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[Contest di scrittura] Inspired Contest ~ Musica [I vincitori!]


Snorlax

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Inviato

Come al solito, eccoci subito dopo la chiusura del contest a svelare i vincitori!

Non mi dilungo troppo, tanto non leggereste mai un'introduzione, in un contest del genere.

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Mi pare ormai inutile dire quanto sia difficile giudicare un contest di scrittura. Un contest di scrittura con ventisei partecipanti (come l'Eurovision, YEEEEE) è a dir poco terribile.

Abbiamo trovato racconti terribilmente belli, altri con qualcosa da migliorare, ma che ci hanno trasmesso qualcosa. Passo subito a dare qui sotto le valutazioni:

EDRE:

Dream's Cocaine: Stupendo e ricco di dettagli interessanti (tipo il nome del Motel). Un racconto fatto divinamente. Il concetto di "onirico" è reso benissimo. 9+

Cydonia: Interessantissimo racconto, si integra alla perfezione con le atmosfere della canzone. 9=

Vulpah: Segue perfettamente la canzone, altro esempio di integrazione ineccepibile. 8,5

Fen: Toccante e ben scritto, non passa inosservato. 8++

Ilaria: Interpretazione interessante, un altro racconto molto ben riuscito di questo contest. 8+

Mnemosine: Molto raffinato, segue perfettamente il tema. 8

Beckill: Racconto ben scritto e significativo, anche se in alcuni punti pecca in originalità . 8

Lucas_W: Si sente al suo interno una forte componente emotiva, che rende il racconto speciale. 8=

Marko99: Bel racconto, ma di nuovo la fine è un po' abbozzata, troppo veloce, lascia un po' l'amaro in bocca. 7,5

Shiro: Ottima interpretazione e canzone adatta al tema. Pecca un po' nel finale, troppo veloce. 7,5

Blue: Altro bel racconto, adattissimo alla canzone, forse un po' troppo legato a questa, infatti a volte sembra poco originale. 7,5

Samuel: Interessante e ben scritto, ma spesso da' l'impressione che ci fosse altro da dire, altre emozioni da raccontare. 7++

Sophie: Bello sviluppo della traccia, racconto tutto sommato piacevole. 7+

GoshaQueen: Interessante. Solo un piccolo appunto: i numeri, nei testi, vanno scritti a lettere, non a numero. 7

Prince: Tematica ben sviluppata, ma il testo in alcune parti risulta un po' troppo privo di connettivi. 7-

Stefan28: Poteva esser sviluppato meglio, peccato, la tematica era molto originale. 7=

Ryuki: Ci sono degli errori che penalizzano il tutto. Peccato, il testo era bello e originale, nella sua classicità . 7=

HyperSamurott: A volte risulta confuso, ma rispetta bene il tema. 6,5

Manuel: L'idea di un elaborato totalmente sotto forma di pensiero è originale, ma poteva essere argomentato meglio. 6,5

LadyPoke: Carino, poteva essere argomentato meglio. 6

IcyMallow: Come concetto ci siamo, ma ricalca un po' troppo la canzone, perdendo in originalità . 6

Ghost: Non riesco a comprendere appieno la traccia seguita. Non male, ma andava argomentato molto di più. 6

Saphira: Non male, rispetta bene la canzone, ma non il tema. 6

LegendYveltal97: Alcune parti sono un po' confuse, la grammatica potrebbe essere migliore... 5,5

WindStorm: Leggermente fuori traccia per quanto riguarda il genere, poteva andare meglio. 5+

Elvispuff_Ludos: Poco originale e molto confuso. Come concetto era carino, ma dovresti cercare di esprimerti meglio. 5

Kekko33: Non ci siamo molto... Il testo non rispetta la traccia e ricalca la canzone quasi per la sua totalità . 5

Giovix: Come tematica non male, c'è bisogno di migliorare un po' la grammatica... 5

LANCE94:

Prince: Bel racconto, ma non mi è piaciuto più di tanto poiché mi ha trasmesso poco.

Blue95: Tutto sommato è un bel racconto, non molto originale ma buono.

windstorm: Il racconto non è stato proprio attinente alle restrizioni poste, c'è ancora molto lavoro da fare.

Shiro: Buon racconto sulla cultura e sulle tradizioni. Sviluppata bene la prima parte ma non l'ultima.

LadyPoke: Secondo il mio parere andava sviluppato meglio e non in poche righe.

Cydonia: Bellissimo ed originale racconto. Bravo!

Giovix2002: Poteva andare meglio...

Mnemosine: un buon lavoro senza dubbio. Risalta abbastanza bene l'alta società , avrei però aggiunto altro...

Marko99: Un buon racconto iniziale, ma secondo me nella fine è caduto di originalità  e di realismo.

Fen: Storia triste à§AৠMa avrei sviluppato meglio la parte finale

LegendYveltal97: Tralasciando la parte grammaticale credo che alcune parti siano poco chiare.

Dream's Cocaine: Di certo un lavoro molto ricco, ma non mi ha trasmesso molto.

GoshaQueen: Lavoro carino, ma non dei migliori.

Elvispluff Ludos: Sinceramente ho capito poco o nulla di questo elaborato. Bisogna fare ancora molto lavoro.

Samuel: Trovo che il racconto sia povero e che non trasmetta molte emozioni al lettore.

Lucas_W: Lavoro ben svolto, ma mi ha trasmesso poco. L'avrei sviluppato in maniera differente.

IcyMallow: Storia ben fatta e attinente anche alla canzone, ma non so... c'è qualcosa che non va proprio.

Vulpah: Ottimo racconto che mi ha fatto percepire quelle sensazioni. Nè troppo semplice, ma neanche troppo surreale.

Ilaria: Diverso dall'ordinario, ma che con il "mix" eseguito ha dato origine ad un racconto eccezionale.

Stefan28: Per l'originalità  ci siamo, trasmette poco e va sviluppato meglio.

Ryuki: Un bel racconto sotto ogni punto di vista, qualche errore qua e là .

Beckill: Uno dei pochi racconti che mi ha trasmesso emozioni, brava!

HyperSamurot: Buon racconto, a volte confusionale.

Saphira: Apprezzo il tentativo, ma non ci siamo proprio.

Manuel: Buon tema, ma più che brano per il contest sembra un "pensierino"

Kekko33: Racconto e tema carino, poteva essere sviluppato meglio.

Ghost: Racconto interessante, il suo sviluppo però non è sufficiente.

GROVYLE96:

Prince: 6. Non mi convince molto. Non ha molta forma e presenta alcuni errori.

Blue: 6,5. Buono, rispetta il tema, ma non è per niente da podio.

wind storm: 5. Idea carina, ma pessima la resa e molti sono gli errori.

Shiro`: 7,5. Sviluppato bene, anche se si poteva allungare con descrizioni e la parte finale è sbrigativa.

LadyPoke: 5,5. Situazione presentata spesso, si poteva far meglio.

Cydonia: 8. Buon tema, non ho niente da dire.

Giovix2002: 5. Non va. Non è presentabile, manca praticamente tutto, emozioni, descrizioni…

Mnemosine: 8,5. Buon brano, descritto benissimo.

Marko99: 7. Che dire, è sicuramente un bel racconto, ma non mi convince. Il finale è surreale, ma il tema è rispettato e anche bene.

Fen: 9. Toccante è la parola più adatta per descriverlo.

LegendYveltal97: 5. Non è un bel tema, poiché oltre ad essere scritto male presenta termini non adatti. Ma rispetta la canzone.

Dream’s Cocaine: 9. Ottimo.

GoshaQueen~: 7. Mi piace, ma c’è qualche imprecisione.

Elvispuff-Ludos: 5. Sintetico e poco sviluppato.

Samuel: 7. Poteva far di meglio.

Lucas_W: 7,5. Corto ma significativo e rispetta la canzone.

IcyMallow: 6,5. Molto in sintonia con la canzone, ma la stesura è meno buona.

Vulpah: 9. Nulla da dire, ottimo.

Ilaria: 8,5. Bello, così come l’impostazione e la coerenza alla canzone.

Stefan28: 6,5. Peccato per il finale e la stesura, ma l’dea è carina.

Ryuki: 7. Errori a parte, il testo è buono.

Beckill: 7,5. Bel brano, scritto anche bene.

HyperSamurott: 6. Attinente alla canzone, ma un po’ contorto…

Saphira: 6. Troppo attinente alla canzone.

Manuel: 6. Un piccolo pensierino, ma raggiunge la sufficienza.

Kekko33: 5. Non ci siamo, ha poca forma.

Sophie: 7. Fatto bene, ma manca qualcosa...

Ghost: 6. Confuso, ma rispetta la traccia.

Terzo Posto - 6 PokéPoints

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Cydonia

"Non avremmo mai dovuto."

Utente connesso alle ore 3.19. Programma di registrazione dei pensieri in esecuzione.

Sono immerso nella lettura delle scansioni del vecchio dizionario di mio nonno da giorni ormai, come un sub con un masso legato ai piedi che ha perso la speranza di poter tornare a galla. Tante parole e significati a me sconosciuti mi punzecchiano il cervello e mi fanno sentire ignorante, nostalgico di tempi che neanche mi appartengono. Scorrendo tra i file che mi sono stati lasciati ho trovato un verbo alquanto interessante: "Correre". Fortunatamente, nonostante le pagine fossero oltremodo rovinate (che materiale sconveniente doveva essere la carta!), sono riuscito a leggere praticamente tutta la dicitura.

Sapevate che un tempo si camminava con le gambe? Pare proprio che con quelle stesse gambe, muovendole velocemente, si potesse "correre" poggiando sui propri piedi. Si correva per tanti motivi: per paura, per gioia, per sentirsi liberi, per il benessere del proprio corpo. In passato il mondo non era costruito solo per soddisfare le esigenze vitali dell'uomo ma anche per.. uhm. Correrlo? Sì, credo si dicesse così.

Città , paesi, campagne e spiagge riempite di venature chiamate "strade", fatte apposta per i piedi dell'uomo; un po' come i nostri cavi d'oggi, che sono le strade dei dati che li attraversano. Mi chiedo cosa si potesse provare correndo, e quali potessero esserne gli eventuali rischi: che sensazione dà  il vento in faccia? E l'erba sotto i piedi? Che rumore fanno i sassi se ci si passa sopra? E se correndo si cade, cosa si sente? Ci sono mille domande che mi tormentano e nessuna di queste potrà  avere una risposta.

Oggi ci riempiono la testa con il fatto che viviamo in un mondo sicuro. Certo, da quando nasciamo legati alle macchine che ci cullano, cibano, spostano di luogo in luogo in meno di un secondo, la vita è più semplice. Non siamo esposti ai pericoli della carne nella nostra barriera di transistor e non dobbiamo neanche preoccuparci per noi stessi; c'è un cervello meccanico che si occupa dei nostri bisogni ad ogni capriccio. Ma saccheggiando immagini dal passato mi chiedo: abbiamo guadagnato più di quanto abbiamo perso?

È questo il prezzo del progresso: vivere sempre meno a contatto con la natura dalla quale siamo nati e utilizzare sempre meno il corpo che da quella stessa natura ci è stato concesso. Ma barattare sensazioni per comodità  è uno scambio che mi sta sempre più stretto. Dovremmo fuggire da una realtà  che ci vuole piccoli, grassi e atrofizzati, schiavi della pigrizia e della tecnologia. Dovremmo tornare a vivere.

E non avremmo mai dovuto smettere di correre.

Utente disconnesso alle ore 3.33. Programma di registrazione dei pensieri terminato.

Inizializzazione programma di induzione del sonno..…

Attendo segnale utente..

...

…

..

Segnale assente.

EDRE: Interessantissimo racconto, si integra alla perfezione con le atmosfere della canzone.

LANCE94: Bellissimo ed originale racconto. Bravo!

GROVYLE96: Buon tema, non ho niente da dire.

Secondo Posto - 10 PokéPoints

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Fen

Per l'ultima volta

Uscii di soppiatto dall'aula rumorosa, stando bene attento a non farmi notare dall'insegnante immerso nelle sue letture filosofiche.

Sapevo che non l'avrei passata liscia, ma poco importava. La scuola non poteva impedirmi di realizzare il mio obbiettivo, se di questo si trattava. Percorsi il corridoio in fretta, preso da una determinazione che non mi apparteneva. Avevo fatto la mia scelta e intendevo perseguirla, stranamente. Non ero mai stato un ragazzo estremamente caparbio o coraggioso, non possedevo nessuna di quelle qualità  tanto presenti nelle frasi fatte che leggevo negli zaini di scuola delle mie compagne. "La vita va aggredita" oppure "se vuoi una cosa, vai e prenditela" o ancora "Meglio provare e fallire, piuttosto che non tentare".

Non ho mai capito il perché di tutte quelle frasi. Persone che prendono a piacimento parole generate da altri, quanto probabilmente non riescono a coglierne il vero significato, il sacrifico per arrivare a comprendere quel concetto e la soddisfazione nell'essere riusciti a tramutarlo in parole. Non sono mai stato tanto superbo da poter pensare di far miei i pensieri di altri. Posso ammirarli, posso cercare di comprendere le loro parole, ma non saranno mai mie.

-Le mie azioni dipendono da me- pensavo sempre - Non seguirò mai il pensiero di altri, sarò io a trovare la mia strada -.

Raggiunsi l'uscita al piano terreno, evitando gli occhi delle assistenti scolastiche, probabilmente troppo immerse nei loro pettegolezzi per accorgersi che una figura di un più che dignitoso metro e ottanta passava oltre la reception.

Arrivai al cancello della scuola, e il cuore cominciò a pompare sangue ad una velocità  allarmante. Sentivo il rossore iniziare a invadere il mio viso, ma non me ne preoccupai. Accellerai il passo, fissando l'orologio; mancavano trenta minuti. Cominciai a correre, indifferente alle voci che assalivano i miei pensieri. "Ehm, ne sei sicuro?" pensava la voce numero uno. "Fossi in te eviterei, andrai incontro ad una figuraccia" bisbigliava la numero due. Mi sforzai di non ascoltarle, ormai ero ad un punto di non ritorno. Avevo ponderato la mia decisione nelle settimane precedenti, e non intenevo tornare sui miei passi. Mi conoscevo, e sapevo che per come ero fatto non ero in grado di compiere un gesto del genere, ma mi allenai per giorni imponendomi di non dare ascolto ai pensieri, ma di ascoltare solo il cuore, per una volta.

Odiavo ammettere che per me era così importante da dover annullare ogni forma di ragionamento, ma io dipendevo da lei, non potevo evitarlo.

Raggiunsi la strada principale del paese, correndo più veloce di quanto mai avessi fatto in tutta la mia vita. Il barista della pizzeria che era fuori a pulire il marciapiede mi riconobbe e mi chiamò curioso, ma lo ignorai. Non c'èra tempo per lui, non c'èra tempo per nessuno, tranne che per lei.

Arrivai, infine. Entrai col respiro affannato nell'ingresso del grande edificio bianco, deglutendo e stringendo gli occhi sotto la luce fastidiosa dei neon.

C'èra molto più rumore che nella mia aula di scuola, ma ormai ero completamente immune ad ogni suono, ad ogni sensazione. In testa avevo un solo obbiettivo, un obbiettivo da raggiungere.

Scrutai per l'ennesima volta l'orologio, notando che mancavano appena cinque minuti. Con passo più incerto e decisamente meno intraprendente mi accinsi a chiedere la fatidica domanda alla donna che curiosa mi scrutava da dietro il pannello di vetro.

<Ehm..> iniziai balbettando <Per caso, l'orario delle visite è già  terminato?>

<Mancano pochi minuti, caro. Forse se corri riesci a fare almeno un saluto. Chi stai cercando?> concluse la donna, ma io evitai la risposta e ripresi la mia corsa verso le scale.

Sapevo esattamente dove trovarla, conoscevo quel luogo e sapevo che il reparto non poteva che essere al terzo piano. Quando ero piccolo venni ricoverato a causa di una brutta caduta, e in quei giorni passai molto tempo a girovagare, incapace di stare a letto.

Conoscevo anche il numero della stanza, dato che nei giorni precedenti avevo origliato con molta cura le conversazioni di suo padre.

Arrivai, infine. Il mio amore perduto e mai ritrovato, la causa dell'abisso che ancora mi attanagliava il petto era dentro quella stanza.

A dispetto dell'accettazione, in quel corridoio il silenzio era quasi tombale, e accolsi con gratitudine l'assenza di rumori. Dovevo pensare senza distrazioni, dovevo scegliere con cura le mie parole.

Sollevai la mano destra e spinsi la porta, entrando. Lanciai rapido un'occhiata al letto, e uno sbuffo di dolore e rassegnazione mi uscii dalla bocca, producendo un buffo suono che tanto stonava con l'atmosfera austera del luogo.

Con un gemito di rabbia mi sedetti sulla sedia di fianco al letto, e cinsi la testa tra le mani. Volevo dire qualcosa, ma le parole che con tanta cura e dedizione avevo programmato di enunciare non riuscivano a uscire dalla bocca. Deglutii, e solerte una delle vocine nella testa mi consigliò: "ascolta solo il cuore, per una volta".

Già , la mia promessa. Una lacrima mi rigò il volto ancora troppo giovane per essere rasato regolarmente. Sapevo che era inutile parlare, ma ormai ero li e volevo dimostrare a me stesso che ero in grado di farcela.

<Quando mi hai lasciato> cominciai cauto <le cose non sono più state le stesse, sai? La pizza del sabato sera con tutti gli altri, i festeggiamenti a Natale, a Pasqua.. Tutte quelle giornate passate a scrutare il nulla, perché mi avevi abbandonato. Ti odio, non lo nego. Ti odio con tutto me stesso, per il tuo egoismo, per il tuo desiderio di cambiare vita, dimenticandoti della cosa più preziosa che avevi, dimenticandoti di me. Eppure ancora il mio amore per te è immutato, e non ne comprendo il motivo. Odio e amore si scontrano dentro di me, sentimenti tanto distanti e tanto simili nella forza e nella passione che sento nel provarli. Mi hai abbandonato e io avevo ancora bisogno di te, ti reclamavo, ti pretendevo. Oggi sono qui, anche se forse non lo meritavi, ma dovevo farlo. Sei una persona insostituibile e occuperai sempre un posto nel mio cuore, non puoi evitarlo. Puoi ferirmi, farmi piangere, farmi soffrire, ma non posso evitare di volerti bene.

Sono qui per dirti che ho deciso di andare avanti, anche se dovò farlo senza di te. Spero nel profondo che tu abbia provato almeno una volta quello che io ho provato e tutt'ora provo per te, lo spero davvero. Ti voglio bene>.

Le dita si strinsero più forti sopra gli occhi, mentre lacrime bollenti cercavano di uscire. Volevo sfogare il mio dolore, per l'ennesima volta.

Un rumore di passi mi destò, e alzai lo sguardo verso la soglia, oscurata da una figura in bianco che mi osservava perplessa.

<Mi scusi.. scusa> si corresse l'infermiera, notando la giovane età  del suo interlocutore <La stanza è vuota> osservò con cura la donna.

<Si, me ne ero accorto> sorrisi mio malgrado, in imbarazzo <Ma ci tenevo a dire una cosa, in ogni caso>.

<Oh, capisco. Mi spiace per il tuo lutto>.

<Quando è morta?> chiesi quasi distaccato, come se non me ne importasse davvero.

<Questa notte, poco dopo le due. Mi dispiace davvero che tu non abbia potuto darle l'ultimo saluto> concluse lei, comprensiva.

<Non importa, il nostro ultimo saluto risale a molti anni fa, non c'èra molto da dire>.

Mi alzai dallo sgabello e mi diressi accigliato verso la porta, scansando con garbo l'infermiera che confusa mi squadrava.

<Se non sono idiscreta, posso sapere che legame avevi con lei? Non ti ho ma visto in visita qui> osservò accigliata.

Fu il mio turno di guadarla con fare comprensivo <Era mia madre, in effetti>.

Tornai a casa, conscio che tutti i miei oggetti scolastici erano ancora in classe, ma non me ne preoccupai affatto.

Entrando in casa, mio padre mi accolse col suo solito saluto di sempre, forzatamente allegro.

Da quando ci aveva abbandonato, non era più riuscito a rialzasi davvero, e mascherava il suo dolore con un sorriso spesso fastidioso.

Se avesse saputo dove ero stato, sarebbe andato su tutte le furie.

<Oggi è sabato!> sentenziò l'uomo.

<Eh già > affermai dandogli ragione.

<Sai cosa vuol dire, vero?> annui lui, strizzando un occhio.

<Pizza con patatine fritte e partita in tv, come al solito> risposi cercando di mostrare il suo stesso entusiasmo.

Mio padre mi fissò con aria assorta, quasi stesse ponderando una decisione di vitale importanza.

<Sai cosa? Questa sera ordinineremo due birre, non una. Ormai sei grande, figliolo> disse lanciandomi un'occhiata di pura fratellenza maschile.

<Wow, un cambio di routine. Credo che questa notte nevicherà  parecchio, assicurati di chiudere le finestre> dissi ridendo. Lui si unì alla mia risata, felice che il nostro piccolo mondo costituito da azioni prestabilite si mostrasse così solido nelle sue fondamenta.

Il giorno seguente probabilmente mi avrebbe portato a pescare, come era solito fare ogni domenica.

Era il nostro piccolo mondo protetto dal dolore, e andava bene così.

EDRE: Toccante e ben scritto, non passa inosservato.

LANCE94: Storia triste à§AৠMa avrei sviluppato meglio la parte finale

GROVYLE96: Toccante è la parola più adatta per descriverlo.

Primo Posto - 18 PokéPoints

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Vulpah

Uno stupendo sbaglio di Dio

I miei occhi, stanchi, guardavano di sbieco il soffitto dell’ospedale psichiatrico.

Ricordo solo che era d’un bianco pallido, che si imbruniva al limitare delle quattro mura per via dell’eccessiva umidità , appesantendo l’aria – già  scarsa- di quella minuscola stanza. Avrei voluto mettermi una mano sul collo e strozzarmi, invece di continuare ad ascoltare quell’omino settantenne accanto al lettino che sentenziava ipotesi assurde in merito ai miei problemi, come se ne sapesse più di ogni altra persona al mondo. Chinò leggermente il capo per riuscire a scorgere chiaramente il mio viso. Probabilmente voleva verificare quale delle mie due personalità  avrebbe preso il sopravvento qualora mi trovassi in uno stato di calma, anche se solo apparente. Cercavo di opprimere il mio odio nei confronti di quelli della sua specie, e speravo con tutta me stessa che la mia ira prendesse il sopravvento, oscurando quella parte di me che voleva provare la felicità . Non quella gioia apparente che prova un malato terminale dopo aver scoperto di avere due mesi di vita in più ma... quella vera. Mi sentii pervasa da un ingente senso di angoscia non appena scorsi la mia cartella clinica annegata tra le innumerevoli analisi disposte alla rinfusa sopra la scrivania dello psichiatra.

Nemmeno il sorriso privo di vita del simpatico orsacchiotto di peluche che campeggiava beatamente sopra il computer riusciva a distogliere la mia attenzione che s’era focalizzata su quei fogli, macchiati di parole spesso ripetute con un’assiduità  quasi morbosa, quali “psicopatico” e “schizofrenico”. Avrei voluto urlare, rompere una volta per tutte quella camicia di forza pressoché invisibile che mi costringeva a restare inchiodata su quella branda ospedaliera contro la mia stessa volontà . No, non rammentavo allora d’essere una personalità  psicotica. Ero solamente un essere umano come tanti, che però poteva vantarsi di possedere un’amica unica nel suo genere... il dolore. Un vicino più esigente di quanto pensassi.

Avrei voluto levarmi quel fastidioso parassita dalla mia anima, pensavo che lui fosse esperto in questo genere di problemi, invece mi sbagliai. Non preoccuparti, dicevano. Ti potrà  aiutare, dicevano. Tutte balle. Al diavolo Freud e la psicanalisi, al diavolo quel cacciatore che affogò il mio gioioso cinguettio, la mia voglia di volare. Mi morsi rapidamente le labbra, e mie le lacrime scesero altrettanto velocemente, rigandomi il viso prima che le potessi fermare in tempo. Ogni parte del mio corpo era inerme, mi sentivo segregata una sorta di bozzolo inespugnabile sotto ogni punto di vista. Dopotutto, erano due ore che stavo lì sdraiata, attendendo che quel dannato si decidesse a risolvere i miei problemi, smettendola di fissare l’insulso taccuino sul quale erano disegnati degli schizzi di dubbia provenienza, probabilmente frutto dell’indomita vena artistica di un bambino di tre anni. Anche lui pareva insensibile al mio grido di dolore.

“Dio, ti prego, lascialo andare”

Si sistemò gli occhiali da vista poggiati quasi sulla punta del naso, e con due delle sue dita li spinse indietro, facendoli aderire ai suoi occhi costernati di rughe talmente pesanti che gli affaticavano la vista. Produsse un lieve suono labiale, accompagnando alle parole gesti fugaci, che io non riuscii a comprendere efficacemente. Sì, disse qualcosa, ma la mia mente aveva rimosso totalmente quel breve inciso di poco conto. Sedutosi dietro la sua scrivania, mi porse un foglietto dove i medicinali che dovevo prendere. Guardai il foglio per qualche istante, inclinando leggermente il capo. Non capii nulla di quanto scritto lì sopra. Sembrava la calligrafia di Zorro affetto dal morbo di Parkinson. L’unica parola che lessi fu: ”Atomi di litio”.

Se credeva che io sarei stata così stupida da dargli ascolto, era tremendamente in errore. Bipolare sì, ma idiota non lo ero.

Non ci pensai più di due volte, accartocciai quell’insulso pezzetto di carta e lo gettai per terra. Chinai gli occhi. Le piastrelle lucide del pavimento riflettevano il viso dello psicologo, visibilmente avvilito per aver perso una delle sue battaglie.

“Tutto in me è sbagliato. Si è illuso di correggermi e non e l’ha fatta”.

Il flebile fruscio dei miei capelli sembrava essere l’unico accompagnatore capace di confrontarmi, mentre la porta si stava chiudendo dietro alle mie spalle, trascinandosi in un tonfo sordo. Non era l’unico uscio che si era chiuso. Avevo – seppur inconsciamente- messo un lucchetto al mio cuore, e non l’avrei fatto aprire a nessuno. Quell’idiota di un dottore cercò di forzarlo, e io strinsi ancor di più la serratura. Me l’ero ripromesso un’infinità  di volta, eppure rompevo puntualmente quel patto con me stessa. Mi sarei ribellata a questa situazione precaria, ma quel momento tardava ad arrivare. Ormai non ci speravo più.

Non avrei mai imparato a convivere dal dolore, e io non mi sarei mai liberata di lui. Avrei continuato a vivere in un’assidua ricerca dell’equilibrio, in bilico tra sofferenza e felicità .

- Allora Janet, com’è andata?-.

Quel timbro di voce sembrava così familiare, eppure al tempo stesso non lo riconobbi all’istante. Mi lasciai trasportare da quelle parole emesse con una dolcezza impareggiabile, che arrivate alle mie orecchie si trasformarono in una melodia a dir poco struggente. Le mie labbra si schiusero spontaneamente in un sorriso, purtroppo effimero. Bastò che la sua mano mi sfiorasse delicatamente il viso, per far sì che scomparisse. Istintivamente, gli sferrai un gancio destro in pieno volto.

Solo dopo mi pentii per il mio gesto. Non avevo tenuto presente che ogni azione portava sempre ad una conseguenza, più o meno grave. Lui indietreggiò di un paio di passi. Sentii un gemito soffocato dalla sua volontà  di non mostrarsi un debole nei miei confronti. Evidentemente esagerai.

- Hey, calmati ti h...- un improvviso colpo di colpo di tosse non gli fece finire la frase, poi riprese – Ti ho solo chiesto com’è andata-.

- Come sarebbe dovuta andare?- dissi io, portandomi le braccia al petto.

Non disse più nulla. Mi prese per mano e mi trascinò fuori dall’ospedale psichiatrico. Cercai di trattenere con tutte le mie forze le lacrime, mordendomi la bocca. La sua presa era talmente forte da riuscire a comprimere le mie dita ossute, che quasi si consumavano, racchiuse dentro le sue. Avanzò il passo, costringendo le mie gambe a correre. Il paesaggio si muoveva fin troppo velocemente per riuscire a delinearne i contorni. Allora chiusi gli occhi, abbandonandomi a me stessa, lasciandomi trascinare totalmente da lui. Dopotutto, mi fidavo... forse. Sentivo solo i miei piedi stanchi invocare pietà  con tono lamentoso, ma non mi curai di ciò. Immersa totalmente nell’oscurità , mi trovavo in perfetta sintonia con il mio animo. Capii che la vera me stessa era racchiusa lì, in quel tetro buio che mi appariva così spaventoso, eppure, in un certo senso, intimo. E prima che potessi prevederlo ritornò quell’ingente senso di angoscia ad aggravare le mie spalle, rendendo la mia camminata piuttosto stentorea. Ero sicura del fatto che non mi sarei liberata della mia sofferenza, che sarei rimasta inghiottita in quel vuoto sconfinato, privo di qualsiasi via di fuga apparente. Invece c’era un’uscita, quella più drastica. Un cancello che si sarebbe aperto, ma non si sarebbe più chiuso. Solo con la morte, avrei trovato l’equilibrio, smettendo di restare in bilico tra la felicità  e la sofferenza.

- Eccoci, siamo arrivati-.

Finalmente. Aprii lentamente un occhio, poi l’altro. Dinnanzi a me, un’enorme distesa d’acqua dolce si espandeva per non più di cinque miglia. In lontananza, il malinconico gracidio di una rana ruppe l’atmosfera silenziosa di quel luogo. Il piccolo anfibio si lasciava trasportare dal movimento delle acque, cullato dolcemente dalla ninfea che fungeva da appiglio. L’odore pungente degli aghi di pino mi pizzicava leggermente il naso, ma non per questo poteva considerarsi fastidioso. Senza pensare a nulla, mi buttai in acqua.

Non riesco ancora a comprendere il perché del mio gesto. Probabilmente il mio minuscolo cervello ormai divenuto solamente un serbatoio colmo di disperazione, avrebbe trovato la felicità  in quel gesto estremo.

Poco m’importava dell’attrito che l’acqua esercitava sul mio corpo, impedendomi di muovere le gambe. Quella misteriosa entità  che si opponeva alla mia volontà  mi faceva sentire bene. Per far sì che quella forza mi avvinghiasse le ginocchia e divenisse parte integrante di me, smisi di dimenarmi. I miei capelli sembravano essere l’unica parte pura del corpo, si ostinavano a restare a galla. Avrei depositato sotto le macerie di quel l’abisso il mio dolore.

Sotto la profondità  di quella gora ero sola, sola con me stessa.

Avevo paura.

La solitudine era l’assenza della felicità , quell’ideale di sentimento che mi ostinavo a non trovare. Mi presi la testa con le mani cercando di affondare –inutilmente- le dita nel cranio. Rinnegavo la carenza d’ossigeno, ormai prossima. Stavo sbagliando. Non avrei imparato a convivere con la mia sofferenza così.

Stavo permettendo alle mie pene di impossessarsi del mio corpo, di ucciderlo.

Ogni cosa era migliore rispetto alla solitudine.

Annaspavo faticosamente nella vischiosità  dell’acqua, cercando di raggiungere il pallido bagliore lunare. Sembrava quasi che si prendesse gioco di me, guardandomi dall’alto del cielo, nero come la mia inutile esistenza.

Dopo un po’ di tempo riuscii a darmi la spinta giusta, e i miei polmoni potettero scampare dall’atrofizzazione. L’acqua adesso mi lambiva il seno. I miei capelli, che dapprima si muovevano fluidamente, erano diventati una massa stopposa che avvolgeva il collo in una morsa. Con un rapido gesto, le mie dita esili sfiorarono la mia guancia, aperta di una patina d’acqua che al tatto sembrava di una consistenza vetrosa. Non riuscivo ancora a focalizzare con precisione il paesaggio circostante. Strofinai gli occhi. Non appena lo vidi appoggiato al tronco di un albero che aspettava invano il mio ritorno, uscii dal lago, correndo come non avevo mai fatto prima d’allora. Mi gettai tra le sue braccia, affondando la testa sotto il suo addome. Lo stringevo forte, avevo paura di perderlo, di restare sola. Mi sentivo finalmente felice. Il mio dolore però era ancora lì, dentro di me. Non se ne sarebbe mai andato, sarei sempre stata in bilico tra sofferenza e disperazione. Quel breve momento di gioia era solo effimero, come tutti gli altri.

Gridai. Ero stufa di questa eterna lotta contro me stessa, una battaglia che non avrei mai vinto.

Mai.

L’uomo è stato creato con delle emozioni.

Può provare gioia come può provare sofferenza.

Può credere di aver imparato a non sbilanciarsi.

Può credere di aver imparato a convivere con il proprio dolore.

Ma saranno sempre e solo mere illusioni.

L’equilibrio corretto tra i sentimenti è relativo.

EDRE: Segue perfettamente la canzone, un esempio di integrazione ineccepibile.

LANCE94: Ottimo racconto che mi ha fatto percepire quelle sensazioni. Nè troppo semplice, ma neanche troppo surreale.

GROVYLE96: Nulla da dire, ottimo.

Premio Nota - 12 PokéPoints

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Dream's Cocaine

La strada da percorrere

Sfrecciavo per un deserto americano con la mia macchina sportiva rossa, con il vento caldo che si infrangeva sul mio viso e che entrava fra i capelli scompigliandoli e facendomi anche un po’ di solletico.

Tirai fuori dalla tasca dei miei jeans un registratore, premetti sul cerchio rosso e lo misi sul cruscotto.

“Nei periodi di confusione ho sempre amato immergermi nella natura, è l’unica cosa che ti ascolta e riesce a tirar fuori la tua vera anima, il tuo vero essere.

Sarò sincero anche questa volta, ho sempre cercato una casa, per me era un’ossessione, volevo trovare un posto, una persona, un qualcuno che fosse capace di accettarmi per come ero.

E ho cercato e provato tanto e quando le persone a me care lo hanno scoperto hanno provato disgusto, imbarazzo per me.

Ma non possono capire loro, non sanno cosa vuole dire vagabondare per una manciata di sentimenti, non sanno cosa vuole dire elemosinare un sorriso o un apprezzamento. Non sanno cosa vuol dire cercare sicurezza in complimenti vuoti o magari in spalle dove puoi appoggiare la testa ma che sono presenti per motivi per cui il romanticismo o l’amicizia non c’entrano assolutamente nulla.”

Mi accesi una sigaretta e buttai un’occhiata sul livello della benzina, rimanere a piedi era l’ultimo dei miei desideri in quell’istante. Era poco sotto il livello massimo, mi rituffai nella registrazione: “Sono sempre stato un ragazzo particolare, ribelle, me lo han sempre detto. Un mix mal-amalgamato di rabbia, creatività  ed indecisione. Questa poi una caratteristica che la fa da padrone dentro di me, che condiziona costantemente la mia vita e mi spinge ad esser un robot al servizio del mio cervello e mai del mio cuore.

Non sono mai riuscito ad affrontare le sfide che mi si proponevano, le ho sempre sviate cercando mille scuse e cercando sempre un modo per giustificarmi, ma se riuscivo ad ingannare gli altri non sono mai riuscito ad ingannare e metter nel sacco me stesso e ogni volta che lo facevo una parte di me è morta e ora mi sento più uno zombie innocuo che un essere umano.”

La macchina rallentò di colpo, la levetta della benzina si abbassò ad una velocità  incredibile e l’automobile si fermò.

Scesi chiudendo lo sportello dietro di me, maledicendo quella porcheria italiana a quattro ruote.

Mi sedetti a terra con la testa appoggiata allo sportello, rotolandomi la lingua fra le labbra furioso e rabbioso come non mai; afferrai un po’ di terra rossa e la guardai scivolarmi fra le mani.

Era fresca e dura, una piacevole sensazione che veniva ampliata dalla fantastica visione del paesaggio. Solo terra, cielo azzurro e qualche cactus qui e lì e le montagne, ancora più rosse all’orizzonte. Mi sentivo nulla, un essere misero davanti all’infinito e alla bellezza che si apriva davanti a me.

Chiusi per qualche minuto gli occhi, per rilassare i nervi e calmarmi, ma li riaprii appena mi accorsi che il sole era completamente sparito e una certa umidità  si stava facendo sentire sulla mia pelle.

Ero in una foresta, davanti ad uno stagno da cui uscivano due occhi gialli che mi fissavano in quello specchio d’acqua di color nero.

Indietreggiai lentamente, cercando di non farmi notare ulteriormente, di non far rumore e quando fui sufficientemente lontano, mi alzai e cominciai a correre, cambiando più volte strada non pensando che così facendo mi sarei perso ulteriormente in quel posto.

Non vedevo più il cielo, solo rami e foglie e anche l’incredibile silenzio che l’ambiente desertico dava era diventato tristemente un ricordo.

Cicale, ronzii di mosche e zanzare e addirittura mi parve di sentire il verso di un serpente, oltre che ovviamente al rumore di qualche fiume che attraversava questo posto incontaminato.

La vegetazione era molto, molto fitta e dava quella colorazione tendente al verde scuro che davvero ti faceva capire che ogni passo fuori luogo poteva farti notare da qualche animale selvaggio e quindi risultare fatale.

Poi un colpo e il terreno tremò, un altro e poi altri due, in rapida successione. Le foglie cominciarono a muoversi e infine si aprono, mostrandomi la fonte di quel rumore: un albero. Coi rami aveva scostato le foglie degli altri arbusti e mi fissava.

Poi altri tre colpi e un altro albero arrivò affianco al primo, entrambi all’unisono mi dissero: “Allora, accetti?”.

Terrorizzato cominciai a muovermi e a correre nella direzione opposta alla loro e cercando di non inciampare nei vari sassolini e nei tronchi caduti a terra riuscii quasi a superarli e lo capii dai loro passi. Se prima erano vicini e quindi il rumore che facevano era chiaro, piano piano diventò sempre meno definito, fino a scomparire del tutto.

Mi ritrovai in uno spiazzo, ma non feci in tempo a riprendere fiato che fui immediatamente distratto da un sibilare insistente di quello che pareva essere un serpente.

Prestai maggiore attenzione per capire dove andare e dove scappare, di nuovo.

Una pianta si spaccò esattamente al centro e da lì apparve il maestoso quanto tremendo rettile con gli occhi color gialli ambra e la sua lingua rossa che faceva entrare e uscire velocemente.

Si avvicinò pericolosamente, legandosi attorno al collo; pensavo che volesse strozzarmi e invece non stringeva, voleva solo guardarmi da vicino.

Chiuse gli occhi un attimo come se stesse facendo qualcosa di faticoso e poi aprì la bocca tirando fuori dalla lingua una chiave bianca con una “V” incisa sopra.

Una parte di me diceva di prenderla, l’altra era in dubbio se farlo o meno. Non ci pensai però due volte, la presi in mano e tutto scomparve.

Ero uscito dalla foresta e mi accorsi che era calata la notte e mi domandai per quanto tempo ero rimasto all’interno di quel labirinto di rami.

Ero in piedi al centro di una stradina di qualche cittadina di periferia.

Cominciai ad incamminarmi con fare stanco e demoralizzato.

Mi guardai un po’ attorno, per cercare qualcuno a cui chiedere informazioni o, molto meno ipocriticamente, per cercare qualcuno che mi facesse compagnia.

Ma non c’era nessuno, ero solo. Ancora.

Arrivai ad un incrocio poco più avanti, sulla sinistra, c’era un piccolo edificio a due piani con un’insegna luminosa rosa e bianca che indicava “Motel Paradise”, sulla destra, invece, proprio davanti al motel, c’era un piccolo bar da cui si sentiva ridere.

Mi incamminai verso il locale spinto da una malinconia che già  mi faceva presagire che non avrei trovato qualcosa che mi avrebbe consolato.

Progredì quindi in quella direzione, rimanendo sempre però al centro della strada; se un camion in quell’istante mi avesse steso non mi sarebbe dispiaciuto minimamente.

Una volta di fronte, entrai nel bar e notai che le risate che sentivo provenivano dall’unico gruppo di ragazzi presenti nel posto che componevano anche gli unici clienti del locale.

Mi sedetti nell’altro lato della stanza e quasi mi incantai nel fissarli finché non venne la cameriera del locale a disturbarmi.

Capelli biondi, occhi azzurri, labbro leporino e la pelle chiarissima, vestita con una camicetta a quadri rossa che si interrompeva poco sotto il seno e sufficientemente aperta per far intravedere il reggiseno azzurro e un paio di jeans molto, molto corti che arrivavano appena a metà  coscia.

Presi un bicchiere di rum e poi mi immersi nel suo sapore e nel suo odore così forte e capace di portarmi in un altro posto, un’altra dimensione.

Quando tornavo invece sul pianeta Terra pensavo a come attaccare bottone con quei ragazzi e magari perché no, mi avrebbero fatto entrare nel loro gruppo.

Mi alzai deciso, lasciando il conto sul tavolo ma in un batter d’occhio il locale era completamente vuoto, anche la cameriera era scomparsa.

Uscii dal bar e mi appoggiai ad uno dei muri e cominciai a fumarmi una sigaretta.

Nel frattempo che io inspiravo ed espiravo i fumi di quel congegno dell’orrore cominciai a sentii una strana sensazione alle caviglie, così, guardandole, notai come si erano tramutate in roccia e che questa metamorfosi stava avvenendo velocemente perché quando misi a fuoco cosa stava accadendo anche le mie ginocchia erano diventate pietra.

Proprio in quel momento sentii provenire dalla strada un rumore di una moto e poi quella di una macchina. Alzai lo sguardo e notai che alla guida dei mezzi c’erano quei ragazzi che sfrecciavano divertendosi.

Io invece no.

Io invece ero lì e mi stavo trasformando in pietra, una metamorfosi quasi inevitabile.

Quasi.

Da uno dei piani del motel si aprì una porta e in controluce vedevo una figura alta che alzò la mano e mi salutò.

Era lui.

Sfidai la pietra e tentai di muovere in avanti quello che una volta doveva essere il mio piede sinistro.

Strinsi gli occhi, trattenni il respiro e ci misi tutta la forza che avevo in corpo e finalmente, al primo tentativo, sentii la roccia frantumarsi e ritrovare finalmente i miei arti inferiori integri.

Con passo svelto entrai nel cortile e salii le scale alla mia sinistra fino ad arrivare al piano dove stava la camera, la figura, una volta superato l’ultimo scalino, entrò nella stanza lasciandola aperta.

Entrai, sorrisi e chiusi la porta alle mie spalle, chiudendola a chiave.

“Non immaginavo di trovarti qua, è un tale piacere vederti” dissi gettandomi sul letto, con il cuore che pompava sangue con la stessa potenza che hanno le locomotive di un treno a vapore.

Emanava il suo profumo di menta ma non si muoveva. Era fermo, di spalle.

Il mio sorriso scomparve e un brutto presentimento si fece vivo in me.

“No, non mi lasciare ora – dissi saltando giù sul letto, con la voce rotta – non te ne andare!”

Lo scossi, lo scossi con tutto me stesso, ma non faceva una piega.

Lo girai e notai che non aveva viso. L’intera testa era coperta dai capelli e non come una copia malfatta e molto più perversa del cugino Itt della famiglia Adams.

“Non lasciarmi così” Furono le mie ultime parole prima che tutto si sbriciolò in ghiaccio che mi fece cadere e sprofondare in quello che doveva essere il pavimento della stanza.

I frammenti mi tagliavano la pelle, mi sfregiavano il volto e sentivo il sangue uscire, percorrere e bagnare le mie carni.

Mi ritrovai in una foresta, questa volta con colori tendenti all’azzurro e molto meno selvaggia, riuscivo a vedere il cielo e non si sentivano versi di animali selvatici.

Mi trascinai fino ad un albero e mi tirai su utilizzando il tronco, ma quando fui completamente in piedi notai che le mie mani bruciavano leggermente, pizzicavano.

Le guardai ed erano completamente ustionate, ma il dolore non cessava, cresceva, cresceva sempre di più.

Caddi in ginocchio dal dolore e strillavo con tutto me stesso e immediatamente anche le ginocchia cominciarono a provocarmi del dolore.

La foresta cambiò colorazione, dall’azzurrino diventò di color rosso acceso; caddi in avanti, la mia testa toccò terra e il dolore aumentò, poi il nero.

Mi risvegliai all’improvviso.

Le mani erano ferme sul volante, e la macchina era parcheggiata vicino ad un cactus. Era pieno giorno, evidentemente un colpo di sonno doveva avermi stroncato.

Il registratore sul cruscotto aveva continuato a registrare lo fermai, riavvolsi il nastro e lo misi nel punto esatto in cui mi ero fermato a parlare.

Misi in moto la macchina di nuovo e proseguì per la strada.

“E’ curioso sai come i sogni sono solo la più grande porta della verità . Dico davvero. Ti hanno mai dato il passaporto per la vita, quella vera, per poi ritirartelo di colpo? A me sì. E l’ho capito poco fa. Ti trovi stordito, ferito e illuso. Illuso che quel sussulto di vita potesse essere tuo per l’eternità  e ti senti stupido per come ti sei fatto abbagliare da delle sterili luci, come se tutto potesse esser tuo con un semplice schiocco di dita.

Ogni notte della mia vita ho pregato che potessi incontrare qualcuno adatto a me, capace di farmi sentire parte del mondo, normale. Ma non esiste. Quando pensi che trovi persone di questo tipo ti affidi a loro completamente.

Cosa ci guadagni? Un orgasmo nel buio, un semplice contatto fisico. Cosa perdi? Te stesso.

Io ho cercato di resistere nella guerra che è la vita. Ho cercato di combattere e di far combattere gli altri, ma obiettivamente ho capito che non ne vale la pena.

Non è una guerra di logoramento questa, non ci sono trincee, il nemico non gioca a sfinirti. Il nemico non gioca, non esiste. L’indifferente non può essere un nemico.

Che tu combatta o che tu stia con il culo per aria a loro non frega assolutamente nulla e quindi depongo le armi, alzo la bandiera bianca, mi arrendo, come se questo potesse far la differenza.”

Ero a qualche centinaio di metri da quella che era diventata la mia nuova meta, ingranai la marcia con modo deciso e proseguii il mio monologo: “Ti accorgi di esser solo e di esser impotente, e tutto ciò che volevi trasmettere sparisce, scompare assieme alla tua rabbia, alla tua creatività  e anche alla tua maledetta indecisione. Rimani vuoto, davvero vuoto.

Io… io ho cercato di non mettermi nei guai, ma nella mia testa c’è una fottuta guerra fra ciò che si fa e ciò che sarebbe conveniente non fare e qualsiasi scelta io abbia preso un velo di ipocrisia è inevitabilmente calato su di me trasformandomi in quello zombie di cui vi dicevo prima.

Mi accorgo che tutto questo non funziona più: se solitamente per far placare la mia indecisione io mi esprimevo e liberavo la creatività  come gli uccellini volano nel cielo primaverile, arrivato a questo punto la strada da percorrere è una e una sola…” lanciai il registratore sulla strada e girai il volante con l’acceleratore spinto al massimo superando l’altra corsia ed entrando dritto in un burrone che era finalmente arrivato.

“…Morire.”

EDRE: Stupendo e ricco di dettagli interessanti (tipo il nome del Motel). Un racconto fatto divinamente. Il concetto di "onirico" è reso benissimo.

LANCE94: Di certo un lavoro molto ricco, ma non mi ha trasmesso molto.

GROVYLE96: Ottimo.

E con questo è tutto. Per ogni chiarimento, scrivete in questa discussione. Ci scusiamo per i giudizi negativi per alcuni, ma la trasparenza è trasparenza per tutti. E inoltre, questi giudizi e consigli potrebbero aiutarvi a scrivere meglio :D

Al prossimo contest \ò/

Inviato

Complimenti a tutti! :D

Ormai Vulpah ha il posto assicurato nel contest di scrittura. :sisi:

W Dream's Cocaine, w il PDL! (?)

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Inviato

Tantissimi complimenti ai vincitori, siete stati bravissimi!

Grazie mille ai giudici per la rapidità  del giudizio, sono contenta che la storia sia stata apprezzata. :)

Inviato

Ok.

Fatemi un attimo realizzare il tutto...

ºAº

Ringrazio infinitamente i giudici per aver premiato il mio lavoro (l'avrei voluto arricchire con altri dettagli, ma avevo paura di intaccare il senso della canzone, imho l'ho lasciato così).

Ringrazio chi ha creduto ancora in me pur sapendo che ho l'autostima sotto le scarpe (tanto luv Hypah e Blue <3)

Ringrazio anche Giovix che con la sua sfera magica mi ha predetto il futuro (?)

Grazie, grazie a tutti ^^

Ps: Mi mandate il codice della targhetta? Sto con il cellulare e il mio pc non va su internet :c

Inviato

Non ti preoccupare, penso che ci sarà  chi non vorrà  scrivere più per un contest.

Ma non si può sempre vincere :/ Purtroppo i premi sono quattro, i partecipanti erano ventisei. Un numero mai raggiunto. Oltre te, sono rimasti fuori anche tanti altri utenti.

Se ci sei rimasto male per le valutazioni, ricorda che non sono fatte per criticare, ma per dare dei consigli e cercare di poter portare tutti alla vittoria, per una volta.

Inviato

Ma non si può sempre vincere :/ Purtroppo i premi sono quattro, i partecipanti erano ventisei. Un numero mai raggiunto. Oltre te, sono rimasti fuori anche tanti altri utenti.

Se ci sei rimasto male per le valutazioni, ricorda che non sono fatte per criticare, ma per dare dei consigli e cercare di poter portare tutti alla vittoria, per una volta.

Inviato

Se qualcuno ti ha parlato, sappi che ha riferito male.

Non ho detto nulla riguardo le valutazioni, ho solo detto che difficilmente parteciperò nuovamente.

Inviato

Congratulazioni a tutti, dei racconti meravigliosi!

E grazie per i giudizi, mi serviranno da lezione! :D

Inviato

Se qualcuno ti ha parlato, sappi che ha riferito male.

Non ho detto nulla riguardo le valutazioni, ho solo detto che difficilmente parteciperò nuovamente.

No, nessuno mi ha parlato di niente, sinceramente. Da quel che dicevi, pensavo fossi rimasto male per le valutazioni, ma se non è così non posso saperlo ^^

Se c'è qualcosa che non ti torna, però, siamo qui per rispondere.

Inviato

Complimenti ai vincitori e a tutti gli altri ^^

Se qualcuno ti ha parlato, sappi che ha riferito male.

Non ho detto nulla riguardo le valutazioni, ho solo detto che difficilmente parteciperò nuovamente.

Inviato

Personalmente, avrei inserito le stesse quattro persone (avrei visto bene pure Ilaria.), ma con ordini diversi, forse.

Ma comunque, complimenti a tutti!

Riguardo a me, era un momento no, ed ho partecipato più che altro per tradizione. Giuro che la prossima volta mi impegnerò di più! *O*/

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