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[Contest di scrittura] Horror ~ L'eterna notte - I vincitori!


Grovyle96

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Salve a tutti!

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Ieri, il contest più pauroso e tenebroso dell'anno si è concluso e ci sono stati tanti partecipanti che ringraziamo calorosamente! Ogni elaborato rispecchiavano il tema dell'orrore e ci complimentiamo con tutti, ma, come al solito, abbiamo dovuto fare un'attenta selezione per decretare i vincitori. Senza che mi divulghi troppo, ecco i nomi dei vincitori!

Il Premio Horror va a...

Blue95!

La vacanza di sangue.

Sembra davvero tutto finito. Vorrei che fosse davvero tutto finito. Vorrei essere in un incubo, di quelli così reali che ti sembrano realtà . Mi premo fortemente i pollici sugli occhi, auspicandomi che, una volta riaperti, avrei rivisto il mio solito mondo: la mia stanza, perfettamente pulita e ordinata, col solito profumo di lavanda delle coperte. Ed invece, con mio grande orrore, ho ancora un' ascia ormai rosso sangue ai piedi e, davanti a me, il corpo mutilato di una donna. La mia donna. Joanna. Ha le braccia staccate dal corpo e uno squarcio estremamente profondo sul petto. Gli occhi sono quasi completamente fuori dalle orbite, e i denti completamente rossi: ha sputato davvero parecchio sangue. Che orribile spettacolo, una così bella donna ridotta in quel così pietoso stato. E ridurla così... Sono stato io.

Il quarto anniversario di fidanzamento è arrivato. Sembravamo davvero destinati a fallire, eppure siamo ancora insieme, più uniti che mai. Io e Joanna ci conoscemmo il primo anno di liceo. Antipatia reciproca fin da subito. Solo poco prima della Maturità , capimmo che il nostro odio si era ormai tramutato in amore. Vorrei regalarle qualcosa di assolutamente fantastico, per dimostrarle che per lei farei di tutto, arriverei perfino in capo al mondo. Letteralmente.

Difatti, Joanna proviene dal lontano Perù, ed il suo desiderio è sempre stato quello di ritornarvi almeno una volta.

Così, con suo grandissimo stupore, le mostro due biglietti per la sua Terra. Mi sono costati un occhio, forse dovrò lavorare altri cinque mesi per recuperare tutte le spese effettuate e che effettuerò. Ma ne è valsa davvero la pena: ella sfoggia un sorriso talmente radiante, che spenderei perpetuamente i miei stipendi per vederla sempre così luminosa.

Il viaggio non è stato eccessivamente confortevole, ma il panorama che mi trovo davanti e mozzafiato. Ciò che mi sorprende di più, però, è che tutto è deserto: non una persona in circolazione, i negozi sono tutti chiudi. Sembra quasi che gli abitanti del posto abbiano abbandonato il paese in fretta e furia.

Dopo la morte dei genitori, Joanna ereditò una piccola casetta nel suo paese: nulla di che, molto piccola, ma per noi due è il massimo.

Decidiamo di disfare immediatamente le valigie, pensando che questo assenteismo di massa fosse solo qualcosa di momentaneo: la sera saremmo ritornati in paese, e avremmo cenato fuori. Nel frattempo, spostando un grosso scatolone impolverato, noto una botola che dovrebbe portare ad un livello inferiore, magari una cantina. Cerco di aprirla, ma è troppo pesante, così decido di rinunciare. Ma, dopo essermi voltato di spalle, mi pare di sentire un piccolo gemito provenire dalla botola.

"Ehi, Jo, hai sentito anche tu?" domando, un tantino impaurito.

"Sentito cosa?" ribatte lei. Decido di non indagare oltre. Non vorrei mi scambiasse per un pazzo.

Di sera, le strade sono ancora del tutto fantasma. Un brivido mi percorre lungo tutta la schiena: temo di essermi già  pentito di questa vacanza.

Sobbalzo nel notare degli grandi occhioni verdi spiarci dalla finestra di una delle tante casette. Spero che Jo non mi abbia visto, sembra così forte e priva di paura! La vecchietta dagli occhi verdi ci fa cenno di entrare e, come ipnotizzata, la mia ragazza entra in casa.

"Magari troveremo ospitalità , e potremo avere più informazioni." penso tra me e me. Ma l'abitazione è ancor più inquietante delle strade deserte: è costituita da una sola stanza, che presumo sia cucina, bagno e camera da letto contemporaneamente, illuminata dalla sola luce di due candele. Temo di morire, quando un gatto, nero come la pece, occhi vitrei, e alquanto spelacchiato, mi salta addosso miagolando nervosamente, quasi volesse attaccarmi. Se non fosse una follia, potrei sicuramente affermare che il micio è apparso dal nulla. L'anziana non si scombussola minimamente, e comincia a raccontare:

"Tempo fa, prima che tu emigrassi, Joanna, una equipe di scienziati si trasferì qui per i suoi folli esperimenti: volevano rendere l'uomo eccezionalmente potente, così, in caso di guerra, non avremmo dovuto spendere capitali in armi. Ahimè, qualcosa andò storto: tutti gli esseri viventi, vegetazione compresa, cominciarono a dare segni di squilibrio: le piante si animarono, gli animali uccidevano le persone, e gli umani davano addirittura... segni di cannibalismo. E ben presto, come un'epidemia, la cosa si diffuse assai rapidamente. I pochi superstiti decisero di emigrare, e questo è stato anche il tuo destino: i tuoi genitori ti hanno imbarcato clandestinamente, e ti hanno fatto scappare. Ed ora, lasciatemi in pace. Addio". Quasi ci fa uscire a calci.

"Era una tua parente, quella?" dico alla mia amata, fuori da lì.

"No, non l'ho mai vista, perché?" ribatté lei. Il mio sangue si gela.

"E allora... Come conosceva il tuo nome?!". Ci guardiamo esterrefatti. Improvvisamente, sentiamo provenire un urlo straziante dalla casa. Schizzi di sangue spruzzarono sulla finestra: la vecchia era stata uccisa. Ma da chi?

"SCAPPIAMO, JO!!" urlo, e lei non se lo fa ripetere due volte. Credo di non aver mai corso così forte.

"Dobbiamo andarcene di qui il più presto possibile. Capisci che potremmo morire anche noi, lo capisci?" quasi volessi incolpare la povera Joanna.

Sento bussare. Ma, con grande rammarico, il rumore non proviene dalla porta, bensì dalla botola. Senza pensarci due volte, prendo l'ascia che era appesa sopra il camino. La botola si sgretola, e da qui spuntano fuori quattro esseri mai visti in vita mia.

"Che razza di mostri sono mai questi??" penso io. Esseri dal viso glabro e completamente sfregiato. Senza naso, una bocca rinsecchita, occhi senza iride e pupilla: vi sono solo le cavità .

"SCAPPA, JO, SCAPPA!" urlo io, ma altri mostri due mostri erano comparsi precedentemente e la stavano quasi divorando. Mi faccio coraggio, e decido di colpirli violentemente con l'ascia. Joanna è salva, ma ha carne viva fuori ovunque, e brandelli della sua pelle sono sparsi in casa. Uno dei quattro mostri tenta di attaccarmi alle spalle, ma faccio appena in tempo a colpirlo ancora. Non è difficile uccidere (benché presumo siano già  morti) gli altri, poiché i loro movimenti sono parecchio rallentati.

Corro da Jo, pensando fosse tutto finito. Tento di abbracciarla, ma il pensiero di toccarla mi è riluttante, anche se mi sento tremendamente in colpa. Chiudo gli occhi, e la stringo a me. Non ho alcuna reazione. Come se fosse paralizzata, quasi morta, ma è ancora in piedi. Mi stacco dalla sua vita, e la guardo in volto. O almeno, di quello che rimane del suo candido viso: ormai si è trasformata anche lei in uno di quei mostri. È assolutamente orribile e spaventosa. Alza così velocemente le braccia, che quasi me ne accorgo solo quando le sue mani stringono fortissimo il mio collo. Non so da dove prenda quella forza così sovrumana, lei, così debole ed esile, ma mi solleva quasi come stesse sollevando una piuma. Le sue unghie sono così lunghe e insanguinate, e non si fa fatica a scorgere brandelli di carne sotto di esse. Vorrei reagire, potrei ucciderla, se volessi. Ma non voglio farle del male. Non a lei. Ma non voglio nemmeno sprecare la mia vita per qualcuna che non avrò mai più indietro. Le tiro un sentito calcio nelle costole. Il rumore di queste che si sgretolano è straziante. Mi chiedo come faccia a reggersi ancora in piedi. Non posso fare a meno di colpirle con l'ascia un braccio. Dopo aver accumulato tanti orrori, dopo l'ennesimo, vomito tutto il pranzo di oggi: il braccio è ancora vivo per qualche minuto, e si muove regolarmente. Quando tenta di afferrarmi ancora la gola, le taglio anche l'altro braccio. È completamente mutilata, eppure non sembra soffrire minimamente. Vive, vive ancora. E vuole uccidere.

Velocemente, si tuffa su di me. Mi strappa tutto il viso, quasi mi cava un occhio, ma riesco, in qualche modo, a girarmi: sono sopra di lei, è in mio potere. Comincio schiaffeggiandola, ma sembra non avere alcun effetto su di lei. Mi domina, mi colpisce con la testa ripetutamente, lasciandomi ferite anche gravi. L'ascia è di fianco a me. Con molta fatica, riesco ad afferrarne il manico e, con l'ultimo briciolo di forza che mi rimane, do un colpo secco al petto della povera Joanna.

Il suo viso si trasforma: è di nuovo umana. Peccato sia morta, è tornata di nuovo bella come prima, anche se sfregiata. Lascio cadere l'ascia ai miei piedi, in preda alla disperazione, mentre non riesco a distogliere lo sguardo da quello spettacolo riluttante.

Siamo partiti dall'Italia in due, e torno da solo. Come spiegare a tutti l'assenza di Joanna? Come spiegare anche le mie ferite? Invento un incidente, che ha ucciso Jo e ferito gravemente me: chi mi crederebbe?

La notte proprio non riesco a dormire. Quelle rare volte che ci riesco, un incubo repentinamente mi sveglia. Per un momento, provo una strana sensazione: ho freddo, pur essendo in piena estate, e ho il respiro mozzato. A tentoni, arrivo in bagno, in cerca di un medicinale, preso da uno scaffale munito di specchio. Apro l'anta, ma la mia attenzione cade sulla mia immagine riflessa sullo specchio: ho il viso deformato. Il viso uguale a quello di quei mostri.

Premiato con unanimità  da tutti e tre i giudici! Complimenti! Blue95 vince ben 10 PokéPoints ed una targhetta personalizzata!

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Bene, passiamo al podio del del Premio Assoluto!

Al Terzo Posto si piazza...

Marko99!

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Sangue Avvelenato

Non pensavo potesse finire così. Qualcosa di malefico e macabro aveva scoperto il nostro mondo, ed era pronto a conquistarlo. Come può un incubo tramutarsi in realtà ? Come? Come si può lottare contro il terrore mentre i tuoi cari vengono investiti dall'onda mortale che si estendeva in quel posto? Come? Non avrei mai dovuto pensare a quell'escursione. Poteva essere divertente, ma il destino avverso mi diede torto e per punire

la mia indulgenza spazzò via tutte le mie speranze, che fecero spazio al terrore, il quale pervase il mio corpo quasi quanto il mio stesso sangue... sangue avvelenato.

Era un'estate tranquilla e soleggiata. Una stagione che meritava di essere goduta a pieno! Volevo fare qualcosa di davvero unico e inimitabile, qualcosa che avesse segnato la mia esistenza, l'esistenza di Oliver. Sì, mi chiamo così. Sono un ragazzo di quattordic'anni, solare e forse un po' troppo vivace.

Navigando su Internet vidi tantissime inserzioni riguardanti vacanze estive o comunque viaggi di questo genere, e osservandole mi colpì un annuncio in particolare:

Vieni a divertirti con noi! Sole, alberi, torte, altalene, nuvole e tanto altro ancora!

Sarà  una vacanza indimenticabile,

da TUTTI i punti di vista...

La fotografia ritraeva un edificio enorme circondato da una folta vegetazione rigogliosa, il tutto avvolto da una nebbia che faceva trasparire i fievoli raggi del sole illuminando l'intero complesso. Quella descrizione, anche se completamente senza senso, mi incuriosì a tal punto da spingermi a chiedere ai miei se potessimo passare qualche giorno in quell'albergo. Era come se non dipendesse dalla mia volontà .

All'inizio un po' titubanti, i miei genitori si convinsero a partire e colsi l'occasione per invitare anche due miei amici: Stuart e Annie, due fratelli che per una cosa o per l'altra, suscitavano in me la risata. Ammetto che per convincere i genitori dei due, i miei dovettero faticare davvero molto, ma alla fine la decisione era stata presa: si parte!

Il giorno dopo, alle 9.00 precise, scesi le scale in fretta e furia, aprii con violenza la porta del palazzo e mi imbattei in Stuart e Annie, che ci stavano aspettando fuori l'edificio con tanto di bagagli e viveri.

"Che precisione!" - esclamò Annie - "Eri impaziente, vero? L'ho notato dalla violenza con cui sei uscito di casa!"

"Sì, devo dire che non aspettavo altro!" - dissi - "Un bel viaggio con famiglia e amici, cosa c'è di più bello!?"

Naturalmente ero ancora inconsapevole di cosa sarebbe accaduto, qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la mia vita, e in particolar modo quelle delle persone che mi accompagnavano.

"Dai, sbrighiamoci!" - esclamò Stuart - "L'estate non aspetta di certo noi!"

Dopo qualche minuto audimmo un rumore di passi provenire dall'atrio del palazzo: erano i miei genitori, che portavano con sé il necessario per sopravvivere. Entrammo nell'auto e frementi come bambini a cui si regala una caramella, cominciammo ad organizzare tutte le attività  che avremmo compiuto lì: non stavo più nella pelle!

Il viaggio durò circa un'ora e il paesaggio che si scorgeva fuori dai finestrini era sublime, qualcosa di davvero meraviglioso. Le nuvole giocavano a nascondino con le montagne e i forti raggi solari irradiavano il fiumiciattolo che scorreva sotto i nostri piedi. Quando arrivammo, il luogo non era certo come ce lo aspettavamo. L'edificio era stato scalato da numerose piante rampicanti. La vegetazione attorno, contrapponendosi con la stagione corrente, appariva trascurato, povero... morente. Un sentore, forse, di quello che stava per accadere? Beh, se fosse stato vero, sarebbe stato meglio notarlo e tornare subito a casa. Posteggiammo l'automobile nel parcheggio dell'hotel, anch'esso nudo e disfatto, e ci avviammo verso quello che sembrava essere l'ingresso dell'albergo. Per arrivarci attraversammo un orticello, anch'esso, come tutto il resto dell'ambiente circostante, avvizzito e arido. Giungemmo dinanzi al grande portone di vetro oscurato, ma non notando nessun campanello decisi di provare ad entrare senza bussare. Mossa non molto astuta. Afferrai la maniglia e cominciai a ruotarla in senso orario. Mentre mi accingevo a spingere cautamente la porta verso l'interno, questa mi venne bloccata da una forza molto più grande della mia. Abbandonai subito il contatto con la superficie della porta, la quale iniziò a cigolare terribilmente, aprendosi verso l'interno. Ad attenderci c'era un individuo di altezza media, dal cui abbigliamento si poteva dedurre che fosse il manutentore dell'albergo. Un po' spaesati, chiedemmo informazioni:

"Mi scusi," - domandammo al manutentore - "abbiamo prenotato un fine-settimana in questo albergo, vorremmo conoscere la locazione del nostro alloggio."

Schiarendosi un po' la voce, il giovane ragazzo replicò:

"Mi spiace, ma non sono io colui che si occupa di queste cose. Per quello, dovrete chiedere al signor Dooney"

"Chi?" - rispose mio padre inclinando di poco il capo, similmente a un cane che non ha compreso il comando - "Ehm, volevo dire, dove possiamo trovare costui?"

"In questo momento non posso soddisfare il vostro quesito..." Il ragazzo, mentre pronunciava queste parole, sembrava notevolmente turbato, alche la domanda mi venne spontanea:

"C'è qualcosa che non va, signor..." lasciai in sospeso la domanda, per far sì che ci dicesse il suo nome.

"Lucas, mi chiamo Lucas. Comunque: no, nulla, ho solo un po' d'emicrania..." E così dicendo si dileguò e scomparve in uno dei corridoi che si snodavano dall'atrio dell'ostello. C'era qualcosa che non andava nell'atteggiamento di quel giovane. Chiunque avrebbe notato che il ragazzo aveva un comportamento alquanto mesto e malinconico. Non ancora soddisfatti, vagammo senza meta nella penombra dell'albergo, che sembrava perlopiù deserto.

Vagammo per circa mezz'ora, ma senza risultati. Si respirava un'aria diversa lì dentro. Un'atmosfera pesante, ingombrante. Decidemmo di terminare il nostro giro e intenti ad abbandonare il luogo, venimmo sorpresi alle spalle da qualcuno:

"Benvenuti!" - urlò questo strano individuo - "E' da molto che non abbiamo clienti! Per questo motivo, verrete trattati da veri signori, quali siete ovviamente!"

Qualcosa mi diceva che costui fosse proprio il signor Dooney, che voleva adularci per non farci abbandonare l'albergo. Ma perché non approfittarne? Sarebbe stata una grande opportunità  per rilassarsi ed essere coccolati proprio come dei sultani.

"Oh! Che spavento!" - esclamò spaventata mia madre - "Ci ha fatto prendere un colpo! Salve, lei dev'essere il signor Dooney, non è forse così?"

"Non si sbaglia affatto, signora" - disse baciando la mano a mia madre - "Sono proprio io! Voi, invece, dovete essere i signori McMoon!"

"Non si sbaglia neppure lei, signore!" - rispose mio padre - "Cercavamo proprio lei! Vorremmo conoscere la nostra collocazione, se possibile."

"Ma certo!" - replicò con tono deciso Dooney - "Il vostro alloggio sarà  la nostra miglior suite: l'attico!" Pronunciando queste ultime parole, gli occhi dell'uomo cominciariono a brillare intensamente, a tal punto da abbagliare anche noi. Devo dire che neanche a noi dispiaceva come luogo di soggiorno, senz'altro un appartamento niente male!

"Bene, detto questo, vi saluto e vi auguro un buon soggiorno nel nostro albergo!" - concluse inchinandosi - "Godetevi a pieno questa vacanza, saranno momenti unici..." Lasciando la frase in sospeso, uscì dal nostro raggio di vista e anche noi decidemmo di andare a riposare dopo un lungo viaggio.

Prendemmo l'ascensore, un po' trasandato, come il resto dell'albergo. Arrivati al piano più alto dell'edificio, uscimmo dalla cabina mobile che sfociava direttamente nella nostra camera. Era una suite degna di un re, con decori dorati e oggetti preziosi sparsi ovunque! Un vero paradiso... che si sarebbe presto tramutato nel teatro di uno spettacolo terrificante e atroce, un satellite degli Inferi.

Stanchi morti (parola che sta a significare qualcosa di ben preciso) ci accasciammo sui nostri letti, addormentandoci quasi come fossimo defunti. Ripeto: l'utilizzo di questi termini inusuali non è casuale.

Durante la notte, qualcosa di gelido e agghiacciante, accarezzò piano la mia pelle. Un senso di terrore e malinconia pervase la mia mente, influenzando anche i miei sogni, tramutatisi oramai in incubi. Sognavo di risvegliarmi in un'enorme pozza di sangue, ritrovandomi con la parte inferiore del mio corpo mozzata violentemente, come fosse stata divorata da qualcuno o qualcosa. Mi svegliai di soprassalto, affannando pesantemente. Fortunatamente non c'era traccia di sangue intorno a me e le mie gambe erano al loro solito posto.

Purtroppo trascurai il fatto che che il sangue potesse fuoriuscire da qualunque parte del corpo. Mi alzai dal letto e mi diressi verso il bagno, dove avevo intenzione di lavarmi il viso per eliminare la sensazione di sonno che avevo ancora indosso. Appena mi ritrovai davanti allo specchio della camera da bagno, mi congelai. Un bruciore lancinante colpì il lato destro del mio volto. Una profonda ferita sanguinante stava iniziando ad aprirsi sulla mia guancia, le cui gocce rossastre cominciarono a segnare il mio viso per poi cadere velocemente nel lavandino, macchiandolo.

Cominciai a tremare tutto e uscii in fretta dal bagno per recarmi da mia madre, che si era appena svegliata. Convinto che potessi provare sollievo nel farmi confortare da lei, trovai qualcosa di riluttante e mostruoso. Non era più mia madre. Non era più una donna. Non era più umana. La trovai seduta sul ciglio del letto, con il capo abbassato.

"M-mamma?" - la chiamai tremolante, ancora scosso dallo spavento che avevo preso in bagno - "Tutto bene?"

"..."

"M-m-mamma? Ti prego rispondimi!"

"..."

"MAMMA!" - urlai - "Che ti succede? Perché non mi rispondi? Perché non ti volti?"

"..."

Preso da un attacco di panico, raggiunsi il lato della stanza dov'era seduta mia madre. Appena mi avvicinai, un'onda di agonìa travolse il mio corpo, facendomi scoppiare in lacrime.

"Mamma, alzati!" - le ordinai tremante - "Guarda cosa mi è successo! Perché non mi guardi negli occhi? Mi trovi ripugnante? Dillo!"

Un leggero ghigno malvagio si levò dalla bocca di mia madre, con un sorriso folle stampato sulle labbra. Per un attimo fu come se si fosse fermato il tempo. Mi ritrovai paralizzato, mentre il ghigno di quella creatura si espandeva nella stanza. Dopo quell'attimo, le mie speranze si volatilizzarono all'istante. Più nulla avrebbe potuto salvarmi dal triste fato che mi attendeva.

"Sai..." - cominciò ad esporre la creatura - "Quando sei nato pensavo che tu fossi la cosa più bella che potesse capitarmi. Era tanto che io e tuo padre ci provavamo. Finalmente eri nato. Finalmente. Ma questa vacanza mi ha aperto gli occhi!"

"Cosa?" - chiesi sorpreso a quella creatura che in quel momento sembrava fosse impersonata da mia madre - "Cosa vuoi dire con questo?"

"Questa vacanza mi ha insegnato che ci sono altri modi per sentirsi forti, ma davvero forti. Non come fare il genitore, che non ti appaga affatto. Questo sì, lo fa!"

"Ma cosa stai blaterando?" - dissi sconvolto a mia madre - "Vuol dire che di me non t'importa più niente?"

"Oh sì, che m'importa..." - rispose con tono sogghignoso - "M'importa perché tu... sarai il mio mezzo per diventare l'essere più potente che ci sia al mondo!"

Così dicendo, fece uscire dall'ocurità  della sua ombra il suo volto: non era più lei. Era come se fosse una maschera: aveva cuciture dappertutto e gli occhi incavati. Aveva macchie di sangue dappertutto, che avevano anche creato una pozzanghera sotto i suoi piedi. Non era sangue normale, però. Era sangue... scuro. Tenebroso. Avvelenato.

Con i suoi denti affilati mi azzannò al braccio, ma ebbi la prontezza di sfuggire alla sua morsa e salvarmelo. La ferita che mi aveva procurato era profonda e sanguinante, tanto che il braccio penzolava ancora attaccato all'omero, anch'esso fratturato profondamente. Cominciai a scappare per tutta la stanza, nascondendomi nei posti più impensati; ma quando credevo che avessi scampato al pericolo, anche Annie, Stuart e mio padre si svegliarono, e di certo non avevano una cera migliore di quella di mia madre.

L'intenzione era chiara: divorarmi a tutti i costi. La domanda che mi posi in fretta era: come evitare che ciò accadesse? Senza alcun particolar ragionamento, cominciai a correre verso l'ascensore, spingendo il bottone a più non posso. Grazie alla lentezza nei movimenti di quei "demoni infernali" (così li chiamai) l'ascensore riuscì a raggiungermi in tempo, ma una brutta sorpresa mi attendeva all'interno di quella cabina. Appena si aprirono le porte dell'ascensore, vidi qualcosa che avrei tanto voluto evitare. Il signor Dooney, ma non come lo conoscevamo noi, tozzo

e con la barbetta, ma prese le sembianze di un demone sanguinante anch'egli. Cominciarono ad avvicinarsi a me con la loro solita velocità , alche cominciai ad indietreggiare, quando incontrai sul mio retro qualcosa che ostacolò il mio cammino. Un bastone. Strano che si fossero dimenticati di un simile dettaglio. Comunque, colsi l'opportunità , e raccolsi il bastone di metallo che giaceva lì in terra. Cominciai ad intimidire gli avversari con il bastone, così da allontanarli ed evitare l'attacco diretto. Dopodiché sferrai un colpo al signor Dooney, o comunque quello che ne rimaneva, e dopo qualche fremito, si accasciò a terra ancora movente.

Mentre il primo demone colpito era a terra, decisi a malincuore di avventarmi contro i miei due amici, Stuart ed Annie, i quali cercarono con tutte le forze di strapparmi dalle mani il bastone e ci riuscirono perfettamente. Il paletto metallico mi scivolò dalle mani per poi finire ai piedi di mio padre, che ruppe l'ultima possibilità  di salvezza che mi era rimasta. Afferrò il bastone e lo curvò, rendendolo inutilizzabile. Lo gettò fuori dalla finestra. In preda al panico, cominciai a traballare, fino a che non mi accasciai a terra, privo di forze. Il braccio ormai era privo di vita. Abbandonandomi al mio destino, mi lasciai divorare dai demoni, i quali riuscirono a strapparmi sia il braccio pendente che la gamba sinistra. Ero in una pozza di sangue. Sapevo che la mia fine era vicina, troppo per poter contrattaccare in quel momento.

Tremavo e, in preda all'agonia e alla vista dei miei pezzi di carne che finivano in pasto a quei mostri, davo ogni tanto segno di vita con qualche singhiozzo. Non ce la facevo più. Volevo solo che finisse in fretta. Vedermi divorato dalle fauci dei miei cari era molto più crudele della morte stessa. Come potevo reagire di fronte ad una simile cattiveria? Come? Oramai mi ero abbandonato ai demoni, che mi avrebbero presto condotto nel regno della morte. Nel preciso momento in cui mia madre stava per strapparmi il cuore dal petto, entrò dalla cabina dell'ascensore Lucas, il manuntentore dell'albergo. Era munito di rastrello e badile e non esitò ad utilizzarli. Allontanò dal mio corpo le bestie feroci, che sembravano avere paura di quel giovane.

"Presto!" - mi disse il giovane dipendente - "Dobbiamo andarcene di qui! Forza, prima che ti usino come colazione!"

Tendendo i due utensili da giardino contro i mostri, trascinò il mio corpo privo di forza nell'ascensore, il quale ci portò nell'atrio. Legandomi al suo collo con le sole forze che mi erano rimaste, uscimmo ancora vivi dall'albergo. Non era certo finita lì. I mostri si catapultarono dall'attico e atterrarono poco dietro di noi. Lucas cominciò a correre più forte che potesse, mentre i mostri cominciarono ad inseguirci. Attraversammo l'orticello, che si riempì di sangue proveniente dalle mie ferite. Raggiungemmo il triciclo a motore di Lucas, il quale mi lanciò sull'autovettura per poi mettere in moto in fretta e furia e fuggire quanto prima. I mostri inseguirono il veicolo e uno di loro, Stuart probabilmente, saltò così lontano da raggiungerci e atterrare sul cofano dell'auto. Il suo peso, che era aumentato molto dopo la sua trasformazione,

rallentò di non poco la nostra corsa per la vita. A quel punto, Lucas si voltò verso il mostro e, scostando i folti capelli biondi, indicò un segno a forma di 6 rovesciato, che si illuminò non appena lo toccò. Il mostro, abbagliato da quel simbolo, si scaraventò giù dall'autovettura e ci liberò del peso. Eravamo salvi. I mostri erano spariti in seguito al bagliore provocato da Lucas.

"Grazie! Mi hai salvato la vita!" - dissi io - "Come potrò mai ripagarti?"

"Oh, beh..." - rispose arrossendo Lucas - "E' il mio lavoro. Non ho bisogno di nessun ringraziamento. Grazie a te invece!"

E così dicendo riprese a guidare, mentre io, spendendo le mie ultime forze per un sorriso, mi addormentai privo di energia.

Mi risvegliai in ospedale, notando come prima cosa il volto di Lucas che mi guardava preoccupato, e vedendomi sveglio fu pervaso da un gran sorriso. Era andato tutto bene, ma mai nulla sarebbe stato come prima. Durante il mio sonno, venni operato e mi vennero definitivamente chiuse le ferite procuratemi dai demoni infernali. Cosa ne sarebbe stato di me? Ero ormai orfano e solo.

Dopo una settimana di ricovero per accertamenti, venni accompagnato a casa sulla sedia a rotelle. La mia vita era completamente mutata. Quella casa sarebbe stata deserta. Guardando i posti in cui i miei genitori erano soliti trascorrere le loro giornate mi scesero delle lacrime amare, che bagnarono il mio viso nostalgico. Non avrei mai più potuto girare per quella casa senza pensare a quella orrbile vicenda. Perché a me?

Andai a letto e pensando a quello che era successo, mi addormentai nella tarda mattinata, facendomi accompagnare dagli incubi ritraenti i miei genitori, i quali non mi avrebbero mai più abbandonato.

Un racconto pauroso, degno di salire al podio! Complimenti! Marko99 vince ben 6 PokéPoints ed una targhetta personalizzata!

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Al Secondo Posto abbiamo...

Vulpah!

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... Papà ?

Sono sempre stato scettico nei confronti dei miti e delle credenze popolari; sotto i miei occhi parevano solo una futile giustificazione che si poneva l’uomo per trovare una spiegazione ai fenomeni bizzarri che lo circondavano ogni giorno. Nonostante ciò, ero un grande cultore della festa di Halloween; era l’unica occasione in cui –almeno una volta l’anno- potevo venerare i miei cari come se fossero santi, e omaggiarli con futili regali che sarebbero serviti loro per intraprendere con tranquillità  la loro vita all’aldilà . Ma ormai, le nuove generazioni, al giorno d’oggi, avevano totalmente dimenticato il vero significato di questa festa, adesso diventata semplicemente un’occasione per rimpinzarsi di dolci fino a star male. Solo un’unica tradizione non era andata perduta: era la consuetudine di intagliare una zucca ed inserirci un piccolo lumino all’interno per scongiurare lo spirito della vigilia di Ognissanti, evitando così che rubasse le anime dei vivi. La mia storia sembrerà  una di quelle assurde favolette degne dell’inventiva di un bambino di prima elementare. Ma siete sicuri che tutte le storie debbano finire con un e vissero tutti felici e contenti?

Scozia, 31 ottobre 20...

Era una notte buia e tempestosa, la pioggia si infrangeva impetuosamente contro i vetri della finestra, nel vano tentativo di porre fine alla propria esistenza. Un fulmine prese in pieno il palo dell’elettricità  antistante al nostro condominio, facendo andare l’intero quartiere in blackout. La candela ad olio posta sopra al piano d’ebano levigato del tavolo, con la sua mera luce illuminava a stento la cucina. La piccola fiammella guizzava ininterrottamente, come se fosse in uno stato di inquietudine e che da lì a poco sarebbe capitato un avvenimento spiacevole. Il mio sguardo penetrava in quella piccola fonte di calore, così inquieta, che descriveva dettagliatamente la mia vita. Ero stanco. Stanco della mia vita, stanco della mia routine quotidiana ripetitiva, stanco di essere stanco. Mi lasciai trasportare dai pensieri boccheggiando la mia amata pipa, mentre dei cerchi concentrici di fumo aleggiavano sul mio capo.

D’un tratto il campanello suonò. Stupito, quanto leggermente turbato per la tarda ora che lo sconosciuto aveva deciso di bussare alla porta di casa mia. Mogio, mi alzai dalla sedia, e appena sentii che le ognuna delle mie vertebre si erano messe al proprio posto producendo il solito quanto imperterrito scricchiolio, mi avviai ad aprire accennando un passo decisamente scadenzato. Non mi interessava minimamente chi fosse l’idiota che alle undici di sera si presenta sotto il mio portico, anzi, ero leggermente irritato. Appena aprii l’uscio si presentò dinnanzi a me l’uomo più osceno che i miei occhi abbiano potuto vedere. Le rughe che incorniciavano il suo viso, erano così profonde che si poteva quasi affermare con certezza che simboleggiavano il grande dolore che pesava sulle sue spalle. Ma, nonostante la veneranda età , pareva un vecchietto assai arzillo, se non fosse per quel suo mellifluo sorriso che trasmetteva un’angoscia ben poco rassicurante. I suoi capelli parevano una soffice coltre di neve che abbracciava le sue tempie. Abbracciava una grossa zucca violacea, che con molta indiscretezza, mi porse. Attonito, mormorai:

- Perchè proprio a me? Non si è neanche presentato, e poi... come mai questa cucurbitacea è viola?-.

L’uomo ebbe un sorrisetto curioso. C’era qualcosa di inquietante in lui, - non sapevo piegare cosa- che mi spinse a covare una tremenda angoscia nei suoi confronti. Non indugiò oltre e trovò una scusa poco plausibile per giustificarsi:

- Oh, non si preoccupi, è solamente... come dire...- si fermò, incerto sulla parola da usare, poi riprese - ... acerba, sì, sì, deve essere senz’altro così-.

Non si degnò minimamente di salutare, che mi aveva già  sbattuto la porta in faccia, andandosene. Non mi curai molto dell’assurdità  della vicenda accaduta poco fa, anzi, ricordandomi che oggi era la vigilia della festa di Ognissanti, fiero di possedere un talento quasi innato nell’intagliare oggetti, trassi dalla tasca del mio jeans il mio fedele taglierino, che portavo sempre con me. La pesantezza della zucca mi impediva di accennare movimenti minimi, quindi la posai sul tavolo, che non sembrò attutire bene la brusca collisione, difatti il piano levigato risuonò rumorosamente, producendo una lunghezza d’onda così alta e penetrante che di sicuro avrebbe fatto risvegliare i morti prima del primo novembre.

Incisi in corrispondenza della parte superiore dell’ortaggio un vistoso taglio zigzagato, che mi avrebbe permesso di rimuovere la polpa per inserire la candela che illuminava la cucina; avrei così ottenuto una lampada decisamente originale. Un fatto bizzarro mi saltò subito all’occhio: la cucurbitacea non opprimeva minima resistenza alla pressione del taglierino, risultava molto malleabile. “Sarà  per il fatto che è ancora acerba†pensai.

Appena però aprii la cupola che avevo creato, mi si ghiacciò il sangue nelle vene.

Una folata di vento chiuse d’impeto l’uscio. Qualcosa di ineccepibile fisicamente mormorava:

“Non disonorare la testa dello spirito di Halloween...â€.

Disonorare? Io? E perché? Non avevo fatto niente di male!

Indietreggiai per allontanarmi dalla zucca che pareva essere stregata dal diavolo, ma urtai contro qualcosa. No, non era il muro, non era duro. Mi voltai. Dinnanzi a me vi era un essere orripilante, mostruoso, abominevole! Era infagottato da un vestito vistosamente ottocentesco, merlettato in prossimità  delle maniche e del collo. La testa era assente. Il mostro si avviò con passo lento e discontinuo verso il tavolo. Le sue unghie violacee affondarono nella zucca, forandola. Dai fori sgorgava del sangue rossastro, come se avesse bucato una testa. La alzò lentamente, ma io impaurito, terrorizzato, non riuscivo a reagire. Mi ero come paralizzato, le mie gambe giacevano immobili, non mi ascoltavano. Fissò al collo l’ortaggio, avvitandolo con cura per evitare che cadesse. I suoi occhi iniettati di sangue incrociarono i miei:

“... lui disonorerà  la tuaâ€.

Prese il taglierino. Avevo capito al volo le sue intenzioni. Avevo paura, volevo fuggire. Le scappatoie erano inaccessibili. Dannazione. Non ero pronto per morire. Sentii la lama affilata del coltellino toccarmi la cute. Era tremendamente gelida, come l’odore della morte. Fu tutto fin troppo immediato per descrivere con precisione. Sentii un dolore straziante, atroce, lancinante. Poi nulla. La mia testa giaceva ai piedi del mostro. Il mio corpo, invece, sguazzava in una pozza di sangue. La porta si aprì. Appoggiato allo stipite, c’era un bambino, in lacrime.

- Papà ?...- mormorava.

Papà  non si rialzerà  mai più. Non giocheremo a travestirci, non potremo più divertirci, non potrò più sentire le tue soffici mani accarezzarmi il volto. Scusa Jack, scusa.

E mentre lo spirito enunciava le ultime parole, il cadavere abbracciava quella maledetta, dannata zucca.

L'elaborato di Vulpah, anche questa volta, presenta un linguaggio ricco e articolato e le descrizioni rendono perfettamente il senso di paura e di angoscia che il protagonista prova. Complimenti!

Vulpah vince ben 12 PokéPoints ed una targhetta personalizzata!

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E al Primo Posto si piazza....

Fen!

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L'orologio a pendolo

Mi fermai esattamente di fronte alla porta d' ingresso del negozio di antiquariato, arrestando la macchina appena prima delle strisce pedonali.

Victor, il mio rivenditore di fiducia, mi aveva chiamato quella stessa mattina avvisandomi che un pezzo pregiato gli era appena stato consegnato. Sapeva bene che un collezionista come me non può lasciarsi scappare certe occasioni. Grazie al rapporto confidenziale che da anni tenevamo l'un l'altro, aveva subito pensato a me, e di questo gliene sono grato.

Scesi dalla mia Jaguar XJ del '79 un altro reperto delle mie ricerche per i pezzi da collezione, e varcai sicuro la porta.

Ad attendermi appoggiato al bancone c'èra un ometto paffuto, con un lieve accenno di stempiatura sulla nuca, il viso rotondo tronfio come sempre quando sa che sta per guadagnare parecchi soldi.

A dirla tutta, era il mio esatto opposto. Alto, capelli corvini e folti, la barba appena accennata e il naso diritto, ero da considerare un uomo sulla trentina assolutamente desiderabile. Gli occhi verdi smeraldo aiutavano ad ammaliare i venditori e cavarmela sempre pagando meno del dovuto.

<Signor Lewis!> mi accolse gioiso Victor <Non ha idea, non ha idea! Un pezzo da collezione del tutto unico, oserei dire, guardi!> concluse senza troppi giri di parole.

Aprì una grossa cassa in legno, scoperchiando il vano su cui vi era stampata la classica dicitura "Fragile" in rosso evidente, e mise in luce un grosso orologio a pendolo, in legno scuro.

<Legno pregiato..> mormorai osservandolo <Le intarsiature mi fanno pensare che sia all'incirca del..settecento?>

<Settecentodiciotto!> precisò fiero l'ometto <Un gioiellino in legno di mogano, alta fattura d'altri tempi! Completamente costuito a mano, ogni singola montatura in legno è stata elaborata da mastri artigiani. Cosa ne pensa?>

<Penso che sia un oggetto davvero interessante, Victor> risposi sincero <ma qualcosa non mi quadra..Come mai il prezzo è così basso?>

Il cartellino al dì fuori della cassa segnava dodicimila dollari. La mia esperienza mi diceva che un oggetto così antico e mantenuto in condizioni perfette valesse molto di più.

<Bè, vede..> rispose corrucciando appena la fronte, come se avesse voluto evitare spiegazioni approfondite <Questo orologio a pendolo non ha una buona fama, ecco. Fu costruito per una dama francese, la quale, almeno così si dice, un giorno perse la testa uccidendo il figlioletto e nascondendone il corpicino all'interno dell'orologio..> concluse fingendo dolore per un bambino ormai morto da decenni.

<Decisamente macabro> sorrisi io <Ma questo non giustifica il prezzo, o sbaglio?>

<Vero. Difatti, la storia non è finita. Dopo essere stato recuperato dal deposito giudiziario, all'incirca nel millesettecentoottantasei, venne venduto all'asta ad una nobildonna inglese. In seguito l'oggetto passò di mano diverse volte, ma tutte le volte per poco tempo. Sembra che tutti i proprietari siano morti> continuò leggermente accigliato. <La cosa particolare è che l'orologio non funziona come dovrebbe. Non suona mai alle ore stabilite, ovvero mezzanotte e mezzogiorno, il che fa pensare che l'ingranaggio sia rotto. Ovviamente non oso mettere le mani per constatarlo, cambiando dei pezzi rovinerei irrimediabilmente la sua unicità . Ciò che sto cercando di dirle, Signor Lewis, è che ogni volta che i proprietari sono stati ritrovati, ormai morti, l'orologio suonava. Strano, non trova?>

Sorrisi, comprensivo <Posseggo diversi oggetti, Victor, e se dovessi dare peso a tutte le dicerie dovrei essere stato maledetto, soggetto a strani riti o posseduto dal demonio migliaia di volte. Leggende, supersitizioni, ecco cosa sono. Dicerie atte a creare un alone di mistero attorno all'oggetto, nulla di più, davvero>

Victor sorrise a sua volta, consapevole che l'importante era guadagnare un po' di denaro sonante invece che dar peso alle supersitizioni. Concludemmo in fretta la transazione, ed in seguito lo stesso Victor mi aiutò a caricare la pesante cassa nel baule della Jaguar.

Arrivato a casa, decisi di posizionare l'orologio nel salone, esattamente sotto l'arazzo ritraente lo scontro tra un eroe greco e una chimera. Il mio salone sembrava appartenere ad un signorotto d'altri tempi, a dirla tutta.

Di certo non mi ritenevo un nobile, al massimo un uomo che, godendo di una certa posizione, aveva guadagnato abbastanza da permettersi di spendere cifre consistenti per appagare i propri vizi, tra i quali, apppunto, la collezione di pezzi pregiati provenienti da tutto il mondo.

Mi sedetti sulla mia poltrona preferita, nell'angolo più remoto del salone, e cominciai a bere un po' di vino. Per puro caso, l'occhio mi cadde sul mio nuovo pezzo, l'orologio a pendolo.

Perplesso, notai che l'orologio sembrava trovarsi in una posizione leggermente diversa rispetto a dove l'avevo posizionato. Uno spostamento minimo, ma ero sicuro che ora fosse dritto, mentre quando l'avevo posizionato, leggermente stanco l'avevo lasciato con l'asse storto rispetto alle delineature del pavimento.

Sorrisi, divertito. Oltre che essere maledetto, quell'orologio era pure un maniaco delle simmetrie?

Sollevai gli occhi al cielo, pensando che probabilmente la mente, ormai annebbiata dalla stanchezza e dal vino, giocasse qualche tiro mancino alle mie facoltà .

Decisi quindi che era giunto il momento di coricarsi. Salii lentamente le scale, pensando di farmi una doccia. Mi recai al bagno dopo essermi spogliato e aver indossato l'accappatoio, quando dal piano terra sentìì un cigolio. Mi arrestai, perplesso. Vivevo da solo e di certo non avevo animali. Eppure il rumore che avevo percepito era chiaro, nitido, quasi come se un piede avesse calpestato il parquet.

Socchiusi gli occhi, e decisi di andare di sotto per verificare l'origine del suono. La finestra adiacente alla mia poltrona preferita era aperta. Nonostante fossi quasi certo di averla tenuta sempre chiusa, decisi di non dare troppo peso all'avvenimento.

Andai a chiudere la finestra, pronto a tornare immediatamente di sopra per iniziare la doccia. Mi diressi nuovamente verso le scale, corrucciato. Con la coda dell'occhio notai un dettaglio che mi lasciò ancora più irrequieto: l'orologio, che prima avevo visto esattamente allineato alle rifiniture del parquet, era di nuovo spostato, di pochi centimetri.

Inoltre, lo sportellino che concedeva l'accesso al pendolo era socchiuso.

Il nuovo spostamento non mi lasciò interdetto, a dirla tutta. Probabilmente era storto fin dall'inizio, ma il vino mi aveva annebbiato più di quanto credessi.

In quanto allo sportello, non era raro che oggetti antichi come quello provocassero spostamenti del legno, il quale spesso si muove e produce sricchiolii che possiamo udire di notte, nel silenzio assoluto. Probabilmente un qualche strano fenomeno del genere aveva fatto aprire lo sportello.

Successivamente tornai alla mia tanto bramata doccia, irrequieto e infastidito. -Dannato Victor-pensai accigliato -era proprio necessario raccontarmi certe fandonie?-

Cominciai a rilassarmi, lasciandomi andare alla dolce sensazione dell'acqua calda che scorre sulla pelle, quando sentii un nuovo scricchiolio, identico a quello udito in precedenza, ma questa volta proveniente dal corridio su cui si affacciava il bagno.

Smisi di respirare, di colpo. I miei occhi scrutarono preoccupati la porta del bagno, chiusa a chiave. Le mie orecchie rimasero in attesa, pronte a registare eventuali rumori.

Rimasi in quella posizione per qualche minuto, con l'acqua che imperterrita scorreva bagnandomi il petto.

Non sentii più nulla. Avvertii un brivido freddo scorrermi lungo la schiena, ma non aveva nulla a che fare con l'acqua. Era paura.

<Autosuggestione, idiota> mormorai tra me e me, cercando di riprendere il controllo di me stesso.

Quello strano racconto, unito alla finestra lasciata aperta, mi avevano inquietato.

Sospirai profondamente, conscio delle sciocchezze che andavo pensando, e uscii piano dalla doccia, appoggiando i piedi sul tappetino in gomma. Cominciai ad asciugarmi, accucciandomi per passare l'asciugamano sulle gambe, quando notai un'ombra dalla fessura tra il pavimento e la porta.

Urlai, sorpreso. Indietreggiai, andando a sbattere col la testa sul telefono delle doccia e provocandomi una fitta di dolore che mi oscurò la vista per qualche istante.

Ero spaventato, scioccato. Cosa diamine era quell'ombra?

Con cautela, mi asciugai e indossai la biancheria, senza mai staccare gli occhi dalla porta. Indossai una felpa grigia e i pantaloni della tuta, deglutento.

Rabbrividendo, mi avvicinai alla porta, la tensione sempre più alta.

Uno, due, tre! Aprii la porta di scatto, ma non c'èra nulla. Affatto tranquillizzato, decisi di ispezionare con cura le stanze del primo piano, ma non trovai nulla di strano.

Leggermente rincuorato, tornai nuovamente al piano di sotto per bere un bicchiere di latte. Passando, buttai l'occhio al salone, e rimasi pietrificato.

L'orologio era spostato, ma non di pochi centimetri. Era al centro esatto della stanza, lo sportello nuovamente aperto, questa volta del tutto.

Arretrai fino alla cucina, sconvolto. Contemporaneamente sentii nuovi scricchiolii provenire dal primo piano, come un suono di passi che accelerava man mano.

I passi svanirono come erano venuti, affievolendosi. Il sudore freddo mi stava pervadendo il collo, e tanti saluti alla doccia rinfrescante.

Ormai era chiaro anche a me: qualcosa se ne stava andando in giro per casa mia.

Riflettei, terrorizzato: l'orologio che si sposta, i passi, l'ombra. Qualcosa di umano?

Magari lo scherzo di qualche ladruncolo buontempone?

Poi ricordai la storia di Victor, e nuovi brividi cominciarno a scorrermi lungo la schiena.

Afferrai un coltello dal ripiano della cucina, uno dei più lunghi che avevo, e lo impugnai stretto.

Tornai per l'essesima volta al piano di sopra, cauto e guardingo. La luce dell'anticamera si era spenta (L'avevo spenta io scendendo?). Allungai la mano alla parete per cercare l'interruttore, trovandolo. Premetti con forza, ma la luce non venne. Ormai in iperventilazione, mi tuffai a memoria nel buio, entrando in una delle stanze. Premetti di nuovo sull'interruttore, ma nemmeno questo accese la luce.

Uno spiffero d'aria gelida mi investì. Potente, deciso. Col respiro affannato, allungai il braccio alla cieca, cercando il comodino. Tastai la superficie del mobile, quindi scesi con la mano e ne estrassi una torcia elettrica. La accesi, e con mio sollievo scoprii che funzionava.

La puntai verso la porta e l'anticamera, e ciò che vidi mi terorrizzò. Una figura stava in piedi davanti alla porta, fissandomi.

Urlai dallo spavento e lasciai cadere la torcia. Mi sentivo svenire. Qualcosa se ne stava a fissarmi poco distante, mentre io brancolavo nel buio.

Ritrovai la fredda superficie dela torcia. La puntai in fretta e furia verso la porta, ma non c'èra nulla.

Sembravo un pazzo. Calmati, pensai. Respirai una o due volte, deglutendo ritmicamente. Decisi di non lasciarmi prendere dal panico, ma di pensare invece alle cose che avevano la massima priorità . Mancava la luce. Dovevo azionare il generatore.

Il generatore si trovava in cantina, non certo il posto più adatto per rifugiarsi quando si è in preda a strane visioni, ma non potevo fare altrimenti.

Mi recai quasi correndo al piano inferiore, puntando la luce della torcia ovunque, ma non vidi nulla.

Trovata la porta della cantina, mi ci tuffai letteralmente, chiudendomela con forza alle spalle. In quel momento la luce si accese, da sola.

Stupefatto, scesi un gradino alla volta le scale. Forse c'èra stato un blackout. Questo spiegherebbe l'improvviso ritorno della luce. Scesi l'ultimo gradino, quando avvertii dei colpi alla porta.

Mi voltai di scatto, urlando. La porta, in cima alle scale, sbatteva, preda di feroci pugni. Un rumore sordo, inquietante. Il respiro si fece nuovamente accellerato, gli occhi fuori dalle orbite fissavano la porta.

Il feroce bussare continuò a lungo, senza interruzioni. D'un tratto il rumore cessò, ma riprese ancora più forte dalla finestrella della cantina. Mi voltai rantolando, preda di pensieri irrazionali.

Come un bambino, mi accucciai con le mani sulle ginocchia, dondolandomi avanti e indietro.

<Basta, basta, ti prego, basta!> urlai al nulla.

Il rumore cessò, e tutto divenne silenzio.

Non mi mossi di un millimetro, pronto a sentire altri battiti, ma ciò che sentii non era un battito, ma un rintocco.

Al piano terra, l'orologio a dondolo suonava, un suono dolce e ovattato, regolare.

"<La cosa particolare è che l'orologio non funziona come dovrebbe. Non suona mai alle ore stabilite, ovvero mezzanotte e mezzogiorno, il che fa pensare che l'ingranaggio sia rotto. Ovviamente non oso mettere le mani per constatarlo, cambiando dei pezzi rovinerei irrimediabilmente la sua unicità . Ciò che sto cercando di dirle, Signor Lewis, è che ogni volta che i proprietari sono stati ritrovati, ormai morti, l'orologio suonava. Strano, non trova?>"

Ricordai quelle parole, e un brivido nuovo mi attaversò. Non era paura, ma consapevolezza.

D'un tratto, una voce alle mie spalle parlò. Rauca, quasi soffocata: <E' giunta l'ora>

Quel testo è incredibile. Tutto è scritto perfettamente, i personaggi sono ben caratterizzati e descritti perfettamente, come i luoghi. Il racconto, inoltre, presenta un elemento fondamentale nei racconti dell'orrore: la suspance. Per questo, Fen, si merita il promo posto indiscusso, con tanto di PokéPoints, che nel suo caso ammontano a ben 18, e una targhetta personalizzata. Complimenti Fen!

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Ringraziamo infinitamente tutti i partecipanti! Alla prossima, vi aspettiamo numerosi!

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Grazie per il secondo posto, davvero, ho fatto di tutto per rendere ancoscioso il clima narrativo, con frasi brevi, climax e robe varie :D

Davvero, non me l'aspettovo, anche pèerchè non ho scritto mai nulla su questo genere.

Grazie ancora :D

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Grazie mille XD mi sono impegnato per vincere, dopo un terzo ed un secondo posto, quindi sono molto soddisfatto. Grazie ancora ai giudici e complimenti a tutti ^^

PS: La targhetta del primo posto non è personalizzata, non c'è il mio nick XD

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Grazie mille XD mi sono impegnato per vincere, dopo un terzo ed un secondo posto, quindi sono molto soddisfatto. Grazie ancora ai giudici e complimenti a tutti ^^

PS: La targhetta del primo posto non è personalizzata, non c'è il mio nick XD

Chiedo scusa, ho sbagliato immagine XD

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Ho aggiornato il primo post, con la targhetta personalizzata!

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