo. A quel punto sussurrò: << Tu…madre dello Spirito Santo…un angelo…ed io che dirò alla gente? Non è possibile…Non posso...non posso…>>. Poi entrò in casa.


Maria era dispiaciuta, sentiva di non potercela più fare. Lei aveva un gran bisogno del sostegno di Giuseppe.


Cupamente si diresse verso casa sua, accompagnata soltanto da quel tiepido faro lunare che sembrava volerle dare conforto.


Giuseppe faticò ad addormentarsi quella notte. Erano innumerevoli i dubbi che si annidavano nella sua mente. Alla fine, però, le fatiche del giorno presero il sopravvento e si assopì.


Ad un certo punto udì una voce che disse: <<Figliolo, apri gli occhi>>.


Il ragazzo pian piano sollevò le palpebre e fu abbagliato da un immane balenio. Fu allibito nel vedere   quell'angelo descrittogli poco prima da Maria. 


L'angelo Gabriele continuò dicendo: <<Cosa ti preoccupa? Non devi temere di prendere con te Maria e farla tua sposa. Ciò che è generato in lei è frutto dello Spirito Santo e non di adulterio. A quel figlio tu darai il nome di Gesù. Egli salverà  il suo popolo dai peccati del mondo>>.


Il giovane si gettò a terra, in ginocchio, scoppiò in un pianto di gioia e disse: <<Perdonate i miei dubbi e la mia titubanza. Seguirò le vostre parole e non abbandonerò né Maria né il figlio che ha in grembo. Cercherò di essere come un padre per quest'ultimo e non gli farò mancare nulla. La fede sarà  la mia forza>>. 


L'angelo gli sorrise, lo strinse a sé e lo salutò dicendo: <<Se avrete fede non dovete temer nulla. Io veglierò sempre su di voi>>.


A quel punto il giovane si destò da quello che sembrava essere stato solo un sogno. Sentiva in sé una forza che non credeva di avere e un'immane gioia gli abbracciava il cuore.


Era l'alba oramai. Le strade iniziavano a riempirsi di gente pronta ad andare a lavoro. Nell'aere iniziava a diffondersi n leggiadro profumo di pane appena sfornato mentre i caldi bagliori dell'aurora attorniavano pian piano tutto ciò che incontravano sul loro cammino.


Giuseppe decise di recarsi immediatamente da Maria. Ella era estremamente felice di vederlo e lo accolse con uno splendido sorriso in volto. Lui non le lasciò neanche il tempo di esprimersi e cominciò dicendo: <<Perdona il mio gesto se puoi. Scusa se sono fuggito e se ho pensato di abbandonare te e il piccolo che porti in grembo. Ho avuto paura, non credevo di potercela fare, ma il nostro angelo custode ha diffuso i suoi amorevoli raggi in me e annientato le fumose e fosche incertezze che mi laceravano. Io desidero averti al mio fianco, ora e per sempre. Voglio che diventi mia sposa e che dai luce il salvatore del mondo. Io starò al vostro fianco e cercherò di non farvi mancare niente.>>.


Gli occhi della giovane si tinsero di fiocchi di rugiada e col sorriso sulle labbra abbracciò il futuro sposo. 


 


Trascorsero vari mesi. I due ormai erano divenuti marito e moglie e attendevano il concepimento del piccolo.


In occasione del primo censimento del politico Quirinio si recarono nella città  di Betlemme, ove cercarono un albergo. Qui, purtroppo, non trovarono camere libere. Era ormai tarda notte e non sapevano proprio come fare. Il bambino sarebbe nato da lì a poche ore e non avevano un posto dove andare. 


All'improvviso entrambi udirono dal nulla una voce cortese che li guidò fino ad una mangiatoia abbandonata. 


Nel frattempo, una radiosa cometa aveva solcato i cieli e disegnato un percorso che guidò pastori, artigiani, suonatori e animali in quel luogo dove si stava compiendo un immane miracolo. 


Lì furono condotti, da Oriente, anche 3 Magi che portarono oro, incenso e mirra in dono al futuro re dei giudei.


I 3 videro la capanna un po' troppo spoglia e indegna per essere il luogo di nascita di tale miracolo. Decisero così di ornare essa e l'abete che vi era posto accanto (quasi a riparare la Sacra Famiglia dal freddo invernale) di pietre preziose e gioielli di ogni tipo. 


La stella cometa, che da qualche minuta stava continuando a ruotare senza sosta sopra la capanna, terminò il suo incessante movimento rotatorio e si adagiò sulla punta dell'albero irradiando di luce aurea tutte le varie preziose decorazioni. 


Ora tutto era pronto per accogliere nel giusto modo quel Santo Gesù Bambino. 


<<Ecco! Acclamiamo il re dei giudei! Acclamiamo il nostro salvatore!>> gridarono all'unisono i 3 magi.


Maria e Giuseppe scoppiarono in un pianto di gioia. Si strinsero in un dolce abbraccio.


Finalmente erano riusciti a dare alla luce il Salvatore. Erano una famiglia...una famiglia tanto umile quanto speciale.


Quello era il "diem natÄlem Chiristi", ovvero il giorno della nascita di Cristo.


 


<<Ecco figliolo...questa è la storia dell'origine del Natale>> disse l'anziano Nicholas al proprio nipote.


Il piccolo gli rispose: <<Che bella storia nonno…Ma allora Babbo Natale cosa centra col Natale?>>.


E il vecchio, dopo essere scoppiato una buffa risata, accarezzandosi la folta e nivea barba, disse: <<Caro Rupert, egli non è che un uomo come tanti altri che cerca di donare solo un po' di felicità  all'uomo. Purtroppo, però, la gente sta dando sempre più peso ai regali dimenticando il vero significato del Natale, ovvero stare tutti assieme e volersi bene. Si bramano oggetti di costo sempre più elevato e si lasciano da parte valori molto più preziosi. Sono molti quelli che ahimè stanno iniziando ad odiare tale giorno.Ma tu non devi temere nipotino mio, non è il tuo caso. Non cambiare! Per te un dono da Babbo Natale non mancherà  mai perché sei una persona umile e buona. Ricorda, però, che la presenza dell'omone vestito di rosso non è fondamentale e spero che la storia che ti ho narrato te lo abbia fatto capire. Ora va a letto, è tardi. Io devo ancora sbrigare qualche faccenda. Ah! Non scordarti di lasciare qualche biscotto e un bicchiere di latte sul tavolo, mi raccomando! Ohohohoh…Buona notte, mio caro Rupert>>.


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Ok! proverò a fare del mio meglio! A me la tastiera! (?)

 

 

Mighty Sorcerer

 

IRdell' Abete

 

In un luogo remoto, in un tempo sconosciuto, c'era un piccolo regno governato da un re di nobili origini, ma anche di nobile spirito e di incredibile gentilezza e virtù: infatti adorava regalare giocattoli ai bambini sotto forma di pacchi regalo e cibo ai più bisognosi, soprattutto nei periodi più freddi. Il simbolo di quel regno era l'abete, un albero sempreverde che non patisce il freddo e le intemperie. Non c'era miglior stemma per rappresentare la rigogliosità  e la forza di quel territorio idilliaco, tanto che era chiamato da tutti Regno dell'Abete.

  Purtroppo tutte le storie, belle o brutte che siano, giungono ad una fine. In un freddo giorno di novembre un crepaccio si aprì non molto lontano dal Regno dell'Abete, sconvolgendolo con terremoti e non solo: Da quella enorme fessura sorsero terribili creature nere come la pece, con occhi rossi come il sole al tramonto e carichi d'ira e di odio. Avevano fauci enormi con le quali potevano divorare ogni cosa senza la minima fatica. Camminavano su sei zampe, le quali possedevano artigli acuminati per lacerare la carne e rompere le ossa. Infine avevano una coda la cui estremità  era sempre in fiamme ma non si consumava mai.

  Il Re dell'Abete assoldò un esercito per affrontare il problema dei Nerombra (così erano stati chiamati dai paesi e dai regni vicini) ma non ebbero speranze: i Nerombra erano troppo forti ed erano prevalsi nonostante la loro disorganizzazione. Seguirono mesi di devastazione e migliaia di anime vennero mietute da quei mostri malefici. Giorno dopo giorno, mese dopo mese il pericolo dei Nerombra diventava sempre più vicino e si sparse per tutto il mondo conosciuto. Tutto sembrava finito, non c'era più nulla da fare...

  Un giorno però il Re dell'Abete non potè più sopportare quello scempio e una notte visitò il piccolo villaggio Karsi, luogo di origine di molti stregoni, e chiese aiuto al capovillaggio Murnis, discendente della leggendaria strega che aveva dato nome al villaggio. Murnis non era uno stregone come gli altri, con la barba bianca, una tunica e un cappello a punta. Aveva i capelli castani di media lunghezza. Il viso non era solcato da rughe, infatti era molto giovane. Il suo abbigliamento era composto da un vestito a maniche lunghe, con qualche bruciatura e macchia causate dai suoi continui esperimenti in ambito magico, dei pantaloni di lana e dei lunghi stivali di pelle.

"Murnis, so che sei lo stregone più forte di tutto il continente, ed è per questo che necessito del tuo aiuto" disse il Re dell'Abete.

Murnis posò un'ampolla e replicò: "Stiamo parlando dei Nerombra,giusto?"

Il Re si limitò ad annuire.

Murnis sospirò e disse: "Va bene, verrò con te. Prima eliminiamo quei mostri e prima potrò riprendere i miei esperimenti".

Il Re sapeva che il mago non lo faceva solo per sè stesso: i due si conoscevano da molto tempo e il Sovrano aveva avuto l'opportunità  di conoscere il lato altruistico di Murnis.

  Dopo aver salutato gli abitanti del villaggio Karsi ed essersi muniti di viveri e oggetti utili, Murnis e il Re dell'Abete si icamminarono verso l'enorme abisso da cui affioravano continuamente i Nerombra.

"Allora, qual'è il tuo piano?" disse lo stregone.

Il Re rispose: "Sarebbe da sciocchi andare dritti verso il crepaccio, perciò andremo a Est, verso i Colli Ventosi e poi a Nord-Est attraversando la Palude Spiritata. Arriveremo al regno di Banteay e da lì raggiungeremo quel posto infernale".

"Mmm... mi sembra sensato. Su, che aspettiamo? mettiamoci in marcia".

Ed è così che iniziò il viaggio dei due eroi per fermare la piaga dei Nerombra.

 

  I due erano in cammino da quasi due giorni, quando sentirono un forte vento sferzargli il viso: erano arrivati ai Colli Ventosi:

"Finalmente! I Colli Ventosi! Ma... non sono come me li ricordavo" disse con crescente delusione Murnis.

E aveva ragione: quel posto meraviglioso e governato dal verde del prato e dei boschi era stato orribilmente mutato dalle razzie dei Nerombra, che avevano ridotto quei colli ad un ammasso di sterpaglie.

Il Re camminò verso quella landa desolata quando lo stregone lo prese per un braccio, nel tentativo di fermarlo:

"Shhh! Ho sentito un rumore...e non mi è piaciuto...".

Da alcuni alberi morti apparvero delle luci sinistre. Erano le code di due Nerombra. Murnis tirò fuori una bacchetta nodosa con un cristallo all'estremità  e li fulminò con essa. I mostri non poterono fare altro che emettere versi striduli di dolore finchè non si accasciarono al suolo e si dissolsero consumati dalle stesse fiamme che bruciavano sulle loro code. Il Re dell'Abete rimase esterrefatto, non ebbe nemmeno il tempo di usare la sua spada. Balbettò:

"Co-come hai fatto?"

"Si tratta di una magia che ho appena inventato, non pensavo fosse così potente. Allora, che te ne pare?"

"Elettrizzante." Disse il sovrano in modo sarcastico ma al contempo scioccato.

"Beh, vogliamo andare?" Lo incitò Murnis. "O vuoi essere sbranato da altri mostri?"

Con queste ultime parole continuò il viaggio dei due eroi verso la Palude Spiritata.

 

  Quando Il Re dell'Abete e Murnis raggiunsero la Palude Spiritata, furono sorpresi da un tanfo terribile e da urla agghiaccianti:
"Si può sapere che cosa succede qui?" urlò spaventato lo stregone. Anche se non sembra, Murnis spesso ha dimostrato di avere molta paura.

"Devi sapere, mio caro Murnis, che sotto di noi giaceva un cimitero. Purtroppo le frequenti piogge del luogo hanno sommerso lapidi e tombe finchè nessuno si ricordò più dei morti che furono sotterrati qui. Adesso i loro spiriti vagano senza tregua alla ricerca di qualcuno su cui avere..."

"VENDETTA!"

Una voce roca fece sobbalzare i due:

"C-c-chi è s-stato!?" Murnis era a dir poco terrorizzato, ma cercò di non farlo notare troppo per spavalderia.

Una sorta di fantasma si tuffò nelle acque torbide della palude e poco dopo spuntò una figura quasi amorfa, ricoperta d'alghe e mucillagine.

Il Re dell'Abete sguainò la spada. Era una spada splendente, sembrava brillasse di luce propria. L'elsa era finemente decorata, così come la guardia e sul ricasso era stato inciso un abete, il simbolo del suo regno.

"Lasciaci in pace,creatura maledetta!" Urlò con grinta il sovrano mentre attaccava il mostro con un fendente orizzontale. Quest'ultimo, come se fosse stato esorcizzato dall'arma, cadde a terra mentre il fantasma al suo interno cominciò a ribollire fino a scomparire del tutto, lasciando vuota la sua armatura d'alghe.

"È morto?" chiese lo stregone.

Il Sovrano, rimettendo la spada nel fodero non rispose. Invece gli disse "Faremmo meglio a raggiungere il crepaccio prima di incappare in altri pericoli".

Ormai mancava poco allo scontro finale, i due eroi erano sempre più vicini.

 

  Murnis e il Re dell'Abete avevano raggiunto il regno di Banteay, quello più forte in campo bellico. Infatti, nonostante i terremoti e il continuo afflusso dei Nerombra, il regno si era difeso egregiamente e senza nemmeno una perdita. Entrambi sapevano che era il luogo migliore dove rifocillarsi e prepararsi per l'ultimo scontro. Prima però vollero fare una visita al re di Banteay: Omis, chiamato anche 'la Bestia con l'ascia' per il suo modo di combattere e per l'arma che usava in guerra.

Arrivati al cospetto di Omis, il Re dell'Abete si inginocchiò e disse solennemente:

"Omis, grazie per averci permesso di fare la tua conoscenza"

"Arriva al punto ti prego. Odio i giri di parole!" Lo interruppe la Bestia. Omis era un uomo alto e massiccio, calvo, con una barba nera non molto folta che si univa ai baffi. La prima cosa che si notava era il fatto che indossasse sempre l'armatura. Sembrava non sentire caldo dentro a quell'imponente accozzaglia di metallo.

"Va bene" ribattè il sovrano. "Vorrei che tu mi conceda la tua benedizione prima di partire per fermare i Nerombra"

"Uh? Tutto qui? D'accordo, lo faro!"

Omis si alzò dal trono, prese la sua ascia e l'appoggio prima sulla spalla sinistra del Re dell'Abete, poi su quella destra:

"Io, Omis, la Bestia con l'ascia, concedo la mia benedizione a te, Re dell'Abete. Che questo mio gesto ti aiuti nell'impresa che stai per affrontare" detto questo fece la stessa cosa con Murnis.

"La ringrazio" disse il Re. E si girò per andarsene.

"Un momento!" urlò Omis al Sovrano: "Voglio donarti la mia ascia preferita. Non so come, ma sono certo che ti sarà  utile!"

E gli porse un'enorme ascia con dei decori

Il Re dell'Abete lo guardò e rispose: "Grazie di cuore, farò tesoro di questo tuo dono".

 

  Dopo questo incontro, i due eroi si incamminarono verso l'enorme crepaccio che era stato causa di tutti i problemi del continente. Arrivati davanti all abisso, avvertirono un gran calore, ma anche un presentimento:

"Dove sono tutti i Nerombra?" chiese Murnis.

"Non lo..."

Poco prima di finire la frase il terreno sotto di loro crollò e li fece cadere in quel terribile precipizio. Svennero, accompagnati da una risata malvagia.

Quando si risvegliarono, si ritrovarono in un posto fuori dal comune: sembrava l'interno di un vulcano,con grossi isolotti di magma solidificato ma non era così caldo come ci si sarebbe aspettato. Il Re dell'Abete e Murnis guardarono in alto, si vedeva il cielo. Erano nel crepaccio!

Ma le sorprese non erano ancora finite: si girarono alla loro destra e furono colti di sorpresa dalla figura di un nemico senza precedenti. Era una figura scura, umanoide, sembrava fosse fatta di pietra e intrappolata nel terreno, infatti affioravano solo il tronco, le braccia e la testa. Quest'ultima aveva una bocca che somigliava ad una fornace, sei occhi viola che scrutavano e analizzavano ogni cosa intorno a loro e tre punte che partivano dalla fronte. Le braccia imponenti terminavano in mani con lunghi artigli. Non erano mani normali: quando le stringeva e le riapriva apparivano dei Nerombra che si dirigevano immediatamente in superficie.

Parlò: "Sono il demone Mahvan. Sono stato intrappolato da una confraternita formata da otto spregevoli saggi per evitare che distruggessi il vostro mondo. Ma ora che ho rotto il sigillo, posso finalmente tornare a devastare il vostro inutile pianeta!"

"Non te lo permetterò!" urlarono all'unisono i due eroi. Murnis materializzò un'asta di ghiaccio e la lanciò con tutte le sue forze verso il demone, purtroppo senza risultati. Frustrato, il mago scagliò una saetta, ma nemmeno quella magia fece effetto. Il Re dell'Abete sguainò la sua spada e si scatenò su Mahvan, che si mise a ridere sfacciatamente. Fu proprio con quel gesto che il sovrano scoprì il punto debole di quell'orribile creatura. Senza preavviso, il Re prese la rincorsa e saltò nell'enorme bocca di Mahvan trovando quello che cercava: il cuore del demone. Il nobile eroe prese l'ascia di Omis e colpì più e più volte il cuore del nemico finchè non sentì le sue urla strazianti,segno della sua morte.

 

  Sembrava tutto finito, ma Mahvan, astutamente, serrò la bocca e si fece esplodere uccidendo anche il povero Re dell'Abete. Murnis, che rimase sconvolto dalla decisione del Sovrano, non poteva fare altro che assistere a quell'orribile scena. Dopo questa avventura tutti i Nerombra si erano dissolti,consumati dalle loro stesse fiamme ardenti. Sfortunatamente lo stregone doveva effettuare un compito ben peggiore: annunciare la morte al popolo dell'Abete del loro Sovrano.

Quando lo stregone comunicò la triste notizia, il 24 dicembre, il Regno dell'Abete organizzò una giornata di lutto per quel nobile uomo che aveva dato la sua vita per il bene di tutto il continente. Andarono dal loro amato abete e lo decorarono con palline colorate, ciondoli, gioielli e ci misero in cima una stella costruita dai bambini del regno.

 

  Si dice che la notte seguente qualcuno abbia lasciato dei pacchi regalo alla base di quello splendido abete contenenti giocattoli e oggetti utili a tutto il popolo. Molti pensarono che il corpo del Re se ne fosse andato, ma che la sua anima gentile aleggiasse ancora su di loro, attirato dalla maestosità  di quello splendido abete. Dato che questo avvenimento si manifestò per la prima volta nel Regno in cui era stato cresciuto e in cui aveva governato, venne chiamato Natale. E da quel giorno questo mito si diffuse in ogni angolo della Terra tanto che ancora oggi si decora un abete nella speranza che il Re dell'Abete venga a portare dei regali per tutti

 

                                                                                             The End  

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 Indomitable Tamer TM


Tales of Santa Claus 


Premessa: 


Il mio racconto si basa principalmente su una vecchia storia a me cara che mi raccontavano i miei nonni quando ero piccola, e non so, ho voluto provare a scriverla come se la stessi raccontando a dei bambini, quindi spero di essere riuscita nel mio intento.


Buona Lettura!


 



Joulupukin Pajakylà¤, Finlandia


 



Nel Circolo Polare Artico, dove d'estate si vede il sole sopra l'orizzonte anche a mezzanotte, mentre d'inverno il sole non si fa vedere per un certo periodo, abita da sempre un anziano signore molto famoso che, una volta all'anno, nel periodo di Natale, svolge un lavoro frenetico per esaudire i desideri di milioni di bambini che ogni anno gli scrivono moltissime lettere, nella speranza di essere ascoltati.

 


“Dear Santa,


I'm writing this letter because i was pretty good throughout the year, i'm not asking.....†leggendo questa lettera, una piccola lacrima stava solcando il viso un po' grassottello di un signore con una fitta barba e capelli bianchi e vestito tutto di rosso, seduto ad una scrivania sovrastata da centinaia di lettere simili a quella che stava leggendo.


 


*TOC TOC*


 


“Chi è?†chiese guardando verso la porta da cui era partito quel suono.


“Babbo Natale sono io, Elijah, posso entrare?â€


Elijah era un elfo molto simile ad un essere umano, basso e un po' grassottello, con orecchie a punta e, a differenza degli altri della sua specie, aveva una barbetta nera molto folta, tanto da non riuscire a scorgerne la bocca, ma nonostante il suo aspetto potesse farlo sembrare pratico del mestiere, era arrivato al villaggio solo da qualche giorno, e quindi era ancora agli inizi.


“Certamente! Devi chiedermi qualcosa di urgente? Scusami, ma come vedi sono molto impegnato al momento, e non posso dedicarti molto tempo, perciò sii veloce†disse senza scomporsi da quello che stava facendo.


“Volevo chiederti una consiglio riguardo uno dei giocattoli che stiamo producendo....secondo noi andrebbero apportate delle modifiche al progettoâ€.


A quella richiesta, Babbo Natale non poté dire no, c'era in gioco la felicità  e la sicurezza di tanti bambini, quindi si allontanò dalla scrivania e seguì il piccolo elfo giù nella fabbrica, dove altri elfi stavano lavorando freneticamente per costruire vari oggetti.


Intanto, nei pressi di un enorme ala dell'edificio, dove venivano fabbricati i giocattoli di legno, si era radunata una folla intenta a domandarsi il da fare.


“Ed adesso come facciamo? Non possiamo fabbricare giocattoli malfunzionanti, ci andrebbe di messo la reputazione di Babbo Natale e la nostra!†dissero quasi all'unisono.


Ed ecco che, varcata la soglia del laboratorio, appare in tutta la sua magnificenza il direttore:


“Allora, qual'è il problema?†domandò mentre si avvicinava al gruppetto, che era assorto ad osservare il foglio su cui c'era disegnato il progetto di quel determinato giocattolo.


“Ecco, Babbo Natale, guarda qui†disse indicando un punto del foglio che corrispondeva a delle parti mobili del giocattolo “Se noi li fabbrichiamo seguendo questo progetto, c'è il rischio che queste parti si stacchino e feriscano il bambino, o peggio ancora che vengano ingoiate da quelli più piccoliâ€.


“Mmmmh, è un bel dilemma, ma se noi cambiassimo questo pezzo così, e quest'altro lo mettessimo qua......â€


E in un batter d'occhio, un problema che agli occhi degli elfi sembrava irrisolvibile, era stato risolto dalla mente geniale di Babbo Natale.


“Bene, se non avete altro da chiedermi, io tornerei nel mio ufficio, ho molte cose da sbrigare e sono già  in ritardo, se volete scusarmi....†disse mentre si dirigeva al piano superiore.


“Babbo, se permetti, io vorrei chiederti una curiosità ...†disse Elijah “...però desidererei parlarne a quattrocchi con te, se non è un problemaâ€.


“Certo che no, seguimiâ€.


Pochi minuti dopo arrivarono nell'ufficio e dopo che il vecchio barbuto si sedette su una poltrona vicino ad un caminetto acceso, fece cenno all'elfo di sedersi sull'altra poltrona.


“Cosa volevi chiedermi?â€


“Prima quando sono entrato qui, ho notato che ti eri commosso nel leggere la lettera di un bambinoâ€.


“E' vero, mi era tornato alla mente un fatto del passatoâ€.


“Come mai ti scrivono i bambini? Perché ti prodighi tanto per esaudire i loro desideri? E cosa più importante, perchè questa festività  si festeggia in questo periodo dell'anno e non magari, che ne so, in Estate?â€


“Piccolo Elijah, tu sei qui da poco e mi sembra corretto darti una spiegazione, ma prima, potresti preparare due tazze di cioccolata calda?â€


“Non riesco a capire a cosa servono†gli chiese, forse ingenuamente, Elijah.


“Servono a rendere più piacevole il racconto, non credi?†disse, sorridendo.


Così si diresse verso la cucina e tornò nel giro di cinque minuti.


Dopo che si mise a sedere Babbo Natale iniziò:


“Devi sapere innanzitutto che il mio vero nome è Natale e che tanti anni fa ero una persona come le altre, e vivevo vicino a dove siamo noi adesso, ed era una regione sterile, in parte montuosa, in parte piana, con boscaglie e cespugli: la Finlandia, appunto.


In una capanna del bosco, tra alberi e ruscelli, coltivavo il mio orticello, curavo le mie renne, vivevo tranquillo, insomma.


Vestivo sempre di rosso come adesso, del resto è sempre stato il mio colore preferito, sono sempre stato una persona buona e generosa ed aiutavo sempre i miei vicini, ma un giorno pensai che tutto quello che facevo non mi bastava e decisi di dare agli altri qualcosa in più.


Una notte feci un sogno, nel quale mi apparve un folletto, o almeno cosi mi sembrò, che mi disse del mondo lontano dove tanti bambini aspettavano un dono che non avrebbero mai ricevuto.


Mi disse anche che sarei dovuto partire e caricare la mia slitta con tanti regali, che avrebbe pensato lui a procurarmi.


Ma subito mi domandai -Come farò a consegnare tutti i doni in una sola notte e ad entrare nelle case? Ci saranno tutte le porte chiuse!-, lui mi rassicurò e disse che avrebbe pensato a risolvere ogni mio problema.


Fu così che mi nominò papà  di ogni bambino donandomi il nome di Babbo Natale.


Al mio risveglio ricordai il sogno e decisi di partire subito, così uscii dalla casetta ed attaccai alla slitta le renne più forti, iniziando la mia avventuraâ€.


“Quindi tutto questo che conosciamo oggi, è partito da un sogno?†Elijah era più stupito che mai.


“Praticamente si, e man mano che consegnavo i regali ai bambini vedevo quanto erano contenti, ed allora capii che questa era la mia missione: portare loro i doni che desideravano, in un giorno che venne da quel momento scelto per festeggiare l'Inverno, di solito una stagione triste.


Certo, non c'è sempre il bel tempo, ma la natura offre spettacoli sempre bellissimi ed anche la neve ha il suo pregio e decisi di chiamare questa festività  come me, ovvero Natale, ecco l'origine del suo nome.


I primi giochi che regalai furono costruiti con le mie mani: intagliai nel legno bambole, macchinine, pupazzi ed ogni sorta di giocattolo.


Il folletto mi assegnò degli Elfi che mi aiutassero a costruire i giocattoli, a caricarli sulla slitta e a consegnarli in tempo ogni anno la sera di Natale, senza di loro non so davvero come farei, e fece anche un piccolo miracolo: concesse alla mia slitta e alle otto renne il dono di poter volare nel cielo.


Da quel momento entro la notte di Natale in ogni casa calandomi dal camino e riempiendo le calze che ogni bimbo appende sotto al camino, come d'usanza, e posando gli altri pacchetti più grossi sotto agli alberi di pino adornati a festa con luci e addobbi vari: palline, candeline, bastoncini di zucchero, e anche nelle case delle famiglie più povere gli alberi di pino vengono adornati con noci, mandarini, frutta secca, che profumavano l'aria di festa e che poi sono mangiati in famiglia tutti insieme.


Grazie alla magia dell'amore verso i bambini e i più bisognosi mi fu possibile essere sempre puntuale nella consegna dei doni per poter far felici tutti i bambini del mondo, e portare un sorriso nei loro visi e nei loro cuori! Questo era e sarà  sempre il mio obbiettivoâ€.


Ci fu un lungo momento di silenzio, evidentemente legato alle emozioni che quel racconto ha suscitato ad entrambi.


“......E così finisce la nostra storia!†disse il vecchio barbuto congedandosi dall'elfo e avviandosi verso il corridoio, ma l'elfo voleva sapere di più, così corse dietro la figura e urlando “Babbo! Babbo!†ottenne l'attenzione di Babbo Natale.


“Che vuoi, ancora?†l'elfo era emozionato, ma senza pensarci su due volte, enunciò la domanda che tanto lo assillava “Babbo, tu non sei immortale vero?†dagli occhi dell'elfo sgorgarono delle lacrime.


Babbo Natale si chinò ed asciugò gli occhi dell'elfo “Vero, purtroppo non sono immortale, ma ti rivelo un segreto.... la storia che ti ho raccontato non è completaâ€.


Babbo Natale e l'elfo continuarono a camminare nel corridoio parlando fitto fitto, probabilmente, il vecchio barbuto stava finendo il racconto.


Per noi invece la storia finisce qui e chissà  magari, in un giorno futuro, Babbo Natale la racconterà  anche a noi.



 


Good Luck e Buon 2O14 a tutti!


 


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                                                                           GrowlitheForce


                                   "La tradizione delle Renne"             


Ho deciso di provarci,molto probabilmente farà  schifo,ma l'importante e partecipare no?


Come ogni natale,nella mia città ,mio padre e alcuni dei suoi amici andavano a caccia di Renne.Non ci piaceva molto la loro carne,ma ormai quella era una tradizione e non avrei mai creduto di diventare quello che sono per questa "stupida tradizione".Oh,credo che tu non sappia quello che è accaduto miliardi di anni fa,allora mettiti comodo ed inizia a leggere.


 


Nella cittadina di ... molte persone praticavano uno strano hobbie che si tramandava da molti anni:La caccia alle renne.Ero ancora un bambino e molto spesso chiedevo a mio padre il perché di questa "cattiva abitudine",lui mi rispondeva spesso dicendo:"Le renne non meritano di restare vive".Ero costretto ad andare con il babbo a caccia,dato che mia madre da un paio di mesi sembrava quasi un vegetale,non si muoveva e mangiava poco.Quasi ogni giorno dovevo indossare quella felpa super imbottita,quando mio padre l'aveva comprata era di un bel colore Blu acceso,mentre adesso era diventata di un rosso molto scuro,sapevo già  che quel rosso apparteneva alle povere renne.Il tempo passava,precisamente 3 anni,in quel tempo accaddero molte cose:Un braccio rotto,la morte di mia madre e l'estinzione delle povere renne.Dopo la morte di mia madre il babbo non era più lo stesso.In quella cittadina non avevo molti amici,la maggior parte dei ragazzi era tossicodipendente e utilizzava molte Droghe.La cosa peggiore però era che prendevano sempre di mira me,solamente perché ero molto grasso.Altri anni passarono velocemente e io finalmente riuscì a scoprire la causa dell'odio verso le renne:Quando io ero ancora un neonato nella mia cittadina ci fu un assalto da parte degli animali che stranamente uccisero quasi tutti i bambini dai 0 agli 8 anni,per fortuna io in quel periodo ero da mia nonna.Cercai di scoprire le cause,ma ogni indizio portava all'attacco "volontario" delle Renne.Decisi di partire nella foresta,dissi a tutti che andavo a trovare un mio caro parente.Nella foresta non c'era anima viva.La mattina dopo però vidi un cucciolo di Renna e pensai:"Sembra che questo cucciolo abbia poche settimane!,allora le Renne non si sono davvero estinte".Il piccoletto però aveva qualcosa di particolare,era come se avesse una lampadina ficcata nel naso.L'animale iniziò a correre e io senza pensarci iniziai a seguirlo convinto che mi avrebbe portato dai suoi simili e in un certo senso mi ci porto davvero.Si avvicinò a due cadaveri "freschi" e poi iniziò a "mordermi" come se volesse farmi vedere qualcosa,in terra c'era una strana cartina che indicava uno dei poli.Appena la vidi pensai subito che appartenesse ai cacciatori,così partì in viaggio.Durante il tragitto mi affezionai così tanto alla renna da dargli perfino un nome:"Rudolph".Passarono esattamente 2 anni e 3 mesi,era il 25 Dicembre,arrivai finalmente al polo e quello che vidi mi stupì,sembrava un paradiso delle renne.Una delle Renne più vecchie si avvicinò a me e iniziò a parlarmi,lasciandomi stupito.Le sua parole furono:"Vedo che Rudolph ha trovato una persona pura di cuore,vorrei proporti una cosa".La Renna mi portò in una specie di ufficio pieno di Persone simili a Elfi,aprì un ufficio e vidi una cosa che mi mise a disagio.Infatti proprio al centro della stanza c'era una MIA FOTO.Io dissi subito:"Come mai c'è una mia foto li?" e la Renna rispose."Sapevamo già  che saresti venuto".L'animale iniziò a parlare di regali sotto gli abeti o di slitte con Renne volanti,appena arrivò a  chiedermi se volevo l'incarico io dissi prima:"Accetterò,ma voi ditemi prima perché avete attaccato la mia città !" lui iniziò a tremare e cercò di star zitto,ma poi esclamo:"Quelle Renne non erano dalla nostra parte,prima di te un'altra persona si era presentata e noi avevamo deciso di rifiutarla,allora si portò via delle Renne per andare a uccidere proprio te!".


Rimasi molto perplesso,ma decisi di restare.La prima notte fu difficile da accettare,ma per fortuna Rudolph aveva deciso di restare con me.Il primo giorno gli elfi decisero di mostrarmi il lavoro:Dare gli ordini.Un paio di mesi dopo l'anziana Renna mi portò una Donna dicendo:"Babbo,questa sarà  tua moglie",io non rifiutai dato che sembrava molto simpatica.Si stava avvicinando Natale e io ero pronto a svolgere la mia prima missione:"Far scoprire al mondo il Natale".Era il 23 e qualcuno si fece avanti:Un certo Demos.Mi porto la testa della Renna anziana e mi disse:"Sarò io a far scoprire il natale a tutto il mondo!",uscendo un coltello.Sarei stato spacciato se non fosse stato per Rudolph che dovette per forza ucciderlo con le sue corna.Andai a letto cercando di scordare tutto,domani sarebbe stato un lungo giorno.Il mattino portai una lettera a tutto il mondo che diceva:"Fai scrivere una lettera a tuo figlio/a con una lista di tutto ciò che vuole e spediscila a me,OH e non scordare di comprare un abete da mettere in casa.Firmato Babbo Natale".In pochi seguirono la mia lettera e furono proprio quei pochi a ricevere regali nella notte di Natale.


Sono passati 1000 anni,ma mi sento ancora giovane,le Renne mi hanno regalato la vita eterna.Ogni notte del 25 Dicembre porto regali ai bambini che si sono comportati bene,vivo alla grande e passo molto tempo con mia moglie,Rudolph e gli elfi.Sono felice perché ora tutti mi conoscono con il nome di BABBO NATALE


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provo.


più che altro mi sono divertita ad accogliere la sfida, come in ogni contest che questo forum mi propone.


spero che sia interessante come storiella, a me è piaciuto scriverla. enjoy ♥


 


 



Flamiya


 


 


 


Stelle sulla Terra


 


 


 


 


La vera storia del Natale, col passare dei secoli, si è persa nel tempo. A noi, oggi, è rimasta solo qualche tradizione, entrata a far parte delle consuetudini di fine anno, come preparare l’albero o mettere tante luci colorate sui davanzali delle nostre finestre, ma tutto viene fatto quasi meccanicamente, spinto da una consuetudine che ci è tramandata col tempo. Restano però alcuni gesti di vero amore, gesti che vengono dalla luce in fondo ai nostri cuori, gesti che solo a Natale si trova il coraggio di fare. E sapete perché proprio a Natale si trova il coraggio di tirare fuori quella forza nascosta? Volete conoscere la vera storia del Natale?


 


♦♦♦


 


 


In un tempo molto remoto, al centro di un regno che ormai tutti hanno dimenticato, sorgeva un enorme e imponente castello, dalle torri aguzze e sinistre, nel quale viveva un grande re, potente, saggio e ricco, ma molto egoista. Mai, nella storia del suo regno, era capitato che fosse comprensivo con il suo popolo, e da sempre le porte dell’immane fortezza erano sbarrate, come a voler scacciare chi volesse anche solo provare a chiedere aiuto o consiglio al sovrano. Invece non era raro veder uscire da quelle stesse impenetrabili mura ogni sorta di aguzzino o esattore, pronto a riscuotere con cinismo e freddezza tasse ormai impossibili da pagare per la popolazione del regno, ormai da troppo tempo triste, sconsolata e ogni giorno più povera.


A seguito di un lungo periodo senza che il cielo regalasse al mondo anche un solo giorno di pioggia, un grande carestia colpì i villaggi che circondavano il castello, e la gente, che già  da tempo era stremata dalle quotidiane visite dei “portavoce†del loro sovrano, sapeva che non avrebbe potuto superare il rigido inverno senza l’aiuto del loro sordo re. Quella minaccia imminente fece trovare a molti il coraggio di provare un’ennesima volta a chiedere aiuto a colui che non tollerava niente, a quell’uomo che non pareva provare pietà . Ovviamente tutto fu inutile, e ancora una volta le porte sbarrate del castello lasciavano intendere alla povera gente un solo messaggio: “non voglio aiutarvi, andatevene!â€


 


~~~


 


Era un’altra grigia e monotona giornata per Claus, un esattore delle tasse a servizio del Re Egoista. Sì, perché è così che chiamavano il loro sovrano, gli abitanti dei villaggi  in cui lui andava a riscuotere ogni giorno i tributi dovuti alla corona. Invece quella stessa gente chiamava lui Esattore Rosso, perché a lui piaceva fare il suo giro con una bella casacca rossa, sotto il consueto mantello nero da esattore. Non gli piaceva il grigio d’ordinanza che avrebbe dovuto portare, perché lo avrebbe reso un anonimo aguzzino, freddo e uguale a tutti gli altri; invece quel nomignolo che il suo vestito rosso gli aveva conferito, seppur comunque dispregiativo, lo rendeva riconoscibile.


Oggi il suo giro di riscossioni era nel Villaggio del Grano, uno dei suoi preferiti, perché l’odore del pane appena sfornato gli inebriava le narici,  e rendeva la giornata meno noiosa, anche se di poco. Ma quella mattina non provenivano odori dai forni, non c’era fumo che usciva dai camini delle panetterie, e per le vie non c’era quasi nessuno.


Arrivato davanti alla casa del capo villaggio, Claus notò che la porta era socchiusa, e che dall’interno provenivano delle voci che discutevano con enfasi.


“siamo sinceri con noi stessi: non possiamo farcela.â€


“ha ragione, oggi non abbiamo nemmeno acceso i forni, lo hai notato? Non abbiamo più risorse, e l’inverno è appena cominciato!â€


“la siccità  estiva è stata impietosa, se il Re Egoista non ci da una mano, moriremo tutti, e voglio vedere cosa farà  quel maledetto, con tutti i suoi soldi, se li mangerà ?â€


“calma signori, calma.†Era la voce del capo villaggio “una soluzione la si trova sempre, e se il nostro re non è scemo, lo sa che senza di noi non ce la può fare nemmeno lui, così come noi abbiamo bisogno del suo aiuto in un momento come questo.â€


“ma figurati, lui è… ehi, chi è là ?†Claus, sforzandosi di ascoltare quei discorsi, aveva spinto la porta socchiusa, facendola cigolare.


“ah, l’Esattore Rosso! Parli del diavolo… sei venuto a prendere i soldi eh? Per quel maledetto e cieco re che ci ritroviamo eh? Ebbene, prendili, sono sul tavolo, portali a quell’avido senza cuore! E riferiscigli che quelli saranno gli ultimi che vedrà  da noi, perché noi non abbiamo più neppure il grano per produrre il pane che, pare, gli piaccia tanto! Prendili e vattene!â€


 


~~~


 


Quando Claus se ne andò dal villaggio, il sacco di monete che trasportava gli parve più pesante del solito, e il viaggio di ritorno al castello sembrava infinito. Quella gente non sarebbe certamente sopravvissuta all’inverno, se il re non l’avesse aiutata.


Quando varcò la porta della nera fortezza, prese una decisione: avrebbe trovato il coraggio di parlare al re, di aprirgli gli occhi e il cuore. Sperava di riuscire laddove in tanti avevano fallito prima di provare, l’avrebbe convinto per quella gente che da troppo tempo faticava senza speranze.


Così, al momento della consegna del denaro che aveva raccolto, improvvisò con un sussurro: “mio signore, vorrei parlarvi, se vi compiace.â€


Il sovrano, sorpreso, alzò le sopracciglia e tuonò: “… oh, ma che bizzarra sorpresa, un esattore dei miei, tra l’altro con una tunica a dir poco bizzarra, mi chiede un’udienza? Cosa avrà  mai da dirmi? Che giorno è mai questo, in cui avvengono eventi più unici che rari? Ebbene, mi compiace. Parla pure, ti ascolto.â€


Ecco, ecco l’occasione. Claus sapeva che il re non si sarebbe impietosito con una storia strappalacrime su quanto il suo popolo avrebbe avuto bisogno di lui, per cui decise di provare con qualcos’altro, tanto era… come aveva detto? Bizzarro…


“mio signore, non vi piacerebbe una meravigliosa festa per accogliere l’inverno? Il cielo promette la neve, ed è così…magica, in queste notti che voi sapete bene essere molto lunghe…. E se potesse esserci una notte brillante come il giorno, o forse anche di più?â€


Il re di nuovo tuonò: “Bizzarro! Una notte luminosa come il giorno?†per qualche secondo resto in silenzio. Riprese poi, più tranquillo: “la notte è buia, in effetti… ricordo quando la mia bella moglie se ne andò per non ritornare, in una notte oscura… mi disse parole cattive, mi disse che non aveva più bisogno di me, che fino ad allora non mi aveva mai amato, che mi trovava noioso e seccante… poi uscì da quella porta, e non ritornò. Mi ferì molto… da allora non volli più fidarmi della gente, non volli più avere contatti con essa. La gente è cattiva, la gente può tradirti….†Riprese a parlare con la sua voce di tuono, facendo sobbalzare il povero Claus “l’oro invece non mi tradisce! L’oro può capirmi! L’oro non mi dà  delusioni!†il sovrano tornò a rivolgersi all’Esattore Rosso: “che cosa avevi in mente? In che cosa consiste la tua bizzarra richiesta?â€


Oddio, cosa poteva inventare adesso? Alla fine Claus disse “vostra grazia, siete mai uscito dal castello ultimamente, a farvi un giro in carrozza per le strade del vostro regno? Là  le notti non sono così buie, voi da qui, dall’alto dei vostri torrioni, non riuscite a vedere quanto sono luminose le stelle che brillano sulla terra, suppongo.â€


Cosa diavolo aveva detto! Che razza di idiozia era quella? Ma ormai aveva parlato… il re però era incuriosito. “le stelle che brillano sulla terra? Di cosa stai parlando, bizzarro esattore rosso?â€


Incredibile, la storia stava tenendosi in piedi! Meglio proseguire, pensò Claus. “ecco, c’è una notte, in inverno, in cui la neve mostra a tutti la luce più bella che la terra può accendere per contrastare le tenebre. Se vostra grazia volesse vederla… potrebbe uscire dal suo castello e… vederla con i suoi occhi…â€


Ormai l’attenzione del re era tutta su Claus. “che storia bizzarra, non ne avevo mai sentito parlare†disse, “e va bene, bizzarro amico, non appena arriverà  una notte di neve, prenderò i miei cavalli e uscirò da questo castello, per vedere le stelle terrene di cui parli. Ma bada bene! Se questo bizzarro evento non si verifica… farai visita alle segrete della mia fortezza, e ti assicuro che non sarà  un bel viaggio!â€


 


~~~


 


La mattina seguente, Claus corse al Villaggio del Grano: aveva combinato un bel danno, però adesso vedeva una possibilità , una speranza per il popolo, e anche per il re! Ma solo se i villaggi lo avessero sostenuto, lo avessero aiutato a mettere in atto il suo stratagemma, avrebbe potuto funzionare. No, dovevano ascoltarlo, assolutamente.


Batté i pugni sul portone della casa del capo villaggio. “ti prego, esci! Devo parlarti!â€


Dalla porta uscì Jon, il capo villaggio. “chi è che… ehi! Esattore rosso! Cosa vuoi ancora! Al re non sono bastate le monete di ieri? Vattene! Ti era stato detto che quello era l’ultimo oro che avremmo potuto darvi! Vai via!â€


“no, ti prego, devi ascoltarmi! Ti porto la possibilità  di una speranza per il villaggio! Vorresti che il re e il suo regno collaborino tra di loro, no? Allora ti prego, senti cosa ho da dire!â€


Jon si fermò. Una speranza? ora gli interessava. “avanti, parla. Parla qui in piazza, davanti a tutti, perché tutto questo fracasso li avrà  sicuramente fatti accorrere, saranno tutti dietro alle finestre ad origliare. Cosa credi? Conosco il mio villaggio e la mia gente!â€


Claus allora raccontò la triste storia che il giorno prima aveva sentito borbottare al re, della moglie in cui lui riponeva le sue speranze, che un giorno se n’era andata portandosi via la sua fiducia, e di quanto adesso fosse triste, cercando di trovare conforto nell’oro. Raccontò della “bizzarra†storia che aveva inventato per incuriosirlo, e di come alla fine ci era riuscito. Riferì dell’unica possibilità  rappresentata dalla neve e dalla visita del re al suo regno. Spiegò infine che aveva bisogno di tutti loro, per farcela, e che forse, se tutti avessero collaborato, avrebbero potuto far breccia nelle difese che il re aveva posto intorno al suo cuore.


“mi interessa,†disse Jon “e a voi, miei cari compaesani?â€


L’esattore rosso aveva dato una speranza a tutti, così tutti vollero esser partecipi del suo piano. “dicci cosa dovremmo fare†dicevano le donne, “hai già  un’idea, vero?†dissero gli uomini, “il re diventerà  buono?†dissero i bambini, e tutti si radunarono intorno a Claus. “bene, sentitemi tutti, allora….â€


 


~~~


 


Arrivo la fatidica notte, quella con la neve. Il re, accompagnato dal suo bizzarro esattore rosso, uscì dal castello, a bordo di una carrozza tutta d’oro, trainata da due grandi palafreni neri.


Claus era agitatissimo, sperava che i suoi nuovi amici, gli abitanti del Villaggio del Grano, avessero convinto il resto del regno, e che alla fine il re avrebbe visto quello che doveva vedere, nel suo popolo, ricordando l’antica fiducia che da tempo gli era stata portata via.


“ebbene, bizzarro amico, dove sono le tue stelle?†chiese il re. “vostra altezza, aspettate di entrare nel primo villaggio, non ve ne pentirete, ve lo assicuro. Laggiù potrete vedere….â€, rispose Claus, ma il re già  stava guardando fuori, la gente del villaggio al quale alla fine erano arrivati, tutta riunita sulle strade e nelle piazze, ad attendere il suo passaggio.


Ogni persona, ogni uomo, donna, bambino, anziano, recavano in mano candele o lanterne. La strada era quasi illuminata a giorno, con tutte quelle luci, con tutti quei colori. E la neve… la neve, che rifletteva ogni sfumatura emanata dalle fiamme di speranza di ogni persona, rendeva il tutto ancor più magico. Le lanterne che lampeggiavano dietro i vetri colorati stavano regalando al re uno spettacolo che non aveva mai visto. Poi vide un’altra luce riflessa, quella degli occhi della gente che recava in mano le fiammelle. Occhi di speranza, occhi che lo guardavano con supplica, con rabbia, con interesse. Vedeva gli occhi di madri che aiutavano i bambini, di figli che aiutavano gli anziani padri, di persone che avevano ancora una speranza nel cuore, di persone che nonostante tutto non dimenticavano cos’era l’amore, cos’era la fiducia reciproca, cosa voleva dire aiutarsi a vicenda.


Il re era sinceramente esterrefatto. “bizzarro amico, vedo tutta questa gente e sono…. Commosso. Mi sai dire perché?â€


Claus rispose: “perché state vedendo la vera luce che illumina la terra, le stelle che realmente illuminano ne notti più buie: sono le scintille di speranza, di amore e di fiducia che scaturiscono dai cuori di ogni persona, che non dimentica mai il passato, ma che guarda al futuro con coraggio, e non vuole perdere le nuove occasioni che si presenteranno domani solo perché è troppo impegnata a guardare gli avvenimenti di ieri. Mio signore, cosa ne pensate? Vi sembra ancora buia, la notte?â€


Il re disse: â€œÈ bizzarro, no. Cocchiere! Ferma i cavalli, voglio scendere! Voglio scrutare più da vicino i cuori di queste persone, voglio vedere le stelle sulla terra!â€


 


~~~


 


E fu così che il re ritrovò la sua fiducia perduta, e collaborò con le sue ricchezze a far rifiorire il suo regno, ottenendo in cambio amore e rispetto dal suo popolo. Il Re Egoista divenne il Re Giusto, e per non dimenticare mai quello che in quella magica notte aveva imparato, decise che ogni anno, la prima notte di neve dell’inverno, luci avrebbero dovuto accendersi in ogni angolo del regno: sulle strade, sulle finestre, sugli alberi… e soprattutto, la sua gente avrebbe avuto da lui un regalo, in ricordo del dono speciale che a loro volta aveva ricevuto da loro: avrebbero dovuto tutti, dal più piccolo bambino al più anziano vecchietto, scegliere qualcosa che per tutto l’anno avevano desiderato, e domandarglielo senza paura, lui avrebbe provveduto a farglielo avere. Ma come? Ma tramite Claus, naturalmente. Claus che aveva avuto il coraggio di provare ad aiutare non solo il popolo, prigioniero della povertà , ma anche il suo sovrano, prigioniero delle sue stesse paure.


Claus ogni anno avrebbe preso  una meravigliosa carrozza rossa come i suoi “bizzarri vestitiâ€, e avrebbe portato a tutti i loro regali, da parte del re.


Ed ecco che il nostro Claus non sarebbe più stato nominato l’Esattore Rosso, ma l’Eroe in Rosso, colui che apre i cuori e ne rivela le luci nascoste.


 



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Proviamoci.


 


 



Vulpah


Childhood


I suoi passi risuonavano altisonanti sugli assiti di legno ammuffito, racchiusi in quelle quattro mura di un bianco antico che si ingialliva al limitare degli angoli del soffitto.


Girava per il perimetro della stanza con occhi quasi sognanti, abbandonandosi dolcemente nell'immensità  della stanza, adesso relativamente piccola, eppure, quando era bambino, infinitamente grande.


In alcuni punti la carta da parati mostrava i primi segni di cedimento, lasciando spazio alla nuda intelaiatura che fungeva da base per le fragili fondamenta di quella camera.


Un sospiro: l'anziano corrugò faticosamente la fronte, appesantita dalle rughe che nascondevano gelosamente ogni attimo della sua giovinezza, quella dolce farfalla morta tra le sue braccia fin troppo velocemente per poter godere appieno la sua bellezza.


La stanza stava morendo insieme a tutti i suoi ricordi, imprigionati in delle scatole di cartone che sarebbero rimaste in silenzio, complici di un esistenza vissuta languidamente, piena avvenimenti all'apparenza piatti ma per lui colmi di significato.


Ricordava con dolce malinconia i bei tempi andati, quando quei pacchi nascondevano i sorrisi di chi li aveva ricevuti.


Lui preferiva vivere così.


Sembrava strano pensarlo, ma era vero.


Quella sarebbe stata l'ultima sera, e magari avrebbe sorriso anche lui, per ricambiare quei sorrisi.


La luce pallida del tramonto si infiltrava negli infissi dei vetri opachi, illuminando un ammasso di scatole disposte disordinatamente una sopra l'altra, appoggiate alla parete opposta.


Ottanta anni di storia, racchiusi in quella stanza, in quegli scatoloni.


E adesso il tramonto della sua vita sembrava voler conservare il ricordo del giorno prima di immergersi nell'oblio della notte: la fine di tutto, la fine di una vita.


Gettò uno sguardo al pavimento: non appena se accorse, incurvò le labbra in un sorriso appena accennato. 


Accanto ai suoi piedi c'era un diario, i colori della copertina si erano sbiaditi nel tempo. Dovette chinarsi per raccoglierlo e poter finalmente leggere il titolo in sovrimpressione sulla copertina, nella sua grafia illeggibile da bambino di quattordici anni.


"Gary è una città  muta".


- Nic, perché le città  sono mute?


- Perché sono piene di persone che parlano troppo, ma non dicono parole vere… parole che abbiano un significato. Dicono parole senza significato.  La gente mente solo perché crede che lo faccia per il suo interesse. Non si riesce più a distinguere la verità  dalla menzogna. Se oggi il mondo è quello che è, la colpa è delle parole vuote, delle bugie-.


Quanti anni doveva avere quel diario?


Sfogliò lentamente pagina dopo pagina, con una cautela più unica che rara: temeva che il loro frusciare, un suono così delicato quanto fragile potesse scomparire, semplicemente perché non aveva donato a quelle pagine e a quelle parole l'attenzione che meritavano. Appena intravide la data del 25 dicembre, si fermò; un sorriso, e iniziò a leggere a voce alta, senza che si aspettasse una risposta da qualcuno. Quei pensieri erano suoi, aveva la più totale libertà  nel gestirli e nel plasmarli, al fine che risultassero realmente sentiti dal profondo del suo cuore:


-25 dicembre 1901. È assurdo dare una data a questo giorno, al mio compleanno: tutto qui sembra fermo, immobile, congelato dallo scorrere del tempo. Oggi, come in tutti i giorni, la gente dovrebbe essere felice. E allora perché esiste la tristezza? Perché nessuno può fermare tutti questi pianti semplicemente sorridendo? Vorrei che fosse così semplice… anche se so che non lo è e non lo sarà  mai. La felicità  è l'eternità  in un battito di ciglia, un volo che dobbiamo saper cogliere al momento… quanto vorrei che tutti, ogni essere vivente su questo pianeta, fosse in grado di assaporare, anche solo per un istante, per un secondo, per una notte, quell'attimo di felicità â€¦ senza l'ipocrisia che porta alla sofferenza. Ma è inutile restare a rimuginare qui, su queste pagine, sfogando il mio rimorso nero su bianco, in modo che resti intatto nel tempo, che passi così da generazione in generazione. Vorrei che almeno per una notte ognuno possa essere felice ed amare anche il proprio peggior nemico. Festeggiare, senza pensieri: festeggiare la felicità . Questo è solo un sogno, ma sono sicuro che un giorno diventerà  realtà -.


-  Nic, perché la gente non è felice?


- Dipende cosa vuoi intendere. Devi sapere che in questo mondo le persone non sono mai uguali tra di loro: c'è chi non si accontenta  di tutto quello che ha e pretende sempre di più.  Quella è felicità  materiale, non è  vera.


C'è chi invece vuole solo guardare una persona sorridere nonostante tutte le sofferenze che ha passato, e si sente veramente realizzato perché  è stato in grado di rendere una persona felice. Quella è vera felicità . Ricorda: è un sentimento che non si cerca per il benessere proprio , ma per quello degli altri.


La differenza tra i due è sottile , sono due poli opposti che si confondono tra di loro, ma sono sicuro che tu riuscirai a sentire la vera felicità . Perché  ne sei in grado, Michael-.


Un sospiro, e strappò il foglio di quella data con rabbia, mordendosi il labbro per trattenere le lacrime. Voleva chiudere la mano destra, distruggere una volta per tutte quello stupido sogno fanciullesco, si giusto, ma che non era stato in grado di realizzare. Eppure non ci riusciva: il braccio tremava dalla paura, dovette bloccarlo con l'altra mano per fermarlo.


Aveva paura di andarsene in quel modo, senza essere riuscito a fare nulla per la felicità  anche solo della sua città , del suo quartiere, della sua casa, di se stesso.


- Nic… sei ancora qui?- 


Dietro lo stipite della porta si nascondeva una voce di un usignolo appena nato, impaurito. L'anziano voleva avvicinarsi, quasi come se sentisse il bisogno di ascoltare quella melodia che scompariva nel giro di un paio di pochi anni, anni che si potevano contare sulle dita. Fece un paio di passi in direzione dell'uscita, ma non volle varcare l'uscio. Sorrise, e sussurrò dolcemente tra le labbra:


- Certo che sono ancora qui… dai, vieni Michael!-


La porta si aprì lentamente, con uno scricchiolio lungo e prolungato. Ci volle un po' di tempo perché Nicholaus riuscisse a vedere il suo viso: il bambino si era spaventato per il suono improvviso e per un attimo ogni cosa sembrò fermarsi, ogni rumore, ogni respiro. 


In quel momento di silenzio sembravano essere in empatia tra di loro, anche se non riuscivano a vedersi.


I loro battiti sembrava andassero all'unisono. Non era uno scherzo della sua immaginazione, ma era un'emozione che sentiva veramente, dal profondo del suo cuore: avrebbe voluto vivere nell'innocenza di un bambino, ignorando volutamente tutti i mali del mondo e tutte le sofferenza, pensare solo a divertirsi, sorridere per ogni meraviglia del mondo scoperta con lo stesso stupore di chi decide dei nomi a degli oggetti che prima si potevano indicare soltanto con il dito. Dopotutto, lui si sentiva come uno di loro, perché durante la sua vita le uniche persone che lo avevano deluso erano gli adulti, le loro gelosie, le loro meschinità . Sempre pronti a voltargli le spalle quando comprendono che non riescono più a sfruttare la sua ingenuità  verso quel mondo sconosciuto, nonostante lui ne facesse parte a tutti gli effetti. Non riusciva a capacitarsi di come quelle persone così meschine possano aver vissuto un infanzia. Magari erano stati dei bambini soli e infelici, ma lui non era nessuno per pronunciarsi su quegli argomenti. Erano i bambini i suoi unici amici, perché la sua unica ragione di vivere era nello scintillio dei loro occhi, in quella gioia. I ragazzi non nascono bugiardi, ma è il mondo degli adulti che forza la loro crescita.


Lui non avrebbe mai voluto crescere, ma fu inevitabile.


Era come un Peter Pan destinato ad essere immortale perché non voleva crescere. Eppure, nonostante tutto, il tempo aveva fatto il suo corso: la pelle liscia e delicata aveva lasciato spazio alle rughe di un eremita al limitare della sua esistenza, ma che aveva troppe cose da raccontare per essere messo a tacere in un modo del genere.


I suoi passi strascicati ruppero quel breve attimo di tensione: le dita erano ancora appoggiate allo stipite, ma solo per paura. 


Riusciva appena a vedere il suo orecchio.


- Dai, vieni qui… non ti farò nulla!-


- In realtà â€¦ avevo un regalo per te, ma ho paura che non ti piaccia…-


Davvero aveva fatto una cosa del genere, per lui?


Chi era per meritarsi così tanto amore?


- Non fare lo sciocco! Sono sicuro, anzi sicurissimo, che sarà  stupendo…- un sospiro, e continuò con le lacrime agli occhi per la contentezza - se l'hai fatto tu… con le tue mani, allora sarà  il più bel regalo di sempre-.


Se lo diceva lui, era vero. Non era in grado di mentire persino ad un adulto, non l'avrebbe mai fatto ad un bambino.


Stringeva un orsacchiotto di un orsacchiotto di pezza tra le braccia. Ah, come non ricordarselo!


Si chiamava Bubbles, perché portava un fiocco azzurro al collo dove spiccava una stampa che rappresentava delle bolle stilizzate, più chiare del colore del nastro. L'aveva scelto lui il nome, anche perché Michael era piuttosto indeciso persino sulla sua vera natura: pensava che fosse un panda per via della sua macchia nera sull'occhio destro.


Balbettava dall'emozione, perché non si sarebbe mai aspettato un regalo del genere. Non aveva mai avuto regali, non aveva festeggiato nessun genere di evento, neanche il suo compleanno. 


Nicholaus non si era dimenticato la gioia del suo sguardo, quel giorno. 


- Nic, che significa regalo?


-    Donare quell'attimo di felicità  a una persona a cui tieni tanto, e che prima d'allora, non aveva mai avuto l'occasione. È un gesto  d'amore senza alcuni vincoli di costrizione. Ma il regalo si nasconde nelle cose più piccole, anche in un semplice augurio. Se vedi un sorriso, allora stai certo che hai fatto ciò che andava fatto-.


 


Si nascose nuovamente dietro la porta, per poi comparire con un enorme pacco, con tanto di fiocco satinato.


Lo spingeva faticosamente davanti a lui, quasi come se stesse spostando un muro di mattoni. Quando la scatola arrivò sotto i piedi dell'anziano il bambino si sedette sul pavimento, ansimando dalla fatica. Sorrise: finalmente era riuscito a dare il suo regalo.


Dovette chinarsi sulle ginocchia per riuscire a guardarlo negli occhi. Era felice, con la fronte imperlata per il sudore. Posò le mani sulle sue spalle, e mormorò:


- Non posso avere neanche una piccola anticipazione? Nemmeno una?


- Devi scoprirlo da solo-.


Allora prese il pacco e provò a scuoterlo: si sorprese di non sentire nessun rumore, e che fosse incredibilmente leggero. Uno scambio di sguardi incerto: gli occhi suoi sgranati, quelli del bambino pieni di gioia.


Lo aprì: era vuoto.


Iniziò a singhiozzare, le lacrime gli rigarono il volto, solcando le rughe come i canali di un fiume in piena. Michael, sinceramente dispiaciuto, chinò il capo, per evitare di incrociare il suo sguardo. I ciuffi ribelli corvini, languidi, gli coprivano l'occhio destro, spento come l'altro.


- Ecco, lo sapevo non ti è piaciuto…-


Lui di tutta risposta sorrise e gli scostò il ciuffo dietro l'orecchio finendo per accarezzargli la guancia. Al bambino scappò una risata, volata via troppo presto dalle sue labbra per essere fermata in tempo. Sorrise.


- Lo vedi il tuo sorriso? Questo è il mio regalo, un regalo che rivivo ogni giorno non solo con te, ma anche con gli altri bambini. Non importa il contenuto materiale di questa scatola- si fermò e la indicò per enfatizzare maggiormente il messaggio - se è colma d'amore, allora è il regalo più bello del mondo-.


25 dicembre, 1971.


È stata ritrovata la salma di Nicholaus  Rothemberg nella sua abitazione a Gary, in Indiana. Aveva 70 anni, ma alcuni sostengono che in realtà  fosse vissuto molto più a lungo. La casa era andata a fuoco la sera del giorno precedente, ma nessuno - neanche i vicini- aveva lanciato l'allarme. Questa mattina un ' orda di bambini ha lasciato dei crisantemi rossi e bianchi, i suoi colori preferiti e quelli che indossava di solito secondo  loro. Il gesto compassionevole dei ragazzini è arrivato fino al presidente, che ha insignito una festa in onore di quest'uomo e del suo impegno nell'aiutare i bambini consegnando loro dei regali. La festa si chiamerà  Natale,  seguendo l'esempio degli striscioni che oggi campeggiano la casa dell'anziano defunto. Entrerà  in vigore dall' anno prossimo.


 


Michael sorrise, tenendo il giornale in mano.


- Ha lasciato questo mondo dignitosamente, risvegliando il bambino che c'è in ognuno di noi per colmare la sua infanzia, mai esistita per colpa degli adulti. Ha realizzato il suo sogno, lasciando una parte della sua gioia di vivere su questo mondo, che forse non si meriterebbe neanche tutta questa bontà . La cosa importante è che adesso nessuno si dimenticherà  di lui, di quello che ha fatto. Il suo ricordo vivrà  per sempre, di generazione in generazione. E mi basta questo-.


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Have you seen my childhood? 


I'm searching for that world that I come from 


'Cause I've been looking around 


In the lost and found of my heart... 


No one understands me 


They view it as such strange eccentricities... 


'Cause I keep kidding around 


Like a child, but pardon me... 


 


People say I'm not okay 


'Cause I love such elementary things... 


It's been my fate to compensate, for the childhood 


I've never known...


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Per questo contest ho avuto molta difficoltà  nel trovare un'origine del Natale diversa da quella convenzionale. Ho avuto paura di essere blasfemo conciliando aspetti sacri (nascita di Gesù) con aspetti profani (ad esempio Babbo Natale). Alla fine mi sono concentrato un po' di più sul significato e...spero sia di vostro gradimento.


Universo


Fiamme


Il sole riscaldava l'atmosfera. I raggi di luce scivolavano nell'aria come fan le brezze accompagnate dalle onde del mare. Gli echi lucenti bagnavano le persone di un calore effimero, pronto a sparir via: era inverno. Un raggio penetrò dalla finestra: invase la casa, ogni sua stanza, riempiendo di colori tutti gli angoli che il buio non avrebbe mai voluto abbandonare. E qualcosa risplendeva anche sui denti di un piccolo sorriso, sulla bocca di un vecchio e pover'uomo. Di fronte ad una giornata così luminosa quel movimento del viso nasceva spontaneo. La schiena, piegata dagli anni, reggeva a fatica quella cesta pesante, stracolma di legna da ardere. Le pantofole e i vestiti, l'arredamento e l'ordine: ogni aspetto era particolarmente curato nella sua dimora. Ma non troppo. Questo no di certo: cercava solo quel luogo sereno dove vivere gli ultimi anni di vita felicemente, e dove morire in pace. O forse, per sua sfortuna, non aveva altro da fare, non voleva fare altro...


Improvvisamente un rumore sordo interruppe quella calma così frivola: un legno nel camino, ed adesso un altro, e un altro ancora affinché anche il fuoco fosse sazio. Le fiamme erano così accese che sembrava difficile domarle. Il vecchio, sfinito, sprofondò nella poltrona. E, di nuovo, tutto venne avvolto pesantemente da una debole tranquillità . Sentiva il corpo appesantito, esausto. La barba, canuta come la limitata chioma, scendeva riccia quasi fino alla pancia, difficile da riempir tutta. Pareva che anch'essa fosse stanca.


Le fiamme continuavano a danzare. In questo modo se ne andò pure l'ultima traccia di freddo e con esso scomparve anche quell'esiguo sorriso. Lo sguardo cadde a terra. Sebbene si riflettessero le lingue di fuoco sui suoi occhi, non riusciva l'ardore ad entrare in essi. Erano troppo stanchi, estenuati, avviluppati da pensieri del passato che torturavano la mente. Erano tristi, soli... E proprio questa solitudine faceva viaggiare la memoria dell'uomo.


 


Passato. Un lontano passato. Era tornato indietro nel tempo... Vide la sua donna, bellissima. Sembrava più affascinante e attraente del solito, con quel trucco leggero e accattivante. Meravigliosa...


Si accorse di sé stesso: non aveva più i capelli bianchi, le sue membra sprigionavano vitalità ; percepiva di aver riacquistato la giovinezza. Ritornò a fissare la moglie (o almeno credeva che fosse tale), ancora più ammaliante, e scorse un tenue movimento delle labbra, carnose e profondamente accese. Non capì. Lei gli si avvicinò e, baciandolo, rubò al suo volto un piacevole stupore. E se ne andò, per sempre...


Solo allora si prospettava l'abitazione ai suoi occhi: molto più ornata e deliziosa rispetto alla vecchiaia. E, nonostante cercasse di ricomporre tutti gli elementi di quella strana situazione, non riusciva a comprendere. Ma proprio quando stava iniziando a ricordare, una luce abbagliante lo confuse ancora di più.


 


Ancora nel passato. Qualche anno più tardi, forse dieci, forse venti anni, era sempre lì, in quella stanza. Il quotidiano aperto tra le mani, la lunga pipa in bocca e il maglione addosso, che diventava sempre più pesante ogni giorno che passava. Arrivò qualcuno; era giovane, senza dubbio. Parlò anche lui, come la madre, ma il vecchio non capì nulla, neanche questa volta. E anche il ragazzo uscì e non tornò mai più...


 


Ritornò in sé. Quella visione lo aveva sconvolto. Ora si trovava nuovamente davanti al caminetto. E, finalmente, ricordava: la donna era stata sua moglie, ma l'amore che viene fa presto ad andarsene, e così aveva trovato marito migliore (secondo lei) di lui; il giovine non era che suo figlio, cresciuto col padre e abbandonato dalla vita in un fiume, dove purtroppo era scivolato.


Rimaneva solo...


“Neanche tu mi fai compagnia...†accusava al fuoco con voce soffocata “cosa mi rimane? Niente...â€. E un doloroso segno si andava formando sulla sua guancia: una lacrima. Non poté trattenersi e pianse disperatamente...


Guardò fuori il sole che tramontava, la bellezza purpurea di una fine gloriosa, seppur distante. Accanto a lui si collocavano una penna e della carta. Ebbe un'idea.


Quello che era accaduto a lui non poteva, non doveva succedere ad altre persone: perciò iniziò a scrivere. La stanchezza parve scomparire, tanta appariva la forza nella mano e nella mente del vecchio. Si diede coraggio e i giorni seguenti non fece che lasciare su fogli e fogli quelle storie che oggi noi ricongiungiamo alla festa chiamata “Nataleâ€. Diede sfogo a tutta la sua fantasia, parlando del Sole e della solennità  in onore della sua grandezza, che è in grado di dare prosperità  e vita alla terra. Parlò, in altri racconti, di un bambino che scendeva dal Sole, e che con la sua umiltà  e passione avrebbe salvato e guidato gli uomini. Scrisse di un uomo, che veniva invece dal ghiaccio, ma che sarebbe stato capace ugualmente di donare qualche sorriso ad ogni bambino. Per questo personaggio pensò a sé stesso, descrivendolo con caratteristiche simili alla propria persona. Vi erano, inoltre, altre favole e fiabe. Ciò che le accomunavano, però, era quel fuoco, quelle fiamme di stupefacenti colori ed incantevole fervore, a cui tutti dobbiamo unirci, per festeggiare insieme. Questo perché, in qualsiasi cosa crediamo, possiamo vivere il Natale solo se ritroviamo il calore della famiglia.


Pian piano l'energia che lo aveva contraddistinto decise di abbandonarlo. Nuovamente fiacco e indebolito, regalò un ultimo sorriso a quel mondo e si addormentò. Era una gelida sera, il fuoco si spense e con esso il vecchio uomo che, come i suoi cari, se ne andò, per sempre...


 


 


 


“Che racconto interessante e fantasioso! Devo ammettere che non avevo mai pensato al Natale da questo punto di vista!†esclamai abbastanza perplesso ma incuriosito. Nella notte della vigilia mi ero gustato questo piccolo testo davanti al caminetto, in una scena che mi ricordava proprio ciò che avevo appena letto.


Era tardi, dovevo andare a coricarmi, ma quelle fiamme mi stavano ipnotizzando, portando la mia mente al significato di quello scritto. Lentamente le vampe si stavano calmando e da lì a poco il fuoco sarebbe morto, lasciando spazio ad una tenebrosa e totale oscurità .


Una voce ruppe il silenzio alle mie spalle. Mi girai di scatto. Era la mia bambina...


“Giulia! Che ci fai qui?â€. Con un morbido orsacchiotto di peluche che teneva in mano (e che le faceva compagnia ogni notte), mi si avvicinò a piccoli passi. Mi guardò con quei bellissimi occhioni celesti e disse: “Papà , non riesco a dormire. Ma tu perché sei qua?â€


“Neanche io riesco a prendere sonno. Però ora è tardi, vieni che ti accompagno. Oh, issa!...†la presi in braccio e la portai nel suo letto. Tirate su le coperte non feci in tempo a spegnere la luce che già  era nel mondo dei sogni! Ben presto la avrei raggiunta anch'io.


L'indomani si fece attendere, e solo dopo alcune ore che il sole si era svegliato, ci eravamo alzati tutti. Ben presto la famiglia al completo si riunì attorno all'albero ed iniziò a scartare i regali. Io, che non ero mai stato interessato da quell'aspetto natalizio, mi allontanai un momento per fare una preghiera di fronte al presepe. All'improvviso, però, scorsi qualcosa provenire dal caminetto: una luce! Appressandomi, vidi qualcosa di magico, che non saprei ancora spiegare, nemmeno oggi: in mezzo alla cenere, vi era una fiamma, ancora viva e gioiosa! Non potevo credere ai miei occhi! La mia voce stava per esplodere per la sorpresa e per la felicità , quando la mia mente tornò alla storia della notte precedente. E capii. Fu allora che capii il vero significato di quel giorno. Ritornai dai miei cari e anche se lo avevo già  fatto poco prima, li abbracciai; li strinsi più forte che potevo, cercando di trasmettere loro quel calore che avevo appena trovato dentro di me: e allora fu veramente Natale.


 


 


 


 


Oggi so che non c'è bisogno di magia o di racconti speciali per festeggiare. Bisogna semplicemente cogliere in sé stessi la gioia e l'allegria del Natale per condividerla con gli altri, con i nostri cari, con le persone a cui vogliamo più bene.


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Marko99

 

Pagine di neve

 

Premessa:
Ho terminato oggi questo racconto, ho cercato di non cadere nella banalità , ma puntualmente mi ci ritrovo senza sapere come ci sia finito. Nonostante le incongruenze temporali, volute data l'irrealtà  del tutto, spero vi piaccia.

La giornata sta iniziando, le pesanti ruote delle automobili s'infrangono con violenza contro i dossi innaturali della strada. Mentre lascio danzare la mia stilografica sul foglio, osservo con distacco il mondo esterno, avvolto da un mantello gelido, di un bianco pallido. I quadranti della finestra sono contornati di neve, che al ritornar del sole si scioglie e lascia cadere qualche goccia d'acqua che percorre verso il basso il vetro impolverato, rendendo anch'esso più trasparente. Nella stanza regna la quiete, un'atmosfera silente s'erge al centro di quel grosso scatolone umido e intriso di pensieri. I rumori esterni, che minuto dopo minuto aumentano di quantità  e intensità , mi distolgono dall'obbiettivo e faccio fatica a concentrarmi. M'ostino a calcare qualche parola, in attesa di ispirazione. Mi tremano le mani, inizio a sudare, crollo. Stringo la penna e la lancio contro la porta, lasciandola abbandonata sull'uscio, senza colpe. Sono io quello da gettare in terra, io ho tutte le colpe, non quell'oggetto inanimato, che ha solo la disgrazia di essere capitato nelle mani di uno scrittore fallito. Tengo la testa fra le mani, intente a fracassarla. Che senso ha? Che senso ha vivere se non sei capace di fare il tuo lavoro? Mi costringo a indebolire la presa alla percezione di due colpi dati contro la porta. Dev'essere Paul. Mi paralizzo per un secondo, tengo gli occhi fissi contro la parete. Alla seconda serie di "Toc-toc" mi decido a scrollarmi. Mi divincolo dalla sedia con un "Un attimo!" e mi avvio verso i due chiodi conficcati nella parete dove vi sono appesi giacca e cappello. M'infilo entrambi in fretta e furia e apro la porta, che si avvicina con un debole scricchiolio. Paul entra con passo pesante e si siede al posto dove ero crollato poco fa. 
«Be', allora?» mi chiede rigirandosi fra le mani il foglio giallognolo su cui ho penato questa notte.
«Allora nulla, Paul, non ho uno straccio di idea. Come farò?!» rispondo con un'altra domanda, un quesito che mi fa accasciare a terra. M'assesto violentemente alzando volute di povere che mi fanno starnutire. Paul sogghigna e mi guarda con uno sguardo furbo.
«Cos'hai da sorridere?»
«Nulla, è il tuo comportamento. Ti comporti da bambino, Jonas»
«Da bambino?! Paul, sono totalmente disperato! Tra una settimana devo consegnare l'elaborato oppure posso dire addio al mio lavoro!»
E il lavoro è l'unica cosa che m'è rimasta, insieme a quell'appartamento. Lavoro in un'agenzia editoriale, o meglio, vorrei che loro lavorassero per me. Non ho un lavoro stabile, un giorno faccio il cocchiere, l'altro vendo salumi. Durante i miei sporadici impieghi cerco di comporre qualche racconto, di modo che possa sottoporli alla valutazione dell'editore. Vorrei fare lo scrittore, ma di scrittore ho solo la follia, la foliia di continuare a credermi uno scrittore.
Dopo qualche secondo di indifferenza, prendo Paul per il braccio e lo trascino sul pianerottolo. Lui strattona il suo arto con un "Ehi!". Chiudo a chiave la porta di casa, come se ci fosse qualcosa di inestimabile al suo interno. La chiave arrugginita termina i suoi due giri ed esce dalla pista, finendo dritta nella tasca della mia giacca. Percorriamo in fretta le scale di marmo e ci lasciamo scivolare in strada. Un via vai di carrozze ci sfreccia davanti, inondandoci con una fitta nebbia di polvere e sporcizie varie. Ci avviamo percorrendo il marciapiede. Io mi accosto in maniera impercettibile al muro, cercando qualche annuncio per un lavoro tra i lampi luminosi che m'appaiono davanti durante la corsa. Non me ne accorgo, ma siamo arrivati. Paul mi strattona e mi riporta indietro, davanti alla bottega del signor Jack. Entriamo, facendo sbattere casualmente la porta contro la parete.
«Ancora voi! C'avrei scommesso, per come avete maltrattato quella povera imposta» tuona il vecchio Jack.
Da cinque anni io e Paul comperiamo due tozzi di pane fresco al mattino dal povero Jack, come colazione. È una tradizione, qualcosa che non può mancare nella nostra giornata tipo. Siamo clienti di fiducia, ma non paghiamo assai spesso. Dopo qualche mese, abbiamo deciso di creare un conto da Jack, in modo che segni ogni acquisto. È da cinque anni che quel conto va avanti, anche se a volte penso che il povero Jack si sia stufato di registrare e abbia abbandonato a sé quel foglio con tutti quei numeri. Numeri esorbitanti, avrà  accumulato cifre e polvere da vendere. Gli facciamo un sorriso di scuse e lui mi lancia contro un sacchetto fumante, che mi scotta i palmi delle mani. Corriamo fuori, tirandoci dietro la porta in malo modo. Restiamo lì fuori il tempo per osservare la faccia imbronciata e furiosa di quell'anziano panettiere. Furia per noi, per sua moglie che lo ha abbandonato qualche anno fa. Tempo fa il vecchio Jack era felice, era contornato di una soave voce femminile, quella di sua moglie. Clary era il suo nome e le si addiceva molto. Aveva una pelle estremamente curata per la sua veneranda età . Portava sempre un panno che le raccoglieva i lunghi boccoli biondi alternati a qualche capello più chiaro. Era molto gentile e sapeva trattare il vecchio Jack, sapeva come addolcirlo. Due anni fa, però, Clary si ammalò e pareva non ci fosse nessuno in grado di aiutarla. Il marito correva in lungo e in largo per cercare un medico in grado di guarire sua moglie, ma non lo trovò. Ogni volta che si allontanava da lei piangeva lacrime piene di pentimento e ogni volta che tornava dalle sue ricerche le chiedeva perdono. La signora Clary si spense qualche giorno dopo. È da quel giorno che il signor Jack è diventato scorbutico e ostile con chiunque, persino con i bambini. Sembrerebbe una di quelle storielle con il lietofine, ma il lietofine pare portare ritardo. 
Ci avviamo verso la fabbrica di utensili dove lavora Paul, magari hanno un posticino anche per me. Dopo qualche minuto arriviamo di fronte ad un portone sovrastato da una grossa specie di ciminiera, da cui fuoriesce una nebbia densa e scura, che incupisce il cielo. Paul lancia due pugni contro una delle due lastre di alluminio, producendo delle vibrazioni metalliche. Dopo una decina di secondi, la parete cromata si apre con un ruggito assordante. 
«Louis, lui è Jonas, un mio amico in cerca di un lavoretto. Che ne dici?» esordisce Paul con atteggiamento enfatico.
«Paul, puoi venire un attimo qui?» Louis s'acciglia mentre pronuncia quelle parole. Cerco di origliare, ma quell'enorme muro m'impedisce di ricevere segnali acustici. Sento solo dei borbottii ovattati. Dopo circa un minuto la parete metallica s'apre scoprendomi l'orecchio. Mi allontano, con aria da innocente, e fisso Paul in attesa di una sentenza.
«Jonas, ecco... siamo molto pochi in questo periodo... non credo ci sia denaro sufficiente a sfamare un altro capo» mi avverte con aria meste. Lo guardo in cerca di una risposta, vorrei qualcuno che mi dicesse cosa fare per non piangere. Sento gli occhi gonfiarmisi. Paul nota il mio sguardo liquido e mi congeda con un "Mi dispiace"; il portone si avvicina e batte contro gli stipiti. Io resto lì, immobile. Un operaio esce dal retro e mi fissa. Man mano che cammina mi fissa, non distoglie lo sguardo da me e neanche io da lui; è uno strano tipo con le gote rosee e una barba bianca, fittissima. Seguendo la sua scia, decido di incamminarmi. Mi ritrovo solo a camminare sul marciapiede colmo di persone che s'incontrano, si baciano, si abbracciano, sono felici. Cammino scalciando la neve bagnata che che m'inumidisce le scarpe. Le guanche mi vengono rigate dalle lacrime, che scendono e vanno a tuffarsi in quella distesa di bianco. Non c'è un uomo in tutta la contea pronto a prendersi la responsabilità  di un altro operaio. Che irresponsabili penso. È un periodo difficile, il raccolto è scarso e le intemperie guastano quel poco che resta. Non posso dargli torto, in effetti. 
Intento ad evitare ogni segno di vita, decido di rintanarmi nel mio appartamento che, di questo passo, probabilmente non sarà  di mia proprietà  ancora a lungo. M'infilo in un vicoletto tetro e sudicio, dove i topi impongono il loro regime. Conosco questi viottoli, mio padre mi ci portava quando vi fiorivano negozietti di artigianato. Ora è tutto diroccato, le porte che una volta ospitavano delle botteghe di falegnameria ora sono delle assi di legno tarlato che scricchiolano quando il vento le accarezza. Quell'ambiente non mi piace, troppo deserto, troppo pericoloso. Sveltisco il passo, ma mi arresto di colpo. Sull'uscio di una delle botteghe abbandonate noto una figura snella e accovacciata che emette dei gemiti. Le corro in soccorso e mi guarda con aria innocente. È una graziosa bambina dai capelli color rame, con un delizioso cappottino rosso con le finiture in merletto bianco. 
«Ehi, come mai ti trovi da queste parti, piccola?» le chiedo con un filo di voce in falsetto, rotta dalla depressione che mi cresce dentro.
«Sono scappata. Sono scappata di casa» mi risponde con una vocina angelica, anch'essa interrotta da qualche pausa di mestizia. Ha il volto pallido come il latte, sfregiato da qualche graffio sulla fronte. Mi osserva con sguardo spaventato, in attesa che me ne vada, forse. Io continuo a parlarle, non ho voglia di lasciarla tra le braccia dell'oscurità  che domina in quel sentiero grigio.
«Come mai sei scappata?» dati i graffi che porta come prova, attendo una risposta che mi farà  ribrezzo.
«Mio padre. Mio padre mi ha picchiata» dice facendosi scivolare sul cappottino qualche lacrima. Non diciamo altro. Stiamo lì, con gli sguardi intrecciati. Entrambi abbiamo un motivo per versare qualche lacrima, lacrime che non dovrebbe versare, lei. Le chiedo se vuole venire con me, non può restare lì, erosa dalle lacrime e dalle intemperie. All'inizio è restia, ma io insisto e lei accetta. Forse fa male ad accettare, non dovrebbe, non nella mia situazione. La prendo in braccio e percorro quelle stradine fetide fino ad arrivare al palazzo dirocatto dove abito. Con la spalla spingo il portone ad aprirsi e questo mi dà  ascolto. Con un lieve cigolio si richiude, lasciando tutta quella malignità  fuori da questo androne. La malignità , però, si nasconde anche altrove. Faccio per salire le scale, quando la voce di Mr. Simons mi raggiunge e mi ferma.
«Signor Hawdeen,» mi chiama «sono tre mesi che non mi rende l'affitto, come vogliamo risolvere la faccenda?» lo sapevo, sembre brutte notizie. Mi volto e con tono di scuse gli rispondo:
«Signor Simons, mi dispiace, le prometto che settimana prossima le pagherò il mensile di dicembre e gli arretrati» spero di averlo convinto. S'acciglia e rivolge lo sguardo verso la bambina che tengo in spalla, ormai dormiente. Come impietosito mi fa un cenno d'assenso e mi congeda con lo sguardo. Ora ho un motivo in più per ringraziare questa bambina. Giro verso sinistra la chiave fino al raggiungimento di due mandate e poi aziono la serratura. Entro nell'appartamento accompagnato dal solito scricchiolio e con questa creatura indifesa che mi respira sulle spalle, finalmente quieta. La poso cautamente sul divano verde da cui spuntano molle da un lato; poggio la bambina sull'altro. Prendo la scatola dei fiammiferi e ne faccio scivolare uno sul lato, creando quella scintilla che lampeggia nel buio. Mi metto a sedere e poso la candela all'angolo del foglio ingiallito, su cui ragiono. I neuroni mi si accavallano, in cerca di uno spunto. Il cervello è vuoto, è in ferie. Mi stritolo le tempie cercando di movimentare il lavoro lì dentro, ma niente. Mi arrendo. Soffio sulla fiammella che mi faceva compagnia nella ricerca di ispirazione e mi getto sull'altro lato del divano. 
Nonostante la postura irregolare che mi donano quelle tre molle sparse per il cuscino, sonnecchio beatamente. Beatamente. Da quanto non dormivo così, come se quella bambina m'infondesse sicurezza. Una sicurezza che da uomo adulto non sono capace di procurarmi.
 Sono le sette del mattino ed entro in uno stato di dormiveglia. Avverto qualche passo che rimbomba sul soppalco che ci regge. Di solito sono solo, non ci sono abituato. Sporgo il mio occhio destro attraverso una fessura sottilissima tra le mie palpebre; non voglio che si agiti, vedendomi sveglio. La osservo, quella creaturina dai capelli come tanti fil di rame. Si aggira stretta al perimetro dell'appartamento con aria investigatrice, come a perquisire quel grosso scatolone sfregiato. Si volta verso di me per controllarmi e io richiudo le palpebre in uno scatto. Dopo qualche minuto mi alzo stiracchiandomi, dopo quella notte passata su una superficie dove nemmeno un fachiro durerebbe un minuto. Quando avverte il mio risveglio, la bambina s'immobilizza e crolla sul divano. 
«Non ti preoccupare, puoi guardare, non ho nulla da nascondere!» le dico con un tono gentile. È la verità , non ho nulla da nascondere, questo è tutto quel che posseggo e io sono tutto quel che sono. Non ho segreti. Lei mi osserva ancora con quel suo sguardo ingenuo, come solo un essere innocente e puro può fare. 
Usciamo. Una volontà  non mia mi percorre, scendiamo in strada e iniziamo a gironzolare per le strade. Mi sento padre oggi. Un padre che quella bambina non ha. Perché quel disgraziato che le ha graffiato quella pelle candida non può definirsi "padre". Le compro una pagnotta di pane fresco. La divora avidamente, osservandomi con quei suoi occhi di cristallo, con l'iride di ghiaccio. Smette per un attimo di mangiare e le sue labbra contornate di briciole vengono sfiorate da una domanda elementare quanto fondamentale.
«Come ti chiami?» torna a rifugiarsi dietro quella mezza pagnotta che le resta. Un po' di vergogna le appare in viso, rendendolo di un rossore pallido.
«Jonas, Jonas Hawdeen. E tu, come ti chiami?» Il suo viso appare ancora più roseo e con un movimento timido scosta la pagnotta dal viso.
«Mi chiamo Elizabeth. Tu puoi chiamarmi Ellie, se vuoi...» mentre lo dice le appare un sorrisetto sul viso. Quello è un segno di fiducia verso di me. Continuiamo a passeggiare, mentre lei si spolvera il cappottino dalle briciole della pagnotta che oramai alloggia all'interno del suo stomaco. Le compro un sacchetto di caramelle, ma ve ne entrano solo tre. Rivolto le tasche dei pantaloni, ma l'unica cosa che vi fuoriesce è qualche pallottolina di cotone, nient'altro. Ecco che la tristezza invade nuovamente la mia mente, quel senso di vuoto, di smarrimento. Ci sediamo su una panchina poco distante, mentre lei assaggia quel trio di caramelle colorate. Appena ha finito, la riporto a casa. Non ho più denaro, devo terminare quel racconto affinché la casa editrice lo valuti. Magari questa è la volta buona. Rimando indietro di due mandate la chiave ed entriamo nel pomeriggio cupo che regna nella stanza. Metto a sedere Ellie sul divano e io mi accomodo al mio solito posto. Fisso ininterrottamente il foglio, me lo guardo, lo faccio scivolare tra le mani, ma niente. Quello che ne viene fuori è sempre banale. La pattumiera è colmo di fogli accartocciati su se stessi. Tra poco avrò terminato la carta e non ho i soldi per comperarne dell'altra. 
Mi accingo a scrivere sull'ultima superficie scrivibile che ho in casa, quando vengo richiamato dalla voce sottile e angelica di Ellie.
«Signor Jonas!» mi richiama «Signor Jonas!» la seconda volta grida, con tono zelante. Mi volto verso di lei. Non parla, mi fa un cenno. Indica la finestra con quel piccolo dito indice. Mi volto nuovamente e osservo i fiocchi di neve che vorticano nell'aria gelida che abita al di là  della parete. Alcuni fiocchi si appiccicano ai vetri, quasi per chiamarci a loro. 
«Signor Jonas,» Ellie richiama a sé l'attenzione «possiamo scendere qualche minuto? Mi piace molto la neve!» cerca di convincermi, ma in questo momento ho un diavolo per capello e non vorrei risponderle in malo modo. 
«Ellie... vedi, ho molto da fare ora...» Di colpo mi pervade un senso di déjà -vu. «Jonas, ecco... siamo molto pochi in questo periodo... non credo ci sia denaro sufficiente a sfamare un altro capo». Questa mia risposta mi fa tornare alla mente il rifiuto da parte del datore di lavoro di Paul. Quanto ci sono stato male; e quanto ci sto male ora. Non posso permettere che Ellie provi la stessa cosa, anche se essenzialmente più leggera. Decido di portarla nel cortile del palazzo, che ormai è diventato una piscina di schiuma ghiacciata. Ellie prende tra le mani guantate mucchi di neve, li appallottola e li lancia contro di me con dei leggeri ghigni bambineschi. Dopo due o tre colpi, decido di contrattaccare. Creo delle piccole palline di neve e li lancio lievemente contro Ellie, che mano a mano diventa sempre più pallida in viso. Inizio a divertirmi. Quella bambina riesce a farmi dimenticare i problemi reali che attanagliano la mia vita, è una distrazione. Una distrazione positiva. Costruiamo un pupazzo di neve con tanto di cappello (il mio) e di occhi e bocca (disegnati con dei piccoli proiettili di carbone trovati per caso). Ridendo ci tuffiamo nella distesa di bianco e agitiamo braccia e gambe affinché si creino delle sagome. Una volta esaurita l'energia ci fermiamo e osserviamo in silenzio il cielo. Un cielo dove non c'è traccia di buio, c'è solo un soffitto pallido da cui scendono fiocchi danzanti, che ci sfiorano il viso e si posano in terra, insieme ai loro compagni.
C'è un silenzio tombale, disturbato solo dal lieve soffio del vento dicembrino. Mentre osservo uno stormo di uccelli solcare la volta bianca, Ellie s'interpone tra me e il cielo.
«Signor Jonas!» inizia «Ho avuto un'idea! Che ne dice di creare una festa tutta nostra?»
«Una festa... tutta nostra?!» rispondo stupito. Non mi aspettavo una simile proposta. Improvvisamente, poi.
«Sì, un giorno in cui festeggiamo la neve! La festa della neve!» Non so bene il perché, ma quell'idea mi stuzzica. Un giorno di festa, in cui solo il divertimento è l'ingrediente della giornata, senza tristezza o rassegnazione. Solo un giorno di gioia, di allegria, di spensieratezza.
«Ci sto!» Al mio consenso, Ellie mi salta in grembo felice e ridacchiando si appoggia al mio petto. Una sensazione di calore e serenità  mi pervade, un'emozione che non avevo mai provato prima. 
«Allora è deciso! Ma... quando?» mi chiede con aria interrogativa. Oggi è il 24 dicembre. Per non deluderla, le prometto che il giorno dopo avremmo celebrato questa festività  tutta nostra. Corriamo di sopra per i preparativi: lei prende un pezzo di stoffa bianca ereditata dal divano e lo taglia con le forbici che ho in casa, creando una collana di fiocchi di neve. Come si diverte. Mi mostra tutto quello che fa e io incollo e affiggo tutti i festoni. Sono le undici di sera e io sono stanco morto. Do una veloce occhiata al mio cruccio, a quel foglio, ma lo lascio lì, sono stufo di cercare qualcosa che non c'è. Mi sento un bambino, ora. Non vedo l'ora che sia domani. 
 Sono le dieci del mattino. Vengo svegliato dalle esortazioni di Ellie e mi metto in piedi. 
«Signor Jonas, oggi è la Festa della Neve!» dice con entusiasmo. Lo so che è la Festa della Neve e ne sono felice. La prendo in braccio e ci fiondiamo in cortile. Ci tuffiamo nell'oceano di neve e ci lasciamo trasportare dalle nostre gambe. Nuotiamo, corriamo, ci lanciamo palle di neve, costruiamo pupazzi di neve, creiamo sagome nel manto gelido e ricominciamo. Verso le quattro del pomeriggio siamo sfiniti. Ci adagiamo sotto un grande abete che si trova al centro del giardino e cadiamo in un profondo sonno. Ci risvegliamo verso le sette, il cielo s'è già  incupito e la pioggia di neve s'è affievolita. Ci solleviamo  e percorriamo il soffice tappeto bianco fino a casa. Saliamo le scale bagnandole con le suole umide e ci precipitiamo nel mio appartamento, sempre più tetro. Strofino il fiammero sul lato dello scatolino e infiammo la miccia del cilindretto di cera bianca che pende sulla scrivania lignea. Guardo Ellie: le si legge la fame negli occhi. Rovisto nella dispensa, che conserva soltanto ragnatele e pane ammuffito. Sullo scaffale superiore, nell'angolo in alto a destra si nascondono due lattine di fagioli precotti. Le afferro, ma m'impolverano i polpastrelli. Soffio sui barattoli di alluminio e una nube grigiastra mi aggredisce il volto. Ellie, che assiste alla scena, ridacchia nascondendosi il visetto tra le mani. Con uno sguardo divertito le mostro i due barattoli con aria interrogativa; lei, con atteggiamento titubante, mi fa un mezzo cenno di consenso. Tiro la linguetta posta sulla parte superiore dei barattoli e ne scopro il contenuto, gettando nella pattumiera il coperchietto metallico.
«Uno a te...» le dico porgendole una lattina «e l'altro a me» mi dico avvicinando al petto l'altra. Iniziamo a trangugiare affamati quelle porzioni di legumi naviganti in una zuppa dall'aria sospetta. Tra una risata e uno scherzo gettiamo le lattine vacanti nel cestino dei rifiuti e metto a dormire Ellie.
«Signor Jonas,» mi chiama con aria assonnata «questa Festa della Neve è stata bella. Dobbiamo rifarlo il prossimo 25 Dicembre, d'accordo?» Annuisco sorridente e aspetto che Ellie venga trascinata nell'abisso del sonno prima di rimettermi al lavoro. Ora so cosa scrivere. Ho trovato altri fogli nel ripostiglio, chissà  per quale arcano motivo li avevo nascosti lì. Siedo alla scrivania e la mia mente inizia a vagare. Lei già  sa dove cercare. E trova. Trova tante cose. Faccio piroettare la stilografica sul foglio descrivendo quella giornata: i preparativi, la festa e condisco la storia con qualche aneddoto e qualche simbolo. Come l'abete, l'abete che ci ha accolto sotto le sue verdi fronde questo pomeriggio, sarà  il fulcro di questa festa. Il rosso, il colore del cappottino di Ellie, sarà  anch'esso un elemento essenziale di questa celebrazione insieme alla neve, che le fa da protagonista. Ci lavoro tutta la notte. Quando il sole inizia a dare i primi segni di risveglio, mi accascio sul mio lavoro, completo finalmente.
 Verso le nove Ellie mi sveglia. Rilego alla meglio lo scritto ed esco tenendolo nella tasca della giacca. Chiudo a chiave la porta di casa, che oggi mi sembra più ridente del solito. Sbuchiamo in strada, la quale è illuminata da raggi filtrati dalle candide nuvole. Cammino spedito, a passo svelto, con Ellie che mi tiene la mano destra e mi sta di fianco. Arriviamo dopo qualche minuto. La casa editrice è fitta di persone che salgono e scendono, un andirivieni di scrittori e filosofi con un elaborato nella mano destra e un té in quella sinistra. Mi faccio coraggio ed entro quando sta passando di lì il signor Jackson, che ormai mi conosce più che bene.
«Signor Jackson!» distolgo la sua attenzione dal gruppo di fogli che tiene al petto.
«Ancora lei, Hawdeen! Non si stanca proprio mai, eh?» dice con tono scherzoso, portandomi nel suo ufficio sistemato alla meglio. 
«Allora, Hawdeen...» dice accomodandosi e facendo cenno a me di fare lo stesso «Ha qualcosa di davvero interessante per noi, oggi?» Quell'atteggiamento derisorio mi dà  sui nervi, ma cerco di mantenere la calma.
«Sì, be', ecco, ho un raccontino da farle valutare...» e gli porgo il libretto. Se lo sfoglia, lo gira, lo osserva, lo analizza in tutte le sue fattezze, dopodiché mi dà  il suo verdetto.
«Signor Hawdeen...» dice preoccupato «d'accordo, lo valuterò!» quell'affermazione mi stringe il cuore e lo fa balzare spingendolo forte contro il petto. Mi sento finalmente io, quello scrittore che ha idee brillanti. 
«Grazie mille, signor Jackson!» dico con uno sguardo vagamente liquido. Esco fuori con Ellie, con un sintomo che non provavo da tempo. Ho una speranza. La speranza di riuscire a combinare qualcosa, di tornare quello che ero. Incrocio Paul camminando, lo intravedo di sfuggita.
«Paul!» dico per fermarlo Â«È successo qualcosa?»
«Jonas, mi hanno licenziato, ecco cosa è successo!» si congeda furiosamente e scappa nella direzione opposta alla mia. Così è toccata anche a lui. Chi l'avrebbe mai detto. Mi dispiace. Capisco come ci si sente e non è bello. Passeggio insieme ad Ellie per i marciapiedi, quando passo davanti alla vetrina di Jack. Mi fermo e spio attraverso il foro lasciato tra una pagnotta e una baguette. È in compagnia di una donna. Forse questa è la volta buona. Decido di non disturbarlo, appare così sorridente. Mi avvio verso casa e vi entro accendendo la candela. La luce si espande per il perimetro della casa e mi pare più luminosa. Ellie si siede sul divano malconcio e mi analizza da capo a piedi.
«Signor Jonas...» dice lei con aria interrogativa «lei non è sposato?»
«No, piccola...» dico con una vena di amarezza.
«Non c'è possibilità , quindi, che mi tenga con lei?» Mi blocco. Non m'aspettavo una simile proposta. Mi farebbe piacere, sì, ma è un grosso carico. Mando Ellie a dormire con un "Ci penserò..." e ci rifletto tutta la notte.  Raggiungo un verdetto e lo comunico a lei di prima mattina.
«Ellie...» la richiamo dal regno dei sogni «Ellie! Ho deciso» le spiego determinato «Ti terrò con me!» Ellie mi getta le braccia al collo e io la accolgo con un sorriso. Questa creatura mi sta rendendo più felice di quanto lo sia mai stato in tutta la mia vita. È un dono del Cielo. 
Mi sento pieno, colmo di emozioni e finalmente completo: l'ultimo pezzo per ultimare il puzzle sono i soldi. Ellie s'infila il suo cappottino rosso e scende con me di sotto. Prima di varcare l'uscita, il signor Simons ci ferma con la voce. Ho paura che questo non sarà  solo un avvertimento.
«Signor Hawdeen!» mi chiama. Dà  un veloce sguardo a Ellie e poi torna a guardare me «Ha chiamato per lei il signor Jackson, della casa editrice qui, nei paraggi. Ha detto di raggiungerlo appena le è possibile» 
Finalmente dalla bocca di Simons non escono ambasce dolorose. Gli occhi mi si illuminano e corro verso la casa editrice tenendo saldamente Ellie per la mano. In quattro e quattr'otto ci ritroviamo di fronte all'ingresso. Entro salutando festosamente ogni persona che capita nel mio campo visivo. Raggiungo la scrivania di Jackson con passo svelto. Mi fissa sorridente, mentre lo raggiungo.
«Signor Hawdeen, che piacere!» dice con tono allegro, quasi felice «Ho valutato il suo scritto e...» mi tiene per un po' sulle spine, sfogliandosi nuovamente il libricino un po' sgualcito. Non resisto.
«...e allora?» reclamo con tono interrogativo.
«Allora è fatta! Abbiamo deciso di pubblicare il suo scritto, signor Hawdeen!» 
Non avevo mai provato un'emozione del genere. Mi sento mancare il respiro, i battiti cardiaci accelerano e mi sembra di sentire il cuore esplodermi in petto.
«Grazie mille, signor Jackson!» dico con la voce rotta dall'emozione.
Mi avvio verso l'uscita, quando il signor Jackson mi fa voltare inseguendomi con la voce.
«Ah, Hawdeen... come vuole che si chiami il libro?»
C'ho riflettuto ieri notte. Volevo che il titolo esprimesse risveglio, una festa di rinascita, che ti fa sentire di nuovo felice nonostante i problemi. Così decisi.
«'Natale', signore».

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Devo dire che mi è piaciuto molto scrivere questa fiaba, e anche se so che non è un capolavoro a me piace. Ho voluto introdurre oltre ad una solita fiaba alcune tematica a cui sono legato ed altri piccoli elementi di carattere culturale e sociale.


Detto questo buona lettura ^^


 


 


 


 


 


Pokémonmaster98


L'origine del mito



C’era una volta, nel regno incantato di Antet, una giovane principessa di nome Enaila, figlia del re Locer III.


La principessa era molto conosciuta e ammirata dal popolo, ed era considerata come una delle più incantevoli e intelligenti ragazze mai nate nel regno. Infatti trattava ogni persona con ugual rispetto, e non si rifiutava di intrattenere discorsi con le persone di classe sociale inferiore alla sua.


Una mattina Enaila era nella sua cameretta, molto spaziosa e ben arredata, e si lasciava pettinare i capelli dalla sua vecchia nutrice. La giovane fanciulla aveva dei morbidi capelli biondi, che riflettevano i colori del cielo: era molto bella, nel fiore della fanciullezza e molti principi chiedevano la sua mano, richiesta però perennemente reclinata dalla ragazza che non aveva ancora intenzione di sposarsi.


Il pettine passava delicatamente tra i suoi lunghi capelli, che si lasciavano pettinare dalla vecchia nutrice senza opporre alcuna resistenza. I capelli le arrivavano all’altezza della vita, e insieme ai lineamenti del suo corpo ancora in crescita le donavano un aspetto da molti definito divino.


Ad un tratto però si sentì un leggero ticchettio sulla porta, e una voce gli fece eco:


â€œÈ permesso entrare?†disse una voce familiare.


“Si, mio signoreâ€, rispose la nutrice, “sto soltanto pettinando i capelli della principessaâ€.


Il re aprì delicatamente la porta ed entrò con un passo leggero, avvicinandosi alla piccola figliola. Aveva un corpo molto robusto, scolpito dalle numerose battaglie condotte anni prima per liberare il suo regno dall’invasione dei nemici. Aveva lunghi e folti baffi e una barba abbastanza lunga, occhi scuri e labbra carnose.


“Quando avete terminato scendete nella sala dei ricevimenti, gli ospiti arriveranno prestoâ€, disse il re, “Non fate tardi, mi raccomando!â€


“Non si preoccupi signoreâ€, rispose la nutrice, “pochi minuti ancora e la principessa sarà  pronta per ricevere gli invitatiâ€.


Il re fece per uscire dalla stanza, ma prima si voltò ed elogiò la figlia: “Siete proprio bella oggi. Vi aspetto di sotto.â€


La principessa, non appena fu pronta, scese le scale accompagnata dalla nutrice, che camminava due passi dietro la fanciulla, e si diresse verso la sala dei ricevimenti. Passando davanti all’entrata del castello vide alcune carrozze appena arrivate, dalle quali stavano scendendo molti tra i più alti esponenti dalla società , dai conti ai loro figli, dalle signore aristocratiche alle altre fanciulle nobili della sua medesima età . Camminando notò anche alcuni giovani ragazzi che la osservavano, comportamento a cui la fanciulla era ormai abituata. “Altri pretendenti che provano l’impossibileâ€, pensò tra sé, “alla fine di questa giornata capiranno anche loro le mie intenzioni. Possibile che non esista nemmeno un ragazzo adatto a me…â€


La principessa si avvicinò alla sala dei ricevimenti e, prima di entrare, tirò un sospiro. Dopo si immerse nella folla degli invitati preparandosi agli elogi e alle domande che la nobiltà  era solita rivolgerle.


“Sempre stupenda, principessaâ€


“Siete incantevole oggi!â€


“Signorina, mi permetta di presentarle mio figlioâ€


“Siete così elegante, vostro padre deve essere orgoglioso di voi!â€


L’intera giornata andò avanti tra futili discussioni e banchetti, a cui seguì un ballo. La principessa però, non volendo ballare con nessuno dei ragazzi presenti nella sala, chiamò la nutrice e prese congedo dalla folla con la scusa di non sentirsi molto bene. Cosa, tra l’altro, veritiera.


La principessa si diresse quindi verso la sua camera, passando per le molte sale e corridoi del castello, dove non si intravedeva anima viva. Passando attraverso l’ultimo corridoio prima della sua stanza, la fanciulla si soffermò ad ammirare alcuni quadri. Erano gli stessi che continuava ad osservare da quando erano stati donati al re da un vecchio pittore la cui identità  era sconosciuta, e riuscivano sempre ad attirare l’attenzione della ragazza.


Il primo era un ritratto di una donna, che sembrava scrutare sempre il suo ammiratore, da qualunque direzione la si guardasse. Era un quadro molto strano, e non c’era nessun altro dipinto nel regno con la stessa capacità . Il secondo rappresentava invece la nascita della dea Enaea, la dea della bellezza, emersa dalle acque sopra una conchiglia spinta dal dio del vento Erifo. Per quanto strano potesse sembrare quel dipinto, i dotti della religione sostenevano proprio quella tesi sull’origine della divinità . Ogni qual volta vedeva quell’opera, la principessa non poteva fare a meno di pensare alla dea, che era anche la sua protettrice. Per questo infatti le era stato dato il nome di Enaila, e la fanciulla andava molto spesso a pregare nel tempio della dea, posto su una collina poco lontana dal castello.


Il terzo ed ultimo dipinto invece era molto più bizzarro. L’unica risposta alle tante domande che il pittore aveva dato riguardo a quel quadro era semplice: si trattava di una profezia. Il quadro rappresentava una distesa innevata con molti abeti, il cui albero era simbolo della casata reale, ricoperti di neve. Tra gli alberi si muovevano alcune piccole creature dalle orecchie appuntite e nel cielo notturno volava una slitta condotta da nove renne. A bordo della slitta vi era un uomo con una giacca rossa e bianca, che ricordava buffamente il re Locer, padre della fanciulla.


Era impossibile non restarne attratti, ma la principessa si diresse velocemente nella sua stanza in preda ad un forte mal di testa.


La notte arrivò presto, e il sonno aveva rapito la principessa già  da alcune ore. Fuori era buio, e le stelle e la luna brillavano più intensamente del solito, perché sapevano che il giorno dopo sarebbe stato molto importante, e che non sarebbe mai stato dimenticato.


La mattina seguente infatti avvenne un fatto che scosse tutta la città : la principessa era scomparsa. L’intero regno era in subbuglio, gli uomini organizzavano ricerche nei boschi e le donne pregavano nel tempio della dea Enaea. Il re non si era ancora ripreso dalla tragica notizia, poiché la principessa era tutto ciò che aveva, quando gli fu consegnata una lettera.


“Sua figlia è stata presa prigioniera, se vuole rivederla in vita si rechi a mezzogiorno preciso sul colle più alto del regnoâ€


Il re si precipitò dal suo fedele cavallo, Rudolph, nonché compagno di molte avventure. Era un cavallo molto grande ed agile, color marrone e con un segno che lo differenziava dagli altri: aveva il naso di uno strano colorito tendente al rosso.


Il cavallo cavalcò veloce come il vento fino a Borr Eug, il colle più alto dell’intero regno. Era da poco giunto il sole sopra le loro teste quando si intravide una figura: un vecchio, basso e molto magro. Si avvicinò lentamente verso il re, come se stesse per morire.


“Innanzitutto ti devo delle scuse Locor, ma non potevo far altroâ€, disse l’uomo, “lei sta bene, ma se la rivuoi indietro dovremmo fare uno scambio. Vedi, io ormai sono troppo vecchio per continuare a svolgere il mio lavoro. Anche se non mi riconosci sono lo stesso pittore che ti consegnò quel quadro profetico, e ora sono venuto qui a riscattare quella promessa che tu mi feci. Ho bisogno di qualcuno che mi sostituisca, e che continui il mio lavoro e migliori il mio operato, affidatomi dagli dei in persona. Se sei qui davanti a me è solo per loro volontà , altrimenti io non avrei mai rapito tua figlia.â€


“Dimmi cosa devo fare e la farò, ma lasciala liberaâ€


“Gli dei, quando crearono gli uomini, mi ordinarono di spargere la felicità  tra loro. Io ero l’eletto che doveva farli uscire dal baratro in cui vivevano. Nessuno di loro conosceva ancora la felicità  e la gioia di vivere. Io libererò tua figlia, ma tu dovrai prendere il mio posto e continuare a far prosperare la felicità . Sento che tu potrai fare qualcosa che cambierà  davvero l’ordine delle cose nel mondo. Accetti lo scambio?â€


“Si, accetto lo scambio e tutto ciò che ne consegueâ€


“Bene, allora da questo momento sarà  tuo il compito di far prosperare la felicità . In questa missione ti aiuteranno i miei fedeli servi che vivono nelle regioni nordiche del mondo, e fin lì sarai condotto da alcune speciali renne in grado di volare.â€


Il vecchio quindi si avvicinò al cavallo del re toccandolo, e dalle sue mani si sprigionò una luce che circondò Rudolph. Quando la luce si affievolì Rudolph apparve trasformato in una renna, ma aveva conservato il suo particolare naso rosso.


“Rudolph si aggiungerà  alle mie otto renne e ne sarà  il capo. Ora però devi partire subito verso il nord, gli elfi ti aspettano. Quando arriverai da loro ti consegneranno i doni per tutte le persone di questo mondo che, a partire da domani, riceveranno annualmente, affinché la felicità  trionfi sempre. Ora sali sulla slitta e vai, tua figlia è già  tornata al castello sana e salva. A lei spetta invece un altro compito. La mia ora è arrivata, addio e buona fortuna. Possa tu essere il predilettoâ€


Il corpo dell’anziano divenne polvere davanti agli occhi di Lecor, che si diresse verso la slitta che era comparsa dietro di lui. Legò Rudolph insieme alla altre renne e partì verso le freddi regioni del nord.


Intanto Enaila era ricomparsa a palazzo, dove aveva ordinato a tutti di abbellire le strade e le case perché il giorno dopo sarebbe stato un giorno speciale per tutti loro: le abitazioni vennero riempite di ghirlande e lampade, vennero addobbati dei grandi abeti, simbolo della casata reale e dell’intero regno, con palline colorate di varie forme e costruite splendide ricostruzioni di città  in festa, con personaggi, case e templi in miniatura. Pochi anni dopo queste furono chiamate dagli abitanti “presepiâ€.


Durante la notte si festeggiò a lungo, e quando andarono a riposare una slitta arrivò silenziosamente dal nord, e un omone vestito di bianco e di rosso mise sotto i numerosi abeti dei regali per ogni persona. Prima di ripartire però si recò a palazzo, e andò nella camera della principessa a cui diede un dolce bacio. Infatti quello era il vecchio re, che fu poi chiamato da quel giorno Babbo Natale.


La figlia infatti durante i festeggiamenti aveva annunciato che il giorno successivo, il 25 dicembre, sarebbe stato noto a tutti come il giorno di Natale, nome che era stato associato anche all’origine del mondo da parte degli dei.


Fu così che svegliandosi di mattina ogni abitante trovò la gradita sorpresa, ma restò nelle loro menti il dubbio della provenienza dei doni. Anche questo però fu reso chiaro dalla giovane Enaila, che annunciò che un uomo molto gentile avrebbe portato loro ogni anno in quel giorno un regalo a loro gradito. E fu proprio il popolo a renderlo un idolo con il nome di Babbo Natale.


Così la tristezza della scomparsa del re fu completamente dimenticata e la felicità  di tutti prese il sopravvento, crescendo sempre più negli anni a venire.


La principessa trovò un bel giovane di cui si innamorò, e i due si sposarono divenendo sovrani del regno che governarono con sapienza e giustizia per tutto il corso della loro vita. Intanto la strana figura di Babbo Natale continuava a portare la felicità  nel mondo, e anche dopo la scomparsa di intere generazioni continuò a compiere il suo adorato lavoro, portando la felicità  a tutte le persone del mondo come avviene ancora oggi.


E fu così che tutti vissero felici e contenti.


 


 


 


“Papà , ma è proprio vera questa storia? Io non credo che esista davvero Babbo Natale, come farebbe una persona a vivere per sempre!†disse mio figlio, dopo aver ascoltato silenziosamente la storia.


“Vedi Luca, Babbo Natale ha un potere molto specialeâ€, risposi io tranquillamente, “lui riesce a vivere all’infinito solo perché ci sono persone felici nel mondo, e fino a quando la felicità  continuerà  ad esistere lui vivrà . Questa è una particolarità  che distingue Babbo Natale da tutti gli altri.â€


“Ma allora come fa a fare tutti i regali? Nel mondo ci sono miliardi di persone, non può portarli veramente a tutti!†replico Luca con fermezza. Testardo come il padre, poco ma sicuro.


“Beh, Babbo Natale non costruisce da solo i regali. “, ribadii io, “lui è aiutato da molti elfi nel lavoro. Ricordi, già  aiutavano il vecchio, ma con l’arrivo di Babbo Natale ebbero molto più lavoro. Lavoro che eseguono sempre con molta gioia, sapendo lo scopo finale! Inoltre le renne di Babbo Natale viaggiano molto velocemente, permettendogli di consegnare tutti i regali in una sola notte. Ora però è tardi, dormi altrimenti non riceverai nessun regalo. Sai bene che Babbo Natale vuole portare la felicità  in tutto il mondo, e domani devi svegliarti presto: ricordati che anche tu devi andare a portare gli auguri a tutti gli altri.â€


“Si papà , va bene. Buonanotteâ€


“Buonanotte piccolo mioâ€, dissi a bassa voce, “ricorda sempre che il Natale vivrà  solo se l’amicizia e la felicità  continueranno ad esistere nei nostri cuori, perché non c’è niente di più bello dell’amore. Perché l’amore è il nocciolo di tutto…â€


Continuai a riflettere per alcuni minuti, per poi cadere anch’io in un sonno profondo.


Perché l’amore è l’origine della vita.


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Eccomi, come di consueto l'ultimo giorno disponibile, a postare il mio racconto. La struttura del testo è alquanto strana e spero sia anche originale! Hope you like it!  :P


 



~UrsaKing~  

 

QUEL FOLLE SOGNO


 


 


I raggi dorati del sole alto nel cielo penetrarono dalla finestra e permearono la mia camera di un bagliore soffuso e di un tepore delicato che mi svegliarono dolcemente, in quella mattina che sembrava essere il preludio di una giornata speciale, forse la migliore dell'anno. Per la prima volta alzarmi dal letto non mi sembrò così traumatico e difficoltoso, al sol pensiero di cosa mi aspettava oltre l'uscio della mia stanza. Immersi le mani nella bacinella d'acqua fresca vicina al letto, per lavarmi la faccia e inaugurare quella che sarebbe stata la vigilia di Natale perfetta. Vestitomi ed infilatomi le scarpe, mi diressi verso l'uscita ma, appena varcata la soglia, mi bloccai estasiato da un profumo inebriante che pervase le mie narici, estraniandomi per un attimo dalla realtà  e facendomi dimenticare persino dove fossi. Ripresomi da quell'esperienza olfattiva, andai alla ricerca della sorgente di quegli odori angelici e, scese le scale, trovai mia madre intenta a cucinare un pranzo degno di un re: sul focolare al centro della casa, vi era un calderone in cui bolliva una zuppa di verdure e spezie, il cui odore bastava per saziarti; su di uno spiedo v'era infilzato il pollo enorme, che mamma aveva ingrassato fin da quando non era che un pulcino grande quanto un pugno, spennato, pulito e riempito con chissà  quale buona farcia; inoltre, stuzzichini di ogni tipo costellavano il piano della cucina, tutte creazioni della donna che mi aveva messo al mondo, con un atto libero, volontario e non necessario. Non la ringrazierò mai abbastanza... Ero divertito nel vedere mia sorella scorrazzare per la sala, come qualsiasi bimba di otto anni pensa solo al gioco e al divertimento, sempre attaccata alla mamma, la quale, infastidita, nascondeva la sua stanchezza dietro un sorriso rassicurante. Per non gravare ulteriormente sulla sua situazione, presi la piccola e mi sedetti sulla sedia con lei sulle ginocchia. La facevo balzare, per vederla sorridere: un sorriso innocente, spensierato, semplicemente bello; gli occhi azzurri le illuminavano il viso; i capelli rossi e lunghi si muovevano sinuosi e brillanti ad ogni saltello; le lentiggini spiccavano sulla carnagione chiara, nordica. La bambina più carina che avessi mai visto... Il suono improvviso delle campane e i dodici rintocchi dell'orologio del campanile, mi ricordarono che era già  mezzogiorno, l'ora del pranzo. Mia sorella, presa da un attacco di gioia, si rimise a correre per la casa, ma fortunatamente la mamma aveva già  finito di preparare tutto: era pronto. Prima che ci mettessimo seduti, entrò mio padre di ritorno dal lavoro. Guardai la mamma, che mi fece un cenno di approvazione, quindi io e la piccola gli corremmo incontro e lo abbracciammo. Quell'uomo alto e possente dava una sensazione di sicurezza e rigore, necessaria ad un capo famiglia, pilastro di sostentamento per tutti noi. Senza di lui, non esisterei neanche... Con il quadretto  ricostituito potemmo pranzare. Prima di mangiare, però, ci tenemmo per mano e pregammo, ringraziando il Signore per i beni che anche quel giorno ci aveva offerto. Dopo il discorso di mio papà , l'abbuffata ebbe inizio. Non sapendo da dove cominciare, mi buttai a capofitto su di un piatto di tartine, di cui non conoscevo assolutamente gli ingredienti, non che me ne importasse qualcosa. Era tutto squisito: al solo toccare con la lingua le mille varietà  di cibi presenti, le mie papille gustative venivano avvolte da un'estasi celestiale, che l'occhio e il naso avevano già  percepito da lontano; i sapori della zuppa di verdure venivano esaltati con spezie orientali piccanti al punto giusto; la farcitura del pollo, che prima avevo solo potuto immaginare cosa contenesse, era un misto di erbe e formaggi delizioso, la cui consistenza morbida contrastava perfettamente con la croccante pelle del volatile; infine, una crostata che prima non avevo intravisto si fece strada su di un vassoio portato a tavola da mia madre e, dopo averne assaggiata una fetta, rimasi incantato dalla finezza burrosa della frolla e dalla freschezza della crema di ricotta con i frutti di bosco. Fu un pasto regale. Incrociai lo sguardo con i membri della mia famiglia sazi, soddisfatti, allegri. Quella che sembrava una fine non era altro che l'inizio di un pomeriggio eccitante. Presi la piccola ed uscii di casa. Attesi che i miei genitori si preparassero per uscire, seduto sui gradini fuori dalla porta, mentre mia sorella giocava nel cortile con i nostri animali, la maggior parte destinati a finire nelle nostre pance o a essere venduti al mercato, per poi venir comunque mangiati. Che crudele destino... Osservavo le persone passare per strada, dirette in piazza per comprare i regali dell'ultimo minuto, tanto affannate quanto felici per l'aria di gioia che si respirava. Saranno stati i tetti innevati, gli addobbi sugli alberi o semplicemente le risate dei bambini, gli abbracci affettuosi di un genitore per il figlio e le code scodinzolanti dei cani a rendere un piccolo villaggio di periferia il luogo perfetto per vivere quell'esperienza. Sentii dei passi dietro di me ed un cappotto mi avvolse gentilmente, guidato dalle mani di mia madre. Faceva abbastanza freddo. Vidi mio padre correre dietro alla mia sorellina per metterle il giubbotto, ma quella peste non ne voleva sapere. Colsi un sospiro contento dalla mamma, quando finalmente papà  riuscì a catturarla, la prese in braccio e sorridente le baciò una guancia. Camminammo fino alla casa dei miei nonni materni, tenendoci l'un l'altro la mano come una vera famiglia unita. Gli alberi nei viali erano spogli, coperti dalla galaverna, eccezion fatta per quei pochi sempreverde decorati a dovere dagli abitanti con festoni, palline e fiocchi d'ogni colore e genere. In lontananza l'enorme abete della piazza si stagliava contro il cielo limpido in tutta la sua magnificenza, secondo in altezza solo al campanile della chiesa nascosta dietro la pianta. Quando arrivammo alla nostra meta, non vedevo l'ora di togliermi il cappotto e di riscaldarmi davanti al caminetto con una bella tazza di tè bollente. La nonna non si smentì, in quanto scoprii con piacevole sorpresa che la bevanda era già  pronta ed il fuoco già  acceso. Mamma e papà  andarono subito via, perché erano ancora in periodo lavorativo, ma ci divertimmo comunque. Posizionatici di fronte al camino, il nonno attaccò a narrare dell'origine del Natale, tra fiabe, miti e leggende radicati nella cultura norrena. Come ogni anno, però, la nonna si intromise spiegandoci di come quelle fossero solo storie inventate dalla tradizione per far felici i bambini e ci raccontò di come nacque Gesù e della sua importanza nelle nostre vite. Il nonno si mostrava seccato da quelle che lui considerava vicende noiose, senza una trama avvincente, né colpi di scena. Noi sogghignavamo ad ogni sua smorfia di disappunto, ma la nonna non ci faceva caso, visto che conosceva suo marito fin troppo bene. Si amavano tanto... Passammo il pomeriggio tra giochi e risate, finché il sole non calò oltre l'orizzonte, lasciando che a illuminare le strade fossero solo le luci interne dei focolari e qualche candela fuori dalle finestre. Guardando fuori dalla finestra vidi mia madre. Appena entrò e vide la faccia di mia sorella confusa per l'assenza di papà , disse che non avrebbe potuto né cenare, né venire in Chiesa con noi per un contrattempo. Io ormai mi ero abituato, anche perché sospettavo ci fosse qualcosa dietro al fatto che ogni vigilia di Natale ci fosse un imprevisto al lavoro, che costringesse mio padre a rimanere via. Restammo lì a mangiare, una cena buonissima, anche se non tanto quanto il pranzo di quel mezzodì. Nonostante si sentisse la mancanza di papà , trascorremmo una piacevole serata in compagnia. Le ore passarono, finché non giunse quella fatidica: come in un déjà  vu, sentii i dodici rintocchi della mezzanotte. Eravamo già  in ritardo, per cui ci coprimmo in fretta e camminammo con passo deciso verso la piazza principale. Il grande albero si avvicinava sempre di più e quando arrivammo a destinazione, sembrava toccare le nuvole, una scala per il paradiso. Alzai lo sguardo e notai per la prima volta in quella gelida notte le miriadi di stelle, che punteggiavano il cielo con la loro lucentezza secolare. Non c'era la luna. Entrammo in chiesa, un piccolo edificio in stile romanico molto austero e spoglio, sia dentro che fuori. Niente fronzoli, nessuna inutile decorazione degli elementi che la componevano; la giusta solennità  per un luogo di culto. Gli spazi stretti rendevano il tutto più intimo, permettendo una migliore connessione con Dio. Il reverendo aveva appena iniziato la cerimonia, così prendemmo posto nelle ultime panche della corta navata centrale. Assistemmo alla funzione in silenzio, pregando e cantando inni di lode al Signore. L'intera sala era intrisa di una devozione che colmava il cuore di gaiezza. Terminata la messa, venimmo congedati e tornammo a casa nostra, mentre i nonni si avviavano verso la loro abitazione. Oramai era notte fonda quando rientrammo e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Non avemmo neanche il tempo di toglierci i cappotti, che qualcuno bussò alla porta. Una figura nota mi si presentò innanzi: una cosacca, dei pantaloni e un cappello con la punta pendente rossi, una cintura e degli stivali neri con fibbie dorate, il tutto adornato da piccoli batuffoli di candido pelo alle estremità  degli indumenti; barba e capelli bianchi, con occhialini minuscoli appoggiati al naso e una pancia prominente e morbida. In mano aveva due pacchetti regalo, che ci offrì solo dopo averci abbracciato teneramente. La mia sorellina era entusiasta e anch'io lo sarei stato, se solo non avessi riconosciuto mio padre in quel travestimento, che devo ammettere fosse ben fatto. Quello era il motivo del suo allontanamento momentaneo, altro che imprevisto sul lavoro. Il mio dono consisteva in un piccolo cavallino in legno, che si aggiungeva agli altri animaletti posti sulla mensola sopra il mio letto. Mi mancava proprio quello per completare la mia collezione e ne ero contentissimo. La piccola, invece, aveva ricevuto una bambola di pezza, un pensiero semplice ma molto efficace su di una bambina della sua età . Mamma e papà  sorridevano vedendo le nostre facce meravigliate e sorprese; scappò loro anche un piccolo bacio, quando mia sorella era troppo impegnata ad accarezzare la sua nuova amica Dolly. La presi per mano e la accompagnai a letto. Prima di coricarmi, mi affacciai alla finestra da cui si vedeva il grande abete della piazza. Improvvisamente notai una cometa squarciare il cielo: per un momento sembrò posarsi sulla cima dell'albero, sprigionando un bagliore che incredibilmente illuminò tutto il paese. Quello spettacolo fu la chiusura adatta a quella che era stata davvero una giornata speciale, la migliore dell'anno. La vigilia di Natale perfetta. Mi sdraiai e chiusi gli occhi in attesa di risvegliarmi da quel sogno, quel folle sogno.


 


 


 


24 dicembre 1588. Campagna bavarese, Sacro Romano Impero Germanico.


 


 


Lui sogna di svegliarsi felice il mattino, ma al sol pensare cosa lo aspetta non riesce a trovare alcun lato positivo nella sua vita. Nulla è come dovrebbe essere o forse tutto è come deve essere. Si interroga ogni giorno sul vero significato dell'esistenza, cosa non da tutti i ragazzi di tredici anni nelle sue condizioni. La sua età  fisiologica nasconde quella psicologica ed emozionale, ben superiore alla prima; dietro al ragazzo timido e riservato, v'è un pensatore d'una maturità  impressionante. Col tempo si è costruito una maschera di indolenza e indifferenza nei confronti dell'esterno per paura di essere giudicato, in un villaggio contadino popolato da ignoranti.


 


 


Lui sogna di poter mangiare prelibatezze felicemente assieme alla famiglia, quando invece a malapena trova davanti a sé un pasto decente ogni due giorni. Il padre è un falegname, che seppur non guadagni male, sperpera il denaro per futili ed esclusivamente propri scopi, incurante dello stato in cui vivono moglie e figli. In casa vige una freddezza distaccata persino tra madre e prole, tra cui dovrebbe esservi un legame radicato nell'istinto protettivo naturale dell'esemplare femmina rispetto al cucciolo; ma la ragione porta l'uomo a rinnegare le proprie origini, a porsi egoisticamente al centro del mondo. Così quella mamma ha abbandonato a sé stessi i piccoli, rimanendo ferma in un'apatia perenne e ponendo i suoi problemi prima della cura dei bambini. L'amore non è sentimento noto in questa famiglia.


 


Lui sogna di poter giocare con la sua sorellina, mentre lei abbattuta e triste conosce la sua sorte. Con la solita secchezza e assenza di tatto, il padre glielo aveva rivelato: destinata a morire, bruciata al rogo come la sua povera zia. Suo fratello cerca di farla sorridere ogni volta che ne ha l'occasione, ma le sue labbra non si sono mai aperte per mostrare i dentini, in quel sorriso che lui attende tutt'ora. I capelli rossi ereditati da chissà  quale avo, l'avevano già  condannata a morte appena nata. Una strega. Una pericolosissima strega di otto anni, senza la quale il paese o addirittura il mondo sarebbe stato un luogo più sicuro per tutti.


 


Lui sogna di poter stare con i nonni, nonostante siano morti già  da qualche anno. Una perdita distruttiva, in quanto rappresentavano per lui l'unica speranza di gioia. Li vedeva litigare per qualsiasi piccolezza, ma in quei battibecchi vedeva l'amore. A loro piaceva discutere di religione, il cardine attorno cui ruotano gli eventi di questo periodo storico. La riforma protestante ha fortemente indebolito la Chiesa di Roma, la cui opulenza aveva allontanato il cattolicesimo da quei principi basilari su cui si fondava. La nonna era strettamente papista, mentre il nonno addirittura pagano appoggiava le tesi eretiche elaborate da Lutero, naturalmente inimicandosi gli ecclesiastici del villaggio. Suo nipote lo ammirava con tutta la stima possibile. Era riuscito a ribellarsi, a non obbedire alle imposizioni della società , a non sottostare ai potenti e ricchi, ma non gli venne data la possibilità  di accedere alle cure degli ospedali, non gli fu celebrato il funerale, venne sepolto in terra sconsacrata. Sua moglie si lasciò andare e dopo due mesi decedette anche lei. Ora giace nel cimitero, con una tomba vuota al suo fianco.  


 


Lui sogna di poter ricevere un dono da un vecchio signore che bussa alla porta la notte di Natale, mentre l'unica persona che si introduce in casa a quell'ora è suo padre appena tornato dall'osteria, ubriaco marcio. La madre china lo sguardo, mentre il mostro con una bottiglia di rum in mano barcolla, insultando e bestemmiando in presenza dei figli, i quali spaventati corrono in camera propria. Quello che si sente al pian terreno sono urla, pianti e colpi violenti. Un bel regalo.


 


Lui sogna di vivere, quando invece la sua non è vita. Da poco ha contratto una malattia, la chiamano peste. Nei ceti poveri è molto diffusa, soprattutto in famiglie complicate come questa. Sa che non gli rimane molto da vivere, ma non ha avvertito nessuno. Vuole che sia un senso di colpa, che accompagni la sua famiglia e il suo villaggio per generazioni; vuole che capiscano come si sente un bambino in quella situazione; vuole che soffrano, come lui ha sofferto per tutto questo tempo. Prima di coricarsi si affaccia alla finestra e vede davvero una cometa sfrecciare nella notte. Già  una volta il cielo aveva annunciato una nascita con questo fenomeno; forse ora rivela una morte o persino una rinascita, una rinascita di valori e sentimenti oramai persi. Molti ricercano l'origine del Natale in leggende mitologiche o in credenze religiose, ma lo spirito natalizio si origina stanotte, con la morte di questo ragazzo e rinascerà  ogni anno in noi, se solo pensiamo al suo sacrificio, se solo riusciamo per un secondo a vivere veramente.  


 


Con le lacrime agli occhi, il ragazzo sta scrivendo, cristallizzando su carta quello che è il suo sogno, quel sogno folle.  



 


Good Luck!


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Zebstrika94

 

Il diario segreto

 


Tuoni e lampi. Un temporale imperversava sul volo di ritorno dalla Finlandia.
Il professore stava guardando tranquillo fuori dal finestrino, anche se chi lo conosceva bene poteva facilmente affermare che il suo stato d’animo non era molto differente dal tempaccio là  fuori.
I suoi assistenti non riuscivano a capire cosa potesse turbare tanto una persona come quella. L’unica cosa della quale erano a conoscenza era che, qualunque cosa fosse successa, era successa nelle ventiquattrore in cui erano stati separati. Al suo ritorno il professore e la sua equipe avevano fatto i bagagli in tutta fretta per tornarsene a casa.
L’aereo atterrò al Marco Polo di Venezia qualche ora più tardi. Il volo fortunatamente, nonostante il tempo iniziale, non aveva presentato problemi ed era atterrato puntuale. Qui il professore salutò e ringraziò la sua equipe, dopo aver dato loro appuntamento da lì a quattro giorni nel suo studio. I giovani archeologi non avevano potuto far altro che salutare il professore, sempre più strano.
Uscito dall’aereoporto, il professore chiamò un taxi e si fece portare a casa.
Appena entrò vide la cassetta delle lettere stracolma.
Questo è quello che succede quando si vive da soli e si sta fuori qualche mese, suppongo. Pensò sospirando.
Con tutta calma si preparò una deliziosa cenetta: una bella pasta al pomodoro. Dopo mesi di cibo da campo era quello di cui aveva più bisogno. Ultimata la sua meritata cena, si mise pigro davanti al caminetto su una di quelle vecchie poltrone comodissime. E quindi, vuoi per il viaggio, vuoi per le forti emozioni, vuoi per la pancia piena, si addormentò.
La mattina dopo quando si rese conto di essersi addormentato maledisse poltrona e caminetto. Aveva un lavoro importante da svolgere, non poteva permettersi di dormire!
Prese la sua ventiquattrore e ne estrasse un libro, era vecchio, le pagine ingiallite ma conservato benissimo.
Non dovrei stupirmi di come si sia mantenuto pensando a chi presumibilmente apparteneva.
Il suo istinto non seppe resistere e lo aprì, esattamente come aveva fatto in quel luogo, solo che, come la prima volta, le scritte sulle pagine erano incomprensibili. Estrasse allora dalla valigetta un secondo oggetto, completamente diverso dal primo. Questo oggetto era molto simile ai moderni auricolari bluetooth, solo che questo in più aveva una lente che andava a coprire l’occhio sinistro, formando con “l’auricolare†un occhiale a metà . In un attimo se lo infilò e come successo in quel luogo, dopo qualche tentativo riuscì a settarlo sulla sua lingua: l’italiano.
Fatto questi passaggi riaprì il libro e le parole prima incomprensibili ora apparivano nella sua lingua.
Andò a sedersi sulla poltrona, adorava leggere lì, e iniziò così la lettura forse più importante nella storia dell’umanità .
“Non so se qualcuno leggerà  mai questo mio messaggio, ma comunque i sopravvissuti dovranno sapere. Per quanto Amren possa aver vinto questa battaglia, deve sapere che la guerra non è finita, che io tornerò. I ribelli vinceranno!!! Io salverò ……………†Sulla pagina erano cadute delle lacrime che avevano cancellato alcune parole, ma nella mente del professore già  si affollavano mille domande.
Chi era quest’uomo? Cosa doveva salvare? O chi? Per cosa combatteva? Quando e dove, soprattutto?
Riprese così la lettura: “Non posso lasciarmi sopraffare dalle emozioni, i miei uomini non si aspettano questo da me. In questo momento non so nemmeno dove sono, intorno a me c’è solo terra bruciata niente vita.â€
â€œÈ passato qualche giorno da quando sono giunto qui; sono riuscito a trovare del cibo e alcuni esseri primitivi mi hanno accolto in quella che sembra essere la loro dimora, dei pezzi di legno ammassati. Non so come faccia questa “casa†a stare in piedi. Spero di non doverli uccidere, sono gli unici che conosco.â€
“Li ho dovuti uccidere, uccidere tutti. Nessuno è sopravvissuto in questa piccola comunità . Non volevo farlo, ma ho dovuto, mi avevano attaccato con armi rudimentali, capeggiati da un uomo con in mano un libro. Continuava a urlare qualcosa, li ha aizzati contro di me. Ho provato a calmarli, ma sembrava che qualsiasi cosa dicessi li facesse infuriare ancora di più. Non avevano speranza nemmeno di sfiorarmi. Ho bruciato tutti i corpi, non potevo rischiare che il lezzo di morte richiamasse ficcanaso.â€
â€œÈ passato qualche mese. Ho imparato a vivere come un primitivo ma nonostante tutto sono tranquillo e felice. È giunto il momento che io trascriva la mia storia. Per cominciare non sono originario del pianeta di questi trogloditi. Vengo da un pianeta molto sviluppato, abbiamo un controllo completo sulle macchine e sul tempo. Grazie al nostro controllo sul tempo abbiamo acquisito la capacità  di vivere per il tempo che riteniamo necessario. Nonostante le nostre capacità  però il viaggio nel tempo è ancora una caratteristica che purtroppo, o per fortuna, non possediamo.â€
A questa introduzione seguirono pagine dedicate agli aspetti culturali della civiltà  da cui derivava, delle loro principali scoperte in vari campi ed anche un accenno alla loro storia antica. Due furono gli argomento che colpirono maggiormente il professore, il primo fu quello di aver trovato un valido sostituto al petrolio per il funzionamento dei macchinari. A quanto pareva il nostro e il loro mondo era, infatti, molto simile. Tale sostituto fu trovato grazie alla neuroscienza, una scienza che studiava l’interagire del nostro cervello con le macchine. Grazie a questi studi gli scienziati locali erano riusciti a trovare una zona del cervello che emanava onde acquisibili dalle macchine: il sistema limbico. A quanto si poteva dedurre dal diario il sistema limbico degli abitanti di quel pianeta doveva essere più sviluppato, quel tanto che bastava per inviare segnali all’esterno sotto forma di onde. Tali onde venivano poi registrate dalle macchine e tramutate tramite un processo di risonanza in energia. A quanto pareva però anche questo sistema aveva una o due pecche; per prima cosa le onde prodotte dal sistema limbico erano troppo potenti per piccoli macchinari e per questo venivano impiegati soprattutto nel settore trasporti. Essendo impiegati nel settore trasporti, nonostante la guida fosse completamente automatizzata, era necessario seguire un corso sul controllo delle emozioni in modo da poter usare tali macchinari a proprio piacimento.
Il secondo argomento interessante fu che lo scrittore del diario non era il primo ad essere esiliato, c’era stato un altro personaggio, circa duecento anni prima, a cui era toccata la stessa sorte. L’autore dello scritto conosceva le coordinate del pianeta in cui era stato mandato e si era ripromesso di verificare che non fosse lo stesso.
Dopo questi aspetti culturali il diario entrò nel vivo della narrazione parlando di quella che era considerata storia contemporanea. Finalmente il professore stava per scoprire il motivo dell’esilio del suo “amicoâ€.
“Altri due mesi sono passati ed io ho quasi finito la mia narrazione. Come scritto pagine indietro sono stato esiliato da Amren, colui che un tempo era il mio migliore amico. Siamo cresciuti in una parte molto povera del paese, ma nonostante tutto eravamo felici, o almeno io lo ero. Perdemmo entrambi i genitori molto presto, eravamo soli. Avremmo potuto essere accolti in uno di quei ricoveri per bambini rimasti soli, erano dei bei posti, ci avrebbero permesso di studiare, di diventare qualcuno. Lui non voleva andarci, io ero tutto quello che gli era rimasto. Non potevo lasciarlo solo. Passarono gli anni e la maggior parte del mondo viveva in grande felicità , mentre io ed Am vivevamo di stenti e della bontà  della gente che ogni giorno ci offriva un pasto. Un giorno mentre stavamo chiedendo un po’ di soldi una bella signora ci chiese se ci sarebbe piaciuto pranzare a casa sua. Era davvero una bella signora, con un sorriso che ti riscalda il cuore.â€
“Arrivati a casa sua ci fece accomodare in salotto, era molto spoglio. Anche lei non aveva molti soldi. Ci fece portare da sua figlia due piatti di zuppa. Rose, si chiamava. Aveva suppergiù la nostra età . Era bellissima. I suoi occhi erano azzurri, ma non di quell’azzurro freddo, quasi di ghiaccio, che ti fa gelare il sangue; no, il suo era un azzurro profondo che ti fa battere il cuore. In testa aveva dei boccoli rossi, e delle lentiggini sulle guance. Me ne innamorai subito. Ci augurò buon appetito ma non appena si girò per andarsene il suo stomaco brontolò. Gli chiesi se voleva un cucchiaio di zuppa, ma ella rifiutò dicendo che avrebbe mangiato poco dopo. Solo col passare del tempo scoprii che in realtà  potevano permettersi solo una zuppa al mese, e che l’avevano data a noi.â€
“La signora ci invitò nuovamente il giorno dopo e quello dopo ancora, fino a quando, in una fredda mattina d’inverno ci chiese se volevamo rimanere a vivere con lei e sua figlia. Ovviamente accettammo.â€
“Purtroppo la signora non aveva abbastanza soldi per mandarci a scuola tutti e così decidemmo di comune accordo che noi saremmo andati a lavorare entrambi mentre Rose avrebbe continuato ad andare a scuola.
Dopo circa un anno di lavoro riuscii a risparmiare abbastanza da permettermi un’istruzione. Quando lo dissi a mamma, ella pianse di gioia. Cominciò così la mia carriere di studente.â€
“ A scuola ero , modestamente, davvero bravo, e questo dava fastidio ad Am, anche se all’inizio non capivo perché. Un giorno, precisamente il - la data è incomprensibile -, dovetti fermarmi a scuola. Non avrei mai dovuto farlo. Fu l’inizio dell’inferno.â€
“Quando tornai a casa, vidi dall’esterno una finestra rotta. Decisi allora di entrare di soppiatto dal retro. Una volta in cucina la scena che mi si parò davanti fu orribile. Mia madre era distesa a terra morta, i vestiti strappati ed un coltello piantato in fronte. Le gambe erano aperte, legate a due sedie in modo che rimanessero tali. Chi l’aveva uccisa aveva anche approfittato del suo corpo senza vita. Almeno speravo che prima l’avessero uccisa, perché il suo corpo era ridotto in un modo che non mi sento di descrivere.â€
“Mi crollarono le gambe, mi sentivo malissimo, ma poi sentii quel suono. Era agghiacciante ma mi diede la forza di reagire. Rose stava gemendo e piangendo dal piano di sopra, dove erano le camere.â€
“Con una forza che non pensavo di avere mi alzai e corsi al piano superiore, incurante di quello che avrei potuto trovare. Il mio unico obiettivo era salvare Rose. Entrai nella stanza e dentro ci trovai Amren sopra una Rose in lacrime.â€
Il professore lesse le righe seguenti che descrivevano accuratamente la scena con profondo disgusto verso Amren ed un grande dispiacere per Rose e Lo scrittore del diario. Continuò la lettura con il cuore in gola:
“Amren e Rose si girarono verso di me. Incontrai lo sguardo di lei e vidi speranza, sapeva che ero qui per salvarla. Amren si girò verso di me e mi disse:«Ciao “fratellinoâ€. Sei arrivato giusto in tempo. Vuoi favorire?». Sentii la rabbia salire dentro di me e senza pensarci due volte mi gettai contro di lui.â€
“Rotolammo a terra. Ero sopra di lui ma riuscì a gettarmi via. Corse fuori dalla stanza. Pensavo di averlo fatto fuggire ma mi sbagliavo di grosso. Rientrò subito dopo, io non lo vidi, ero girato a liberare Rose, però lo sentii. Un rumore sordo e subito dopo un dolore lancinante al braccio destro, mi aveva sparato. Caddi a terra.â€
“Due secondi dopo avevo la pistola puntata in faccia. Con voce sprezzante disse:«Alzati – obbedii e lui continuò – e vattene da qui. Se lo farai, se non tornerai mai indietro avrai salva la vita e ti do la mia parola che lei non farà  la fine di sua madre».â€
“Non mi interessava la sua parola. Stavo per gettarmi su di lui, a costo della mia vita se necessario, ma lei mi fermò. Si mise tra me e lui e mi disse:«Vattene Claus. Hai rovinato tutto! Io lo amo, perché sei dovuto intervenire?! Ti odio! Vattene! Sparisci per sempre dalla nostra vita!!!»â€
“Quelle parole mi fecero più male della pallottola di prima. Non potei fare altro che andarmene col cuore a pezzi e solo, come non lo ero mai stato.â€
Lacrime scendevano dal volto del professore mentre leggeva quelle righe. Lacrime per Claus, per Rose, per il loro amore, perché forse Claus non lo aveva capito ma lei era innamorata di lui e si era sacrificata per salvarlo. Delle lacrime scesero anche per Amren, nel pensiero di cosa si era trasformato, di quello che aveva dovuto subire per diventare così.
Si alzò e andò a prepararsi un tè, ne aveva bisogno. Guardò l’orologio. Erano già  le 14:37.
Il tempo vola. Pensò e riprese la lettura.
“Passarono gli anni ed io completai il mio percorso di studi riuscendo a laurearmi in scienze politiche. Il tempo scorreva inesorabile ed io cominciai a fare carriera. Alcuni, molti, anni più tardi arrivai a concorrere per la carica di presidente. Un sogno che si realizzava. Avrei finalmente potuto cambiare il mondo, evitando così storie come la mia.â€
“Pensavo di avere la vittoria in pugno, ero il favorito di quell’anno, tutti davano per certa la mia elezione. Né io, né i miei sostenitori avevamo però fatto i conti con il destino. Ad una settimana dalle elezioni si presentò un nuovo gruppo capeggiato da Amren.â€
“Meglio, pensai. Mi sarei preso la mia rivincita, pensai. Le mie cause erano giuste, i miei metodi onesti. Avrei potuto cambiare il mondo. Mi sbagliavo.â€
“Amren vinse con il 75% dei voti. Aveva promesso delle cose impossibili, aveva promesso dei sogni. La gente gli aveva creduto. Nessuno aveva pensato che per realizzare quei sogni fosse necessario il sacrificio di tanta gente.â€
“Una volta in carica cominciò a mantenere le sue promesse, la più importante me la ricordo ancora: niente più ricchi troppo ricchi o poveri troppo poveri. Nessuno avrebbe immaginato, nemmeno io, come avrebbe mantenuto questa promessa. Con l’arrivo dell’estate le famiglie più benestanti erano solite ritrovarsi in una baia privata, tutte le persone più ricche ed importanti del mondo per una quindicina di giorni riunite in un solo posto. Fu un massacro, nessuno sopravvisse. Donne, uomini e bambini, di loro rimase solo un ricordo.â€
“E il mondo lo acclamò come liberatore. Distribuì ai più poveri i beni dei morti e tutti erano felici. Almeno fino a quando iniziarono le sparizioni. I secondogeniti maschi venivano portati via dalla culla, e se i genitori opponevano resistenza, veniva sterminata l’intera famiglia. Un solo maschio per famiglia, questa era la regola. Ai primogeniti veniva fatto il lavaggio del cervello, in modo che diventassero obbedienti. Un ottimo sistema di controllo delle nascite per evitare future ribellioni.â€
“Nel frattempo io mi ero nascosto in montagna. Ero uno dei pochi ricchi sopravvissuti. Odiavo il mare e fortunatamente non sono mai andato in quella baia. La mia vita continuava tranquilla, avevo imparato a vivere di ciò che mi offriva la natura e ben presto si unirono a me alcune famiglia, spaventate per la sorte del loro secondogenito.â€
“La nostra comunità  crebbe sempre più e con essa il rischio di essere trovati. E fummo trovati. Le guardie ci assalirono in pieno giorno, non si aspettavano di certo resistenza, tuttavia scoprirono ben presto che l’amore e la paura per le proprie famiglie sono un incentivo abbastanza grande da spingere gli uomini a fare cose impensabili. Li massacrammo, tutti tranne uno, il più giovane, il più spaventato. Il nostro obbiettivo era che spargesse la voce, che raccontasse cosa avevano dovuto affrontare, e di come era finita.â€
“A me fu chiesto di prendere il comando dei ribelli, il mondo che mi aveva ripudiato ora chiedeva il mio aiuto. Avrei dovuto aiutarli? Coloro che mi avevano rinnegato, dopo tutto quello che avevo fatto? Il mio cuore e il mio cervello erano d’accordo: se la sarebbero cavata da soli. Avevano scelto loro questa vita e loro ne sarebbero dovuti uscireâ€
“Stavo camminando verso la capanna adibita a quartier generale, quando vidi un bambino, era solo, orfano probabilmente i suoi erano morti nell’ultimo attacco. Si avvicinò a me e i nostri sguardi si incontrarono. Quello sguardo, pieno di speranza, non di disperazione, nonostante non avesse niente. Mi rividi in quel ragazzo, rividi in lui anche la mia mamma adottiva. Quel ragazzo non aveva niente, eppure era pronto a dare tutto se stesso per aiutare gli altri. Come un lampo riaffiorarono nella mia mente le immagini di mia madre stesa a terra, morta, con un pugnale conficcato in fronte. Nacque un sentimento dentro di me, non era vendetta, non era rabbia o odio. Era amore, amore per tutte le persone uccise, amore per tutte le persone ancora in vita. Amore per il mio peggior nemico e la consapevolezza di dover essere io a fermarlo.â€
“Accettai l’incarico.â€
Le pagine successive spiegavano di come Claus aveva organizzato la resistenza, di come si erano dovuti rifugiare in alcune gallerie segrete dentro le montagne. Di come l’avessero fatto appena in tempo, infatti, il giorno dopo l’accampamento fu distrutto.
Era scritto anche che Claus aveva preso con sé il bambino, in modo che non fosse solo. Lo aveva addestrato ed istruito affinché un giorno prendesse il suo posto.
Il diario narrava a grandi linee anni di attacchi e insurrezioni. La vittoria sembrava sempre più vicina e i ribelli si preparavano a dare il colpo di grazia.
“Erano passati ormai diversi anni dall’inizio della ribellione e ormai contavamo più di un miliardo di persone tra noi, senza contare i vari distaccamenti. Ci ritrovammo per una riunione generale e decidemmo che avremmo concluso la guerra la mattina seguente. Il nostro obbiettivo era catturare Am vivo, ma se fosse stato necessario l’avremmo ucciso.â€
“Entrammo nel suo palazzo con uno squadrone da cinque, io, mio figlio e i mie tre più fidati ed esperti generali. Sterminammo le guardie all’interno, ma perdemmo un uomo, ucciso a tradimento da un nemico fintosi morto. Giungemmo infine ai suoi alloggi privati e lo trovammo.â€
“Lo trovammo a letto, quel maiale, e con lui c’era Rose, il volto segnato da molte cicatrici, così come il resto del corpo. Lo chiamai, lui si girò verso di me e scoppiò a ridere. Non riuscii a capirne il motivo, ma poi lo vidi. Nico, mio figlio, aveva appena ucciso gli altri due generali. E Amren rideva.â€
“Ad un certo punto smise e mi parlò, erano passati trent’anni dall’ultima volta:«Claus, Claus, tu non impari mai, vero? Voglio presentarti una persona. Su, avvicinati fratello, voglio presentarti mio figlio. – Poi si girò verso Nico e continuò – Claus questo è nostro figlio, mio e di Rose s’intende, Nico!»â€
“Il mondo mi crollò addosso. Il ragazzino che avevo allevato, di cui mi ero preso cura era il figlio del mio peggior nemico e della donna che amavo. Ma ad Am questo non bastava, non si fidava più nemmeno di suo figlio e quindi gli ordinò di uccidermi, per provargli la sua lealtà . Io dal verso mio non sapevo più che fare e così incitai Nico ad esaudire il desiderio di suo padre.â€
“Nico non ce la fece, disse di essersi affezionato troppo a me, di volermi troppo bene per uccidermi. Abbracciai mio figlio e nel momento più bello di tutta la mia vita, lui scoppiò a ridere di nuovo. Odiavo quella risata. Guardò suo figlio e gli disse:«Addio, figlio mio. Sei inutile quanto tua madre.»â€
“E sparò. Rose urlò. Nico si spense sorridendomi e dicendomi:«Ti voglio bene, papà Â»â€
“Non mi aveva mai chiamato papà , sempre Claus, come fossi un amico. Morendo aveva voluto che sapessi che mi amava, che mi considerava suo padre. Sarai per sempre nel mio cuore figlio mio.â€
“Mi alzai, e senza pensarci due volte mi gettai contro Am. Quel giorno sarebbe dovuta finire, in un modo o nell’altro. Combattemmo, a mani nude, niente armi, ma alla fine mi atterrò.â€
“Mi risvegliai legato. Privato dei miei vestiti e ricoperto di stracci. Davanti a me solo due persone: Amren e Rose. Il primo mi spiegò che non mi avrebbe ucciso, troppo banale, voleva che vivessi con la consapevolezza di aver fallito.â€
“Mi spiegò che mi avrebbe esiliato tramite una minibomba spazio-temporale. Disse che non mi sarei dovuto preoccupare, era già  stato fatto una volta e, comunque, al massimo sarei morto. Pazienza. Poi si rivolse a Rose e le chiese se avesse qualcosa da dirmi e, nel caso fosse così, di farlo adesso perché non ci sarebbero state altre possibilità . Fu allora che Rose si avvicino a me e, guardandomi negli occhi, mi disse:«Ti amo, ti ho sempre amato. Perdonami, perdonami per tutto.»â€
“Poi mi baciò. Fu il momento più bello della mia vita. Anni di guerre e sofferenze acquisirono un senso. Mi fu dato un motivo per lottare, un motivo per tornare e ristabilire la pace nel mondo.â€
“Ma, come in tutta la mia vita, quel attimo di felicità  era, per l'appunto, un attimo. Am ci separò e mi getto un libro dicendomi che era un costrutto speciale, ciò che vi veniva scritto sopra non sarebbe mai stato cancellato. Subito dopo il mondo scomparve.â€
“Il viaggio fu doloroso, sembrava che il mio corpo stesse scomparendo, mani, braccia, tutte in posti diversi. Finalmente dopo non ricordo quanto tempo, sembrava un’eternità , arrivai a destinazione, sotto un cielo stellato. Qui finisce la mia storia.â€
Il professore era sbalordito. Se quello scritto nel diario avesse corrisposto a verità , allora le implicazioni scientifiche della venuta di quell’uomo sul nostro pianeta sarebbero state enormi. Tuttavia al professore non bastava quello che aveva appena scoperto e quindi decise di riprendere immediatamente la lettura.
“Con il passare dei mesi ho notato anche l’alternarsi delle stagioni. Oggi è caduta quella che sembra essere neve, questo posto è molto simile al nostro pianeta. Accendendo il camino per l’inverno, mettendoci gli stivali vicino ad asciugare, non posso fare a meno di ricordare mio padre. Lui era solito farmi trovare un regalo dentro allo stivale la mattina successiva alla prima nevicata. Quando gli chiesi spiegazioni mi disse che era un gesto derivato da un’antica leggenda. Purtroppo non seppe spiegarmi di più. Mi manca, mi mancano tutti.â€
“Con l’arrivo della primavera ho deciso di partire alla ricerca di altri centri abitati, magari più sviluppati per partire alla ricerca dell’altro esiliato. Speriamo di riuscire a trovarlo in fretta.â€
“Ho visitato molte grandi città , o almeno quelle che loro considerano grandi città , tuttavia non riesco a capire molto della loro lingua. Cercherò di impararla.â€
“Sono ormai passati due anni dal mio arrivo su questo pianeta e ora riesco a padroneggiare alcune lingue. Posso finalmente riprendere le mie ricerche.â€
“Chiedendo in giro sono riuscito a scoprire che i maggiori archivi di conoscenza sono situati a Roma. Tuttavia questi archivi vaticani sembrerebbero ben sorvegliati, ed io non ho con me meccanismi per rallentare il tempo. Maledizione.â€
“Ho trovato il modo di accedere agli archivi, anche se purtroppo alcune persone sono morte. Per scusarmi ho consegnato alle famiglie delle vittime sacchetti di monete d’oro, servono per le compravendite in questi posti. Sono stati ben felici di accettarli, e alcuni mi hanno addirittura ringraziato. Tornando alle coordinate del pianeta sembrerebbe che sia lo stesso. Ringraziando il cielo.â€
“Sono passati altri due anni. Fortunatamente non invecchio, altrimenti rischierei di tornare a casa decrepito. Comunque sembrerebbe che io abbia individuato il luogo in cui vive. La città  si chiama Vinci e non è molto distante da uno dei loro più grosso centri: Firenzeâ€
“Ho individuato la casa in cui abitava e il nome che ha adottato, Leonardo, anche se la gente pensa che sia morto più di cento anni fa.â€
“Ispezionando la casa ho trovato una mappa nascosta che a quanto pare indica la sua attuale locazione. Dovrò addentrarmi su queste montagnole ma non dovrebbe essere troppo lontano.â€
“Sono arrivato, la casa sembra abitata. Speriamo che sia lui.â€
“Sono molto contento. Ho trovato la persona giusta e forse è andata anche meglio di quel che pensassi. Il maestro era un inventore nel nostro tempo ed era conosciuto per le sue scoperte rivoluzionarie, tra cui la bomba spazio temporale. Tuttavia questa non è la cosa più interessante che abbia scoperto, Leonardo, infatti, non era stato esiliato, ma aveva usato la bomba per sfuggire a morte certa. Anche se la bomba era solo un prototipo. Vista l’ora tarda ha preferito che continuassimo il discorso domani. Forse potrò tornare a casa. Non vedo l’ora!â€
“Purtroppo la situazione è più complicata del previsto, visto lo stato di evoluzione delle creature del pianeta su cui ci troviamo Leonardo non può costruire un’altra bomba, tuttavia prima di scappare era riuscito a prenderne una costruita a metà , manca il pezzo più importante, il moltiplicatore di emozioni che avrebbe dovuto, dall’emozione di origine, trarre l’energia necessaria. Come se non bastasse il maestro ricorda di aver modificato quel prototipo per non renderlo utilizzabile con le emozioni ma con un nuovo elemento più potente da lui scoperto e difficilmente imitabile.â€
“Abbiamo accolto con noi un bambino, probabilmente rimasto orfano, che vagava per questi boschi. Lo abbiamo fatto più per pietà  che per amore verso quella creatura indifesa. Questo mi fa stare malissimo.â€
“Il bambino è sveglio, intelligente, riesce a farci sorridere tutti. Sta arrivando l’inverno e credo proprio che, con la prima nevicata gli farò trovare un regalo dentro lo stivale. Pensandoci lui non ha uno stivale. Vuol dire che lo troverà  nei suoi calzettoni.â€
“La prima neve è arrivata, credo sia giunto il momento di portare un po’ di felicità  e di magia nel cuore di quel bambino.â€
â€œÈ successa una cosa incredibile! Questa notte stavo andando a mettere un draghetto di legno avvolto nella carta dentro ai calzettoni di Alessandro, quando mi ha scoperto. Sul primo momento ero indeciso sul da farsi ma poi ho optato per consegnarglielo di persona. Quando gli ho detto di avere un regalo per lui non voleva crederci. C’era tutto il mio amore in quel giocattolo e, nel momento in cui l’ha preso dalle mie mani, è successo il miracolo. La stanza ha cominciato a tremare. Abbiamo pensato tutti al terremoto ma Leonardo si è accorto della bomba, era lei a emanare una tale energia. Il maestro allora si è ricordato tutto. Il reagente per far funzionare la bomba era un semplice e puro gesto d’amore, quale era stato il mio dono. Abbiamo festeggiato tutto il giorno. Domani con Leo decideremo come muoverci.â€
“è un po’ che non aggiorno questo diario ma sono stato molto impegnato. Dopo aver analizzato la quantità  di energia accumulata dalla sfera ci siamo accorti che era pari a zero. Una vera delusione. Ma non potevamo arrenderci, quindi siamo andati in città , nella speranza di vedere un gesto d’amore. E così è stato. Abbiamo visto una madre dare al figlio l’unico pezzo di pane che avevano, rinunciando così a sfamarsi. La sfera si è riempita pochissimo, ma pochi minuti dopo era nuovamente vuota.â€
“Dopo questo episodio abbiamo deciso di vedere la portata della sfera. Grazie a vari esami siamo riusciti a scoprire che la sfera reagisce alle buone azioni percepite dal suo possessore, o da chi è nelle vicinanze. Tuttavia è comunque necessaria moltissima energia per attivarla quel tanto che basta a far tornare una persona nel mio tempo. Era questo il problema più grande ma Alessandro è riuscito a risolverlo.â€
“Mentre ne parlavamo a cena ha semplicemente detto:«Basta diluire il tempo, un po’ come è stato fatto con questa minestra»â€
“Siamo scoppiati a ridere ma il ragionamento filava. Naturalmente Leonardo ha storto il naso all’idea di dover metter mano ai congegni interni di quella sfera tuttavia ha deciso di collaborare.â€
â€œÈ passato un anno da quando abbiamo scoperto la sfera. Alessandro è cresciuto e noi siamo invecchiati, almeno mentalmente, i nostri corpi sono sempre gli stessi. Le modifiche alla bomba sono state effettuate, stasera ci sarà  la prova: consegnerò doni a tutto il pese. Naturalmente sappiamo che ciò non farà  attivare la sfera in quanto i nostri non sono gesti d’amore, però speriamo che i regali spingano le persone a fare altrettanto. In un paio di anni dovremmo vedere i risultati.â€
“Ieri sera abbiamo consegnato i regali, per ovvi motivi solo ai bambini. Sono loro ad avere il cuore più puro e saranno loro a cambiare il mondo. Girando questa mattina per le vie della città  la sfera sembrava impazzita. Tutto sembra funzionare.â€
“Un altro anno scorre via e noi abbiamo deciso di estendere la consegna dei regali. In una notte dovrei riuscire a consegnarlo a ben più di un paese. Domani notte vedremo. Intanto giù in paese tutti aspettano con ansia che arrivino i regali e qualcuno che ha preso l’iniziativa ha cominciato a consegnare doni alle persone che ama. C’è uno spirito bellissimo. L’amore sprizza da tutti i pori ma comunque non basta.â€
“Ieri sera ho effettuato le consegne. Tutto è andato come previsto, anche se nelle ultime case sono arrivato all’alba. Leonardo e Alessandro mi hanno aspettato impazienti, ho dovuto raccontare tutto subito, nemmeno il tempo di schiacciare un pisolino.â€
“Il tempo passa e così siamo arrivati ad un altro inverno. Le case cominciano ad essere addobbate e molti bambini si aspettano regali, molti più di quelli che posso consegnare in una sola notte. Per questo abbiamo comprato dei cavalli e una slitta, mi permetteranno di muovermi molto più velocemente.â€
“Ancora una volta ho portato a termine il mio compito, anche se non sono riuscito a portare doni alle case più lontane. Per il prossimo anno dobbiamo rimediare. In compenso nella zona l’amore in questo periodo cresce sempre di più ma rimane lontanissimo dalla quantità  minima per l’attivazione della sfera. Poco male, ho grandi progetti per il prossimo anno.â€
“Questo sarà  un anno speciale! Dopo i problemi dell’anno scorso Leonardo ha pensato di applicare a me il meccanismo di rallentamento del tempo, solo che non sapeva come fare. Mi sarebbe servita una tuta, indistruttibile, e possibilmente non troppo pesante, dove applicare il meccanismo. Ecco, in questo risiede il genio di Leonardo. Al posto di applicare un congegno alla tuta precedentemente descritta lui ha deciso di crearla nelle sue cuciture. In poche parole ha cucito un meccanismo a forma di tuta, i cui comandi erano nascosti nelle parti di pelliccia bianca, più voluminosi. In realtà  non è una tuta, è un bellissimo vestito rosso con le cuciture in oro. Leo dice che devo fare una bella figura. Ad Alessandro il merito di aver preparato tutti i regali, gli hanno portato via un anno di lavoro. Il mio itinerario sarà  Milano, Firenze e poi Roma, passando per tutti i paesi che le dividono. Ora devo andare, altrimenti rischio di fare tardi.â€
“Quanti bambini. Quanta felicità . Quanto AMORE! È stata un’esperienza unica, tutto il nord Italia dopo la consegna dei regali era in festa. Ci sono delle migliorie da apportare, è necessario trovare il modo di trasportare più doni in meno tempo. L’anno prossimo voglio consegnare doni a tutta la penisola italica.â€
“Piccolo aggiornamento, qualcuno mi ha visto. Pensavamo di essere nei guai, ma nelle città  si è sparsa la voce che sia San Nicola di Bari, protettore dei bambini, a consegnare i regali. In paese invece credo sappiano sono io, infatti inneggiano a Santa Claus.â€
“Sono passati due anni dall’ultima volta che ho scritto e siamo riusciti a consegnare regali in tutta la penisola. Ora abbiamo anche una data fissa, il 6 dicembre, giorno di San Nicola. Stiamo creando una leggenda ma se vogliamo espanderci, e ne abbiamo bisogno per la sfera, ci servirà  aiuto. Noi tre da soli non possiamo costruire abbastanza regali per tutti.â€
“Non so nemmeno più quanti anni siano passati dall’ultima volta che ho scritto, probabilmente una decina. Alessandro e gli altri due ragazzi che avevamo allevato sono morti di tubercolosi e la gente comincia a fare domande sul fatto che io e Leonardo non invecchiamo. Niente, se non il cadavere di quello che consideravo un figlio, mi lega a questa terra. Partiremo per l’impero asburgico e ancora più a nord. Olanda, Danimarca, Finlandia, porteremo anche lì le leggenda di San Nicola.â€
“Siamo entrati in territorio protestante e non avevamo fatto i conti con il fatto che la loro religione non considera i santi cattolici. Dobbiamo trovare un’altra festa, qualcosa di talmente importante da unire tutte le religioni del continente.â€
“Dopo giorni di riflessione siamo arrivati ad una conclusione. La venuta di Cristo, la Sua nascita, è l’unico elemento di gioia che unisce le religioni cristiane. L’alternativa era la Pasqua, ma primo cambia ogni anno e secondo una crocifissione seguita da resurrezione non mi sembra il meglio per scambiarsi doni con grande amore. Cambiando la data abbiamo dovuto cambiare anche il nome di chi consegnava i regali, per questo decidemmo di spargere in giro la voce di un certo Santa Claus, non più San Nicola, che la notte della vigilia portava i regali ai bambini.â€
“Il primo anno è passato ed anche questi territori cominciano a ricevere un po’ di amore. Nei prossimi giorni prenderemo degli orfani e Leonardo insegnerà  loro il controllo del tempo, il metodo che nella mia epoca risulta naturale per non invecchiare.â€
“Oggi riprendo a scrivere dopo diversi anni, mi scuso ma l’impresa che stiamo compiendo è qualcosa di enorme. Modificando ulteriormente vestito e sacco, siamo riusciti ad avere più tempo per la consegna dei regali e più spazio dove metterli. Questo è un grande anno, per ciò ho ripreso a scrivere. La notte della vigilia sarà  speciale, infatti riuscirò a portare doni in tutto il continente. Purtroppo non so ancora come raggiungere le isole.â€
“Ormai in tutta Europa si festeggia il Natale, e noi siamo nuovamente costretti a migrare. Io, Leonardo e i cinquanta bambini con noi abbiamo deciso di andare ancora più a nord, in Finlandia.â€
Il professore era rimasto scioccato da quello che aveva appreso. Babbo Natale, Santa Claus, derivava in realtà  da un altro pianeta Nonostante la paura di cosa potesse ancora scoprire non seppe resistere e continuò la lettura.
Nelle pagine seguenti era narrato il duro viaggio per giungere in Finlandia, ma il freddo e la tenera età  dei ragazzi impedirono a molti di loro di sopravvivere. Diciassette morirono per malattia o per gelo. Claus ne risultò sempre più distrutto.
“Siamo finalmente giunti in Finlandia. Quei poveri ragazzi rimarranno sempre nei nostri cuori.â€
“Addentrandoci nel paese siamo riusciti a trovare un posto abbastanza sperduto. Domani costruirò una piccola capanna e Leonardo, grazie allo stesso meccanismo del sacco, la renderà  molto grande all’interno, così da poterci ospitare tutti, con l’aggiunta di lavoratori e stalle per i cavalli.â€
“La casa è riuscita una meraviglia. Finalmente possiamo rimetterci in attività , i bambini di tutta Europa aspettano.â€
“Manca una settimana a Natale e, ovviamente, quest’anno non ne va una per il verso giusto. I cavalli sono morti tutti per vecchiaia e adesso non so come riuscire a portare i regali.â€
“Abbiamo trovato delle renne selvatiche. Potranno sostituire benissimo i cavalli.â€
“Quest’anno festeggiamo il 150° anno di attività . È passato un bel po’ di tempo da quando abbiamo iniziato. Ora in Europa tutti festeggiano il Natale ma noi vogliamo di più, vogliamo che tutto il mondo lo festeggi, tuttavia non sappiamo ancora come affrontare le traversate oceaniche.â€
“Questo è l’ultimo anno di questo secolo. Tra qualche giorno sarà  il 1800 e quest’ultimo trentennio ha portato grandi novità . Le tredici colonie hanno ottenuto l’indipendenza, la Francia ha dovuto sopportare il peso di una rivoluzione, ma soprattutto è stata inventata la macchina a vapore. Grazie a queste scoperte Leonardo pensa di aver capito come risolvere il problema delle attraversate marittime.â€
“Oggi ci siamo riuniti tutti nell’officina. Leo ci ha mostrato qualcosa di incredibile. Grazie all’impiego di nuovi materiali dovuto all’invenzione delle prime macchine a vapore è riuscito a creare qualcosa di incredibile: delle renne di metalli. Visto lo stupore generale ha deciso di spiegarci cosa aveva in mente.
«Come saprete- ha esordito- la nostra peculiarità  è il controllo del tempo. Quindi dopo dovute riflessioni sono giunto alla conclusione che distorcendo il tempo attorno ad un oggetto, cioè impedendo che questo ne risenta gli effetti, una sorta di immobilità , si riesca ad annullare le forze agenti su di esso. Basterà  attivare il dispositivo di blocco temporale quando le renne sono a terra in una stanza ermeticamente chiusa e dove le uniche forze agenti su di esse saranno la forza Peso e la Reazione vincolare causata dal terreno, in modo che la risultante sia nulla e che quindi esse risultino libere. Così facendo quando si alzeranno per un salto, essendo bloccate al momento in cui la forza Peso era bilanciata si ottiene che le renne continueranno indisturbate il loro moto in una situazione ideale. In sostanza sarà  come volare.»â€
“Le implicazioni di questa teoria erano a dir poco sconvolgenti. Volando e rallentando di molto il tempo di viaggio grazie alla tuta sarà  possibile consegnare i regali a tutto il mondo. Purtroppo queste renne volanti andranno prima calibrate, quindi se ne parlerà  per l’anno prossimo.â€
“Finalmente dopo un anno di tentativi e messe a punto siamo pronti a consegnare regali. Abbiamo tuttavia deciso di aspettare per la consegna in paesi non cristiani, prima la festa deve prendere piede in tutto il resto del mondo.â€
“Ieri notte è stato un successone, non avevo mai consegnato così tanti regali. Dopo tanti anni credo di essermi affezionato a questo lavoro, ti fa sentire in pace con te stesso. Per quanto riguarda la sfera, invece, non brilla mai abbastanza. Prima o poi riuscirò a tornare da te, mia cara Rose. Sopravvivi e aspettami.â€
“Corre l’anno 1822 e ormai le renne funzionano perfettamente, tuttavia nonostante Santa Claus stia diventando sempre più importante non basta. Ho bisogno di un po’ di propaganda. Vedrò cosa posso fare.â€
“Per il problema dell’anno scorso ho risolto. Mi sono rivolto ad uno dei nostri ex-ragazzi, che una volta diventato adulto aveva voluto intraprendere la sua strada. Quando ci aveva salutato gli abbiamo fornito un passato di tutto rispetto ed ora sono andato a chiedergli un favore. Clement Clarke Moore, questo il suo nome, è diventato un bravo professore e si diletta nello scrivere poesie. Gli ho dunque esposto il mio problema e lui ha avuto la bella idea di scrivere una poesia su una mia visita a casa di un bambino, mescolando però elementi reali con alcuni fittizi. I grossi cambiamenti furono soprattutto nel mio aspetto. Mi dipinse come un vecchio signore con una lunga barba bianca e una grande pancia. Io odio la barba, non sono per niente vecchio e per niente grasso, forse robusto.â€
“Fattostà  che adesso Babbo Natale, come mi chiamavano i più piccoli, aveva un aspetto concreto, ed è molto più facile credere e fidarsi di una persona che si conosce.â€
“Sono passati circa sessant’anni dall’ultima volta che ho scritto ma grazie al cielo non è successo niente di speciale. I regali vengono consegnati e tutti sono felici. Quest’anno un altro nostro ex-ragazzo ci ha fatto un regalo. Si chiama Thomas Nast è ha fatto una delle prime trasposizioni grafiche di Santa Claus. Sono davvero orgoglioso dei miei ragazzi.â€
“Solo un anno è trascorso dall’ultima volta che ho scritto su questo diario, ma un avvenimento troppo importante sta accadendo per aspettare oltre. Questa volta consegnerò in regali in tutto il mondo.â€
“Anno 1910. Mi ritrovo a scrivere per comunicare la fine della mia carriera. Secondo i calcoli la sfera avrà  abbastanza energia per rispedirmi a casa. Leonardo è contentissimo. Io non me la sento di lasciarli qui.â€
“Il Natale è passato, quest’anno c’è stato veramente abbastanza amore, tuttavia io sono ancora qui. Ho deciso di aspettare fino a quando l’energia non sarà  sufficiente per portarci tutti a casa. Questa è la mia famiglia, non posso abbandonarla.â€
“Una cosa orribile è successa. Una guerra di grandissime proporzioni è scoppiata. Molti la chiamano Grande Guerra, sospenderò la consegna dei regali fino alla sua fine.â€
“La Grande Guerra è finita, torneremo subito al lavoro, molte persone hanno bisogno di pensare a cose belle dopo questi terribili anni.â€
â€œÈ incredibile come dopo un conflitto di quelle dimensioni i sopravvissuti riescano a provare amore, a compiere gesta che hanno permesso la registrazione della più grande quantità  di energia registrata dalla sfera. Questo mondo, questa gente ha il bisogno e la capacità  di amare.â€
“Un’altra guerra è scoppiata, la cosidetta Seconda Guerra Mondiale ed io sono costretto ad interrompere i lavori. Riprenderò, come l’altra volta a conflitto finito.â€
“Ho ricominciato il mio lavoro alla fine della guerra ma la sfera brilla molto meno del previsto. Il problema credo sia da imputare alla guerra fredda, molte persone vivono nella paura. Spero per loro che riescano a riappacificarsi. Nel mentre io li aiuterò continuando a consegnare regali.â€
“I preparativi sono ultimati, è giunta l’ora di tornare tutti a casa. Mentre io finirò il giro qui chiuderanno tutto. Non so se qualcuno leggerà  mai questo diario, ma se lo farà , se vorrà  sapere come tutto finisce, io una volta tornato nel mio tempo scriverò una lettera per far sapere come è andata. Sarà  situata nell’officina di Leonardo e apparirà  pochi minuti dopo la nostra partenza.â€
“Se adesso posso riuscire a partire devo ringraziare questo mondo e le persone che lo abitano. Quest’anno la loro voglia di pace e serenità  ha avuto il sopravvento, quella voglia, il loro amore ha abbattuto un muro, un muro che divideva il mondo. Buon Natale e grazie, grazie di tutto.â€
Il professore era sconvolto da quello che aveva letto. Questo diario confermava l’esistenza di Santa Claus, anzi affermava la sua venuta da un altro mondo. Nonostante tutte le scoperte sensazionali contenute in quel diario, solo una domanda frullava nella testa del professore, come era finita la storia di Claus, la storia di colui che aveva dato origine al Natale così come lo conosciamo?
Per rispondere a una tale domanda c’era solo una cosa da fare, partire alla volta della Finlandia per leggere una lettera spedita da un altro pianeta.
Fu così che il professore, senza aspettare un altro attimo prenoto il primo posto disponibile in un volo per la Finlandia e partì.
Arrivato sul posto poté ispezionarlo meglio e solo dopo questa meravigliosa visita decise di entrare nell’officina e trovare quella lettera. La trovò senza problemi, era dello stesso materiale del diario, indelebile nel tempo una volta asciugato l’inchiostro. Solo le lacrime di chi scriveva potevano cancellarlo.
Dovette sedersi, le gambe non gli reggevano.
Lentamente aprì la busta e ne estrasse il contenuto.
Con un grande sforzo cominciò a leggere:

 

Caro amico,
Grazie di avermi accompagnato in questa avventura.
Come scritto nel mio diario sono riuscito a tornare casa dopo molti anni trascorsi nel tuo mondo.
Una volta qui abbiamo raggiunto i ribelli, fortunatamente erano trascorsi solo pochi giorni e speravamo di trovarli ancora lì. Purtroppo non fu così. Quello che trovammo fu invece un cimitero, migliaia e migliaia di cadaveri tra donne, uomini e bambini. Uno spettacolo orribile.
Decidemmo di partire in incognito, ma ovunque ci spostassimo la situazione era sempre la stessa, i ribelli erano morti o scomparsi.
Pensammo allora di fabbricare una bomba spazio-temporale e di tornare nel vostro mondo. Fu per questo che facemmo irruzione di nascosto nel vecchio laboratorio di Leonardo, per trovare dei progetti ma quello che trovammo fu molto peggio.
Giunti in laboratorio Leonardo prese i progetti che aveva abilmente camuffato ma analizzandoli si accorse di un errore di calcolo fondamentale. Con quell’errore la bomba non aveva alcuna capacità  di spostare un corpo attraverso lo spazio, ma solo attraverso il tempo. Quelle sfere erano a tutti gli effetti delle macchine del tempo, quindi il tuo pianeta e il mio sono gli stessi, solo che in epoche lontanissime.
È stata una scoperta che ci ha costretto a cambiare i nostri piani. Non potevamo abbandonare il pianeta a cui avevamo insegnato ad amare, le persone per cui avevamo fatto tanto.
Decidemmo di combattere. Non per noi, non per i ribelli, non per la libertà , ma per dare agli abitanti di questo pianeta la possibilità  di amare di nuovo. E così fu.
Grazie alla maestria di Leonardo e dei nostri ragazzi nel costruire strani marchingegni riuscimmo a ricreare slitta e renne, solo che molto più grandi e molto più numerose. Ci preparavamo all’assalto, un assalto enorme che avrebbe distrutto Amren. In onore dei vecchi tempi e della causa per cui ci battevamo, la data fu fissata alla prima nevicata d’inverno.
Quando la neve arrivò tre settimane più tardi noi eravamo pronti. Niente ci avrebbe fermato.
Attaccammo simultaneamente la fortezza dall’alto, dodici slitte con altrettante persone all’interno di ognuna di esse. Non si resero nemmeno conto di quello che stava succedendo. Il nostro attacco fu immenso ma li risparmiammo tutti, il nostro era un messaggio di amore e perdono non potevamo andare e massacrarli tutti.
In una decina di minuti salii nelle stanze private. Ero solo ma sapevo cosa aspettarmi.
Addormentate le guardie spiai nella sua camera. Era lì con Rose. Questa volta però ero pronto.
Feci un forte rumore così fu costretto ad allontanarsi dal letto, appena si spostò abbastanza entrai e gli sparai alle gambe. Le pallottole erano intinse di un potente veleno che non lo avrebbe ucciso ma addormentato per giorni. Non ebbe il tempo di reagire, non di nuovo.
Amren era caduto, noi avevamo vinto.
Fu creato un governo speciale. Mi fu offerto di esserne al comando ma rifiutai, volevo solo godermi la mia vita. Misi però a capo uno dei miei ragazzi, era un genio e al laboratorio passava il suo tempo libero a studiare politica. Ne fu felicissimo, ormai è in carica da vent’anni e il mondo funziona benissimo. Sono molto orgoglioso di lui.
Per quanto riguarda me, io e Rose ci sposammo. Fu il coronarsi di un sogno. Adesso abbiamo due bellissimi gemelli e viviamo con Leonardo, i ragazzi e le loro famiglie in un paesino su in montagna.
Nonostante tutto questo la mia soddisfazione più grande fu con l’arrivo dell’inverno l’anno successivo. Io non ci avevo mai fatto caso ma, ancora oggi, in tutto il mondo i bambini aspettano Santa Claus, nonostante io non sia più in attività  da migliaia di anni. È stata una sensazione bellissima, segno che le persone si vogliono bene e vogliono fare del bene.
Ora mi rivolgo a te, lettore, amico, se hai trovato questa lettera vuol dire che hai letto il diario trovato nella capanna in Finlandia, voglio quindi chiederti un favore. Distruggi la prova della mia esistenza, brucia tutto e non fare parola con nessuno di quello che hai trovato. Sì, perché…

 

Il professore iniziò a bruciare tutto come richiesto nella lettera.
Avviato l’incendio uscì a osservare lo spettacolo. Mentre ammirava la capanna bruciare gli rimbombavano in mente le ultime parole della lettera.
Sì, perché un essere umano prima o poi muore, ma una leggenda, una leggenda vive in eterno.
Grazie.
Con affetto,
Claus


 

Piccola premessa: mi scuso per la lunghezza del testo. La storia è un po' strana ma spero possa piacere.

Per quanto riguarda l'impaginazione non so se riuscirà  decentemente, stasera il pc mi da qualche problema. Spero riuscirete comunque ad apprezzare il contenuto.

Buona lettura.

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